BURN-OUT/ Riflettori accesi sull’emergenza alcol e droghe tra i … I medici... · 2009-12-15 ·...

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EFFETTI DELLO STRESS SULL’INDIVIDUO Reazioni emozionali, cognitive, comportamentali Peggioramento della qualità della vita familiare, sociale e lavorativa Disturbi comportamentali Disturbi psicosomatici EFFETTI DELLO STRESS SULL’AZIENDA Peggioramento del clima aziendale Riduzione della partecipazione alla vita aziendale - Aumento delle assenze per malattia - Aumento dei ritardi - Aumento del turn-over - Scarsa adesione ai progetti - Scarsa iniziativa - Scarso rispetto di norme e procedure - Presenza di conflitti sindacali - Esistenza di conflitti interpersonali - Segnalazioni di disagio lavorativo Riduzione delle prestazioni aziendali - Allungamento dei tempi di lavorazione - Aumento degli errori - Riduzione di quantità e qualità di prodotto o servizio - Ridotta competitività Aumento dei costi aziendali - Aumento dei costi di produzione - Aumento dei costi sanitari - Aumento dei costi legali S pesso a finire nel tunnel sono i camici bianchi più bravi. Gli stacanovisti che non mollano mai le corsie e i loro studi. Ma la dedizione al lavoro e ai pazienti, la paura di commettere errori, i turni a volte massacranti li rendono vulnera- bili. Sotto stress e sempre più fragili, cercano rifugio nell’alcol e nella dro- ga. Bevono e si drogano quando han- no paura di non farce- la, quando puntano al- la carriera e pensano così di lavorare me- glio, magari anche dentro la sala operato- ria. Si chiama dipen- denza patologica pro- fessionale, una malat- tia pericolosa che, se non curata, può portare anche a soluzioni estreme. E spesso proprio i dottori non cercano aiuto e non si curano. Non è un caso che, in tutto il mondo, il tasso di suicidi tra i medici è due volte supe- riore a quello della popolazione gene- rale tra gli uomini e addirittura quat- tro volte tra le donne. Numeri da brividi, che hanno origi- ne proprio dalle dipendenze legate alla professione e dallo stress (al cen- tro delle linee guida appena pprovate in Toscana). Secondo quanto registra- to in Spagna, Paese molto simile a noi anche nel sistema sanitario, i me- dici che trovano rifugio nell’alcol, nelle droghe e nel gioco d’azzardo, sono circa il 12%. Di questi, l’8% ha problemi con l’alcol. Qui da 10 anni l’Ordine dei medici di Barcellona ha iniziato un programma specifico che si chiama «El Paime», esteso poi ad altre 10 province spagnole. Un pro- gramma da cui è emerso che circa 20mila camici spagnoli dei 165mila totali soffrirà almeno una volta in carriera di queste dipendenze. Come dire che se si applicassero le stesse percentuali al nostro Paese sarebbero circa 40mila i medici italia- ni alle prese con que- sti problemi, almeno una volta nella loro vita professionale. A puntare i riflettori su questa ve- ra emergenza silenziosa è il Centro studi Albert Schweitzer, che ha orga- nizzato un congresso nazionale sul tema («Ardere, non bruciarsi») lo scorso sabato 26 settembre alle Moli- nette di Torino. Un appuntamento che ha messo l’accento proprio su quanto poco si è fatto e si sta facendo in Italia per affrontare questa emer- genza. Nel nostro Paese non esiste nessun dato su quanti siano i profes- sionisti “scoppiati” che iniziano a es- sere depressi e a rifugiarsi nell’alcol o nella droga o in entrambi. Per far fronte a questo tipo di problemi ci si dovrebbe rivolgere a strutture assi- stenziali pubbliche alle quali il medi- co non può rivolgersi, perché - spie- gano gli esperti - si ha paura di essere riconosciuti e di avere ripercussioni sulla propria carriera. Una vera emergenza che da noi sembra ignorata, ma non lo è negli altri Paesi. Negli Usa esiste, a esem- pio, un programma federale, il «Tal- bot recovery campus» che dà ottimi risultati. Il 75% dei medici riesce infatti a risolvere i propri problemi. Ricorrendo, se del caso, anche a I medici «bruciati» tra stress I l nuovo sistema dell’Educazione continua in medicina ha risolto un punto critico: la mancanza di regole certe sulla figura dei pro- vider, garantendo in questo modo l’appropria- tezza degli eventi formativi. L’introduzione, infatti, del provider porterà norme ben defini- te per l’accreditamento e il mantenimento dei requisiti, oltre a maggiori controlli sulla quali- tà della formazione, tanto più che la loro affidabilità sarà verificata dalla Commissione nazionale Ecm o dalle strutture regionali. È però rimasto irrisolto un altro aspetto: il riconoscimento del ruolo dell’industria. L’Ecm dovrebbe basarsi sul principio della trasparenza, dando il giusto valore al contribu- to delle aziende. Il testo d’inquadramento ge- nerale del nuovo sistema, che dovrebbe essere messo a pun- to nei prossimi mesi, appare invece poco chiaro sul ruolo che dovrebbero avere le impre- se. Se da una parte si dice che il contributo delle aziende è il vero motore dell’Ecm, dall’altra si parla di evitare il conflitto d’interessi, introducendo il divieto di qualsiasi forma promozionale negli eventi o nei corsi di formazione a distanza. Assobiomedica si chiede come sia possibi- le immaginare un ruolo attivo dell’industria senza che essa ne tragga poi un giusto ritorno. Faccio un esempio: una nostra associata mette sul mercato un nuovo dispositivo; i medici saranno interessati a seguire gli eventi formativi per imparare a usarlo. Come sarà possibile, in questo caso - come in molti altri simili - evitare il conflitto d’inte- ressi? Come si potrà fare formazione senza che vi siano rapporti tra azienda e provider o tra azienda e docenti? La Commissione nazionale per la formazio- ne continua ha definito nel documento d’indi- rizzo che i soggetti che producono, commer- cializzano o pubblicizzano prodotti farmaceu- tici o dispositivi medici, non possono organiz- zare direttamente o indirettamente eventi for- mativi Ecm. Come sarà fattibile tutto ciò senza che ci rimetta il personale medico e la sua esigenza formativa? Noi proponiamo di applicare il principio della trasparenza ovvero di evitare l’ipocrisia della dichiarazione di “non conflitto” e di portare alla luce le situazioni in cui si genera il conflitto. Evidentemente queste situazioni potranno e dovranno essere apertamente di- chiarate. Solo così potrà essere garantita la chiarezza, tanto invocata dalla stessa Commis- sione nazionale Ecm. Senza perdere di vista, tra l’altro, l’obiettivo che dovrebbe accomuna- re il nuovo sistema, i medici e le aziende, ovvero la tutela e la prevenzione della salute dei cittadini. Tutto ciò potrà essere garan- tito solo se si lavora insieme, da una parte per migliorare la professionalità del personale medico e dall’altra per favori- re la diffusione di prodotti e tecnologie che aiutino la prevenzione e la cura in modi sem- pre più efficaci a beneficio del paziente. Non va infatti sottovalutato che il contribu- to alla formazione dei professionisti sanitari e quello alla ricerca corrono di pari passo. Mi sembra ridondante sottolineare che il progres- so tecnologico si alimenta grazie agli investi- menti che le nostre associate decidono di fare in ricerca e sviluppo. Se già molte aziende biomedicali e diagno- stiche rischiano l’asfissia a causa dei ritardi delle Regioni nei pagamenti delle forniture, sarebbe auspicabile che non si cercasse di paralizzare il settore anche con l’ipocrisia di queste regole, con il rischio di immobilizzare la ricerca e danneggiare il sistema della for- mazione. * Presidente Assobiomedica C ontinuano sui giornali le denunce sulla crisi demo- grafica dei prossimi anni. Al contrario, manca troppo frequentemente ogni tentativo di affrontare in modo concreto i problemi dell’oggi, quelli che si rifletto- no subito sulla vita delle persone anziane con problemi di salute e sulle loro famiglie. In questo ambito una particolare attenzione deve essere alle possibilità di assi- stenza di chi non è più autosufficiente, al centro di eventi che porteranno a un cambiamento radicale dello scenario. Un primo aspetto riguarda il ruolo delle badanti, che hanno offerto in questi anni un supporto utilissimo alle famiglie italiane, permettendo di ridurre la pressione sulle residenze. In questo momento sono al centro di dinamiche che potrebbero a breve modificare il loro ruolo. Infatti, se solo poche verranno regolarizzate si aprirà un dibattito sul- la possibilità che possano continuare a svolgere il loro compito in modo semiclandestino (a meno che la politi- ca non si accorga dei suoi errori e corra ai ripari o che le forze di polizia chiudano gli occhi). Si potrà però assi- stere anche a un fenomeno opposto; la regolarizzazione del rapporto di lavoro comporterà un aumento di costi che rende non più conveniente per molte famiglie il mantenimento a casa del loro caro (non vi sono differenze significative tra il salario di una badante regolarizzata e la quota a carico dell’utente nelle residenze). In ogni caso avverrà nei prossimi mesi un aumento della domanda di residenze per anziani, sia nelle Regioni già dotate di una buona rete sia in quelle che ne sono prive (o quasi). Un secondo aspetto riguarda quanto enunciato dal nuovo Patto per la salute, secondo il quale «la dotazione di posti letto per anziani non autosufficienti con oneri a carico del Ssn non superi il parametro di un posto letto per 100 anziani ultra sessantacinquenni e 3 posti letto per anziani ultrasettanciquenni». Sono numeri lontani dalla realtà di Regioni come Lombardia ed Emilia che, pur avendo adottato nel recente passato scelte diverse, hanno costruito in questi anni un adeguato numero di strutture residenziali e di servizi domiciliari. Nello stesso Patto si riducono i posti letto negli ospedali: operazione di per sé meritoria, ma che richiederebbe il completa- mento del sistema di assistenza con attenzione alla domi- ciliarità (a cui mancaogni riferimento nel testo) e non si concilia con la contrazione dei servizi residenziali. Come affrontare il futuro in questo scenario? Purtrop- po ancora una volta si è costretti a ragionare in modo diverso tra le Regioni, però il realismo invita a questo. Il prevedibile aumento delle richieste dei prossimi mesi ci vede in grande difficoltà: mettere a punto servizi alterna- tivi non è facile né rapido. Presumibilmente una certa quota degli anziani assistiti a casa dalle badanti si trova in condizioni di salute così deteriorate che il ricovero in una residenza diventa ineluttabile. Si potrebbe, però, prevedere di riportare a casa, in un circuito assistenziale domestico la quota di persone residenti in discrete condi- zioni di salute/autosufficienza (ma a quali costi umani?). Inoltre, come è possibile conciliare questa prospetti- va di aumento dei posti nelle residen- ze con le indicazioni del Patto, che così si esprime: «I posti letto ecceden- ti la dotazione massima sopra riporta- ta restano a carico dei bilanci regiona- li...»? Sembra davvero che manchi ogni seria capacità programmatoria. Ma non sono forse le Regioni che hanno migliori servizi per anziani anche quelle che hanno bilanci più sani? Di fatto, le si voglio- no punire? L’alternativa è scaricare sulle famiglie un onere pe- sante in un momento di crisi economica. Peraltro, nel medio periodo la costruzione di una reale welfare com- munity potrebbe permettere di istituire un certo numero di letti per anziani non autosufficienti a basso costo, perché immersi all’interno di una rete di relazioni fonda- ta su comunità fortemente coese e disposte alla generosi- tà, se adeguatamente guidate da enti locali lungimiranti. Iltutto però richiede tempo, denaro, attenzione culturale e politica, sperimentazioni: non se ne vede traccia. Inve- ce su questi grandi temi si dovrebbero costruire alleanze tra chi fa le leggi, chi programma, gli operatori di tutti i livelli, affiancati, quando possibile, dalle Società scienti- fiche di riferimento. * Gruppo di ricerca geriatrica, Brescia DI ANGELO FRACASSI * DI MARCO TRABUCCHI * BURN-OUT/ Riflettori accesi sull’emergenza alcol e droghe tra i camici bianchi: in Si stimano 40mila sanitari coinvolti Stop alle ipocrisie sul “non conflitto” La previsione di tagli punisce chi fa di più I DISTINGUO DI ASSOBIOMEDICA SULLE NUOVE REGOLE NON AUTOSUFFICIENZA E PATTO PER LA SALUTE DI MARZIO BARTOLONI Le esperienze modello per il recupero dei dottori negli Usa e a Barcellona «Ecm: ruoli trasparenti per le aziende» «Non penalizzate chi assiste l’anziano» 16 29 set.-5 ott. 2009 D IBATTITI

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EFFETTI DELLO STRESS SULL’INDIVIDUO

● Reazioni emozionali, cognitive,comportamentali

● Peggioramento della qualità dellavita familiare, sociale e lavorativa

● Disturbi comportamentali

● Disturbi psicosomatici

EFFETTI DELLO STRESS SULL’AZIENDA

● Peggioramento del clima aziendale

● Riduzione della partecipazionealla vita aziendale

- Aumento delle assenzeper malattia

- Aumento dei ritardi

- Aumento del turn-over

- Scarsa adesione ai progetti

- Scarsa iniziativa

- Scarso rispetto di normee procedure

- Presenza di conflitti sindacali

- Esistenza di conflitti interpersonali

- Segnalazioni di disagio lavorativo

● Riduzione delle prestazioni aziendali

- Allungamento dei tempidi lavorazione

- Aumento degli errori

- Riduzione di quantità e qualitàdi prodotto o servizio

- Ridotta competitività

● Aumento dei costi aziendali

- Aumento dei costi di produzione

- Aumento dei costi sanitari

- Aumento dei costi legali

S pesso a finire nel tunnel sono icamici bianchi più bravi. Glistacanovisti che non mollano

mai le corsie e i loro studi. Ma ladedizione al lavoro e ai pazienti, lapaura di commettere errori, i turni avolte massacranti li rendono vulnera-bili. Sotto stress e sempre più fragili,cercano rifugio nell’alcol e nella dro-ga. Bevono e si drogano quando han-no paura di non farce-la, quando puntano al-la carriera e pensanocosì di lavorare me-glio, magari anchedentro la sala operato-ria. Si chiama dipen-denza patologica pro-fessionale, una malat-tia pericolosa che, se non curata, puòportare anche a soluzioni estreme. Espesso proprio i dottori non cercanoaiuto e non si curano. Non è un casoche, in tutto il mondo, il tasso disuicidi tra i medici è due volte supe-riore a quello della popolazione gene-rale tra gli uomini e addirittura quat-tro volte tra le donne.

Numeri da brividi, che hanno origi-ne proprio dalle dipendenze legatealla professione e dallo stress (al cen-tro delle linee guida appena pprovatein Toscana). Secondo quanto registra-

to in Spagna, Paese molto simile anoi anche nel sistema sanitario, i me-dici che trovano rifugio nell’alcol,nelle droghe e nel gioco d’azzardo,sono circa il 12%. Di questi, l’8% haproblemi con l’alcol. Qui da 10 annil’Ordine dei medici di Barcellona hainiziato un programma specifico chesi chiama «El Paime», esteso poi adaltre 10 province spagnole. Un pro-gramma da cui è emerso che circa20mila camici spagnoli dei 165mila

totali soffrirà almenouna volta in carrieradi queste dipendenze.Come dire che se siapplicassero le stessepercentuali al nostroPaese sarebbero circa40mila i medici italia-ni alle prese con que-

sti problemi, almeno una volta nellaloro vita professionale.

A puntare i riflettori su questa ve-ra emergenza silenziosa è il Centrostudi Albert Schweitzer, che ha orga-nizzato un congresso nazionale sultema («Ardere, non bruciarsi») loscorso sabato 26 settembre alle Moli-nette di Torino. Un appuntamentoche ha messo l’accento proprio suquanto poco si è fatto e si sta facendoin Italia per affrontare questa emer-genza. Nel nostro Paese non esistenessun dato su quanti siano i profes-

sionisti “scoppiati” che iniziano a es-sere depressi e a rifugiarsi nell’alcolo nella droga o in entrambi. Per farfronte a questo tipo di problemi ci sidovrebbe rivolgere a strutture assi-stenziali pubbliche alle quali il medi-

co non può rivolgersi, perché - spie-gano gli esperti - si ha paura di esserericonosciuti e di avere ripercussionisulla propria carriera.

Una vera emergenza che da noisembra ignorata, ma non lo è negli

altri Paesi. Negli Usa esiste, a esem-pio, un programma federale, il «Tal-bot recovery campus» che dà ottimirisultati. Il 75% dei medici riesceinfatti a risolvere i propri problemi.Ricorrendo, se del caso, anche a

I medici «bruciati» tra stress

I l nuovo sistema dell’Educazione continuain medicina ha risolto un punto critico: la

mancanza di regole certe sulla figura dei pro-vider, garantendo in questo modo l’appropria-tezza degli eventi formativi. L’introduzione,infatti, del provider porterà norme ben defini-te per l’accreditamento e il mantenimento deirequisiti, oltre a maggiori controlli sulla quali-tà della formazione, tanto più che la loroaffidabilità sarà verificata dalla Commissionenazionale Ecm o dalle strutture regionali.

È però rimasto irrisolto un altro aspetto: ilriconoscimento del ruolo dell’industria.L’Ecm dovrebbe basarsi sul principio dellatrasparenza, dando il giusto valore al contribu-to delle aziende.

Il testo d’inquadramento ge-nerale del nuovo sistema, chedovrebbe essere messo a pun-to nei prossimi mesi, appareinvece poco chiaro sul ruoloche dovrebbero avere le impre-se. Se da una parte si dice cheil contributo delle aziende è ilvero motore dell’Ecm, dall’altra si parla dievitare il conflitto d’interessi, introducendo ildivieto di qualsiasi forma promozionale neglieventi o nei corsi di formazione a distanza.

Assobiomedica si chiede come sia possibi-le immaginare un ruolo attivo dell’industriasenza che essa ne tragga poi un giusto ritorno.

Faccio un esempio: una nostra associatamette sul mercato un nuovo dispositivo; imedici saranno interessati a seguire gli eventiformativi per imparare a usarlo.

Come sarà possibile, in questo caso - comein molti altri simili - evitare il conflitto d’inte-ressi? Come si potrà fare formazione senzache vi siano rapporti tra azienda e provider otra azienda e docenti?

La Commissione nazionale per la formazio-ne continua ha definito nel documento d’indi-rizzo che i soggetti che producono, commer-cializzano o pubblicizzano prodotti farmaceu-

tici o dispositivi medici, non possono organiz-zare direttamente o indirettamente eventi for-mativi Ecm. Come sarà fattibile tutto ciòsenza che ci rimetta il personale medico e lasua esigenza formativa?

Noi proponiamo di applicare il principiodella trasparenza ovvero di evitare l’ipocrisiadella dichiarazione di “non conflitto” e diportare alla luce le situazioni in cui si generail conflitto. Evidentemente queste situazionipotranno e dovranno essere apertamente di-chiarate. Solo così potrà essere garantita lachiarezza, tanto invocata dalla stessa Commis-sione nazionale Ecm. Senza perdere di vista,tra l’altro, l’obiettivo che dovrebbe accomuna-

re il nuovo sistema, i medici ele aziende, ovvero la tutela ela prevenzione della salute deicittadini.

Tutto ciò potrà essere garan-tito solo se si lavora insieme,da una parte per migliorare laprofessionalità del personalemedico e dall’altra per favori-

re la diffusione di prodotti e tecnologie cheaiutino la prevenzione e la cura in modi sem-pre più efficaci a beneficio del paziente.

Non va infatti sottovalutato che il contribu-to alla formazione dei professionisti sanitari equello alla ricerca corrono di pari passo. Misembra ridondante sottolineare che il progres-so tecnologico si alimenta grazie agli investi-menti che le nostre associate decidono di farein ricerca e sviluppo.

Se già molte aziende biomedicali e diagno-stiche rischiano l’asfissia a causa dei ritardidelle Regioni nei pagamenti delle forniture,sarebbe auspicabile che non si cercasse diparalizzare il settore anche con l’ipocrisia diqueste regole, con il rischio di immobilizzarela ricerca e danneggiare il sistema della for-mazione.

* Presidente Assobiomedica

Continuano sui giornali le denunce sulla crisi demo-grafica dei prossimi anni. Al contrario, manca

troppo frequentemente ogni tentativo di affrontare inmodo concreto i problemi dell’oggi, quelli che si rifletto-no subito sulla vita delle persone anziane con problemidi salute e sulle loro famiglie. In questo ambito unaparticolare attenzione deve essere alle possibilità di assi-stenza di chi non è più autosufficiente, al centro dieventi che porteranno a un cambiamento radicale delloscenario.

Un primo aspetto riguarda il ruolo delle badanti, chehanno offerto in questi anni un supporto utilissimo allefamiglie italiane, permettendo di ridurre la pressionesulle residenze. In questo momento sono al centro didinamiche che potrebbero a breve modificare il lororuolo. Infatti, se solo poche verrannoregolarizzate si aprirà un dibattito sul-la possibilità che possano continuarea svolgere il loro compito in modosemiclandestino (a meno che la politi-ca non si accorga dei suoi errori ecorra ai ripari o che le forze di poliziachiudano gli occhi). Si potrà però assi-stere anche a un fenomeno opposto;la regolarizzazione del rapporto di lavoro comporterà unaumento di costi che rende non più conveniente permolte famiglie il mantenimento a casa del loro caro(non vi sono differenze significative tra il salario di unabadante regolarizzata e la quota a carico dell’utente nelleresidenze). In ogni caso avverrà nei prossimi mesi unaumento della domanda di residenze per anziani, sianelle Regioni già dotate di una buona rete sia in quelleche ne sono prive (o quasi).

Un secondo aspetto riguarda quanto enunciato dalnuovo Patto per la salute, secondo il quale «la dotazionedi posti letto per anziani non autosufficienti con oneri acarico del Ssn non superi il parametro di un posto lettoper 100 anziani ultra sessantacinquenni e 3 posti lettoper anziani ultrasettanciquenni». Sono numeri lontanidalla realtà di Regioni come Lombardia ed Emilia che,pur avendo adottato nel recente passato scelte diverse,hanno costruito in questi anni un adeguato numero distrutture residenziali e di servizi domiciliari. Nello stessoPatto si riducono i posti letto negli ospedali: operazione

di per sé meritoria, ma che richiederebbe il completa-mento del sistema di assistenza con attenzione alla domi-ciliarità (a cui manca ogni riferimento nel testo) e non siconcilia con la contrazione dei servizi residenziali.

Come affrontare il futuro in questo scenario? Purtrop-po ancora una volta si è costretti a ragionare in mododiverso tra le Regioni, però il realismo invita a questo. Ilprevedibile aumento delle richieste dei prossimi mesi civede in grande difficoltà: mettere a punto servizi alterna-tivi non è facile né rapido. Presumibilmente una certaquota degli anziani assistiti a casa dalle badanti si trovain condizioni di salute così deteriorate che il ricovero inuna residenza diventa ineluttabile. Si potrebbe, però,prevedere di riportare a casa, in un circuito assistenzialedomestico la quota di persone residenti in discrete condi-

zioni di salute/autosufficienza (ma aquali costi umani?). Inoltre, come èpossibile conciliare questa prospetti-va di aumento dei posti nelle residen-ze con le indicazioni del Patto, checosì si esprime: «I posti letto ecceden-ti la dotazione massima sopra riporta-ta restano a carico dei bilanci regiona-li...»? Sembra davvero che manchi

ogni seria capacità programmatoria. Ma non sono forsele Regioni che hanno migliori servizi per anziani anchequelle che hanno bilanci più sani? Di fatto, le si voglio-no punire?

L’alternativa è scaricare sulle famiglie un onere pe-sante in un momento di crisi economica. Peraltro, nelmedio periodo la costruzione di una reale welfare com-munity potrebbe permettere di istituire un certo numerodi letti per anziani non autosufficienti a basso costo,perché immersi all’interno di una rete di relazioni fonda-ta su comunità fortemente coese e disposte alla generosi-tà, se adeguatamente guidate da enti locali lungimiranti.Il tutto però richiede tempo, denaro, attenzione culturalee politica, sperimentazioni: non se ne vede traccia. Inve-ce su questi grandi temi si dovrebbero costruire alleanzetra chi fa le leggi, chi programma, gli operatori di tutti ilivelli, affiancati, quando possibile, dalle Società scienti-fiche di riferimento.

* Gruppo di ricerca geriatrica, Brescia

DI ANGELO FRACASSI *DI MARCO TRABUCCHI *

BURN-OUT/ Riflettori accesi sull’emergenza alcol e droghe tra i camici bianchi: in

Si stimano 40milasanitari coinvolti

Stop alle ipocrisiesul “non conflitto”

La previsione di taglipunisce chi fa di più

I DISTINGUO DI ASSOBIOMEDICA SULLE NUOVE REGOLENON AUTOSUFFICIENZA E PATTO PER LA SALUTE

DI MARZIO BARTOLONI

Le esperienze modello per il recupero dei dottori negli Usa e a Barcellona

«Ecm: ruoli trasparenti per le aziende»«Non penalizzate chi assiste l’anziano»

16 29 set.-5 ott. 2009DIBATTITI

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Con il progetto «Helper»curiamo i pazienti in camice

DI PAOLA MORA *

“ricoveri” residenziali per i medicipiù bisognosi per aiutarli a superarela crisi e le dipendenze. Un program-ma di “disintossicazione” vero e pro-prio. In Italia, invece, è praticamentebuio fitto o quasi. L’unica eccezione

è il Piemonte dove il Centro torinesedi solidarietà, l’Adimed (Associazio-ne difesa del medico) e lo Schweitzerhanno elaborato il primo progetto de-stinato al personale sanitario in diffi-coltà e ai loro familiari (progetto«Helper», si veda articolo a fianco).Un progetto ancora rimasto sulla car-ta. Per renderlo operativo ora serviràl’aiuto della Regione e della Federa-zione nazionale degli Ordini dei me-dici. L’obiettivo è fare del Piemontela prima esperienza di aiuto, preven-zione e riabilitazione per il personalesanitario.

Il problema c’è, è inutile nascon-derlo. Ne è convinto anche AmedeoBianco, presidente della Federazionenazionale degli Ordini dei medici(Fnomceo), secondo cui quello deicamici bianchi che soffrono di dipen-denze legate alla professione è unproblema da non sottovalutare, maneanche da enfatizzare: «In Italia imedici attivi sono 270mila, sarebbeassurdo pensare che siano tutti imma-colati». «La prima cosa da fare -spiega Bianco - è quella di cogliere ilfenomeno nelle sue dimensioni reali.A seguire serve un progetto di recupe-ro che non può essere basato su stan-dard generali. Questo per l’unicità diquesta professione: un chirurgo indifficoltà bisogna rieducarlo a fare ilchirurgo».

L’attenzione alla salute psico-fisica, ai rischi insiti nelleprofessioni di aiuto alla persona, alla necessità di forma-

re e informare coloro che quotidianamente svolgono il lorolavoro a contatto diretto con la sofferenza e la morte, è oggiuna tappa inevitabile per quel processo di umanizzazionedella medicina riconosciuto come decisivo a servizio deipazienti e degli stessi operatori della Sanità. Anche medici eoperatori sanitari possono avere situazioni di difficoltà, didisagio, risposte disadattive allo stress, malattie, eventi com-plessi e rischiosi nella loro vita professionale, tutto questo puòcontribuire a creare le condizioni per la perdita di motivazio-ne, il burn-out (sindrome da esaurimento emozionale), sindro-mi depressive, dipendenze patologiche dafarmaci e sostanze psicotrope, da comporta-menti e stili di vita rischiosi e dannosi.

In Italia, a differenza di quanto avvieneregolarmente negli Usa, il fenomeno non èoggi quantificabile e non esistono ricerche edati certi. In ogni caso esiste un “sommerso”sicuramente vasto e il fenomeno andrebbeletto e ricostruito aggregando fatti e circostan-ze apparentemente slegati tra loro: suicidi, cause di lavoro,periodi di malattia, aspettative da lavoro e poi ancora ilmassiccio ricorso ad ansiolitici e farmaci antidepressivi e lerichieste di sostegno psicologico non sono sempre casi isolati,ma manifestazioni riconducibili a un disagio esistenziale e allaproblematicità di conciliare professione, vita privata e fami-glia. Progetto Helper è un’iniziativa che risponde ad alcuni diquesti problemi; è mirata ai medici e alle professioni sanitarie:nasce dall’integrazione di diversi enti che da vent’anni, a variotitolo, si occupano di dipendenze patologiche (allestendo siste-mi di sostegno personale e familiare e programmi di cura eafter-care) e conoscono esigenze specifiche e dinamiche pro-fessionali tipiche del mondo sanitario (formazione tecnico-spe-cialistica, formazione sulle competenze personali e sociali dei

ruoli sanitari).Tali enti, tutti nati nell’area torinese, ma da sempre attenti

alle prassi e ai programmi più significativi in Europa e nelmondo (si pensi a esempio alle esperienze dei percorsi ditrattamento per medici proposti dal Talbott recovery campusdi Atlanta, con sedi sparse negli Usa e dalla FondazioneGalatea che opera in stretta collaborazione con l’ordine deiMedici di Barcellona) partecipano al progetto.

Progetto Helper è un programma di aiuto ai medici eoperatori sanitari in difficoltà e/o malati che comprende collo-qui conoscitivi, un’area diagnostica, percorsi di counseling,percorsi psicoterapeutici individuali e di gruppo, secondo un

modello operativo che garantisce la privacy,apre un contatto e al tempo stesso assicuraun ambiente specifico e professionalmentequalificato, in grado in primo luogo di acco-gliere, di ascoltare, di cogliere le diversedimensioni del disagio e di sostenere la perso-na. Il programma si modula a seconda dellespecifiche situazioni e dell’intensità con cuisi manifestano i problemi, tenendo comun-

que in considerazione le esigenze di riservatezza e di manteni-mento del ruolo professionale. Il programma multidisciplinareintegrato è flessibile negli approcci e nei tempi accompagnan-do e sostenendo la persona nella ricerca del proprio equilibriopersonale, sociale e professionale.

Infine, la proposta vuole essere innovativa, aperta, visibileanche sul piano della comunicazione; alla necessaria discrezio-ne si accompagna la possibilità del contatto diretto con lagente, mediante un portale a disposizione di tutti coloro chevogliono sapere, approfondire ed entrare in contatto con équi-pe ed esperti (diretti interessati, ma anche familiari, partner osemplici fruitori).

* Segretario generale centro di formazione Albert Schweitzer

e dipendenzeSpagna il 12% abusa di sostanze a rischio

L’esempio del Talbotrecovery campus

In Italia primo esperimento a Torino

L’ESPERIENZA IN PIEMONTE

29 set.-5 ott. 2009 17DIBATTITI