Breve storia dell’architettura in Sicilia - liberliber.it · te alla venuta dei Greci ha lasciato...

186
Enrico Calandra Breve storia dell’architettura in Sicilia www.liberliber.it Enrico Calandra Breve storia dell’architettura in Sicilia www.liberliber.it

Transcript of Breve storia dell’architettura in Sicilia - liberliber.it · te alla venuta dei Greci ha lasciato...

Enrico CalandraBreve storia dell’architettura

in Sicilia

www.liberliber.it

Enrico CalandraBreve storia dell’architettura

in Sicilia

www.liberliber.it

Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

E-textWeb design, Editoria, Multimedia

(pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!)http://www.e-text.it/

QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Breve storia dell’architettura in SiciliaAUTORE: Calandra, EnricoTRADUTTORE: CURATORE: NOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Breve storia della architettura in Sici-lia / Enrico Calandra. - Bari : Laterza, 1938. - 158p. : [18] c. di tav. : ill. ; 20 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 21 settembre 2017

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard

2

Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

E-textWeb design, Editoria, Multimedia

(pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!)http://www.e-text.it/

QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Breve storia dell’architettura in SiciliaAUTORE: Calandra, EnricoTRADUTTORE: CURATORE: NOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Breve storia della architettura in Sici-lia / Enrico Calandra. - Bari : Laterza, 1938. - 158p. : [18] c. di tav. : ill. ; 20 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 21 settembre 2017

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard

2

2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:ARC005000 ARCHITETTURA / Storia / Generale

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Ruggero Volpes, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

3

2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:ARC005000 ARCHITETTURA / Storia / Generale

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Ruggero Volpes, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

3

Liber Liber

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri.Fai una donazione: http://www.liberliber.it/online/aiuta/.

Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamorealizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione inte-grale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, videoe tanto altro: http://www.liberliber.it/.

4

Liber Liber

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri.Fai una donazione: http://www.liberliber.it/online/aiuta/.

Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamorealizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione inte-grale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, videoe tanto altro: http://www.liberliber.it/.

4

Indice generale

Liber Liber......................................................................4Premessa.........................................................................7L'architettura siceliota.....................................................9Il periodo romano.........................................................23Il periodo paleocristiano...............................................26Il periodo bizantino.......................................................28Il periodo arabo.............................................................31Il periodo normanno.....................................................33L'architettura dei tempi svevi e angioini.......................50Il Trecento.....................................................................62Il Quattrocento..............................................................65Il Cinquecento...............................................................83Il Seicento...................................................................114Il Settecento................................................................137L'Ottocento.................................................................154

5

Indice generale

Liber Liber......................................................................4Premessa.........................................................................7L'architettura siceliota.....................................................9Il periodo romano.........................................................23Il periodo paleocristiano...............................................26Il periodo bizantino.......................................................28Il periodo arabo.............................................................31Il periodo normanno.....................................................33L'architettura dei tempi svevi e angioini.......................50Il Trecento.....................................................................62Il Quattrocento..............................................................65Il Cinquecento...............................................................83Il Seicento...................................................................114Il Settecento................................................................137L'Ottocento.................................................................154

5

Enrico Calandra

Breve storia dell’architetturain Sicilia

6

Enrico Calandra

Breve storia dell’architetturain Sicilia

6

Premessa

Allo stato attuale degli studi storico-artistici non èforse prematura una sintesi della storia dell'architetturain Sicilia? Quando l'estate scorsa i direttori della rivistaLa Phalange l'han richiesta a me siciliano – e in limitiassai brevi – per un numero speciale da dedicarsi allanostra bella isola, tale domanda me la son posta io stes-so, e a tutta prima da studioso ho dovuto rispondere es-sere troppo presto ancora per tentarla con successo.

Sebbene da recente alcuni periodi architettonici, giàinteramente nell'ombra sino a qualche decennio fa, sianostati esplorati da benemeriti studiosi1, pure siamo lontanidalla compiutezza di notizie e di ricerche che sarebbe

1 Molte lacune han colmato gli studi dell'Orsi, del Pace e delLibertini per i periodi dal romano al bizantino, quelli dell'Agnelloe del Di Stefano per lo svevo, quelli del Gabrici pel Trecento edel Venturi pel Quattrocento, le brevi monografie del Cardella,dello Spatrisano, del Samonà, del Pollaci, che in mancanza di unostudio complessivo, rischiarano alcuni capisaldi del Rinascimentopalermitano, gli studi del Caronia e soprattutto la rivalutazionedel Fichera sul periodo barocco, con speciale riguardo, rispettiva-mente a Palermo e a Catania sul Settecento.

7

Premessa

Allo stato attuale degli studi storico-artistici non èforse prematura una sintesi della storia dell'architetturain Sicilia? Quando l'estate scorsa i direttori della rivistaLa Phalange l'han richiesta a me siciliano – e in limitiassai brevi – per un numero speciale da dedicarsi allanostra bella isola, tale domanda me la son posta io stes-so, e a tutta prima da studioso ho dovuto rispondere es-sere troppo presto ancora per tentarla con successo.

Sebbene da recente alcuni periodi architettonici, giàinteramente nell'ombra sino a qualche decennio fa, sianostati esplorati da benemeriti studiosi1, pure siamo lontanidalla compiutezza di notizie e di ricerche che sarebbe

1 Molte lacune han colmato gli studi dell'Orsi, del Pace e delLibertini per i periodi dal romano al bizantino, quelli dell'Agnelloe del Di Stefano per lo svevo, quelli del Gabrici pel Trecento edel Venturi pel Quattrocento, le brevi monografie del Cardella,dello Spatrisano, del Samonà, del Pollaci, che in mancanza di unostudio complessivo, rischiarano alcuni capisaldi del Rinascimentopalermitano, gli studi del Caronia e soprattutto la rivalutazionedel Fichera sul periodo barocco, con speciale riguardo, rispettiva-mente a Palermo e a Catania sul Settecento.

7

necessaria per una equilibrata e densa sintesi. Cionono-stante mi fu necessario tentarla per il pubblico della rivi-sta francese. E, prima che la sintesi assai ristretta, ho do-vuto stenderne per me stesso una meno succinta, ancheper mettere a posto vari ricordi di gite esplorative – checominciavano a perdere di precisione – fatte in vari tem-pi, quando risiedevo nell'isola. Questo manoscritto, ch'ioin origine non avevo destinato al pubblico – almeno nel-la forma attuale – uno studioso a me carissimo fa pub-blicare nella collana del Laterza, persuaso che, in man-canza di meglio, esso possa essere utile non già ai com-petenti, ma alle persone colte che sempre più oggi s'inte-ressano all'architettura e alla Sicilia, per la storia archi-tettonica della quale il maggior ostacolo sarà sempredato dal secolare accumularsi in essa delle cause distrut-trici dei monumenti.

Questa maggiore perla del Mediterraneo, quest'isolanon abbastanza isolata e naturalmente non abbastanzadifesa, aperta nei secoli a tutte le cupidigie e luogo discontro e cozzo fra diverse civiltà e diversi conquistato-ri, ha avuto inoltre sempre nel suo mitico enorme montefumante e nel suo stretto leggendario, insieme a magi-che attrazioni, anche i depositi dei suoi disastri, esplo-denti quasi a ogni secolo in rovinosi cataclismi. Se i mo-numenti di tutta l'isola ne han periodicamente sofferto,quasi quanto per effetto delle distruzioni per le rinnova-te invasioni, quelli della parte orientale ne son semprerimasti così decimati e straziati che la storia architettoni-ca complessiva ne risulta squilibrata e a volte intelligibi-

8

necessaria per una equilibrata e densa sintesi. Cionono-stante mi fu necessario tentarla per il pubblico della rivi-sta francese. E, prima che la sintesi assai ristretta, ho do-vuto stenderne per me stesso una meno succinta, ancheper mettere a posto vari ricordi di gite esplorative – checominciavano a perdere di precisione – fatte in vari tem-pi, quando risiedevo nell'isola. Questo manoscritto, ch'ioin origine non avevo destinato al pubblico – almeno nel-la forma attuale – uno studioso a me carissimo fa pub-blicare nella collana del Laterza, persuaso che, in man-canza di meglio, esso possa essere utile non già ai com-petenti, ma alle persone colte che sempre più oggi s'inte-ressano all'architettura e alla Sicilia, per la storia archi-tettonica della quale il maggior ostacolo sarà sempredato dal secolare accumularsi in essa delle cause distrut-trici dei monumenti.

Questa maggiore perla del Mediterraneo, quest'isolanon abbastanza isolata e naturalmente non abbastanzadifesa, aperta nei secoli a tutte le cupidigie e luogo discontro e cozzo fra diverse civiltà e diversi conquistato-ri, ha avuto inoltre sempre nel suo mitico enorme montefumante e nel suo stretto leggendario, insieme a magi-che attrazioni, anche i depositi dei suoi disastri, esplo-denti quasi a ogni secolo in rovinosi cataclismi. Se i mo-numenti di tutta l'isola ne han periodicamente sofferto,quasi quanto per effetto delle distruzioni per le rinnova-te invasioni, quelli della parte orientale ne son semprerimasti così decimati e straziati che la storia architettoni-ca complessiva ne risulta squilibrata e a volte intelligibi-

8

le con vera difficoltà, com'è tormentosa e oscura la let-tura di un libro cui manchino troppe pagine2.

L'architettura siceliota

L'architettura degli abitatori della Sicilia anteriormen-te alla venuta dei Greci ha lasciato solo un nome, digrande risonanza, ma di attività completamente leggen-daria; un nome di architetto ricordato come un semidio,Dedalo – qui riparato da Creta, messosi al servizio delre dei Sicani, Cocalo, fuggendo da Minosse – al qualegià in epoca greca si attribuivano opere di fortificazionesin nella regione nord-occidentale, degli Elimi, e al qua-le ora solo la buona volontà di studiosi locali fa risalirel'origine di qualche opera assolutamente di tempo greco,cioè siceliota. L'immensa fatica di esplorazione guidatadal compianto senatore Orsi nei centri di attività dellapreistoria e della protostoria sicana e sicula ha dato ben-sì un imponente materiale etnografico magnificamente

2 Data la necessaria parsimonia di riproduzioni di monumentiche la Biblioteca di Cultura consente, si consiglia di tener dinanzila ricca e molto diffusa collezione di riproduzioni dei monumentisiciliani del Touring Club Italiano: «Attraverso l'Italia», vol. IV,Sicilia, Milano 1933.

9

le con vera difficoltà, com'è tormentosa e oscura la let-tura di un libro cui manchino troppe pagine2.

L'architettura siceliota

L'architettura degli abitatori della Sicilia anteriormen-te alla venuta dei Greci ha lasciato solo un nome, digrande risonanza, ma di attività completamente leggen-daria; un nome di architetto ricordato come un semidio,Dedalo – qui riparato da Creta, messosi al servizio delre dei Sicani, Cocalo, fuggendo da Minosse – al qualegià in epoca greca si attribuivano opere di fortificazionesin nella regione nord-occidentale, degli Elimi, e al qua-le ora solo la buona volontà di studiosi locali fa risalirel'origine di qualche opera assolutamente di tempo greco,cioè siceliota. L'immensa fatica di esplorazione guidatadal compianto senatore Orsi nei centri di attività dellapreistoria e della protostoria sicana e sicula ha dato ben-sì un imponente materiale etnografico magnificamente

2 Data la necessaria parsimonia di riproduzioni di monumentiche la Biblioteca di Cultura consente, si consiglia di tener dinanzila ricca e molto diffusa collezione di riproduzioni dei monumentisiciliani del Touring Club Italiano: «Attraverso l'Italia», vol. IV,Sicilia, Milano 1933.

9

studiato dall'illustre archeologo, ma quasi nulla di vera-mente notevole ci ha rivelato nel campo architettonico.Né pare si possano fare risalire a date anteriori alle pri-me migrazioni calcidiesi le mura megalitiche e poligo-nali che ancora sussistono a Monte Erice, a Collesano ealtrove; fortificazioni forse degli ultimi Elimi, prima delloro completo assorbimento nella civiltà greca. Trascu-rabili – dal punto di vista architettonico – sono anche iresti di civiltà fenicio-puniche (fortificazioni e porta diMozia, tratti delle mura di Erice), mentre archeologica-mente sono interessanti quanto i sepolcri antropomorfitrovati a Cannita. La storia dell'architettura comincia adavere pagine d'interesse generale soltanto con la colo-nizzazione greca.

A questi antichi navigatori approdati alle coste orien-tali e meridionali della Sicilia, e da lì mossi in più secolialla conquista del resto dell'isola, e che venivano da unterritorio di isole brevi o di penisole frastagliate e pocoestese, la Sicilia dovette presentarsi come un nuovomondo, assai più grande: e dovette esaltare le loro ener-gie – anche per la presenza della gigantesca montagnafumante – in concepimenti assai più grandiosi, i qualinon hanno riscontro nei monumenti della madre patria,anche se alla madre patria rimasero inferiori nella perfe-zione dei particolari. È questa la nota fondamentaledell'architettura greco-siceliota. Ma è certo che, essendopassati secoli dall'approdo alla erezione dei monumentiora superstiti, alla suddetta disposizione d'animo algrandioso bisogna assegnare solo un valore concomitan-

10

studiato dall'illustre archeologo, ma quasi nulla di vera-mente notevole ci ha rivelato nel campo architettonico.Né pare si possano fare risalire a date anteriori alle pri-me migrazioni calcidiesi le mura megalitiche e poligo-nali che ancora sussistono a Monte Erice, a Collesano ealtrove; fortificazioni forse degli ultimi Elimi, prima delloro completo assorbimento nella civiltà greca. Trascu-rabili – dal punto di vista architettonico – sono anche iresti di civiltà fenicio-puniche (fortificazioni e porta diMozia, tratti delle mura di Erice), mentre archeologica-mente sono interessanti quanto i sepolcri antropomorfitrovati a Cannita. La storia dell'architettura comincia adavere pagine d'interesse generale soltanto con la colo-nizzazione greca.

A questi antichi navigatori approdati alle coste orien-tali e meridionali della Sicilia, e da lì mossi in più secolialla conquista del resto dell'isola, e che venivano da unterritorio di isole brevi o di penisole frastagliate e pocoestese, la Sicilia dovette presentarsi come un nuovomondo, assai più grande: e dovette esaltare le loro ener-gie – anche per la presenza della gigantesca montagnafumante – in concepimenti assai più grandiosi, i qualinon hanno riscontro nei monumenti della madre patria,anche se alla madre patria rimasero inferiori nella perfe-zione dei particolari. È questa la nota fondamentaledell'architettura greco-siceliota. Ma è certo che, essendopassati secoli dall'approdo alla erezione dei monumentiora superstiti, alla suddetta disposizione d'animo algrandioso bisogna assegnare solo un valore concomitan-

10

te; la causa più vera risiede nel fatto che, con l'assorbi-mento dei Siculi in quella civiltà greco-sicula che si suolchiamare siceliota, hanno agito sui colonizzatori influssiorientali naturalmente tendenti al grandioso. Colossaliveramente sono i maggiori templi di Selinunte e diAgrigento, i cui capitelli dorici arrivano a dimensioni –veramente enormi per blocchi unici – di circa quattrometri di lato all'abaco.

L'architettura siciliana del tempo greco è principal-mente rappresentata dai monumenti religiosi, ma nonesclusivamente da questi. L'architettura militare, la tea-trale e la funeraria han lasciato resti insigni. La prima,più che a Megara, a Tindari, e più ancora nelle fortifica-zioni rinnovate in Selinunte al tempo di Ermocrate3; matocca vertici – mai raggiunti altrove in tutto il mondogreco – a Siracusa, nelle fortificazioni apprestate daDionisio il Grande, che hanno nel castello Eurialo uncapolavoro insigne di bellezza architettonica e di sa-pienza militare4.

La seconda è rappresentata sicuramente da sei teatri,per quanto non esenti da restauri romani; altri, comequello di Taormina, sono stati quasi del tutto rifatti inepoca romana. Poco ci resta dei teatri di Eloro ed Era-clea Minoa, assai più ci rimane di quelli di Acre e di

3 Rilevate nella classica opera dei francesi Hulot e Fougères:Sélinonte e dall'architetto Hulot rappresentate in ideale ripristinoe, come tutti gli altri monumenti della morta e suggestiva città, il-lustrate dall'archeologo Fougères.

4 Compiutamente illustrato da Luigi Mauceri.

11

te; la causa più vera risiede nel fatto che, con l'assorbi-mento dei Siculi in quella civiltà greco-sicula che si suolchiamare siceliota, hanno agito sui colonizzatori influssiorientali naturalmente tendenti al grandioso. Colossaliveramente sono i maggiori templi di Selinunte e diAgrigento, i cui capitelli dorici arrivano a dimensioni –veramente enormi per blocchi unici – di circa quattrometri di lato all'abaco.

L'architettura siciliana del tempo greco è principal-mente rappresentata dai monumenti religiosi, ma nonesclusivamente da questi. L'architettura militare, la tea-trale e la funeraria han lasciato resti insigni. La prima,più che a Megara, a Tindari, e più ancora nelle fortifica-zioni rinnovate in Selinunte al tempo di Ermocrate3; matocca vertici – mai raggiunti altrove in tutto il mondogreco – a Siracusa, nelle fortificazioni apprestate daDionisio il Grande, che hanno nel castello Eurialo uncapolavoro insigne di bellezza architettonica e di sa-pienza militare4.

La seconda è rappresentata sicuramente da sei teatri,per quanto non esenti da restauri romani; altri, comequello di Taormina, sono stati quasi del tutto rifatti inepoca romana. Poco ci resta dei teatri di Eloro ed Era-clea Minoa, assai più ci rimane di quelli di Acre e di

3 Rilevate nella classica opera dei francesi Hulot e Fougères:Sélinonte e dall'architetto Hulot rappresentate in ideale ripristinoe, come tutti gli altri monumenti della morta e suggestiva città, il-lustrate dall'archeologo Fougères.

4 Compiutamente illustrato da Luigi Mauceri.

11

Tindari (III secolo); insigni sono quelli di Segesta e diSiracusa. Dal primo il Bulle ha intitolato la prima fasedell'evoluzione del teatro antico a proscenio (tipo occi-dentale), il secondo è vinto in bellezza solo dal teatro diDioniso in Atene. Entrambi questi teatri siciliani, comegli altri dell'isola, hanno le cavee verso panorami stu-pendi, entrambi han l'orchestra attraversata da canali perscolo di acque e scopi scenici. A Siracusa specialmenteè strabiliante la perfezione geometrica con cui sono di-rettamente intagliate nella roccia le superfici dei diecicunei e le curve dei vari settori, contrassegnati dai nomidi varie divinità e di familiari di Gerone II. Anche oggila potenza drammatica di Eschilo vi soggioga gli spetta-tori venuti d'ogni dove, come nel 476 a. C. aveva sog-giogato i Siracusani, assistenti alle Etnee e ai Persianipresente l'autore5.

Importanti sono anche alcune tombe monumentali:più che quelle ai Grotticelli di Siracusa, la grandissimacolonna su gradini e camera sepolcrale detta «La Pizzu-ta» a Noto (mentre sono ellenistiche le tombe dette diTerone e di Falaride ad Agrigento); ma di certo nél'architettura funeraria né quella militare possono darcile sensazioni grandiose che ci offrono alcuni templi ri-masti in piedi: in grandioso isolamento come ad Agri-

5 Una magistrale monografia ha pubblicato su Il teatro grecodi Siracusa, G. E. Rizzo, compiuto omaggio all'opera del siceliotaarchitetto Democopo, detto Myrilla, dell'illustre conterraneod'oggi. Per gli altri teatri si può consultare lo studio di P. E. Arias,Il teatro greco fuori d'Atene.

12

Tindari (III secolo); insigni sono quelli di Segesta e diSiracusa. Dal primo il Bulle ha intitolato la prima fasedell'evoluzione del teatro antico a proscenio (tipo occi-dentale), il secondo è vinto in bellezza solo dal teatro diDioniso in Atene. Entrambi questi teatri siciliani, comegli altri dell'isola, hanno le cavee verso panorami stu-pendi, entrambi han l'orchestra attraversata da canali perscolo di acque e scopi scenici. A Siracusa specialmenteè strabiliante la perfezione geometrica con cui sono di-rettamente intagliate nella roccia le superfici dei diecicunei e le curve dei vari settori, contrassegnati dai nomidi varie divinità e di familiari di Gerone II. Anche oggila potenza drammatica di Eschilo vi soggioga gli spetta-tori venuti d'ogni dove, come nel 476 a. C. aveva sog-giogato i Siracusani, assistenti alle Etnee e ai Persianipresente l'autore5.

Importanti sono anche alcune tombe monumentali:più che quelle ai Grotticelli di Siracusa, la grandissimacolonna su gradini e camera sepolcrale detta «La Pizzu-ta» a Noto (mentre sono ellenistiche le tombe dette diTerone e di Falaride ad Agrigento); ma di certo nél'architettura funeraria né quella militare possono darcile sensazioni grandiose che ci offrono alcuni templi ri-masti in piedi: in grandioso isolamento come ad Agri-

5 Una magistrale monografia ha pubblicato su Il teatro grecodi Siracusa, G. E. Rizzo, compiuto omaggio all'opera del siceliotaarchitetto Democopo, detto Myrilla, dell'illustre conterraneod'oggi. Per gli altri teatri si può consultare lo studio di P. E. Arias,Il teatro greco fuori d'Atene.

12

gento e a Segesta; o ancora utilizzati per chiese cristianecome l'Athenaion di Siracusa, ora cattedrale, e SantaMaria dei Greci di Agrigento; o altri templi parzialmen-te rialzati da recente. Né possono darci infine lo stuporegigantesco, insieme con lo sgomento della distruzioneper immani terremoti, che si riceve guardando cumuli digrandi blocchi, da cui emergono ancora rocchi di colon-ne o tronconi di mura, nell'acropoli selinuntiana o aImera per distruzione di uomini. La cautela dei giudizidei più autorevoli archeologi stranieri ha fatto sì che,pur avvertendo in tutto questo materiale architettoniconote originali nei particolari, non si rilevasse una co-stante caratteristica d'indirizzo che culmina nell'assolutaoriginalità e grandiosità di concezione dell'Olympieiondi Agrigento6.

È questo non solo il più colossale tempio del mondogreco, ma anche quello di forme più eccezionali sia inpianta divisa da muri in tre navate, che in elevato, con lesemicolonne addossate al muro, su zoccolatura, con dueingressi simmetrici verso gli angoli nel fronte orientale,anziché uno solo centrale, avendosi in asse un sostegno.Per esso architetti e archeologi discutono ancora sulla

6 Ci piace perciò ricordare la sentita rivendicazione di origi-nalità accennata in un lavoro che abbraccia molti altri campi oltrel'architettonico, né si limita ai tempi greci, scritto da un archeolo-go siciliano: il professor Biagio Pace. Un'affermazione dell'origi-nalità di tutta l'architettura siciliana ha tentato di recente la pro-fessoressa Maria Accascina di Palermo, ma non è che uno schizzocontenuto in qualche colonna del Giornale di Sicilia.

13

gento e a Segesta; o ancora utilizzati per chiese cristianecome l'Athenaion di Siracusa, ora cattedrale, e SantaMaria dei Greci di Agrigento; o altri templi parzialmen-te rialzati da recente. Né possono darci infine lo stuporegigantesco, insieme con lo sgomento della distruzioneper immani terremoti, che si riceve guardando cumuli digrandi blocchi, da cui emergono ancora rocchi di colon-ne o tronconi di mura, nell'acropoli selinuntiana o aImera per distruzione di uomini. La cautela dei giudizidei più autorevoli archeologi stranieri ha fatto sì che,pur avvertendo in tutto questo materiale architettoniconote originali nei particolari, non si rilevasse una co-stante caratteristica d'indirizzo che culmina nell'assolutaoriginalità e grandiosità di concezione dell'Olympieiondi Agrigento6.

È questo non solo il più colossale tempio del mondogreco, ma anche quello di forme più eccezionali sia inpianta divisa da muri in tre navate, che in elevato, con lesemicolonne addossate al muro, su zoccolatura, con dueingressi simmetrici verso gli angoli nel fronte orientale,anziché uno solo centrale, avendosi in asse un sostegno.Per esso architetti e archeologi discutono ancora sulla

6 Ci piace perciò ricordare la sentita rivendicazione di origi-nalità accennata in un lavoro che abbraccia molti altri campi oltrel'architettonico, né si limita ai tempi greci, scritto da un archeolo-go siciliano: il professor Biagio Pace. Un'affermazione dell'origi-nalità di tutta l'architettura siciliana ha tentato di recente la pro-fessoressa Maria Accascina di Palermo, ma non è che uno schizzocontenuto in qualche colonna del Giornale di Sicilia.

13

restituzione dell'alzato, non riuscendo a mettersid'accordo sul dove, sul come quei colossali telamoni, al-lineati in grandi blocchi giacenti sulla campagna intornoal monumento, dovessero ravvivare col loro sentitochiaroscuro virile i muri del tempio: se all'esterno, fra lecolossali semicolonne applicate al muro continuo, o seall'interno, preparazione prospettica al simulacro diZeus, nella misteriosa luce che doveva piovere dall'alto.E anche per questa luce, non si sa bene ancora se venis-se da una zona periferica, come anche è stato supposto.

Le più caratteristiche singolarità che differenzianol'architettura siciliana, specialmente sino al dorico anti-co, dalla corrispondente greca contemporanea si posso-no riassumere così:

A – In linea generale.

a) Predominio assai netto dello stile dorico, special-mente nei templi.

b) Dimensioni assai maggiori e spesso colossalinell'architettura religiosa (templi e altari – oltre all'aradelle ecatombi in Siracusa anche l'altro grandissimo al-tare di Selinunte).

c) Proporzioni più grevi, specialmente nel confrontocon lo slancio che assumono gli ordini in Grecia nel V enel IV secolo.

B – In pianta.

14

restituzione dell'alzato, non riuscendo a mettersid'accordo sul dove, sul come quei colossali telamoni, al-lineati in grandi blocchi giacenti sulla campagna intornoal monumento, dovessero ravvivare col loro sentitochiaroscuro virile i muri del tempio: se all'esterno, fra lecolossali semicolonne applicate al muro continuo, o seall'interno, preparazione prospettica al simulacro diZeus, nella misteriosa luce che doveva piovere dall'alto.E anche per questa luce, non si sa bene ancora se venis-se da una zona periferica, come anche è stato supposto.

Le più caratteristiche singolarità che differenzianol'architettura siciliana, specialmente sino al dorico anti-co, dalla corrispondente greca contemporanea si posso-no riassumere così:

A – In linea generale.

a) Predominio assai netto dello stile dorico, special-mente nei templi.

b) Dimensioni assai maggiori e spesso colossalinell'architettura religiosa (templi e altari – oltre all'aradelle ecatombi in Siracusa anche l'altro grandissimo al-tare di Selinunte).

c) Proporzioni più grevi, specialmente nel confrontocon lo slancio che assumono gli ordini in Grecia nel V enel IV secolo.

B – In pianta.

14

Sia nelle forme di tempio a mègaron, che in quelle aperiptero e nelle eccezionali a pseudo-periptero, i templisicelioti presentano frequenti anomalie, rispetto ai tipicanonici, nella parte postica, meno frequenti sul davanti,dove talora quattro colonne dividevano lo pteron da unpronao esastilo. Completamente anormale nella pianta èil tempio pseudo-periptero di Zeus acragantino.

C – In alzato.

Preferenza accordata al colore anziché alla sculturanella decorazione. Fra tanti templi esistenti in Siciliasolo l'Olympieion di Agrigento ci ha lasciato scarsissi-me tracce di sculture già credute frontonali; l'Orsi, neipiù recenti scavi da lui compiuti a Gela, ha ritenuto chedecorassero i frontoni alcuni frammenti di figure fittili,anch'esse però con tracce di pitture. E i grandi gorgoneiche, in placche fittili, ornavano qualche frontone, comehan dimostrato pel tempio C i più recenti scavi di Seli-nunte, erano anch'essi rivestiti di vivo colore. La vivaci-tà e l'animazione, oltre che con colori vividi, sono rag-giunte e col forte chiaroscuro di forme antropomorfiche(telamoni dell'Olympieion, tardi telamoni e cariatidi nelteatro di Siracusa), e con la sostituzione di un ritmo piùvivace al ritmo solenne della ripetizione a intervalli dielementi uguali; ritorno più vivace, ottenuto con la ripe-tizione alterna fra elementi maggiori ed elementi mino-ri: alternanza tra semicolonne e telamoni – alternanzafra mutoli maggiori sui triglifi e mutoli minori sulle me-

15

Sia nelle forme di tempio a mègaron, che in quelle aperiptero e nelle eccezionali a pseudo-periptero, i templisicelioti presentano frequenti anomalie, rispetto ai tipicanonici, nella parte postica, meno frequenti sul davanti,dove talora quattro colonne dividevano lo pteron da unpronao esastilo. Completamente anormale nella pianta èil tempio pseudo-periptero di Zeus acragantino.

C – In alzato.

Preferenza accordata al colore anziché alla sculturanella decorazione. Fra tanti templi esistenti in Siciliasolo l'Olympieion di Agrigento ci ha lasciato scarsissi-me tracce di sculture già credute frontonali; l'Orsi, neipiù recenti scavi da lui compiuti a Gela, ha ritenuto chedecorassero i frontoni alcuni frammenti di figure fittili,anch'esse però con tracce di pitture. E i grandi gorgoneiche, in placche fittili, ornavano qualche frontone, comehan dimostrato pel tempio C i più recenti scavi di Seli-nunte, erano anch'essi rivestiti di vivo colore. La vivaci-tà e l'animazione, oltre che con colori vividi, sono rag-giunte e col forte chiaroscuro di forme antropomorfiche(telamoni dell'Olympieion, tardi telamoni e cariatidi nelteatro di Siracusa), e con la sostituzione di un ritmo piùvivace al ritmo solenne della ripetizione a intervalli dielementi uguali; ritorno più vivace, ottenuto con la ripe-tizione alterna fra elementi maggiori ed elementi mino-ri: alternanza tra semicolonne e telamoni – alternanzafra mutoli maggiori sui triglifi e mutoli minori sulle me-

15

tope del tempo C di Selinunte. Queste alternanze sonosegni di un gusto estroso anziché di una tendenza allaperfetta armonia.

D – Nei particolari.

Una lunga serie di particolari anomali – che sarebbetroppo lungo qui riassumere – denota che spesso l'archi-tetto siceliota vuole dar carattere alla sua opera variandole forme canoniche in tanti minuti dettagli anziché al-lontanandosi da esse. Questa funzione variatrice del par-ticolare è di diversa natura dall'altra, che pure si ritrovain Sicilia, specie nell'architettura della casa, dovuta alcambiamento del gusto di tempo in tempo; cambiamen-to per cui, nella costruzione del gigantesco tempio G diSelinunte, durata quasi un secolo, si riscontrano tre variesagome di capitelli, oppure, nell'architettura minore, so-pra un profilo di carattere arcaico intagliato nel poros,un primo strato di stucco sostituisce sagome più erette, esuccessivamente, nell'età ellenistica, un secondo stratointroduce nella profilazione i caratteristici sottosquadri,gli allungamenti decadenti e i contrasti di chiaroscuro.Ma la nota di particolare più caratteristica di tutte indi-stintamente le costruzioni siceliote – caratteristica diuna importanza sempre più accentuata da ogni nuovoscavo – rimane il coronamento fittile decorato con poli-cromia a fuoco (sima-geison) spesso traforato, munito dibocche d'espluvio, e che formava una zona aerea di fe-

16

tope del tempo C di Selinunte. Queste alternanze sonosegni di un gusto estroso anziché di una tendenza allaperfetta armonia.

D – Nei particolari.

Una lunga serie di particolari anomali – che sarebbetroppo lungo qui riassumere – denota che spesso l'archi-tetto siceliota vuole dar carattere alla sua opera variandole forme canoniche in tanti minuti dettagli anziché al-lontanandosi da esse. Questa funzione variatrice del par-ticolare è di diversa natura dall'altra, che pure si ritrovain Sicilia, specie nell'architettura della casa, dovuta alcambiamento del gusto di tempo in tempo; cambiamen-to per cui, nella costruzione del gigantesco tempio G diSelinunte, durata quasi un secolo, si riscontrano tre variesagome di capitelli, oppure, nell'architettura minore, so-pra un profilo di carattere arcaico intagliato nel poros,un primo strato di stucco sostituisce sagome più erette, esuccessivamente, nell'età ellenistica, un secondo stratointroduce nella profilazione i caratteristici sottosquadri,gli allungamenti decadenti e i contrasti di chiaroscuro.Ma la nota di particolare più caratteristica di tutte indi-stintamente le costruzioni siceliote – caratteristica diuna importanza sempre più accentuata da ogni nuovoscavo – rimane il coronamento fittile decorato con poli-cromia a fuoco (sima-geison) spesso traforato, munito dibocche d'espluvio, e che formava una zona aerea di fe-

16

stosità indicibile col contrasto dei suoi vivaci colori con-tro l'azzurro intenso e luminoso del cielo siciliano.

Per la successione storica dei templi sicelioti basteràqui riferire la tabella redatta dal Pace7.

I. Tipo predorico del «mégaron»

Senza colonne e con cornice predorica, di stile egit-tizzante.

1) Mégaron primitivo del santuario di Demetra allaGaggera di Selinunte. Sostruzioni del mégaron ulteriore,verso il 628 a. C.

2) Grande mégaron della Gaggera fra il 609 e il 580a. C., sekos diviso in pronaos, cella e adyton senza stilo-bate.

3) Mégaron dell'acropoli di Selinunte a sud del tem-pio C fra il 580 e il 570 a. C., cella, adyton.

4) Tesoro dei Geloi in Olimpia.

II. Tipo dorico arcaico

7 La si riporta quasi integralmente dalla memoria dell'Accade-mia dei Lincei, serie 5, vol. XV (1917), f. VI «Arte ed artisti dellaSicilia antica» (p. 11-17), posteriore alle opere del Koldeway ePuchstein e dell'Hulot e Fougères, omettendo solo i riferimenti bi-bliografici e variando quelle pochissime parti in cui ricerche po-steriori richiedevano brevi aggiunte. Si aspetta, fra breve, unatrattazione compiuta dal benemerito archeologo siciliano, nel se-condo volume dell'opera Arte e civiltà della Sicilia antica, comin-ciata ad apparire nel 1935.

17

stosità indicibile col contrasto dei suoi vivaci colori con-tro l'azzurro intenso e luminoso del cielo siciliano.

Per la successione storica dei templi sicelioti basteràqui riferire la tabella redatta dal Pace7.

I. Tipo predorico del «mégaron»

Senza colonne e con cornice predorica, di stile egit-tizzante.

1) Mégaron primitivo del santuario di Demetra allaGaggera di Selinunte. Sostruzioni del mégaron ulteriore,verso il 628 a. C.

2) Grande mégaron della Gaggera fra il 609 e il 580a. C., sekos diviso in pronaos, cella e adyton senza stilo-bate.

3) Mégaron dell'acropoli di Selinunte a sud del tem-pio C fra il 580 e il 570 a. C., cella, adyton.

4) Tesoro dei Geloi in Olimpia.

II. Tipo dorico arcaico

7 La si riporta quasi integralmente dalla memoria dell'Accade-mia dei Lincei, serie 5, vol. XV (1917), f. VI «Arte ed artisti dellaSicilia antica» (p. 11-17), posteriore alle opere del Koldeway ePuchstein e dell'Hulot e Fougères, omettendo solo i riferimenti bi-bliografici e variando quelle pochissime parti in cui ricerche po-steriori richiedevano brevi aggiunte. Si aspetta, fra breve, unatrattazione compiuta dal benemerito archeologo siciliano, nel se-condo volume dell'opera Arte e civiltà della Sicilia antica, comin-ciata ad apparire nel 1935.

17

1) Tempio preesistente al tempio C di Selinunte (dopoil 628 a. C.).

2) Apollonion di Ortigia in Siracusa, periptero, colon-ne 6 × 17, di diametri 4, 2/4, con portico, vestibolo, cel-la a pianta incerta. L'epigrafe arcaica scolpita nei gradinia oriente contiene una dedica di Klemenes ad Apollo.

3) Tempio C in Selinunte (il più elevato sull'acropoli,580-570 a. C.), periptero, colonne 6 × 18 di diametri 4,2/5, grande pteron diviso da quattro colonne in avam-portico e vestibolo: pronao, cui dà accesso una porta;cella, adyton senza opistodomos. Frontone più corto del-la cornice inferiore adorno di gorgoneion fittile con gei-son rivestito di terracotta dipinta sostenente una simabucherata per lo scolo dell'acqua piovana. I triglifi fini-scono superiormente ad angolo acuto, il che si riscontrain qualche frammento scoperto da poco nel tempio ar-caico di Corfù e in altro del temenos di Athena in Sira-cusa.

4) Olimpieo di Siracusa (contemporaneo all'Apollo-nion), periptero, colonne 6 × 17, di circa quattro diame-tri, avamportico e vestibolo divisi da quattro colonne,pronao in antis, altri elementi di pianta non più ricono-scibili. Avanzi di terracotte architettoniche.

5) Tempio D in Selinunte (metà del VI secolo a. C.),periptero, colonne 6 × 13 di 4,½ diametri con enthasis,antiportico, portico in antis, cella, adyton. Rappresentarispetto al tempio C un progresso tecnico, con tendenzepiù moderne.

18

1) Tempio preesistente al tempio C di Selinunte (dopoil 628 a. C.).

2) Apollonion di Ortigia in Siracusa, periptero, colon-ne 6 × 17, di diametri 4, 2/4, con portico, vestibolo, cel-la a pianta incerta. L'epigrafe arcaica scolpita nei gradinia oriente contiene una dedica di Klemenes ad Apollo.

3) Tempio C in Selinunte (il più elevato sull'acropoli,580-570 a. C.), periptero, colonne 6 × 18 di diametri 4,2/5, grande pteron diviso da quattro colonne in avam-portico e vestibolo: pronao, cui dà accesso una porta;cella, adyton senza opistodomos. Frontone più corto del-la cornice inferiore adorno di gorgoneion fittile con gei-son rivestito di terracotta dipinta sostenente una simabucherata per lo scolo dell'acqua piovana. I triglifi fini-scono superiormente ad angolo acuto, il che si riscontrain qualche frammento scoperto da poco nel tempio ar-caico di Corfù e in altro del temenos di Athena in Sira-cusa.

4) Olimpieo di Siracusa (contemporaneo all'Apollo-nion), periptero, colonne 6 × 17, di circa quattro diame-tri, avamportico e vestibolo divisi da quattro colonne,pronao in antis, altri elementi di pianta non più ricono-scibili. Avanzi di terracotte architettoniche.

5) Tempio D in Selinunte (metà del VI secolo a. C.),periptero, colonne 6 × 13 di 4,½ diametri con enthasis,antiportico, portico in antis, cella, adyton. Rappresentarispetto al tempio C un progresso tecnico, con tendenzepiù moderne.

18

6) Tempio F di Selinunte (metà del VI secolo a. C.),periptero, colonne 6 × 14 di 5 diametri senza enthasis.Pianta simile a quella del tempio C, intercolunni chiusida parapetto.

7) Tempietto del piccolo recinto presso il themenosdella Gaggera a Selinunte (prima metà del VI secolo a.C.), semplice cappella prostila, stile analogo al tempioD.

III. Tipo di transizione

Tempio G della collina orientale di Selinunte (iniziatofra il 550-540, finito fra il 480-470 a. C.), pseudo-dipte-ro, colonne 8 × 17, di vario diametro, pronao prostilo,cella ipetrale a tre navi con ingressi separati, adyton informa di nicchia quadrata, opistodomo in antis. Durantela costruzione furon variate più volte la forma e le di-mensioni delle colonne e dei capitelli, e il tempio pre-senta, come ha scritto il Fougères, due forme: arcaica aoriente, classica a occidente.

È uno dei tempi più colossali di tutto il mondo antico(m 110,36 × 50,10); secondo i calcoli dell'Hittorf (Mo-num. de Segesta et de Selinonte, p. 66) questo colossosarebbe costato sei milioni di lire.

IV. Tipo dorico antico

1) Tempio di Eracle ad Agrigento: periptero, colonne6 × 15, alte più di 4, 4/5 diametri, cella con piccolo ady-

19

6) Tempio F di Selinunte (metà del VI secolo a. C.),periptero, colonne 6 × 14 di 5 diametri senza enthasis.Pianta simile a quella del tempio C, intercolunni chiusida parapetto.

7) Tempietto del piccolo recinto presso il themenosdella Gaggera a Selinunte (prima metà del VI secolo a.C.), semplice cappella prostila, stile analogo al tempioD.

III. Tipo di transizione

Tempio G della collina orientale di Selinunte (iniziatofra il 550-540, finito fra il 480-470 a. C.), pseudo-dipte-ro, colonne 8 × 17, di vario diametro, pronao prostilo,cella ipetrale a tre navi con ingressi separati, adyton informa di nicchia quadrata, opistodomo in antis. Durantela costruzione furon variate più volte la forma e le di-mensioni delle colonne e dei capitelli, e il tempio pre-senta, come ha scritto il Fougères, due forme: arcaica aoriente, classica a occidente.

È uno dei tempi più colossali di tutto il mondo antico(m 110,36 × 50,10); secondo i calcoli dell'Hittorf (Mo-num. de Segesta et de Selinonte, p. 66) questo colossosarebbe costato sei milioni di lire.

IV. Tipo dorico antico

1) Tempio di Eracle ad Agrigento: periptero, colonne6 × 15, alte più di 4, 4/5 diametri, cella con piccolo ady-

19

ton, pronao e opistomodo in antis, tipo normale del tem-pio dorico arcaico.

2) Tempio A dell'acropoli di Selinunte (490-480 a.C.), periptero, colonne 6 × 14, di diametri 4, 2/3, pronaoe opistodomo in antis, cella, adyton, scaletta nel murofra pronao e cella. Per finezza di esecuzione e per ele-ganza di forme preludia alla più bella epoca.

3) Tempio O dell'acropoli di Selinunte (490-480 a.C.), per dimensioni e stile identico al suo vicino A. è so-stenuto da alto stilobate.

4) Tempio E (Heraion) della collina orientale di Seli-nunte (490-480 a. C.), periptero, colonne 6 × 15, moltecon capitelli a sagoma tesa e alta, pronao e opistodomoin antis, cella e adyton. Costruzione slanciata, che pos-siede tutta la nobilissima eleganza dello stile dorico delsecolo V a. C.

5) Tempio d'Imera a Buonfornello (intorno al 480 a.C.), periptero di 6 × 14, colonne con pronao e opistodo-mo in antis.

6) Santa Maria dei Greci = Tempio di Athena in Agri-gento, del regno di Gerone (498-472 a. C.), periptero; èconosciuto solo un pezzo dello stilobate con sei colon-ne.

7) Olimpieo di Agrigento, pseudo-periptero con 7 ×14 grandiose semicolonne a muro con corrispondenti ri-salti interni a pilastri, due file di dodici pilastri risaltatida due muri longitudinali, determinanti tre navate. Aiquattro angoli, per effetto delle risvolte, le colonneesternamente emergono dal muro per ¾ e invece i risalti

20

ton, pronao e opistomodo in antis, tipo normale del tem-pio dorico arcaico.

2) Tempio A dell'acropoli di Selinunte (490-480 a.C.), periptero, colonne 6 × 14, di diametri 4, 2/3, pronaoe opistodomo in antis, cella, adyton, scaletta nel murofra pronao e cella. Per finezza di esecuzione e per ele-ganza di forme preludia alla più bella epoca.

3) Tempio O dell'acropoli di Selinunte (490-480 a.C.), per dimensioni e stile identico al suo vicino A. è so-stenuto da alto stilobate.

4) Tempio E (Heraion) della collina orientale di Seli-nunte (490-480 a. C.), periptero, colonne 6 × 15, moltecon capitelli a sagoma tesa e alta, pronao e opistodomoin antis, cella e adyton. Costruzione slanciata, che pos-siede tutta la nobilissima eleganza dello stile dorico delsecolo V a. C.

5) Tempio d'Imera a Buonfornello (intorno al 480 a.C.), periptero di 6 × 14, colonne con pronao e opistodo-mo in antis.

6) Santa Maria dei Greci = Tempio di Athena in Agri-gento, del regno di Gerone (498-472 a. C.), periptero; èconosciuto solo un pezzo dello stilobate con sei colon-ne.

7) Olimpieo di Agrigento, pseudo-periptero con 7 ×14 grandiose semicolonne a muro con corrispondenti ri-salti interni a pilastri, due file di dodici pilastri risaltatida due muri longitudinali, determinanti tre navate. Aiquattro angoli, per effetto delle risvolte, le colonneesternamente emergono dal muro per ¾ e invece i risalti

20

interni a pilastri si atrofizzano. La pianta della cella è al-quanto incerta, ma le tracce di un muro trasversale aipenultimi pilastri interni inducono a ritenerla limitataalle due ultime campate della nave centrale, con ogniprobabilità ipetra8.

8) Tempio di Gela. Non abbiamo elementi sicuri sullapianta, l'unico avanzo di colonna superstite permette diattribuirlo allo stile dorico sviluppato.

9) Tempio di Demetra e Kore (San Biagio) ad Agri-gento, in antis.

10) Tempio detto di Giunone Lacinia ad Agrigento;periptero 6 × 13 colonne, con pronao e opistodomo inantis.

V. Tipo dorico recente

1) Tempio di Segesta, periptero di 6 × 14 colonne,non ancora scanalate; dei quattro gradini di stilobate ècompiuta una parte del superiore, l'interno non fu nep-pure iniziato.

8 Abbiamo dovuto variare qui il testo apparso nel 1917, pertener conto delle posteriori indagini riassunte dallo stesso autore,il professor B. Pace, nella memoria «Il tempio di Giove Olimpicoin Agrigento» in Monumenti antichi, vol. XXVIII, 1922. Da cote-ste ricerche ha avuto origine una nuova ricostruzione graficadell'architetto S. Rowland Pierce, guidato dal Pace (vedi articoloin Architettura ed arti decorative, maggio 1924), che s'allontanada quella del Koldeway e Puchstein del 1899.

21

interni a pilastri si atrofizzano. La pianta della cella è al-quanto incerta, ma le tracce di un muro trasversale aipenultimi pilastri interni inducono a ritenerla limitataalle due ultime campate della nave centrale, con ogniprobabilità ipetra8.

8) Tempio di Gela. Non abbiamo elementi sicuri sullapianta, l'unico avanzo di colonna superstite permette diattribuirlo allo stile dorico sviluppato.

9) Tempio di Demetra e Kore (San Biagio) ad Agri-gento, in antis.

10) Tempio detto di Giunone Lacinia ad Agrigento;periptero 6 × 13 colonne, con pronao e opistodomo inantis.

V. Tipo dorico recente

1) Tempio di Segesta, periptero di 6 × 14 colonne,non ancora scanalate; dei quattro gradini di stilobate ècompiuta una parte del superiore, l'interno non fu nep-pure iniziato.

8 Abbiamo dovuto variare qui il testo apparso nel 1917, pertener conto delle posteriori indagini riassunte dallo stesso autore,il professor B. Pace, nella memoria «Il tempio di Giove Olimpicoin Agrigento» in Monumenti antichi, vol. XXVIII, 1922. Da cote-ste ricerche ha avuto origine una nuova ricostruzione graficadell'architetto S. Rowland Pierce, guidato dal Pace (vedi articoloin Architettura ed arti decorative, maggio 1924), che s'allontanada quella del Koldeway e Puchstein del 1899.

21

2) Tempio detto della Concordia ad Agrigento, perip-tero di 6 × 13 colonne; pronao e opistodomo in antis, frapronao e cella scalette.

3) Tempio di Athena in Siracusa (ora cattedrale, inOrtigia), periptero di 6 × 14 colonne, con pronao e opi-stodomo in antis. Imponenti opere di sostruzione. Puòassumersi come esempio di dorismo perfetto. In confor-mità ai più celebri santuari greci, sorgeva in mezzo a untemenos ricco, fin dall'epoca arcaica, di piccoli edifici,di altari, di ex-voto.

4) Tempio detto dei Dioscuri ad Agrigento (338 a.C.), periptero, pronao e opistodomo in antis.

5) Tempio detto di Vulcano ad Agrigento (338 a. C.),pianta incerta. In linea di massima può ritenersi che va-dano compresi in questa classe alcuni altri templi mino-ri. Di essi ci son pervenuti insufficienti elementi archi-tettonici per includerli nella classifica. Tali i tempi diCamarina, Alunzio; più antico, e di molto, è il tempio diGela, recentemente scoperto presso quello del V secolo.(Per altre notizie scritte o frammenti monumentali perti-nenti ad altri templi sconosciuti cfr. Koldeway e Puch-stein, p. 75-76, Ciaceri, Culti e Miti, pass.)

VI. Templi ellenistici

1) Il tempio B di Selinunte (278 a. C.), prostilo dori-co; l'Hittorf dimostrò la policromia architettonica grecafondandosi su questo tempio.

22

2) Tempio detto della Concordia ad Agrigento, perip-tero di 6 × 13 colonne; pronao e opistodomo in antis, frapronao e cella scalette.

3) Tempio di Athena in Siracusa (ora cattedrale, inOrtigia), periptero di 6 × 14 colonne, con pronao e opi-stodomo in antis. Imponenti opere di sostruzione. Puòassumersi come esempio di dorismo perfetto. In confor-mità ai più celebri santuari greci, sorgeva in mezzo a untemenos ricco, fin dall'epoca arcaica, di piccoli edifici,di altari, di ex-voto.

4) Tempio detto dei Dioscuri ad Agrigento (338 a.C.), periptero, pronao e opistodomo in antis.

5) Tempio detto di Vulcano ad Agrigento (338 a. C.),pianta incerta. In linea di massima può ritenersi che va-dano compresi in questa classe alcuni altri templi mino-ri. Di essi ci son pervenuti insufficienti elementi archi-tettonici per includerli nella classifica. Tali i tempi diCamarina, Alunzio; più antico, e di molto, è il tempio diGela, recentemente scoperto presso quello del V secolo.(Per altre notizie scritte o frammenti monumentali perti-nenti ad altri templi sconosciuti cfr. Koldeway e Puch-stein, p. 75-76, Ciaceri, Culti e Miti, pass.)

VI. Templi ellenistici

1) Il tempio B di Selinunte (278 a. C.), prostilo dori-co; l'Hittorf dimostrò la policromia architettonica grecafondandosi su questo tempio.

22

2) Asclepieo di Agrigento (210 a. C.), pianta del tuttoincerta, probabilmente in antis con pilastri posterior-mente.

3) Oratorio di Falaride ad Agrigento, ionico-dorico.4) Serapeo di Taormina (San Pancrazio).

Il periodo romano

In confronto all'architettura siceliota, che ha raggiun-to il massimo splendore nel periodo greco, allorché lapentapoli siracusana rappresentava la più popolosa efiorente metropoli del mondo antico, l'architettura roma-na rimasta in Sicilia è assai più pallida: non arriva a op-porsi con affermazioni vigorose né per quantità né perqualità. Tranne che nella costruzione di terme, di basili-che, di ginnasi e di anfiteatri (per esempio, a Catania, aSiracusa), monumenti assolutamente caratteristici, intutto il resto i dominatori romani si sono avvalsi degliancora validi monumenti del periodo precedente rima-neggiandoli; e nella costruzione dei nuovi non pare chesi siano così altamente contrapposti da raggiungere losplendore di quelli.

23

2) Asclepieo di Agrigento (210 a. C.), pianta del tuttoincerta, probabilmente in antis con pilastri posterior-mente.

3) Oratorio di Falaride ad Agrigento, ionico-dorico.4) Serapeo di Taormina (San Pancrazio).

Il periodo romano

In confronto all'architettura siceliota, che ha raggiun-to il massimo splendore nel periodo greco, allorché lapentapoli siracusana rappresentava la più popolosa efiorente metropoli del mondo antico, l'architettura roma-na rimasta in Sicilia è assai più pallida: non arriva a op-porsi con affermazioni vigorose né per quantità né perqualità. Tranne che nella costruzione di terme, di basili-che, di ginnasi e di anfiteatri (per esempio, a Catania, aSiracusa), monumenti assolutamente caratteristici, intutto il resto i dominatori romani si sono avvalsi degliancora validi monumenti del periodo precedente rima-neggiandoli; e nella costruzione dei nuovi non pare chesi siano così altamente contrapposti da raggiungere losplendore di quelli.

23

Ma in confronto a ciò ch'è rimasto, quanto è scompar-so! Bisogna riflettere che il romano uso prevalente dellemurature a concrezione, rivestite da sontuose crostemarmoree e delle colonne monolitiche di marmo ha in-dotto i costruttori posteriori, specie dell'epoca norman-na, al saccheggio dei grandi templi e dei sontuosi edificiromani. Le colonne, per esempio, con i magnifici capi-telli del Duomo di Monreale sono di un tempio romano,dai simboli di Cerere; e così è quasi di tutte le basilichesiculo-normanne a colonne, ricche di pavimenti dai mar-mi rari, di arche di porfido, di lastre di serpentino, ric-chezze di spoglio, rilavorate.

Le rinnovate città che prevalgono in questo periodo onon hanno raggiunto lo sviluppo delle antiche o sonostate funestate da disastri, com'è il caso di Catania; ac-canto a questa, Tauromenium ci dà qualche saggio im-portante; poco aggiungono i monumenti di Tindari,Thermae Himerenses, Solunto, Panormo, Lilibeo ecc.Ma chi legge le fonti antiche, specie le Verrine di Cice-rone, o libri recenti, come Catania antica dell'Holm(tradotto dal Libertini e illustrata dai disegni di Sebastia-no Ittar, della fine del Settecento) formula tutt'altro giu-dizio sulla Sicilia romana.

Forse nasce in Sicilia quello speciale ordine corinzioche un illustre architetto siciliano – G. B. Filippo Basile– non solo illustrò e denominò «corinzio-italico», mafece anche rivivere splendidamente nel suo teatro Mas-simo di Palermo. Certo lo ritroviamo anche in altre partid'Italia (Palestrina, Fiesole ecc.), ma in Sicilia i resti ac-

24

Ma in confronto a ciò ch'è rimasto, quanto è scompar-so! Bisogna riflettere che il romano uso prevalente dellemurature a concrezione, rivestite da sontuose crostemarmoree e delle colonne monolitiche di marmo ha in-dotto i costruttori posteriori, specie dell'epoca norman-na, al saccheggio dei grandi templi e dei sontuosi edificiromani. Le colonne, per esempio, con i magnifici capi-telli del Duomo di Monreale sono di un tempio romano,dai simboli di Cerere; e così è quasi di tutte le basilichesiculo-normanne a colonne, ricche di pavimenti dai mar-mi rari, di arche di porfido, di lastre di serpentino, ric-chezze di spoglio, rilavorate.

Le rinnovate città che prevalgono in questo periodo onon hanno raggiunto lo sviluppo delle antiche o sonostate funestate da disastri, com'è il caso di Catania; ac-canto a questa, Tauromenium ci dà qualche saggio im-portante; poco aggiungono i monumenti di Tindari,Thermae Himerenses, Solunto, Panormo, Lilibeo ecc.Ma chi legge le fonti antiche, specie le Verrine di Cice-rone, o libri recenti, come Catania antica dell'Holm(tradotto dal Libertini e illustrata dai disegni di Sebastia-no Ittar, della fine del Settecento) formula tutt'altro giu-dizio sulla Sicilia romana.

Forse nasce in Sicilia quello speciale ordine corinzioche un illustre architetto siciliano – G. B. Filippo Basile– non solo illustrò e denominò «corinzio-italico», mafece anche rivivere splendidamente nel suo teatro Mas-simo di Palermo. Certo lo ritroviamo anche in altre partid'Italia (Palestrina, Fiesole ecc.), ma in Sicilia i resti ac-

24

centuano quel carattere inconfondibile di finezza ed ele-ganza greche che dimostra l'influenza ancora preponde-rante del gusto siceliota. Ed è analogamente da fare rile-vare, anche come segno già di gusto eclettico, l'uso diun caratteristico ordine ionico – il cui capitello s'incon-tra già in tempo ellenistico, nella così detta tomba di Te-rone ad Agrigento, sottoposto a una trabeazione dorica –e che assume poi le sue forme più caratteristiche per loscavo delle volute angolari a forma di corna d'ariete, eper le palmette, riemergenti dai due lati di ogni voluta,talora accompagnate da foglie di acanto. Si ha un effettodi chiaroscuro assolutamente caratteristico e questi ele-menti sono richiamati in alto da analoghe forme degliacroteri sui frontoni. Anche il chiaroscuro si fa più sen-suale, con profilazioni e intagli d'ornato che mai peròcadono nel molle o nel volgare.

L'anfiteatro di Catania e il teatro romano (dal pubbli-co impropriamente chiamato greco) di Tauromenium cirivelano inoltre la tendenza ad anticipare particolari co-struttivi e decorativi che si ritenevano propri dei periodidi passaggio all'arte bizantina9.

9 Risalto detto sopracciliare ravennate nelle diverse ghiere diun arco; risalto di un mattone a contorno dell'ultima ghiera; inter-posizione del mattone fra i conci di lava ecc.: ma potrebbero esse-re spunti di caratteristiche siciliane nell'evoluzione dell'architettu-ra romana solo se non saran dimostrate quali modifiche posteriorial IV secolo d. C. oltre il già citato studio del Pace, per l'architet-tura romana di Sicilia sono utili varie pubblicazioni del professorG. Libertini su Centuripe, Lipari, sul teatro di Taormina e su la

25

centuano quel carattere inconfondibile di finezza ed ele-ganza greche che dimostra l'influenza ancora preponde-rante del gusto siceliota. Ed è analogamente da fare rile-vare, anche come segno già di gusto eclettico, l'uso diun caratteristico ordine ionico – il cui capitello s'incon-tra già in tempo ellenistico, nella così detta tomba di Te-rone ad Agrigento, sottoposto a una trabeazione dorica –e che assume poi le sue forme più caratteristiche per loscavo delle volute angolari a forma di corna d'ariete, eper le palmette, riemergenti dai due lati di ogni voluta,talora accompagnate da foglie di acanto. Si ha un effettodi chiaroscuro assolutamente caratteristico e questi ele-menti sono richiamati in alto da analoghe forme degliacroteri sui frontoni. Anche il chiaroscuro si fa più sen-suale, con profilazioni e intagli d'ornato che mai peròcadono nel molle o nel volgare.

L'anfiteatro di Catania e il teatro romano (dal pubbli-co impropriamente chiamato greco) di Tauromenium cirivelano inoltre la tendenza ad anticipare particolari co-struttivi e decorativi che si ritenevano propri dei periodidi passaggio all'arte bizantina9.

9 Risalto detto sopracciliare ravennate nelle diverse ghiere diun arco; risalto di un mattone a contorno dell'ultima ghiera; inter-posizione del mattone fra i conci di lava ecc.: ma potrebbero esse-re spunti di caratteristiche siciliane nell'evoluzione dell'architettu-ra romana solo se non saran dimostrate quali modifiche posteriorial IV secolo d. C. oltre il già citato studio del Pace, per l'architet-tura romana di Sicilia sono utili varie pubblicazioni del professorG. Libertini su Centuripe, Lipari, sul teatro di Taormina e su la

25

Il periodo paleocristiano

Dopo Roma, le maggiori catacombe si trovano in Si-cilia, in quelle città in cui il sottosuolo di tufo, teneroma compatto, permetteva un agevole e largo sviluppo digallerie sotterranee: come intorno Palermo e nella zonasud-orientale dell'isola. Il numero totale delle catacombesiciliane è sorprendente.

Le più importanti sono quelle di San Giovanni, VillaCassia, Santa Lucia (illustrate dal Führer e dall'Orsi) inSiracusa, il cui compatto e roccioso sottosuolo già nelperiodo greco era stato grandiosamente scavato, dandoalle pareti quella caratteristica forma di enorme echinoche si riscontra nelle pareti delle latomie e d'ambo i latidel così detto «orecchio di Dionisio». Ora invece le gal-lerie han la sagoma di un arco depresso. Il valore di que-ste catacombe è assai più archeologico o relativo alle al-tre arti, anziché architettonico; ciononostante una men-zione possono meritare le «rotonde» delle gallerie mag-giori siracusane; in altri casi, in forme più modeste, si ri-petono alcune soluzioni architettoniche delle catacomberomane. È stato diffuso il giudizio dato dal nestoredell'archeologia cristiana, il grande G. B. De Rossi, cheha attribuito all'architettura cimiteriale di Siracusa un

Sicilia Romana e le più recenti indagini archeologiche. Anchel'Orsi ha fatto una comunicazione sullo stesso argomento.

26

Il periodo paleocristiano

Dopo Roma, le maggiori catacombe si trovano in Si-cilia, in quelle città in cui il sottosuolo di tufo, teneroma compatto, permetteva un agevole e largo sviluppo digallerie sotterranee: come intorno Palermo e nella zonasud-orientale dell'isola. Il numero totale delle catacombesiciliane è sorprendente.

Le più importanti sono quelle di San Giovanni, VillaCassia, Santa Lucia (illustrate dal Führer e dall'Orsi) inSiracusa, il cui compatto e roccioso sottosuolo già nelperiodo greco era stato grandiosamente scavato, dandoalle pareti quella caratteristica forma di enorme echinoche si riscontra nelle pareti delle latomie e d'ambo i latidel così detto «orecchio di Dionisio». Ora invece le gal-lerie han la sagoma di un arco depresso. Il valore di que-ste catacombe è assai più archeologico o relativo alle al-tre arti, anziché architettonico; ciononostante una men-zione possono meritare le «rotonde» delle gallerie mag-giori siracusane; in altri casi, in forme più modeste, si ri-petono alcune soluzioni architettoniche delle catacomberomane. È stato diffuso il giudizio dato dal nestoredell'archeologia cristiana, il grande G. B. De Rossi, cheha attribuito all'architettura cimiteriale di Siracusa un

Sicilia Romana e le più recenti indagini archeologiche. Anchel'Orsi ha fatto una comunicazione sullo stesso argomento.

26

valore non minore di quella di Roma10. Varie catacombedella zona dei Cappuccini della stessa città testimonianol'esistenza di sette eterodosse o addirittura giudaiche cheavrebbero portato assai presto influssi orientali nel pe-riodo di anarchia religiosa delle invasioni dei Vandali,cioè durante e dopo la penetrazione ariana (V-VII secolod. C.).

Soltanto descrizioni e schematici ricordi grafici plani-metrici ci danno una qualche idea dell'antichissima basi-lica della Pinta nel più antico nucleo di Panormo, cioèl'attuale piazza Vittoria davanti al Palazzo reale (la pa-leopoli); dove ancora sono interessanti i resti di case ro-mane e donde pure proviene quel pavimento a mosaicopaleo-cristiano col mito di Orfeo, ora al Museo. Le cata-combe a Porta d'Ossuna di questa città furono illustrate,ma non esistono rilievi delle chiesette sotterranee trova-te fuori le antiche mura verso l'Oreto, del tipo di cellaetrichorae, tipo forse riconoscibile anche in qualche co-struzione ora interrata a Lipara e a Mylae11.

10 Per la continuità di questi ambienti a rotonde sotterranee, siricordano le antiche tombe sicule a tholos e le grandi camere del-lo scirocco delle ville suburbane, dal Cinquecento al Settecento,intorno a Palermo.

11 Delle antichissime chiesette scavate nella roccia, comequelle di San Marco e a Cittadella, presso Noto, di San Micidiarioe di San Nicolicchio del villaggio trogloditico bizantino di Panta-lica o, infine, come quella a tre navi irregolari presso Rosolinihan dato notizia l'Orsi e il Freshfield.

27

valore non minore di quella di Roma10. Varie catacombedella zona dei Cappuccini della stessa città testimonianol'esistenza di sette eterodosse o addirittura giudaiche cheavrebbero portato assai presto influssi orientali nel pe-riodo di anarchia religiosa delle invasioni dei Vandali,cioè durante e dopo la penetrazione ariana (V-VII secolod. C.).

Soltanto descrizioni e schematici ricordi grafici plani-metrici ci danno una qualche idea dell'antichissima basi-lica della Pinta nel più antico nucleo di Panormo, cioèl'attuale piazza Vittoria davanti al Palazzo reale (la pa-leopoli); dove ancora sono interessanti i resti di case ro-mane e donde pure proviene quel pavimento a mosaicopaleo-cristiano col mito di Orfeo, ora al Museo. Le cata-combe a Porta d'Ossuna di questa città furono illustrate,ma non esistono rilievi delle chiesette sotterranee trova-te fuori le antiche mura verso l'Oreto, del tipo di cellaetrichorae, tipo forse riconoscibile anche in qualche co-struzione ora interrata a Lipara e a Mylae11.

10 Per la continuità di questi ambienti a rotonde sotterranee, siricordano le antiche tombe sicule a tholos e le grandi camere del-lo scirocco delle ville suburbane, dal Cinquecento al Settecento,intorno a Palermo.

11 Delle antichissime chiesette scavate nella roccia, comequelle di San Marco e a Cittadella, presso Noto, di San Micidiarioe di San Nicolicchio del villaggio trogloditico bizantino di Panta-lica o, infine, come quella a tre navi irregolari presso Rosolinihan dato notizia l'Orsi e il Freshfield.

27

Il periodo bizantino

Quasi nulla di barbarico è rimasto sia in architettura,sia nell'arredo architettonico; forse appena qualche so-pravvivenza nell'ornato bizantino successivo. Viceversa,quel poco che ci rimane dell'architettura che può chia-marsi in senso lato bizantina in Sicilia, tranne che a Si-racusa, dimostra in generale l'attaccamento delle mae-stranze locali all'architettura tardo-romana; questa anco-ra, sebbene imbarbarita o rozza, pare resistere alle incal-zanti pressioni, greche, orientali (specialmente siriache),africane, delle quali ha già evidenti segni. D'altra parte èstato osservato già dal Bettini e dal Cecchelli che, tranneforse pel San Marco di Venezia, è sempre impropriousare il termine «bizantino» per l'architettura cristianaorientalizzante di tutta Italia dal VI secolo in poi.

Nel contrasto fra oriente e Roma in Sicilia, l'architet-tura siciliana, superstite alle invasioni arabe, pare dimo-stri ancora questa consapevolezza della Sicilia, special-mente della Sicilia settentrionale, d'essere provincia ro-mana dell'impero d'Occidente. Tanto i monumenti a ba-silica paleocristiana (a San Miceli presso Salemi12, a SanFocà di Priolo) quanto quelli a croce con cupoletta cen-trale, illustrati dall'Orsi per la provincia di Siracusa (Ba-

12 La basilica di Salemi è stata illustrata dal Pace in ciò cheavanza: pianta e mosaico pavimentale.

28

Il periodo bizantino

Quasi nulla di barbarico è rimasto sia in architettura,sia nell'arredo architettonico; forse appena qualche so-pravvivenza nell'ornato bizantino successivo. Viceversa,quel poco che ci rimane dell'architettura che può chia-marsi in senso lato bizantina in Sicilia, tranne che a Si-racusa, dimostra in generale l'attaccamento delle mae-stranze locali all'architettura tardo-romana; questa anco-ra, sebbene imbarbarita o rozza, pare resistere alle incal-zanti pressioni, greche, orientali (specialmente siriache),africane, delle quali ha già evidenti segni. D'altra parte èstato osservato già dal Bettini e dal Cecchelli che, tranneforse pel San Marco di Venezia, è sempre impropriousare il termine «bizantino» per l'architettura cristianaorientalizzante di tutta Italia dal VI secolo in poi.

Nel contrasto fra oriente e Roma in Sicilia, l'architet-tura siciliana, superstite alle invasioni arabe, pare dimo-stri ancora questa consapevolezza della Sicilia, special-mente della Sicilia settentrionale, d'essere provincia ro-mana dell'impero d'Occidente. Tanto i monumenti a ba-silica paleocristiana (a San Miceli presso Salemi12, a SanFocà di Priolo) quanto quelli a croce con cupoletta cen-trale, illustrati dall'Orsi per la provincia di Siracusa (Ba-

12 La basilica di Salemi è stata illustrata dal Pace in ciò cheavanza: pianta e mosaico pavimentale.

28

gno di Mare e Vigna di Mare a Santa Croce di Cameri-na)13, o quelli illustrati dal Libertini e più dal Freschfieldper la provincia di Catania (Nunziatella di Monte Pofuori di Catania, San Domenico a Castiglione), quantoancora le cappelle o chiesette a trifoglio (cellae tricho-rae) raccolte dallo stesso Freshfield da notizie dell'Orsi(cittadella presso Noto, Malvagna, Santa Teresa ecc.),quanto infine il fondamentale monumento, internamentediviso a croce inscritta entro un quadrato, manifestatoall'esterno da un tozzo volume parallelepipedo, da cuiemerge all'esterno una calotta di cupola (emisferica sucilindro verticale all'interno) su tamburo a gradoni diraccordo, del tipo Pantheon romano ma ottagoni, cioè ilSan Salvatore di Rometta in provincia di Messina, illu-strato da C. Autore e da S. Bottari; e qualche altro, an-cora non illustrato, ma più raro delle province occiden-tali. Essi dimostrano che l'architettura di questo periodo,più che una nuova arte era l'estrema evoluzione dell'arteromana di decadenza14, fecondata da novità orientali. Néi pochissimi resti di mura di fortificazioni del tempo bi-zantino, trovati negli scavi per le fondazioni della risortaMessina, o a Minéo, inducono a una diversa conclusio-ne.

13 Ritenute dal Freshfield più antiche, cioè dei tempi di Teo-dorico.

14 Già iniziatasi con quel misterioso avanzo di monumentodetto Ginnasio a Tindari, forse in conseguenza di un più largomovimento prodottosi nell'Africa romana.

29

gno di Mare e Vigna di Mare a Santa Croce di Cameri-na)13, o quelli illustrati dal Libertini e più dal Freschfieldper la provincia di Catania (Nunziatella di Monte Pofuori di Catania, San Domenico a Castiglione), quantoancora le cappelle o chiesette a trifoglio (cellae tricho-rae) raccolte dallo stesso Freshfield da notizie dell'Orsi(cittadella presso Noto, Malvagna, Santa Teresa ecc.),quanto infine il fondamentale monumento, internamentediviso a croce inscritta entro un quadrato, manifestatoall'esterno da un tozzo volume parallelepipedo, da cuiemerge all'esterno una calotta di cupola (emisferica sucilindro verticale all'interno) su tamburo a gradoni diraccordo, del tipo Pantheon romano ma ottagoni, cioè ilSan Salvatore di Rometta in provincia di Messina, illu-strato da C. Autore e da S. Bottari; e qualche altro, an-cora non illustrato, ma più raro delle province occiden-tali. Essi dimostrano che l'architettura di questo periodo,più che una nuova arte era l'estrema evoluzione dell'arteromana di decadenza14, fecondata da novità orientali. Néi pochissimi resti di mura di fortificazioni del tempo bi-zantino, trovati negli scavi per le fondazioni della risortaMessina, o a Minéo, inducono a una diversa conclusio-ne.

13 Ritenute dal Freshfield più antiche, cioè dei tempi di Teo-dorico.

14 Già iniziatasi con quel misterioso avanzo di monumentodetto Ginnasio a Tindari, forse in conseguenza di un più largomovimento prodottosi nell'Africa romana.

29

Caratteristiche di tutti questi monumenti sono: la ten-denza a dar tutto il valore espressivo ai tozzi ma nitidivolumi, togliendo al chiaroscuro plastico esterno (equindi la soppressione o quasi delle modanature esterne,dei rilievi, delle strombature nei vani ecc.); le coperturea volta o a cupola di cui si imitano le forme anche neimonumenti scavati nella roccia, ancora frequenti in que-sto periodo (San Micidiario, Cuba presso Siracusa) nelleprovince sud-orientali ricche di tufi teneri adatti ai mo-numenti ipogeici; il limitatissimo uso del mattone; lastruttura a grandi conci dall'intaglio un po' rosso, spessousata insieme all'opera incerta, le modeste proporzioni,la timidezza e l'arcaicità delle soluzioni costruttive chesostengono le piccole cupole15. Cose tutte che denote-rebbero come il periodo di povertà politica e ammini-strativa attraversato allora dalla Sicilia si sia ripercossonella entità se pure non nell'originalità dell'architettura.Questa è salvata dallo stesso fermento e ansia di ricer-che che in complesso mostrano i piccoli resti enumerati:basiliche, triconchi, cellae trichorae.

Maggiori influenze orientali mostrano alcuni edificireligiosi di Siracusa (per esempio, la Cripta di San Mar-ziano, chiese di San Martino e San Pietro) e del suo ter-ritorio, segnatamente il San Pietro ad Bajas di Siracusa;e si spiegano facilmente ricordando che Siracusa fu peralcuni anni (663-668 d. C.), con Costante II, la capitale

15 Le soluzioni canoniche e tipiche bizantine (i pennacchi sfe-rici) o le arabe (trombe a nicchie angolari) non sono ancora usate.

30

Caratteristiche di tutti questi monumenti sono: la ten-denza a dar tutto il valore espressivo ai tozzi ma nitidivolumi, togliendo al chiaroscuro plastico esterno (equindi la soppressione o quasi delle modanature esterne,dei rilievi, delle strombature nei vani ecc.); le coperturea volta o a cupola di cui si imitano le forme anche neimonumenti scavati nella roccia, ancora frequenti in que-sto periodo (San Micidiario, Cuba presso Siracusa) nelleprovince sud-orientali ricche di tufi teneri adatti ai mo-numenti ipogeici; il limitatissimo uso del mattone; lastruttura a grandi conci dall'intaglio un po' rosso, spessousata insieme all'opera incerta, le modeste proporzioni,la timidezza e l'arcaicità delle soluzioni costruttive chesostengono le piccole cupole15. Cose tutte che denote-rebbero come il periodo di povertà politica e ammini-strativa attraversato allora dalla Sicilia si sia ripercossonella entità se pure non nell'originalità dell'architettura.Questa è salvata dallo stesso fermento e ansia di ricer-che che in complesso mostrano i piccoli resti enumerati:basiliche, triconchi, cellae trichorae.

Maggiori influenze orientali mostrano alcuni edificireligiosi di Siracusa (per esempio, la Cripta di San Mar-ziano, chiese di San Martino e San Pietro) e del suo ter-ritorio, segnatamente il San Pietro ad Bajas di Siracusa;e si spiegano facilmente ricordando che Siracusa fu peralcuni anni (663-668 d. C.), con Costante II, la capitale

15 Le soluzioni canoniche e tipiche bizantine (i pennacchi sfe-rici) o le arabe (trombe a nicchie angolari) non sono ancora usate.

30

dell'impero bizantino. Tracce di laure bizantine sono an-che in grotte scavate alla base del roccione su cui sta an-cora Rometta. Gli avanzi infine di chiesette bizantine,esistenti già presso Buonfornello e ora al museo di Ter-mini, ci attestano anche per la Sicilia l'uso, nella costru-zione delle volte e delle cupole, di anfore speciali aggre-gate del tipo ravennate, ma più specialmente simili aquelle segnalate in monumenti della costa settentrionaleafricana.

Il periodo arabo

I siciliani si sono accaniti a distruggere le meravigliecostruite dagli Arabi in Sicilia, non solo nel periodo del-la cacciata degli infedeli e nel successivo della domina-zione normanna, ma anche in tutti i secoli di poi, tranneforse nel Trecento. Epperò quasi più nulla ora ne resta,oltre il ricordo esaltato dalla poesia dei viaggiatoriorientali o musulmani di Spagna che ce le hanno de-scritte.

Di sicuramente arabo non abbiamo che una sala giàbipartita da pilastri e volte, ora incorporata alla chiesanormanna di San Giovanni degli Eremiti in Palermo,

31

dell'impero bizantino. Tracce di laure bizantine sono an-che in grotte scavate alla base del roccione su cui sta an-cora Rometta. Gli avanzi infine di chiesette bizantine,esistenti già presso Buonfornello e ora al museo di Ter-mini, ci attestano anche per la Sicilia l'uso, nella costru-zione delle volte e delle cupole, di anfore speciali aggre-gate del tipo ravennate, ma più specialmente simili aquelle segnalate in monumenti della costa settentrionaleafricana.

Il periodo arabo

I siciliani si sono accaniti a distruggere le meravigliecostruite dagli Arabi in Sicilia, non solo nel periodo del-la cacciata degli infedeli e nel successivo della domina-zione normanna, ma anche in tutti i secoli di poi, tranneforse nel Trecento. Epperò quasi più nulla ora ne resta,oltre il ricordo esaltato dalla poesia dei viaggiatoriorientali o musulmani di Spagna che ce le hanno de-scritte.

Di sicuramente arabo non abbiamo che una sala giàbipartita da pilastri e volte, ora incorporata alla chiesanormanna di San Giovanni degli Eremiti in Palermo,

31

forse un avanzo, con altri piccoli resti, di una moschea.Si ritiene inoltre arabo il nucleo centrale del Palazzofortificato, già castello degli Emiri e reggia poi dei Nor-manni, pure a Palermo, e arabi sono anche i resti isolatidei bagni nella valle sotto il castello di Cefalà-Diana,non lungi da Villafrati. Scarsi avanzi s'indicano qua e làcome di monumenti arabi, specie di fortificazioni, ove èquasi impossibile sceverare quanto risalga agli arabi equanto ai normanni, tanto i caratteri di nuda essenzialitàdelle murature sono simili nei due periodi, sia nell'archi-tettura militare che nella civile e religiosa.

Un accurato ricercatore, Nino Basile, seguendo i rilie-vi del Goldschmidt, ritiene in massima parte arabi i restich'egli stesso ha documentato essere quelli dello Xibeneo Uscibene, restaurato e ampliato, in tempi normanni,come soggiorno di delizie e residenza estiva arcivesco-vile a ponente di Palermo, resti architettonicamente inte-ressanti, simili alle ville dei principi normanni («Zisa» e«Cuba») e che perciò tutti gli altri studiosi con a capol'arabista Michele Amari e l'architetto professor G. B.Filippo Basile avevano invece identificato con altra villadei re normanni detta Mimnerno o EI Menani. Questidispareri hanno appunto radice nella eredità dei caratteridell'architettura precedente da parte dei monumenti nonchiesastici dei tempi normanni, epperò non differenzia-bili senza l'aiuto di validi documenti.

32

forse un avanzo, con altri piccoli resti, di una moschea.Si ritiene inoltre arabo il nucleo centrale del Palazzofortificato, già castello degli Emiri e reggia poi dei Nor-manni, pure a Palermo, e arabi sono anche i resti isolatidei bagni nella valle sotto il castello di Cefalà-Diana,non lungi da Villafrati. Scarsi avanzi s'indicano qua e làcome di monumenti arabi, specie di fortificazioni, ove èquasi impossibile sceverare quanto risalga agli arabi equanto ai normanni, tanto i caratteri di nuda essenzialitàdelle murature sono simili nei due periodi, sia nell'archi-tettura militare che nella civile e religiosa.

Un accurato ricercatore, Nino Basile, seguendo i rilie-vi del Goldschmidt, ritiene in massima parte arabi i restich'egli stesso ha documentato essere quelli dello Xibeneo Uscibene, restaurato e ampliato, in tempi normanni,come soggiorno di delizie e residenza estiva arcivesco-vile a ponente di Palermo, resti architettonicamente inte-ressanti, simili alle ville dei principi normanni («Zisa» e«Cuba») e che perciò tutti gli altri studiosi con a capol'arabista Michele Amari e l'architetto professor G. B.Filippo Basile avevano invece identificato con altra villadei re normanni detta Mimnerno o EI Menani. Questidispareri hanno appunto radice nella eredità dei caratteridell'architettura precedente da parte dei monumenti nonchiesastici dei tempi normanni, epperò non differenzia-bili senza l'aiuto di validi documenti.

32

Il periodo normanno

L'arte dei popoli che hanno successivamente conqui-stato la Sicilia ha sempre assunto nell'isola alcuni carat-teri locali e vi ha costantemente lasciato vive improntenell'arte del periodo seguente, tranne forse nei brevi do-mini barbarico e poi angioino, per i quali nulla si puòdire perché nulla ci resta.

Così l'architettura siceliota è greca con accenti orien-tali dovuti ai siculi, l'architettura in Sicilia del periodoromano è grecizzante e a sua volta la siciliana sotto ildominio bizantino non è affatto soltanto orientale, maancora in gran parte romana, epperò si può esser certi (ei pochi resti su enumerati pienamente confermano) chel'architettura di Sicilia sotto gli arabi sia stata anche bi-zantineggiante. La funzione dei siciliani in architetturapare sia stata sempre duplice: una di filtro – quella cioèdi selezionare nell'arte dei nuovi conquistatori i caratteripiù consoni alla propria indole e respingere gli accentinon sentiti, – l'altra di sano eclettismo, fare cioè che lacoesistenza dei caratteri dell'arte precedente con quelliselezionati dall'arte del nuovo popolo dominatore non sirisolvesse in una contaminazione epperò in uno scadi-mento, ma al contrario conferisse maggiore vivacitàall'arte risultante. Questa virtù coordinatrice e animatri-ce è la prerogativa dei grandi eclettici. E i maggiori ar-

33

Il periodo normanno

L'arte dei popoli che hanno successivamente conqui-stato la Sicilia ha sempre assunto nell'isola alcuni carat-teri locali e vi ha costantemente lasciato vive improntenell'arte del periodo seguente, tranne forse nei brevi do-mini barbarico e poi angioino, per i quali nulla si puòdire perché nulla ci resta.

Così l'architettura siceliota è greca con accenti orien-tali dovuti ai siculi, l'architettura in Sicilia del periodoromano è grecizzante e a sua volta la siciliana sotto ildominio bizantino non è affatto soltanto orientale, maancora in gran parte romana, epperò si può esser certi (ei pochi resti su enumerati pienamente confermano) chel'architettura di Sicilia sotto gli arabi sia stata anche bi-zantineggiante. La funzione dei siciliani in architetturapare sia stata sempre duplice: una di filtro – quella cioèdi selezionare nell'arte dei nuovi conquistatori i caratteripiù consoni alla propria indole e respingere gli accentinon sentiti, – l'altra di sano eclettismo, fare cioè che lacoesistenza dei caratteri dell'arte precedente con quelliselezionati dall'arte del nuovo popolo dominatore non sirisolvesse in una contaminazione epperò in uno scadi-mento, ma al contrario conferisse maggiore vivacitàall'arte risultante. Questa virtù coordinatrice e animatri-ce è la prerogativa dei grandi eclettici. E i maggiori ar-

33

chitetti siciliani d'ogni tempo sono stati tali: dall'unicoconosciuto del periodo normanno, il restauratore di SanPietro e Paolo di Forza d'Agrò, Girardo il Franco, aMatteo Carnilivari, della fine del Quattrocento; da FazioGagini, della metà del Cinquecento, a Giovanni Verme-xio del principio del Seicento; da fra Giacomo Amato,della fine dello stesso secolo, a G. B. Vaccarini dellaprima metà del Settecento; da G. B. Filippo Basile dellafine dell'Ottocento al figlio Ernesto, da cui ha avuto ori-gine la scuola siciliana dell'attuale principio del secolo.

Se l'architettura siciliana ha raggiunto nel tempo nor-manno vette assolutamente eccelse, una delle principaliragioni risiede nella ecletticità che caratterizza il domi-nio normanno. Sola e miracolosa fra tutte le conquiste,quella dei Normanni è compiuta non da un popolo, mada una schiera di avventurieri che non sai se ammiraredi più quali guerrieri valorosi e fortunati, o come abilipolitici. Essi, nel loro interesse politico, nell'educazionevaria formatasi nell'Italia meridionale al principiodell'XI secolo, al contatto delle varie civiltà ivi urtantesie mescolantesi, nell'attento studio a non far predominarenessuno dei vari popoli colà contrastanti, nel non avereuna civiltà propria da far prevalere, trovano tutte le per-suasioni a essere i maggiori fautori dell'eclettismo: e fanfiorire in tutte le manifestazioni il meglio della civiltàtrilingue trovata in Sicilia.

Non è occorso quindi nessun periodo di assestamento,di filtro, di nuova elaborazione eclettica; bastava farcontinuare quella già in corso sotto gli arabi, avendosi

34

chitetti siciliani d'ogni tempo sono stati tali: dall'unicoconosciuto del periodo normanno, il restauratore di SanPietro e Paolo di Forza d'Agrò, Girardo il Franco, aMatteo Carnilivari, della fine del Quattrocento; da FazioGagini, della metà del Cinquecento, a Giovanni Verme-xio del principio del Seicento; da fra Giacomo Amato,della fine dello stesso secolo, a G. B. Vaccarini dellaprima metà del Settecento; da G. B. Filippo Basile dellafine dell'Ottocento al figlio Ernesto, da cui ha avuto ori-gine la scuola siciliana dell'attuale principio del secolo.

Se l'architettura siciliana ha raggiunto nel tempo nor-manno vette assolutamente eccelse, una delle principaliragioni risiede nella ecletticità che caratterizza il domi-nio normanno. Sola e miracolosa fra tutte le conquiste,quella dei Normanni è compiuta non da un popolo, mada una schiera di avventurieri che non sai se ammiraredi più quali guerrieri valorosi e fortunati, o come abilipolitici. Essi, nel loro interesse politico, nell'educazionevaria formatasi nell'Italia meridionale al principiodell'XI secolo, al contatto delle varie civiltà ivi urtantesie mescolantesi, nell'attento studio a non far predominarenessuno dei vari popoli colà contrastanti, nel non avereuna civiltà propria da far prevalere, trovano tutte le per-suasioni a essere i maggiori fautori dell'eclettismo: e fanfiorire in tutte le manifestazioni il meglio della civiltàtrilingue trovata in Sicilia.

Non è occorso quindi nessun periodo di assestamento,di filtro, di nuova elaborazione eclettica; bastava farcontinuare quella già in corso sotto gli arabi, avendosi

34

solo cura, da parte dei normanni che avevano compiutola conquista dell'isola anche come legati del papa, di rin-forzare i deboli caratteri latini superstiti dopo la duplicesopraffazione orientale: la bizantina e l'araba.

Ma è proprio sorprendente constatare che il primoedificio, rimastoci in ordine di tempo di questa architet-tura siciliana in tempi normanni, cioè la chiesa di SanGiovanni dei Lebbrosi sia un edificio sorto fuori le muradi Palermo, con tutti i caratteri planimetrici, struttivi,estetici, che poi di tale architettura saran propri, giàmentre durava l'assedio, come chiesa propiziatrice allavittoria sugli infedeli: da datarsi dunque intorno al 1070.Se si riflette che le ultime chiese costruite in Sicilia pri-ma della conquista araba – come il San Salvatore di Ro-metta e il San Domenico di Castiglione – avevanotutt'altri caratteri, e che nessuna erezione di chiesa fupermessa dagli arabi, anche se non fu del tutto soffocatoil culto cristiano, si deve di necessità concludere chel'evoluzione della chiesa cristiana s'era continuatanell'Italia meridionale, sotto la spinta dei santi anacoretidi Sicilia colà riparati, dei quali è piena la storia dellareligione d'allora, ed è ritornata in Sicilia con esempimaturi insieme con la conquista normanna. Questa indu-zione è perfettamente confermata dall'esame di una seriedi chiesette basiliane di Calabria illustrate dall'Orsi16 e

16 Paolo Orsi, Chiese basiliane in Calabria, Soc. «MagnaGrecia», edit., 1930. È da avvertire che i francesi Jordan per laparte architettonica, Battifol, per la storica, e su tutti il Bertaux,avevano già fatto notare l'importanza di alcune chiese; e il Ber-

35

solo cura, da parte dei normanni che avevano compiutola conquista dell'isola anche come legati del papa, di rin-forzare i deboli caratteri latini superstiti dopo la duplicesopraffazione orientale: la bizantina e l'araba.

Ma è proprio sorprendente constatare che il primoedificio, rimastoci in ordine di tempo di questa architet-tura siciliana in tempi normanni, cioè la chiesa di SanGiovanni dei Lebbrosi sia un edificio sorto fuori le muradi Palermo, con tutti i caratteri planimetrici, struttivi,estetici, che poi di tale architettura saran propri, giàmentre durava l'assedio, come chiesa propiziatrice allavittoria sugli infedeli: da datarsi dunque intorno al 1070.Se si riflette che le ultime chiese costruite in Sicilia pri-ma della conquista araba – come il San Salvatore di Ro-metta e il San Domenico di Castiglione – avevanotutt'altri caratteri, e che nessuna erezione di chiesa fupermessa dagli arabi, anche se non fu del tutto soffocatoil culto cristiano, si deve di necessità concludere chel'evoluzione della chiesa cristiana s'era continuatanell'Italia meridionale, sotto la spinta dei santi anacoretidi Sicilia colà riparati, dei quali è piena la storia dellareligione d'allora, ed è ritornata in Sicilia con esempimaturi insieme con la conquista normanna. Questa indu-zione è perfettamente confermata dall'esame di una seriedi chiesette basiliane di Calabria illustrate dall'Orsi16 e

16 Paolo Orsi, Chiese basiliane in Calabria, Soc. «MagnaGrecia», edit., 1930. È da avvertire che i francesi Jordan per laparte architettonica, Battifol, per la storica, e su tutti il Bertaux,avevano già fatto notare l'importanza di alcune chiese; e il Ber-

35

da lui documentate come esistenti al tempo della con-quista normanna, anche se il compianto archeologo, pernon contraddire alla generale convinzione che l'architet-tura di cui parliamo sia nata in Sicilia, suppose che quel-le che ora rimangono siano delle ricostruzioni posteriorialla conquista. Confermano ancora quella induzione dauna parte altre chiesette campane del principio dell'XIsecolo, da recente studiate dal Chierici, e dall'altra unaseconda serie di chiese basiliane di qua dallo stretto, inprovincia di Messina, perfettamente analoga a quellaprima serie calabrese illustrata dall'Orsi, ma da questi,allora, non conosciuta, a giudicare dalla mancanza di ri-ferimenti e di confronti, in lui solitamente esaurienti. Laserie siciliana comprende: San Filippo di Fragalà pressoFrazzanò, restaurata dal gran conte Ruggero il Conqui-statore, già durante la guerra, Santa Maria di Mili(1092), San Pietro di Itàla (1093) e San Pietro e Paolo diForza d'Agrò17 e altri resti minori, ed è del maggior inte-resse per la formazione di quest'architettura normannadel primo periodo, detto «dei Ruggeri» o meglio dellataux anche di parecchie altre, fra cui il San Giuseppe di Gaeta e ilSan Costanzo di Capri recentemente ristudiate dal Chierici. Dellapiù recente riesumazione del vecchio Duomo di Tropea ha breve-mente detto il Galli nella relazione dell'attività della Soprinten-denza Calabro-Lucana.

17 Prima ricostruzione normanna nei primi anni del XII seco-lo, restaurata poi nella splendida veste orientale che ora s'ammirada Girardo il Franco nel 1172, a spese del basiliano Teostericto diTaormina, come dice l'epigrafe greca sull'archivolto ribassato chegrava sulla porta fantasiosamente policroma.

36

da lui documentate come esistenti al tempo della con-quista normanna, anche se il compianto archeologo, pernon contraddire alla generale convinzione che l'architet-tura di cui parliamo sia nata in Sicilia, suppose che quel-le che ora rimangono siano delle ricostruzioni posteriorialla conquista. Confermano ancora quella induzione dauna parte altre chiesette campane del principio dell'XIsecolo, da recente studiate dal Chierici, e dall'altra unaseconda serie di chiese basiliane di qua dallo stretto, inprovincia di Messina, perfettamente analoga a quellaprima serie calabrese illustrata dall'Orsi, ma da questi,allora, non conosciuta, a giudicare dalla mancanza di ri-ferimenti e di confronti, in lui solitamente esaurienti. Laserie siciliana comprende: San Filippo di Fragalà pressoFrazzanò, restaurata dal gran conte Ruggero il Conqui-statore, già durante la guerra, Santa Maria di Mili(1092), San Pietro di Itàla (1093) e San Pietro e Paolo diForza d'Agrò17 e altri resti minori, ed è del maggior inte-resse per la formazione di quest'architettura normannadel primo periodo, detto «dei Ruggeri» o meglio dellataux anche di parecchie altre, fra cui il San Giuseppe di Gaeta e ilSan Costanzo di Capri recentemente ristudiate dal Chierici. Dellapiù recente riesumazione del vecchio Duomo di Tropea ha breve-mente detto il Galli nella relazione dell'attività della Soprinten-denza Calabro-Lucana.

17 Prima ricostruzione normanna nei primi anni del XII seco-lo, restaurata poi nella splendida veste orientale che ora s'ammirada Girardo il Franco nel 1172, a spese del basiliano Teostericto diTaormina, come dice l'epigrafe greca sull'archivolto ribassato chegrava sulla porta fantasiosamente policroma.

36

Contea (1061-1129) per distinguerlo dal successivo auli-co «dei Guglielmi» o, più esattamente, del fastoso Re-gno (1130-1193). È notevole che nessuna di queste chie-se basiliane di Sicilia abbia lo schema centrico a croceinscritta in un quadrato, tipico delle chiese di rito greco,già esistente in Calabria e più tardi riapparso a Palermoverso la metà del XII secolo con varianti siciliane. Daun accenno in qualche diploma di fondazione si inferi-rebbe che nei primi tempi il conte Ruggero (che insiemecol Guiscardo aveva tolto la Calabria ai bizantini, e che,pur valendosi dell'opera dei monaci greci in Sicilia con-tro gli infedeli, diffidava dei basiliani), desse loro comeesemplare da seguire le prime costruzioni religiose dalui innalzate, come la chiesa del Salvatore «in linguaPhari», da esso costruita per voto nel luogo di sbarco inSicilia e ora non più esistente. L'ingegnosità di composi-zione di San Pietro e Paolo di Forza d'Agrò, in cui laforma basilicale è ottenuta riunendo a un corpo centrale,coperto a cupola, su quattro colonne, nella parte poste-riore un santuario triabsidato con titulo e bema e un'altracupola più piccola al centro di quest'ultimo, e nella parteanteriore un esonartece e loggia superiore fra due torri-celle scalarie, forse anch'esse una volta coperte da cupo-lette, rivela un'astuzia basiliana: comporre una chiesabasilicale con pezzi tipicamente orientali.

In contrasto con la grecizzante vivacità policroma delparamento murario ceramoplastico propria di questa se-rie di chiese monastiche basiliane della provincia diMessina, nel lato occidentale dell'isola si trovano gli

37

Contea (1061-1129) per distinguerlo dal successivo auli-co «dei Guglielmi» o, più esattamente, del fastoso Re-gno (1130-1193). È notevole che nessuna di queste chie-se basiliane di Sicilia abbia lo schema centrico a croceinscritta in un quadrato, tipico delle chiese di rito greco,già esistente in Calabria e più tardi riapparso a Palermoverso la metà del XII secolo con varianti siciliane. Daun accenno in qualche diploma di fondazione si inferi-rebbe che nei primi tempi il conte Ruggero (che insiemecol Guiscardo aveva tolto la Calabria ai bizantini, e che,pur valendosi dell'opera dei monaci greci in Sicilia con-tro gli infedeli, diffidava dei basiliani), desse loro comeesemplare da seguire le prime costruzioni religiose dalui innalzate, come la chiesa del Salvatore «in linguaPhari», da esso costruita per voto nel luogo di sbarco inSicilia e ora non più esistente. L'ingegnosità di composi-zione di San Pietro e Paolo di Forza d'Agrò, in cui laforma basilicale è ottenuta riunendo a un corpo centrale,coperto a cupola, su quattro colonne, nella parte poste-riore un santuario triabsidato con titulo e bema e un'altracupola più piccola al centro di quest'ultimo, e nella parteanteriore un esonartece e loggia superiore fra due torri-celle scalarie, forse anch'esse una volta coperte da cupo-lette, rivela un'astuzia basiliana: comporre una chiesabasilicale con pezzi tipicamente orientali.

In contrasto con la grecizzante vivacità policroma delparamento murario ceramoplastico propria di questa se-rie di chiese monastiche basiliane della provincia diMessina, nel lato occidentale dell'isola si trovano gli

37

esempi più puri, nella loro nuda essenzialità uguale aquella dei monumenti del periodo arabo, di una più se-vera e geometrica scuola, che conta sugli effetti di mas-sa anzichè sulla fastosa decorazione ottenuta con lesena-ture, intrecci di archi, e policromia naturale pel contra-sto di colori delle pietre, di rossi mattoni, di gialli tuficalcarenitici e di dorate arenarie, di nera lava e di pomi-ce bruna, cui talvolta si uniscono gli strati di calce, bian-ca o grigia, appositamente lasciati a faccia vista e di lar-go spessore. Il modello della seconda corrente, che pre-vale nella provincia più occidentale, è dato dalla Trinitàdi Delia presso Castelvetrano, chiesetta centrica, di cuitroviamo quasi delle repliche con varianti a Mazzara(San Nicolò lo Reale). Ha i caratteri di questo gruppol'esterno absidale della Cattedrale di Mazzara e di tuttoSan Nicolò la Latina a Sciacca. Non solo nell'antica Valdi Mazzara, ma anche in Palermo ritroviamo, pur conminore semplicità, tale tipo nelle due chiese contigue,centriche o quasi di San Cataldo e Santa Mariadell'Ammiraglio (Giorgio di Antiochia). Alla stessa cor-rente, ma su pianta non centrica, appartengono chiesecome San Giovanni degli Eremiti e la Santa Trinità, lacosiddetta Magione, pur di Palermo, e il castello con lachiesetta di Maredolce nei dintorni orientali della capi-tale, segno che in essa la corrente di Val di Mazzara fudominante per tutto il tempo dei Ruggeri. Si tratta dicomposizioni basate sul giuoco compositivo di volumisemplici: cubici, prismatici, cilindrici, emisferici, messiin tutto il loro valore da un parametro di piccoli conci

38

esempi più puri, nella loro nuda essenzialità uguale aquella dei monumenti del periodo arabo, di una più se-vera e geometrica scuola, che conta sugli effetti di mas-sa anzichè sulla fastosa decorazione ottenuta con lesena-ture, intrecci di archi, e policromia naturale pel contra-sto di colori delle pietre, di rossi mattoni, di gialli tuficalcarenitici e di dorate arenarie, di nera lava e di pomi-ce bruna, cui talvolta si uniscono gli strati di calce, bian-ca o grigia, appositamente lasciati a faccia vista e di lar-go spessore. Il modello della seconda corrente, che pre-vale nella provincia più occidentale, è dato dalla Trinitàdi Delia presso Castelvetrano, chiesetta centrica, di cuitroviamo quasi delle repliche con varianti a Mazzara(San Nicolò lo Reale). Ha i caratteri di questo gruppol'esterno absidale della Cattedrale di Mazzara e di tuttoSan Nicolò la Latina a Sciacca. Non solo nell'antica Valdi Mazzara, ma anche in Palermo ritroviamo, pur conminore semplicità, tale tipo nelle due chiese contigue,centriche o quasi di San Cataldo e Santa Mariadell'Ammiraglio (Giorgio di Antiochia). Alla stessa cor-rente, ma su pianta non centrica, appartengono chiesecome San Giovanni degli Eremiti e la Santa Trinità, lacosiddetta Magione, pur di Palermo, e il castello con lachiesetta di Maredolce nei dintorni orientali della capi-tale, segno che in essa la corrente di Val di Mazzara fudominante per tutto il tempo dei Ruggeri. Si tratta dicomposizioni basate sul giuoco compositivo di volumisemplici: cubici, prismatici, cilindrici, emisferici, messiin tutto il loro valore da un parametro di piccoli conci

38

esattamente tagliati, senza forti sporgenze di cornici, alpiù alleggerito da lievi rincassi intorno alle nude finestreo porte ad arco leggermente acuto.

Non mancano a Palermo esempi intermedi fra i duetipi, in cui le masse hanno il valore e la semplicità deimonumenti di Val di Mazzara, ma sono ravvivate da in-tarsiature del tipo basiliano messinese, ma limitate azone determinate: per esempio la così detta «Chiesa deiVespri» nel cimitero di Sant'Orsola a Palermo, fasciatatutt'intorno all'esterno, limitatamente alla zona delle fi-nestre, da pseudo arcate in bruna pomice di lava.

Sporadico è il tipo rappresentato da Santa Maria deiCatalani di Messina, in cui ritroviamo all'esterno la de-corazione a pseudologge ad archetti su colonnine, con itondi e le losanghe a intarsio policromo geometrico, ca-ratteristici delle chiese pugliesi e toscane dello stessotempo e ben chiaroscurati, e all'interno la bicromiaanch'essa diffusa in Toscana. Tutte queste chiese hannosantuari triabsidati, il più delle volte nettamente accusatiall'esterno; ma talora è lasciata manifestare solo l'absidemaggiore centrale, mentre la protesis e il diaconicon re-stano scavati all'interno nello spessore del muro orienta-le del santuario18, poiché si tratta sempre di chiese orien-

18 Per esempio: San Giovanni degli Eremiti e San Cataldo aPalermo, Santa Maria dei Catalani a Messina, Santa Maria di Miliecc. Eccezionalmente in San Pietro e Paolo d'Agrò l'abside cen-trale è invece dissimulata a forma di slanciata torre rettangolareall'esterno. In alcune chiesette dell'entroterra di Cefalù, come giàin Santa Maria di Mili, le absidiole minori sono ridotte a semplici

39

esattamente tagliati, senza forti sporgenze di cornici, alpiù alleggerito da lievi rincassi intorno alle nude finestreo porte ad arco leggermente acuto.

Non mancano a Palermo esempi intermedi fra i duetipi, in cui le masse hanno il valore e la semplicità deimonumenti di Val di Mazzara, ma sono ravvivate da in-tarsiature del tipo basiliano messinese, ma limitate azone determinate: per esempio la così detta «Chiesa deiVespri» nel cimitero di Sant'Orsola a Palermo, fasciatatutt'intorno all'esterno, limitatamente alla zona delle fi-nestre, da pseudo arcate in bruna pomice di lava.

Sporadico è il tipo rappresentato da Santa Maria deiCatalani di Messina, in cui ritroviamo all'esterno la de-corazione a pseudologge ad archetti su colonnine, con itondi e le losanghe a intarsio policromo geometrico, ca-ratteristici delle chiese pugliesi e toscane dello stessotempo e ben chiaroscurati, e all'interno la bicromiaanch'essa diffusa in Toscana. Tutte queste chiese hannosantuari triabsidati, il più delle volte nettamente accusatiall'esterno; ma talora è lasciata manifestare solo l'absidemaggiore centrale, mentre la protesis e il diaconicon re-stano scavati all'interno nello spessore del muro orienta-le del santuario18, poiché si tratta sempre di chiese orien-

18 Per esempio: San Giovanni degli Eremiti e San Cataldo aPalermo, Santa Maria dei Catalani a Messina, Santa Maria di Miliecc. Eccezionalmente in San Pietro e Paolo d'Agrò l'abside cen-trale è invece dissimulata a forma di slanciata torre rettangolareall'esterno. In alcune chiesette dell'entroterra di Cefalù, come giàin Santa Maria di Mili, le absidiole minori sono ridotte a semplici

39

tate (ingresso a occidente, absidi a oriente). La coperturadi queste chiesette solo per eccezione è in legno: nor-malmente le volte a crociera coprono le navatine lateralidelle chiese di tipo basilicale, mentre le volte a bottesono riservate per i bracci delle croci greche, e le cupolemancano assai di rado: normalmente una al centro delsantuario o delle chiese centriche19. Non vi sono chiesecentriche a cinque cupole come in Calabria; i quattrovani angolari nelle chiese siciliane sono coperti con vol-te a crociere all'interno e con terrazze all'esterno. Forsequattro cupole erano a Forza d'Agrò, ma poste in modoche, di solito, contemporaneamente se ne vedessero tre:le due che dovevano coprire le quadrate torri celle (sca-le) rinserranti la facciata sono crollate. A Mili le tre cu-pole dan risalto al transetto, mentre in San Cataldo, aPalermo, segnano l'asse longitudinale ed eccezional-mente sono tutte e tre uguali. Infine nella chiesa singola-re di San Giovanni degli Eremiti, a pianta a croce com-missa, tutte le coperture sono a cupole, sia nel sensolongitudinale che nel trasversale, epperò con cinque cu-pole, di cui una sul braccio innalzantesi a funzionare dacampanile. All'interno queste cupolette non coronano

nicchie ricavate nel muro di fondo, non più però in quello deifianchi, a cella trichora, come già nella bizantina chiesa di SanDomenico presso Castiglione, che rimane perciò esempio isolato,puramente bizantino.

19 Eccezioni: la chiesa dei Vespri, e forse anche la Magione, aPalermo, e parecchie chiese di campagna: Santo Spirito pressoCaltanissetta, Santa Maria di Rifesi.

40

tate (ingresso a occidente, absidi a oriente). La coperturadi queste chiesette solo per eccezione è in legno: nor-malmente le volte a crociera coprono le navatine lateralidelle chiese di tipo basilicale, mentre le volte a bottesono riservate per i bracci delle croci greche, e le cupolemancano assai di rado: normalmente una al centro delsantuario o delle chiese centriche19. Non vi sono chiesecentriche a cinque cupole come in Calabria; i quattrovani angolari nelle chiese siciliane sono coperti con vol-te a crociere all'interno e con terrazze all'esterno. Forsequattro cupole erano a Forza d'Agrò, ma poste in modoche, di solito, contemporaneamente se ne vedessero tre:le due che dovevano coprire le quadrate torri celle (sca-le) rinserranti la facciata sono crollate. A Mili le tre cu-pole dan risalto al transetto, mentre in San Cataldo, aPalermo, segnano l'asse longitudinale ed eccezional-mente sono tutte e tre uguali. Infine nella chiesa singola-re di San Giovanni degli Eremiti, a pianta a croce com-missa, tutte le coperture sono a cupole, sia nel sensolongitudinale che nel trasversale, epperò con cinque cu-pole, di cui una sul braccio innalzantesi a funzionare dacampanile. All'interno queste cupolette non coronano

nicchie ricavate nel muro di fondo, non più però in quello deifianchi, a cella trichora, come già nella bizantina chiesa di SanDomenico presso Castiglione, che rimane perciò esempio isolato,puramente bizantino.

19 Eccezioni: la chiesa dei Vespri, e forse anche la Magione, aPalermo, e parecchie chiese di campagna: Santo Spirito pressoCaltanissetta, Santa Maria di Rifesi.

40

solo spazi su pianta quadrata con il solito passaggio anicchie angolari diagonali dal quadrato all'ottagono e daquesto, insensibilmente, al cerchio. Sovente esse sonovoltate anche su spazi rettangolari. Nella Cappella Pala-tina di Palermo, il buono scarto è superato semplice-mente con due sporgenze opposte raccordate a cavetto;nella chiesetta del castello di Maredolce la grande diffe-renza è superata da due voltine a botte laterali; nellacappella della Zisa (ora chiesa parrocchiale) da due vol-te laterali a stalattiti e, ripristinato il quadrato, dalle soli-te soluzioni a nicchie coperte a cuffia; al San Pietro ePaolo d'Agrò, finalmente, la cupoletta minore sul san-tuario poggia su soluzioni angolari a stalagmiti che siprolungano solo da due lati inferiormente per passaredall'ottagono superiore al rettangolo inferiore. All'ester-no queste cupole appaion raramente emisferiche, di soli-to sono di due diversi tipi: o si manifestano a semplicecalotta del tipo greco (Santa Maria dell'Ammiraglio aPalermo e l'Annunziata dei Catalani a Messina), ovverosono del tipo arabo a sesto sovralzato. Uno strato imper-meabile di colore rossastro le rende appariscenti sul cie-lo turchino. La cupoletta, manifestata all'esterno a calot-ta e gradoni, del tipo romano del Pantheon, che abbiamovisto in periodo bizantino coprire il San Salvatore diRometta, non ha avuto più seguito in tempi normanni. Èanche eccezionale la cupoletta della cappella di Mare-dolce in cui una serie di capricciose mensoline imposta-te quando già la curvatura è sensibile sostengono unacornice forse per una copertura conica, così com'è ecce-

41

solo spazi su pianta quadrata con il solito passaggio anicchie angolari diagonali dal quadrato all'ottagono e daquesto, insensibilmente, al cerchio. Sovente esse sonovoltate anche su spazi rettangolari. Nella Cappella Pala-tina di Palermo, il buono scarto è superato semplice-mente con due sporgenze opposte raccordate a cavetto;nella chiesetta del castello di Maredolce la grande diffe-renza è superata da due voltine a botte laterali; nellacappella della Zisa (ora chiesa parrocchiale) da due vol-te laterali a stalattiti e, ripristinato il quadrato, dalle soli-te soluzioni a nicchie coperte a cuffia; al San Pietro ePaolo d'Agrò, finalmente, la cupoletta minore sul san-tuario poggia su soluzioni angolari a stalagmiti che siprolungano solo da due lati inferiormente per passaredall'ottagono superiore al rettangolo inferiore. All'ester-no queste cupole appaion raramente emisferiche, di soli-to sono di due diversi tipi: o si manifestano a semplicecalotta del tipo greco (Santa Maria dell'Ammiraglio aPalermo e l'Annunziata dei Catalani a Messina), ovverosono del tipo arabo a sesto sovralzato. Uno strato imper-meabile di colore rossastro le rende appariscenti sul cie-lo turchino. La cupoletta, manifestata all'esterno a calot-ta e gradoni, del tipo romano del Pantheon, che abbiamovisto in periodo bizantino coprire il San Salvatore diRometta, non ha avuto più seguito in tempi normanni. Èanche eccezionale la cupoletta della cappella di Mare-dolce in cui una serie di capricciose mensoline imposta-te quando già la curvatura è sensibile sostengono unacornice forse per una copertura conica, così com'è ecce-

41

zionale la cupola centrale di Forza d'Agrò, leggermenteondulata a spicchi (tipo cocomero) anche all'esterno,mentre la minore è poligonale all'interno. Dal centro diqueste cupole di tipo arabo emergono sempre delle aste,che finiscono a palle o a solidi sfaccettati. Terrazzi pianisistemati sulle volte a crociera si oppongono nella com-posizione allo slancio delle cupole. Cupolette copronoanche i rari campanili esistenti di queste chiesette (SanGiovanni degli Eremiti). Nel più bel campanile di questitempi, ch'è quello della Martorana, la cupoletta è oramancante. Invece le grandi cattedrali normanne nonhanno mai né cupole né coperture a terrazze. La coper-tura a tetto vi domina incontrastata, e bisogna andarefuori di Sicilia per trovare una grande cupola su un san-tuario di tipo normanno: a Caserta vecchia, dove del re-sto la bella cupola ellittica su tamburo ottagonale allun-gato non è anteriore al Duecento.

Fra le grandi cattedrali ciò che rimane di quella diMazzara che, insieme a quella di Catania, è la più anti-ca20, dinota il modello comune: la solenne Roccellettapresso la marina di Catanzaro; ed è stata rilevata dalBertaux l'analogia di pianta fra questo magnifico e mi-sterioso monumento calabrese e la cattedrale di Monrea-

20 Iniziata nel 1094 quasi al tempo di quella di Catania(1092); segue Cefalù iniziata nel 1130, ma consacrata solo nel1267, poi la nuova di Messina (fondata da re Ruggero II nella pri-ma metà del XII secolo) e quella di Monreale (1174-1180), maconsacrata nel 1197; da ultimo la nuova di Palermo, iniziata nel1185 ma finita assai più tardi.

42

zionale la cupola centrale di Forza d'Agrò, leggermenteondulata a spicchi (tipo cocomero) anche all'esterno,mentre la minore è poligonale all'interno. Dal centro diqueste cupole di tipo arabo emergono sempre delle aste,che finiscono a palle o a solidi sfaccettati. Terrazzi pianisistemati sulle volte a crociera si oppongono nella com-posizione allo slancio delle cupole. Cupolette copronoanche i rari campanili esistenti di queste chiesette (SanGiovanni degli Eremiti). Nel più bel campanile di questitempi, ch'è quello della Martorana, la cupoletta è oramancante. Invece le grandi cattedrali normanne nonhanno mai né cupole né coperture a terrazze. La coper-tura a tetto vi domina incontrastata, e bisogna andarefuori di Sicilia per trovare una grande cupola su un san-tuario di tipo normanno: a Caserta vecchia, dove del re-sto la bella cupola ellittica su tamburo ottagonale allun-gato non è anteriore al Duecento.

Fra le grandi cattedrali ciò che rimane di quella diMazzara che, insieme a quella di Catania, è la più anti-ca20, dinota il modello comune: la solenne Roccellettapresso la marina di Catanzaro; ed è stata rilevata dalBertaux l'analogia di pianta fra questo magnifico e mi-sterioso monumento calabrese e la cattedrale di Monrea-

20 Iniziata nel 1094 quasi al tempo di quella di Catania(1092); segue Cefalù iniziata nel 1130, ma consacrata solo nel1267, poi la nuova di Messina (fondata da re Ruggero II nella pri-ma metà del XII secolo) e quella di Monreale (1174-1180), maconsacrata nel 1197; da ultimo la nuova di Palermo, iniziata nel1185 ma finita assai più tardi.

42

le. Competenti studiosi si sono domandati come mai unsantuario adatto per la liturgia greca (la Roccelletta ebbeculto basiliano fino al Cinquecento), caratterizzato dalletre absidi e da quel braccio trasversale interposto traesse e il transetto (titolo e antititolo) sia stato adottatodalle cattedrali siciliane a liturgia latina; né se n'è datarisposta esauriente. Non tutte le cattedrali siciliane hanquesto schema completo: spesso le tre absidi si apronopiù o meno direttamente sul transetto. Ma lo schemacompleto, che troviamo a Palermo e a Monreale, piac-que tanto che lo ritroviamo rimesso in onore da MatteoCarnilivari alla fine del Quattrocento e formerà, insiemecolla collaborazione delle piante dentriche, la caratteri-stica del tipo Carnilivari-Gagini nelle chiese sicilianedel Cinquecento.

Altri aspetti fondamentali dell'interno dei templi nor-manni sono: le colonne che dividono le navate, sul tipotradizionale delle basiliche antiche (quasi sempre tolti amonumenti romani, come a Monreale con magnifici ca-pitelli classici, taluno corinzio, i più con emblemi di Ce-rere); la travatura apparente, riccamente dipinta – in cuiqualche archeologo ha voluto vedere una riviviscenzadella copertura dei templi sicelioti, naturalmente adatta-ta al gusto orientaleggiante del tempo normanno – unaricchissima decorazione in mosaico che a Monreale ri-copre letteralmente tutte le pareti, quasi un'illustrazionecontinua dei fatti e delle allegorie religiose della chiesadel tempo. Qualche striscia di mosaico si insinua verti-calmente a distanze scandite nell'alto zoccolo di marmo,

43

le. Competenti studiosi si sono domandati come mai unsantuario adatto per la liturgia greca (la Roccelletta ebbeculto basiliano fino al Cinquecento), caratterizzato dalletre absidi e da quel braccio trasversale interposto traesse e il transetto (titolo e antititolo) sia stato adottatodalle cattedrali siciliane a liturgia latina; né se n'è datarisposta esauriente. Non tutte le cattedrali siciliane hanquesto schema completo: spesso le tre absidi si apronopiù o meno direttamente sul transetto. Ma lo schemacompleto, che troviamo a Palermo e a Monreale, piac-que tanto che lo ritroviamo rimesso in onore da MatteoCarnilivari alla fine del Quattrocento e formerà, insiemecolla collaborazione delle piante dentriche, la caratteri-stica del tipo Carnilivari-Gagini nelle chiese sicilianedel Cinquecento.

Altri aspetti fondamentali dell'interno dei templi nor-manni sono: le colonne che dividono le navate, sul tipotradizionale delle basiliche antiche (quasi sempre tolti amonumenti romani, come a Monreale con magnifici ca-pitelli classici, taluno corinzio, i più con emblemi di Ce-rere); la travatura apparente, riccamente dipinta – in cuiqualche archeologo ha voluto vedere una riviviscenzadella copertura dei templi sicelioti, naturalmente adatta-ta al gusto orientaleggiante del tempo normanno – unaricchissima decorazione in mosaico che a Monreale ri-copre letteralmente tutte le pareti, quasi un'illustrazionecontinua dei fatti e delle allegorie religiose della chiesadel tempo. Qualche striscia di mosaico si insinua verti-calmente a distanze scandite nell'alto zoccolo di marmo,

43

con decorazione geometrica di gusto arabo, al di sotto diuna caratteristica striscia in marmo con ornamenti inmosaico a merlatura, anch'essa di gusto arabo, che for-ma separazione fra le due zone. Un'armonia veramentesuperiore è insita a questo sfarzo decorativo, per cui sul-lo scintillio delle tessere dorate, sull'accordo basso ditanti colori, dominano sempre le linee architettoniche: lafuga degli archi acuti longitudinali slanciati sulle altecolonne e il classico giuoco prospettico dei grandi arco-ni trasversali e longitudinali; classico anche quando leproporzioni molto slanciate del santuario e della navetrasversa (Duomo di Cefalù) o di tutta la zona centralecompresa la nave maggiore (San Pietro e Paolo d'Agrò)rivelano venature di gusto settentrionale, ritmo, chiarez-za e solennità veramente latina nel Duomo di Monreale.È la cattedrale di Cefalù la più ricca di venature esoti-che: influenze lombarde nel portale d'ingresso e nellesculture di qualche capitello figurativo; influenzedell'Asia Minore nella decorazione esterna dell'absideprincipale, a binati di colonne sottilissime; influenze giàgotiche nei costoloni sotto le volte a crociere del santua-rio, in cui O. J. Lambert volle vedere influenze francesi;influenze di gusto normanno «inglese» in quel caratteri-stico loggiato di coronamento e di manovra (clerestory)che però il professor Samonà ritiene opera tardiva, comecertamente dugentesca è la parte superiore della facciatae, secondo alcuni, della fine del XII secolo sarebbero i

44

con decorazione geometrica di gusto arabo, al di sotto diuna caratteristica striscia in marmo con ornamenti inmosaico a merlatura, anch'essa di gusto arabo, che for-ma separazione fra le due zone. Un'armonia veramentesuperiore è insita a questo sfarzo decorativo, per cui sul-lo scintillio delle tessere dorate, sull'accordo basso ditanti colori, dominano sempre le linee architettoniche: lafuga degli archi acuti longitudinali slanciati sulle altecolonne e il classico giuoco prospettico dei grandi arco-ni trasversali e longitudinali; classico anche quando leproporzioni molto slanciate del santuario e della navetrasversa (Duomo di Cefalù) o di tutta la zona centralecompresa la nave maggiore (San Pietro e Paolo d'Agrò)rivelano venature di gusto settentrionale, ritmo, chiarez-za e solennità veramente latina nel Duomo di Monreale.È la cattedrale di Cefalù la più ricca di venature esoti-che: influenze lombarde nel portale d'ingresso e nellesculture di qualche capitello figurativo; influenzedell'Asia Minore nella decorazione esterna dell'absideprincipale, a binati di colonne sottilissime; influenze giàgotiche nei costoloni sotto le volte a crociere del santua-rio, in cui O. J. Lambert volle vedere influenze francesi;influenze di gusto normanno «inglese» in quel caratteri-stico loggiato di coronamento e di manovra (clerestory)che però il professor Samonà ritiene opera tardiva, comecertamente dugentesca è la parte superiore della facciatae, secondo alcuni, della fine del XII secolo sarebbero i

44

mosaici (finora ritenuti i più perfetti bizantini), i costo-loni e tutto il santuario21.

Invece una decisa accentuazione degli elementi latinia detrimento di quelli bizantini e arabi si ritrovava nellacattedrale di Messina così come l'ha rivelata il terremotodel 1908, cioè violentemente liberata dalle superfetazio-ni dei secoli successivi: per modo che essa è tornata adapparire come in origine, quasi la testa di ponte in Sici-lia della serie di cattedrali coeve di gusto più latino, cheincontriamo in Campania e in Puglia. Se negli anni dellacostruzione documenti storici ci attestano lotte locali frala popolazione latina e quella greca (i grifoni), lotte chepotrebbero spiegare una reazione contro l'invadenzadell'elemento greco preponderante nel messinese, è cer-to che la nudità e severità di questa primitiva concezio-ne rispose assai poco al gusto siciliano d'allora: così chegià, dopo l'incendio del primitivo tetto, nel 1259 il tettofu rifatto a emulazione degli altri ricchissimi; e sotto gliaragonesi, per iniziativa di un vescovo megalomane, ditutto l'edificio fu iniziata la trasformazione in un monu-

21 Lo stesso professor Samonà ha da recente, del resto, docu-mentato una corrente limitata al retroterra di Cefalù, dovuta aimonaci di San Leonardo insieme ai canonici regolari di Sant'Ago-stino e ai premonstratensi, ordini monastici di educazione preva-lentemente francese, che eressero chiesette nel territorio di Cefalùcon tracce di gusto esotico, e anteriori di circa trent'anni al sorge-re delle chiese monastiche cistercensi, la prima delle quali era inprovincia di Messina (Santa Maria di Roccamatore presso Treme-stieri) non prima del 1197 e in provincia di Palermo Santo Spirito,anteriore di circa vent'anni.

45

mosaici (finora ritenuti i più perfetti bizantini), i costo-loni e tutto il santuario21.

Invece una decisa accentuazione degli elementi latinia detrimento di quelli bizantini e arabi si ritrovava nellacattedrale di Messina così come l'ha rivelata il terremotodel 1908, cioè violentemente liberata dalle superfetazio-ni dei secoli successivi: per modo che essa è tornata adapparire come in origine, quasi la testa di ponte in Sici-lia della serie di cattedrali coeve di gusto più latino, cheincontriamo in Campania e in Puglia. Se negli anni dellacostruzione documenti storici ci attestano lotte locali frala popolazione latina e quella greca (i grifoni), lotte chepotrebbero spiegare una reazione contro l'invadenzadell'elemento greco preponderante nel messinese, è cer-to che la nudità e severità di questa primitiva concezio-ne rispose assai poco al gusto siciliano d'allora: così chegià, dopo l'incendio del primitivo tetto, nel 1259 il tettofu rifatto a emulazione degli altri ricchissimi; e sotto gliaragonesi, per iniziativa di un vescovo megalomane, ditutto l'edificio fu iniziata la trasformazione in un monu-

21 Lo stesso professor Samonà ha da recente, del resto, docu-mentato una corrente limitata al retroterra di Cefalù, dovuta aimonaci di San Leonardo insieme ai canonici regolari di Sant'Ago-stino e ai premonstratensi, ordini monastici di educazione preva-lentemente francese, che eressero chiesette nel territorio di Cefalùcon tracce di gusto esotico, e anteriori di circa trent'anni al sorge-re delle chiese monastiche cistercensi, la prima delle quali era inprovincia di Messina (Santa Maria di Roccamatore presso Treme-stieri) non prima del 1197 e in provincia di Palermo Santo Spirito,anteriore di circa vent'anni.

45

mento ricchissimo, coi mosaici nel pavimento e la deco-razione marmorea della facciata, di gusto prevalente-mente trecentesco: superfetazione protrattasi sino alXVII secolo.

Anche in fatto di campanili la cattedrale di Messina ciporgeva l'esempio, con l'unico suo campanile isolato asinistra della facciata, del tipo più italiano, in confrontoai due campanili che fiancheggiano la facciata, a Cefalùe a Monreale; o ai quattro più esili posti ai quattro ango-li della cattedrale di Palermo (in origine solo torri scala-rie), i quali però con i coronamenti superiori arrivano aitempi aragonesi. Ma il più bello resta il piccolo tardocampanile ora sul fronte della cosiddetta «Martorana», aPalermo; che però, prima del prolungamento barocco ditale bizantineggiante chiesa di Santa Maria dell'Ammi-raglio, era a eguale distanza fra essa e la contigua chiesadi San Cataldo e però pare servisse a entrambe. Vi ritro-viamo quel perfetto gusto in cui gli elementi componen-ti han raggiunto la completa fusione che ammiriamo sot-to i Guglielmi, nei monumenti eretti dai re o dai dignita-ri di corte, e che ha l'esempio più splendido nella parteabsidale della cattedrale di Monreale. Qui l'occhio passacon ugual godimento dalla composizione delle masse ci-lindriche al gioco delle arcature decorative intersecanti-si, e infine al fasto orientale delle decorazioni policro-me, ottenute con l'intarsiatura geometrica di tufo di va-rio colore, pomice rosso-nera e listature di mattoni rossi.In tono minore la stessa ornata architettura offrono lefabbriche del contiguo convento benedettino. Dal lato

46

mento ricchissimo, coi mosaici nel pavimento e la deco-razione marmorea della facciata, di gusto prevalente-mente trecentesco: superfetazione protrattasi sino alXVII secolo.

Anche in fatto di campanili la cattedrale di Messina ciporgeva l'esempio, con l'unico suo campanile isolato asinistra della facciata, del tipo più italiano, in confrontoai due campanili che fiancheggiano la facciata, a Cefalùe a Monreale; o ai quattro più esili posti ai quattro ango-li della cattedrale di Palermo (in origine solo torri scala-rie), i quali però con i coronamenti superiori arrivano aitempi aragonesi. Ma il più bello resta il piccolo tardocampanile ora sul fronte della cosiddetta «Martorana», aPalermo; che però, prima del prolungamento barocco ditale bizantineggiante chiesa di Santa Maria dell'Ammi-raglio, era a eguale distanza fra essa e la contigua chiesadi San Cataldo e però pare servisse a entrambe. Vi ritro-viamo quel perfetto gusto in cui gli elementi componen-ti han raggiunto la completa fusione che ammiriamo sot-to i Guglielmi, nei monumenti eretti dai re o dai dignita-ri di corte, e che ha l'esempio più splendido nella parteabsidale della cattedrale di Monreale. Qui l'occhio passacon ugual godimento dalla composizione delle masse ci-lindriche al gioco delle arcature decorative intersecanti-si, e infine al fasto orientale delle decorazioni policro-me, ottenute con l'intarsiatura geometrica di tufo di va-rio colore, pomice rosso-nera e listature di mattoni rossi.In tono minore la stessa ornata architettura offrono lefabbriche del contiguo convento benedettino. Dal lato

46

meridionale della chiesa, fra essa e il convento si svolgein quadrato il chiostro meraviglioso su binati di colonnein profondità e gruppi di quattro colonne angolari.

I fusti sono alternativamente semplici od ornati dimosaici, i capitelli offrono la serie più ricca e più variadi scultura che si trovi nel medioevo in Sicilia. Problemisingolari pone il ricadere tronco delle ghiere robusta-mente sagomate dagli archi sui binati di colonne, ritenu-to effetto di modifiche sveve dal Boito e invece sostenu-to originario normanno dal Giovannoni.

Chiostri simili, ma meno belli, hanno la cattedrale diCefalù e le chiese di San Giovanni degli Eremiti e dellaTrinità o della Magione dei Cavalieri teutonici a Paler-mo. Ma la grazia indicibile della fontana marmorea ri-cinta da portichetto quadrato all'angolo e con l'architet-tura vigorosa di chiaroscuro e ricca di policromia delportico maggiore è unica ed esclusiva di Monreale. For-se per la protezione accordata dal salernitano dignitariodi corte e gran cancelliere Matteo d'Aiello all'arcivesco-vo Romualdo Guarna, le maestranze siculo-arabe cheavevano lavorato alle cattedrali di Monreale e di Paler-mo, e che alla morte di Guglielmo II fuggivano la perse-cuzione dei siculo-latini, son passate nel Salernitanodove, sul finire del XII secolo e nel secolo successivo,cioè in tempi già svevi, quest'arte siciliana ha avuto unatarda fioritura con caratteri locali, specie ad Amalfi e a

47

meridionale della chiesa, fra essa e il convento si svolgein quadrato il chiostro meraviglioso su binati di colonnein profondità e gruppi di quattro colonne angolari.

I fusti sono alternativamente semplici od ornati dimosaici, i capitelli offrono la serie più ricca e più variadi scultura che si trovi nel medioevo in Sicilia. Problemisingolari pone il ricadere tronco delle ghiere robusta-mente sagomate dagli archi sui binati di colonne, ritenu-to effetto di modifiche sveve dal Boito e invece sostenu-to originario normanno dal Giovannoni.

Chiostri simili, ma meno belli, hanno la cattedrale diCefalù e le chiese di San Giovanni degli Eremiti e dellaTrinità o della Magione dei Cavalieri teutonici a Paler-mo. Ma la grazia indicibile della fontana marmorea ri-cinta da portichetto quadrato all'angolo e con l'architet-tura vigorosa di chiaroscuro e ricca di policromia delportico maggiore è unica ed esclusiva di Monreale. For-se per la protezione accordata dal salernitano dignitariodi corte e gran cancelliere Matteo d'Aiello all'arcivesco-vo Romualdo Guarna, le maestranze siculo-arabe cheavevano lavorato alle cattedrali di Monreale e di Paler-mo, e che alla morte di Guglielmo II fuggivano la perse-cuzione dei siculo-latini, son passate nel Salernitanodove, sul finire del XII secolo e nel secolo successivo,cioè in tempi già svevi, quest'arte siciliana ha avuto unatarda fioritura con caratteri locali, specie ad Amalfi e a

47

Ravello, ma anche a Salerno e più su, sino a CasertaVecchia22.

Gli stessi caratteri di costruzioni murarie latine me-scolati con bizantini, e qui sopraffatti da nuovi contribu-ti arabi, troviamo nell'architettura civile e militare: sianei rari esempi di abitazioni private superstiti (casa deiMartorana in Palermo) che nei palazzi dei re normanni,sia nelle dimore di delizia che, circondate da sontuoseville, peschiere, chioschi ecc., formavano intorno allacittà nei parchi reali «come una splendida collana intor-no al collo di una giovane donna», al dire di un poetaarabo; sia infine nei pochi castelli che ancora ci riman-gono dei tempi normanni. E anche nel campo civile emilitare quest'architettura siciliana ha avuto la tarda irra-diazione sulle coste tirrene dell'Italia meridionale (bastacitare per tutte la villa-palazzo Rufolo a Ravello) già no-tata nell'architettura religiosa.

22 Le influenze dell'architettura siciliana arrivano illanguiditeperfino sulle coste dell'Italia centrale: sono state avvertite a Gae-ta, Terracina, fin anche in qualche chiesa di Tarquinia. Questa tar-da irradiazione dell'arte aulica formatasi intorno a Palermo nei re-gni normanni dei Guglielmi, esaltando i caratteri associati delledue distinte correnti notate a principio, nel tempo della Contea, haindotto il Bertaux a parlare di un'«arte siculo-campana», e il Gio-vannoni di «arte tirrena», per includervi gli influssi che indiretta-mente, attraverso i contatti campani, ha esercitato sui marmorariromani nel XIII secolo. Così si sarebbe determinata nel gotico ita-liano una corrente agente da sud, che avrebbe contribuito alla for-mazione di caratteri italiani nell'arte gotica della penisola.

48

Ravello, ma anche a Salerno e più su, sino a CasertaVecchia22.

Gli stessi caratteri di costruzioni murarie latine me-scolati con bizantini, e qui sopraffatti da nuovi contribu-ti arabi, troviamo nell'architettura civile e militare: sianei rari esempi di abitazioni private superstiti (casa deiMartorana in Palermo) che nei palazzi dei re normanni,sia nelle dimore di delizia che, circondate da sontuoseville, peschiere, chioschi ecc., formavano intorno allacittà nei parchi reali «come una splendida collana intor-no al collo di una giovane donna», al dire di un poetaarabo; sia infine nei pochi castelli che ancora ci riman-gono dei tempi normanni. E anche nel campo civile emilitare quest'architettura siciliana ha avuto la tarda irra-diazione sulle coste tirrene dell'Italia meridionale (bastacitare per tutte la villa-palazzo Rufolo a Ravello) già no-tata nell'architettura religiosa.

22 Le influenze dell'architettura siciliana arrivano illanguiditeperfino sulle coste dell'Italia centrale: sono state avvertite a Gae-ta, Terracina, fin anche in qualche chiesa di Tarquinia. Questa tar-da irradiazione dell'arte aulica formatasi intorno a Palermo nei re-gni normanni dei Guglielmi, esaltando i caratteri associati delledue distinte correnti notate a principio, nel tempo della Contea, haindotto il Bertaux a parlare di un'«arte siculo-campana», e il Gio-vannoni di «arte tirrena», per includervi gli influssi che indiretta-mente, attraverso i contatti campani, ha esercitato sui marmorariromani nel XIII secolo. Così si sarebbe determinata nel gotico ita-liano una corrente agente da sud, che avrebbe contribuito alla for-mazione di caratteri italiani nell'arte gotica della penisola.

48

Il più celebre palazzo, insieme dimora turrita e villaregale di delizia per tal preponderante carattere arabo èla così detta «Zisa» di Palermo; ma anche interessantisono la «Cuba», il castello della Favara di Maredolce, iresti dello Scibene, già creduti di Menani, e – fra i ca-stelli – il Castellaccio sopra Monreale, e alcune parti diquello all'ingresso dell'antico porto (La Cala) in Paler-mo, di quello di Caccamo, qualche torre del castello diSanta Lucia del Mela ecc. Domina su tutti quella splen-dida dimora fortificata che è il Palazzo Reale di Paler-mo23, con la sua anche più splendida cappella reale, cioèla Cappella Palatina di San Pietro, dagli archi nettamen-te arabi, dal lungo soprassesto, dalla cupoletta bizantinapreziosa di mosaici, dal meraviglioso soffitto a stalattiti;in cui l'arte araba prepara, come in Ispagna, quell'artemudejar di cui sarà splendido esempio la sala dei baroninel palazzo dei Chiaramonte (il così detto Steri di Paler-mo) nella seconda metà del XIV secolo. Quantunque ri-salga ai tempi di Ruggero II, ci piace chiudere con que-sto perfetto gioiello architettonico, e nel contempo scri-gno di tesori decorativi, certo il più affascinante che ciabbiano lasciato i normanni, la rapida rassegna dei teso-ri di quel glorioso periodo.

23 Restaurato da recente e studiato dal Sovraintendente archi-tetto Valenti.

49

Il più celebre palazzo, insieme dimora turrita e villaregale di delizia per tal preponderante carattere arabo èla così detta «Zisa» di Palermo; ma anche interessantisono la «Cuba», il castello della Favara di Maredolce, iresti dello Scibene, già creduti di Menani, e – fra i ca-stelli – il Castellaccio sopra Monreale, e alcune parti diquello all'ingresso dell'antico porto (La Cala) in Paler-mo, di quello di Caccamo, qualche torre del castello diSanta Lucia del Mela ecc. Domina su tutti quella splen-dida dimora fortificata che è il Palazzo Reale di Paler-mo23, con la sua anche più splendida cappella reale, cioèla Cappella Palatina di San Pietro, dagli archi nettamen-te arabi, dal lungo soprassesto, dalla cupoletta bizantinapreziosa di mosaici, dal meraviglioso soffitto a stalattiti;in cui l'arte araba prepara, come in Ispagna, quell'artemudejar di cui sarà splendido esempio la sala dei baroninel palazzo dei Chiaramonte (il così detto Steri di Paler-mo) nella seconda metà del XIV secolo. Quantunque ri-salga ai tempi di Ruggero II, ci piace chiudere con que-sto perfetto gioiello architettonico, e nel contempo scri-gno di tesori decorativi, certo il più affascinante che ciabbiano lasciato i normanni, la rapida rassegna dei teso-ri di quel glorioso periodo.

23 Restaurato da recente e studiato dal Sovraintendente archi-tetto Valenti.

49

L'architettura dei tempi svevi e

angioini

Se l'architettura che ci rimane dei tempi normanni èprevalentemente religiosa, quella degli Svevi è essen-zialmente militare; ed è anche fortemente segnata dallavolitiva personalità del grande imperatore Federico II diHohenstaufen. I suoi grandi disegni politici versol'Oriente, che dovevano portarlo sino a Gerusalemme, loindussero a rivedere il sistema di fortificazioni non tantodelle province occidentali quanto di quelle orientali diSicilia. Egli dovette ritenere sufficienti le difese appre-state dai normanni specie in Val di Mazzara24, in cuisolo qualche punto strategico centrale (Salemi, Giulia-na) attirò la sua attenzione, come l'aveva attirato del re-sto il centro, il così detto umbilico della Sicilia, cioèEnna, e la non lontana Agira; ma armò potentemente lecoste del Val di Noto e di Val Demenna (Val Démone).Dal castello di Caltagirone a quello di Messina e di Mi-lazzo è una successione d'opere poderose, di cui le for-tezze di Siracusa (Castel Maniace), Augusta, Catania(castello Ursino) sono le più conservate. Una documen-tazione minuta, benché purtroppo limitata al periodo dal

24 «Vallo» ebbe non propriamente significato orografico, mavalore di una delle divisioni dell'intera Sicilia in tre zone.

50

L'architettura dei tempi svevi e

angioini

Se l'architettura che ci rimane dei tempi normanni èprevalentemente religiosa, quella degli Svevi è essen-zialmente militare; ed è anche fortemente segnata dallavolitiva personalità del grande imperatore Federico II diHohenstaufen. I suoi grandi disegni politici versol'Oriente, che dovevano portarlo sino a Gerusalemme, loindussero a rivedere il sistema di fortificazioni non tantodelle province occidentali quanto di quelle orientali diSicilia. Egli dovette ritenere sufficienti le difese appre-state dai normanni specie in Val di Mazzara24, in cuisolo qualche punto strategico centrale (Salemi, Giulia-na) attirò la sua attenzione, come l'aveva attirato del re-sto il centro, il così detto umbilico della Sicilia, cioèEnna, e la non lontana Agira; ma armò potentemente lecoste del Val di Noto e di Val Demenna (Val Démone).Dal castello di Caltagirone a quello di Messina e di Mi-lazzo è una successione d'opere poderose, di cui le for-tezze di Siracusa (Castel Maniace), Augusta, Catania(castello Ursino) sono le più conservate. Una documen-tazione minuta, benché purtroppo limitata al periodo dal

24 «Vallo» ebbe non propriamente significato orografico, mavalore di una delle divisioni dell'intera Sicilia in tre zone.

50

1232 al 1245, ci attesta come continuamente anche dalontano, il grande imperatore e re di Sicilia seguisse espronasse tali opere, scrivendo continuamente, dando ledirettive, approvando le opere fatte; o chiedendo al pre-posto alle fortificazioni – l'infaticabile siciliano Riccar-do da Lentini – di recarsi personalmente da lui, per sot-toporgli i disegni e ricevere gli ordini per l'esecuzione.Egli – che oltre a essere re di Sicilia era anche imperato-re di Germania e si sentiva, come l'avo Barbarossa, ere-de del Sacro Romano Impero, egli che fu definito im-mutator mirabilis – ci si rivela anche in architettura conl'originale disegno di fondere, in una quasi rinascita, daun lato il gusto e la magnificenza imperiale romana, edall'altro le innovazioni delle forme e dei sistemi co-struttivi gotici cui aveva accordato il suo favore, e cheebbero infatti in Sicilia introduzione da lui per gli edificicivili e militari. Per l'architettura religiosa erano state in-trodotte, sotto il segno del padre Enrico VI di Svevia,dall'ordine cistercense, per il quale – dopo un breve pri-mo periodo di opposizione – gli Svevi in Sicilia ebberosimpatie. Ma il grande svevo lasciò agli architetti diquest'ordine la cura dell'architettura religiosa e assunsepersonalmente quella dell'architettura militare e civile.Oltre alle residenze di caccia anche tutti i castelli impe-riali sono stati pensati come eventuali dimore dell'irre-quieto sovrano. Se, non pertanto, il distacco artistico frale due categorie di edifici non è sensibile, ciò si deve alfatto che da una parte l'architettura religiosa cistercensein Sicilia non ha così spiccati caratteri borgognoni come

51

1232 al 1245, ci attesta come continuamente anche dalontano, il grande imperatore e re di Sicilia seguisse espronasse tali opere, scrivendo continuamente, dando ledirettive, approvando le opere fatte; o chiedendo al pre-posto alle fortificazioni – l'infaticabile siciliano Riccar-do da Lentini – di recarsi personalmente da lui, per sot-toporgli i disegni e ricevere gli ordini per l'esecuzione.Egli – che oltre a essere re di Sicilia era anche imperato-re di Germania e si sentiva, come l'avo Barbarossa, ere-de del Sacro Romano Impero, egli che fu definito im-mutator mirabilis – ci si rivela anche in architettura conl'originale disegno di fondere, in una quasi rinascita, daun lato il gusto e la magnificenza imperiale romana, edall'altro le innovazioni delle forme e dei sistemi co-struttivi gotici cui aveva accordato il suo favore, e cheebbero infatti in Sicilia introduzione da lui per gli edificicivili e militari. Per l'architettura religiosa erano state in-trodotte, sotto il segno del padre Enrico VI di Svevia,dall'ordine cistercense, per il quale – dopo un breve pri-mo periodo di opposizione – gli Svevi in Sicilia ebberosimpatie. Ma il grande svevo lasciò agli architetti diquest'ordine la cura dell'architettura religiosa e assunsepersonalmente quella dell'architettura militare e civile.Oltre alle residenze di caccia anche tutti i castelli impe-riali sono stati pensati come eventuali dimore dell'irre-quieto sovrano. Se, non pertanto, il distacco artistico frale due categorie di edifici non è sensibile, ciò si deve alfatto che da una parte l'architettura religiosa cistercensein Sicilia non ha così spiccati caratteri borgognoni come

51

altrove, ma spesso anzi mescola ai caratteri gotici qual-che sopravvivenza siculo-normanna; e dall'altro latol'imperatore non accentua nelle fortificazioni di Sicilia ilcarattere romano, così evidente per esempio in Puglia,nel portale del magnifico Castel del Monte, e in Campa-nia, a Capua, nell'arco fortificato che il potente Ghibelli-no aveva fatto porre come testa di ponte sul Garigliano:ammonimento e attestato della sua forza al confine conlo stato pontificio.

Il tipo perfetto è nel castello di Siracusa: una piantaregolarissima a scacchiera, con robusti pilastri poligona-li a ogni vertice, e con volte costolonate su ciascun qua-drato – tranne sul quadrato centrale, lasciato scopertoper illuminare tutta la zona intorno – e con torri cilindri-che ai quattro vertici esterni (e nel castello Ursino anchea fiancheggiare le intermedie porte d'ingresso). I costo-loni si diramano in tutti i sensi, al di sopra dei capitelliuncinati dei pilastri, come nervature di palmizi; e i lega-menti inclinati fra gli uncini dei capitelli richiamanoqualche volta quell'aprirsi delle costole delle palmeall'inserirsi col tronco.

L'intaglio delle pietre di cortina è veramente perfetto.Magnifici, monumentali camini (il più conservato è alcastello, ora carceri, di Milazzo) e finestre polifore ab-belliscono le pareti, le quali ricevono il massimo splen-dore da robusti portali fortemente chiaroscurati, inta-gliati in marmi variopinti. Sui lati del portale d'ingressodi Siracusa l'imperatore, amante delle belle sculture

52

altrove, ma spesso anzi mescola ai caratteri gotici qual-che sopravvivenza siculo-normanna; e dall'altro latol'imperatore non accentua nelle fortificazioni di Sicilia ilcarattere romano, così evidente per esempio in Puglia,nel portale del magnifico Castel del Monte, e in Campa-nia, a Capua, nell'arco fortificato che il potente Ghibelli-no aveva fatto porre come testa di ponte sul Garigliano:ammonimento e attestato della sua forza al confine conlo stato pontificio.

Il tipo perfetto è nel castello di Siracusa: una piantaregolarissima a scacchiera, con robusti pilastri poligona-li a ogni vertice, e con volte costolonate su ciascun qua-drato – tranne sul quadrato centrale, lasciato scopertoper illuminare tutta la zona intorno – e con torri cilindri-che ai quattro vertici esterni (e nel castello Ursino anchea fiancheggiare le intermedie porte d'ingresso). I costo-loni si diramano in tutti i sensi, al di sopra dei capitelliuncinati dei pilastri, come nervature di palmizi; e i lega-menti inclinati fra gli uncini dei capitelli richiamanoqualche volta quell'aprirsi delle costole delle palmeall'inserirsi col tronco.

L'intaglio delle pietre di cortina è veramente perfetto.Magnifici, monumentali camini (il più conservato è alcastello, ora carceri, di Milazzo) e finestre polifore ab-belliscono le pareti, le quali ricevono il massimo splen-dore da robusti portali fortemente chiaroscurati, inta-gliati in marmi variopinti. Sui lati del portale d'ingressodi Siracusa l'imperatore, amante delle belle sculture

52

classiche, aveva fatto porre i due superbi antichi arieti dibronzo, di cui uno ora orna il museo di Palermo.

In questo periodo le proporzioni sono studiate concura; gli archi – un po' più acuti che nel tempo norman-no – non sono ancora così appuntiti come di poi nel tar-do gotico; le sagomature raffinate rivelano un intuito si-curo degli effetti chiaroscurali, forti ma senza durezza;gli ornamenti sono parchi e non invadono le sagome ar-chitettoniche; certi particolari (come i cosiddetti conge-di delle sagomature, specie degli archi) denotano finez-ze ed eleganze sobriamente contenute. Anche se qualcheeffetto policromo sussiste, il valore espressivo diquest'architettura è principalmente plastico, affidato cioèal potente chiaroscuro.

Si è voluto ritenere di arte inferiore il castello Ursino,dove non si trova la perfezione degli intagli dei para-menti murari, e siccome è accertato dalle lettere ch'essoè opera di Riccardo da Lentini, si è pensato che il sici-liano imitasse, senza raggiungerne la perfezione, l'operaprecedente di architetti francesi25. Questa teoria è basatasu una preconcetta interpretazione dei documenti storici:l'Haseloff ha dimostrato l'errore, del resto spiegabile e incerto senso patriottico, del Bertaux che, studiando exnovo i monumenti dell'Italia meridionale, senza una pariconoscenza degli altri contemporanei di Sicilia, venne aconclusioni per lo meno esagerate: affermando che

25 Sotto la spinta del Bertaux, che aveva dedotto da un docu-mento la collaborazione di Filippo Chinard a Castel del Monte.

53

classiche, aveva fatto porre i due superbi antichi arieti dibronzo, di cui uno ora orna il museo di Palermo.

In questo periodo le proporzioni sono studiate concura; gli archi – un po' più acuti che nel tempo norman-no – non sono ancora così appuntiti come di poi nel tar-do gotico; le sagomature raffinate rivelano un intuito si-curo degli effetti chiaroscurali, forti ma senza durezza;gli ornamenti sono parchi e non invadono le sagome ar-chitettoniche; certi particolari (come i cosiddetti conge-di delle sagomature, specie degli archi) denotano finez-ze ed eleganze sobriamente contenute. Anche se qualcheeffetto policromo sussiste, il valore espressivo diquest'architettura è principalmente plastico, affidato cioèal potente chiaroscuro.

Si è voluto ritenere di arte inferiore il castello Ursino,dove non si trova la perfezione degli intagli dei para-menti murari, e siccome è accertato dalle lettere ch'essoè opera di Riccardo da Lentini, si è pensato che il sici-liano imitasse, senza raggiungerne la perfezione, l'operaprecedente di architetti francesi25. Questa teoria è basatasu una preconcetta interpretazione dei documenti storici:l'Haseloff ha dimostrato l'errore, del resto spiegabile e incerto senso patriottico, del Bertaux che, studiando exnovo i monumenti dell'Italia meridionale, senza una pariconoscenza degli altri contemporanei di Sicilia, venne aconclusioni per lo meno esagerate: affermando che

25 Sotto la spinta del Bertaux, che aveva dedotto da un docu-mento la collaborazione di Filippo Chinard a Castel del Monte.

53

l'accettazione delle forme gotiche da parte dell'imperato-re sia avvenuta solo nell'ultimo periodo e per opera distranieri, francesi di nascita o di cultura. La frammenta-rietà del Registro fredericiano – fonte principale dellenotizie sicure – se prova da un lato in modo inconfutabi-le che il costruttore siciliano dirigesse le fabbriche delcastello Ursino, non esclude che egli avesse tenuto lacarica di preposito alle costruzioni precedenti. Di esse ilcastello di Augusta e quello di Siracusa erano già com-piuti. L'ordine (che ci è conservato in una letteradell'imperatore) che il parametro d'intaglio murario dicastello Ursino fosse limitato a una canna fuori terra, ele indicazioni tutte dell'urgenza delle opere e della limi-tatezza dei fondi – insieme colla constatazione dell'enor-me differenza di bontà dei materiali d'intaglio fra una re-gione lavica come Catania e una regione geologicamen-te privilegiata come Siracusa – porterebbero piuttosto aconcludere che il castello Ursino non per incapacità delcostruttore, ma per contingenze estrinseche (era anche ilpiù vasto) sia riuscito un'opera meno perfetta. Gli scro-stamenti e i restauri da recente avvenuti in quel monu-mento confermerebbero in pieno questa diversa inter-pretazione storica: mezzi assai più modesti, urgenza ditempo per un'opera più vasta, ma non una concezione euna direzione tecnica più scadente. Non c'è ragionequindi per togliere a Riccardo da Lentini le opere prece-denti e quella fiducia e quelle lodi che l'imperatore stes-

54

l'accettazione delle forme gotiche da parte dell'imperato-re sia avvenuta solo nell'ultimo periodo e per opera distranieri, francesi di nascita o di cultura. La frammenta-rietà del Registro fredericiano – fonte principale dellenotizie sicure – se prova da un lato in modo inconfutabi-le che il costruttore siciliano dirigesse le fabbriche delcastello Ursino, non esclude che egli avesse tenuto lacarica di preposito alle costruzioni precedenti. Di esse ilcastello di Augusta e quello di Siracusa erano già com-piuti. L'ordine (che ci è conservato in una letteradell'imperatore) che il parametro d'intaglio murario dicastello Ursino fosse limitato a una canna fuori terra, ele indicazioni tutte dell'urgenza delle opere e della limi-tatezza dei fondi – insieme colla constatazione dell'enor-me differenza di bontà dei materiali d'intaglio fra una re-gione lavica come Catania e una regione geologicamen-te privilegiata come Siracusa – porterebbero piuttosto aconcludere che il castello Ursino non per incapacità delcostruttore, ma per contingenze estrinseche (era anche ilpiù vasto) sia riuscito un'opera meno perfetta. Gli scro-stamenti e i restauri da recente avvenuti in quel monu-mento confermerebbero in pieno questa diversa inter-pretazione storica: mezzi assai più modesti, urgenza ditempo per un'opera più vasta, ma non una concezione euna direzione tecnica più scadente. Non c'è ragionequindi per togliere a Riccardo da Lentini le opere prece-denti e quella fiducia e quelle lodi che l'imperatore stes-

54

so, ottimo intendente – se non progettista – gli attestanelle sue lettere26.

Assai più scarsi sono i monumenti religiosi di questoperiodo. È scomparsa la Badia di Roccamatore, pressoTremestieri, la prima che l'ordine cistercense abbia fon-dato in Sicilia, sotto l'esoso regno di Arrigo VI. SantaMaria di Messina, detta l'Alemanna perché assegnatacon l'ospedale annesso all'ordine teutonico cavallerescoe ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, è unmonumento originariamente dell'epoca sveva, ma inparte mutilo e in parte scomposto e rifatto, sia nell'ulti-mo Quattrocento sia tre secoli dopo. Comunque, insie-me con la antecedente cosiddetta «Badiazza» pressoMessina e con il più tardo San Francesco di Messina,costituisce l'insieme più importante di chiese del perio-do svevo in una stessa città di Sicilia. Strano questo ac-cumularsi dei resti monumentali dugenteschi più signifi-cativi in Messina, nonostante le distruzioni dei terremo-ti27. Ma è certo che – se si eccettua la chiesa cistercensedel Murgo, sperduta in una valle presso Agnone in pro-vincia di Siracusa28 – ciò che resta del Duecento chiesa-stico nell'abbazia di Maniace presso Bronte, in Santa

26 Bene ha fatto quindi Guido di Stefano a dissentire dalleteorie che l'Orsi stesso aveva accettate: almeno fin che gli studi,annunciati in sostegno delle induzioni del Bertaux, dall'architettofrancese O. J. Lambert, ma che si attendono ancora, non portinoargomenti più probanti e decisivi.

27 È anche attestato d'eccellenza di tecnica costruttiva.28 Segnalata dall'Orsi e illustrata dall'Agnello.

55

so, ottimo intendente – se non progettista – gli attestanelle sue lettere26.

Assai più scarsi sono i monumenti religiosi di questoperiodo. È scomparsa la Badia di Roccamatore, pressoTremestieri, la prima che l'ordine cistercense abbia fon-dato in Sicilia, sotto l'esoso regno di Arrigo VI. SantaMaria di Messina, detta l'Alemanna perché assegnatacon l'ospedale annesso all'ordine teutonico cavallerescoe ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, è unmonumento originariamente dell'epoca sveva, ma inparte mutilo e in parte scomposto e rifatto, sia nell'ulti-mo Quattrocento sia tre secoli dopo. Comunque, insie-me con la antecedente cosiddetta «Badiazza» pressoMessina e con il più tardo San Francesco di Messina,costituisce l'insieme più importante di chiese del perio-do svevo in una stessa città di Sicilia. Strano questo ac-cumularsi dei resti monumentali dugenteschi più signifi-cativi in Messina, nonostante le distruzioni dei terremo-ti27. Ma è certo che – se si eccettua la chiesa cistercensedel Murgo, sperduta in una valle presso Agnone in pro-vincia di Siracusa28 – ciò che resta del Duecento chiesa-stico nell'abbazia di Maniace presso Bronte, in Santa

26 Bene ha fatto quindi Guido di Stefano a dissentire dalleteorie che l'Orsi stesso aveva accettate: almeno fin che gli studi,annunciati in sostegno delle induzioni del Bertaux, dall'architettofrancese O. J. Lambert, ma che si attendono ancora, non portinoargomenti più probanti e decisivi.

27 È anche attestato d'eccellenza di tecnica costruttiva.28 Segnalata dall'Orsi e illustrata dall'Agnello.

55

Maria di Randazzo, nel San Nicola di Agrigento, nelDuomo di Castrogiovanni e in alcune chiesette di PiazzaArmerina29 non può competere per importanza col grup-po delle chiese di Messina. Nella quale città anche quelmonumento di arte decorativa, ch'era il tetto della catte-drale, cui in Francia si era dedicata una pubblicazionericcamente illustrata, era dello stesso periodo sebbeneancora di quel gusto siciliano fiorito sotto i Normanni:era stato rifatto dopo l'incendio del 1259; e il vescovoangioino, tristemente famoso per il tradimento a Corra-dino di Svevia, altro non vi aveva ordinato che fare di-pingere sulle aquile sveve i gigli di Francia30.

Lo stesso fenomeno di persistenza del gusto siculo-normanno si ritrova nella dugentesca facciata del Duo-mo di Cefalù, compiuta da un siciliano, certo Giovannidella Panittera, nel 1240. Dopo i recenti lavori fatti pres-so San Nicolò di Girgenti per conto della sovrintenden-za di Siracusa, i competenti di questo ufficio31 si sonoconvinti che nel monumento attuale siamo dinanzi a unaimitazione cinquecentesca sostituita in gran parte al mo-numento primitivo, specie all'interno. La cosa, quandosarà documentata, sposterà l'interesse del San Nicola di

29 Queste ultime illustrate da W. Leopold (Sizilianische Bau-ten des Mittelalters, 1917), ma alcune già segnalate da E. Mauce-ri ne L'arte di A. Venturi.

30 Secondo il Salinas, pertanto, nel tetto della cattedrale diMessina abbiamo un palinsesto svevo-angioino.

31 Specialmente l'architetto professor S. Agati, autore insiemecol professor E. Mauceri del Cicerone per la Sicilia.

56

Maria di Randazzo, nel San Nicola di Agrigento, nelDuomo di Castrogiovanni e in alcune chiesette di PiazzaArmerina29 non può competere per importanza col grup-po delle chiese di Messina. Nella quale città anche quelmonumento di arte decorativa, ch'era il tetto della catte-drale, cui in Francia si era dedicata una pubblicazionericcamente illustrata, era dello stesso periodo sebbeneancora di quel gusto siciliano fiorito sotto i Normanni:era stato rifatto dopo l'incendio del 1259; e il vescovoangioino, tristemente famoso per il tradimento a Corra-dino di Svevia, altro non vi aveva ordinato che fare di-pingere sulle aquile sveve i gigli di Francia30.

Lo stesso fenomeno di persistenza del gusto siculo-normanno si ritrova nella dugentesca facciata del Duo-mo di Cefalù, compiuta da un siciliano, certo Giovannidella Panittera, nel 1240. Dopo i recenti lavori fatti pres-so San Nicolò di Girgenti per conto della sovrintenden-za di Siracusa, i competenti di questo ufficio31 si sonoconvinti che nel monumento attuale siamo dinanzi a unaimitazione cinquecentesca sostituita in gran parte al mo-numento primitivo, specie all'interno. La cosa, quandosarà documentata, sposterà l'interesse del San Nicola di

29 Queste ultime illustrate da W. Leopold (Sizilianische Bau-ten des Mittelalters, 1917), ma alcune già segnalate da E. Mauce-ri ne L'arte di A. Venturi.

30 Secondo il Salinas, pertanto, nel tetto della cattedrale diMessina abbiamo un palinsesto svevo-angioino.

31 Specialmente l'architetto professor S. Agati, autore insiemecol professor E. Mauceri del Cicerone per la Sicilia.

56

Agrigento nel senso di estendere a tutte le altre provincedi Sicilia il fenomeno – documentato dal Samonà per laprovincia di Messina – del perdurare sino alle soglie delSeicento di un gusto locale, fors'anche popolaresco, peril medioevo, e specie per il medioevo romanico; mentretoglierà al monumento il valore dugentesco, che si ac-centrerà ancora di più nei monumenti di Messina.

Questi sono diversamente interessanti. L'Alemanna,anche mutila di facciata e di volte nella nave centrale erifatta in parte, com'è, resta – con i suoi complessi pila-stri polistili e le volte costolonate – l'unica chiesa delDuecento in Sicilia dagli elementi completamente goti-ci. Il San Francesco, se all'interno – con la sua grandeunica navata a copertura lignea, fiancheggiata da cap-pelle coperte a volta e con le sue tre absidi slanciate illu-minate da lunghe finestre e coperte a vele costolonate –presenta caratteri nettamente gotico-provenzali32, inmolti particolari, specie dell'esterno, e più nelle masse,denota la filiazione dal duomo di tempo normanno dellastessa città; ed era anch'esso coperto in legno, sia nellanavata longitudinale che nella trasversa. Comunque re-sterebbe il monumento dugentesco più imponentedell'isola se, in seguito al terremoto, non ne fossero rui-nate le navi e, poi, non fosse stato smontato tutto il restoper ricomporlo lievemente spostato dalla posizione pri-mitiva.

32 Forse è l'unico monumento siciliano in cui sia documenta-bile un'attività nel breve tempo angioino.

57

Agrigento nel senso di estendere a tutte le altre provincedi Sicilia il fenomeno – documentato dal Samonà per laprovincia di Messina – del perdurare sino alle soglie delSeicento di un gusto locale, fors'anche popolaresco, peril medioevo, e specie per il medioevo romanico; mentretoglierà al monumento il valore dugentesco, che si ac-centrerà ancora di più nei monumenti di Messina.

Questi sono diversamente interessanti. L'Alemanna,anche mutila di facciata e di volte nella nave centrale erifatta in parte, com'è, resta – con i suoi complessi pila-stri polistili e le volte costolonate – l'unica chiesa delDuecento in Sicilia dagli elementi completamente goti-ci. Il San Francesco, se all'interno – con la sua grandeunica navata a copertura lignea, fiancheggiata da cap-pelle coperte a volta e con le sue tre absidi slanciate illu-minate da lunghe finestre e coperte a vele costolonate –presenta caratteri nettamente gotico-provenzali32, inmolti particolari, specie dell'esterno, e più nelle masse,denota la filiazione dal duomo di tempo normanno dellastessa città; ed era anch'esso coperto in legno, sia nellanavata longitudinale che nella trasversa. Comunque re-sterebbe il monumento dugentesco più imponentedell'isola se, in seguito al terremoto, non ne fossero rui-nate le navi e, poi, non fosse stato smontato tutto il restoper ricomporlo lievemente spostato dalla posizione pri-mitiva.

32 Forse è l'unico monumento siciliano in cui sia documenta-bile un'attività nel breve tempo angioino.

57

Maggiori aderenze all'arte antecedente presenta la Ba-diazza, che sarebbe una originale trasformazione di unnucleo più antico a pianta centrica, con l'aggiunta dellenavate in tempi svevi, e con l'aggiunta di volte costolo-nate in tempi aragonesi, dopo l'incendio appiccatovi du-rante la rivoluzione dei Vespri Siciliani dalle truppe an-gioine. Queste trasformazioni vanno di pari passo con ledocumentazioni storiche, che assicurano la chiesa esserestata ai tempi normanni di un monastero di monache ba-siliane passate poi alla regola benedettina e in tempisvevi alla cistercense. Sono state notate in questa chiesaanomalie di gusto: capitelli di tecnica bizantina e altrinudi, di gusto cistercense, e altri ancora di gusto borgo-gnone pregotico. Un rinnovamento dell'ornato vegetalee le forme tipiche «contratte» sia delle profilature degliarchi sia dei capitelli uncinati della porta laterale e delledue colonne che arricchiscono l'abside centrale, e certeforme decorative delle mensole cul de lampe sorreggen-ti i costoloni, dimostrano insieme una certa evoluzionedi gusto in senso gotico. L'Enlart la ritenne tutta diun'epoca, e ne accentuò i caratteri gotici francesi dovutiai cistercensi, in armonia con la sua tesi (vedi Originesfrançaises de l'architecture gothique en Italie). Il Testine ha accentuato certe note simboliche (come il far inmodo che, sia nella facciata anteriore sia in quella poste-riore, sia guardando la prospettiva della navata centrale,sia guardando le due facce opposte del capo di croce, sivedessero sempre tre occhi). Il Venturi ne ha accentuatole note arabeggianti della trasformazione, ad archetti so-

58

Maggiori aderenze all'arte antecedente presenta la Ba-diazza, che sarebbe una originale trasformazione di unnucleo più antico a pianta centrica, con l'aggiunta dellenavate in tempi svevi, e con l'aggiunta di volte costolo-nate in tempi aragonesi, dopo l'incendio appiccatovi du-rante la rivoluzione dei Vespri Siciliani dalle truppe an-gioine. Queste trasformazioni vanno di pari passo con ledocumentazioni storiche, che assicurano la chiesa esserestata ai tempi normanni di un monastero di monache ba-siliane passate poi alla regola benedettina e in tempisvevi alla cistercense. Sono state notate in questa chiesaanomalie di gusto: capitelli di tecnica bizantina e altrinudi, di gusto cistercense, e altri ancora di gusto borgo-gnone pregotico. Un rinnovamento dell'ornato vegetalee le forme tipiche «contratte» sia delle profilature degliarchi sia dei capitelli uncinati della porta laterale e delledue colonne che arricchiscono l'abside centrale, e certeforme decorative delle mensole cul de lampe sorreggen-ti i costoloni, dimostrano insieme una certa evoluzionedi gusto in senso gotico. L'Enlart la ritenne tutta diun'epoca, e ne accentuò i caratteri gotici francesi dovutiai cistercensi, in armonia con la sua tesi (vedi Originesfrançaises de l'architecture gothique en Italie). Il Testine ha accentuato certe note simboliche (come il far inmodo che, sia nella facciata anteriore sia in quella poste-riore, sia guardando la prospettiva della navata centrale,sia guardando le due facce opposte del capo di croce, sivedessero sempre tre occhi). Il Venturi ne ha accentuatole note arabeggianti della trasformazione, ad archetti so-

58

vrapposti e sfalsati in pomice nera, dal quadrato centraledel santuario alla copertura a cupola interamente cordo-nata. Il Di Stefano infine la ritiene anche lui tutta ditempo svevo, e ha accentuato da un lato la somiglianzaassoluta fra la pianta attuale della Badiazza e quella del-la chiesa del Vespro a Palermo, del vescovo normannoGualtiero Offamilio (Walter of the Mill), e dall'altrol'aspetto più di palazzo che di chiesa, assunto dal santua-rio per la sua massa cubica e il doppio ordine di finestre.

Per noi la Badiazza rappresenta un'opera geniale cuiha dato unità il gusto tradizionale che si è imposto ancheattraverso le modificazioni occorse nel volgere dei tem-pi. Esso ha tratto risorse persino dai vincoli preesistenti,per esempio dalle necessità di sicurezza e di isolamentodi una chiesa accessibile al pubblico, ma principalmenteannessa a un convento di monache isolato in una vallein mezzo a boschi, e ha dato nel capo di croce la piùperfetta soluzione (cubo sormontato da cupola) al pro-blema della chiesa centrica a terrazze e con una sola cu-pola centrale; traendo partito da quattro ripiani angolariintermedi, due a due posti in comunicazione da brevipassaggi ricavati metà su una risega interna di muro,metà in sporgenza lignea a sbalzo. I due ripiani meridio-nali funzionavano da matronei, ed esiste ancora la portadi accesso, che, mediante arco a ponte, comunicava colmonastero, le cui murature ancora emergono dall'inter-ramento recente dal lato meridionale. I due ripiani dellato nord nei secoli XIII e XIV dovevano servire comeeventuale senatorium per fedeli di riguardo, e dovevano

59

vrapposti e sfalsati in pomice nera, dal quadrato centraledel santuario alla copertura a cupola interamente cordo-nata. Il Di Stefano infine la ritiene anche lui tutta ditempo svevo, e ha accentuato da un lato la somiglianzaassoluta fra la pianta attuale della Badiazza e quella del-la chiesa del Vespro a Palermo, del vescovo normannoGualtiero Offamilio (Walter of the Mill), e dall'altrol'aspetto più di palazzo che di chiesa, assunto dal santua-rio per la sua massa cubica e il doppio ordine di finestre.

Per noi la Badiazza rappresenta un'opera geniale cuiha dato unità il gusto tradizionale che si è imposto ancheattraverso le modificazioni occorse nel volgere dei tem-pi. Esso ha tratto risorse persino dai vincoli preesistenti,per esempio dalle necessità di sicurezza e di isolamentodi una chiesa accessibile al pubblico, ma principalmenteannessa a un convento di monache isolato in una vallein mezzo a boschi, e ha dato nel capo di croce la piùperfetta soluzione (cubo sormontato da cupola) al pro-blema della chiesa centrica a terrazze e con una sola cu-pola centrale; traendo partito da quattro ripiani angolariintermedi, due a due posti in comunicazione da brevipassaggi ricavati metà su una risega interna di muro,metà in sporgenza lignea a sbalzo. I due ripiani meridio-nali funzionavano da matronei, ed esiste ancora la portadi accesso, che, mediante arco a ponte, comunicava colmonastero, le cui murature ancora emergono dall'inter-ramento recente dal lato meridionale. I due ripiani dellato nord nei secoli XIII e XIV dovevano servire comeeventuale senatorium per fedeli di riguardo, e dovevano

59

avere accesso attraverso la terrazza che copre la navatasettentrionale e un ponte levatoio da torre con scalastaccata, a somiglianza di quanto avveniva fra Duomo ecampanile di Messina. La fiumara violenta in cui si ètrasformato il fondo valle col disboschimento degli ulti-mi secoli, e che tiene interrata dall'esterno questa chiesadi Santa Maria della Valle, ha distrutto questa torre-campanile isolata, e ha creato per gli storici il problemadel come fossero usati i ripiani settentrionali, creduti fi-nora anch'essi originali matronei (come di certo lo furo-no prima dell'aggiunta delle navate, quando la chiesa eraeffettivamente centrica).

Dalla chiesa del San Salvatore in Rometta, attraversola Torre Pisana del Palazzo Reale di Palermo (parte cen-trale) e poi attraverso la chiesa della Trinità di Delia, aquella di Santa Maria dell'Ammiraglio in Palermo e fi-nalmente al capo di croce di Santa Maria della Valle(Badiazza), lo studioso trova una continuità di tradizio-ne per risolvere con terrazze piane il giuoco delle massedell'aspetto esterno degli edifici centrici – diversamenteche con le quattro cupole minori angolari, com'era negliesempi bizantini della Calabria (la Cattolica di Stilo,San Marco di Rossano) – con la consapevolezza di dareuna soluzione siciliana. Per lumeggiare questo aspetto cisiamo trattenuti più a lungo sui problemi della Badiazza.La Badiazza ci illumina su un problema ancora nonchiarito, ma della massima importanza per la storiadell'architettura siciliana del periodo cosiddetto gotico ecioè quello della controcorrente isolana che ostacola le

60

avere accesso attraverso la terrazza che copre la navatasettentrionale e un ponte levatoio da torre con scalastaccata, a somiglianza di quanto avveniva fra Duomo ecampanile di Messina. La fiumara violenta in cui si ètrasformato il fondo valle col disboschimento degli ulti-mi secoli, e che tiene interrata dall'esterno questa chiesadi Santa Maria della Valle, ha distrutto questa torre-campanile isolata, e ha creato per gli storici il problemadel come fossero usati i ripiani settentrionali, creduti fi-nora anch'essi originali matronei (come di certo lo furo-no prima dell'aggiunta delle navate, quando la chiesa eraeffettivamente centrica).

Dalla chiesa del San Salvatore in Rometta, attraversola Torre Pisana del Palazzo Reale di Palermo (parte cen-trale) e poi attraverso la chiesa della Trinità di Delia, aquella di Santa Maria dell'Ammiraglio in Palermo e fi-nalmente al capo di croce di Santa Maria della Valle(Badiazza), lo studioso trova una continuità di tradizio-ne per risolvere con terrazze piane il giuoco delle massedell'aspetto esterno degli edifici centrici – diversamenteche con le quattro cupole minori angolari, com'era negliesempi bizantini della Calabria (la Cattolica di Stilo,San Marco di Rossano) – con la consapevolezza di dareuna soluzione siciliana. Per lumeggiare questo aspetto cisiamo trattenuti più a lungo sui problemi della Badiazza.La Badiazza ci illumina su un problema ancora nonchiarito, ma della massima importanza per la storiadell'architettura siciliana del periodo cosiddetto gotico ecioè quello della controcorrente isolana che ostacola le

60

infiltrazioni settentrionali abbeverandosi sempre ai mo-numenti del periodo normanno. Tale controcorrente saràesaltata quando studi particolari potranno ben distingue-re nel campanile della Martorana e nella cattedrale diCefalù e specialmente in quella di Palermo, le parti sve-ve da quelle veramente normanne e, nell'ultimo tempio,anche da quelle chiaramontane (trecentesche) che essastessa prepara. È appena posto il problema se e in chemisura siano stati completati in tempi svevi i chiostri diMonreale e della Trinità (Magione) a Palermo. Né l'ana-lisi documentaria né la stilistica – nonostante i contributirecenti di confronti stilistici33 fra le sculture dell'Ale-manna e dell'abbazia di Maniaci con le sculture famosedel primo dei detti chiostri – possono dirsi esaurientisotto tal riguardo. Così non possiamo dire sia ancorauscito dalla fase polemica per entrare in quella conclusi-va l'altro problema «mediterraneo» di più grande respi-ro, relativo all'azione di flusso o di riflusso tra Sicilia eTerrasanta nel periodo svevo: problema nato dalla con-statazione di evidenti somiglianze fra monumenti sici-liani e monumenti del tempo dei crociati in Palestina(Enlart, Spiers, G. di Stefano).

33 Dovuti a E. Mauceri e, specialmente, a L. Biagi.

61

infiltrazioni settentrionali abbeverandosi sempre ai mo-numenti del periodo normanno. Tale controcorrente saràesaltata quando studi particolari potranno ben distingue-re nel campanile della Martorana e nella cattedrale diCefalù e specialmente in quella di Palermo, le parti sve-ve da quelle veramente normanne e, nell'ultimo tempio,anche da quelle chiaramontane (trecentesche) che essastessa prepara. È appena posto il problema se e in chemisura siano stati completati in tempi svevi i chiostri diMonreale e della Trinità (Magione) a Palermo. Né l'ana-lisi documentaria né la stilistica – nonostante i contributirecenti di confronti stilistici33 fra le sculture dell'Ale-manna e dell'abbazia di Maniaci con le sculture famosedel primo dei detti chiostri – possono dirsi esaurientisotto tal riguardo. Così non possiamo dire sia ancorauscito dalla fase polemica per entrare in quella conclusi-va l'altro problema «mediterraneo» di più grande respi-ro, relativo all'azione di flusso o di riflusso tra Sicilia eTerrasanta nel periodo svevo: problema nato dalla con-statazione di evidenti somiglianze fra monumenti sici-liani e monumenti del tempo dei crociati in Palestina(Enlart, Spiers, G. di Stefano).

33 Dovuti a E. Mauceri e, specialmente, a L. Biagi.

61

Il Trecento

Nessun problema architettonico nuovo nasce conl'avvento degli Aragonesi alla fine del XIII secolo e neiprimi del XIV. Le trasformazioni di questo tempo, cheabbiamo visto nei monumenti messinesi, lo provano. Latrasformazione del Duomo di Messina – immaginata ein gran parte già attuata verso il 1330 dall'arcivescovosenese Guidotto de Tabiatis sotto il regno di Federico IIl'Aragonese – prova, se mai, accanto al desiderio, giusti-ficabile in lui toscano, di trapiantare nella cattedralemessinese forme e decorazioni del Trecento toscano, an-che l'esistenza negli esecutivi di un vivo amore per latradizione normanna. Il Venturi aveva persino ritenutonormanni i mosaici del catino di questo Duomo, eseguitisotto quel presule. Il completamento della facciata e leaggiunte trecentesche al Duomo di Palermo illuminanovivamente sul perdurare, anzi sullo svilupparsi nel Tre-cento del gusto per un'architettura vivamente attaccataalla corrente aulica irradiantesi da Palermo alla fine delXII secolo. Col trasferirsi della residenza regia dalla Si-cilia in Aragona nasce veramente il problema della con-fluenza aragonese nell'architettura e nell'arte siciliananella seconda metà del Trecento; e d'altro lato si acuiscein Sicilia l'orgoglio della tradizione normanno-sveva daparte dei baroni siciliani, che ricordavano essere stato

62

Il Trecento

Nessun problema architettonico nuovo nasce conl'avvento degli Aragonesi alla fine del XIII secolo e neiprimi del XIV. Le trasformazioni di questo tempo, cheabbiamo visto nei monumenti messinesi, lo provano. Latrasformazione del Duomo di Messina – immaginata ein gran parte già attuata verso il 1330 dall'arcivescovosenese Guidotto de Tabiatis sotto il regno di Federico IIl'Aragonese – prova, se mai, accanto al desiderio, giusti-ficabile in lui toscano, di trapiantare nella cattedralemessinese forme e decorazioni del Trecento toscano, an-che l'esistenza negli esecutivi di un vivo amore per latradizione normanna. Il Venturi aveva persino ritenutonormanni i mosaici del catino di questo Duomo, eseguitisotto quel presule. Il completamento della facciata e leaggiunte trecentesche al Duomo di Palermo illuminanovivamente sul perdurare, anzi sullo svilupparsi nel Tre-cento del gusto per un'architettura vivamente attaccataalla corrente aulica irradiantesi da Palermo alla fine delXII secolo. Col trasferirsi della residenza regia dalla Si-cilia in Aragona nasce veramente il problema della con-fluenza aragonese nell'architettura e nell'arte siciliananella seconda metà del Trecento; e d'altro lato si acuiscein Sicilia l'orgoglio della tradizione normanno-sveva daparte dei baroni siciliani, che ricordavano essere stato

62

chiamato Pietro d'Aragona in odio agli Angioini, solperché era marito di Costanza, figlia di Manfredi lo Sve-vo. Questa sola corrente di ritorno alle forme normanne,in minima parte influenzate dall'esperienza gotica tenta-ta sotto gli Svevi, è stata vista dagli scrittori e critici si-ciliani; ed è stato dato l'appellativo di «chiaramontana»a quest'arte, dal nome della famiglia baronale che vanta-va discendenze normanne e che anche in politica avevatentato più volte di contrapporsi alla potenza dei re lon-tani. Da recente, nella bella pubblicazione di Ettore Ga-brici e d'Ezio Levi sullo Steri di Palermo (cioè sul son-tuoso palazzo quasi regale: «Hosterium magnum», giàiniziato nel 1320, e che l'ambizioso Manfredi Chiara-monte, da vero mecenate dell'arte, fece sontuosamentedecorare fra il 1377 e il 1380) il Gabrici lo ha ravvicina-to alle opere prettamente mudejar. Ma l'attento esamedella questione l'ha convinto che si tratta di sviluppi pa-ralleli, fra le pitture dei soffitti della cattedrale di Teruelo di palazzi di Barcellona e di Maiorca con quelle fattedipingere a Cecco di Naro, Simone da Corleone e Pilli-rino Darena di Palermo nello Steri.

In altri termini, quest'arte del Trecento siciliano nonpresenta in genere un'evoluzione per influssi esterni,com'è avvenuto nel Duecento e come avverrà nel Quat-trocento, ma è di solito frutto spontaneo dell'ulterioreelaborazione siciliana di uno stile che era dapprima (pri-ma ondata gotico-francese) penetrato nell'architetturamilitare per volere e cooperazione diretta di Federico IIdi Svevia e nella religiosa pel contributo di un ordine

63

chiamato Pietro d'Aragona in odio agli Angioini, solperché era marito di Costanza, figlia di Manfredi lo Sve-vo. Questa sola corrente di ritorno alle forme normanne,in minima parte influenzate dall'esperienza gotica tenta-ta sotto gli Svevi, è stata vista dagli scrittori e critici si-ciliani; ed è stato dato l'appellativo di «chiaramontana»a quest'arte, dal nome della famiglia baronale che vanta-va discendenze normanne e che anche in politica avevatentato più volte di contrapporsi alla potenza dei re lon-tani. Da recente, nella bella pubblicazione di Ettore Ga-brici e d'Ezio Levi sullo Steri di Palermo (cioè sul son-tuoso palazzo quasi regale: «Hosterium magnum», giàiniziato nel 1320, e che l'ambizioso Manfredi Chiara-monte, da vero mecenate dell'arte, fece sontuosamentedecorare fra il 1377 e il 1380) il Gabrici lo ha ravvicina-to alle opere prettamente mudejar. Ma l'attento esamedella questione l'ha convinto che si tratta di sviluppi pa-ralleli, fra le pitture dei soffitti della cattedrale di Teruelo di palazzi di Barcellona e di Maiorca con quelle fattedipingere a Cecco di Naro, Simone da Corleone e Pilli-rino Darena di Palermo nello Steri.

In altri termini, quest'arte del Trecento siciliano nonpresenta in genere un'evoluzione per influssi esterni,com'è avvenuto nel Duecento e come avverrà nel Quat-trocento, ma è di solito frutto spontaneo dell'ulterioreelaborazione siciliana di uno stile che era dapprima (pri-ma ondata gotico-francese) penetrato nell'architetturamilitare per volere e cooperazione diretta di Federico IIdi Svevia e nella religiosa pel contributo di un ordine

63

francese. In questa assimilazione, iniziatasi nel Duecen-to ma svoltasi nel Trecento, non l'elemento gotico si svi-luppa, ma quello tradizionale siciliano, identificatosi,già sotto i normanni, con quel gusto composito che si èvisto, impregnato di orientale e di arabo. Invece l'ulte-riore sviluppo quattrocentesco è segnato dal prevaleredel fermento gotico che è raramente riconoscibile nelTrecento (seconda ondata gotico-catalana). Gl'influssicatalani debbono vincere, dapprima, queste resistenze«chiaramontane»: e quando, verso la seconda metà delQuattrocento, stanno per prevalere con forme spessoplateresche, s'incontrano con l'immigrazione in Sicilia discultori lombardi e toscani, desiderosi d'introdurvi, an-che in architettura, il gusto rinascimentale. Questo in-contro arresterà la propagazione del gotico-catalano e,insieme con altri fenomeni concomitanti, produrrà uncerto disorientamento e quell'eclettismo e ritardo del Ri-nascimento siciliano che in architettura è assai noto, perquanto non approfondito. Ma qui si vuol mettere sind'ora bene in evidenza che si deve a questa parentesi«chiaromontana» del Trecento se tutta l'architettura sici-liana dal Trecento in poi ha uno sfasamento stilistico.Quella resistenza del gusto siciliano al diffondersi delgotico, se nel Duecento rende difficile e stentata la di-vulgazione del nuovo stile, dal secolo seguente in poi, eper tre secoli almeno, si trasformerà in ritardo di solitodi più che un cinquantennio, ma talora di più di un seco-lo, ritardo che verrà ridotto in gran parte, ma non deltutto, solo col diffondersi del barocco.

64

francese. In questa assimilazione, iniziatasi nel Duecen-to ma svoltasi nel Trecento, non l'elemento gotico si svi-luppa, ma quello tradizionale siciliano, identificatosi,già sotto i normanni, con quel gusto composito che si èvisto, impregnato di orientale e di arabo. Invece l'ulte-riore sviluppo quattrocentesco è segnato dal prevaleredel fermento gotico che è raramente riconoscibile nelTrecento (seconda ondata gotico-catalana). Gl'influssicatalani debbono vincere, dapprima, queste resistenze«chiaramontane»: e quando, verso la seconda metà delQuattrocento, stanno per prevalere con forme spessoplateresche, s'incontrano con l'immigrazione in Sicilia discultori lombardi e toscani, desiderosi d'introdurvi, an-che in architettura, il gusto rinascimentale. Questo in-contro arresterà la propagazione del gotico-catalano e,insieme con altri fenomeni concomitanti, produrrà uncerto disorientamento e quell'eclettismo e ritardo del Ri-nascimento siciliano che in architettura è assai noto, perquanto non approfondito. Ma qui si vuol mettere sind'ora bene in evidenza che si deve a questa parentesi«chiaromontana» del Trecento se tutta l'architettura sici-liana dal Trecento in poi ha uno sfasamento stilistico.Quella resistenza del gusto siciliano al diffondersi delgotico, se nel Duecento rende difficile e stentata la di-vulgazione del nuovo stile, dal secolo seguente in poi, eper tre secoli almeno, si trasformerà in ritardo di solitodi più che un cinquantennio, ma talora di più di un seco-lo, ritardo che verrà ridotto in gran parte, ma non deltutto, solo col diffondersi del barocco.

64

Il Quattrocento

Diverso è il giudizio complessivo sul Quattrocento si-ciliano. Abbiamo visto inefficaci o inesistenti nel Tre-cento gl'influssi aragonesi in Sicilia, e anzi caratterizzar-si tale periodo con una affermazione di consapevole tra-dizionalismo, cui subordinare l'esperienza di un secolodi tentativi gotici. Nel Quattrocento invece assistiamo auna sempre crescente assimilazione ed elaborazione delgotico fiorito: così di quello che ritrovasi contempora-neamente in terra spagnola, specialmente in Catalogna,come dell'altro acclimatato a Napoli e da lì passato spe-cialmente nelle province siciliane settentrionali, di Mes-sina segnatamente. La parentesi chiaramontana ritarda ein certo qual modo anche trasforma questa seconda on-data di gotico. Per la quale qualcuno nega che si tratti diimportazione e di penetrazione dall'esterno – come parenon soltanto a prima vista – e parla di evoluzione spon-tanea. Né si sarà sicuri sinché manchi uno studio com-plessivo su questo interessante periodo; specialmentefinché difetterà lo studio comparativo fra i contempora-nei sviluppi siciliani e iberici. È singolare, in questo sta-to di imperfette conoscenze reciproche, il fatto che qual-che studioso spagnolo (Sampere y Miguel) dubiti finan-co che in questo scambio sia stata la Sicilia a ricevere, einclini ad ammettere che talora abbia dato.

65

Il Quattrocento

Diverso è il giudizio complessivo sul Quattrocento si-ciliano. Abbiamo visto inefficaci o inesistenti nel Tre-cento gl'influssi aragonesi in Sicilia, e anzi caratterizzar-si tale periodo con una affermazione di consapevole tra-dizionalismo, cui subordinare l'esperienza di un secolodi tentativi gotici. Nel Quattrocento invece assistiamo auna sempre crescente assimilazione ed elaborazione delgotico fiorito: così di quello che ritrovasi contempora-neamente in terra spagnola, specialmente in Catalogna,come dell'altro acclimatato a Napoli e da lì passato spe-cialmente nelle province siciliane settentrionali, di Mes-sina segnatamente. La parentesi chiaramontana ritarda ein certo qual modo anche trasforma questa seconda on-data di gotico. Per la quale qualcuno nega che si tratti diimportazione e di penetrazione dall'esterno – come parenon soltanto a prima vista – e parla di evoluzione spon-tanea. Né si sarà sicuri sinché manchi uno studio com-plessivo su questo interessante periodo; specialmentefinché difetterà lo studio comparativo fra i contempora-nei sviluppi siciliani e iberici. È singolare, in questo sta-to di imperfette conoscenze reciproche, il fatto che qual-che studioso spagnolo (Sampere y Miguel) dubiti finan-co che in questo scambio sia stata la Sicilia a ricevere, einclini ad ammettere che talora abbia dato.

65

Trattiamo prima della corrente di gotico-fiorito venu-ta in Sicilia dal Napoletano, e che, dalla casa che ivi si-gnoreggiava, si suol chiamare durazzesca. Essa vien ca-ratterizzata dalla mancanza di tendenze ascensionali.Perciò: sostituzione di soffitti alle volte, e preferenzanon più per l'arco acuto – che invece nel gotico-fioritosettentrionale si fa sempre più aguzzo – ma per l'arco ri-bassato o depresso: sia a segmento di cerchio, di raggiosempre più grande, e perciò a curvatura sempre menosentita, sia l'arco ad ansa di paniere, anch'essa semprepiù schiacciata, sia infine l'arco inflesso, a «sgraffa»(specie depressa di arco Tudor).

Questa corrente durazzesca si è diffusa quasi soltantoin provincia di Messina; un poco ne approda sulla costasettentrionale a Palermo, da dove arriva a Trapani, e vipermane nei primi del Cinquecento. È alternata dalla ri-tardatrice corrente chiaramontana; non si ritrova affattoin provincia di Catania (e forse non soltanto perché lacittà antica è stata devastata dalle lave e distrutta dai ter-remoti); è rara in tutto il resto dell'isola. Così è eccezio-nale a Palermo l'arco durazzesco della porta del palazzoarcivescovile, mentre è eccezionale a Messina l'alta cu-spide gotica fiammeggiante della porta centrale delDuomo, importatavi infatti da uno scultore continentale:il Baboccio da Piperno, dopoché aveva finito a Napoli laporta simile di San Giovanni dei Pappacoda. Vi era in-vece normale la bella finestra bifora, fioritissima di fo-glie sull'arco inflesso, aperta sul paramento a filari alter-ni di pietra bianca di Siracusa, di lava e di pomice bru-

66

Trattiamo prima della corrente di gotico-fiorito venu-ta in Sicilia dal Napoletano, e che, dalla casa che ivi si-gnoreggiava, si suol chiamare durazzesca. Essa vien ca-ratterizzata dalla mancanza di tendenze ascensionali.Perciò: sostituzione di soffitti alle volte, e preferenzanon più per l'arco acuto – che invece nel gotico-fioritosettentrionale si fa sempre più aguzzo – ma per l'arco ri-bassato o depresso: sia a segmento di cerchio, di raggiosempre più grande, e perciò a curvatura sempre menosentita, sia l'arco ad ansa di paniere, anch'essa semprepiù schiacciata, sia infine l'arco inflesso, a «sgraffa»(specie depressa di arco Tudor).

Questa corrente durazzesca si è diffusa quasi soltantoin provincia di Messina; un poco ne approda sulla costasettentrionale a Palermo, da dove arriva a Trapani, e vipermane nei primi del Cinquecento. È alternata dalla ri-tardatrice corrente chiaramontana; non si ritrova affattoin provincia di Catania (e forse non soltanto perché lacittà antica è stata devastata dalle lave e distrutta dai ter-remoti); è rara in tutto il resto dell'isola. Così è eccezio-nale a Palermo l'arco durazzesco della porta del palazzoarcivescovile, mentre è eccezionale a Messina l'alta cu-spide gotica fiammeggiante della porta centrale delDuomo, importatavi infatti da uno scultore continentale:il Baboccio da Piperno, dopoché aveva finito a Napoli laporta simile di San Giovanni dei Pappacoda. Vi era in-vece normale la bella finestra bifora, fioritissima di fo-glie sull'arco inflesso, aperta sul paramento a filari alter-ni di pietra bianca di Siracusa, di lava e di pomice bru-

66

na, del corpo aggiunto alla sacrestia dello stesso Duo-mo.

Spesso nella Sicilia orientale i monumenti del Quat-trocento sono ravvivati da bicromia, per l'uso – ivi sem-pre più ripreso dal Trecento al Quattrocento – della po-mice scura. Questa, nella zona di Taormina, viene usatadi preferenza per incorniciature brune tutt'intorno alleporte durazzesche o alle finestre ad arco inflesso o aibordi delle fasce di davanzali: quasi a rilevare i limiti tral'intaglio fine in pietra chiara di Siracusa e l'opera incer-ta, più scura, del resto della costruzione.

Per tutta la riviera da Messina sino a Taormina, aRoccalumera, a Savoca, a Forza d'Agrò, se ne incontra-no ancora – nonostante la distruzione per terremoti –molti esempi34; a Messina stessa sono scomparse solodopo la catastrofe del 1908 molte porte durazzesche efinestre che associavano le due forme suddette: cioèavevano l'arco inflesso all'estradosso e invece all'intra-dosso l'arco ad ansa di paniere, tanto depresso da sem-

34 A Messina erano sino al 1908 i portoni durazzeschi di casaAnselmi, di casa Vitali, dell'Ospizio dei Catalani; a Forza d'Agròesistono le finestre del campanile del Duomo; e, tardivo (già delCinquecento) nelle sagome e nei particolari, ma tipicamente du-razzesco nell'insieme, è ancora il portale d'ingresso al sagrato in-nanzi la chiesa della Triade. Tutta la torre di Roccalumera è diquesto tempo, e le finestre son del tipo stesso degli esempi dellanota seguente.

67

na, del corpo aggiunto alla sacrestia dello stesso Duo-mo.

Spesso nella Sicilia orientale i monumenti del Quat-trocento sono ravvivati da bicromia, per l'uso – ivi sem-pre più ripreso dal Trecento al Quattrocento – della po-mice scura. Questa, nella zona di Taormina, viene usatadi preferenza per incorniciature brune tutt'intorno alleporte durazzesche o alle finestre ad arco inflesso o aibordi delle fasce di davanzali: quasi a rilevare i limiti tral'intaglio fine in pietra chiara di Siracusa e l'opera incer-ta, più scura, del resto della costruzione.

Per tutta la riviera da Messina sino a Taormina, aRoccalumera, a Savoca, a Forza d'Agrò, se ne incontra-no ancora – nonostante la distruzione per terremoti –molti esempi34; a Messina stessa sono scomparse solodopo la catastrofe del 1908 molte porte durazzesche efinestre che associavano le due forme suddette: cioèavevano l'arco inflesso all'estradosso e invece all'intra-dosso l'arco ad ansa di paniere, tanto depresso da sem-

34 A Messina erano sino al 1908 i portoni durazzeschi di casaAnselmi, di casa Vitali, dell'Ospizio dei Catalani; a Forza d'Agròesistono le finestre del campanile del Duomo; e, tardivo (già delCinquecento) nelle sagome e nei particolari, ma tipicamente du-razzesco nell'insieme, è ancora il portale d'ingresso al sagrato in-nanzi la chiesa della Triade. Tutta la torre di Roccalumera è diquesto tempo, e le finestre son del tipo stesso degli esempi dellanota seguente.

67

brare quasi rettilineo, con due brevi raccordi curvi aglistipiti35.

Ma la bella cittadina, egualmente distante dall'Etna edallo stretto di Messina, epperò salva dalle lave del vul-cano e dalle catastrofi peloritane, e che anzi dalla vistadell'Etna e dello stretto trae nuove bellezze al suo insu-perabile panorama, Taormina, è caratterizzata tutta daqueste forme e policromie medioevali, ma già assai piùvicine al Rinascimento. Sono notissimi gli esempi mag-giori: palazzo Corvaja, il magnifico palazzo Ciampoli,meno noti i minori36.

35 Finestre di tal tipo sono ancora esistenti nella torre di Roc-calumera, ma prima del terremoto se ne avevano esempi a Messi-na: nella fronte dell'oratorio che prospettava «il Muricello», nelconvento di Santa Barbara e nel monastero di Montevergini. Sa-pore durazzesco ha preso in una ricostruzione del Quattrocentol'arcata dell'abside minore destra dell'Alemanna.

36 Il palazzo Corvaja è meritatamente famoso: è il più purogioiello di questo periodo, gli accenti siciliani e i catalani in essosi fondono. Ha finestre unifore (lato nord), bifore e trifore ad ar-chi inflessi su svelte colonnine poste sopra una magnifica fascia alettere quasi classiche e ricchi intarsi bicromi nei bordi; caratteri-stica merlatura ghibellina a coda di rondine rigonfia ai lati, su diun piano ammezzato a piccole finestre semplici su davanzale sa-gomato; portale durazzesco tardo; un pittoresco cortile senza por-tico, ma con scala esterna, con sculture nel parapetto del ripiano;ricchi soffitti di legno intagliato nelle mensole e snelle travature(come altri di Taormina non studiati): un restauro oculato lo fa-rebbe rifulgere nel suo splendore. Il palazzo Ciampoli e il palazzodel Duca di Santo Stefano fan degna corona. Ma mentre il Ciam-poli è della fine del Quattrocento, l'altro è dell'inizio (1412) e ri-

68

brare quasi rettilineo, con due brevi raccordi curvi aglistipiti35.

Ma la bella cittadina, egualmente distante dall'Etna edallo stretto di Messina, epperò salva dalle lave del vul-cano e dalle catastrofi peloritane, e che anzi dalla vistadell'Etna e dello stretto trae nuove bellezze al suo insu-perabile panorama, Taormina, è caratterizzata tutta daqueste forme e policromie medioevali, ma già assai piùvicine al Rinascimento. Sono notissimi gli esempi mag-giori: palazzo Corvaja, il magnifico palazzo Ciampoli,meno noti i minori36.

35 Finestre di tal tipo sono ancora esistenti nella torre di Roc-calumera, ma prima del terremoto se ne avevano esempi a Messi-na: nella fronte dell'oratorio che prospettava «il Muricello», nelconvento di Santa Barbara e nel monastero di Montevergini. Sa-pore durazzesco ha preso in una ricostruzione del Quattrocentol'arcata dell'abside minore destra dell'Alemanna.

36 Il palazzo Corvaja è meritatamente famoso: è il più purogioiello di questo periodo, gli accenti siciliani e i catalani in essosi fondono. Ha finestre unifore (lato nord), bifore e trifore ad ar-chi inflessi su svelte colonnine poste sopra una magnifica fascia alettere quasi classiche e ricchi intarsi bicromi nei bordi; caratteri-stica merlatura ghibellina a coda di rondine rigonfia ai lati, su diun piano ammezzato a piccole finestre semplici su davanzale sa-gomato; portale durazzesco tardo; un pittoresco cortile senza por-tico, ma con scala esterna, con sculture nel parapetto del ripiano;ricchi soffitti di legno intagliato nelle mensole e snelle travature(come altri di Taormina non studiati): un restauro oculato lo fa-rebbe rifulgere nel suo splendore. Il palazzo Ciampoli e il palazzodel Duca di Santo Stefano fan degna corona. Ma mentre il Ciam-poli è della fine del Quattrocento, l'altro è dell'inizio (1412) e ri-

68

Senza scendere all'analisi di questa corrente gotico-durazzesca, noteremo che in questa grande varietà diforme di porte e finestre37, il presentimento del nuovostile38 è accentuato in alcune da uno schema veramenterinascimentale tradotto in forme il meno gotiche possi-bili. La costruzione dei vani è affidata alle piattabandesugli stipiti, sorrette agli angoli da mensoline di profilogotico ma spianate, lisce nelle facce come le piattabandee gli stipiti: l'arco inflesso è concepito solo a discaricodella piattabanda, e i trilobi o gl'intagli gotici39, che stan-no fra le due membrature, non sono traforati del tutto,

sente nelle finestre del gotico ancor chiaramontano come la Ba-diazza di Taormina; e come questa unisce le forme del Trecentoitaliano alle esuberanti decorazioni policrome siciliane, di tradi-zione basiliana arabeggiante.

37 Neppure gli esempi ad arco acuto mancano: porta setten-trionale della chiesa di Sant'Agostino in Savoca, ma sono tali sol-tanto alle modanature di estradosso, mentre il vano è costante-mente architravato.

38 Si ricorda che sin dal tempo normanno la provincia diMessina ebbe l'arco acuto chiuso con architrave all'imposta conleggerissima curvatura (San Pietro e Paolo d'Agrò, Itàla e, nel pe-riodo gotico, porte laterali di Sant'Agostino e di San Francesco).Del Quattrocento a Taormina sono tali le porte delle chiese diSant'Agostino, dei cappuccini, e più tardive (quasi del Cinquecen-to) di Sant'Antonio e settentrionale del Duomo; e a Messina leporte del Duomo (fronte) di cui la prima a destra è già del Cin-quecento (1518) dall'architrave in su.

39 Esempi: finestra settentrionale del palazzo Corvaja, portaledell'antico convento di Santa Maria di Gesù, più nettamente ex-trarinascimentale e forse già dei primi anni del Cinquecento.

69

Senza scendere all'analisi di questa corrente gotico-durazzesca, noteremo che in questa grande varietà diforme di porte e finestre37, il presentimento del nuovostile38 è accentuato in alcune da uno schema veramenterinascimentale tradotto in forme il meno gotiche possi-bili. La costruzione dei vani è affidata alle piattabandesugli stipiti, sorrette agli angoli da mensoline di profilogotico ma spianate, lisce nelle facce come le piattabandee gli stipiti: l'arco inflesso è concepito solo a discaricodella piattabanda, e i trilobi o gl'intagli gotici39, che stan-no fra le due membrature, non sono traforati del tutto,

sente nelle finestre del gotico ancor chiaramontano come la Ba-diazza di Taormina; e come questa unisce le forme del Trecentoitaliano alle esuberanti decorazioni policrome siciliane, di tradi-zione basiliana arabeggiante.

37 Neppure gli esempi ad arco acuto mancano: porta setten-trionale della chiesa di Sant'Agostino in Savoca, ma sono tali sol-tanto alle modanature di estradosso, mentre il vano è costante-mente architravato.

38 Si ricorda che sin dal tempo normanno la provincia diMessina ebbe l'arco acuto chiuso con architrave all'imposta conleggerissima curvatura (San Pietro e Paolo d'Agrò, Itàla e, nel pe-riodo gotico, porte laterali di Sant'Agostino e di San Francesco).Del Quattrocento a Taormina sono tali le porte delle chiese diSant'Agostino, dei cappuccini, e più tardive (quasi del Cinquecen-to) di Sant'Antonio e settentrionale del Duomo; e a Messina leporte del Duomo (fronte) di cui la prima a destra è già del Cin-quecento (1518) dall'architrave in su.

39 Esempi: finestra settentrionale del palazzo Corvaja, portaledell'antico convento di Santa Maria di Gesù, più nettamente ex-trarinascimentale e forse già dei primi anni del Cinquecento.

69

né hanno la fluidità e il profilo tutto curvo delle cannepiegate o intrecciate. Certi appiattimenti alle estremità esulla fronte dei bastoni, certi larghi riposi lisci fra le mo-danature, contribuiscono a palesare una volontà di chia-rezza, che preludia alla Rinascita. Il Venturi ha intuitiva-mente sentito già, in quest'architettura di Taormina, lospirito «dello squadro cristallino» del grande Antonelloda Messina. Noi ricordiamo che i documenti della vitadel massimo pittore siciliano attestano ch'egli è nato nel1430 precisamente da padre intagliatore di pietra. Inqueste forme, soprattutto della fine del secolo, con ar-chitrave e arco a discarico già tondo, al cui intradosso èappeso in giro un ornato ancora a trifoglio40 che ritrove-remo ancora in tutto il Cinquecento, appare lo stessotentativo siciliano di piegare il gotico a quelle espressio-ni già serene, che con più vigore architettonico sono at-tuate a Palermo da Matteo Carnilivari. L'arco depressodurazzesco, eccezionale a Palermo per quasi tutto il se-colo, diventa tipico colà nel decennio di passaggio al se-colo Cinquecento e del Seicento, specialmente negli ar-chi degli androni e dei portici. In definitiva il trapassodal gotico al Rinascimento vien attuato con gli elementidella corrente durazzesca.

La seconda corrente più specificatamente catalana hacaratteri settentrionali di slancio verticale. Non mancanomai le volte costolonate con le chiavi pendule, volte che

40 Esempio: porta laterale sud del Duomo di Taormina. Pergli esempi sicuramente del Cinquecento vedere nel capitolo sulRinascimento.

70

né hanno la fluidità e il profilo tutto curvo delle cannepiegate o intrecciate. Certi appiattimenti alle estremità esulla fronte dei bastoni, certi larghi riposi lisci fra le mo-danature, contribuiscono a palesare una volontà di chia-rezza, che preludia alla Rinascita. Il Venturi ha intuitiva-mente sentito già, in quest'architettura di Taormina, lospirito «dello squadro cristallino» del grande Antonelloda Messina. Noi ricordiamo che i documenti della vitadel massimo pittore siciliano attestano ch'egli è nato nel1430 precisamente da padre intagliatore di pietra. Inqueste forme, soprattutto della fine del secolo, con ar-chitrave e arco a discarico già tondo, al cui intradosso èappeso in giro un ornato ancora a trifoglio40 che ritrove-remo ancora in tutto il Cinquecento, appare lo stessotentativo siciliano di piegare il gotico a quelle espressio-ni già serene, che con più vigore architettonico sono at-tuate a Palermo da Matteo Carnilivari. L'arco depressodurazzesco, eccezionale a Palermo per quasi tutto il se-colo, diventa tipico colà nel decennio di passaggio al se-colo Cinquecento e del Seicento, specialmente negli ar-chi degli androni e dei portici. In definitiva il trapassodal gotico al Rinascimento vien attuato con gli elementidella corrente durazzesca.

La seconda corrente più specificatamente catalana hacaratteri settentrionali di slancio verticale. Non mancanomai le volte costolonate con le chiavi pendule, volte che

40 Esempio: porta laterale sud del Duomo di Taormina. Pergli esempi sicuramente del Cinquecento vedere nel capitolo sulRinascimento.

70

si complicano nella seconda metà del secolo, divenendostellari, e con cordonature dai profili complessi. Gli ar-chi sono più acuti, gli archivolti hanno pinnacoli alle na-scite della ghiera esterna sporgente, ornati gobbi e fiam-meggianti sul dorso di essa, losanghe e fioroni al culmi-ne, e trafori caratteristicamente gotici nella parte supe-riore del vano arcuato, talora ricadenti su esilissime co-lonnine nei vani maggiori. Anziché sostegni isolati a co-lonne si hanno pilastri, generalmente ottagoni, e alleestremità dei portici piloni complessi. Gli ornati sonotratti dapprima dal mondo vegetale, poi da quello ani-male nelle ricadenze delle modanature esterne degli ar-chi. La tecnica loro è raramente larga (solo se vi sonoinflussi italiani): la tipicamente catalana è minuta, spi-nosa o arricciata, ma mai uniforme, anzi variatissima neifogliami. Ma è raro trovare in Sicilia un monumento incui tutti i suddetti caratteri si assommino: in generale leinclusioni di elementi chiaramontani rivelano i monu-menti della prima metà del secolo, quelle di elementidurazzeschi contrassegnano le opere della secondametà. Infine, indizio sicuro di assoluta tardività sono leporte e finestre architravate o quasi, anche se straricchedi particolari e trafori gotici: le incontreremo con le vol-te tarde anche in monumenti catalaneggianti in pienoCinquecento.

Nello stesso periodo di transizione dal Quattrocentoal Cinquecento, se non pure addirittura nel Cinquecento,son da porre alcuni edifici dai muri a bugne di diamantedella Sicilia occidentale, nei quali, tra le forme catala-

71

si complicano nella seconda metà del secolo, divenendostellari, e con cordonature dai profili complessi. Gli ar-chi sono più acuti, gli archivolti hanno pinnacoli alle na-scite della ghiera esterna sporgente, ornati gobbi e fiam-meggianti sul dorso di essa, losanghe e fioroni al culmi-ne, e trafori caratteristicamente gotici nella parte supe-riore del vano arcuato, talora ricadenti su esilissime co-lonnine nei vani maggiori. Anziché sostegni isolati a co-lonne si hanno pilastri, generalmente ottagoni, e alleestremità dei portici piloni complessi. Gli ornati sonotratti dapprima dal mondo vegetale, poi da quello ani-male nelle ricadenze delle modanature esterne degli ar-chi. La tecnica loro è raramente larga (solo se vi sonoinflussi italiani): la tipicamente catalana è minuta, spi-nosa o arricciata, ma mai uniforme, anzi variatissima neifogliami. Ma è raro trovare in Sicilia un monumento incui tutti i suddetti caratteri si assommino: in generale leinclusioni di elementi chiaramontani rivelano i monu-menti della prima metà del secolo, quelle di elementidurazzeschi contrassegnano le opere della secondametà. Infine, indizio sicuro di assoluta tardività sono leporte e finestre architravate o quasi, anche se straricchedi particolari e trafori gotici: le incontreremo con le vol-te tarde anche in monumenti catalaneggianti in pienoCinquecento.

Nello stesso periodo di transizione dal Quattrocentoal Cinquecento, se non pure addirittura nel Cinquecento,son da porre alcuni edifici dai muri a bugne di diamantedella Sicilia occidentale, nei quali, tra le forme catala-

71

neggianti, s'infiltrano elementi rinascimentali: anche seancora goffi come alla cosiddetta «Giudecca» di Trapa-ni; o se sopraffatti da strutture gotiche, come nel castellodi Pietraperzia; o se hanno pochi elementi particolari di-scriminanti, ma già l'insieme accusi la rinascita nelleproporzioni e nella chiarezza distributiva, come nelloSteripinto di Sciacca.

Specialmente diffuso troviamo il gotico catalaneg-giante in provincia di Siracusa, anzi in tutta l'antica Valdi Noto: forse il magnifico materiale tufaceo, fine ecompatto, di cui è ricchissima quella parte della Sicilia,la pietra bianca – tenera al momento dell'intaglio, eppu-re resistente quando ha perduto l'acqua di cava – comeha stimolato sempre l'abilità dei lapidum incisores loca-li, così nel Quattrocento ha favorito mirabilmente la fio-ritura amorosa di minuti particolari, delicati come trine,sovrapposti a un'architettura complessa e gracile, quasiarchitettura lignea, o meglio quasi contesta di elasticibastoni e intrecciata di canne, ora esili ora vigorose41.

Come tutto il gotico, questo fiorito catalano poggiasulla raffinata conoscenza della geometria; ma vi si ag-giunge un virtuosismo desideroso di meravigliare con leapplicazioni più ingegnose di essa: dalle intersezioni dimembrature, alla compenetrazione di sagomature inca-

41 È da notare che dal Trecento in poi la pietra bianca di Sira-cusa, di Priolo, di Comiso, di Melilli, ecc., viene esportata nellealtre province, e quivi adoperata per i lavori più delicati, spesso incontrasto con le arenane locali, riservate per le membranature li-sce e i paramenti murari.

72

neggianti, s'infiltrano elementi rinascimentali: anche seancora goffi come alla cosiddetta «Giudecca» di Trapa-ni; o se sopraffatti da strutture gotiche, come nel castellodi Pietraperzia; o se hanno pochi elementi particolari di-scriminanti, ma già l'insieme accusi la rinascita nelleproporzioni e nella chiarezza distributiva, come nelloSteripinto di Sciacca.

Specialmente diffuso troviamo il gotico catalaneg-giante in provincia di Siracusa, anzi in tutta l'antica Valdi Noto: forse il magnifico materiale tufaceo, fine ecompatto, di cui è ricchissima quella parte della Sicilia,la pietra bianca – tenera al momento dell'intaglio, eppu-re resistente quando ha perduto l'acqua di cava – comeha stimolato sempre l'abilità dei lapidum incisores loca-li, così nel Quattrocento ha favorito mirabilmente la fio-ritura amorosa di minuti particolari, delicati come trine,sovrapposti a un'architettura complessa e gracile, quasiarchitettura lignea, o meglio quasi contesta di elasticibastoni e intrecciata di canne, ora esili ora vigorose41.

Come tutto il gotico, questo fiorito catalano poggiasulla raffinata conoscenza della geometria; ma vi si ag-giunge un virtuosismo desideroso di meravigliare con leapplicazioni più ingegnose di essa: dalle intersezioni dimembrature, alla compenetrazione di sagomature inca-

41 È da notare che dal Trecento in poi la pietra bianca di Sira-cusa, di Priolo, di Comiso, di Melilli, ecc., viene esportata nellealtre province, e quivi adoperata per i lavori più delicati, spesso incontrasto con le arenane locali, riservate per le membranature li-sce e i paramenti murari.

72

strate o bruscamente piegate o rigirate in tutti i sensi,con precisione matematica, con abilità da orafi; virtuosi-smo che dà alle opere qualcosa di decadente, un deside-rio di stupire che si direbbe barocco, se all'idea di baroc-co non fossero connaturati la mancanza di ingenuità e ilsenso scenografico-teatrale, qui assenti.

In legno sono i lavori più minuti e miracolosi, e in le-gno infatti era il complesso di opere nel coro della catte-drale di Palermo (1466): esempio cospicuo di questovirtuosismo architettonico e decorativo. E da rimpiange-re che sia andata distrutta la parte architettonicamentepiù interessante; della quale ciò ch'è rimasto non era cheun complemento: la ricca soffittatura dell'«antititolo»(braccio trasversale minore interposto fra le absidi e ilbraccio trasversale o «solea» o «titolo»), la falsa cupolacioè che, secondo le descrizioni concordi dei contempo-ranei, lavorata con sommo artificio, copriva l'antico in-crocio delle navate (e probabilmente in simil modo eralavorato anche il soffitto ligneo dell'antititolo), ed è statal'occasione di una recente polemica, avendo indottoqualcuno a supporre l'esistenza sulla crociera d'unagrande cupola in muratura, per giunta normanna. Co-munque ci rimangono gli stalli intagliati con sommo vir-tuosismo, specie quelli dei dignitari ecclesiastici, coro-nati da vere architetture lignee. Questa tendenza riman-da per quasi tutto il Cinquecento agli intagliatori di gon-faloni processionali e agli orafi, desiderosi tutti di com-porre architetture in miniatura.

73

strate o bruscamente piegate o rigirate in tutti i sensi,con precisione matematica, con abilità da orafi; virtuosi-smo che dà alle opere qualcosa di decadente, un deside-rio di stupire che si direbbe barocco, se all'idea di baroc-co non fossero connaturati la mancanza di ingenuità e ilsenso scenografico-teatrale, qui assenti.

In legno sono i lavori più minuti e miracolosi, e in le-gno infatti era il complesso di opere nel coro della catte-drale di Palermo (1466): esempio cospicuo di questovirtuosismo architettonico e decorativo. E da rimpiange-re che sia andata distrutta la parte architettonicamentepiù interessante; della quale ciò ch'è rimasto non era cheun complemento: la ricca soffittatura dell'«antititolo»(braccio trasversale minore interposto fra le absidi e ilbraccio trasversale o «solea» o «titolo»), la falsa cupolacioè che, secondo le descrizioni concordi dei contempo-ranei, lavorata con sommo artificio, copriva l'antico in-crocio delle navate (e probabilmente in simil modo eralavorato anche il soffitto ligneo dell'antititolo), ed è statal'occasione di una recente polemica, avendo indottoqualcuno a supporre l'esistenza sulla crociera d'unagrande cupola in muratura, per giunta normanna. Co-munque ci rimangono gli stalli intagliati con sommo vir-tuosismo, specie quelli dei dignitari ecclesiastici, coro-nati da vere architetture lignee. Questa tendenza riman-da per quasi tutto il Cinquecento agli intagliatori di gon-faloni processionali e agli orafi, desiderosi tutti di com-porre architetture in miniatura.

73

Il Gabrici a proposito del soffitto dello Steri, ch'egliravvicina allo stile mudejar, aveva già notato che i sof-fitti spagnuoli presentano, oltre le due correnti varietà,una terza: cioè soffitti con una cupoletta schiacciata inlegno nella parte centrale. Le descrizioni concordi, contanta diligenza riportate e con tanto acume illustrate dalcompianto Nino Basile, dimostrano chiaramente che,come nello Steri abbiamo in Sicilia l'esempio più bello egrandioso di soffitto a travature cassettonate, cosìall'incrocio del titolo con la navata mediana del Duomodi Palermo, sui quattro arconi acuti – di cui le incisionidel pittore A. Grano, del 1689, ci hanno conservato il ri-cordo – avevamo in Sicilia forse l'esempio più bello42 diquesto terzo tipo di soffitti catalani a finta cupola, chedopo il 1780 gli esecutori del progetto «contegnoso» delFuga dovettero fare demolire per i lavori di trasforma-zione interna in armonia con la nuova cupola neoclassi-ca in muratura.

Ma all'esterno dello stesso Duomo di Palermo parec-chie opere ha lasciato il Quattrocento più propriamente

42 Dai documenti prodotti da Nino Basile si sa che il coroscolpito in legno fu fatto eseguire nel 1466 a spese dell'arcivesco-vo Puxades e, secondo lo stesso autore, «comprendeva: banchi,stalli, spalliere, soffitto, unità decorativa inscindibile». Lo stessoautore ha riportato le descrizioni concordi e completantisidell'Amato, del Polizzi, del Mongitore, del Fortunio, per le qualisi sa che «sui quattro pilastri, gli archi, il loggiato superiore,emergeva altissima la cupola di quercia» ove «nell'orto concavo eceruleo in candide bicubitali lettere gotiche erano dieci versi leo-nini».

74

Il Gabrici a proposito del soffitto dello Steri, ch'egliravvicina allo stile mudejar, aveva già notato che i sof-fitti spagnuoli presentano, oltre le due correnti varietà,una terza: cioè soffitti con una cupoletta schiacciata inlegno nella parte centrale. Le descrizioni concordi, contanta diligenza riportate e con tanto acume illustrate dalcompianto Nino Basile, dimostrano chiaramente che,come nello Steri abbiamo in Sicilia l'esempio più bello egrandioso di soffitto a travature cassettonate, cosìall'incrocio del titolo con la navata mediana del Duomodi Palermo, sui quattro arconi acuti – di cui le incisionidel pittore A. Grano, del 1689, ci hanno conservato il ri-cordo – avevamo in Sicilia forse l'esempio più bello42 diquesto terzo tipo di soffitti catalani a finta cupola, chedopo il 1780 gli esecutori del progetto «contegnoso» delFuga dovettero fare demolire per i lavori di trasforma-zione interna in armonia con la nuova cupola neoclassi-ca in muratura.

Ma all'esterno dello stesso Duomo di Palermo parec-chie opere ha lasciato il Quattrocento più propriamente

42 Dai documenti prodotti da Nino Basile si sa che il coroscolpito in legno fu fatto eseguire nel 1466 a spese dell'arcivesco-vo Puxades e, secondo lo stesso autore, «comprendeva: banchi,stalli, spalliere, soffitto, unità decorativa inscindibile». Lo stessoautore ha riportato le descrizioni concordi e completantisidell'Amato, del Polizzi, del Mongitore, del Fortunio, per le qualisi sa che «sui quattro pilastri, gli archi, il loggiato superiore,emergeva altissima la cupola di quercia» ove «nell'orto concavo eceruleo in candide bicubitali lettere gotiche erano dieci versi leo-nini».

74

architettoniche. Si completa allora la facciata principalesu via Matteo Bonello e la canonica, corpo aggiunto alpresbiterio sul lato meridionale, si terminano le ultimesoprelevazioni ai campanili sulle quattro torricelle scala-rie angolari e le si coprono a cuspide, si colloca la su-perba porta marmorea di A. Gambara (1426) sul frontelaterale meridionale, e da ultimo si costruisce innanzi aessa l'ampio portico di mezzogiorno. Tutte le prime, es-sendo opere iniziate nel Trecento, risentono più o menod'influssi ritardatari chiaramontani; solo l'ultima opera,il portico, rappresenta e riassume il Quattrocento catala-neggiante. Esso voleva essere prezioso ed è forse al-quanto pretenzioso nel suo rivestimento decorativo, arri-vando a dare alle complicatissime superfici esterne qua-si l'aspetto di velluti contro tagliati, incidendo e coloren-do tutti i conci con disegni analoghi a quelli dei vellutidel tempo, e facendoli spiccare sul fondo anche perun'aggiunta di colori – rispettivamente rossastro e bruno– di cui restano ancora abbondanti tracce. Se si pensache i piloni, che rinserrano questo portico a tre arcate ar-chiacute, fra cui domina la centrale, hanno anche uncomplicato e trito lavorio d'intaglio architettonico, attra-versati come sono verticalmente da fasci di bastoni-colonnine e orizzontalmente da fasci di modanature dibasi e di cornici gotiche; che inoltre sotto ogni corniceciascun bastone ha un diverso capitello, a foglie ammas-sate e minutamente arricciate o increspate o spinosa-mente frastagliate alla catalana, s'intenderà facilmentecome l'arcivescovo Simone Bologna, committente di

75

architettoniche. Si completa allora la facciata principalesu via Matteo Bonello e la canonica, corpo aggiunto alpresbiterio sul lato meridionale, si terminano le ultimesoprelevazioni ai campanili sulle quattro torricelle scala-rie angolari e le si coprono a cuspide, si colloca la su-perba porta marmorea di A. Gambara (1426) sul frontelaterale meridionale, e da ultimo si costruisce innanzi aessa l'ampio portico di mezzogiorno. Tutte le prime, es-sendo opere iniziate nel Trecento, risentono più o menod'influssi ritardatari chiaramontani; solo l'ultima opera,il portico, rappresenta e riassume il Quattrocento catala-neggiante. Esso voleva essere prezioso ed è forse al-quanto pretenzioso nel suo rivestimento decorativo, arri-vando a dare alle complicatissime superfici esterne qua-si l'aspetto di velluti contro tagliati, incidendo e coloren-do tutti i conci con disegni analoghi a quelli dei vellutidel tempo, e facendoli spiccare sul fondo anche perun'aggiunta di colori – rispettivamente rossastro e bruno– di cui restano ancora abbondanti tracce. Se si pensache i piloni, che rinserrano questo portico a tre arcate ar-chiacute, fra cui domina la centrale, hanno anche uncomplicato e trito lavorio d'intaglio architettonico, attra-versati come sono verticalmente da fasci di bastoni-colonnine e orizzontalmente da fasci di modanature dibasi e di cornici gotiche; che inoltre sotto ogni corniceciascun bastone ha un diverso capitello, a foglie ammas-sate e minutamente arricciate o increspate o spinosa-mente frastagliate alla catalana, s'intenderà facilmentecome l'arcivescovo Simone Bologna, committente di

75

questo portico, non sia rimasto da meno del suo succes-sore Puxades, committente delle opere lignee dell'inter-no, e spagnuolo, nel dare accenti catalani alla chiesanormanna dell'Offamilio. Se, oltre all'architettura, siguardano poi i capitelli in marmo dello stesso portico, ele primitive sculture decorative in pietra del frontone,dei doccioni, della complicatissima fascia a bassorilieviarchitettonici che corre al di sopra delle tre disuguali ar-cate, e ancora quelle d'imposta ai costoloni delle voltegotiche, e si confronti il tutto con la cappella rinasci-mentale che nel San Francesco quasi contemporanea-mente (1468) il grande dalmata Francesco da Lauranaarchitettava e deliziosamente scolpiva – aiutato da Pie-tro da Bontade – per i Mastrantonio della stessa città, siavrà l'idea più viva del primo urto che la corrente catala-na subisce in Sicilia fra il 1463 e il 1468, per opera didue o tre scultori continentali e rinascimentali nel gusto,venuti nell'isola mentre il catalanismo era avviato a pro-durre i suoi massimi frutti. Tutta una maestranza di lapi-cidi e intagliatori continuerà per molto tempo (in Paler-mo stessa è stato documentato dallo stesso prezioso ri-cercatore Nino Basile sino al 1575, cioè più di un secolodopo) ad architettare e a costruire «alla catalana». Il ca-polavoro di questa corrente non sarà più rappresentatoda monumenti prettamente gotici, ma da monumentieclettici, tipicamente siciliani; perché il più geniale diquesti artefici intagliatori in pietra, Matteo Carnilivari,trasferitosi dalla natia Noto a Palermo, poco dopo chel'urto s'era manifestato, avrà l'ambizione di non far più

76

questo portico, non sia rimasto da meno del suo succes-sore Puxades, committente delle opere lignee dell'inter-no, e spagnuolo, nel dare accenti catalani alla chiesanormanna dell'Offamilio. Se, oltre all'architettura, siguardano poi i capitelli in marmo dello stesso portico, ele primitive sculture decorative in pietra del frontone,dei doccioni, della complicatissima fascia a bassorilieviarchitettonici che corre al di sopra delle tre disuguali ar-cate, e ancora quelle d'imposta ai costoloni delle voltegotiche, e si confronti il tutto con la cappella rinasci-mentale che nel San Francesco quasi contemporanea-mente (1468) il grande dalmata Francesco da Lauranaarchitettava e deliziosamente scolpiva – aiutato da Pie-tro da Bontade – per i Mastrantonio della stessa città, siavrà l'idea più viva del primo urto che la corrente catala-na subisce in Sicilia fra il 1463 e il 1468, per opera didue o tre scultori continentali e rinascimentali nel gusto,venuti nell'isola mentre il catalanismo era avviato a pro-durre i suoi massimi frutti. Tutta una maestranza di lapi-cidi e intagliatori continuerà per molto tempo (in Paler-mo stessa è stato documentato dallo stesso prezioso ri-cercatore Nino Basile sino al 1575, cioè più di un secolodopo) ad architettare e a costruire «alla catalana». Il ca-polavoro di questa corrente non sarà più rappresentatoda monumenti prettamente gotici, ma da monumentieclettici, tipicamente siciliani; perché il più geniale diquesti artefici intagliatori in pietra, Matteo Carnilivari,trasferitosi dalla natia Noto a Palermo, poco dopo chel'urto s'era manifestato, avrà l'ambizione di non far più

76

«alla catalana». Preso da un lato dall'incanto rinasci-mentale, e dall'altro sentendosi siciliano, vorrà essereoriginale tentando un'architettura eclettica, nella quale lasua educazione gotica e catalana (com'era in tutto il ter-ritorio siracusano di cui Noto vecchia allora era la cittàprincipale) fosse rinnovata dalla chiarezza compositivarinascimentale, pur senza rinunziare del tutto a qualcheaccenno chiaramontano: giacché, come ogni sicilianosensibile, non era rimasto freddo agli splendori dei tem-pli normanni adunati in Palermo e nella vicinissimaMonreale. Egli ebbe la genialità e la vitalità necessarieai forti eclettici per sigillare della propria inconfondibilepersonalità concepimenti così complessi. Per lui allafine del secolo le tre correnti successive e divergenti: lachiaramontana, la gotico-fiorita con le sue due varietà, ela rinascimentale avranno eccezionalmente un punto diconvergenza: le tre forme contrastanti produrranno unmiracoloso ma momentaneo stato di equilibrio. Come inquesta isola del Mediterraneo una luminosa giornata didicembre unisce insieme la forza dei colori autunnali ela frizzante aria dell'inverno e la radiosa allegria prima-verile, così l'arte del Carnilivari – venuta dopo l'opulen-to e protratto autunno chiaramontano, dopo tante brumegotiche, quando già alita qualche brezza primaverile dirinascita – sa ancora di orientale, molto di spagnuolo, egià di italiano; quel tanto che basta a non soffocare lapersonalità di lui, ma a farcela ammirare come straordi-nariamente ricca e capace di operare nel suo multanimespirito sì grandiosa fusione. Le sue opere certe sono sol-

77

«alla catalana». Preso da un lato dall'incanto rinasci-mentale, e dall'altro sentendosi siciliano, vorrà essereoriginale tentando un'architettura eclettica, nella quale lasua educazione gotica e catalana (com'era in tutto il ter-ritorio siracusano di cui Noto vecchia allora era la cittàprincipale) fosse rinnovata dalla chiarezza compositivarinascimentale, pur senza rinunziare del tutto a qualcheaccenno chiaramontano: giacché, come ogni sicilianosensibile, non era rimasto freddo agli splendori dei tem-pli normanni adunati in Palermo e nella vicinissimaMonreale. Egli ebbe la genialità e la vitalità necessarieai forti eclettici per sigillare della propria inconfondibilepersonalità concepimenti così complessi. Per lui allafine del secolo le tre correnti successive e divergenti: lachiaramontana, la gotico-fiorita con le sue due varietà, ela rinascimentale avranno eccezionalmente un punto diconvergenza: le tre forme contrastanti produrranno unmiracoloso ma momentaneo stato di equilibrio. Come inquesta isola del Mediterraneo una luminosa giornata didicembre unisce insieme la forza dei colori autunnali ela frizzante aria dell'inverno e la radiosa allegria prima-verile, così l'arte del Carnilivari – venuta dopo l'opulen-to e protratto autunno chiaramontano, dopo tante brumegotiche, quando già alita qualche brezza primaverile dirinascita – sa ancora di orientale, molto di spagnuolo, egià di italiano; quel tanto che basta a non soffocare lapersonalità di lui, ma a farcela ammirare come straordi-nariamente ricca e capace di operare nel suo multanimespirito sì grandiosa fusione. Le sue opere certe sono sol-

77

tanto a Palermo: il turrito palazzo Abatellis o Patella,iniziato il 1488 e terminato il 1495, e il vasto palazzoAiutamicristo, cominciato verso il 1490. Per tradizionee per stile è certamente sua la chiesa di Santa Maria del-la Catena iniziata proprio negli ultimi anni del Quattro-cento. Tranne le colonne in marmo, che documenti pro-vano commesse alle botteghe che scultori specialmentelombardi o toscani – Domenico Gagini, il Mancino, ilBerrettaro – avevano aperto in Sicilia, portandovi le pri-me forme del Rinascimento, tutti gli altri elementi usatidal Carnilivari, isolatamente presi, appartengono alQuattrocento gotico di Sicilia. Per ciò e per non averegli operato oltre i limiti di quel secolo, di lui si parlasempre a conclusione del Rinascimento: è il primo sici-liano maestro lapicida che abbia assorbito e capito lagrande lezione data da Francesco Laurana nei due anni(1467-68) che questi fu in Palermo e già cominciata ti-midamente nel 1465 da Domenico Gagini, compagno dilavori scultoreo-architettonici del Laurana a Napoli frail 1455 e il 1458, e forse poi ancora in Sicilia, a Sciacca.Perciò delle opere del Carnilivari e di quelle di questiscultori – rimaste isolate nel Quattrocento, ma che tutteinsieme formano il lievito a tutta la produzione sicilianaper più di metà del Cinquecento – riparleremo nel capi-tolo seguente.

Qui – se non si vuol cadere negli errori o nella incom-prensione soliti fino a pochi anni fa a chi trattavadell'architettura rinascimentale in Sicilia – occorre farsubito rilevare che per quasi un secolo, dal 1463 (venuta

78

tanto a Palermo: il turrito palazzo Abatellis o Patella,iniziato il 1488 e terminato il 1495, e il vasto palazzoAiutamicristo, cominciato verso il 1490. Per tradizionee per stile è certamente sua la chiesa di Santa Maria del-la Catena iniziata proprio negli ultimi anni del Quattro-cento. Tranne le colonne in marmo, che documenti pro-vano commesse alle botteghe che scultori specialmentelombardi o toscani – Domenico Gagini, il Mancino, ilBerrettaro – avevano aperto in Sicilia, portandovi le pri-me forme del Rinascimento, tutti gli altri elementi usatidal Carnilivari, isolatamente presi, appartengono alQuattrocento gotico di Sicilia. Per ciò e per non averegli operato oltre i limiti di quel secolo, di lui si parlasempre a conclusione del Rinascimento: è il primo sici-liano maestro lapicida che abbia assorbito e capito lagrande lezione data da Francesco Laurana nei due anni(1467-68) che questi fu in Palermo e già cominciata ti-midamente nel 1465 da Domenico Gagini, compagno dilavori scultoreo-architettonici del Laurana a Napoli frail 1455 e il 1458, e forse poi ancora in Sicilia, a Sciacca.Perciò delle opere del Carnilivari e di quelle di questiscultori – rimaste isolate nel Quattrocento, ma che tutteinsieme formano il lievito a tutta la produzione sicilianaper più di metà del Cinquecento – riparleremo nel capi-tolo seguente.

Qui – se non si vuol cadere negli errori o nella incom-prensione soliti fino a pochi anni fa a chi trattavadell'architettura rinascimentale in Sicilia – occorre farsubito rilevare che per quasi un secolo, dal 1463 (venuta

78

di Domenico Gagini) in poi, bisogna distinguere netta-mente nell'esame delle costruzioni siciliane gli elementiarchitettonici eseguiti in marmo e quelli eseguiti in pie-tra. Giacché, affidati da committenti dal gusto ormaieclettico a due ordini di maestranze diversissime per na-scita, educazione artistica, e operanti in due stili diversi,sembrerebbero eseguiti a divario di almeno cin-quant'anni, mentre sono contemporanei, se si tratta dicolonne, o di poco successivi, se si tratta di porte, o ar-redi e decorazioni in marmo, collocati di solito al termi-ne delle opere murarie. Solo nelle opere del Carnilivariquesto divario a prima vista non si nota: perché l'archi-tetto lapicida è andato incontro allo scultore e ha fatto ditutto per avvicinarne lo stile. Ma è il solo: gli altri siostinavano sulla strada catalana, chiusi se non quasiostili agli scultori innovatori. Pertanto, in un'altra operacontemporanea, nella chiesa dell'Annunziata a Porta SanGiorgio di Palermo, quel divario stride tanto che ancheun recente illustratore, non potendo datare oltre il Quat-trocento le colonne e la porta in marmo, che da docu-menti e dallo stile risultano opera di Domenico Gagini(morto il 1492) ed essendo la finestra, anche essa inmarmo, del prospetto più incerta di stile, datata 1501, hacreduto di riportare tutta la costruzione al secolo prece-dente immaginando che verso la fine del Quattrocento lecolonne avessero sostituito immaginari pilastri ottagoni,come si son trovati in altra costruzione contigua. Sibadi: stilisticamente non aveva torto: fra la porta lateralein pietra ancor quasi romanica nell'insieme, trecentesca

79

di Domenico Gagini) in poi, bisogna distinguere netta-mente nell'esame delle costruzioni siciliane gli elementiarchitettonici eseguiti in marmo e quelli eseguiti in pie-tra. Giacché, affidati da committenti dal gusto ormaieclettico a due ordini di maestranze diversissime per na-scita, educazione artistica, e operanti in due stili diversi,sembrerebbero eseguiti a divario di almeno cin-quant'anni, mentre sono contemporanei, se si tratta dicolonne, o di poco successivi, se si tratta di porte, o ar-redi e decorazioni in marmo, collocati di solito al termi-ne delle opere murarie. Solo nelle opere del Carnilivariquesto divario a prima vista non si nota: perché l'archi-tetto lapicida è andato incontro allo scultore e ha fatto ditutto per avvicinarne lo stile. Ma è il solo: gli altri siostinavano sulla strada catalana, chiusi se non quasiostili agli scultori innovatori. Pertanto, in un'altra operacontemporanea, nella chiesa dell'Annunziata a Porta SanGiorgio di Palermo, quel divario stride tanto che ancheun recente illustratore, non potendo datare oltre il Quat-trocento le colonne e la porta in marmo, che da docu-menti e dallo stile risultano opera di Domenico Gagini(morto il 1492) ed essendo la finestra, anche essa inmarmo, del prospetto più incerta di stile, datata 1501, hacreduto di riportare tutta la costruzione al secolo prece-dente immaginando che verso la fine del Quattrocento lecolonne avessero sostituito immaginari pilastri ottagoni,come si son trovati in altra costruzione contigua. Sibadi: stilisticamente non aveva torto: fra la porta lateralein pietra ancor quasi romanica nell'insieme, trecentesca

79

nei particolari, e la porta principale gaginesca, timida egracile nell'ordine architettonico, ma rinascimentale intutti gli elementi marmorei, c'è un abisso stilistico. Ilcriterio stilistico solito, in queste regioni isolane e in se-coli ritardatari, non regge senza l'aiuto di date sicure.

Così nell'importante palazzo Marchesi, anch'esso diquesti ultimi anni del Quattrocento palermitano, ricchidi opere, solo una minuscola finestra esterna e lo scudoangolare della torre sono timidamente rinascimentali,perché in marmo. Tutto il resto, in pietra, è ancora cata-lano: il cortile ha archi acuti su pilastri ottagoni43, da-vanzale su mensole ad archetti trilobati, scala esterna suarco rampante in continuazione originale della risvoltadel portico; già il piano superiore ha finestre rettangola-ri, ma a trafori ancor gotici nel cortile, sul tipo carniliva-resco di palazzo Abatellis; infine nella torre esterna unagrande trifora in pietra è finemente e minuziosamentegotico-fiammeggiante, epperò goticissima, con l'arcopartente fra pinnacoli e slanciantesi in un coronamentoespanso a fiorone. Lo stesso può rivelarsi nello Steripin-to di Sciacca, dal portone sbiaditamente rinascimentalee con tutto il paramento a picos come una casa di Bar-cellona; lo stesso in Santa Maria dei Miracoli di Siracu-sa, che accanto a una edicoletta in pietra – dalla cornice

43 Tali pilastri, oltre i ricordati ora del Conservatorio di musi-ca, presso l'Annunziata di Porta San Giorgio, sono anche a Paler-mo nell'ingresso al monastero dei Martorana, presso Santa Mariadell'Ammiraglio, nel monastero di Santa Maria degli Angeli o laGancia ecc.

80

nei particolari, e la porta principale gaginesca, timida egracile nell'ordine architettonico, ma rinascimentale intutti gli elementi marmorei, c'è un abisso stilistico. Ilcriterio stilistico solito, in queste regioni isolane e in se-coli ritardatari, non regge senza l'aiuto di date sicure.

Così nell'importante palazzo Marchesi, anch'esso diquesti ultimi anni del Quattrocento palermitano, ricchidi opere, solo una minuscola finestra esterna e lo scudoangolare della torre sono timidamente rinascimentali,perché in marmo. Tutto il resto, in pietra, è ancora cata-lano: il cortile ha archi acuti su pilastri ottagoni43, da-vanzale su mensole ad archetti trilobati, scala esterna suarco rampante in continuazione originale della risvoltadel portico; già il piano superiore ha finestre rettangola-ri, ma a trafori ancor gotici nel cortile, sul tipo carniliva-resco di palazzo Abatellis; infine nella torre esterna unagrande trifora in pietra è finemente e minuziosamentegotico-fiammeggiante, epperò goticissima, con l'arcopartente fra pinnacoli e slanciantesi in un coronamentoespanso a fiorone. Lo stesso può rivelarsi nello Steripin-to di Sciacca, dal portone sbiaditamente rinascimentalee con tutto il paramento a picos come una casa di Bar-cellona; lo stesso in Santa Maria dei Miracoli di Siracu-sa, che accanto a una edicoletta in pietra – dalla cornice

43 Tali pilastri, oltre i ricordati ora del Conservatorio di musi-ca, presso l'Annunziata di Porta San Giorgio, sono anche a Paler-mo nell'ingresso al monastero dei Martorana, presso Santa Mariadell'Ammiraglio, nel monastero di Santa Maria degli Angeli o laGancia ecc.

80

fioritissima nella sua preziosità geometrica catalana –allinea nel prospetto una porta marmorea rinascimentaledatata: 1501.

Molti sono i monumenti o i resti del Quattrocento ar-chitettonico di Sicilia, assai più di quanto non si credadagli stessi siciliani, maggiormente inclini a ricordare iresti del Trecento, che sentono assai più di loro gusto,anziché questi che sentono tanto più esotici oggi, mache pure allora, sotto la dominazione aragonese, fioriro-no da tanti scalpelli di Sicilia. L'esame particolareggiatodi queste opere sparse da Siracusa a Modica, da Nicosiaa Pietraperzia, da Enna ad Agrigento, da Trapani ad Al-camo, non aggiungerebbe gran che ai caratteri essenzialimessi in luce attraverso gli esempi scelti in Palermo,centro assai vivo dell'attività architettonica in quei tem-pi. Sarà più utile piuttosto far risaltare come cresca il di-sinteresse presente per quest'arte della seconda correntecatalana quando non la sorregga la ricchezza dell'orna-mentazione che ha avuto sempre adoratori in Sicilia.Una chiesa, la più grande forse che ci abbia lasciatoquesto periodo, e nella città più popolosa dell'isola, Pa-lermo, oggi è dimenticata dal pubblico e dagli studiosi:Santa Maria di Monteoliveto, meglio conosciuta sotto ilnome dello Spasimo, da quand'ebbe il vanto di aver ret-to alle sue mura il quadro di Raffaello (1517) portatopoi via dai dominatori spagnuoli, pel museo del Prado.Si tratta di una chiesa a una sola grande navata altissi-ma, ora mancante di copertura tranne che nel santuario,con cappelle laterali intercomunicanti, dagli archi ancor

81

fioritissima nella sua preziosità geometrica catalana –allinea nel prospetto una porta marmorea rinascimentaledatata: 1501.

Molti sono i monumenti o i resti del Quattrocento ar-chitettonico di Sicilia, assai più di quanto non si credadagli stessi siciliani, maggiormente inclini a ricordare iresti del Trecento, che sentono assai più di loro gusto,anziché questi che sentono tanto più esotici oggi, mache pure allora, sotto la dominazione aragonese, fioriro-no da tanti scalpelli di Sicilia. L'esame particolareggiatodi queste opere sparse da Siracusa a Modica, da Nicosiaa Pietraperzia, da Enna ad Agrigento, da Trapani ad Al-camo, non aggiungerebbe gran che ai caratteri essenzialimessi in luce attraverso gli esempi scelti in Palermo,centro assai vivo dell'attività architettonica in quei tem-pi. Sarà più utile piuttosto far risaltare come cresca il di-sinteresse presente per quest'arte della seconda correntecatalana quando non la sorregga la ricchezza dell'orna-mentazione che ha avuto sempre adoratori in Sicilia.Una chiesa, la più grande forse che ci abbia lasciatoquesto periodo, e nella città più popolosa dell'isola, Pa-lermo, oggi è dimenticata dal pubblico e dagli studiosi:Santa Maria di Monteoliveto, meglio conosciuta sotto ilnome dello Spasimo, da quand'ebbe il vanto di aver ret-to alle sue mura il quadro di Raffaello (1517) portatopoi via dai dominatori spagnuoli, pel museo del Prado.Si tratta di una chiesa a una sola grande navata altissi-ma, ora mancante di copertura tranne che nel santuario,con cappelle laterali intercomunicanti, dagli archi ancor

81

gotici, dalle volte piuttosto semplici; da quel che si puògiudicare dal rimasto, talvolta rimaneggiato. Le finestrelaterali son quasi uguali a quelle di Santa Maria dellaCatena; la porta in fondo al coro è simile a quella latera-le di Santa Maria la Nuova, e reca anch'essa i segni diquell'incertezza stilistica fra l'attardarsi catalano el'incalzare della rinascenza, che corrispondono alle noti-zie storiche, le quali la danno iniziata sullo scorcio delQuattrocento e già finita ai primissimi del Cinquecento.È dunque coeva alla chiesa di Santa Maria della Catena,ma quanto meno siciliana, e quanto più disorientata sti-listicamente! L'ignoto architetto parrebbe ricordare no-stalgicamente la vastità spaziale della gotica chiesa diSan Francesco di Messina, anteriore di due secoli; mavorrebbe unirla alla semplicità dei santuari posteriori,per avvicinarsi alla rinascenza. Alla base di un cilindri-co risalto a grosso cordone, che sale in alto sulla pareteall'inizio del santuario, è qualche accenno alle preziositàdelle basi catalane, ma è subito tralasciato e non ha echi.In questa mancanza di convinzioni si perde anche l'ideageneratrice che poteva essere nobile, come è grandiosala vastità degli spazi. Quanta differenza dalla vitalità de-cisa e sicura del Carnilivari! La chiesa resta fredda nellasua imponente massa: i siciliani non l'hanno mai amata,l'han lasciata cadere nell'oblio e le erbe alte ora cresconodentro la nave scoperchiata. In questo fatto si può co-gliere una nota saliente del gusto siciliano.

82

gotici, dalle volte piuttosto semplici; da quel che si puògiudicare dal rimasto, talvolta rimaneggiato. Le finestrelaterali son quasi uguali a quelle di Santa Maria dellaCatena; la porta in fondo al coro è simile a quella latera-le di Santa Maria la Nuova, e reca anch'essa i segni diquell'incertezza stilistica fra l'attardarsi catalano el'incalzare della rinascenza, che corrispondono alle noti-zie storiche, le quali la danno iniziata sullo scorcio delQuattrocento e già finita ai primissimi del Cinquecento.È dunque coeva alla chiesa di Santa Maria della Catena,ma quanto meno siciliana, e quanto più disorientata sti-listicamente! L'ignoto architetto parrebbe ricordare no-stalgicamente la vastità spaziale della gotica chiesa diSan Francesco di Messina, anteriore di due secoli; mavorrebbe unirla alla semplicità dei santuari posteriori,per avvicinarsi alla rinascenza. Alla base di un cilindri-co risalto a grosso cordone, che sale in alto sulla pareteall'inizio del santuario, è qualche accenno alle preziositàdelle basi catalane, ma è subito tralasciato e non ha echi.In questa mancanza di convinzioni si perde anche l'ideageneratrice che poteva essere nobile, come è grandiosala vastità degli spazi. Quanta differenza dalla vitalità de-cisa e sicura del Carnilivari! La chiesa resta fredda nellasua imponente massa: i siciliani non l'hanno mai amata,l'han lasciata cadere nell'oblio e le erbe alte ora cresconodentro la nave scoperchiata. In questo fatto si può co-gliere una nota saliente del gusto siciliano.

82

Il Cinquecento

Dopo i presentimenti avvertibili in modo vago e dif-fuso in qualche opera intagliata in pietra della correntedurazzesca nel Messinese, nessun'altra costruzione, chesegni un passo avanti nel senso rinascimentale, parrebbesorgere per opera di artisti locali anteriormente al palaz-zo Abatellis di Matteo Carnilivari44. Esso è del 1488.

44 Ma se fosse sicura la data riferita dal Sorrentino in Da Eri-ce a Lilibeo (p. 57) per la cappella del Cristo risorto, aggiunta –dice nel 1476 – alla chiesa dell'Annunziata a Trapani, un impor-tante problema si presenterebbe per le origini del Rinascimentoarchitettonico in Sicilia, e meriterebbe tutta l'attenzione degli stu-diosi locali. Le forme di tale cappella, tutta in pietra da taglio,sono rinascimentali-lombarde, con qualche sopravvivenza di gu-sto gotico-siciliano. Si ripetono, nella stessa chiesa, quasi dellastessa mano, nell'interno della cappella dei Pescatori, anch'essa inpietra e che porterebbe dipinta la data MCCCC... Ind..., lacunosadove più interesserebbe. L'insieme è già rinascimentale, nono-stante qualche grande arco acuto e la decorazione ad alti cordonigotici dell'esterno e le cordonature dentellate che dividono in trezone sovrapposte le paraste che rinserrano le nicchie, ornate aconchiglia nel catino (come l'abside, pure circolare), nonostanteinfine la soluzione siciliana medievale a nicchie angolari diagona-li, per passare dal quadrato all'ottagono e poi alla circonferenzadella cupola con le varianti catalane. (Come a Sant'Antonio e allacappella Santa Oliva in San Francesco di Paola a Palermo). Se siunisce a questi due esempi di Trapani quello anche più complesso

83

Il Cinquecento

Dopo i presentimenti avvertibili in modo vago e dif-fuso in qualche opera intagliata in pietra della correntedurazzesca nel Messinese, nessun'altra costruzione, chesegni un passo avanti nel senso rinascimentale, parrebbesorgere per opera di artisti locali anteriormente al palaz-zo Abatellis di Matteo Carnilivari44. Esso è del 1488.

44 Ma se fosse sicura la data riferita dal Sorrentino in Da Eri-ce a Lilibeo (p. 57) per la cappella del Cristo risorto, aggiunta –dice nel 1476 – alla chiesa dell'Annunziata a Trapani, un impor-tante problema si presenterebbe per le origini del Rinascimentoarchitettonico in Sicilia, e meriterebbe tutta l'attenzione degli stu-diosi locali. Le forme di tale cappella, tutta in pietra da taglio,sono rinascimentali-lombarde, con qualche sopravvivenza di gu-sto gotico-siciliano. Si ripetono, nella stessa chiesa, quasi dellastessa mano, nell'interno della cappella dei Pescatori, anch'essa inpietra e che porterebbe dipinta la data MCCCC... Ind..., lacunosadove più interesserebbe. L'insieme è già rinascimentale, nono-stante qualche grande arco acuto e la decorazione ad alti cordonigotici dell'esterno e le cordonature dentellate che dividono in trezone sovrapposte le paraste che rinserrano le nicchie, ornate aconchiglia nel catino (come l'abside, pure circolare), nonostanteinfine la soluzione siciliana medievale a nicchie angolari diagona-li, per passare dal quadrato all'ottagono e poi alla circonferenzadella cupola con le varianti catalane. (Come a Sant'Antonio e allacappella Santa Oliva in San Francesco di Paola a Palermo). Se siunisce a questi due esempi di Trapani quello anche più complesso

83

Molto più nettamente e prima (1463-68) hanno operatodue scultori in marmo: Domenico Gagini da Bissone eFrancesco Laurana da Zara, eseguendo capitelli, porte,cappelle, a Sciacca prima, a Palermo poi; senza contarequi le opere propriamente scultoree. A costoro seguonoalcuni toscani e altri scultori lombardi, che hanno apertobottega da marmorai, come aveva fatto Domenico Gagi-ni in Palermo dopo che il Laurana e il suo aiuto Pietroda Bontade erano andati via, quando ebbero finito a Pa-lermo la cappella Mastrantonio nel San Francescod'Assisi: l'opera più significativa di tutto il gruppo45, lafonte cui s'abbeverarono il Carnilivari prima e Antonel-lo Gagini poi. Il Rinascimento nelle sue forme concreteè dunque importato in Sicilia da scultori di marmo con-

della cupola di Sant'Egidio di Mazzara, già notato da Freshfield(cupola dei primi anni del Cinquecento al più tardi), si vede tuttal'importanza del problema.

45 Non è stata studiata dal lato architettonico, non meno im-portante di quello scultoreo. I fondi prospettici di monumenti per-fettamente rinascimentali molto rivelerebbero sulla capacità diFrancesco Laurana come architetto nel 1468. Già aveva lavorato(1455-58) all'arco di Alfonso d'Aragona in Napoli, e poi in Fran-cia; mentre dell'altro Laurana, cioè Luciano, le prime notizie sicu-re sono del 1465. Il Pane (vedi Architettura del Rinascimento inNapoli), per diverse argomentazioni indotto a ritenere che sia dilui la composizione della porta interna nell'arco aragonese di Na-poli, avrebbe trovato l'argomento diretto e probante nel confrontofra il coronamento della porta napoletana singolare a due masserialzate laterali con quello analogo della cappella palermitana,imitato dal Carnilivari nel portico di Santa Maria della Catena.

84

Molto più nettamente e prima (1463-68) hanno operatodue scultori in marmo: Domenico Gagini da Bissone eFrancesco Laurana da Zara, eseguendo capitelli, porte,cappelle, a Sciacca prima, a Palermo poi; senza contarequi le opere propriamente scultoree. A costoro seguonoalcuni toscani e altri scultori lombardi, che hanno apertobottega da marmorai, come aveva fatto Domenico Gagi-ni in Palermo dopo che il Laurana e il suo aiuto Pietroda Bontade erano andati via, quando ebbero finito a Pa-lermo la cappella Mastrantonio nel San Francescod'Assisi: l'opera più significativa di tutto il gruppo45, lafonte cui s'abbeverarono il Carnilivari prima e Antonel-lo Gagini poi. Il Rinascimento nelle sue forme concreteè dunque importato in Sicilia da scultori di marmo con-

della cupola di Sant'Egidio di Mazzara, già notato da Freshfield(cupola dei primi anni del Cinquecento al più tardi), si vede tuttal'importanza del problema.

45 Non è stata studiata dal lato architettonico, non meno im-portante di quello scultoreo. I fondi prospettici di monumenti per-fettamente rinascimentali molto rivelerebbero sulla capacità diFrancesco Laurana come architetto nel 1468. Già aveva lavorato(1455-58) all'arco di Alfonso d'Aragona in Napoli, e poi in Fran-cia; mentre dell'altro Laurana, cioè Luciano, le prime notizie sicu-re sono del 1465. Il Pane (vedi Architettura del Rinascimento inNapoli), per diverse argomentazioni indotto a ritenere che sia dilui la composizione della porta interna nell'arco aragonese di Na-poli, avrebbe trovato l'argomento diretto e probante nel confrontofra il coronamento della porta napoletana singolare a due masserialzate laterali con quello analogo della cappella palermitana,imitato dal Carnilivari nel portico di Santa Maria della Catena.

84

tinentali. Fra il 1488 e il 1500 assistiamo allo sforzo no-bilissimo e audace di quell'incisor lapidum di genio chefu Matteo Carnilivari, per dare un carattere rinascimen-tale alla sua produzione, selezionando e rinnovando, allafine, il formulario delle tre correnti allora operanti in Si-cilia. Produce tre opere singolarissime: due palazzi euna chiesa. Un palazzo, l'Abatellis, è severo come unafortezza: ha torre e merli. Di più s'accosta al Rinasci-mento nel portico della chiesa di Santa Maria della Ca-tena che è la semplificazione del portico del Duomo co-ronato lauranescamente secondo la cappella Mastranto-nio, anziché a frontone46.

Più ricorda le glorie locali nel cortile di palazzo Aiu-tamicristo. Più rivela il suo studio delle glorie normannenella pianta di Santa Maria della Catena, che è la ripro-duzione in piccolo di quella del Duomo di Monreale,con l'aggiunta di cappelle alle navate minori. È imitato,ma non capito dai compagni lapicidi di Palermo. Alcunesue forme, non il suo spirito, passano per esempio inSanta Maria la Nuova (nel portico) o nel palazzo Mar-chesi, ma vi sono appesantite in senso catalano: ritornodunque indietro anziché progresso sulla via rinascimen-tale. Nel frattempo gli scultori immigrati soppiantanocompletamente i marmorai catalaneggianti. Dopo il por-tico della Cattedrale nessuna colonna più, nessuna porta

46 È strana la somiglianza che con tale cortile ha quello delpalazzo Vitelleschi a (Corneto) Tarquinia, somiglianza già notatadal Cutrera più estesamente fra monumenti di quella città e i pre-cedenti siciliani.

85

tinentali. Fra il 1488 e il 1500 assistiamo allo sforzo no-bilissimo e audace di quell'incisor lapidum di genio chefu Matteo Carnilivari, per dare un carattere rinascimen-tale alla sua produzione, selezionando e rinnovando, allafine, il formulario delle tre correnti allora operanti in Si-cilia. Produce tre opere singolarissime: due palazzi euna chiesa. Un palazzo, l'Abatellis, è severo come unafortezza: ha torre e merli. Di più s'accosta al Rinasci-mento nel portico della chiesa di Santa Maria della Ca-tena che è la semplificazione del portico del Duomo co-ronato lauranescamente secondo la cappella Mastranto-nio, anziché a frontone46.

Più ricorda le glorie locali nel cortile di palazzo Aiu-tamicristo. Più rivela il suo studio delle glorie normannenella pianta di Santa Maria della Catena, che è la ripro-duzione in piccolo di quella del Duomo di Monreale,con l'aggiunta di cappelle alle navate minori. È imitato,ma non capito dai compagni lapicidi di Palermo. Alcunesue forme, non il suo spirito, passano per esempio inSanta Maria la Nuova (nel portico) o nel palazzo Mar-chesi, ma vi sono appesantite in senso catalano: ritornodunque indietro anziché progresso sulla via rinascimen-tale. Nel frattempo gli scultori immigrati soppiantanocompletamente i marmorai catalaneggianti. Dopo il por-tico della Cattedrale nessuna colonna più, nessuna porta

46 È strana la somiglianza che con tale cortile ha quello delpalazzo Vitelleschi a (Corneto) Tarquinia, somiglianza già notatadal Cutrera più estesamente fra monumenti di quella città e i pre-cedenti siciliani.

85

marmorea ha stile catalano. I committenti affidano lemurature ai lapicidi costruttori abilissimi, sempre tradi-zionali fin oltre la metà del Cinquecento, ma riservanotutte le opere marmoree alle botteghe rinascimentali,quella fondata da Domenico Gagini prende il soprav-vento col figlio Antonello (1478-1536). Questi dàun'organizzazione industriale (quasi moderna, certoignota ai siciliani) alla bottega ereditata, assorbendo ilombardi Mancino e i Berrettaro, già concorrenti, ededucando tutti i figli al mestiere così redditizio da per-mettergli di aver due botteghe: una presso il Duomo,vero cantiere di lavorazione, l'altra al porto, mostra dilavori finiti, pronti all'esportazione in tutta la Sicilia e inCalabria, e scalo per commercio non solamente di mar-mi. Egli studia architettura non solo col padre (che, pertestimonianza del Filarete, era stato allievo del Brunelle-sco e aveva conosciuto opere di Francesco di GiorgioMartini), ma anche nei suoi viaggi in Toscana per acqui-sto di marmi, e studia il trattato del Vitruvio, di cui unacopia lascia per testamento al figlio Fazio, che opereràanche lui da architetto. È certo che nelle grandi tribune enelle varie inquadrature marmoree, talune di grandemole e importanza, ha sempre ed esclusivamente fattoarchitettura rinascimentale. Ma nel decennio ultimo del-la sua vita ha lavorato proprio da architetto, iniziandocosì anche in Sicilia la serie degli architetti-decoratorialtrettanto affascinanti nella veste decorativa quantopoco esperti costruttori, serie contrapposta a quella più

86

marmorea ha stile catalano. I committenti affidano lemurature ai lapicidi costruttori abilissimi, sempre tradi-zionali fin oltre la metà del Cinquecento, ma riservanotutte le opere marmoree alle botteghe rinascimentali,quella fondata da Domenico Gagini prende il soprav-vento col figlio Antonello (1478-1536). Questi dàun'organizzazione industriale (quasi moderna, certoignota ai siciliani) alla bottega ereditata, assorbendo ilombardi Mancino e i Berrettaro, già concorrenti, ededucando tutti i figli al mestiere così redditizio da per-mettergli di aver due botteghe: una presso il Duomo,vero cantiere di lavorazione, l'altra al porto, mostra dilavori finiti, pronti all'esportazione in tutta la Sicilia e inCalabria, e scalo per commercio non solamente di mar-mi. Egli studia architettura non solo col padre (che, pertestimonianza del Filarete, era stato allievo del Brunelle-sco e aveva conosciuto opere di Francesco di GiorgioMartini), ma anche nei suoi viaggi in Toscana per acqui-sto di marmi, e studia il trattato del Vitruvio, di cui unacopia lascia per testamento al figlio Fazio, che opereràanche lui da architetto. È certo che nelle grandi tribune enelle varie inquadrature marmoree, talune di grandemole e importanza, ha sempre ed esclusivamente fattoarchitettura rinascimentale. Ma nel decennio ultimo del-la sua vita ha lavorato proprio da architetto, iniziandocosì anche in Sicilia la serie degli architetti-decoratorialtrettanto affascinanti nella veste decorativa quantopoco esperti costruttori, serie contrapposta a quella più

86

numerosa dei lapicidi protomaestri, esperti costruttorima fiacchi e tardivi, poco fantasiosi.

Antonello, come architetto ha esordito con la costru-zione della cappella dei Genovesi annessa al San Fran-cesco di Palermo e dedicata a San Giorgio, il cui internoè ora una totalmente spoglia aula rettangolare, ma il cuiesterno ha una bella porta e nobili finestre marmoree.Purtroppo l'opera veramente architettonica di AntonelloGagini, cioè il progetto e la direzione della Chiesa diSanta Maria di Porto Salvo in Palermo (1525-1536), perle alterazioni da questa chiesa subite, in seguito al taglioper prolungamento di via Toledo, nel 1581, resta pocochiara, nonostante i documenti dell'infaticabile monsi-gnor Di Marzo e lo studio recente dell'architetto Spatri-sano47. Per intenderla bisogna ricorrere ancora alle testi-monianze scultoree48. Il rilievo marmoreo nella tribunadel Duomo di Palermo (rappresentante un miracolo diSan Filippo nell'interno prospettico di un tempio basili-cale), opera massima, ora scomposta, di Antonello scul-tore, ci dà l'immagine completa dell'interno della chiesa

47 G. Di Marzo, I Gagini in Sicilia, vol. 2. G. Spatrisano, S.Maria di Porto Salvo.

48 Nelle grandi icone (dette tribune) di Palermo (Santa Cita),di Nicosia (Santa Maria Maggiore), di Trapani (Annunziata) e piùancora nella grandissima del Duomo di Palermo, per la quale la-vorò circa trent'anni, da ultimo aiutato dai figli, che pare l'abbianoultimata alcuni anni dopo la morte di lui, si mostra compositored'architettura facile e vario, disposto però a subordinare le propor-zioni architettoniche alle esigenze scultoree. Specialmente in San-ta Cita palesa lo studio del Laurana.

87

numerosa dei lapicidi protomaestri, esperti costruttorima fiacchi e tardivi, poco fantasiosi.

Antonello, come architetto ha esordito con la costru-zione della cappella dei Genovesi annessa al San Fran-cesco di Palermo e dedicata a San Giorgio, il cui internoè ora una totalmente spoglia aula rettangolare, ma il cuiesterno ha una bella porta e nobili finestre marmoree.Purtroppo l'opera veramente architettonica di AntonelloGagini, cioè il progetto e la direzione della Chiesa diSanta Maria di Porto Salvo in Palermo (1525-1536), perle alterazioni da questa chiesa subite, in seguito al taglioper prolungamento di via Toledo, nel 1581, resta pocochiara, nonostante i documenti dell'infaticabile monsi-gnor Di Marzo e lo studio recente dell'architetto Spatri-sano47. Per intenderla bisogna ricorrere ancora alle testi-monianze scultoree48. Il rilievo marmoreo nella tribunadel Duomo di Palermo (rappresentante un miracolo diSan Filippo nell'interno prospettico di un tempio basili-cale), opera massima, ora scomposta, di Antonello scul-tore, ci dà l'immagine completa dell'interno della chiesa

47 G. Di Marzo, I Gagini in Sicilia, vol. 2. G. Spatrisano, S.Maria di Porto Salvo.

48 Nelle grandi icone (dette tribune) di Palermo (Santa Cita),di Nicosia (Santa Maria Maggiore), di Trapani (Annunziata) e piùancora nella grandissima del Duomo di Palermo, per la quale la-vorò circa trent'anni, da ultimo aiutato dai figli, che pare l'abbianoultimata alcuni anni dopo la morte di lui, si mostra compositored'architettura facile e vario, disposto però a subordinare le propor-zioni architettoniche alle esigenze scultoree. Specialmente in San-ta Cita palesa lo studio del Laurana.

87

concepita da Antonello Gagini architetto, integrandocosì le parti mutilate nelle vicissitudini posteriori o alte-rate dal pedissequo tagliapietre catalaneggiante chemutò la concezione interna del Gagini, ispirata al Bru-nellesco, in una carnevalesca tardiva. Ma, nonostantetutte le trasformazioni che ci han tolto una perfetta ope-ra architettonica rinascimentale dovuta al massimo scul-tore siciliano del Cinquecento, Santa Maria di Porto Sal-vo resta fondamentale per l'architettura cinquecentescain Sicilia, e stabilisce la formula architettonica per gliedifici religiosi in Palermo. Per essa non solo si può, masi deve parlare di scuola gaginesca anche in architettu-ra49; un gruppo di chiese mostra in Palermo una tradi-zione locale50. Son caratteristici all'esterno l'uso di allun-gate paraste doriche su alto piedistallo, la cui lieve spor-genza dal muro si annulla nel mezzo per il rincasso dellafronte, il bel parametro murario liscio interrotto da fine-stre a edicole doriche senza frontone, con più o menoforte strombatura che allunga il vano-finestra, sul tipoche Francesco di Giorgio Martini ha usato a Santa Maria

49 Vedere specialmente le due pubblicazioni di G. Spatrisano,S. Maria di Porto Salvo e S. Maria di Piedigrotta; e di S. Cardel-la, S. Maria dei Miracoli.

50 Le principali sono: Santa Maria dei Miracoli, Santa Mariadi Piedigrotta e San Giorgio dei Genovesi. Ma più o meno riallac-ciabili con la corrente gaginiana sono – sempre a Palermo – SanGiovanni dei Napolitani, del 1526, Santa Maria la Nova, SanMarco, Santi Cosma e Damiano e San Sebastiano, e fors'ancheSanta Maria del Pilier in piazza Vittoria e San Crispino e Crispi-niano al principio del XVII secolo.

88

concepita da Antonello Gagini architetto, integrandocosì le parti mutilate nelle vicissitudini posteriori o alte-rate dal pedissequo tagliapietre catalaneggiante chemutò la concezione interna del Gagini, ispirata al Bru-nellesco, in una carnevalesca tardiva. Ma, nonostantetutte le trasformazioni che ci han tolto una perfetta ope-ra architettonica rinascimentale dovuta al massimo scul-tore siciliano del Cinquecento, Santa Maria di Porto Sal-vo resta fondamentale per l'architettura cinquecentescain Sicilia, e stabilisce la formula architettonica per gliedifici religiosi in Palermo. Per essa non solo si può, masi deve parlare di scuola gaginesca anche in architettu-ra49; un gruppo di chiese mostra in Palermo una tradi-zione locale50. Son caratteristici all'esterno l'uso di allun-gate paraste doriche su alto piedistallo, la cui lieve spor-genza dal muro si annulla nel mezzo per il rincasso dellafronte, il bel parametro murario liscio interrotto da fine-stre a edicole doriche senza frontone, con più o menoforte strombatura che allunga il vano-finestra, sul tipoche Francesco di Giorgio Martini ha usato a Santa Maria

49 Vedere specialmente le due pubblicazioni di G. Spatrisano,S. Maria di Porto Salvo e S. Maria di Piedigrotta; e di S. Cardel-la, S. Maria dei Miracoli.

50 Le principali sono: Santa Maria dei Miracoli, Santa Mariadi Piedigrotta e San Giorgio dei Genovesi. Ma più o meno riallac-ciabili con la corrente gaginiana sono – sempre a Palermo – SanGiovanni dei Napolitani, del 1526, Santa Maria la Nova, SanMarco, Santi Cosma e Damiano e San Sebastiano, e fors'ancheSanta Maria del Pilier in piazza Vittoria e San Crispino e Crispi-niano al principio del XVII secolo.

88

delle Grazie a Cortona, e forse portato a Napoli – dovesi trova in Santa Maria a Formello – quando si tolga ilcoronamento a timpano. L'ordine a paraste doriche daifianchi ricorre in prospetto; sulla trabeazione poco spor-gente la navata centrale si manifesta per una sopraeleva-zione ad analoghe paraste non alte e un occhio circolareanch'esso doppiamente strombato. Le porte sono in mar-mo in Santa Maria di Porto Salvo, più evolute rispetto alcarattere gracile, corrispondente al Quattrocento italia-no, dell'esterno, che perdura sin quasi alla fine del seco-lo. È invece regolare l'ordine corinzio o composito-fan-tastico, poi dorico dell'interno, in genere col caratteristi-co piedistallo e talvolta con forti soprassesti delle arcate.La pianta è, salvo casi speciali, quella basilicale nor-manna tradizionale in Sicilia, rimessa in onore dal Car-nilivari. L'interno è illuminato dalle finestre strombateperimetrali e da finestrine arcuate nella navata centrale,da piccoli occhi aperti nel rialzo della crociera sullanave mediana.

Tra i figli del Gagini particolarmente operoso in ar-chitettura è Fazio. In compagnia col fratello Vincenzocostruisce (1547) il portico laterale del Duomo di Mon-reale verso la piazza, portico timido, gracile, nel partitoad arcate su colonne e volta a padiglione lunettata, noncompletamente esente da influenze catalane nel tondeg-giante pseudo-pulvino sulle colonne antiche rilavorate.Col fratello costruisce poco dopo (1563-67) l'analogoportico settentrionale del Duomo di Palermo, che, neisuoi resti, ce lo mostra alquanto più evoluto, e adottante

89

delle Grazie a Cortona, e forse portato a Napoli – dovesi trova in Santa Maria a Formello – quando si tolga ilcoronamento a timpano. L'ordine a paraste doriche daifianchi ricorre in prospetto; sulla trabeazione poco spor-gente la navata centrale si manifesta per una sopraeleva-zione ad analoghe paraste non alte e un occhio circolareanch'esso doppiamente strombato. Le porte sono in mar-mo in Santa Maria di Porto Salvo, più evolute rispetto alcarattere gracile, corrispondente al Quattrocento italia-no, dell'esterno, che perdura sin quasi alla fine del seco-lo. È invece regolare l'ordine corinzio o composito-fan-tastico, poi dorico dell'interno, in genere col caratteristi-co piedistallo e talvolta con forti soprassesti delle arcate.La pianta è, salvo casi speciali, quella basilicale nor-manna tradizionale in Sicilia, rimessa in onore dal Car-nilivari. L'interno è illuminato dalle finestre strombateperimetrali e da finestrine arcuate nella navata centrale,da piccoli occhi aperti nel rialzo della crociera sullanave mediana.

Tra i figli del Gagini particolarmente operoso in ar-chitettura è Fazio. In compagnia col fratello Vincenzocostruisce (1547) il portico laterale del Duomo di Mon-reale verso la piazza, portico timido, gracile, nel partitoad arcate su colonne e volta a padiglione lunettata, noncompletamente esente da influenze catalane nel tondeg-giante pseudo-pulvino sulle colonne antiche rilavorate.Col fratello costruisce poco dopo (1563-67) l'analogoportico settentrionale del Duomo di Palermo, che, neisuoi resti, ce lo mostra alquanto più evoluto, e adottante

89

l'architettura paterna dell'interno di Porto Salvo, edell'edicola dello stesso Antonello datata 1528, dalbell'ordine composito a semicolonne51. Questo stesso or-dine, anche più ricco nel fregio, troviamo adottatonell'interno singolarissimo di Santa Maria dei Miracoli,vero gioiello dell'architettura siciliana della scuola deiGagini, mentre l'esterno si mantiene fedele alla formulapaterna, forse con più finezza nelle finestre a edicole.

Qui Fazio Gagini – pare, da solo – nettamente si faerede sia dei tipi rinascimentali paterni, sia degli idealidi Matteo Carnilivari. Si propone di fare cioè, con formepiù propriamente rinascimentali, una riesumazione dellatipica chiesa centrica siciliana normanno-bizantina, cosìcome il Carnilivari cinquant'anni prima aveva fatto perla tipica chiesa basilicale siciliana del regno normanno.Ne è venuto fuori un indicibile senso di miracolosonell'armonico interno per la sveltezza degli archi a tuttosesto che si dipartono a ventaglio da un altro parallelepi-pedo di soprassesto (tradizione araba interpretata conserena ingenuità da quattrocentista), e delle volte de-presse lunettate, che dan risalto all'esterno alla crocegreca con leggeri rialzi lungo gli assi della croce; e perla genialità della soluzione centrale, con cui ha siciliana-mente sostituito, al posto della cupola su pennacchi, unaspecie di torretiburio a base quadrata, con quattro lumi-nose finestre rettangolari, coperta con una quattrocente-

51 Ora al Museo, già della cappella degli Ansalone allo Spasi-mo, contenente nella nicchia la Madonna del Riposo.

90

l'architettura paterna dell'interno di Porto Salvo, edell'edicola dello stesso Antonello datata 1528, dalbell'ordine composito a semicolonne51. Questo stesso or-dine, anche più ricco nel fregio, troviamo adottatonell'interno singolarissimo di Santa Maria dei Miracoli,vero gioiello dell'architettura siciliana della scuola deiGagini, mentre l'esterno si mantiene fedele alla formulapaterna, forse con più finezza nelle finestre a edicole.

Qui Fazio Gagini – pare, da solo – nettamente si faerede sia dei tipi rinascimentali paterni, sia degli idealidi Matteo Carnilivari. Si propone di fare cioè, con formepiù propriamente rinascimentali, una riesumazione dellatipica chiesa centrica siciliana normanno-bizantina, cosìcome il Carnilivari cinquant'anni prima aveva fatto perla tipica chiesa basilicale siciliana del regno normanno.Ne è venuto fuori un indicibile senso di miracolosonell'armonico interno per la sveltezza degli archi a tuttosesto che si dipartono a ventaglio da un altro parallelepi-pedo di soprassesto (tradizione araba interpretata conserena ingenuità da quattrocentista), e delle volte de-presse lunettate, che dan risalto all'esterno alla crocegreca con leggeri rialzi lungo gli assi della croce; e perla genialità della soluzione centrale, con cui ha siciliana-mente sostituito, al posto della cupola su pennacchi, unaspecie di torretiburio a base quadrata, con quattro lumi-nose finestre rettangolari, coperta con una quattrocente-

51 Ora al Museo, già della cappella degli Ansalone allo Spasi-mo, contenente nella nicchia la Madonna del Riposo.

90

sca volta stellare senza costole, dagli spigoli semplici, arisalto attenuato nella bianca luminosità regnantevi.Qualche simile soluzione rinascimentale allungata è neitre archi delle tre absidi, delle quali la centrale, poligo-nale, ha soluzioni anche più arcaiche, nelle volte a vela,a spigoli semplici partenti da esilissimi residui di pilastriagli angoli. Conquista il candore delle ingenue soluzionirinascimentali arcaizzanti, annegate nella bianca chiaritàdelle volte in confronto colla relativa maturità dell'ordi-ne corinzio delle quattro colonne lisce su piedistalli, cuifan riscontro semicolonne scanalate alle pareti, con mo-danature intagliate e parchi ornati nei brevi fregi e nellefronti dei piedistalli. Come tutto ciò si eleva a simbolodell'architettura siciliana del Cinquecento! Fazio si senteinteramente siciliano, mentre Antonello lo si sentiva amezzo e Domenico, il nonno, era rimasto lombardo, di-morante in Sicilia per tornaconto.

Ma la stessa anima di siciliano ritroviamo nell'ultimoquarto del secolo in Giorgio di Faccio, se non l'ultimo,certo il maggiore e più evoluto rappresentante della cor-rente gaginiana di Palermo, non tanto per la chiesa asala di Piedigrotta (che è dubbio se sia lavoro di lui) maper l'altro gioiello dell'architettura religiosa palermitana:il San Giorgio dei Genovesi. L'esterno, al solito, si man-tiene fedele allo schema antonelliano: solo le paraste do-riche sono meno esili e le angolari si staccano, creandotre profili anziché uno solo. In alto la finestra a occhio siarricchisce di qualche cartoccio, la sopraelevazione siraccorda con calma voluta e semplice alla cornice dei

91

sca volta stellare senza costole, dagli spigoli semplici, arisalto attenuato nella bianca luminosità regnantevi.Qualche simile soluzione rinascimentale allungata è neitre archi delle tre absidi, delle quali la centrale, poligo-nale, ha soluzioni anche più arcaiche, nelle volte a vela,a spigoli semplici partenti da esilissimi residui di pilastriagli angoli. Conquista il candore delle ingenue soluzionirinascimentali arcaizzanti, annegate nella bianca chiaritàdelle volte in confronto colla relativa maturità dell'ordi-ne corinzio delle quattro colonne lisce su piedistalli, cuifan riscontro semicolonne scanalate alle pareti, con mo-danature intagliate e parchi ornati nei brevi fregi e nellefronti dei piedistalli. Come tutto ciò si eleva a simbolodell'architettura siciliana del Cinquecento! Fazio si senteinteramente siciliano, mentre Antonello lo si sentiva amezzo e Domenico, il nonno, era rimasto lombardo, di-morante in Sicilia per tornaconto.

Ma la stessa anima di siciliano ritroviamo nell'ultimoquarto del secolo in Giorgio di Faccio, se non l'ultimo,certo il maggiore e più evoluto rappresentante della cor-rente gaginiana di Palermo, non tanto per la chiesa asala di Piedigrotta (che è dubbio se sia lavoro di lui) maper l'altro gioiello dell'architettura religiosa palermitana:il San Giorgio dei Genovesi. L'esterno, al solito, si man-tiene fedele allo schema antonelliano: solo le paraste do-riche sono meno esili e le angolari si staccano, creandotre profili anziché uno solo. In alto la finestra a occhio siarricchisce di qualche cartoccio, la sopraelevazione siraccorda con calma voluta e semplice alla cornice dei

91

lati. Pinnacoli a palla s'innalzano agli angoli. Una massacubica, bipartita su ogni faccia da lesene anche più alte,chiude con semplicità i volumi interni del capo di croce,del transetto e degli ambienti angolari; sulla crociera sieleva un tamburo ottagonale semplice a lesene sempredoriche, finestre rettangolari e cupolette all'interno, tettopiramidale all'esterno. Le solite finestre a edicola senzafrontone e strombate son poste più alte se illuminano lanave transversa anziché le navatelle. Mancano le treporte che dovevan essere di marmo, ma restano gli infis-si originali in legno, alquanto semplici. Solo le modana-ture in pietra e il fregio s'arricchiscono d'intagli. Ma an-che qui la ricchezza è all'interno: Giorgio di Faccio siispira anche lui alla cattedrale normanna palermitanaper tradurre in forme rinascimentali la soluzione, famo-sa in quel monumento normanno, dei gruppi di quattrocolonne su unico piedistallo per ogni sostegno e delleotto colonne per i sostegni alla crociera. Anche qui gliarchi tondi han sentiti soprassesti: sotto il tiburio, nellacrociera, alle colonne inferiori si sovrappongono altrecolonne e poi gli arconi, con soluzione che richiamaSanta Maria di Abbiategrasso del Bramante. Se esistesseancora l'interno del Duomo di Palermo, qual era statotrasformato con la aggiunta della serie di cappelle ini-ziata da Domenico Gagini dopo il 1480 e continuata pertutto il secolo XVI, ma specialmente operata intorno al1580 con le cappelle ordinate a Fazio e Vincenzo Gaginidall'arcivescovo Marullo, avremmo modo di seguire in

92

lati. Pinnacoli a palla s'innalzano agli angoli. Una massacubica, bipartita su ogni faccia da lesene anche più alte,chiude con semplicità i volumi interni del capo di croce,del transetto e degli ambienti angolari; sulla crociera sieleva un tamburo ottagonale semplice a lesene sempredoriche, finestre rettangolari e cupolette all'interno, tettopiramidale all'esterno. Le solite finestre a edicola senzafrontone e strombate son poste più alte se illuminano lanave transversa anziché le navatelle. Mancano le treporte che dovevan essere di marmo, ma restano gli infis-si originali in legno, alquanto semplici. Solo le modana-ture in pietra e il fregio s'arricchiscono d'intagli. Ma an-che qui la ricchezza è all'interno: Giorgio di Faccio siispira anche lui alla cattedrale normanna palermitanaper tradurre in forme rinascimentali la soluzione, famo-sa in quel monumento normanno, dei gruppi di quattrocolonne su unico piedistallo per ogni sostegno e delleotto colonne per i sostegni alla crociera. Anche qui gliarchi tondi han sentiti soprassesti: sotto il tiburio, nellacrociera, alle colonne inferiori si sovrappongono altrecolonne e poi gli arconi, con soluzione che richiamaSanta Maria di Abbiategrasso del Bramante. Se esistesseancora l'interno del Duomo di Palermo, qual era statotrasformato con la aggiunta della serie di cappelle ini-ziata da Domenico Gagini dopo il 1480 e continuata pertutto il secolo XVI, ma specialmente operata intorno al1580 con le cappelle ordinate a Fazio e Vincenzo Gaginidall'arcivescovo Marullo, avremmo modo di seguire in

92

un solo monumento l'evoluzione di questa corrente perpiù d'un secolo.

Riassumiamo: pur tenendo in gran conto la chiesa diSanta Maria della Catena del Carnilivari, monito edesempio per tutti i gaginiani, nella cappella Matrantoniodel Laurana è l'inizio e nelle quattro chiese di Santa Ma-ria l'Annunziata a Porta San Giorgio, Santa Maria diPorto Salvo, Santa Maria dei Miracoli e San Giorgio deiGenovesi son le pietre miliari di quell'architettura reli-giosa in Palermo durante il Rinascimento, che può abuon diritto classificarsi «corrente dei Gagini»52.

Qualche esempio sporadico, come la facciatad'ingresso a Santa Eulalia dei Catalani, più vicina aesempi classici, con qualche accento napolitano, pel fat-to stesso di esser rimasto senza echi, conferma la pre-ponderanza di quella corrente. Assai meno importante,perché limitata ai particolari o agli elementi architettoni-ci, non estesa con nuova visione a tutta la struttura, è lascuola dei marmorai fiorita a Messina e che in Antonel-lo Freri ha la figura principale e nei Mazzola – carraresi– ha gli epigoni che segnano il passaggio all'indirizzodei michelangioleschi, che trionfò nell'ultima parte delsecolo. Più eclettica anche più gracile, più amante

52 Oggi un gruppo di giovani architetti ha già pubblicato, feli-cemente illustrandole, le opere principali di tale corrente rimastain Palermo. Ma i lavori degli epigoni, cioè dei Gagini pronipotidel maggiore Antonello, mediocrissimi come scultori, epperò di-sprezzati dalla critica, aspettano ancora chi li raccolga meritoria-mente in un esame scientifico.

93

un solo monumento l'evoluzione di questa corrente perpiù d'un secolo.

Riassumiamo: pur tenendo in gran conto la chiesa diSanta Maria della Catena del Carnilivari, monito edesempio per tutti i gaginiani, nella cappella Matrantoniodel Laurana è l'inizio e nelle quattro chiese di Santa Ma-ria l'Annunziata a Porta San Giorgio, Santa Maria diPorto Salvo, Santa Maria dei Miracoli e San Giorgio deiGenovesi son le pietre miliari di quell'architettura reli-giosa in Palermo durante il Rinascimento, che può abuon diritto classificarsi «corrente dei Gagini»52.

Qualche esempio sporadico, come la facciatad'ingresso a Santa Eulalia dei Catalani, più vicina aesempi classici, con qualche accento napolitano, pel fat-to stesso di esser rimasto senza echi, conferma la pre-ponderanza di quella corrente. Assai meno importante,perché limitata ai particolari o agli elementi architettoni-ci, non estesa con nuova visione a tutta la struttura, è lascuola dei marmorai fiorita a Messina e che in Antonel-lo Freri ha la figura principale e nei Mazzola – carraresi– ha gli epigoni che segnano il passaggio all'indirizzodei michelangioleschi, che trionfò nell'ultima parte delsecolo. Più eclettica anche più gracile, più amante

52 Oggi un gruppo di giovani architetti ha già pubblicato, feli-cemente illustrandole, le opere principali di tale corrente rimastain Palermo. Ma i lavori degli epigoni, cioè dei Gagini pronipotidel maggiore Antonello, mediocrissimi come scultori, epperò di-sprezzati dalla critica, aspettano ancora chi li raccolga meritoria-mente in un esame scientifico.

93

dell'aiuto del colore negli interni, questa scuola messine-se complessivamente ha una affinità fondamentale conl'altra dei Gagini: rimane cioè anch'essa al Rinascimentoquattrocentesco, sempre che le distruzioni secolari nonce la facciano svalutare troppo53. A queste correnti puòcollegarsi, non tanto per le forme ma per lo spirito ag-graziato e un poco attaccato alla tradizione, tutto il restodell'architettura cinquecentesca dell'isola che non sianettamente ritardataria oppure catalaneggiante, per quasidue terzi del secolo. L'altra parte ritorna all'antica essen-zialità costruttiva e volumetrica, arricchendola di portalialquanto pretenziosi nell'uso degli ordini dalle propor-zioni tozze e troppo decorati (cattedrale di Castelvetra-no, porta della chiesa della Triade a Forza d'Agrò ecc.).

53 Architettonicamente, più che le tombe, lasciate dal Freri inMessina, interessa la scala-torre costruita, con bicromia in pietrainternamente al Duomo, per metterlo in comunicazione – median-te passaggio a ponte – col campanile isolato; in Catania, il com-plesso delle opere adunate nella cappella di Sant'Agata al Duomo,in marmo, con aggiunta di colori e d'oro. Ma da lui derivano mol-teplici portali, ingenuamente rinascimentali, della provincia diMessina pubblicati dal Samonà per le note ritardatarie, in pienoCinquecento. Anche a Catania (porta interna ed esterna lateraledel Duomo) sono le opere scultoree-architettoniche più note delMazzola; ma per i caratteri, già nettamente michelangioleschi del-la scultura decorativa e meno evoluti nella composizione architet-tonica, a lui o alla sua scuola devono attribuirsi molti complessimarmorei in provincia di Messina: per esempio, una riproduzionedella Santa Casa di Loreto in una chiesa – se la memoria nonc'inganna – di Santa Lucia del Mela.

94

dell'aiuto del colore negli interni, questa scuola messine-se complessivamente ha una affinità fondamentale conl'altra dei Gagini: rimane cioè anch'essa al Rinascimentoquattrocentesco, sempre che le distruzioni secolari nonce la facciano svalutare troppo53. A queste correnti puòcollegarsi, non tanto per le forme ma per lo spirito ag-graziato e un poco attaccato alla tradizione, tutto il restodell'architettura cinquecentesca dell'isola che non sianettamente ritardataria oppure catalaneggiante, per quasidue terzi del secolo. L'altra parte ritorna all'antica essen-zialità costruttiva e volumetrica, arricchendola di portalialquanto pretenziosi nell'uso degli ordini dalle propor-zioni tozze e troppo decorati (cattedrale di Castelvetra-no, porta della chiesa della Triade a Forza d'Agrò ecc.).

53 Architettonicamente, più che le tombe, lasciate dal Freri inMessina, interessa la scala-torre costruita, con bicromia in pietrainternamente al Duomo, per metterlo in comunicazione – median-te passaggio a ponte – col campanile isolato; in Catania, il com-plesso delle opere adunate nella cappella di Sant'Agata al Duomo,in marmo, con aggiunta di colori e d'oro. Ma da lui derivano mol-teplici portali, ingenuamente rinascimentali, della provincia diMessina pubblicati dal Samonà per le note ritardatarie, in pienoCinquecento. Anche a Catania (porta interna ed esterna lateraledel Duomo) sono le opere scultoree-architettoniche più note delMazzola; ma per i caratteri, già nettamente michelangioleschi del-la scultura decorativa e meno evoluti nella composizione architet-tonica, a lui o alla sua scuola devono attribuirsi molti complessimarmorei in provincia di Messina: per esempio, una riproduzionedella Santa Casa di Loreto in una chiesa – se la memoria nonc'inganna – di Santa Lucia del Mela.

94

Fra le costruzioni civili la più interessante è il palaz-zetto Agnello, ora difficilmente visitabile, dentro la Ba-dia Nuova dietro il Duomo di Palermo, perfettamentearmonico, quasi un adattamento siciliano di palazzettotoscano. Ha un piano inferiore a finestrelle rettangolarifra bugne rettangolari disposte con una certa grazia non-curante in filari irregolari. Altre finestre rettangolari,dalle mostre larghe a cornicetta piccola e vani piuttostograndi sono al piano superiore ripartite con regolaritàspaziosa. Più caratteristicamente siciliani, ma meno ar-monici, sono alcuni altri palazzetti, nei quali il piano el'ammezzato superiore non solo han già abbandonatoogni reminiscenza medioevale, ma sono ariosi nei vani ericchi nelle sagomature, mentre il piano terreno è chiusoe arcigno, segnatamente nel portone arcuato semplicissi-mo: un poderoso ventaglio di conci contornato da corni-cetta ricadente su mensole non più a fogliami catalani.

Nel bel palazzetto della comunità dei Catalani annes-so a Sant'Eulalia a Palermo, queste mensole sono nervo-se teste barbute in marmo, nel palazzetto Gravina di viaBosco, allo sbocco su via Maqueda, sono delle Arpiedalle belle teste femminili, anch'esse in marmo: ma ilcontrasto maggiore è nel palazzetto Scavuzzo a piazzaFieravecchia, fra un simile portone semplice e robustoin pietra e le finestre marmoree a edicola classica consemicolonne sporgenti su mensole e frontone di corona-mento, la cui nota aulica è completata dalle tipiche testeclassiche da medaglioni, in profilo. A Termini Imerese

95

Fra le costruzioni civili la più interessante è il palaz-zetto Agnello, ora difficilmente visitabile, dentro la Ba-dia Nuova dietro il Duomo di Palermo, perfettamentearmonico, quasi un adattamento siciliano di palazzettotoscano. Ha un piano inferiore a finestrelle rettangolarifra bugne rettangolari disposte con una certa grazia non-curante in filari irregolari. Altre finestre rettangolari,dalle mostre larghe a cornicetta piccola e vani piuttostograndi sono al piano superiore ripartite con regolaritàspaziosa. Più caratteristicamente siciliani, ma meno ar-monici, sono alcuni altri palazzetti, nei quali il piano el'ammezzato superiore non solo han già abbandonatoogni reminiscenza medioevale, ma sono ariosi nei vani ericchi nelle sagomature, mentre il piano terreno è chiusoe arcigno, segnatamente nel portone arcuato semplicissi-mo: un poderoso ventaglio di conci contornato da corni-cetta ricadente su mensole non più a fogliami catalani.

Nel bel palazzetto della comunità dei Catalani annes-so a Sant'Eulalia a Palermo, queste mensole sono nervo-se teste barbute in marmo, nel palazzetto Gravina di viaBosco, allo sbocco su via Maqueda, sono delle Arpiedalle belle teste femminili, anch'esse in marmo: ma ilcontrasto maggiore è nel palazzetto Scavuzzo a piazzaFieravecchia, fra un simile portone semplice e robustoin pietra e le finestre marmoree a edicola classica consemicolonne sporgenti su mensole e frontone di corona-mento, la cui nota aulica è completata dalle tipiche testeclassiche da medaglioni, in profilo. A Termini Imerese

95

la nota umanistica è accentuata da motti latini nei fregidelle finestre.

Più noto è a Palermo il palazzetto San Cataldo nel vi-colo omonimo a piazza Marina, in cui il portoncino inpietra è a mostra rettangolare, con arco a discarico cir-colare e mensole all'angolo dell'architrave; il senso dichiuso, solito al piano inferiore, passa nella poderosazoccolatura e nelle volte ancora costolonate con chiavipendule, mentre l'ampiezza e ricchezza solita nelle fine-stre del piano superiore s'accentua nella scultura a festo-ni e a candelabri e nel materiale marmoreo.

Ma nell'ultimo quarto del secolo avviene in Sicilia unmutamento assai sensibile nell'architettura. Si fa un sal-to: si passa dall'architettura rinascimentale ritardata, siain senso catalano che in senso quattrocentesco italiano,a un'architettura forte, piena di libertà e di spunti preba-rocchi. È venuta una seconda ondata di architetti-sculto-ri, influenzati da Michelangelo, ondata meno viva a Pa-lermo, più a Messina. I siciliani, anche i restii lapicidiostinatamente catalaneggianti, lasciano le riserve es'abbandonano tutti a questo Rinascimento, che sentonoconsono alla loro indole. A Palermo la chiesa basilicalea pilastri, sia del tipo vignolesco (Gesù di Roma), sia deltipo albertiano (Sant'Andrea di Mantova), si fa stradaaccanto a quella basilicale a colonne, e i palazzi ostenta-no una forza quasi militaresca. Cominciando da questiosserviamo che son proprio i portoni a ostentare la mag-giore ricchezza ed energia: quasi tutti in pietra voglionol'ordine intorno al vano arcuato, le semicolonne a prefe-

96

la nota umanistica è accentuata da motti latini nei fregidelle finestre.

Più noto è a Palermo il palazzetto San Cataldo nel vi-colo omonimo a piazza Marina, in cui il portoncino inpietra è a mostra rettangolare, con arco a discarico cir-colare e mensole all'angolo dell'architrave; il senso dichiuso, solito al piano inferiore, passa nella poderosazoccolatura e nelle volte ancora costolonate con chiavipendule, mentre l'ampiezza e ricchezza solita nelle fine-stre del piano superiore s'accentua nella scultura a festo-ni e a candelabri e nel materiale marmoreo.

Ma nell'ultimo quarto del secolo avviene in Sicilia unmutamento assai sensibile nell'architettura. Si fa un sal-to: si passa dall'architettura rinascimentale ritardata, siain senso catalano che in senso quattrocentesco italiano,a un'architettura forte, piena di libertà e di spunti preba-rocchi. È venuta una seconda ondata di architetti-sculto-ri, influenzati da Michelangelo, ondata meno viva a Pa-lermo, più a Messina. I siciliani, anche i restii lapicidiostinatamente catalaneggianti, lasciano le riserve es'abbandonano tutti a questo Rinascimento, che sentonoconsono alla loro indole. A Palermo la chiesa basilicalea pilastri, sia del tipo vignolesco (Gesù di Roma), sia deltipo albertiano (Sant'Andrea di Mantova), si fa stradaaccanto a quella basilicale a colonne, e i palazzi ostenta-no una forza quasi militaresca. Cominciando da questiosserviamo che son proprio i portoni a ostentare la mag-giore ricchezza ed energia: quasi tutti in pietra voglionol'ordine intorno al vano arcuato, le semicolonne a prefe-

96

renza del pilastro e possibilmente il frontone; l'espres-sione di forza è affidata al chiaroscuro del bugnato scul-toreo variatissimo e invadente. La fantasia dei lapicidi,che dinanzi si sbizzarriva nei fogliami e negli animaligotici, poi nei rosoni, nei cherubini, in tanti ornati rina-scimentali entro schemi architettonici goticizzanti, hatrovato ora altro pascolo nelle bugne; ma certamente itrattati del Vignola, del Labacco, e soprattutto i libri delSerlio han fornito gli schemi, qui variati liberamente.

I più begli esempi erano sulla via Toledo, ora via Vit-torio Emanuele. Vi restano non portoni isolati, comequelli nelle vie secondarie raccolti e pubblicati da S.Cardella, ma due edifici: uno più rappresentativo, matardo e più forte, in cui le bugne salgono sulle semico-lonne degli ordini angolari e sulle finestre-balconi (pres-so via del Garaffo), l'altro presso la Cattedrale (palazzogià Castrione, ora Santa Ninfa), senza dubbio il più belpalazzo di questo periodo. Immaginiamolo restauratodalle alterazioni barocche e dalle utilitarie botteghedell'Ottocento. Nella facciata poderosi pilastri toscanisalgono sino a metà del primo piano54, il portone è a se-micolonne bugnate, ma ha il frontoncino limitato al cen-tro, le finestre sono fini di disegno e originali nel pianoammezzato, attraversate da bugne e doricizzanti; si hancontrasti tra la forte zoccolatura in basso, risalente dagradoni sui lati, e una ridente loggia serliana in alto, fra

54 Il motivo è stato ripreso nel Settecento dal palazzo Cutò aSanta Margherita Belice.

97

renza del pilastro e possibilmente il frontone; l'espres-sione di forza è affidata al chiaroscuro del bugnato scul-toreo variatissimo e invadente. La fantasia dei lapicidi,che dinanzi si sbizzarriva nei fogliami e negli animaligotici, poi nei rosoni, nei cherubini, in tanti ornati rina-scimentali entro schemi architettonici goticizzanti, hatrovato ora altro pascolo nelle bugne; ma certamente itrattati del Vignola, del Labacco, e soprattutto i libri delSerlio han fornito gli schemi, qui variati liberamente.

I più begli esempi erano sulla via Toledo, ora via Vit-torio Emanuele. Vi restano non portoni isolati, comequelli nelle vie secondarie raccolti e pubblicati da S.Cardella, ma due edifici: uno più rappresentativo, matardo e più forte, in cui le bugne salgono sulle semico-lonne degli ordini angolari e sulle finestre-balconi (pres-so via del Garaffo), l'altro presso la Cattedrale (palazzogià Castrione, ora Santa Ninfa), senza dubbio il più belpalazzo di questo periodo. Immaginiamolo restauratodalle alterazioni barocche e dalle utilitarie botteghedell'Ottocento. Nella facciata poderosi pilastri toscanisalgono sino a metà del primo piano54, il portone è a se-micolonne bugnate, ma ha il frontoncino limitato al cen-tro, le finestre sono fini di disegno e originali nel pianoammezzato, attraversate da bugne e doricizzanti; si hancontrasti tra la forte zoccolatura in basso, risalente dagradoni sui lati, e una ridente loggia serliana in alto, fra

54 Il motivo è stato ripreso nel Settecento dal palazzo Cutò aSanta Margherita Belice.

97

l'androne ampio e poderoso negli archi depressi e l'edi-cola a fontana del Perseo, deliziosa, in fondo al cortilesenza colonne. Vi sono riflesse le tipiche fluttuazioni si-ciliane tra la finezza aggraziata e la forza spesso rude,tra fasto e semplicità, che si ritrovano, ancora a Paler-mo, nel palazzo Oneto di San Vincenzo (uno dei meglioconservati) in via Bosco, fra il portone a edicoladall'arco bizzarramente bugnato e lo svelto portico chefa da androne nel nudo cortile.

Se si paragonano questi palazzi della fine del Cinque-cento col palazzo Grano di Messina55, uno degli esempimigliori, da cui nasce questa corrente della fine del Cin-quecento, costruito dal carrarese Andrea Calamech56 neldecennio 1570-80, si può constatare con quanto maggio-re equilibrio e unità il toscano, uscito da buona scuola,operasse rispetto agli autodidatti siciliani rimasti scono-sciuti. Sconosciuta rimane una personalità artistica ope-rante specialmente a Termini Imerese, ma la cui influen-za si estende a Cefalù, Caccamo ecc., sino alla metà delXVII secolo. Essa è rappresentata da alcuni palazzettiprivati su cui sovrasta il bel palazzo municipale svisatoalquanto nella facciata ma conservato nell'interno. Nelpassaggio dal XVI al XVII secolo i palazzi signorili dicampagna presentano un compromesso fra i castelli

55 Esisteva sino al terremoto del 1908, rimaneggiato solo nelcortile e negli interni; avanzò danneggiato il piano terreno che fudistrutto; i pezzi scultorei del portone (magnifici) sono conservatial Museo. Esistono fotografie del prospetto.

56 O Calamecca, scultore e architetto dell'Ammannati.

98

l'androne ampio e poderoso negli archi depressi e l'edi-cola a fontana del Perseo, deliziosa, in fondo al cortilesenza colonne. Vi sono riflesse le tipiche fluttuazioni si-ciliane tra la finezza aggraziata e la forza spesso rude,tra fasto e semplicità, che si ritrovano, ancora a Paler-mo, nel palazzo Oneto di San Vincenzo (uno dei meglioconservati) in via Bosco, fra il portone a edicoladall'arco bizzarramente bugnato e lo svelto portico chefa da androne nel nudo cortile.

Se si paragonano questi palazzi della fine del Cinque-cento col palazzo Grano di Messina55, uno degli esempimigliori, da cui nasce questa corrente della fine del Cin-quecento, costruito dal carrarese Andrea Calamech56 neldecennio 1570-80, si può constatare con quanto maggio-re equilibrio e unità il toscano, uscito da buona scuola,operasse rispetto agli autodidatti siciliani rimasti scono-sciuti. Sconosciuta rimane una personalità artistica ope-rante specialmente a Termini Imerese, ma la cui influen-za si estende a Cefalù, Caccamo ecc., sino alla metà delXVII secolo. Essa è rappresentata da alcuni palazzettiprivati su cui sovrasta il bel palazzo municipale svisatoalquanto nella facciata ma conservato nell'interno. Nelpassaggio dal XVI al XVII secolo i palazzi signorili dicampagna presentano un compromesso fra i castelli

55 Esisteva sino al terremoto del 1908, rimaneggiato solo nelcortile e negli interni; avanzò danneggiato il piano terreno che fudistrutto; i pezzi scultorei del portone (magnifici) sono conservatial Museo. Esistono fotografie del prospetto.

56 O Calamecca, scultore e architetto dell'Ammannati.

98

mezzo catalani e mezzo rinascimentali (il cui esempiomaggiore, legato a tragiche vicende, è il castello LaGrua, di Carini) e la villa residenziale, che verrà in usonella seconda metà del XVII secolo57.

Quanti tesori distrutti a Messina, a Catania e in gene-re nella Sicilia orientale! Monumenti insigni vi avevanolasciato nella seconda metà del Cinquecento, gli scul-tori-architetti toscani, tutt'altro che mediocri, che si era-no stabiliti a Messina. Son rimaste briciole! Tralasciamopure G. D. Mazzola, che però ha lasciato il pulpito delDuomo e belle porte marmoree anche a Catania, ma diAngelo G. Montorsoli dov'è la bella chiesa di San Lo-renzo a parecchie cupole, eretta dietro la ricca ingegno-sissima fonte d'Orione, di lui stesso? Solo la mozzatorre-lanterna sulla falce del porto e il marmoreo «Apo-stolato» – duplice serie di sei cappelle del Duomo (dicui il Montorsoli diresse anche, per parecchi anni, i la-vori di abbellimento) – ci attestano ancora le virtù archi-tettoniche del frate servita toscano. E del grande ospeda-le eretto dal Calamech, del suo palazzo Grano, del pa-lazzo Senatorio sontuosamente progettato e forse con-dotto innanzi, ma poi completato da Jacopo del Ducacon suo diverso disegno?58 E della Loggia dei Mercanti

57 L'esempio migliore, anch'esso poco conosciuto, è sullostradale da Piramo a Sant'Angelo di Brolo, due o tre chilometriprima di giungere a questa cittadina.

58 La distruzione del palazzo Senatorio fu opera del feroceBonavides, dopo la rivoluzione messinese del 1674-78.

99

mezzo catalani e mezzo rinascimentali (il cui esempiomaggiore, legato a tragiche vicende, è il castello LaGrua, di Carini) e la villa residenziale, che verrà in usonella seconda metà del XVII secolo57.

Quanti tesori distrutti a Messina, a Catania e in gene-re nella Sicilia orientale! Monumenti insigni vi avevanolasciato nella seconda metà del Cinquecento, gli scul-tori-architetti toscani, tutt'altro che mediocri, che si era-no stabiliti a Messina. Son rimaste briciole! Tralasciamopure G. D. Mazzola, che però ha lasciato il pulpito delDuomo e belle porte marmoree anche a Catania, ma diAngelo G. Montorsoli dov'è la bella chiesa di San Lo-renzo a parecchie cupole, eretta dietro la ricca ingegno-sissima fonte d'Orione, di lui stesso? Solo la mozzatorre-lanterna sulla falce del porto e il marmoreo «Apo-stolato» – duplice serie di sei cappelle del Duomo (dicui il Montorsoli diresse anche, per parecchi anni, i la-vori di abbellimento) – ci attestano ancora le virtù archi-tettoniche del frate servita toscano. E del grande ospeda-le eretto dal Calamech, del suo palazzo Grano, del pa-lazzo Senatorio sontuosamente progettato e forse con-dotto innanzi, ma poi completato da Jacopo del Ducacon suo diverso disegno?58 E della Loggia dei Mercanti

57 L'esempio migliore, anch'esso poco conosciuto, è sullostradale da Piramo a Sant'Angelo di Brolo, due o tre chilometriprima di giungere a questa cittadina.

58 La distruzione del palazzo Senatorio fu opera del feroceBonavides, dopo la rivoluzione messinese del 1674-78.

99

di quest'ultimo, tornato in patria59, dopo i lavori lasciatia Roma sino al 1592? Solo la magnifica fronte posterio-re di San Giovanni di Malta rappresenta Jacopo60 a Mes-sina, mentre del Calamech ci rimane solo la zona infe-riore del Monte di Pietà!

Eppure queste briciole sono del più alto interesse,perché documentano la conquista, per opera dei miche-langioleschi, della Sicilia, sempre restia, nei primi dueterzi del Cinquecento, al Rinascimento puro, quello cioèclassicamente maturo, tutto misura, equilibrio, «divinaproporzione»61.

S'è fatto un salto, dicevamo. E che salto! A Palermoancora nel 1573 si compie alla catalana il turrito palazzoTermine, ora Pietratagliata (ritardatario anche rispetto aidue palazzi del Carnilivari, di un secolo prima) e nel

59 Jacopo «ciciliano», nato – pare – a Cefalù, fu caro a Mi-chelangelo come il fratello lo fu per l'abilità nel fondere il bronzo.Ultimata la cupola di Santa Maria di Loreto a Roma, accettò lacarica di architetto del Senato di Messina, dove operò attivamentesino al 1600 circa.

60 E non completamente, perché i lavori erano stati iniziati sudisegni di Camillo Camilliani fiorentino. In compenso ha dovutointervenire nella esecuzione dell'architettura marmorea con orna-menti in bronzo a rivestimento dell'abside del Duomo di Messina.

61 Documentazione precisa di questa riluttanza a seguire ilpuro Rinascimento ha dato l'architetto professor Samonà per laprovincia di Messina. Precisa e impressionante, perché risulta delSeicento, un'opera medievaleggiante sicuramente datata nel capi-tello angolare: il chiostro di San Francesco a Sant'Angelo di Bro-lo.

100

di quest'ultimo, tornato in patria59, dopo i lavori lasciatia Roma sino al 1592? Solo la magnifica fronte posterio-re di San Giovanni di Malta rappresenta Jacopo60 a Mes-sina, mentre del Calamech ci rimane solo la zona infe-riore del Monte di Pietà!

Eppure queste briciole sono del più alto interesse,perché documentano la conquista, per opera dei miche-langioleschi, della Sicilia, sempre restia, nei primi dueterzi del Cinquecento, al Rinascimento puro, quello cioèclassicamente maturo, tutto misura, equilibrio, «divinaproporzione»61.

S'è fatto un salto, dicevamo. E che salto! A Palermoancora nel 1573 si compie alla catalana il turrito palazzoTermine, ora Pietratagliata (ritardatario anche rispetto aidue palazzi del Carnilivari, di un secolo prima) e nel

59 Jacopo «ciciliano», nato – pare – a Cefalù, fu caro a Mi-chelangelo come il fratello lo fu per l'abilità nel fondere il bronzo.Ultimata la cupola di Santa Maria di Loreto a Roma, accettò lacarica di architetto del Senato di Messina, dove operò attivamentesino al 1600 circa.

60 E non completamente, perché i lavori erano stati iniziati sudisegni di Camillo Camilliani fiorentino. In compenso ha dovutointervenire nella esecuzione dell'architettura marmorea con orna-menti in bronzo a rivestimento dell'abside del Duomo di Messina.

61 Documentazione precisa di questa riluttanza a seguire ilpuro Rinascimento ha dato l'architetto professor Samonà per laprovincia di Messina. Precisa e impressionante, perché risulta delSeicento, un'opera medievaleggiante sicuramente datata nel capi-tello angolare: il chiostro di San Francesco a Sant'Angelo di Bro-lo.

100

1578 il Senato fa costruire nei giardini fuori Porta Nuo-va l'ancora quattrocentesca edicola dell'Averinga62 congrandi finestre trifore dall'architrave in apparenza sorret-to da due sottilissime colonne e con ricchissima pareteinterna invetriata a colori intorno a tondi robbiani; nellostesso periodo nella provincia di Trapani il focoso deco-ratore siciliano Antonino Ferraro già si sbizzarrisce atrasformare baroccamente ogni ambiente, per quanto va-sto e gotico, e magari con colonne angolari e volte co-stolonate, che gli era dato a decorare! Non s'è data im-portanza al fenomeno dei Ferraro, famiglia d'intempe-ranti plasticatori-pittori che iniziano in Sicilia quella ti-pica decorazione barocca, di cui dovremo occuparci,pensando a tutto: all'architettura di insieme, alle figuredi stucco michelangiolescamente mosse, alla decorazio-ne pittorica e plastica, ai quadretti a paesaggi nelle ri-quadrature, alle targhe dai contorni frastagliati e accar-tocciantisi, di cui diffondevano il gusto le stampe del se-condo Cinquecento. Invece il problema dei Ferraro cipare di importanza fondamentale per una storia che ten-da non tanto a enumerare le opere che si possono ammi-rare e a graduarne il merito, quanto a mettere in luce ilreagire degli artisti locali alle pressioni esterne cui l'iso-la per tutti i secoli è stata soggetta. I Ferraro erano diGiuliana, alto e impervio paese della Sicilia occidentale

62 Vedi N. Basile, Palermo felicissima. Due volumi preziosiper documentazioni e rivelazioni che han contribuito a orientarediversamente e sicuramente la storia architettonica della Siciliadal medioevo al Settecento.

101

1578 il Senato fa costruire nei giardini fuori Porta Nuo-va l'ancora quattrocentesca edicola dell'Averinga62 congrandi finestre trifore dall'architrave in apparenza sorret-to da due sottilissime colonne e con ricchissima pareteinterna invetriata a colori intorno a tondi robbiani; nellostesso periodo nella provincia di Trapani il focoso deco-ratore siciliano Antonino Ferraro già si sbizzarrisce atrasformare baroccamente ogni ambiente, per quanto va-sto e gotico, e magari con colonne angolari e volte co-stolonate, che gli era dato a decorare! Non s'è data im-portanza al fenomeno dei Ferraro, famiglia d'intempe-ranti plasticatori-pittori che iniziano in Sicilia quella ti-pica decorazione barocca, di cui dovremo occuparci,pensando a tutto: all'architettura di insieme, alle figuredi stucco michelangiolescamente mosse, alla decorazio-ne pittorica e plastica, ai quadretti a paesaggi nelle ri-quadrature, alle targhe dai contorni frastagliati e accar-tocciantisi, di cui diffondevano il gusto le stampe del se-condo Cinquecento. Invece il problema dei Ferraro cipare di importanza fondamentale per una storia che ten-da non tanto a enumerare le opere che si possono ammi-rare e a graduarne il merito, quanto a mettere in luce ilreagire degli artisti locali alle pressioni esterne cui l'iso-la per tutti i secoli è stata soggetta. I Ferraro erano diGiuliana, alto e impervio paese della Sicilia occidentale

62 Vedi N. Basile, Palermo felicissima. Due volumi preziosiper documentazioni e rivelazioni che han contribuito a orientarediversamente e sicuramente la storia architettonica della Siciliadal medioevo al Settecento.

101

e interna. Se si pon mente da un lato al fenomeno stranoche il movimento rinascimentale aveva prodotto neimontuosi paesi dell'interno: cioè al «romanico tardivo»con cui s'esprimono in architettura sino al 1580 i lapici-di locali incolti e pregni di medioevo63 anche là dove ilmedioevo turbato e mostruoso non era apparso per meri-to della civiltà intensa dei tempi normanni; se si ponmente dall'altro lato che nessun documento fa sospettareun'educazione del capostipite fuori di Sicilia, tanto piùrisalta l'annullamento del secolare ritardo operato di uncolpo da chi nel 1577 magnificava da sé, con piena co-scienza, l'opera compiuta nel San Domenico di Castel-vetrano. È bensì vero che è molto più facile trovare ag-giornata la decorazione anziché l'architettura, sulla qua-le agiscono forze sociali conservatrici ben più gravi, enon sopprimibile pel volere del solo architetto.

Ritornando quindi propriamente all'architettura, nonsi può tacere che, oltre al rinnovamento che s'irradiavada Messina, un altro architetto-scultore toscano, il fio-rentino Camillo Camilliani, dovette più direttamentecontribuire al rapido trionfo delle nuove forme. Venutonel 1574 a Palermo per collocare in piazza Pretoria lagrande fontana che il Senato palermitano aveva acqui-stato in Firenze dal duca di Toledo (fontana cui avevacollaborato il padre e ch'egli forse variò aggiungendovi

63 Vedere nell'opera più volte citata, le date delle «romanico-tardive» chiese della provincia di Messina, pubblicate dal Samo-nà. Lo stesso fenomeno si può documentare anche per le altreprovince siciliane nel Cinquecento.

102

e interna. Se si pon mente da un lato al fenomeno stranoche il movimento rinascimentale aveva prodotto neimontuosi paesi dell'interno: cioè al «romanico tardivo»con cui s'esprimono in architettura sino al 1580 i lapici-di locali incolti e pregni di medioevo63 anche là dove ilmedioevo turbato e mostruoso non era apparso per meri-to della civiltà intensa dei tempi normanni; se si ponmente dall'altro lato che nessun documento fa sospettareun'educazione del capostipite fuori di Sicilia, tanto piùrisalta l'annullamento del secolare ritardo operato di uncolpo da chi nel 1577 magnificava da sé, con piena co-scienza, l'opera compiuta nel San Domenico di Castel-vetrano. È bensì vero che è molto più facile trovare ag-giornata la decorazione anziché l'architettura, sulla qua-le agiscono forze sociali conservatrici ben più gravi, enon sopprimibile pel volere del solo architetto.

Ritornando quindi propriamente all'architettura, nonsi può tacere che, oltre al rinnovamento che s'irradiavada Messina, un altro architetto-scultore toscano, il fio-rentino Camillo Camilliani, dovette più direttamentecontribuire al rapido trionfo delle nuove forme. Venutonel 1574 a Palermo per collocare in piazza Pretoria lagrande fontana che il Senato palermitano aveva acqui-stato in Firenze dal duca di Toledo (fontana cui avevacollaborato il padre e ch'egli forse variò aggiungendovi

63 Vedere nell'opera più volte citata, le date delle «romanico-tardive» chiese della provincia di Messina, pubblicate dal Samo-nà. Lo stesso fenomeno si può documentare anche per le altreprovince siciliane nel Cinquecento.

102

il giro esterno di erme michelangiolesche), aprì una fio-rente bottega di scultura e fu, per certe invenzioni tecni-che, nominato ingegnere viceregio. Per tal carica visitòtutte le coste dell'isola, che munì di torri di difesa, alcu-ne delle quali, interessanti, esistono ancora (per esempioa Isola delle Femmine e all'Acqua dei Corsari, pressoPalermo). Ma le più importanti opere militari di lui deb-bono ancora sceverarsi al castello di Milazzo, fra quelleveramente grandiose e potenti che ancora vi si ammira-no. È scomparsa invece la caserma che sicuramente viaveva eretto. Dovette abbattersi, per tali opere di fortifi-cazione, l'antichissima chiesa madre: è probabile quindich'egli stesso abbia progettato quella nuova in forme dimaturo Rinascimento, che la tradizione locale e l'analisistilistica del Samonà concordemente gli attribuiscono eche, calma e solenne, coronata da cupola, domina anco-ra la città da lassù: monumento insigne, sebbene abban-donato64.

È documentato che su progetto dello stesso Camillia-ni si cominciò la grandiosa tribuna in onore di San Pla-

64 Ma non finito dal Camilliani, perché la costruzione si pro-trasse nel primo venticinquennio dei Seicento. L'originalità dellafacciata, che viene avanti nella parte centrale, dal nobile, sansovi-nesco portale, e quella della pianta, a schema centrico con prolun-gamenti dei bracci longitudinali, furono alterate dalle aggiunteseicentesche; ma non tanto da impedire al visitatore del magnifi-co complesso architettonico, di ripristinare idealmente la conce-zione del Camilliani. Egli si mostra compositore equilibrato e piùcalmo del Del Duca, forse perché più che a Michelangelo guarda-va al Sansovino.

103

il giro esterno di erme michelangiolesche), aprì una fio-rente bottega di scultura e fu, per certe invenzioni tecni-che, nominato ingegnere viceregio. Per tal carica visitòtutte le coste dell'isola, che munì di torri di difesa, alcu-ne delle quali, interessanti, esistono ancora (per esempioa Isola delle Femmine e all'Acqua dei Corsari, pressoPalermo). Ma le più importanti opere militari di lui deb-bono ancora sceverarsi al castello di Milazzo, fra quelleveramente grandiose e potenti che ancora vi si ammira-no. È scomparsa invece la caserma che sicuramente viaveva eretto. Dovette abbattersi, per tali opere di fortifi-cazione, l'antichissima chiesa madre: è probabile quindich'egli stesso abbia progettato quella nuova in forme dimaturo Rinascimento, che la tradizione locale e l'analisistilistica del Samonà concordemente gli attribuiscono eche, calma e solenne, coronata da cupola, domina anco-ra la città da lassù: monumento insigne, sebbene abban-donato64.

È documentato che su progetto dello stesso Camillia-ni si cominciò la grandiosa tribuna in onore di San Pla-

64 Ma non finito dal Camilliani, perché la costruzione si pro-trasse nel primo venticinquennio dei Seicento. L'originalità dellafacciata, che viene avanti nella parte centrale, dal nobile, sansovi-nesco portale, e quella della pianta, a schema centrico con prolun-gamenti dei bracci longitudinali, furono alterate dalle aggiunteseicentesche; ma non tanto da impedire al visitatore del magnifi-co complesso architettonico, di ripristinare idealmente la conce-zione del Camilliani. Egli si mostra compositore equilibrato e piùcalmo del Del Duca, forse perché più che a Michelangelo guarda-va al Sansovino.

103

cido e fratelli martiri, eretta al posto dell'antica facciatadel San Giovanni – detto di Malta – a Messina, ma che65

deve piuttosto ritenersi opera di Jacopo del Duca, che nediresse i lavori negli ultimi sei anni del Cinquecento. IlSamonà al Camilliani attribuisce, con attendibilità, laparte occidentale e il cortile del palazzo-castello deiprincipi Valdina alla Rocca omonima presso Romettamessinese, sapendosi, dai contratti pubblicati dal bene-merito monsignor Di Marzo, ch'egli scolpì qualche tom-ba per quei signori.

Per lo sviluppo dell'architettura in Sicilia la chiesa delcastello di Milazzo e, ancor più, la facciata posteriore diSan Giovanni di Malta di Messina, con l'ordine gigante-sco di paraste e le mensole da queste sporgenti su fondidi fini mattoni rossi per reggere quattro statue in bronzodei martiri, sono basilari. Molti interni di chiese baroc-che siciliane han trovato qui l'idea embrionale. Eviden-temente dalla facciata di San Giovanni s'ispirò un archi-tetto neoclassico per la composizione del palazzo chesorse nella sventurata città dopo il terremoto del 1783 alposto della chiesa di San Lorenzo, dietro la fontanaOrione, e a sua volta distrutto nella catastrofe del 1908.

Ma – fatto strano – di questo architetto, così illustre aisuoi tempi, è possibile che nessun'opera esista a Paler-mo, dove pur risiedeva? Ebbe egli, architetto viceregio,nessuna parte nella erezione della Porta Nuova, che il

65 G. Samonà, L'opera di Camillo Camilliani, architetto fio-rentino in Sicilia, in «Bollettino del R. Istituto di Archeologia eStoria dell'Arte», Roma 1932.

104

cido e fratelli martiri, eretta al posto dell'antica facciatadel San Giovanni – detto di Malta – a Messina, ma che65

deve piuttosto ritenersi opera di Jacopo del Duca, che nediresse i lavori negli ultimi sei anni del Cinquecento. IlSamonà al Camilliani attribuisce, con attendibilità, laparte occidentale e il cortile del palazzo-castello deiprincipi Valdina alla Rocca omonima presso Romettamessinese, sapendosi, dai contratti pubblicati dal bene-merito monsignor Di Marzo, ch'egli scolpì qualche tom-ba per quei signori.

Per lo sviluppo dell'architettura in Sicilia la chiesa delcastello di Milazzo e, ancor più, la facciata posteriore diSan Giovanni di Malta di Messina, con l'ordine gigante-sco di paraste e le mensole da queste sporgenti su fondidi fini mattoni rossi per reggere quattro statue in bronzodei martiri, sono basilari. Molti interni di chiese baroc-che siciliane han trovato qui l'idea embrionale. Eviden-temente dalla facciata di San Giovanni s'ispirò un archi-tetto neoclassico per la composizione del palazzo chesorse nella sventurata città dopo il terremoto del 1783 alposto della chiesa di San Lorenzo, dietro la fontanaOrione, e a sua volta distrutto nella catastrofe del 1908.

Ma – fatto strano – di questo architetto, così illustre aisuoi tempi, è possibile che nessun'opera esista a Paler-mo, dove pur risiedeva? Ebbe egli, architetto viceregio,nessuna parte nella erezione della Porta Nuova, che il

65 G. Samonà, L'opera di Camillo Camilliani, architetto fio-rentino in Sicilia, in «Bollettino del R. Istituto di Archeologia eStoria dell'Arte», Roma 1932.

104

viceré Colonna fece ricostruire in forma d'arco trionfaleper ricordare l'ingresso che di là, nel 1535, aveva fattol'imperatore Carlo V? Lavorò alle sistemazioni cinque-centesche del palazzo Reale e del castello – già norman-no – all'imbocco dell'antico porto, di cui una porta bu-gnata, evidentemente della fine del Cinquecento, è orain piazza Tredici vittime?

Certo la grandiosa Porta Nuova ha due caratteri assaidiversi nelle due facce. All'esterno – dopo la ricostruzio-ne fattane nel 1668 dallo scultore architetto del Senato,Gaspare Guercio, palermitano (originata dal crollo par-ziale per lo scoppio di polveri in seguito a un fulmine)66

– ha la vivacità robusta e paesana col forte lavorio delbugnato e coi giganteschi mori in forma di erme67 cheparrebbero alludere alla vittoria di Lepanto (1571). Dallato interno, invece, l'architettura è ora un po' freddanella sua purezza coi binati di paraste rinserranti l'altoarco nel centro e le targhe, poste troppo in alto fra i ca-pitelli, ai lati. La vivacità qui, oggi, è riservata alle scul-ture del fregio e soprattutto all'attico ornato di busti en-tro ovali mentre prima riceveva contributo dalle nicchie

66 Vedasi d'ora in poi le recentissime indagini di Filippo Meli:«Degli architetti del Senato di Palermo nei secoli XVII e XVIII».

67 A proposito delle erme nell'architettura del tardo Cinque-cento in Sicilia è notevole l'uso che se n'è fatto a Termini Imeresenel palazzo municipale, in un palazzo privato e nell'interno di unacappella. Ma non pare derivino dalle erme del Camilliani nellafontana Pretoria di Palermo, ma piuttosto da quelle notissime diGaleazzo Alessi a Genova, anche più geometrizzate.

105

viceré Colonna fece ricostruire in forma d'arco trionfaleper ricordare l'ingresso che di là, nel 1535, aveva fattol'imperatore Carlo V? Lavorò alle sistemazioni cinque-centesche del palazzo Reale e del castello – già norman-no – all'imbocco dell'antico porto, di cui una porta bu-gnata, evidentemente della fine del Cinquecento, è orain piazza Tredici vittime?

Certo la grandiosa Porta Nuova ha due caratteri assaidiversi nelle due facce. All'esterno – dopo la ricostruzio-ne fattane nel 1668 dallo scultore architetto del Senato,Gaspare Guercio, palermitano (originata dal crollo par-ziale per lo scoppio di polveri in seguito a un fulmine)66

– ha la vivacità robusta e paesana col forte lavorio delbugnato e coi giganteschi mori in forma di erme67 cheparrebbero alludere alla vittoria di Lepanto (1571). Dallato interno, invece, l'architettura è ora un po' freddanella sua purezza coi binati di paraste rinserranti l'altoarco nel centro e le targhe, poste troppo in alto fra i ca-pitelli, ai lati. La vivacità qui, oggi, è riservata alle scul-ture del fregio e soprattutto all'attico ornato di busti en-tro ovali mentre prima riceveva contributo dalle nicchie

66 Vedasi d'ora in poi le recentissime indagini di Filippo Meli:«Degli architetti del Senato di Palermo nei secoli XVII e XVIII».

67 A proposito delle erme nell'architettura del tardo Cinque-cento in Sicilia è notevole l'uso che se n'è fatto a Termini Imeresenel palazzo municipale, in un palazzo privato e nell'interno di unacappella. Ma non pare derivino dalle erme del Camilliani nellafontana Pretoria di Palermo, ma piuttosto da quelle notissime diGaleazzo Alessi a Genova, anche più geometrizzate.

105

fra le paraste, che animavano col loro chiaroscuro, e an-che da una grande aquila marmorea sull'attico, al centro,poi tolta a mezzo il Seicento, quando dallo stesso Guer-cio furono costruite sopra le fronti le aeree logge e sulcorpo centrale la sala coperta dalla gustosa piramide ri-lucente di colori invetriati nel rivestimento di mattonimaiolicati68. Questo rifacimento secentesco del Guercionon è forse sulla falsa riga del progetto tardo-cinquecen-tesco del Camilliani? Ne utilizza forse ancora delle par-ti? Agli studiosi di archivio la risposta.

Notiamo intanto come, naturalmente, l'architettura si-ciliana dei portoni bugnati serliani, è influenzatadall'architettura militare di queste porte di città. In Pa-lermo la Porta dei Greci – ingresso da parte del mare alquartiere della Kalsa – ad arco scemo fra le paraste abugne alternativamente a cuscino e a rincassi, di tenden-za tardo-gaginesca nelle sculture, a Marsala la Porta Ga-ribaldi, a Sciacca la Porta San Salvatore, già troppo cari-ca di sculture e ornati tendenti al barocco nelle faccedelle bugne, appartengono tutte – per stile se non perdate – a questo periodo del secondo Cinquecento sicilia-no. Notisi d'ora in poi che la trattazione di quest'ultimoCinquecento sconfina di necessità per analogia di stile edi condizioni sociali, in quella del principio del Seicen-to. Così – senza riabilitare il governo viceregio spa-gnuolo – devesi notare che in tale periodo e nel succes-

68 L'aquila senatoria fu riprodotta nel disegno del mattonatodi rivestimento delle facce della piramide.

106

fra le paraste, che animavano col loro chiaroscuro, e an-che da una grande aquila marmorea sull'attico, al centro,poi tolta a mezzo il Seicento, quando dallo stesso Guer-cio furono costruite sopra le fronti le aeree logge e sulcorpo centrale la sala coperta dalla gustosa piramide ri-lucente di colori invetriati nel rivestimento di mattonimaiolicati68. Questo rifacimento secentesco del Guercionon è forse sulla falsa riga del progetto tardo-cinquecen-tesco del Camilliani? Ne utilizza forse ancora delle par-ti? Agli studiosi di archivio la risposta.

Notiamo intanto come, naturalmente, l'architettura si-ciliana dei portoni bugnati serliani, è influenzatadall'architettura militare di queste porte di città. In Pa-lermo la Porta dei Greci – ingresso da parte del mare alquartiere della Kalsa – ad arco scemo fra le paraste abugne alternativamente a cuscino e a rincassi, di tenden-za tardo-gaginesca nelle sculture, a Marsala la Porta Ga-ribaldi, a Sciacca la Porta San Salvatore, già troppo cari-ca di sculture e ornati tendenti al barocco nelle faccedelle bugne, appartengono tutte – per stile se non perdate – a questo periodo del secondo Cinquecento sicilia-no. Notisi d'ora in poi che la trattazione di quest'ultimoCinquecento sconfina di necessità per analogia di stile edi condizioni sociali, in quella del principio del Seicen-to. Così – senza riabilitare il governo viceregio spa-gnuolo – devesi notare che in tale periodo e nel succes-

68 L'aquila senatoria fu riprodotta nel disegno del mattonatodi rivestimento delle facce della piramide.

106

sivo del primo Seicento molto lavoro vien dato agli ar-chitetti, specie a Palermo. Temendosi riprese offensivedei turchi, molte fortificazioni si fanno in tutta l'isola69.Il viceré Toledo rettifica a Palermo la via Marmorea e laprolunga verso levante, sino a piazza Marina, il viceréColonna nel 1581 la continua sino al mare, di fronte alquale si incomincia non molto tempo dopo la Porta Feli-ce, ultimata nella prima metà del Seicento quand'era giàcompiuto il nuovo molo. Il viceré Maqueda, ai primi delSeicento, taglia nel senso opposto (nord-sud) l'altra di-ritta via, che conserva ancora il suo nome; il Viglienaall'incrocio di questa con via Toledo inizia nel 1609 lapiazza che s'intitola da lui, meglio conosciuta oggi conla popolare designazione di «Quattro canti di città».

Nell'architettura religiosa comincia l'attività costrut-trice immensa degli ordini religiosi. Molte chiese con-ventuali iniziate in questo scorcio di secolo, ma conti-nuate nel Seicento, conserveranno la felice compostezzatardo-cinquecentesca che inquadra e domina anche lefrenesie decorative in stucchi colorati e in marmi dettimischi, che seguiteranno ad arricchirle fin nel Settecen-to.

Caratteristico esempio è la bella chiesa del monasterodi monache di Santa Caterina a Palermo70, che fonde

69 Purtroppo talora si son saccheggiati, per cavarne grandiblocchi, i monumenti sicelioti: così a Siracusa e anche ad Agri-gento per fortificare il porto (Porto-Empedocle).

70 Costruita da suor Maria del Carretto, tra il 1566 e il 1586.Vedi: N. Basile, Palermo Felicissima, III, p. 165.

107

sivo del primo Seicento molto lavoro vien dato agli ar-chitetti, specie a Palermo. Temendosi riprese offensivedei turchi, molte fortificazioni si fanno in tutta l'isola69.Il viceré Toledo rettifica a Palermo la via Marmorea e laprolunga verso levante, sino a piazza Marina, il viceréColonna nel 1581 la continua sino al mare, di fronte alquale si incomincia non molto tempo dopo la Porta Feli-ce, ultimata nella prima metà del Seicento quand'era giàcompiuto il nuovo molo. Il viceré Maqueda, ai primi delSeicento, taglia nel senso opposto (nord-sud) l'altra di-ritta via, che conserva ancora il suo nome; il Viglienaall'incrocio di questa con via Toledo inizia nel 1609 lapiazza che s'intitola da lui, meglio conosciuta oggi conla popolare designazione di «Quattro canti di città».

Nell'architettura religiosa comincia l'attività costrut-trice immensa degli ordini religiosi. Molte chiese con-ventuali iniziate in questo scorcio di secolo, ma conti-nuate nel Seicento, conserveranno la felice compostezzatardo-cinquecentesca che inquadra e domina anche lefrenesie decorative in stucchi colorati e in marmi dettimischi, che seguiteranno ad arricchirle fin nel Settecen-to.

Caratteristico esempio è la bella chiesa del monasterodi monache di Santa Caterina a Palermo70, che fonde

69 Purtroppo talora si son saccheggiati, per cavarne grandiblocchi, i monumenti sicelioti: così a Siracusa e anche ad Agri-gento per fortificare il porto (Porto-Empedocle).

70 Costruita da suor Maria del Carretto, tra il 1566 e il 1586.Vedi: N. Basile, Palermo Felicissima, III, p. 165.

107

all'esterno i resti della corrente gaginiana – di cui con-serva il tipico schema e la strombatura delle finestre del-le cappelle – con la vigorosa sagomatura, col già sen-suale chiaroscuro della plastica, con la ricchezza degliordini corinzi intagliati, a paraste ancora slanciate per loschema compositivo di insieme, ma già a colonne intor-no alle porte e alle finestre principali. Se la decorazionedell'interno appartiene al Seicento, la sua composizioneè di questo periodo, ed è indice della sostituzione chequesta corrente ha voluto dalla chiesa basilicale a pila-stri alla chiesa basilicale a colonne (fino allora esclusi-vamente usata dai gaginiani). Santa Caterina è del tipopignolesco del Gesù: una nave e cappelle profonde. Eanche a pilastri, anziché a colonne, sono a Palermo lechiese di Santa Cita e della Casa Professa dei Gesuiti, atre navi e cappelle, iniziate sul finire del Cinquecento.La chiesa di Casa Professa aveva all'interno e all'esternocaratteri tardo-rinascimentali, prima dell'imbarocchi-mento decorativo, come l'altra dell'Olivella. Alcune par-ti meno in vista hanno ancora decorazione più cinque-centesca, a commesso di marmi a colori a somiglianzadi quella che orna parcamente qualche fondo della navetrasversa nella chiesa del castello di Milazzo e il pulpitoper la lettura nel refettorio del convento di San Martinodelle Scale presso Palermo; poi, nel Seicento, l'associa-zione della scultura – sempre più invadente – alla poli-cromia sempre più vistosa, farà cadere nel barocco taledecorazione.

108

all'esterno i resti della corrente gaginiana – di cui con-serva il tipico schema e la strombatura delle finestre del-le cappelle – con la vigorosa sagomatura, col già sen-suale chiaroscuro della plastica, con la ricchezza degliordini corinzi intagliati, a paraste ancora slanciate per loschema compositivo di insieme, ma già a colonne intor-no alle porte e alle finestre principali. Se la decorazionedell'interno appartiene al Seicento, la sua composizioneè di questo periodo, ed è indice della sostituzione chequesta corrente ha voluto dalla chiesa basilicale a pila-stri alla chiesa basilicale a colonne (fino allora esclusi-vamente usata dai gaginiani). Santa Caterina è del tipopignolesco del Gesù: una nave e cappelle profonde. Eanche a pilastri, anziché a colonne, sono a Palermo lechiese di Santa Cita e della Casa Professa dei Gesuiti, atre navi e cappelle, iniziate sul finire del Cinquecento.La chiesa di Casa Professa aveva all'interno e all'esternocaratteri tardo-rinascimentali, prima dell'imbarocchi-mento decorativo, come l'altra dell'Olivella. Alcune par-ti meno in vista hanno ancora decorazione più cinque-centesca, a commesso di marmi a colori a somiglianzadi quella che orna parcamente qualche fondo della navetrasversa nella chiesa del castello di Milazzo e il pulpitoper la lettura nel refettorio del convento di San Martinodelle Scale presso Palermo; poi, nel Seicento, l'associa-zione della scultura – sempre più invadente – alla poli-cromia sempre più vistosa, farà cadere nel barocco taledecorazione.

108

Analogo tipo di chiesa a pilastri, da menzionare per ladiversa composizione a paraste della facciata con duecampanili laterali e porta fiancheggiata da colonne, èquello della cattedrale di Caltanissetta, infarcita poi distucchi e pitture all'interno e rimaneggiata all'esterno,ma che precede forse le molte e varie composizioni ba-rocche di facciate a due campanili laterali della Sicilia,derivanti – crediamo – più dalle grandi cattedrali nor-manne come Monreale e Cefalù che dai noti esempi ro-mani.

Assai interessante è l'architettura della già ricordatachiesa di San Martino delle Scale, nell'alto di una valle aponente di Palermo, non tanto per l'esterno bensì perl'interno. L'ignoto architetto ha unito una vignolescanave unica fiancheggiata da cappelle arcuate, fra pilastridorici, con un capo di croce di tipo prettamente sicilianoa titolo e antititolo prolungato, che precede un coro pro-fondo e altri due ambienti pure rettangolari per ognilato. L'originalità maggiore è nella crociera quadrata conpiloni alti sorreggenti una cupola ottagona su archi de-pressi, crociera contenuta – come nelle chiese centriche– entro un quadrato maggiore per disimpegno interno,della stessa altezza della nave, essendo i piloni manife-stati ognuno da quattro paraste doriche risaltate, uguali,in magnifica grigia pietra di Billiemi portata a lucido.Guardato dal basso, questo tipo di croce ridà, con bendiversa forza, la sensazione aerea, che si è avuta in unachiesa centrica quale Santa Maria dei Miracoli di Fazio

109

Analogo tipo di chiesa a pilastri, da menzionare per ladiversa composizione a paraste della facciata con duecampanili laterali e porta fiancheggiata da colonne, èquello della cattedrale di Caltanissetta, infarcita poi distucchi e pitture all'interno e rimaneggiata all'esterno,ma che precede forse le molte e varie composizioni ba-rocche di facciate a due campanili laterali della Sicilia,derivanti – crediamo – più dalle grandi cattedrali nor-manne come Monreale e Cefalù che dai noti esempi ro-mani.

Assai interessante è l'architettura della già ricordatachiesa di San Martino delle Scale, nell'alto di una valle aponente di Palermo, non tanto per l'esterno bensì perl'interno. L'ignoto architetto ha unito una vignolescanave unica fiancheggiata da cappelle arcuate, fra pilastridorici, con un capo di croce di tipo prettamente sicilianoa titolo e antititolo prolungato, che precede un coro pro-fondo e altri due ambienti pure rettangolari per ognilato. L'originalità maggiore è nella crociera quadrata conpiloni alti sorreggenti una cupola ottagona su archi de-pressi, crociera contenuta – come nelle chiese centriche– entro un quadrato maggiore per disimpegno interno,della stessa altezza della nave, essendo i piloni manife-stati ognuno da quattro paraste doriche risaltate, uguali,in magnifica grigia pietra di Billiemi portata a lucido.Guardato dal basso, questo tipo di croce ridà, con bendiversa forza, la sensazione aerea, che si è avuta in unachiesa centrica quale Santa Maria dei Miracoli di Fazio

109

Gagini71. Di più, sotto la dealbatura della nave e dellecappelle questa chiesa serba intatto lo scomparto deco-rativo assai sobrio del Cinquecento. Per tutto ciò questachiesa meriterebbe uno studio: è citata in tutte le guidequasi soltanto pel ricco intaglio ligneo degli stalli delcoro architettonico72.

Qualche architettura di chiesa resta isolata nella storiaarchitettonica siciliana, forse importata in Palermo; unaè la fronte di Sant'Eulalia dei Catalani, sovrapposizionedi ordini a semicolonne, con interiormente un portico ein alto decorazioni di tondi intagliati a festoni con bustiimperiali spagnuoli: fa contemporaneamente pensare siaall'architettura del Cinquecento aureo napolitano con-temporaneo (palazzo Gravina) sia a qualche nota delCinquecento spagnuolo. L'altra è la fronte della chiesa

71 Più direttamente derivata da questa è una vera chiesa cen-trica su quattro colonne, ricostruita alla fine del Cinquecento sualtra sempre centrica più antica e più piccola, di cui conserva an-cora le finestre di un fianco: Sant'Andrea a Palermo, ora con fred-de trasformazioni decorative dell'Ottocento. Un saggio di restauroha fatto ritrovare la bella architettura del tardo Cinquecento suuna delle colonne. La chiesa centrica dai tempi bizantini sino alSettecento ha avuto sempre qualche rappresentante in ogni secoloin Sicilia.

72 Alla fine del Cinquecento a spingere verso le forme del Ri-nascimento maturo la composizione architettonica e i particolaridecorativi delle opere lignee contribuisce una schiera di eccellentiartefici napoletani, autori di lavori in legno dorati e dipinti, vera-mente monumentali, degni di studio. Citiamo per tutti la cantoriae l'organo della chiesa di San Giovanni dei Napolitani in Palermo.

110

Gagini71. Di più, sotto la dealbatura della nave e dellecappelle questa chiesa serba intatto lo scomparto deco-rativo assai sobrio del Cinquecento. Per tutto ciò questachiesa meriterebbe uno studio: è citata in tutte le guidequasi soltanto pel ricco intaglio ligneo degli stalli delcoro architettonico72.

Qualche architettura di chiesa resta isolata nella storiaarchitettonica siciliana, forse importata in Palermo; unaè la fronte di Sant'Eulalia dei Catalani, sovrapposizionedi ordini a semicolonne, con interiormente un portico ein alto decorazioni di tondi intagliati a festoni con bustiimperiali spagnuoli: fa contemporaneamente pensare siaall'architettura del Cinquecento aureo napolitano con-temporaneo (palazzo Gravina) sia a qualche nota delCinquecento spagnuolo. L'altra è la fronte della chiesa

71 Più direttamente derivata da questa è una vera chiesa cen-trica su quattro colonne, ricostruita alla fine del Cinquecento sualtra sempre centrica più antica e più piccola, di cui conserva an-cora le finestre di un fianco: Sant'Andrea a Palermo, ora con fred-de trasformazioni decorative dell'Ottocento. Un saggio di restauroha fatto ritrovare la bella architettura del tardo Cinquecento suuna delle colonne. La chiesa centrica dai tempi bizantini sino alSettecento ha avuto sempre qualche rappresentante in ogni secoloin Sicilia.

72 Alla fine del Cinquecento a spingere verso le forme del Ri-nascimento maturo la composizione architettonica e i particolaridecorativi delle opere lignee contribuisce una schiera di eccellentiartefici napoletani, autori di lavori in legno dorati e dipinti, vera-mente monumentali, degni di studio. Citiamo per tutti la cantoriae l'organo della chiesa di San Giovanni dei Napolitani in Palermo.

110

di Santa Maria delle Grazie al Ponticello73, ancoraun'altra è la chiesetta di san Nicolò lo Gurgo pressoSant'Andrea, con caratteri più siciliani nella timida, do-minata da campaniletti, facciata esterna d'ingressoall'atrio irregolare con colonne, dov'è una madonna rob-biana, ma con carattere più scolastico nella facciata in-terna della chiesa a tre porte con frontoni e nelle colon-ne delle navate, appesantite in epoca posteriore. Correttecappelle cinquecentesche ha il Duomo di Monreale: unaha una cupola all'esterno e un ciborio a cupola sull'alta-re.

Da questa fine del Cinquecento i monasteri isolatifuori città hanno già lasciato il carattere fortificato chemantennero per il pericolo di incursioni turche sino allavittoria di Lepanto. Ora che alle fortificazioni delle co-ste pensa il regno, le sedi dei grandi ordini monastici ac-quistano l'assetto di grandiose e comode dimore residen-ziali con viridari, fontane, vari chiostri dagli ampi porti-ci, scaloni, ricchi refettori ecc., e l'architettura esprime ilcarattere di rustica signorilità, specialmente per quellisiti fra i monti o i boschi. Questa differenza di tono si-gnorile può rilevarsi nel confronto fra il convento bene-dettino di San Placido Calonerò, a pochi chilometri da

73 Il cui pezzo più interessante, il portale, è stato riprodottodal Melani per l'originalità sull'arcata di scarico dell'architravedella porta, arcata spinta sin sotto le cadenze laterali del portone,il cui timpano per ciò, non è delimitato dalla trabeazionedell'ordine. L'insieme ha la libertà compositiva e la robustezza elarghezza di proporzioni proprie del Quattrocento lombardo.

111

di Santa Maria delle Grazie al Ponticello73, ancoraun'altra è la chiesetta di san Nicolò lo Gurgo pressoSant'Andrea, con caratteri più siciliani nella timida, do-minata da campaniletti, facciata esterna d'ingressoall'atrio irregolare con colonne, dov'è una madonna rob-biana, ma con carattere più scolastico nella facciata in-terna della chiesa a tre porte con frontoni e nelle colon-ne delle navate, appesantite in epoca posteriore. Correttecappelle cinquecentesche ha il Duomo di Monreale: unaha una cupola all'esterno e un ciborio a cupola sull'alta-re.

Da questa fine del Cinquecento i monasteri isolatifuori città hanno già lasciato il carattere fortificato chemantennero per il pericolo di incursioni turche sino allavittoria di Lepanto. Ora che alle fortificazioni delle co-ste pensa il regno, le sedi dei grandi ordini monastici ac-quistano l'assetto di grandiose e comode dimore residen-ziali con viridari, fontane, vari chiostri dagli ampi porti-ci, scaloni, ricchi refettori ecc., e l'architettura esprime ilcarattere di rustica signorilità, specialmente per quellisiti fra i monti o i boschi. Questa differenza di tono si-gnorile può rilevarsi nel confronto fra il convento bene-dettino di San Placido Calonerò, a pochi chilometri da

73 Il cui pezzo più interessante, il portale, è stato riprodottodal Melani per l'originalità sull'arcata di scarico dell'architravedella porta, arcata spinta sin sotto le cadenze laterali del portone,il cui timpano per ciò, non è delimitato dalla trabeazionedell'ordine. L'insieme ha la libertà compositiva e la robustezza elarghezza di proporzioni proprie del Quattrocento lombardo.

111

Messina – ingrandito e quasi per intero rifatto su quellotrecentesco, di cui conserva interessanti avanzi, orgo-glioso della sosta che nel 1535 vi aveva fatto Carlo Vprima d'entrare a Messina – e quello degli olivetani aSanta Maria del Bosco di Calatamauro presso ContessaEntellina74. Meglio ancora se si confrontano inoltre en-trambi con il convento dei basiliani a Randazzo, dalchiostro a triplice trifora serliana sui lati minori del por-tico, o col gustosissimo cortile del palazzo vescovile diMazzara in cui il porticato a tre arcate con pilastri qua-drati è riservato al lato d'ingresso ed è sormontato dalogge pure a tre arcate, o col seminario arcivescovile diPalermo, opera anch'essa tardo gaginiano-carnilivarescadi Giorgio di Faccio (1583), l'autore di San Giorgio deiGenovesi, o col fine chiostro di Santa Cita a Palermo,della fine del Cinquecento (o magari già del Seicento)ove agli angoli del lato lungo ad arcate ritroviamo ladoppia colonna di sostegno con architrave e occhi poli-gonali. I due chiostri palermitani conservano la delicatagrazia della scuola gaginiana che ha il suo capolavoro,

74 Ricordiamo la singolare composizione di un monastero disuore entro l'abitato di Chiusa Sclafani. La solita manifestazione(per esempio, del convento di Sant'Antonino a Palermo) che ac-centua l'importanza della comunità monastica con la grandezzaassai maggiore delle finestre dei corridoi su quelle piccole e uni-formi delle celle individuali ha quivi una variante: due grandi fi-nestre alla guelfa, cioè con divisione in materiale lapideo a crocedel grande vano, si fan riscontro verso gli angoli della facciata,singolare riesumazione, in tempi già volgenti al barocco, di unmotivo quattrocentesco romano o dell'Italia centrale.

112

Messina – ingrandito e quasi per intero rifatto su quellotrecentesco, di cui conserva interessanti avanzi, orgo-glioso della sosta che nel 1535 vi aveva fatto Carlo Vprima d'entrare a Messina – e quello degli olivetani aSanta Maria del Bosco di Calatamauro presso ContessaEntellina74. Meglio ancora se si confrontano inoltre en-trambi con il convento dei basiliani a Randazzo, dalchiostro a triplice trifora serliana sui lati minori del por-tico, o col gustosissimo cortile del palazzo vescovile diMazzara in cui il porticato a tre arcate con pilastri qua-drati è riservato al lato d'ingresso ed è sormontato dalogge pure a tre arcate, o col seminario arcivescovile diPalermo, opera anch'essa tardo gaginiano-carnilivarescadi Giorgio di Faccio (1583), l'autore di San Giorgio deiGenovesi, o col fine chiostro di Santa Cita a Palermo,della fine del Cinquecento (o magari già del Seicento)ove agli angoli del lato lungo ad arcate ritroviamo ladoppia colonna di sostegno con architrave e occhi poli-gonali. I due chiostri palermitani conservano la delicatagrazia della scuola gaginiana che ha il suo capolavoro,

74 Ricordiamo la singolare composizione di un monastero disuore entro l'abitato di Chiusa Sclafani. La solita manifestazione(per esempio, del convento di Sant'Antonino a Palermo) che ac-centua l'importanza della comunità monastica con la grandezzaassai maggiore delle finestre dei corridoi su quelle piccole e uni-formi delle celle individuali ha quivi una variante: due grandi fi-nestre alla guelfa, cioè con divisione in materiale lapideo a crocedel grande vano, si fan riscontro verso gli angoli della facciata,singolare riesumazione, in tempi già volgenti al barocco, di unmotivo quattrocentesco romano o dell'Italia centrale.

112

in questo genere, nel secondo e minor cortile del Palaz-zo Reale in Palermo. Quello del seminario arcivescovilericorda perfino i chiostri del Carnilivari, con le propor-zioni poco slanciate del portico inferiore ad archi de-pressi, che fanno risaltare per contrasto la snellezza del-le arcate su colonne con trabeazione di soprassesto nellaloggia superiore75.

Corretti e distinti sono i due chiostri a un solo ordine(dorico il primo grande, jonico il secondo minore) diSan Placido; assolutamente più caratteristico quello diSanta Maria del Bosco per l'interpretazione personaledei particolari forti, vivacemente chiaroscurali che anti-cipano la rustica signorilità, il gusto paesano dell'archi-tettura palermitana del passaggio al Seicento. Esso è la-voro dello scultore-architetto siciliano Paolo Busacca,operante sullo scorcio del Cinquecento.

75 Lo stesso contrasto, anzi più accentuato, forse perché ag-gravato dal vincolo dei livelli preesistenti, colpisce anche di piùnel seicentesco cortile grande del Palazzo Reale di Palermo: an-che più atticciate son quivi le colonne inferiori sotto le arcate de-presse, e anche più slanciate quelle delle sovrapposte logge daitondi archi a sovrassesto.

113

in questo genere, nel secondo e minor cortile del Palaz-zo Reale in Palermo. Quello del seminario arcivescovilericorda perfino i chiostri del Carnilivari, con le propor-zioni poco slanciate del portico inferiore ad archi de-pressi, che fanno risaltare per contrasto la snellezza del-le arcate su colonne con trabeazione di soprassesto nellaloggia superiore75.

Corretti e distinti sono i due chiostri a un solo ordine(dorico il primo grande, jonico il secondo minore) diSan Placido; assolutamente più caratteristico quello diSanta Maria del Bosco per l'interpretazione personaledei particolari forti, vivacemente chiaroscurali che anti-cipano la rustica signorilità, il gusto paesano dell'archi-tettura palermitana del passaggio al Seicento. Esso è la-voro dello scultore-architetto siciliano Paolo Busacca,operante sullo scorcio del Cinquecento.

75 Lo stesso contrasto, anzi più accentuato, forse perché ag-gravato dal vincolo dei livelli preesistenti, colpisce anche di piùnel seicentesco cortile grande del Palazzo Reale di Palermo: an-che più atticciate son quivi le colonne inferiori sotto le arcate de-presse, e anche più slanciate quelle delle sovrapposte logge daitondi archi a sovrassesto.

113

Il Seicento

Almeno per un trentennio del Seicento, ma spesso an-che per un tempo maggiore, l'architettura siciliana nondifferisce molto da quella dell'ultimo ventennio del Cin-quecento. L'architettura più propriamente barocca nonfiorisce nell'isola che verso la metà del XVII secolo. S'èraggiunta alla fine del Cinquecento l'unanimità dei con-sensi per l'architettura pre-barocca. Il disorientamentosingolare che perdurava sino oltre al terzo venticinquen-nio del Cinquecento nell'indirizzo architettonico sicilia-no e che faceva coesistere tutte le resistenze e tutti gliardimenti, a partire dal «romanico ritardato» dei paesieccentrici sino al quasi barocco delle cappelle dei Ferra-ro, nel Seicento scompare. Resteranno i più e i menoavanzati verso il barocco e questi saranno incalzati daquelli, spesso nella stessa opera. Ne è prova la costru-zione dell'allora detto «ottangolo», oggi «Quattro cantidi città» a Palermo, cominciata nel 1609 su progetto diGiulio Lasso, architetto lombardo (che lavorava già aCatania per il convento dei benedettini, alla fine delCinquecento) finita nel 1620 sotto la direzione di G. DeAvanzato e decorata nei tre ordini con la sequela di san-te, di re, di stagioni con targhe e fontane sull'asse diogni cantone e di aquile e stemmi nel coronamento, du-

114

Il Seicento

Almeno per un trentennio del Seicento, ma spesso an-che per un tempo maggiore, l'architettura siciliana nondifferisce molto da quella dell'ultimo ventennio del Cin-quecento. L'architettura più propriamente barocca nonfiorisce nell'isola che verso la metà del XVII secolo. S'èraggiunta alla fine del Cinquecento l'unanimità dei con-sensi per l'architettura pre-barocca. Il disorientamentosingolare che perdurava sino oltre al terzo venticinquen-nio del Cinquecento nell'indirizzo architettonico sicilia-no e che faceva coesistere tutte le resistenze e tutti gliardimenti, a partire dal «romanico ritardato» dei paesieccentrici sino al quasi barocco delle cappelle dei Ferra-ro, nel Seicento scompare. Resteranno i più e i menoavanzati verso il barocco e questi saranno incalzati daquelli, spesso nella stessa opera. Ne è prova la costru-zione dell'allora detto «ottangolo», oggi «Quattro cantidi città» a Palermo, cominciata nel 1609 su progetto diGiulio Lasso, architetto lombardo (che lavorava già aCatania per il convento dei benedettini, alla fine delCinquecento) finita nel 1620 sotto la direzione di G. DeAvanzato e decorata nei tre ordini con la sequela di san-te, di re, di stagioni con targhe e fontane sull'asse diogni cantone e di aquile e stemmi nel coronamento, du-

114

rante molti anni dopo: si dice sotto la guida di architetti-pittori siciliani, proto maestri del Senato.

La piazza ha ricevuto animazione dalle successive al-terazioni e aggiunte decorative, ma il partito architetto-nico ancora cinquecentesco e non robusto del Lasso,con la consueta sovrapposizione degli ordini di limitataaltezza, n'è rimasto alquanto sopraffatto.

Questo rapporto fra gli elementi strutturali, principalidi uno schema compositivo e il complemento decorativosarà la pietra di paragone in questi secoli di barocco, incui si tende principalmente all'effetto. È più facile rag-giungerlo con l'ornato.

Altre due opere pubbliche affidate successivamente apittori-architetti siciliani dal Senato palermitano ci mo-strano che si torna già ad avere fiducia negli artisti delluogo e che l'immigrazione di scultori-architetti conti-nentali può dirsi cessata dal 1592, quando il Senato diMessina fa ritornare nell'isola il siciliano Del Duca.

Il palermitano pittore Mariano Smiriglio (1561?-1636) progettando e dirigendo da solo l'arsenale mostradi avere robustezza di visione, intuizione sicura deimezzi più semplici per realizzarla vigorosamente. A luisuccede, pare, nella direzione dei lavori eretti dal Senatoil monrealese Pietro Novelli, il maggiore pittore sicilia-no del secolo, artista versatile e precoce (1603-1647) enon s'è sicuri se alla immatura morte di lui la Porta Feli-ce fosse già del tutto completa. Non sappiamo se siapiuttosto dello Smiriglio il completamento del prospettointerno e del Novelli l'esterno o viceversa; certo la ge-

115

rante molti anni dopo: si dice sotto la guida di architetti-pittori siciliani, proto maestri del Senato.

La piazza ha ricevuto animazione dalle successive al-terazioni e aggiunte decorative, ma il partito architetto-nico ancora cinquecentesco e non robusto del Lasso,con la consueta sovrapposizione degli ordini di limitataaltezza, n'è rimasto alquanto sopraffatto.

Questo rapporto fra gli elementi strutturali, principalidi uno schema compositivo e il complemento decorativosarà la pietra di paragone in questi secoli di barocco, incui si tende principalmente all'effetto. È più facile rag-giungerlo con l'ornato.

Altre due opere pubbliche affidate successivamente apittori-architetti siciliani dal Senato palermitano ci mo-strano che si torna già ad avere fiducia negli artisti delluogo e che l'immigrazione di scultori-architetti conti-nentali può dirsi cessata dal 1592, quando il Senato diMessina fa ritornare nell'isola il siciliano Del Duca.

Il palermitano pittore Mariano Smiriglio (1561?-1636) progettando e dirigendo da solo l'arsenale mostradi avere robustezza di visione, intuizione sicura deimezzi più semplici per realizzarla vigorosamente. A luisuccede, pare, nella direzione dei lavori eretti dal Senatoil monrealese Pietro Novelli, il maggiore pittore sicilia-no del secolo, artista versatile e precoce (1603-1647) enon s'è sicuri se alla immatura morte di lui la Porta Feli-ce fosse già del tutto completa. Non sappiamo se siapiuttosto dello Smiriglio il completamento del prospettointerno e del Novelli l'esterno o viceversa; certo la ge-

115

niale composizione che, allontanandosi dal tipo ad arcotrionfale, apre la nuova serie di porte di città «a testate»e portone metallico su cardini, dovette essere dello Smi-riglio, ciò che conferma il vigore del suo sentire76.

Non lontano dalla forza dello Smiriglio e del suo tem-po è il palazzo dei Pellegrini a Porta Nuova, che, delloro emblema a conchiglie è tutto ornato sulle bugne va-riamente lavorate con la fantasia, ora fine ora potente,degli intagliatori, specie a Palermo. La chiusura del por-tico basso, ad archi depressi, molto ha tolto di effettochiaroscurale alla zona inferiore. La continuità della bal-conata sulla cornice dell'ordine toscano a paraste (cheabbraccia anche il piano ammezzato) e la sobrietà delpiano superiore – come all'Arsenale – rivelano l'influen-za dello Smiriglio. In questi edifici pubblici palermitanidel principio del Seicento è un succedersi di opere origi-nali e non va dimenticato qui (come è stato sino a ora) ilpalazzo palermitano del Monte di Pietà, esempio raro dicomposizione che agisce senza il minimo aiuto di orna-to, soltanto affidata alle masse, ai chiaroscuri, alle pro-porzioni del partito a logge ad arcate depresse in tutti ipiani poi alternativamente aperte e chiuse come al tem-

76 Risulta dai documenti che, quale architetto del Senato, loSmiriglio fornì i disegni delle porte – oggi non più esistenti –d'Ossuna (1613), di Castro (1620), della Dogana (1628). Vedi: F.Meli, op. cit.

116

niale composizione che, allontanandosi dal tipo ad arcotrionfale, apre la nuova serie di porte di città «a testate»e portone metallico su cardini, dovette essere dello Smi-riglio, ciò che conferma il vigore del suo sentire76.

Non lontano dalla forza dello Smiriglio e del suo tem-po è il palazzo dei Pellegrini a Porta Nuova, che, delloro emblema a conchiglie è tutto ornato sulle bugne va-riamente lavorate con la fantasia, ora fine ora potente,degli intagliatori, specie a Palermo. La chiusura del por-tico basso, ad archi depressi, molto ha tolto di effettochiaroscurale alla zona inferiore. La continuità della bal-conata sulla cornice dell'ordine toscano a paraste (cheabbraccia anche il piano ammezzato) e la sobrietà delpiano superiore – come all'Arsenale – rivelano l'influen-za dello Smiriglio. In questi edifici pubblici palermitanidel principio del Seicento è un succedersi di opere origi-nali e non va dimenticato qui (come è stato sino a ora) ilpalazzo palermitano del Monte di Pietà, esempio raro dicomposizione che agisce senza il minimo aiuto di orna-to, soltanto affidata alle masse, ai chiaroscuri, alle pro-porzioni del partito a logge ad arcate depresse in tutti ipiani poi alternativamente aperte e chiuse come al tem-

76 Risulta dai documenti che, quale architetto del Senato, loSmiriglio fornì i disegni delle porte – oggi non più esistenti –d'Ossuna (1613), di Castro (1620), della Dogana (1628). Vedi: F.Meli, op. cit.

116

po normanno77. Architettura quasi funzionale ai tempigià barocchi!

Il palazzetto della Zecca oltre piazza Marina ci riportaa sensazioni di tardo Cinquecento specie nel bel cortile.Per la non mai abbastanza deplorata distruzione archi-tettonica delle province orientali è ancora Palermo cheammaestra sull'abitazione privata di questo periodo; maa Caltanissetta si trova l'esempio maggiore di palazzoprincipesco di un megalomane signore spagnuolo. Inquesto tema ritroviamo talvolta quell'espressione ru-stico-signorile già notata nelle opere del Busacca a San-ta Maria del Bosco78, tal altra un desiderio di compo-stezza classica, quasi vignolesca nell'insieme e neglischemi di porta o finestre, ravvivato da uno studio atten-tissimo dei particolari negli effetti plastici, trattati conammirevole originalità79, ora infine un'accentuazionegustosa delle note locali paesane: si tende per esempio aescludere l'ordine architettonico dai portoni e a valersisempre più del bugnato o, in sostituzione di esso, dellascultura figurativa: così il portone di palazzetto Rossellia Porta Sant'Agata e, più tardivo, il palazzetto ornato aerme intorno all'ingresso a vano poligonale sotto il bal-cone a mensole ornate in piazza Castello. In alcune diqueste forme barocche (serpenti attorcigliati, pupazzi da

77 I pochi fronzoli e i frontoni spezzati che ora lo alteranosono aggiunte settecentesche.

78 Nel palazzetto che si trova all'imbocco di via delle Scuoledal corso Vittorio Emanuele.

79 Palazzetto incendiato in via Bara, altro in via Sant'Agata.

117

po normanno77. Architettura quasi funzionale ai tempigià barocchi!

Il palazzetto della Zecca oltre piazza Marina ci riportaa sensazioni di tardo Cinquecento specie nel bel cortile.Per la non mai abbastanza deplorata distruzione archi-tettonica delle province orientali è ancora Palermo cheammaestra sull'abitazione privata di questo periodo; maa Caltanissetta si trova l'esempio maggiore di palazzoprincipesco di un megalomane signore spagnuolo. Inquesto tema ritroviamo talvolta quell'espressione ru-stico-signorile già notata nelle opere del Busacca a San-ta Maria del Bosco78, tal altra un desiderio di compo-stezza classica, quasi vignolesca nell'insieme e neglischemi di porta o finestre, ravvivato da uno studio atten-tissimo dei particolari negli effetti plastici, trattati conammirevole originalità79, ora infine un'accentuazionegustosa delle note locali paesane: si tende per esempio aescludere l'ordine architettonico dai portoni e a valersisempre più del bugnato o, in sostituzione di esso, dellascultura figurativa: così il portone di palazzetto Rossellia Porta Sant'Agata e, più tardivo, il palazzetto ornato aerme intorno all'ingresso a vano poligonale sotto il bal-cone a mensole ornate in piazza Castello. In alcune diqueste forme barocche (serpenti attorcigliati, pupazzi da

77 I pochi fronzoli e i frontoni spezzati che ora lo alteranosono aggiunte settecentesche.

78 Nel palazzetto che si trova all'imbocco di via delle Scuoledal corso Vittorio Emanuele.

79 Palazzetto incendiato in via Bara, altro in via Sant'Agata.

117

ucciddati) trova estremo sfogo, in modo interessante ecaratteristico, il romanico-tardivo paesano del Cinque-cento. Nelle città di provincia il desiderio pettegolo dicuriosare trova espressione nei balconi sporgenti sumensole scultoree, possibilmente all'angolo di due stra-de anche quando si abbiano terrazze e logge per uscireall'aperto. I panciuti parapetti «a petto d'oca» e il corre-do di opere in ferro battuto di questi balconi sono spessoveri lavori d'arte. La città che meglio offra di questi mo-tivi è Siracusa: ivi è possibile seguirne lo svolgimento inbegli esemplari dalla fine del Cinquecento sino al Sette-cento.

Il palazzetto di Santa Rosalia al Papireto in Palermocondensa molti dei suddetti caratteri e si può assumerecome esempio tipico di palazzetto veramente sicilianodel principio del Seicento. Vi ritroviamo prima di tutto(nella facciata sulla piazzetta) la disposizione tipicad'ora in poi del palazzo nobiliare: pianterreno per usivari di servizi, ammezzato per l'amministrazione, pianonobile per la famiglia del signore, piano sottotetto per icadetti. Vi ritroviamo la razionalità utilitaria della dispo-sizione, la serenità e l'equilibrio della composizione, lasemplicità e la forza non disgiunta da qualche finezza eanche da qualche tratto rustico che non abbassa il valo-re, ma dà carattere ambientale alla composizione. Vi no-tiamo alcuni tratti solo in parte nuovi e alcuni elementidi tradizione, assorbiti anche dal Carnilivari e qui portatialle estreme conseguenze. Così fra i tradizionali notia-mo quegli archi policentrici larghi e saettanti, a sola cor-

118

ucciddati) trova estremo sfogo, in modo interessante ecaratteristico, il romanico-tardivo paesano del Cinque-cento. Nelle città di provincia il desiderio pettegolo dicuriosare trova espressione nei balconi sporgenti sumensole scultoree, possibilmente all'angolo di due stra-de anche quando si abbiano terrazze e logge per uscireall'aperto. I panciuti parapetti «a petto d'oca» e il corre-do di opere in ferro battuto di questi balconi sono spessoveri lavori d'arte. La città che meglio offra di questi mo-tivi è Siracusa: ivi è possibile seguirne lo svolgimento inbegli esemplari dalla fine del Cinquecento sino al Sette-cento.

Il palazzetto di Santa Rosalia al Papireto in Palermocondensa molti dei suddetti caratteri e si può assumerecome esempio tipico di palazzetto veramente sicilianodel principio del Seicento. Vi ritroviamo prima di tutto(nella facciata sulla piazzetta) la disposizione tipicad'ora in poi del palazzo nobiliare: pianterreno per usivari di servizi, ammezzato per l'amministrazione, pianonobile per la famiglia del signore, piano sottotetto per icadetti. Vi ritroviamo la razionalità utilitaria della dispo-sizione, la serenità e l'equilibrio della composizione, lasemplicità e la forza non disgiunta da qualche finezza eanche da qualche tratto rustico che non abbassa il valo-re, ma dà carattere ambientale alla composizione. Vi no-tiamo alcuni tratti solo in parte nuovi e alcuni elementidi tradizione, assorbiti anche dal Carnilivari e qui portatialle estreme conseguenze. Così fra i tradizionali notia-mo quegli archi policentrici larghi e saettanti, a sola cor-

118

da, depressa quanto mai, nervosamente raccordati suicapitelli toscani, dorici e ionici, troviamo atticciate co-lonne su piedistallo, sovrapposte in tre ordini nel latodel cortile opposto all'androne e in due ordini nel latoadiacente, poi la scultura geometrica variatissima dellebugne intorno al portone, alternate per riposo con concilisci. Fra gli pseudo-nuovi notiamo: la sagoma poligona-le – anziché arcuata – del vano d'entrata, qui ancoraquasi un originale compromesso barocco fra motiviquattrocenteschi: fra il semplice portone rettangolarecon mensole a sostegno dell'architrave e il durazzescoportone ad arco ribassato; inoltre il duplice e oppostopiegare ad angolo retto della cornice di coronamento persuperare il dislivello nel fianco: motivo dei tempi nor-manni espresso in forma nuova. In una più diffusa trat-tazione si potrebbero portare gli esempi intermedi dellagraduale trasformazione napoletana e siciliana del porta-le durazzesco nel portale barocco poligonale: qui baste-rà rilevare il diffusissimo uso che d'ora in poi avrà que-sta sagoma d'intradosso in sostituzione dell'arcuata.Quanto al risalto della cornice per superare lievi disli-velli, si possono citare almeno altri quattro esempi coeviin Palermo, ma fuori non ricordiamo che il timido, tardi-vo ritorno del grande Vaccarini, a mezzo il Settecento,nel fianco della sua casa costruita a Catania, e non sap-piamo se a testimoniare il nostalgico ricordo della nativaPalermo, da parte del vecchio e operoso abate-architet-to.

119

da, depressa quanto mai, nervosamente raccordati suicapitelli toscani, dorici e ionici, troviamo atticciate co-lonne su piedistallo, sovrapposte in tre ordini nel latodel cortile opposto all'androne e in due ordini nel latoadiacente, poi la scultura geometrica variatissima dellebugne intorno al portone, alternate per riposo con concilisci. Fra gli pseudo-nuovi notiamo: la sagoma poligona-le – anziché arcuata – del vano d'entrata, qui ancoraquasi un originale compromesso barocco fra motiviquattrocenteschi: fra il semplice portone rettangolarecon mensole a sostegno dell'architrave e il durazzescoportone ad arco ribassato; inoltre il duplice e oppostopiegare ad angolo retto della cornice di coronamento persuperare il dislivello nel fianco: motivo dei tempi nor-manni espresso in forma nuova. In una più diffusa trat-tazione si potrebbero portare gli esempi intermedi dellagraduale trasformazione napoletana e siciliana del porta-le durazzesco nel portale barocco poligonale: qui baste-rà rilevare il diffusissimo uso che d'ora in poi avrà que-sta sagoma d'intradosso in sostituzione dell'arcuata.Quanto al risalto della cornice per superare lievi disli-velli, si possono citare almeno altri quattro esempi coeviin Palermo, ma fuori non ricordiamo che il timido, tardi-vo ritorno del grande Vaccarini, a mezzo il Settecento,nel fianco della sua casa costruita a Catania, e non sap-piamo se a testimoniare il nostalgico ricordo della nativaPalermo, da parte del vecchio e operoso abate-architet-to.

119

Nel palazzo Moncada (o Bonfremont) e ora sede deitribunali in Caltanissetta, si vede passare il desiderio difasto, di grandiosità, la volontà di stupire, dal magnatecommittente all'architetto sobriamente educato, e sfor-zarlo ad accenti magniloquenti e a concezioni megalo-mani, rimaste attuate a mezzo, come avviene sempre inarchitettura quando vi sia squilibrio fra concezione emezzi o tempo d'attuazione.

Del pari a mezzo è rimasto un altro grandioso e bencomposto palazzo a Palermo: quello della Compagniadei Bianchi che sovrasta tutte le case del modesto e po-poloso quartiere di fronte allo Spasimo e che pel porticoinferiore dà adito alla chiesetta della Vittoria (dei Nor-manni sui Saraceni). In entrambi ritroviamo il motivodella balconata, continua o quasi, al primo piano. Ma,mentre nel palazzo di Palermo essa sfrutta, al modo soli-to dello Smiriglio, la sporgenza della cornice dell'altatrabeazione dorica, che corona il piano inferiore, inquello di Caltanissetta la balconata è sostenuta da unafolla di mensole figurative, come già nei palazzi del Ca-lamech a Messina e come sarà poi d'uso comune allafine del secolo e per molta parte del Settecento, special-mente a Catania. Nel palazzo palermitano, ancora sottol'influsso dello Smiriglio, è accentuata l'importanza delpiano inferiore, quasi di palazzo pubblico; in quelloMoncada invece l'ordine, a paraste scanalate, è riservatoal piano superiore e doveva abbracciare anche il pianodei cadetti per sorreggere direttamente la cornice; maquest'ultimo piano è rimasto solo iniziato e il corona-

120

Nel palazzo Moncada (o Bonfremont) e ora sede deitribunali in Caltanissetta, si vede passare il desiderio difasto, di grandiosità, la volontà di stupire, dal magnatecommittente all'architetto sobriamente educato, e sfor-zarlo ad accenti magniloquenti e a concezioni megalo-mani, rimaste attuate a mezzo, come avviene sempre inarchitettura quando vi sia squilibrio fra concezione emezzi o tempo d'attuazione.

Del pari a mezzo è rimasto un altro grandioso e bencomposto palazzo a Palermo: quello della Compagniadei Bianchi che sovrasta tutte le case del modesto e po-poloso quartiere di fronte allo Spasimo e che pel porticoinferiore dà adito alla chiesetta della Vittoria (dei Nor-manni sui Saraceni). In entrambi ritroviamo il motivodella balconata, continua o quasi, al primo piano. Ma,mentre nel palazzo di Palermo essa sfrutta, al modo soli-to dello Smiriglio, la sporgenza della cornice dell'altatrabeazione dorica, che corona il piano inferiore, inquello di Caltanissetta la balconata è sostenuta da unafolla di mensole figurative, come già nei palazzi del Ca-lamech a Messina e come sarà poi d'uso comune allafine del secolo e per molta parte del Settecento, special-mente a Catania. Nel palazzo palermitano, ancora sottol'influsso dello Smiriglio, è accentuata l'importanza delpiano inferiore, quasi di palazzo pubblico; in quelloMoncada invece l'ordine, a paraste scanalate, è riservatoal piano superiore e doveva abbracciare anche il pianodei cadetti per sorreggere direttamente la cornice; maquest'ultimo piano è rimasto solo iniziato e il corona-

120

mento quindi manca. Ben più gravi mancanze accusa ilcortile, le cui dimensioni dovevano essere tali da coprireuna vastissima area. Essendo quest'area al centro cittadi-no ed essendo il portico rimasto appena fondato su tuttoil perimetro e mandato avanti, ma non finito, solo da unlato, molti edifici pubblici e privati or son sorti sulle an-tiche fondazioni. Del pari appena le ammorsature resta-no di un cavalcavia coperto, per cui si voleva passaresull'area di fronte, si dice per arrivare al coperto in chie-sa. L'architettura, ancora troppo composta e fine nei par-ticolari, adesso non dà congrua espressione allo smodatoconcepimento del committente; solo la scultura dellebizzarre e spesso belle mensole che, dove sono prive dilastre superiori, proiettano fantastiche ombre tutt'intornosul piano ammezzato, ne dà un accento. In ciò che restadel portico abbiamo un monito a stare guardinghi nelgiudizio definitivo, non conoscendo ormai più a qualidelle parti mancanti fossero affidate note più forti e ac-cordi più espressivi. Ma, così com'è, serve tuttavia a do-cumentare come l'architettura interpreti non solo i tem-peramenti degli artisti che per essa si espressero, ma an-che e prima di tutto la civiltà del proprio tempo. Alcuniraffinati particolari (per esempio nell'edicola d'ingresso)di questo palazzo sembrano avere legami con un palaz-zo pubblico che meriterebbe assai maggiore notorietà:quello del Comune che il Senato di Siracusa fece inizia-re dal proprio proto maestro Giovanni Vermescia, o Ver-mexio, su disegni e modelli di lui, non posteriori al1629. Alcune sculture di particolari figurativi di

121

mento quindi manca. Ben più gravi mancanze accusa ilcortile, le cui dimensioni dovevano essere tali da coprireuna vastissima area. Essendo quest'area al centro cittadi-no ed essendo il portico rimasto appena fondato su tuttoil perimetro e mandato avanti, ma non finito, solo da unlato, molti edifici pubblici e privati or son sorti sulle an-tiche fondazioni. Del pari appena le ammorsature resta-no di un cavalcavia coperto, per cui si voleva passaresull'area di fronte, si dice per arrivare al coperto in chie-sa. L'architettura, ancora troppo composta e fine nei par-ticolari, adesso non dà congrua espressione allo smodatoconcepimento del committente; solo la scultura dellebizzarre e spesso belle mensole che, dove sono prive dilastre superiori, proiettano fantastiche ombre tutt'intornosul piano ammezzato, ne dà un accento. In ciò che restadel portico abbiamo un monito a stare guardinghi nelgiudizio definitivo, non conoscendo ormai più a qualidelle parti mancanti fossero affidate note più forti e ac-cordi più espressivi. Ma, così com'è, serve tuttavia a do-cumentare come l'architettura interpreti non solo i tem-peramenti degli artisti che per essa si espressero, ma an-che e prima di tutto la civiltà del proprio tempo. Alcuniraffinati particolari (per esempio nell'edicola d'ingresso)di questo palazzo sembrano avere legami con un palaz-zo pubblico che meriterebbe assai maggiore notorietà:quello del Comune che il Senato di Siracusa fece inizia-re dal proprio proto maestro Giovanni Vermescia, o Ver-mexio, su disegni e modelli di lui, non posteriori al1629. Alcune sculture di particolari figurativi di

121

prim'ordine aggiungono pregio alla composizione equi-librata e degna di un maestro della fine dei Cinquecento.

Qui la balconata continua in parte poggia sulla corni-ce dell'ordine inferiore, in parte sulle mensole dei balco-ni che, con ingegnosa perizia, sono inseriti nell'interval-lo dell'ordinamento, scandito a binati di pilastri: doricisotto, jonici sopra. Nel binato sono nicchie al primo pia-no, nell'interbinato finestre, e, in quello centrale inferio-re, l'arco d'ingresso è vignolescamente indentato con lesemplici bugne dell'ordine a paraste. Una forte corniceproporzionata all'insieme e non al solo ordine superiore,ha sculture che rivelano lo studio delle meraviglie pla-stiche antiche, di cui è ricca Siracusa. È notevole questosenso di misura, d'equilibrio, di distinzione che promanadalla cubica fabbrica del Vermexio80, come da altre ope-re di architetti siciliani della prima metà dello stesso se-colo.

Anche l'architettura religiosa di questo periodo con-ferma le constatazioni stilistiche fatte nella civile e mili-tare: doversi intendere cioè tutto questo periodo preba-rocco come di vera fioritura tardiva del rinascimentopostmichelangiolesco in Sicilia, che gli isolani hannomostrato di sentire vivamente.

Alla fine del Seicento si ritenne fredda quest'arte alpunto da sentire il bisogno di riprendere o rifare le fac-ciate delle chiese non soltanto della fine del Cinquecen-

80 Fu ultimata nei lavori d'intaglio nel 1633, ma veniva anco-ra corredata delle opere in ferro e di completamento in legno nel1666.

122

prim'ordine aggiungono pregio alla composizione equi-librata e degna di un maestro della fine dei Cinquecento.

Qui la balconata continua in parte poggia sulla corni-ce dell'ordine inferiore, in parte sulle mensole dei balco-ni che, con ingegnosa perizia, sono inseriti nell'interval-lo dell'ordinamento, scandito a binati di pilastri: doricisotto, jonici sopra. Nel binato sono nicchie al primo pia-no, nell'interbinato finestre, e, in quello centrale inferio-re, l'arco d'ingresso è vignolescamente indentato con lesemplici bugne dell'ordine a paraste. Una forte corniceproporzionata all'insieme e non al solo ordine superiore,ha sculture che rivelano lo studio delle meraviglie pla-stiche antiche, di cui è ricca Siracusa. È notevole questosenso di misura, d'equilibrio, di distinzione che promanadalla cubica fabbrica del Vermexio80, come da altre ope-re di architetti siciliani della prima metà dello stesso se-colo.

Anche l'architettura religiosa di questo periodo con-ferma le constatazioni stilistiche fatte nella civile e mili-tare: doversi intendere cioè tutto questo periodo preba-rocco come di vera fioritura tardiva del rinascimentopostmichelangiolesco in Sicilia, che gli isolani hannomostrato di sentire vivamente.

Alla fine del Seicento si ritenne fredda quest'arte alpunto da sentire il bisogno di riprendere o rifare le fac-ciate delle chiese non soltanto della fine del Cinquecen-

80 Fu ultimata nei lavori d'intaglio nel 1633, ma veniva anco-ra corredata delle opere in ferro e di completamento in legno nel1666.

122

to, ma anche dei primi decenni del Seicento, per accen-tuarne con colonne di marmo risaltate o aggiunte di or-nati scultorei, o anche in stucco, chiaroscuro e policro-mia. Così è accaduto, per esempio, alle chiese dell'Oli-vella e di San Domenico a Palermo, del tipo tradizionalea tre navi e colonne divisorie. Dell'ultima solo i fianchiattestano la serenità compositiva del domenicano archi-tetto Cirincione (intorno al 1640). Della prima chiesabasta la squisita misura in cui è contenuta la ricchezzarinascimentale della terza cappella a destra per docu-mentare il gusto fine dell'ignoto, ma assai valente archi-tetto (1598?).

Il vigore chiaroscurale dell'architetto gesuita NataleMasuccio da Messina (un altro artista di fama assai infe-riore ai meriti, educatosi alla maschia scuola degli scul-tori-architetti che abbiamo visto in gara colà) ha salvatole opere di lui da successive alterazioni. Esiste un monu-mento che sicuramente gli appartiene: il magnifico com-plesso del collegio dei Gesuiti e della chiesa annessa(ultimata nel 1636, e meglio nota col nome di ChiesaNazionale) a Trapani. Ma un altro complesso analogo,non meno degno d'esaltazione aveva costruito prima(dal 1608 al 1613): il collegio e la chiesa dei Gesuiti diMessina, non rispettato del tutto dal terremoto del 1783e distrutto da quello del 1908, quando era già sededell'Università. E stilisticamente, finché documenti sicu-ri non si opporranno, può a lui attribuirsi anche l'analo-go complesso gesuitico di Sciacca (1613-17). In tuttiquesti complessi, non sappiamo se per viaggi fatti o pel

123

to, ma anche dei primi decenni del Seicento, per accen-tuarne con colonne di marmo risaltate o aggiunte di or-nati scultorei, o anche in stucco, chiaroscuro e policro-mia. Così è accaduto, per esempio, alle chiese dell'Oli-vella e di San Domenico a Palermo, del tipo tradizionalea tre navi e colonne divisorie. Dell'ultima solo i fianchiattestano la serenità compositiva del domenicano archi-tetto Cirincione (intorno al 1640). Della prima chiesabasta la squisita misura in cui è contenuta la ricchezzarinascimentale della terza cappella a destra per docu-mentare il gusto fine dell'ignoto, ma assai valente archi-tetto (1598?).

Il vigore chiaroscurale dell'architetto gesuita NataleMasuccio da Messina (un altro artista di fama assai infe-riore ai meriti, educatosi alla maschia scuola degli scul-tori-architetti che abbiamo visto in gara colà) ha salvatole opere di lui da successive alterazioni. Esiste un monu-mento che sicuramente gli appartiene: il magnifico com-plesso del collegio dei Gesuiti e della chiesa annessa(ultimata nel 1636, e meglio nota col nome di ChiesaNazionale) a Trapani. Ma un altro complesso analogo,non meno degno d'esaltazione aveva costruito prima(dal 1608 al 1613): il collegio e la chiesa dei Gesuiti diMessina, non rispettato del tutto dal terremoto del 1783e distrutto da quello del 1908, quando era già sededell'Università. E stilisticamente, finché documenti sicu-ri non si opporranno, può a lui attribuirsi anche l'analo-go complesso gesuitico di Sciacca (1613-17). In tuttiquesti complessi, non sappiamo se per viaggi fatti o pel

123

tramite del Calamech, si ritrovano influenzedell'Ammannati, miste a vigorosi accenti siciliani. È ca-ratteristico in lui l'accentrare l'attenzione sulle porte,sempre ricche di colonne marmoree staccate dal muro e– nelle chiese – anche su qualche finestra, se occorra, eil tenere la massa dell'edificio fortemente inquadrata dalesene, fasce, paraste, sempre in pietra viva, con lar-ghezza e decisione. E meraviglia la sciolta franchezzadell'ordinatore per la quale anche tra forti accenti chia-roscurali, tutto va al giusto posto, chiaramente, netta-mente.

Fermiamoci un momento per qualche osservazione.Non è un fatto isolato che un frate domenicano come ilCirincione rifaccia più solenne il trecentesco tempio deiDomenicani e che il gesuita Masuccio eriga grandiosa-mente i collegi e le chiese dei gesuiti. Vediamo analoga-mente affidata al teatino Besio la chiesa dei teatini a Pa-lermo (San Giuseppe, 1620), al crocifero Amato le casee le chiese dei crociferi ecc. E quanti architetti fra i reli-giosi! Il Seicento e più ancora il Settecento, fra i degnidi menzione in Sicilia, quasi non ne han conosciuti altri.È una catena: ormai è il collegio, specialmente il gesui-tico, che accoglie i giovani di capacità architettoniche, liistruisce, li manda anche a Roma ad affinare la cultura;e a loro volta questi architetti creati dagli ordini mona-stici, creano le nuove sedi di essi, le nuove chiese. An-che per questo fatto, già al primo quarto del secolo èsparito il fenomeno dell'immigrazione di architetti-scul-tori in Sicilia. E se non scompare la figura dell'archi-

124

tramite del Calamech, si ritrovano influenzedell'Ammannati, miste a vigorosi accenti siciliani. È ca-ratteristico in lui l'accentrare l'attenzione sulle porte,sempre ricche di colonne marmoree staccate dal muro e– nelle chiese – anche su qualche finestra, se occorra, eil tenere la massa dell'edificio fortemente inquadrata dalesene, fasce, paraste, sempre in pietra viva, con lar-ghezza e decisione. E meraviglia la sciolta franchezzadell'ordinatore per la quale anche tra forti accenti chia-roscurali, tutto va al giusto posto, chiaramente, netta-mente.

Fermiamoci un momento per qualche osservazione.Non è un fatto isolato che un frate domenicano come ilCirincione rifaccia più solenne il trecentesco tempio deiDomenicani e che il gesuita Masuccio eriga grandiosa-mente i collegi e le chiese dei gesuiti. Vediamo analoga-mente affidata al teatino Besio la chiesa dei teatini a Pa-lermo (San Giuseppe, 1620), al crocifero Amato le casee le chiese dei crociferi ecc. E quanti architetti fra i reli-giosi! Il Seicento e più ancora il Settecento, fra i degnidi menzione in Sicilia, quasi non ne han conosciuti altri.È una catena: ormai è il collegio, specialmente il gesui-tico, che accoglie i giovani di capacità architettoniche, liistruisce, li manda anche a Roma ad affinare la cultura;e a loro volta questi architetti creati dagli ordini mona-stici, creano le nuove sedi di essi, le nuove chiese. An-che per questo fatto, già al primo quarto del secolo èsparito il fenomeno dell'immigrazione di architetti-scul-tori in Sicilia. E se non scompare la figura dell'archi-

124

tetto-tagliapietre, certo essa, col progredire del Seicento,si trasforma: o tale artefice è anche veramente scultore,capace di trarre fuori dai conci direttamente ogni sortenon solo di ornati, ma di figure, putti, mascheroni e poimostri, pupazzi caricaturali, e insomma ogni più fanta-stico rilievo capace di suscitare meraviglia, o è il mate-matico artista, al contempo studioso di geometria, diprospettiva, anche di meccanica: figura che preludial'architetto di oggi e che, avanzando il Settecento, defi-nitivamente assumerà il bastone del comando e manderàin ombra, fra gli esecutori, lo scultore lapicida. E quantechiese conventuali, quanti monasteri dalla fine del Cin-quecento e quanto più numerosi alla fine del Seicento, ecome iperbolicamente grandi ai primi del Settecento! Ilconvento dei Benedettini di Catania, vero gigante fra imonasteri non solo di Sicilia, ma del mondo, valga pertutti. A tentare anche un cenno sommario delle costru-zioni religiose importanti si rischia di non venirne fuoritanto facilmente. Bisognerà limitarsi alle più significati-ve. Egli è che proprio tutta la vita sociale in Sicilia siorienta nel periodo barocco verso il convento e la badiae accanto agli ordini nascono confraternite e congrega-zioni, accanto alle chiese gli oratori, dietro gli abati e ifrati vanno «i confrati in cappa e spada e quelli in farset-to». Rarissimi sono gli ordini religiosi che decadono,molti invece quelli di recente fondazione, e anche i nuo-vi vogliono gareggiare in fasto con gli antichi, semprericchi e potenti. In secolo di apparenza non basta la po-tenza, bisogna anche ostentarla. I grandi lavori di deco-

125

tetto-tagliapietre, certo essa, col progredire del Seicento,si trasforma: o tale artefice è anche veramente scultore,capace di trarre fuori dai conci direttamente ogni sortenon solo di ornati, ma di figure, putti, mascheroni e poimostri, pupazzi caricaturali, e insomma ogni più fanta-stico rilievo capace di suscitare meraviglia, o è il mate-matico artista, al contempo studioso di geometria, diprospettiva, anche di meccanica: figura che preludial'architetto di oggi e che, avanzando il Settecento, defi-nitivamente assumerà il bastone del comando e manderàin ombra, fra gli esecutori, lo scultore lapicida. E quantechiese conventuali, quanti monasteri dalla fine del Cin-quecento e quanto più numerosi alla fine del Seicento, ecome iperbolicamente grandi ai primi del Settecento! Ilconvento dei Benedettini di Catania, vero gigante fra imonasteri non solo di Sicilia, ma del mondo, valga pertutti. A tentare anche un cenno sommario delle costru-zioni religiose importanti si rischia di non venirne fuoritanto facilmente. Bisognerà limitarsi alle più significati-ve. Egli è che proprio tutta la vita sociale in Sicilia siorienta nel periodo barocco verso il convento e la badiae accanto agli ordini nascono confraternite e congrega-zioni, accanto alle chiese gli oratori, dietro gli abati e ifrati vanno «i confrati in cappa e spada e quelli in farset-to». Rarissimi sono gli ordini religiosi che decadono,molti invece quelli di recente fondazione, e anche i nuo-vi vogliono gareggiare in fasto con gli antichi, semprericchi e potenti. In secolo di apparenza non basta la po-tenza, bisogna anche ostentarla. I grandi lavori di deco-

125

razione a tal fine sono necessari non meno di quelli dicostruzione. Nascono così i grandi decoratori in stucco:dopo i Ferraro, già visti alla fine del Cinquecento, Stefa-no Li Volsi prima, il maggiore Giacomo Serpotta poi. Enascono i grandi decoratori in marmi a vari colori, cheuniscono alla pura, lucida policromia dei pezzi commes-si, già usata alla fine del Cinquecento, il rilievo in mar-mo e rivestono interminabilmente, uno dopo l'altro, persecoli, chiese e oratori. Specialmente in vista della deco-razione marmorea vengon preferite le chiese a pilastri aquelle con colonne e poi la chiesa a sala unica, con cap-pelle poco profonde, perché l'occhio scorga tutto e inluce. I gesuiti, potentissimi, ebbero altri architetti oltreNatale Masuccio, ma di fronte a lui restano tutti senzarisalto. Della Casa-professa di Palermo e della sua chie-sa abbiamo già fatto cenno. Il collegio della stessa città,sobrio, ma scialbo accanto alla chiesa pretensiosa, ha lasua parte più bella nel cortile, che porta evidenti sia lenote tradizionali, sia i caratteri più robusti del propriotempo. Le costruzioni gesuitiche del Seicento di Cataniason perdute, come le altre. Verso la fine del secolo tro-viamo il gesuita Giacomo Napoli alla direzione dei la-vori del collegio e della relativa chiesa di Mazara. Conlui lavora anche il gesuita Angelo Italia, da Licata(1628-1700) che troviamo (fra il 1688 e il 1692) occu-pato a continuar la decorazione a marmi mischi nellacappella del Crocefisso (cappella Roano) del Duomo diMonreale, già iniziata da fra Giovanni da Monreale. Giàdal 1684 egli era tornato a Palermo e sin al termine della

126

razione a tal fine sono necessari non meno di quelli dicostruzione. Nascono così i grandi decoratori in stucco:dopo i Ferraro, già visti alla fine del Cinquecento, Stefa-no Li Volsi prima, il maggiore Giacomo Serpotta poi. Enascono i grandi decoratori in marmi a vari colori, cheuniscono alla pura, lucida policromia dei pezzi commes-si, già usata alla fine del Cinquecento, il rilievo in mar-mo e rivestono interminabilmente, uno dopo l'altro, persecoli, chiese e oratori. Specialmente in vista della deco-razione marmorea vengon preferite le chiese a pilastri aquelle con colonne e poi la chiesa a sala unica, con cap-pelle poco profonde, perché l'occhio scorga tutto e inluce. I gesuiti, potentissimi, ebbero altri architetti oltreNatale Masuccio, ma di fronte a lui restano tutti senzarisalto. Della Casa-professa di Palermo e della sua chie-sa abbiamo già fatto cenno. Il collegio della stessa città,sobrio, ma scialbo accanto alla chiesa pretensiosa, ha lasua parte più bella nel cortile, che porta evidenti sia lenote tradizionali, sia i caratteri più robusti del propriotempo. Le costruzioni gesuitiche del Seicento di Cataniason perdute, come le altre. Verso la fine del secolo tro-viamo il gesuita Giacomo Napoli alla direzione dei la-vori del collegio e della relativa chiesa di Mazara. Conlui lavora anche il gesuita Angelo Italia, da Licata(1628-1700) che troviamo (fra il 1688 e il 1692) occu-pato a continuar la decorazione a marmi mischi nellacappella del Crocefisso (cappella Roano) del Duomo diMonreale, già iniziata da fra Giovanni da Monreale. Giàdal 1684 egli era tornato a Palermo e sin al termine della

126

vita lavorò all'erezione della chiesa di San FrancescoSaverio81 e alle analoghe decorazioni nella chiesa dellaCasa-professa di Palermo.

Nella chiesa di Casa-professa si possono seguire tuttele fasi evolutive della decorazione a marmi commessi,durata più di un secolo, dai rabeschi finemente cinque-centeschi a colori, su fondi abbastanza uniti, attraversoil complicarsi delle sensazioni plastiche con le coloristi-che, sino agli effetti scenografici delle absidi, in cui lefigure marmoree in tutto tondo del Vitaliano spiccanosulle animate scene di paese rese più vivide dai lucidismaltati colori. Eppure queste chiese innalzate alla finedel Cinquecento con riposata e nobile architettura, dopotante superfetazioni barocche interne e dopo le altera-zioni chiaroscurali esterne, hanno ancora virtù di argina-re e inquadrare, se non proprio dominare, il tumulto del-le sensazioni. Le più famose, oltre quelle di Casa-pro-fessa e di Santa Caterina, sono alcune chiese a sala ret-tangolare, come la «Concezione» e «Valverde», e a salacurvilinea come il «Salvatore», tutte a Palermo. Rino-mata era anche a Messina l'originale chiesa a cinque na-vate e a cupolette di San Nicolò82. Ma anche chiese au-stere come il Duomo di Monreale, il San Francesco e

81 Importantissima è per noi la chiesa a cinque cupole di SanFrancesco Saverio a Palermo. Vide Angelo Italia chiese bizantinea cinque cupole in Sicilia, ora non più esistenti? Perché è singola-rissimo questo nascere alla fine del Seicento dell'unica chiesacentrica a cupola centrale e quattro minori angolari, che erano sta-te normali in Calabria dal IX secolo in poi.

127

vita lavorò all'erezione della chiesa di San FrancescoSaverio81 e alle analoghe decorazioni nella chiesa dellaCasa-professa di Palermo.

Nella chiesa di Casa-professa si possono seguire tuttele fasi evolutive della decorazione a marmi commessi,durata più di un secolo, dai rabeschi finemente cinque-centeschi a colori, su fondi abbastanza uniti, attraversoil complicarsi delle sensazioni plastiche con le coloristi-che, sino agli effetti scenografici delle absidi, in cui lefigure marmoree in tutto tondo del Vitaliano spiccanosulle animate scene di paese rese più vivide dai lucidismaltati colori. Eppure queste chiese innalzate alla finedel Cinquecento con riposata e nobile architettura, dopotante superfetazioni barocche interne e dopo le altera-zioni chiaroscurali esterne, hanno ancora virtù di argina-re e inquadrare, se non proprio dominare, il tumulto del-le sensazioni. Le più famose, oltre quelle di Casa-pro-fessa e di Santa Caterina, sono alcune chiese a sala ret-tangolare, come la «Concezione» e «Valverde», e a salacurvilinea come il «Salvatore», tutte a Palermo. Rino-mata era anche a Messina l'originale chiesa a cinque na-vate e a cupolette di San Nicolò82. Ma anche chiese au-stere come il Duomo di Monreale, il San Francesco e

81 Importantissima è per noi la chiesa a cinque cupole di SanFrancesco Saverio a Palermo. Vide Angelo Italia chiese bizantinea cinque cupole in Sicilia, ora non più esistenti? Perché è singola-rissimo questo nascere alla fine del Seicento dell'unica chiesacentrica a cupola centrale e quattro minori angolari, che erano sta-te normali in Calabria dal IX secolo in poi.

127

Santa Cita di Palermo ebbero cappelle a marmi mischi,invero assai armoniche.

Ma la decorazione a stucco, dapprima con colore, poicon sole dorature, continua a essere in pregio e ha –come si è accennato – i maggiori rappresentanti in duebuoni scultori di figura: Li Volsi da Tusa, al principiodel Seicento, e Giacomo Serpotta (1656-1732), massimoplasticatore e non solo di Sicilia. Qui è da notare ch'essihanno creato opere grandissime anche perché hanno po-tuto immaginare completamente gli ambienti da decora-re, cioè hanno pensato essi stessi all'architettura dellecappelle e massime degli oratori; così, il Li Volsi, nelleabsidi antiche della cattedrale (già gotica) di Ciminna(decorata intorno al 1622-25), ove rivela nella composi-zione architettonica aderenza agli schemi di AntonelloGagini; così il Serpotta, per esempio, negli oratori diSan Lorenzo, del Rosario a San Domenico e di SantaCita, universalmente noti per il pregio ornamentale equello figurativo, ma poco studiati per il pregio architet-tonico, ch'è notevole nell'equilibrio e originalità dellacomposizione ed è veramente ammirevole nella finezzadei fluidi ed eleganti particolari, nella perizia delle sago-mature. Anche nell'architettura il Serpotta svela lo stu-dio dell'antico unito all'osservazione fresca, diretta, con-temporanea, massimi suoi pregi di scultore. Per apprez-zare il «fren dell'arte» del Serpotta si noti ancora che,

82 Dopo la distruzione del 1908 ne rimane ancora il rilievodei benemeriti Hittorf e Zanth, pubblicato nella loro L'architectu-re moderne de Sicile, 1836.

128

Santa Cita di Palermo ebbero cappelle a marmi mischi,invero assai armoniche.

Ma la decorazione a stucco, dapprima con colore, poicon sole dorature, continua a essere in pregio e ha –come si è accennato – i maggiori rappresentanti in duebuoni scultori di figura: Li Volsi da Tusa, al principiodel Seicento, e Giacomo Serpotta (1656-1732), massimoplasticatore e non solo di Sicilia. Qui è da notare ch'essihanno creato opere grandissime anche perché hanno po-tuto immaginare completamente gli ambienti da decora-re, cioè hanno pensato essi stessi all'architettura dellecappelle e massime degli oratori; così, il Li Volsi, nelleabsidi antiche della cattedrale (già gotica) di Ciminna(decorata intorno al 1622-25), ove rivela nella composi-zione architettonica aderenza agli schemi di AntonelloGagini; così il Serpotta, per esempio, negli oratori diSan Lorenzo, del Rosario a San Domenico e di SantaCita, universalmente noti per il pregio ornamentale equello figurativo, ma poco studiati per il pregio architet-tonico, ch'è notevole nell'equilibrio e originalità dellacomposizione ed è veramente ammirevole nella finezzadei fluidi ed eleganti particolari, nella perizia delle sago-mature. Anche nell'architettura il Serpotta svela lo stu-dio dell'antico unito all'osservazione fresca, diretta, con-temporanea, massimi suoi pregi di scultore. Per apprez-zare il «fren dell'arte» del Serpotta si noti ancora che,

82 Dopo la distruzione del 1908 ne rimane ancora il rilievodei benemeriti Hittorf e Zanth, pubblicato nella loro L'architectu-re moderne de Sicile, 1836.

128

per distinzione dalla tendenza orgiastica contemporaneadella decorazione a marmi policromi e per dare massi-mo risalto alla forma da loro modellata, Giacomo e il fi-glio Procopio non aggiunsero mai al candore degli stuc-chi altro che parche dorature.

Una distinzione merita l'architettura religiosa di Tra-pani anche nella seconda metà del Seicento: l'insegna-mento del gesuita messinese e una nativa finezza di gu-sto dovettero far sì che, a cominciare dalla Cattedrale erelativa loggia, continuando per la chiesa di Santa Mariadel Soccorso (detta della Badia Nuova) e del conventodei Carmelitani, il barocco a Trapani abbia monumentidi pregio.

Se veramente il collegio e la chiesa dei Gesuiti diSciacca sono dello stesso Natale Masuccio, è probabileche al suo contatto il pittore di Sciacca fra Michele Bla-sco si sia formato architetto, sì da potere costruire fra il1656 e il 1683 il Duomo della stessa città. Anche daTrapani deve essersi irradiato il fine gusto che in qual-che costruzione si rivela a Marsala (chiesa Matrice Vec-chia, convento San Paolo con torre coperta a piramide,che richiama quella di Porta Nuova a Palermo, l'Annun-ziata ecc.), e anche a Mazara. Infine superbe opere delSeicento novera Siracusa. Citiamo la chiesa dei gesuitiche ha solo il difetto di avere uno schema compositivotroppo grandioso rispetto all'angustia delle vie e dei vi-

129

per distinzione dalla tendenza orgiastica contemporaneadella decorazione a marmi policromi e per dare massi-mo risalto alla forma da loro modellata, Giacomo e il fi-glio Procopio non aggiunsero mai al candore degli stuc-chi altro che parche dorature.

Una distinzione merita l'architettura religiosa di Tra-pani anche nella seconda metà del Seicento: l'insegna-mento del gesuita messinese e una nativa finezza di gu-sto dovettero far sì che, a cominciare dalla Cattedrale erelativa loggia, continuando per la chiesa di Santa Mariadel Soccorso (detta della Badia Nuova) e del conventodei Carmelitani, il barocco a Trapani abbia monumentidi pregio.

Se veramente il collegio e la chiesa dei Gesuiti diSciacca sono dello stesso Natale Masuccio, è probabileche al suo contatto il pittore di Sciacca fra Michele Bla-sco si sia formato architetto, sì da potere costruire fra il1656 e il 1683 il Duomo della stessa città. Anche daTrapani deve essersi irradiato il fine gusto che in qual-che costruzione si rivela a Marsala (chiesa Matrice Vec-chia, convento San Paolo con torre coperta a piramide,che richiama quella di Porta Nuova a Palermo, l'Annun-ziata ecc.), e anche a Mazara. Infine superbe opere delSeicento novera Siracusa. Citiamo la chiesa dei gesuitiche ha solo il difetto di avere uno schema compositivotroppo grandioso rispetto all'angustia delle vie e dei vi-

129

coli che la rinserrano, e, pel gusto raffinato e sobrio, duegrandi cappelle e la tribuna del Duomo83.

Ma, a causa delle distruzioni nelle province orientali,sempre a Palermo bisogna tornare per aver modo di se-guire completamente lo svolgimento dell'architettura.Non già che Messina non tentasse superarla anche nelSeicento; epperò, come già aveva fatto nel Cinquecentochiamando il Montorsoli, così a mezzo il Seicento ac-colse un architetto di chiara fama, Guarino Guarini, aportare le novità borrominiane che infatti nella sventura-ta città approdarono per la prima volta nell'isola (An-nunziata dei Teatini).

Non già che Messina, tipica città in Sicilia, non aves-se prima di Catania una caratteristica via nettamentemonastica piena di conventi e chiese, detta appunto «Viadei monasteri». Ma fin dal 1783 gran parte di queste co-struzioni era andata distrutta e il resto lo fu nel 1908,quasi totalmente.

Fra ciò che esisteva ancora al principio del nostro se-colo dobbiamo accennare almeno all'opera guariniana,

83 Le cappelle, che si aprono fra le doriche colonne dell'Athe-naion, furono, di poi, arricchite di superbi cancelli; la composi-zione e la decorazione della cappella del Sacramento, specialmen-te, richiamano quella del sontuoso portale d'ingresso alla chiesa diSanta Maria Maggiore in Nicosia, forse di data un po' anteriore,ma dal gusto più paesano. Si uniscono in questa il disegno ancorrinascimentale delle cartelle e dei particolari architettonici convirtuosismo dell'intaglio nelle nicchie fra le paraste, imitante duericchi vasi fioriti.

130

coli che la rinserrano, e, pel gusto raffinato e sobrio, duegrandi cappelle e la tribuna del Duomo83.

Ma, a causa delle distruzioni nelle province orientali,sempre a Palermo bisogna tornare per aver modo di se-guire completamente lo svolgimento dell'architettura.Non già che Messina non tentasse superarla anche nelSeicento; epperò, come già aveva fatto nel Cinquecentochiamando il Montorsoli, così a mezzo il Seicento ac-colse un architetto di chiara fama, Guarino Guarini, aportare le novità borrominiane che infatti nella sventura-ta città approdarono per la prima volta nell'isola (An-nunziata dei Teatini).

Non già che Messina, tipica città in Sicilia, non aves-se prima di Catania una caratteristica via nettamentemonastica piena di conventi e chiese, detta appunto «Viadei monasteri». Ma fin dal 1783 gran parte di queste co-struzioni era andata distrutta e il resto lo fu nel 1908,quasi totalmente.

Fra ciò che esisteva ancora al principio del nostro se-colo dobbiamo accennare almeno all'opera guariniana,

83 Le cappelle, che si aprono fra le doriche colonne dell'Athe-naion, furono, di poi, arricchite di superbi cancelli; la composi-zione e la decorazione della cappella del Sacramento, specialmen-te, richiamano quella del sontuoso portale d'ingresso alla chiesa diSanta Maria Maggiore in Nicosia, forse di data un po' anteriore,ma dal gusto più paesano. Si uniscono in questa il disegno ancorrinascimentale delle cartelle e dei particolari architettonici convirtuosismo dell'intaglio nelle nicchie fra le paraste, imitante duericchi vasi fioriti.

130

che non nel Seicento, ma tardi, nel Settecento, ebbe li-mitata influenza. Senza riferimento a essa non si spie-gherebbe altrimenti la formazione della maggiore figurad'architetto siciliano del Settecento: Filippo Juvarra. Ilquale, se non ebbe tempo di lasciar opere durature inMessina, sua patria, prima di recarsi in Piemonte a si-gnoreggiare l'ambiente con le sue costruzioni regali, ècerto d'altra parte che era già formato prima di partire,come ha dimostrato S. Bòttari con le incisioni rimastecidelle opere d'apparato eseguite dal Juvarra giovane inpatria. Quanto a Catania, ci pare che le riproduzioni,pubblicate dal professor Fichera, di resti di edifici ante-riori al disastroso 1693 autorizzino soltanto in partequella netta divisione fra i caratteri del Seicento dellaSicilia orientale e quelli dell'occidentale, ch'egli sostie-ne.

Abbiamo visto che anche in Palermo, contempora-neamente ai portoni a bugne scultoree, si tentavaun'architettura più normale, partendo non dalle ispira-zioni serliane, ma dai suggerimenti del Vignola o delLabacco, accentuandone i contrasti chiaroscurali e glieffetti plastici. Abbiamo anche visto che l'evoluzionedel Seicento portava, verso la metà del secolo, a lasciarel'attaccamento al formulario cinquecentesco degli ordinipiù o meno bugnati, per tentare un'arte più da scultori aPalermo, come a Mazara, come a Caltanissetta.

Nell'architettura degli edifici religiosi constatiamo lavitalità, ancora per tutto il secolo, della chiesa a tre na-vate divise da colonne. Così sono, a Palermo, quelle

131

che non nel Seicento, ma tardi, nel Settecento, ebbe li-mitata influenza. Senza riferimento a essa non si spie-gherebbe altrimenti la formazione della maggiore figurad'architetto siciliano del Settecento: Filippo Juvarra. Ilquale, se non ebbe tempo di lasciar opere durature inMessina, sua patria, prima di recarsi in Piemonte a si-gnoreggiare l'ambiente con le sue costruzioni regali, ècerto d'altra parte che era già formato prima di partire,come ha dimostrato S. Bòttari con le incisioni rimastecidelle opere d'apparato eseguite dal Juvarra giovane inpatria. Quanto a Catania, ci pare che le riproduzioni,pubblicate dal professor Fichera, di resti di edifici ante-riori al disastroso 1693 autorizzino soltanto in partequella netta divisione fra i caratteri del Seicento dellaSicilia orientale e quelli dell'occidentale, ch'egli sostie-ne.

Abbiamo visto che anche in Palermo, contempora-neamente ai portoni a bugne scultoree, si tentavaun'architettura più normale, partendo non dalle ispira-zioni serliane, ma dai suggerimenti del Vignola o delLabacco, accentuandone i contrasti chiaroscurali e glieffetti plastici. Abbiamo anche visto che l'evoluzionedel Seicento portava, verso la metà del secolo, a lasciarel'attaccamento al formulario cinquecentesco degli ordinipiù o meno bugnati, per tentare un'arte più da scultori aPalermo, come a Mazara, come a Caltanissetta.

Nell'architettura degli edifici religiosi constatiamo lavitalità, ancora per tutto il secolo, della chiesa a tre na-vate divise da colonne. Così sono, a Palermo, quelle

131

dell'Olivella e del Carmine, che ha una cupola decorataa telamoni giganteschi nel tamburo e a mattoni invetriatiper la calotta, chiese iniziate alla fine del Cinquecento.Del pari a colonne sono San Domenico e San Giuseppe,iniziate al principio del Seicento, e così ancheSant'Anna e San Matteo, tutte grandi chiese monastichepalermitane di un barocco assai calmo, a parte la deco-razione a stucchi colorati continuati con esuberanza pertutto il secolo nella chiesa di San Giuseppe.

Questa chiesa del genovese G. Besio ora è staccatadal convento teatino – divenuto sede dell'università –che, prima delle trasformazioni, aveva caratteri espressi-vi considerevoli. Essi sono conservati invece nel fiancodella chiesa che si ammira da piazza Pretoria. È notevo-le il contrasto fra la semplicità delle masse nettamenteaccusate con la festosa animazione delle cupolette, cheilluminano le minori navate, e dei coronamenti a balau-stre sui muri longitudinali; fra la sobrietà della cupolacon la chiassosa nota pittoresca del campanile a colonnetortili e a sculture, opera di architetto siciliano più tardo.Le cupolette sulle navatelle si ritrovano a Sant'Anna, epiù tardi sulle cappelle settecentesche aggiunte al Duo-mo di Palermo.

Il Besio si mostra meno vivace del contemporaneoMasuccio; più si avvicina al Masuccio l'autore dell'ener-gica marmorea facciata di San Matteo, Gaspare Guercio(seguito poi da Francesco Ferrigno), che nel campanileci ha lasciato un modello forse anche più bello dell'altrodi Casa-professa, arditamente innalzato sulla tardo-quat-

132

dell'Olivella e del Carmine, che ha una cupola decorataa telamoni giganteschi nel tamburo e a mattoni invetriatiper la calotta, chiese iniziate alla fine del Cinquecento.Del pari a colonne sono San Domenico e San Giuseppe,iniziate al principio del Seicento, e così ancheSant'Anna e San Matteo, tutte grandi chiese monastichepalermitane di un barocco assai calmo, a parte la deco-razione a stucchi colorati continuati con esuberanza pertutto il secolo nella chiesa di San Giuseppe.

Questa chiesa del genovese G. Besio ora è staccatadal convento teatino – divenuto sede dell'università –che, prima delle trasformazioni, aveva caratteri espressi-vi considerevoli. Essi sono conservati invece nel fiancodella chiesa che si ammira da piazza Pretoria. È notevo-le il contrasto fra la semplicità delle masse nettamenteaccusate con la festosa animazione delle cupolette, cheilluminano le minori navate, e dei coronamenti a balau-stre sui muri longitudinali; fra la sobrietà della cupolacon la chiassosa nota pittoresca del campanile a colonnetortili e a sculture, opera di architetto siciliano più tardo.Le cupolette sulle navatelle si ritrovano a Sant'Anna, epiù tardi sulle cappelle settecentesche aggiunte al Duo-mo di Palermo.

Il Besio si mostra meno vivace del contemporaneoMasuccio; più si avvicina al Masuccio l'autore dell'ener-gica marmorea facciata di San Matteo, Gaspare Guercio(seguito poi da Francesco Ferrigno), che nel campanileci ha lasciato un modello forse anche più bello dell'altrodi Casa-professa, arditamente innalzato sulla tardo-quat-

132

trocentesca torre di palazzo Marchesi. Un gruppo dichiese minori come – nell'ordine di tempo – la chiesadella Badia Nuova, decorata nella volta dal Novelli, lachiesa dell'Assunta, la chiesa dei Benfratelli e quelladelle Dame meritano di essere ricordate per il comuneattaccamento all'architettura locale, che riserva tutt'alpiù in un portale, legato a una nicchia con madonna o auna targa con angeli e cartocci, il misurato effetto chia-roscurale, e si serve invece di riposanti ordini a parastecon le fronti rincassate per lo schema compositivo, sem-pre calmo.

È impossibile intrattenersi sulle piccole chiese, chepure danno la fisionomia a tanti minori piccoli centri divita isolana; diremo solo che tutte le loro varianti posso-no classificarsi in base a due motivi discriminanti: a se-conda che sul portale d'ingresso, sempre in asse, sia unasola finestra o due simmetriche ai lati, e se, a coronare ilrettangolo della facciatina, stia o no una loggia campa-naria con le sue arcatine contro il cielo. Quasi semprerinserrano il prospetto due larghe paraste o lesened'angolo in pietra, anche se non segnano un vero ordinestilistico.

La trattazione dell'architettura religiosa della secondametà dei Seicento culmina in due architetti, Paolo e Gia-como Amato, non parenti, alquanto più anziano il pri-mo, entrambi in abito talare, entrambi operanti a Paler-mo e, nei primi anni di carriera, il secondo collaboratoredel primo. Don Paolo Amato, dei padri ministri degli in-fermi, è salito in più alta fama del crocifero Giacomo,

133

trocentesca torre di palazzo Marchesi. Un gruppo dichiese minori come – nell'ordine di tempo – la chiesadella Badia Nuova, decorata nella volta dal Novelli, lachiesa dell'Assunta, la chiesa dei Benfratelli e quelladelle Dame meritano di essere ricordate per il comuneattaccamento all'architettura locale, che riserva tutt'alpiù in un portale, legato a una nicchia con madonna o auna targa con angeli e cartocci, il misurato effetto chia-roscurale, e si serve invece di riposanti ordini a parastecon le fronti rincassate per lo schema compositivo, sem-pre calmo.

È impossibile intrattenersi sulle piccole chiese, chepure danno la fisionomia a tanti minori piccoli centri divita isolana; diremo solo che tutte le loro varianti posso-no classificarsi in base a due motivi discriminanti: a se-conda che sul portale d'ingresso, sempre in asse, sia unasola finestra o due simmetriche ai lati, e se, a coronare ilrettangolo della facciatina, stia o no una loggia campa-naria con le sue arcatine contro il cielo. Quasi semprerinserrano il prospetto due larghe paraste o lesened'angolo in pietra, anche se non segnano un vero ordinestilistico.

La trattazione dell'architettura religiosa della secondametà dei Seicento culmina in due architetti, Paolo e Gia-como Amato, non parenti, alquanto più anziano il pri-mo, entrambi in abito talare, entrambi operanti a Paler-mo e, nei primi anni di carriera, il secondo collaboratoredel primo. Don Paolo Amato, dei padri ministri degli in-fermi, è salito in più alta fama del crocifero Giacomo,

133

ma è forse tempo di rivedere tale giudizio giudicandodalle sole opere. Noi riteniamo il primo più ingegnoso,come certamente fu più dotto e più tecnico, ma il secon-do più fine artista, un artista anzi da potersi contare fra imassimi di Sicilia. Il più anziano (1634-1714) ebbemolti allievi, fu venerato e onorato come un maestro an-che dal più giovane (1643-1732), e anche a distanza disecoli conserva tutti i caratteri di nobile maestro, ansio-so di sapere e provare, figura completa come teorico,come pratico, come artista; ma fra Giacomo, nel suo ar-dore e fervore di sole opere, è più personale e geniale.In una storia di movimento delle idee nell'architettura inSicilia interessa di più Paolo Amato: la sua chiesa delSalvatore (il cui contratto d'appalto è del 1682) è certa-mente la prima grande chiesa a sala curvilinea di Siciliaed è forse la prima chiesa di monache coronata dall'ori-ginale motivo siciliano del belvedere a loggia (motiviche saranno sviluppati nel Settecento dall'abate G.B.Vaccarini a Catania). Paolo Amato ha dato inoltre nuovispunti in campo più vasto: per apparati e archi trionfalicome per fontane (del Garaffo a piazza Marina) per in-gegnosi altari prospettici a colonne tortili (chiesa Val-verde) e per logge monumentali da musica (teatrino allaMarina). Ma se si considera l'artista architetto come pa-dre amoroso che non ha posa e tutti i sacrifici affrontaperché il figlio, l'opera che ha concepito, nasca e crescacolmo di tutte le perfezioni, allora nel confronto tra lafronte del Salvatore, la più originale opera di PaoloAmato, e la fronte della Pietà, la più originale opera di

134

ma è forse tempo di rivedere tale giudizio giudicandodalle sole opere. Noi riteniamo il primo più ingegnoso,come certamente fu più dotto e più tecnico, ma il secon-do più fine artista, un artista anzi da potersi contare fra imassimi di Sicilia. Il più anziano (1634-1714) ebbemolti allievi, fu venerato e onorato come un maestro an-che dal più giovane (1643-1732), e anche a distanza disecoli conserva tutti i caratteri di nobile maestro, ansio-so di sapere e provare, figura completa come teorico,come pratico, come artista; ma fra Giacomo, nel suo ar-dore e fervore di sole opere, è più personale e geniale.In una storia di movimento delle idee nell'architettura inSicilia interessa di più Paolo Amato: la sua chiesa delSalvatore (il cui contratto d'appalto è del 1682) è certa-mente la prima grande chiesa a sala curvilinea di Siciliaed è forse la prima chiesa di monache coronata dall'ori-ginale motivo siciliano del belvedere a loggia (motiviche saranno sviluppati nel Settecento dall'abate G.B.Vaccarini a Catania). Paolo Amato ha dato inoltre nuovispunti in campo più vasto: per apparati e archi trionfalicome per fontane (del Garaffo a piazza Marina) per in-gegnosi altari prospettici a colonne tortili (chiesa Val-verde) e per logge monumentali da musica (teatrino allaMarina). Ma se si considera l'artista architetto come pa-dre amoroso che non ha posa e tutti i sacrifici affrontaperché il figlio, l'opera che ha concepito, nasca e crescacolmo di tutte le perfezioni, allora nel confronto tra lafronte del Salvatore, la più originale opera di PaoloAmato, e la fronte della Pietà, la più originale opera di

134

Giacomo Amato, l'interesse del critico-storico trova as-sai maggiore alimento e godimento dall'autentico capo-lavoro iniziato nel 1678 dal grande crocifero. Il quale hain tutto delle predilezioni così rilevate ed esclusivisticheda apparire a volte unilaterale. È così amante dello slan-cio nelle facciate, da preferire nettamente le chiese a unasola navata con cappelle, possibilmente poco profonde.E non ha mai voluto nei suoi interni le chiassose decora-zioni policrome a commesso di marmi. Come il Borro-mini, ha amato il bianco e l'oro e pochi affreschi, ma,pel timore che gli stuccatori figuristi sopraffacessero lasua architettura, non li ha mai chiamati: si è contentatodi modesti, ma più fedeli interpreti dei suoi disegni, puressendo vissuto contemporaneamente al grande Serpot-ta. L'arte per lui non consiste nella novità delle idee, manell'interpretazione personale e nella perfezione; pertan-to egli non nasconde affatto il suo studio della contem-poranea architettura romana o anche di qualche motivoin disuso (per esempio, l'occhio centrale della chiesadella Pietà). È convinto che possa nascere un capolavo-ro anche da motivi usati, se originalmente e potente-mente rivissuti da una netta personalità che ne curi conpassione l'estrinsecazione dalle proporzioni generalisino all'ultimo particolare di ferro battuto. Per la chiesadel Noviziato dei Crociferi, che sorgeva in luogo appar-tato e romito, usa le paraste sovrapposte e le finestre e lenicchie cinquecentesche, i busti, che staccansidall'ombra dei tondi inghirlandati, come a Sant'Eulaliadei Catalani o a Porta Nuova, avvicinandosi – per quan-

135

Giacomo Amato, l'interesse del critico-storico trova as-sai maggiore alimento e godimento dall'autentico capo-lavoro iniziato nel 1678 dal grande crocifero. Il quale hain tutto delle predilezioni così rilevate ed esclusivisticheda apparire a volte unilaterale. È così amante dello slan-cio nelle facciate, da preferire nettamente le chiese a unasola navata con cappelle, possibilmente poco profonde.E non ha mai voluto nei suoi interni le chiassose decora-zioni policrome a commesso di marmi. Come il Borro-mini, ha amato il bianco e l'oro e pochi affreschi, ma,pel timore che gli stuccatori figuristi sopraffacessero lasua architettura, non li ha mai chiamati: si è contentatodi modesti, ma più fedeli interpreti dei suoi disegni, puressendo vissuto contemporaneamente al grande Serpot-ta. L'arte per lui non consiste nella novità delle idee, manell'interpretazione personale e nella perfezione; pertan-to egli non nasconde affatto il suo studio della contem-poranea architettura romana o anche di qualche motivoin disuso (per esempio, l'occhio centrale della chiesadella Pietà). È convinto che possa nascere un capolavo-ro anche da motivi usati, se originalmente e potente-mente rivissuti da una netta personalità che ne curi conpassione l'estrinsecazione dalle proporzioni generalisino all'ultimo particolare di ferro battuto. Per la chiesadel Noviziato dei Crociferi, che sorgeva in luogo appar-tato e romito, usa le paraste sovrapposte e le finestre e lenicchie cinquecentesche, i busti, che staccansidall'ombra dei tondi inghirlandati, come a Sant'Eulaliadei Catalani o a Porta Nuova, avvicinandosi – per quan-

135

to consentiva il gusto del tempo – a una calma rinasci-mentale che pare un invito al silenzio. Ma per le chieseposte nei centri popolosi (monastero di Santa Rosalia, diSanta Teresa alla Kalsa), è uno dei primi a ricorrereall'energico chiaroscuro delle colonne marmoree sovrap-poste, nettamente sporgenti dalla facciata, al modo delRainaldi: indirizzo poi diffusosi nel Settecento. Nellachiesa della Pietà annessa al convento di suore domeni-cane, che occupavano l'antico palazzo Abatellis, dallepilastrate angolari ai binati di colonne centrali, dagli an-goli al partito centrale del prospetto, è tutto un crescen-do di risalti che, nella loro saldezza, cantano quella mar-cia trionfale dell'ordine domenicano che l'appassionatofrate simboleggiò con la figura del santo che sta sul glo-bo al sommo della porta a bandiera spiegata e nei «canidel Signore» che stan sotto l'occhio grandioso al centrodella composizione superiore. L'architettura di questofrate, pur con un lieve accento enfatico, insopprimibilein quel tempo, ha l'esaltata convinzione del vero predi-catore che varia dal tono più suadente e basso alle notepiù vibranti, senza mai essere cerebrale o retorico.

Giacomo Amato costruì anche palazzi per il principedi Cutò, pel marchese di Spaccaforno e per il principedella Cattolica, palazzi ancora esistenti con qualche alte-razione, in Palermo. Citeremo in quest'ultimo solol'ammirevole disposizione scenografica del lungo cortiletripartito da due ariosi rami di portico, che, per l'effettosontuoso, non la cede a quelli del Marvuglia e del Pal-ma, di un secolo posteriori, e, per le felici proporzioni

136

to consentiva il gusto del tempo – a una calma rinasci-mentale che pare un invito al silenzio. Ma per le chieseposte nei centri popolosi (monastero di Santa Rosalia, diSanta Teresa alla Kalsa), è uno dei primi a ricorrereall'energico chiaroscuro delle colonne marmoree sovrap-poste, nettamente sporgenti dalla facciata, al modo delRainaldi: indirizzo poi diffusosi nel Settecento. Nellachiesa della Pietà annessa al convento di suore domeni-cane, che occupavano l'antico palazzo Abatellis, dallepilastrate angolari ai binati di colonne centrali, dagli an-goli al partito centrale del prospetto, è tutto un crescen-do di risalti che, nella loro saldezza, cantano quella mar-cia trionfale dell'ordine domenicano che l'appassionatofrate simboleggiò con la figura del santo che sta sul glo-bo al sommo della porta a bandiera spiegata e nei «canidel Signore» che stan sotto l'occhio grandioso al centrodella composizione superiore. L'architettura di questofrate, pur con un lieve accento enfatico, insopprimibilein quel tempo, ha l'esaltata convinzione del vero predi-catore che varia dal tono più suadente e basso alle notepiù vibranti, senza mai essere cerebrale o retorico.

Giacomo Amato costruì anche palazzi per il principedi Cutò, pel marchese di Spaccaforno e per il principedella Cattolica, palazzi ancora esistenti con qualche alte-razione, in Palermo. Citeremo in quest'ultimo solol'ammirevole disposizione scenografica del lungo cortiletripartito da due ariosi rami di portico, che, per l'effettosontuoso, non la cede a quelli del Marvuglia e del Pal-ma, di un secolo posteriori, e, per le felici proporzioni

136

delle colonne e delle arcate, sta fra quelle dei due cortilidel palazzo reale, anteriori l'uno di mezzo secolo el'altro di un secolo circa.

Del passaggio dal Seicento al Settecento sono duecomplessi di chiese e monasteri ora usati per ospedali:la Concezione e San Saverio. I cortili di entrambi hannoportici dalle belle proporzioni, porte e balconate assaiben composte; della chiesa a sala della prima abbiamofatto cenno per le decorazioni a commesso di marmi po-licromi fra le più belle; ma la chiesa di San Saverio è as-sai importante perché è un raro esempio di ritorno allechiese centriche, anzi, in tempi barocchi, attua la chiesaa cinque cupole, una maggiore centrale e quattro piùpiccole sugli spazi angolari, soluzione normale in Cala-bria nel IX secolo, ma che i siciliani avevano evitatosempre, così in tempi normanni come nel Cinquecento,sostituendo alle cupolette coperture piane.

Il Settecento

Il periodo di passaggio dal Seicento al Settecento pre-senta allo studioso di architettura siciliana un tragicocontrasto. Mentre intorno a Palermo sorgono a Baghe-

137

delle colonne e delle arcate, sta fra quelle dei due cortilidel palazzo reale, anteriori l'uno di mezzo secolo el'altro di un secolo circa.

Del passaggio dal Seicento al Settecento sono duecomplessi di chiese e monasteri ora usati per ospedali:la Concezione e San Saverio. I cortili di entrambi hannoportici dalle belle proporzioni, porte e balconate assaiben composte; della chiesa a sala della prima abbiamofatto cenno per le decorazioni a commesso di marmi po-licromi fra le più belle; ma la chiesa di San Saverio è as-sai importante perché è un raro esempio di ritorno allechiese centriche, anzi, in tempi barocchi, attua la chiesaa cinque cupole, una maggiore centrale e quattro piùpiccole sugli spazi angolari, soluzione normale in Cala-bria nel IX secolo, ma che i siciliani avevano evitatosempre, così in tempi normanni come nel Cinquecento,sostituendo alle cupolette coperture piane.

Il Settecento

Il periodo di passaggio dal Seicento al Settecento pre-senta allo studioso di architettura siciliana un tragicocontrasto. Mentre intorno a Palermo sorgono a Baghe-

137

ria, ai Colli, a San Lorenzo, ai Ciaculli e sulla nuova viaper la Rocca e Monreale ville di delizie principesche odilettose, o sontuose, o bizzarre e strane, la costa orien-tale è tutta una rovina e un cimitero prima, tutto un can-tiere per rifare le distrutte città poi. Sorgono le città set-tecentesche. A Catania e, solo in parte, a Siracusa sisgombrano le macerie per riaprirvi strade e piazze, giac-ché la presenza dei porti non permette alle città di muta-re sedi; a Noto invece si abbandonano le rovine per tra-sportare la nuova città una decina di chilometri più avalle. Analogamente ex-novo, è sorta Grammichele.

Il Settecento trova gli uomini e l'arte in Sicilia nonimpari ai gravi compiti urbanistici; sia che si trattid'impiantare grandiosamente, scenograficamente, comevuole il gusto spagnolesco dei tempi, tutta una nuovacittà, sia che si tratti di ridare vita, migliorandola, allavecchia. Far più bella dell'antica la città nuova significòper gli architetti urbanisti di Noto aprire larghe stradediritte, piazze grandissime, sistemare dislivelli con son-tuose scale davanti agli edifici pubblici e collocar questia fondali prospettici, valersi infine delle ricche chiesecon i loro campanili, e dei numerosi conventi e mona-steri, con le loro logge e torri-belvedere, per appararescenograficamente vie e piazze. Ma a Grammichele nonil criterio dell'effetto architettonico prevalse, bensì quel-lo ingegneristico, sicché per la scarsa vita e pei poverimezzi di attuazione, rimase un'astrattezza cerebrale, nonvivificata da una visione artistica, il geometrico pianoregolatore a regolarissima tela di ragno. Di poi, a gareg-

138

ria, ai Colli, a San Lorenzo, ai Ciaculli e sulla nuova viaper la Rocca e Monreale ville di delizie principesche odilettose, o sontuose, o bizzarre e strane, la costa orien-tale è tutta una rovina e un cimitero prima, tutto un can-tiere per rifare le distrutte città poi. Sorgono le città set-tecentesche. A Catania e, solo in parte, a Siracusa sisgombrano le macerie per riaprirvi strade e piazze, giac-ché la presenza dei porti non permette alle città di muta-re sedi; a Noto invece si abbandonano le rovine per tra-sportare la nuova città una decina di chilometri più avalle. Analogamente ex-novo, è sorta Grammichele.

Il Settecento trova gli uomini e l'arte in Sicilia nonimpari ai gravi compiti urbanistici; sia che si trattid'impiantare grandiosamente, scenograficamente, comevuole il gusto spagnolesco dei tempi, tutta una nuovacittà, sia che si tratti di ridare vita, migliorandola, allavecchia. Far più bella dell'antica la città nuova significòper gli architetti urbanisti di Noto aprire larghe stradediritte, piazze grandissime, sistemare dislivelli con son-tuose scale davanti agli edifici pubblici e collocar questia fondali prospettici, valersi infine delle ricche chiesecon i loro campanili, e dei numerosi conventi e mona-steri, con le loro logge e torri-belvedere, per appararescenograficamente vie e piazze. Ma a Grammichele nonil criterio dell'effetto architettonico prevalse, bensì quel-lo ingegneristico, sicché per la scarsa vita e pei poverimezzi di attuazione, rimase un'astrattezza cerebrale, nonvivificata da una visione artistica, il geometrico pianoregolatore a regolarissima tela di ragno. Di poi, a gareg-

138

giare con le magnificenze delle nuove città, le anticherinnovano prospetti di chiese arricchendoli di colonnerisaltate, vi abbattono gli edifici medievali deperiti, perrifarli in forma più appariscente, in proporzioni più va-sta; i signori imitano gli ordini religiosi nelle sontuosericostruzioni delle sedi vetuste; le città acquistano cosìl'aspetto barocco che han mantenuto fino a oggi.

Come suole avvenire dopo i grandi cataclismi, le ma-nifestazioni architettoniche del primo Settecento espri-mono anche un frenetico desiderio di vivere, di gioire ea volte nella decorazione s'hanno accenti caricaturali,specie a Catania. Verso la metà del secolo una reazionedi architetti educatisi a Roma argina in tempo questacorrente e, impedendo che alligni capriccioso il frivolorococò, incanala il gusto verso una compostezza neo-classica vanvitelliana, pur senza aderire del tutto, a Ca-tania, a quella controcorrente «contegnosa» che caratte-rizza la maggioranza delle opere architettoniche del de-clinante Settecento, in special modo a Palermo.

A parte il geniale messinese Filippo Juvarra (1676-1736) «architetto di re e re degli architetti», troppo pre-sto dipartitosi dalla Sicilia per potervi lasciare altro cheil ricordo di apparati e la testimonianza di una precocematurazione siciliana e «guariniana»; a parte anche ilben noto Ferdinando Fuga, venuto invece a Palermo perincarico reale, a progettare quella trasformazione malau-gurata del Duomo palermitano, che diede poi al monu-

139

giare con le magnificenze delle nuove città, le anticherinnovano prospetti di chiese arricchendoli di colonnerisaltate, vi abbattono gli edifici medievali deperiti, perrifarli in forma più appariscente, in proporzioni più va-sta; i signori imitano gli ordini religiosi nelle sontuosericostruzioni delle sedi vetuste; le città acquistano cosìl'aspetto barocco che han mantenuto fino a oggi.

Come suole avvenire dopo i grandi cataclismi, le ma-nifestazioni architettoniche del primo Settecento espri-mono anche un frenetico desiderio di vivere, di gioire ea volte nella decorazione s'hanno accenti caricaturali,specie a Catania. Verso la metà del secolo una reazionedi architetti educatisi a Roma argina in tempo questacorrente e, impedendo che alligni capriccioso il frivolorococò, incanala il gusto verso una compostezza neo-classica vanvitelliana, pur senza aderire del tutto, a Ca-tania, a quella controcorrente «contegnosa» che caratte-rizza la maggioranza delle opere architettoniche del de-clinante Settecento, in special modo a Palermo.

A parte il geniale messinese Filippo Juvarra (1676-1736) «architetto di re e re degli architetti», troppo pre-sto dipartitosi dalla Sicilia per potervi lasciare altro cheil ricordo di apparati e la testimonianza di una precocematurazione siciliana e «guariniana»; a parte anche ilben noto Ferdinando Fuga, venuto invece a Palermo perincarico reale, a progettare quella trasformazione malau-gurata del Duomo palermitano, che diede poi al monu-

139

mento siculo-normanno84 il freddo aspetto neoclassico,che conserva all'interno e nella cupola, i nomi precipuifra tanti architetti del Settecento siciliano sono a Paler-mo quelli ancora degli Amato, di Giuseppe VenanzioMarvuglia (1729-1818) e Andrea Gigante (1731-1787);a Catania quello, maggiore, di G. B. Vaccarini (1702-1768) e di S. Ittar (lavora a Catania dal 1765 al 1780circa); a Siracusa quello di Pompeo Picherali (1728-1787) e a Noto quello di Paolo Labisi. Sono tutti frati opreti. Ma non sono da tacere, anche in una rapida rasse-gna, Tommaso Napoli, Giovanni Biagio Amico, NicolòPalma e Orazio Furetto a Palermo; fra Liberato Palaz-zotto, Alonzo di Benedetto, Antonio e Andrea Amato,Francesco e Antonio Battaglia e, da ultimo, CarmeloBattaglia e il Santangelo a Catania. Ma non sono tutticatanesi, avendo richiamato la febbrile e immane rico-struzione architetti da ogni parte: da Messina, come gliAmato; da Palermo, come il Vaccarini e i Bevilacqua;da Roma, come l'Ittar.

Perciò la «città settecentesca» per eccellenza è Cata-nia, poi lo è Noto, ma lo sono anche abbastanza moltedelle città danneggiate nel 1693 delle antiche valli Ne-morensi e di Noto, come Acireale, Caltagirone, Modica,Ragusa, Vittoria ecc. Le stesse ragioni di troppo lavorofanno risorgere per alcuni decenni a Catania la figura diarchitetti lapidum incisores, che era rimasta confinata ailavori minori e ai centri paesani dopo l'avvento seicente-

84 Diresse i lavori il Marvuglia.

140

mento siculo-normanno84 il freddo aspetto neoclassico,che conserva all'interno e nella cupola, i nomi precipuifra tanti architetti del Settecento siciliano sono a Paler-mo quelli ancora degli Amato, di Giuseppe VenanzioMarvuglia (1729-1818) e Andrea Gigante (1731-1787);a Catania quello, maggiore, di G. B. Vaccarini (1702-1768) e di S. Ittar (lavora a Catania dal 1765 al 1780circa); a Siracusa quello di Pompeo Picherali (1728-1787) e a Noto quello di Paolo Labisi. Sono tutti frati opreti. Ma non sono da tacere, anche in una rapida rasse-gna, Tommaso Napoli, Giovanni Biagio Amico, NicolòPalma e Orazio Furetto a Palermo; fra Liberato Palaz-zotto, Alonzo di Benedetto, Antonio e Andrea Amato,Francesco e Antonio Battaglia e, da ultimo, CarmeloBattaglia e il Santangelo a Catania. Ma non sono tutticatanesi, avendo richiamato la febbrile e immane rico-struzione architetti da ogni parte: da Messina, come gliAmato; da Palermo, come il Vaccarini e i Bevilacqua;da Roma, come l'Ittar.

Perciò la «città settecentesca» per eccellenza è Cata-nia, poi lo è Noto, ma lo sono anche abbastanza moltedelle città danneggiate nel 1693 delle antiche valli Ne-morensi e di Noto, come Acireale, Caltagirone, Modica,Ragusa, Vittoria ecc. Le stesse ragioni di troppo lavorofanno risorgere per alcuni decenni a Catania la figura diarchitetti lapidum incisores, che era rimasta confinata ailavori minori e ai centri paesani dopo l'avvento seicente-

84 Diresse i lavori il Marvuglia.

140

sco degli architetti addottrinati e religiosi. Da ciò quellenote sensuali e paesane che contrassegnano l'architetturadel primo tempo della ricostruzione a Catania e altrove,specie quella dei Bevilacqua e degli Amato. Esempi: ilpalazzo arcivescovile e la fronte verso mare del palazzoBiscari. Oltre che per l'eccesso della scultura ornamen-tale e figurativa, a volte con accenti caricaturali,quest'architettura di scultori-tagliapietre si distingue perl'uso anormale degli elementi architettonici classici, spe-cialmente per il nessun conto delle norme di proporzio-namento dei vani e degli ordini architettonici, volgariz-zate dai trattatisti del Cinquecento e quasi sempre rispet-tate nell'architettura postmichelangiolesca, nell'architet-tura barocca e in quella settecentesca disegnata da sacer-doti e da frati in Sicilia, come altrove; si nota infinel'abuso del motivo seicentesco che fa sporgere le mem-brature architettoniche delle porte, delle finestre e dellenicchie da incorniciature accartocciate e movimentatebizzarramente sul muro. Di tali anormalità citiamo ri-spettivamente solo qualche esempio: a Catania il porto-ne del monastero di San Placido; i pilastroni smisurati ebugnati geometricamente e non sorreggenti gli architra-vi merlettati dei cornicioni dal piccolo sporto, come nelpalazzo del barone Pardo o nelle fronti a levante e amezzogiorno dell'immenso convento dei benedettini; fi-nestre e porte nei già citati edifizi e in molti altri nonsolo di Catania, ma anche di Acireale, Aci Sant'Antonioecc. Eppure l'esempio più impressionante di questo gu-sto bizzarro, caricaturale e paesano, esempio smodata-

141

sco degli architetti addottrinati e religiosi. Da ciò quellenote sensuali e paesane che contrassegnano l'architetturadel primo tempo della ricostruzione a Catania e altrove,specie quella dei Bevilacqua e degli Amato. Esempi: ilpalazzo arcivescovile e la fronte verso mare del palazzoBiscari. Oltre che per l'eccesso della scultura ornamen-tale e figurativa, a volte con accenti caricaturali,quest'architettura di scultori-tagliapietre si distingue perl'uso anormale degli elementi architettonici classici, spe-cialmente per il nessun conto delle norme di proporzio-namento dei vani e degli ordini architettonici, volgariz-zate dai trattatisti del Cinquecento e quasi sempre rispet-tate nell'architettura postmichelangiolesca, nell'architet-tura barocca e in quella settecentesca disegnata da sacer-doti e da frati in Sicilia, come altrove; si nota infinel'abuso del motivo seicentesco che fa sporgere le mem-brature architettoniche delle porte, delle finestre e dellenicchie da incorniciature accartocciate e movimentatebizzarramente sul muro. Di tali anormalità citiamo ri-spettivamente solo qualche esempio: a Catania il porto-ne del monastero di San Placido; i pilastroni smisurati ebugnati geometricamente e non sorreggenti gli architra-vi merlettati dei cornicioni dal piccolo sporto, come nelpalazzo del barone Pardo o nelle fronti a levante e amezzogiorno dell'immenso convento dei benedettini; fi-nestre e porte nei già citati edifizi e in molti altri nonsolo di Catania, ma anche di Acireale, Aci Sant'Antonioecc. Eppure l'esempio più impressionante di questo gu-sto bizzarro, caricaturale e paesano, esempio smodata-

141

mente sovraccarico di sculture e che spinge la mancanzadi proporzione e di misura sino al grottesco e al mo-struoso è offerto dalla villa Palagonia presso Palermo –«dimora da negromante» com'è stata giustamente defini-ta – che uno strambo principe ha fatto costruire secondoil suo capriccio, con opprimente fantasia e punte di eso-tismo di lontano oriente, da architetti-scultori popolani.

La reazione a questo smodato gusto popolano è rap-presentata dall'opera di architetti dotti, matematici, abaticome il Vaccarini, sacerdoti come l'Amico, frati comeancora Giacomo Amato e Tommaso di Napoli.

Alla «villa del Negromante» può opporsi nella stessaBagheria la villa Valguarnera, eretta dal domenicano DiNapoli, con scalea esterna simmetrica facente capo alpoggiuolo centrale e svolta nella concavità mediana delprospetto, scandito dalle lesene e dal riposante ritmoverticale che nasce ripetendo a eguali distanze il lega-mento delle sovrapposte finestre. Altre volte negli edifi-zi per ville il corpo centrale è convesso, ma pure allieta-to da scala esterna, oppure è piano, ma sempre col parti-to monumentale di scalea simmetrica a portico e loggiarampanti, come quella del Fuga alla Consulta di Roma. Ipochi elementi ornamentali di coronamento dell'insiemesono, in questi tipi, compensati, nelle radure fra bo-schetti di aranci o fra le palme, dai monumentali ninfei aesedra o ad archi, in cui le sculture di buono scalpellosono accompagnate da pitture, da intarsiature di mosai-co e di madreperla, da incrostazioni di conchiglie di gu-sto squisito.

142

mente sovraccarico di sculture e che spinge la mancanzadi proporzione e di misura sino al grottesco e al mo-struoso è offerto dalla villa Palagonia presso Palermo –«dimora da negromante» com'è stata giustamente defini-ta – che uno strambo principe ha fatto costruire secondoil suo capriccio, con opprimente fantasia e punte di eso-tismo di lontano oriente, da architetti-scultori popolani.

La reazione a questo smodato gusto popolano è rap-presentata dall'opera di architetti dotti, matematici, abaticome il Vaccarini, sacerdoti come l'Amico, frati comeancora Giacomo Amato e Tommaso di Napoli.

Alla «villa del Negromante» può opporsi nella stessaBagheria la villa Valguarnera, eretta dal domenicano DiNapoli, con scalea esterna simmetrica facente capo alpoggiuolo centrale e svolta nella concavità mediana delprospetto, scandito dalle lesene e dal riposante ritmoverticale che nasce ripetendo a eguali distanze il lega-mento delle sovrapposte finestre. Altre volte negli edifi-zi per ville il corpo centrale è convesso, ma pure allieta-to da scala esterna, oppure è piano, ma sempre col parti-to monumentale di scalea simmetrica a portico e loggiarampanti, come quella del Fuga alla Consulta di Roma. Ipochi elementi ornamentali di coronamento dell'insiemesono, in questi tipi, compensati, nelle radure fra bo-schetti di aranci o fra le palme, dai monumentali ninfei aesedra o ad archi, in cui le sculture di buono scalpellosono accompagnate da pitture, da intarsiature di mosai-co e di madreperla, da incrostazioni di conchiglie di gu-sto squisito.

142

Più monumentale ancora era la «Casena grande» aiColli presso Palermo, eretta alla fine del Seicento e fini-ta alla fine del Settecento, forse da don Paolo Amato perla marchesa di Ventimiglia; e anche più severa di gustoera alla fine del Settecento quella dei Lanza-Branciforte(ora Tasca) a Camastra, fra Palermo e Mezzomonreale,monumentale compromesso fra sopravvivenze medieva-li – coronamenti delle testate a merli – e partito neoclas-sico ad alte lesene e frontone nel mezzo.

Normalmente, invece, verso la metà del Settecento,degli ariosi loggiati centrali fan più sorridenti le ville, ilmotivo della scalea simmetrica esterne vige sempre, ecosì il motivo dell'intonaco chiaro di fondo che fa risal-tare per tono e per colore gli elementi struttivi dellacomposizione: lesene, fasce, cornici, mostre di finestre emensole di balconi, talvolta anche tondi con medaglioni,e infine gli stipiti e le arcate del loggiato; giacché i log-giati, a differenza di quelli del Cinquecento o del Sei-cento, non sono a colonne, ma a pilastri squadrati perconservare all'edificio il carattere di signorilità rustica.Per lo stesso motivo la modanatura è quasi evitata, lemembrature sono, quanto è possibile, lisce.

Ne sono esempi, presso Palermo, la villa dei principiCastelforte, e a Noto, meno tipica, la villa Falconara. Ea Palermo la villa Giulia è splendido esempio di pubbli-ca villa di ritrovo, geometricamente italiana (architettoN. Palma, 1777-1778).

Nell'architettura del palazzo cittadino la reazione allacorrente popolare è rappresentata a Catania dai palazzi

143

Più monumentale ancora era la «Casena grande» aiColli presso Palermo, eretta alla fine del Seicento e fini-ta alla fine del Settecento, forse da don Paolo Amato perla marchesa di Ventimiglia; e anche più severa di gustoera alla fine del Settecento quella dei Lanza-Branciforte(ora Tasca) a Camastra, fra Palermo e Mezzomonreale,monumentale compromesso fra sopravvivenze medieva-li – coronamenti delle testate a merli – e partito neoclas-sico ad alte lesene e frontone nel mezzo.

Normalmente, invece, verso la metà del Settecento,degli ariosi loggiati centrali fan più sorridenti le ville, ilmotivo della scalea simmetrica esterne vige sempre, ecosì il motivo dell'intonaco chiaro di fondo che fa risal-tare per tono e per colore gli elementi struttivi dellacomposizione: lesene, fasce, cornici, mostre di finestre emensole di balconi, talvolta anche tondi con medaglioni,e infine gli stipiti e le arcate del loggiato; giacché i log-giati, a differenza di quelli del Cinquecento o del Sei-cento, non sono a colonne, ma a pilastri squadrati perconservare all'edificio il carattere di signorilità rustica.Per lo stesso motivo la modanatura è quasi evitata, lemembrature sono, quanto è possibile, lisce.

Ne sono esempi, presso Palermo, la villa dei principiCastelforte, e a Noto, meno tipica, la villa Falconara. Ea Palermo la villa Giulia è splendido esempio di pubbli-ca villa di ritrovo, geometricamente italiana (architettoN. Palma, 1777-1778).

Nell'architettura del palazzo cittadino la reazione allacorrente popolare è rappresentata a Catania dai palazzi

143

Valle, Serravalle, San Giuliano, e Villaroel, eretti dalVaccarini o da suoi seguaci. Anche qui l'attenzione è ri-chiamata sul partito centrale, che, non potendo usarescalee esterne simmetriche, è formato dal legamentoverticale del portone con il balcone centrale e dall'acco-stamento delle due finestre e balconi laterali, elementitutti variamente mossi, ma ben chiaroscurati senza aiutidi elementi scultorei. Anche qui troviamo lo schemastrutturale architettonico staccante per colore sull'into-naco di fondo, se non che qui, invece, spicca in pietrachiara su fondo d'intonaco scuro. Le differenze sonodunque nel carattere cittadino anziché villereccio, mal'idea compositiva è analoga e similmente è affidata alloschema essenziale degli elementi architettonici.

A Palermo in tre palazzi di una stessa piazza si posso-no seguire le variazioni per diversità di tempi e di tem-peramenti d'architetti intorno al medesimo modo aulicodi sentire la composizione del palazzo signorile. Siguardino e paragonino in piazza Bologni il palazzo Ugodelle Favare, della fine del Seicento, il palazzo Villa-franca della prima metà del Settecento, e il palazzoRiso, una delle più significative opere di don VenanzioMarvuglia, eretta verso il 1780 e cioè già a carattere«contegnoso». Sono nettamente differenti. L'uso dellascultura figurativa nei raccordi fra porte a intradosso po-ligonale e balconi sovrapposti nelle parti laterali e il sin-golare eclettismo, che include sull'asse centrale di unacomposizione barocca resti dell'antico palazzo rinasci-mentali e quattrocenteschi, differenziano nettamente il

144

Valle, Serravalle, San Giuliano, e Villaroel, eretti dalVaccarini o da suoi seguaci. Anche qui l'attenzione è ri-chiamata sul partito centrale, che, non potendo usarescalee esterne simmetriche, è formato dal legamentoverticale del portone con il balcone centrale e dall'acco-stamento delle due finestre e balconi laterali, elementitutti variamente mossi, ma ben chiaroscurati senza aiutidi elementi scultorei. Anche qui troviamo lo schemastrutturale architettonico staccante per colore sull'into-naco di fondo, se non che qui, invece, spicca in pietrachiara su fondo d'intonaco scuro. Le differenze sonodunque nel carattere cittadino anziché villereccio, mal'idea compositiva è analoga e similmente è affidata alloschema essenziale degli elementi architettonici.

A Palermo in tre palazzi di una stessa piazza si posso-no seguire le variazioni per diversità di tempi e di tem-peramenti d'architetti intorno al medesimo modo aulicodi sentire la composizione del palazzo signorile. Siguardino e paragonino in piazza Bologni il palazzo Ugodelle Favare, della fine del Seicento, il palazzo Villa-franca della prima metà del Settecento, e il palazzoRiso, una delle più significative opere di don VenanzioMarvuglia, eretta verso il 1780 e cioè già a carattere«contegnoso». Sono nettamente differenti. L'uso dellascultura figurativa nei raccordi fra porte a intradosso po-ligonale e balconi sovrapposti nelle parti laterali e il sin-golare eclettismo, che include sull'asse centrale di unacomposizione barocca resti dell'antico palazzo rinasci-mentali e quattrocenteschi, differenziano nettamente il

144

palazzo Ugo da quello laterale dei Villafranca. Questo èinvece caratterizzato dalla bilateralità della composizio-ne intorno ai due mossi aggruppamenti di portone arric-chito da colonne e da due vani superiori riuniti da targain stucco e da unico mosso balcone. E da entrambi sistacca molto la cadenza ritmica e serrata di finestre e pa-raste joniche abbraccianti due piani, su una zona basa-mentale ad archi di botteghe e di portone centrale a se-micolonne, coronate da unica balconata del più severopalazzo Riso. E differenti sono il palazzo Riso e il conti-guo Geraci dello stesso autore Venanzio Marvuglia, ilquale costruì l'uno dalle fondamenta con bell'effetto pro-spettico sulla successione di cortili ad arcate depresse, el'altro, già del Seicento, solamente riordinò sontuosa-mente85. Ma se si mettono tutti questi palazzi in con-fronto con quelli catanesi Pardo, Massa, Biscari e arci-vescovile, balzerà subito il carattere di distinzione chearriva sino all'elegante signorilità da una parte e quellodi vivacità popolana talora smodata, ma spesso vigoro-sa, dall'altra, che dividono i due gruppi. Anche i palazzidel palermitano Vaccarini assumono a Catania – come

85 Il palazzo Geraci è stato ancora più neo classicizzato nelprimo Ottocento: può rappresentare da solo, nelle varie sue fasi,la variazione del gusto a Palermo in un secolo e mezzo. Per com-pletare cotesta evoluzione nell'architettura palermitana dei palaz-zi, dovrebbesi ancora metter in luce la risorsa policroma, felice-mente usata in qualche palazzo della seconda metà del Settecento– per esempio nel palazzo Santacroce – per ravvivare la severitàdella corrente contegnosa.

145

palazzo Ugo da quello laterale dei Villafranca. Questo èinvece caratterizzato dalla bilateralità della composizio-ne intorno ai due mossi aggruppamenti di portone arric-chito da colonne e da due vani superiori riuniti da targain stucco e da unico mosso balcone. E da entrambi sistacca molto la cadenza ritmica e serrata di finestre e pa-raste joniche abbraccianti due piani, su una zona basa-mentale ad archi di botteghe e di portone centrale a se-micolonne, coronate da unica balconata del più severopalazzo Riso. E differenti sono il palazzo Riso e il conti-guo Geraci dello stesso autore Venanzio Marvuglia, ilquale costruì l'uno dalle fondamenta con bell'effetto pro-spettico sulla successione di cortili ad arcate depresse, el'altro, già del Seicento, solamente riordinò sontuosa-mente85. Ma se si mettono tutti questi palazzi in con-fronto con quelli catanesi Pardo, Massa, Biscari e arci-vescovile, balzerà subito il carattere di distinzione chearriva sino all'elegante signorilità da una parte e quellodi vivacità popolana talora smodata, ma spesso vigoro-sa, dall'altra, che dividono i due gruppi. Anche i palazzidel palermitano Vaccarini assumono a Catania – come

85 Il palazzo Geraci è stato ancora più neo classicizzato nelprimo Ottocento: può rappresentare da solo, nelle varie sue fasi,la variazione del gusto a Palermo in un secolo e mezzo. Per com-pletare cotesta evoluzione nell'architettura palermitana dei palaz-zi, dovrebbesi ancora metter in luce la risorsa policroma, felice-mente usata in qualche palazzo della seconda metà del Settecento– per esempio nel palazzo Santacroce – per ravvivare la severitàdella corrente contegnosa.

145

vedremo più oltre – caratteri più robusti e qualche ac-cento più vivace, pur nella loro sobrietà86.

L'architettura religiosa del Settecento è tutta rinnovatadal lievito borrominiano. L'esempio dato dal Guarini ametà del Seicento a Messina con la composizione forte-mente piramidale e con i movimenti concavo-convessidella chiesa dell'Annunziata dei teatini era rimasto senzaseguaci, e lo stesso era accaduto a Paolo Amato con lachiesa a pianta curvilinea del Salvatore in Palermo e conl'analoga di San Giuliano, chiesa a cupola demolita,quasi due secoli dopo, per l'erezione del Teatro Massi-mo.

Ma nella prima metà del Settecento l'ecclesiastico tra-panese Giovanni Biagio Amico rinnova la già calmafacciata della chiesa di Sant'Anna a Palermo con un'altraenergicamente mossa con larga concavità al centro e dueraccordi a movimento d'ala ai lati, per ottenere larghicontrasti chiaroscurali, accentuati dalle sporgenze dellerisaltate colonne.

Il movimento curvilineo di facciata e quello di piantanon attecchiscono a Palermo. Nel rinnovamento dellafacciata di San Domenico i forti contrasti coloristici echiaroscurali e lo slancio ascensionale sono ottenuti conl'intonaco chiaro di fondo – che dà risalto ai materialidelle membrature e, quindi, allo schema compositivo –

86 Poco è, in genere, penetrato in Sicilia fra gli architetti ilgusto rococò, di più fra i decoratori. Anche più rari sono gliesempi che mostrino ispirazioni dall'Estremo Oriente, alla finedel Settecento.

146

vedremo più oltre – caratteri più robusti e qualche ac-cento più vivace, pur nella loro sobrietà86.

L'architettura religiosa del Settecento è tutta rinnovatadal lievito borrominiano. L'esempio dato dal Guarini ametà del Seicento a Messina con la composizione forte-mente piramidale e con i movimenti concavo-convessidella chiesa dell'Annunziata dei teatini era rimasto senzaseguaci, e lo stesso era accaduto a Paolo Amato con lachiesa a pianta curvilinea del Salvatore in Palermo e conl'analoga di San Giuliano, chiesa a cupola demolita,quasi due secoli dopo, per l'erezione del Teatro Massi-mo.

Ma nella prima metà del Settecento l'ecclesiastico tra-panese Giovanni Biagio Amico rinnova la già calmafacciata della chiesa di Sant'Anna a Palermo con un'altraenergicamente mossa con larga concavità al centro e dueraccordi a movimento d'ala ai lati, per ottenere larghicontrasti chiaroscurali, accentuati dalle sporgenze dellerisaltate colonne.

Il movimento curvilineo di facciata e quello di piantanon attecchiscono a Palermo. Nel rinnovamento dellafacciata di San Domenico i forti contrasti coloristici echiaroscurali e lo slancio ascensionale sono ottenuti conl'intonaco chiaro di fondo – che dà risalto ai materialidelle membrature e, quindi, allo schema compositivo –

86 Poco è, in genere, penetrato in Sicilia fra gli architetti ilgusto rococò, di più fra i decoratori. Anche più rari sono gliesempi che mostrino ispirazioni dall'Estremo Oriente, alla finedel Settecento.

146

con le «quinte» delle colonne sovrapposte e fortementestaccate dal muro, col risalto energico delle trabeazionisu ogni colonna, pilastro o lesena, col coronamento a fi-gure sulle colonne laterali poi col raccordo a mensolonirovesci fra le colonne centrali e il timpano arcuato me-diano, infine con i due snelli, aggraziati campanili late-rali. Lo slancio e il chiaroscuro son ripresi davanti alladetta chiesa dalla snella colonna dell'Immacolata postasul piedistallo curvilineo e sono accompagnati dagli an-geli laterali sul basamento riunito e sulla gradinata mo-vimentata, armonico complesso dovuto, nella forma at-tuale, al padre G. B. Amico87.

Ben diverso successo dovevano conseguire i tentatividi don Paolo Amato e gli esempi del Borromini nella ri-costruzione settecentesca degli edifici religiosi nella cit-

87 Almeno in massima parte. L'architetto trapanese non ese-guì il primitivo progetto del domenicano Tommaso Napoli, da Pa-lermo; a sua volta – dopo i moti del 1848 – la di lui esecuzione fuvariata: gli angioli sostituirono le figure bronzee di Carlo III Bor-bone e di Maria Amalia Walburga. Bisogna anche aggiungere, aproposito di questo architetto, che anche alla nuova fronte dellachiesa di Sant'Anna fu apportata qualche modificazione nell'Otto-cento, e che qualcuno darebbe ad Antonio Scirè da Militello, an-ziché all'Amico, la paternità di tale prospetto. Uno studiosull'interessante gruppo d'architetti che opera a Trapani, o da lìs'irradia nei due secoli barocchi, da Natale Masuccio ad AndreaGigante, potrebbe far luce anche sull'Amico, partendo dalle opereche gli si attribuiscono in patria: completamento della cattedrale,prospetto della chiesa del Purgatorio ecc. e dalle altre molte, chegli si fanno risalire, in varie città di quella provincia.

147

con le «quinte» delle colonne sovrapposte e fortementestaccate dal muro, col risalto energico delle trabeazionisu ogni colonna, pilastro o lesena, col coronamento a fi-gure sulle colonne laterali poi col raccordo a mensolonirovesci fra le colonne centrali e il timpano arcuato me-diano, infine con i due snelli, aggraziati campanili late-rali. Lo slancio e il chiaroscuro son ripresi davanti alladetta chiesa dalla snella colonna dell'Immacolata postasul piedistallo curvilineo e sono accompagnati dagli an-geli laterali sul basamento riunito e sulla gradinata mo-vimentata, armonico complesso dovuto, nella forma at-tuale, al padre G. B. Amico87.

Ben diverso successo dovevano conseguire i tentatividi don Paolo Amato e gli esempi del Borromini nella ri-costruzione settecentesca degli edifici religiosi nella cit-

87 Almeno in massima parte. L'architetto trapanese non ese-guì il primitivo progetto del domenicano Tommaso Napoli, da Pa-lermo; a sua volta – dopo i moti del 1848 – la di lui esecuzione fuvariata: gli angioli sostituirono le figure bronzee di Carlo III Bor-bone e di Maria Amalia Walburga. Bisogna anche aggiungere, aproposito di questo architetto, che anche alla nuova fronte dellachiesa di Sant'Anna fu apportata qualche modificazione nell'Otto-cento, e che qualcuno darebbe ad Antonio Scirè da Militello, an-ziché all'Amico, la paternità di tale prospetto. Uno studiosull'interessante gruppo d'architetti che opera a Trapani, o da lìs'irradia nei due secoli barocchi, da Natale Masuccio ad AndreaGigante, potrebbe far luce anche sull'Amico, partendo dalle opereche gli si attribuiscono in patria: completamento della cattedrale,prospetto della chiesa del Purgatorio ecc. e dalle altre molte, chegli si fanno risalire, in varie città di quella provincia.

147

tà di Catania, fra il 1730 e il 1760, per opera dell'abateG. B. Vaccarini, palermitano di nascita, romano per stu-di, catanese per elezione, e poi di Stefano Ittar, venutoanche lui da Roma a Catania; successo esteso a Noto, aModica, a Ragusa ecc.

I due motivi fondamentali (ma poco visibili all'ester-no) del San Salvatore di Palermo, cioè: una sala curvili-nea e un coronamento a loggiato-belvedere, son ripresicon maggior maturità dal Vaccarini e accusati nettamen-te in vari modi nelle chiese monacali di San Giuliano, diSanta Chiara e, meglio e più personalmente, nella chiesaannessa al monastero di Sant'Agata di Catania, capola-voro d'arte e di fede del grande abate. Non si sa se am-mirare di più in essa il giuoco prospettico delle masseplasmate in curva e lasciate compatte o quello del chia-roscuro potente e pieno di finezze o l'amore e il gusto intutti i particolari o infine la severa disciplina che subor-dina gerarchicamente gli effetti dei particolari a quellid'insieme. Dai capitelli – in cui le palme, i gigli, la coro-na tengono originariamente il posto delle volute, dellefoglie, dei fioroni abitudinari – alla panciuta gelosia inlamiera traforata che corre fra quelli; dalla frangia rabe-scata, che la continua sotto, alla aerea balaustra e allesculture di coronamento della massa maggiore; dai mo-vimenti spaziali interni ai pavimenti decorativi, allascelta, per colore, delle pietre dure siciliane – che dove-vano decorare tutto l'interno, ma che purtroppo ora sonosolamente in alcuni fondi – tutto è ammirevole inquest'opera più che trentennale del potente architetto e

148

tà di Catania, fra il 1730 e il 1760, per opera dell'abateG. B. Vaccarini, palermitano di nascita, romano per stu-di, catanese per elezione, e poi di Stefano Ittar, venutoanche lui da Roma a Catania; successo esteso a Noto, aModica, a Ragusa ecc.

I due motivi fondamentali (ma poco visibili all'ester-no) del San Salvatore di Palermo, cioè: una sala curvili-nea e un coronamento a loggiato-belvedere, son ripresicon maggior maturità dal Vaccarini e accusati nettamen-te in vari modi nelle chiese monacali di San Giuliano, diSanta Chiara e, meglio e più personalmente, nella chiesaannessa al monastero di Sant'Agata di Catania, capola-voro d'arte e di fede del grande abate. Non si sa se am-mirare di più in essa il giuoco prospettico delle masseplasmate in curva e lasciate compatte o quello del chia-roscuro potente e pieno di finezze o l'amore e il gusto intutti i particolari o infine la severa disciplina che subor-dina gerarchicamente gli effetti dei particolari a quellid'insieme. Dai capitelli – in cui le palme, i gigli, la coro-na tengono originariamente il posto delle volute, dellefoglie, dei fioroni abitudinari – alla panciuta gelosia inlamiera traforata che corre fra quelli; dalla frangia rabe-scata, che la continua sotto, alla aerea balaustra e allesculture di coronamento della massa maggiore; dai mo-vimenti spaziali interni ai pavimenti decorativi, allascelta, per colore, delle pietre dure siciliane – che dove-vano decorare tutto l'interno, ma che purtroppo ora sonosolamente in alcuni fondi – tutto è ammirevole inquest'opera più che trentennale del potente architetto e

148

fine artista e per la quale egli non volle mai alcun com-penso. Per le sue altre opere: il monastero di San Bene-detto e la chiesa annessa, la chiesa dell'Indirizzo, le sueoriginali cantorie magistralmente svasantesi a canestre,per il cortile del collegio dei Gesuiti, gioiello di sobrietàdecorativa (in cui – modello forse unico – si dà una nuo-va soluzione intermedia fra i due soliti ordinamenti su-periori: fra il loggiato tutto a colonne e la finta loggia asole finestre da sovrapporre alle arcate del portico a co-lonne) dobbiamo rimandare allo studio del Fichera, chefa grandeggiare questa figura, non solo sul primo pianodel Settecento catanese, ma anche sull'intero barocco si-ciliano di sfondo.

Più fluida ed elegante nel suo movimento ascensiona-le, che culmina con un coronamento campanariosull'aperta tribuna della concavità centrale rinserrata daibinati a nicchie, è la facciata della Regia chiesa Colle-giata di Catania. L'autore, Stefano Ittar, ha progettato al-tre chiese, quali varianti di questa idea tematica nellafacciata, ma per il contrasto fra la rigidezza delle massedecorate solo a paraste e la fluidità dei movimenti curvi-linei (chiesa del monastero di San Placido) nessuna rag-giunge il valore della Collegiata dovuto alla freschezzadell'ispirazione, all'equilibrio della visione. Forse questachiesa ispira le molte dell'antica val di Noto, che, dalloro movimento curvilineo di facciata, si slanciano confuga in alto verso un coronamento a campanile. Ma que-ste sono convesse in mezzo, anziché concave, e acqui-stano solennità dalle grandiose, interminabili scalee che,

149

fine artista e per la quale egli non volle mai alcun com-penso. Per le sue altre opere: il monastero di San Bene-detto e la chiesa annessa, la chiesa dell'Indirizzo, le sueoriginali cantorie magistralmente svasantesi a canestre,per il cortile del collegio dei Gesuiti, gioiello di sobrietàdecorativa (in cui – modello forse unico – si dà una nuo-va soluzione intermedia fra i due soliti ordinamenti su-periori: fra il loggiato tutto a colonne e la finta loggia asole finestre da sovrapporre alle arcate del portico a co-lonne) dobbiamo rimandare allo studio del Fichera, chefa grandeggiare questa figura, non solo sul primo pianodel Settecento catanese, ma anche sull'intero barocco si-ciliano di sfondo.

Più fluida ed elegante nel suo movimento ascensiona-le, che culmina con un coronamento campanariosull'aperta tribuna della concavità centrale rinserrata daibinati a nicchie, è la facciata della Regia chiesa Colle-giata di Catania. L'autore, Stefano Ittar, ha progettato al-tre chiese, quali varianti di questa idea tematica nellafacciata, ma per il contrasto fra la rigidezza delle massedecorate solo a paraste e la fluidità dei movimenti curvi-linei (chiesa del monastero di San Placido) nessuna rag-giunge il valore della Collegiata dovuto alla freschezzadell'ispirazione, all'equilibrio della visione. Forse questachiesa ispira le molte dell'antica val di Noto, che, dalloro movimento curvilineo di facciata, si slanciano confuga in alto verso un coronamento a campanile. Ma que-ste sono convesse in mezzo, anziché concave, e acqui-stano solennità dalle grandiose, interminabili scalee che,

149

viste a distanza, fan solenne basamento al prospetto.Dalla chiesa delle Grazie, in Vittoria, al San Domenicodi Noto, dal San Giorgio di Ragusa all'omonima chiesadi Modica, è un crescendo monumentale in effetti goticicon le forme e gli ordini classici, dalle colonne semprepiù numerose e risaltate una sull'altra nei vari piani so-vrapposti.

Già al principio del Seicento nella nuova facciata del-la cattedrale di Enna si era avuto il primo tentativo difronte barocca di chiesa formata da una torre campana-ria, a tre ordini classici sovrapposti, ergentesi sulla cam-pata mediana di un portico esterno poco forato. Poi donPompeo Picherali, piantando un nartece sulla fronte delDuomo di Siracusa, ed elevandovi ancora in mezzo unacella campanaria, ne trae pretesto per fare un vero e pro-prio prospetto, arricchito da porte, da colonne risaltate,da due timpani spezzati e da raccordi ai fianchi. Ma lanicchia nell'edicola centrale al piano superiore nascondele campane, il cui suono si spande dai fianchi, né visono movimenti curvilinei della fronte, la quale segnaun progresso in senso settecentesco sulla analoga com-posizione del Seicento (per esempio, su Santa Teresaalla Kalsa di Giacomo Amato) solo pel maggiore slan-cio verticale ottenuto restringendo la fronte, bucandoladi più e profilando le trabeazioni in risalto su ogni co-lonna. Ma il partito è lo stesso: si passa dal primo al se-condo semplificando lo schema, accentuando i chiaro-scuri, come solo semplificando si passa dalla Pietà dellostesso Giacomo Amato al posteriore Sant'Ignazio della

150

viste a distanza, fan solenne basamento al prospetto.Dalla chiesa delle Grazie, in Vittoria, al San Domenicodi Noto, dal San Giorgio di Ragusa all'omonima chiesadi Modica, è un crescendo monumentale in effetti goticicon le forme e gli ordini classici, dalle colonne semprepiù numerose e risaltate una sull'altra nei vari piani so-vrapposti.

Già al principio del Seicento nella nuova facciata del-la cattedrale di Enna si era avuto il primo tentativo difronte barocca di chiesa formata da una torre campana-ria, a tre ordini classici sovrapposti, ergentesi sulla cam-pata mediana di un portico esterno poco forato. Poi donPompeo Picherali, piantando un nartece sulla fronte delDuomo di Siracusa, ed elevandovi ancora in mezzo unacella campanaria, ne trae pretesto per fare un vero e pro-prio prospetto, arricchito da porte, da colonne risaltate,da due timpani spezzati e da raccordi ai fianchi. Ma lanicchia nell'edicola centrale al piano superiore nascondele campane, il cui suono si spande dai fianchi, né visono movimenti curvilinei della fronte, la quale segnaun progresso in senso settecentesco sulla analoga com-posizione del Seicento (per esempio, su Santa Teresaalla Kalsa di Giacomo Amato) solo pel maggiore slan-cio verticale ottenuto restringendo la fronte, bucandoladi più e profilando le trabeazioni in risalto su ogni co-lonna. Ma il partito è lo stesso: si passa dal primo al se-condo semplificando lo schema, accentuando i chiaro-scuri, come solo semplificando si passa dalla Pietà dellostesso Giacomo Amato al posteriore Sant'Ignazio della

150

via Crociferi di Catania. E ancora spianando la compo-sizione del Guarini per l'Annunziata dei teatini di Messi-na e arricchendola (cioè interpretandola in senso ancoratardocinquecentesco)88, è stata compiuta nel 1705 adAcireale la bella facciata del San Sebastiano. Ma il mo-tivo della loggia campanaria di coronamento alla faccia-ta ivi è più sviluppato, differenze inoltre nasconodall'adattamento a una fronte di chiesa a tre navate di unpartito pensato per facciata di chiesa a nave unica. Perarrivare al perfetto schema del San Giorgio di Ragusa,quante esperienze si son fatte ma sono esperienze diprospetto, come per la Collegiata.

Venanzio Marvuglia dà a Palermo, nella secondametà del secolo, la maggiore opera perché ritorni anchenelle facciate delle chiese la purezza della composizionerinascimentale. Perciò venne lodato dal Milizia. La suachiesa conventuale di San Francesco di Sales n'è il pro-totipo nel 1772. Soltanto in apparenza la facciata delsuccessivo oratorio dei Filippini, annesso all'Olivella,del Marvuglia, sembra meno compassata; a ben guarda-re si scopre che, per le difficoltà dell'area, egli fu obbli-gato in pianta a movimenti poligonali simmetrici avantie dietro e, quindi, in elevato a raccordi e a qualche orna-to in istucco. Ma appunto per tali difficoltà, fu ammirato

88 Questa contro-corrente tardo-cinquecentesca in pieno Set-tecento, dalla composizione chiara e serena, spaziata entro le lese-ne, ha il più solenne rappresentante nella chiesa di San Pietro aModica; ma già ne abbiamo trovato un altro nella chiesa del No-viziato dei Crociferi di Giacomo Amato, nel tardo Seicento.

151

via Crociferi di Catania. E ancora spianando la compo-sizione del Guarini per l'Annunziata dei teatini di Messi-na e arricchendola (cioè interpretandola in senso ancoratardocinquecentesco)88, è stata compiuta nel 1705 adAcireale la bella facciata del San Sebastiano. Ma il mo-tivo della loggia campanaria di coronamento alla faccia-ta ivi è più sviluppato, differenze inoltre nasconodall'adattamento a una fronte di chiesa a tre navate di unpartito pensato per facciata di chiesa a nave unica. Perarrivare al perfetto schema del San Giorgio di Ragusa,quante esperienze si son fatte ma sono esperienze diprospetto, come per la Collegiata.

Venanzio Marvuglia dà a Palermo, nella secondametà del secolo, la maggiore opera perché ritorni anchenelle facciate delle chiese la purezza della composizionerinascimentale. Perciò venne lodato dal Milizia. La suachiesa conventuale di San Francesco di Sales n'è il pro-totipo nel 1772. Soltanto in apparenza la facciata delsuccessivo oratorio dei Filippini, annesso all'Olivella,del Marvuglia, sembra meno compassata; a ben guarda-re si scopre che, per le difficoltà dell'area, egli fu obbli-gato in pianta a movimenti poligonali simmetrici avantie dietro e, quindi, in elevato a raccordi e a qualche orna-to in istucco. Ma appunto per tali difficoltà, fu ammirato

88 Questa contro-corrente tardo-cinquecentesca in pieno Set-tecento, dalla composizione chiara e serena, spaziata entro le lese-ne, ha il più solenne rappresentante nella chiesa di San Pietro aModica; ma già ne abbiamo trovato un altro nella chiesa del No-viziato dei Crociferi di Giacomo Amato, nel tardo Seicento.

151

ancor più lo studio della bella pianta, che gli ha genial-mente permesso di ricavare un solenne, impeccabile sa-lone a volta a botte sui due colonnati, staccati dalle pa-reti solo quanto bastava al disimpegno e senza togliereall'entrante l'impressione quasi di aula da tempio roma-no un po' irrigidita dalla fredda decorazione che prean-nunzia lo stile impero. Questo architetto, che aveva stu-diato anche lui a Roma e nell'isola i resti dei templi sice-lioti, esordì col nuovo fabbricato aggiunto al monasterodi San Martino alle Scale, solenne e composto come unareggia. Lo ritroveremo neo-grecizzante in qualche operanei primi anni dell'Ottocento, ma si manifesta già incli-ne al neoclassicismo sin dal primo lavoro. Per questoimpulso a preparare il gusto e infine a operare per lenuove forme dovremo parlare nuovamente del Marvu-glia, iniziando la trattazione dell'Ottocento.

Solo della fase «contegnosa» conosciamo la primaopera di architettura religiosa di don Andrea Gigante: lachiesa del Carmine a Sciacca. La facciata è incompleta,ma quel che resta e la cupola ci danno l'anello necessa-rio a legare le prime opere ancora assai gustosamentebarocche (per esempio, il palazzo Bonagia a Palermo,con lo splendido scalone entro l'ariosa loggia a triforaserliana) all'ultima nettamente di stile «impero» già nel1786 (chiesetta di San Paolino dei giardinieri di Paler-mo).

Un complesso veramente mastodontico è il conventocon l'annessa chiesa dei benedettini di Catania. Dal no-stro punto di vista perde interesse, perché, mentre è na-

152

ancor più lo studio della bella pianta, che gli ha genial-mente permesso di ricavare un solenne, impeccabile sa-lone a volta a botte sui due colonnati, staccati dalle pa-reti solo quanto bastava al disimpegno e senza togliereall'entrante l'impressione quasi di aula da tempio roma-no un po' irrigidita dalla fredda decorazione che prean-nunzia lo stile impero. Questo architetto, che aveva stu-diato anche lui a Roma e nell'isola i resti dei templi sice-lioti, esordì col nuovo fabbricato aggiunto al monasterodi San Martino alle Scale, solenne e composto come unareggia. Lo ritroveremo neo-grecizzante in qualche operanei primi anni dell'Ottocento, ma si manifesta già incli-ne al neoclassicismo sin dal primo lavoro. Per questoimpulso a preparare il gusto e infine a operare per lenuove forme dovremo parlare nuovamente del Marvu-glia, iniziando la trattazione dell'Ottocento.

Solo della fase «contegnosa» conosciamo la primaopera di architettura religiosa di don Andrea Gigante: lachiesa del Carmine a Sciacca. La facciata è incompleta,ma quel che resta e la cupola ci danno l'anello necessa-rio a legare le prime opere ancora assai gustosamentebarocche (per esempio, il palazzo Bonagia a Palermo,con lo splendido scalone entro l'ariosa loggia a triforaserliana) all'ultima nettamente di stile «impero» già nel1786 (chiesetta di San Paolino dei giardinieri di Paler-mo).

Un complesso veramente mastodontico è il conventocon l'annessa chiesa dei benedettini di Catania. Dal no-stro punto di vista perde interesse, perché, mentre è na-

152

turale che un lavoro cui cooperarono falangi d'artisti pertutto il secolo rappresenti tutte le fasi dell'architetturasettecentesca catanese, pure nessuna di queste fasi haqui l'esempio più rappresentativo. Vi si sono avvicendatitutti gli architetti, vi si sono riflessi tutti i loro caratteri.Vi si trova sia il portico di gusto quasi ancora tardo Ri-nascimento, sia i primi caratteri «contegnosi» nella cu-pola e nell'inizio della facciata per la gigantesca chiesa.È un grandioso quadro riassuntivo di tutto ciò che s'èandato notando già e quindi non ci ripeteremo.

Questo secolo multanime ha lasciato le sue improntevigorose anche nell'architettura militare. Singolari operesono andate distrutte. Rimane integra la porta Fortino –ora porta Garibaldi – a Catania, ma è stata già intaccataper le opere di sistemazione del porto di Messina la«Cittadella» nella zona falcata verso lo Stretto, senzadubbio la più importante opera architettonica-militare diquesto secolo. Pur essendone stato architetto un olande-se (van Nurenberg), le varie porte e finestre che ancorarimangono nell'edificio stellare, mostrano come felice-mente cotesto architetto straniero abbia sentito il caldoinflusso del vivace ambiente siciliano.

153

turale che un lavoro cui cooperarono falangi d'artisti pertutto il secolo rappresenti tutte le fasi dell'architetturasettecentesca catanese, pure nessuna di queste fasi haqui l'esempio più rappresentativo. Vi si sono avvicendatitutti gli architetti, vi si sono riflessi tutti i loro caratteri.Vi si trova sia il portico di gusto quasi ancora tardo Ri-nascimento, sia i primi caratteri «contegnosi» nella cu-pola e nell'inizio della facciata per la gigantesca chiesa.È un grandioso quadro riassuntivo di tutto ciò che s'èandato notando già e quindi non ci ripeteremo.

Questo secolo multanime ha lasciato le sue improntevigorose anche nell'architettura militare. Singolari operesono andate distrutte. Rimane integra la porta Fortino –ora porta Garibaldi – a Catania, ma è stata già intaccataper le opere di sistemazione del porto di Messina la«Cittadella» nella zona falcata verso lo Stretto, senzadubbio la più importante opera architettonica-militare diquesto secolo. Pur essendone stato architetto un olande-se (van Nurenberg), le varie porte e finestre che ancorarimangono nell'edificio stellare, mostrano come felice-mente cotesto architetto straniero abbia sentito il caldoinflusso del vivace ambiente siciliano.

153

L'Ottocento

La costruzione dell'Orto botanico di Palermo su pro-getto e direzione dell'architetto francese Leone du Four-ny, apre virtualmente in Sicilia il neogrecismo. Il DuFourny fu un teorico più che un architetto pratico, co-struì perciò poco, ma amava di penetrare nei segretidell'arte greca e aveva dimorato nella Magna Grecia e inSicilia a scopo di studio. La costruzione che ha lasciatoa Palermo non è però l'opera di un freddo studioso, e ba-sterebbe a provarlo l'ardito tentativo di coronare l'edifi-cio, concepito come un tempio greco-siceliota, con unacupoletta, stilisticamente incompatibile, ma artistica-mente abbastanza felice nel tradurre in linguaggio gre-cizzante una idea derivata dalla «rotonda» del Palladio aVicenza.

Nel mondo degli architetti l'edificio dell'Orto botani-co fece proseliti solo fra quelli che avevano una prepa-razione di studi basata sulla visione diretta e su rilievidei resti greci e un indirizzo di arte culturale spontanea-mente avviato, se non ancora al neogreco, certamente alneoclassico. Un artista mostra d'aver subìto l'influssodel Du Fourny: Venanzio Marvuglia89. Se si studiano i

89 I comuni studi sull'architettura siceliota li resero amici, e leopere estimatori reciproci. Tornato in Francia, il Du Fourny pro-pose e ottenne che a uno degli otto posti di soci stranieri nella

154

L'Ottocento

La costruzione dell'Orto botanico di Palermo su pro-getto e direzione dell'architetto francese Leone du Four-ny, apre virtualmente in Sicilia il neogrecismo. Il DuFourny fu un teorico più che un architetto pratico, co-struì perciò poco, ma amava di penetrare nei segretidell'arte greca e aveva dimorato nella Magna Grecia e inSicilia a scopo di studio. La costruzione che ha lasciatoa Palermo non è però l'opera di un freddo studioso, e ba-sterebbe a provarlo l'ardito tentativo di coronare l'edifi-cio, concepito come un tempio greco-siceliota, con unacupoletta, stilisticamente incompatibile, ma artistica-mente abbastanza felice nel tradurre in linguaggio gre-cizzante una idea derivata dalla «rotonda» del Palladio aVicenza.

Nel mondo degli architetti l'edificio dell'Orto botani-co fece proseliti solo fra quelli che avevano una prepa-razione di studi basata sulla visione diretta e su rilievidei resti greci e un indirizzo di arte culturale spontanea-mente avviato, se non ancora al neogreco, certamente alneoclassico. Un artista mostra d'aver subìto l'influssodel Du Fourny: Venanzio Marvuglia89. Se si studiano i

89 I comuni studi sull'architettura siceliota li resero amici, e leopere estimatori reciproci. Tornato in Francia, il Du Fourny pro-pose e ottenne che a uno degli otto posti di soci stranieri nella

154

primi lavori neogreci del Marvuglia e cioè i due padi-glioni laterali dello stesso Orto botanico, si deve conclu-dere che l'influenza del Du Fourny è stata assai direttasu di lui, il che del resto è giustificato dal fatto che i pa-diglioni del Marvuglia erano un complemento dell'edifi-cio centrale del Du Fourny. Ma nell'ultima e solenne co-struzione (1806) il Marvuglia ritorna leggermente indie-tro per creare nella principesca villa Belmonteall'Acquasanta l'opera che è la naturale evoluzione diquello stile neoclassico che abbiamo visto essere il fon-damento del suo sentimento anche attraverso le opereconcepite nel Settecento. Nell'esedra d'ingresso egizia-neggiante, nel palazzo e nella fontana che si stende sulpiazzale riflettendo il loggiato a colonne sul portico adarcate, che, coronato da un frontone, sporge nel centrodell'edifico ritmico, sia infine nei chioschi circolari gre-cizzanti, coperti a calotta sferica, un senso di freddezzacoglie lo spettatore odierno, che avverte il fondo roma-no e palladiano del canovaccio compositivo predomi-nante sul gusto eclettico del complesso architettonico.Vista così la continuità evolutiva del Marvuglia, non cisembra doverci meravigliare (come ha meravigliato ilsuo biografo professor Salvatore Caronia) che il Marvu-glia quasi settantenne abbia fatto l'evoluzione verso leforme greche. Per noi non è una riforma: la spolveraturagreca ci sembra alquanto esteriore e se si riflette che

classe delle belle arti dell'Istituto di Francia, resosi vacante nel1805, fosse nominato il Marvuglia.

155

primi lavori neogreci del Marvuglia e cioè i due padi-glioni laterali dello stesso Orto botanico, si deve conclu-dere che l'influenza del Du Fourny è stata assai direttasu di lui, il che del resto è giustificato dal fatto che i pa-diglioni del Marvuglia erano un complemento dell'edifi-cio centrale del Du Fourny. Ma nell'ultima e solenne co-struzione (1806) il Marvuglia ritorna leggermente indie-tro per creare nella principesca villa Belmonteall'Acquasanta l'opera che è la naturale evoluzione diquello stile neoclassico che abbiamo visto essere il fon-damento del suo sentimento anche attraverso le opereconcepite nel Settecento. Nell'esedra d'ingresso egizia-neggiante, nel palazzo e nella fontana che si stende sulpiazzale riflettendo il loggiato a colonne sul portico adarcate, che, coronato da un frontone, sporge nel centrodell'edifico ritmico, sia infine nei chioschi circolari gre-cizzanti, coperti a calotta sferica, un senso di freddezzacoglie lo spettatore odierno, che avverte il fondo roma-no e palladiano del canovaccio compositivo predomi-nante sul gusto eclettico del complesso architettonico.Vista così la continuità evolutiva del Marvuglia, non cisembra doverci meravigliare (come ha meravigliato ilsuo biografo professor Salvatore Caronia) che il Marvu-glia quasi settantenne abbia fatto l'evoluzione verso leforme greche. Per noi non è una riforma: la spolveraturagreca ci sembra alquanto esteriore e se si riflette che

classe delle belle arti dell'Istituto di Francia, resosi vacante nel1805, fosse nominato il Marvuglia.

155

analoga e più ampia evoluzione era stata compiuta, indi-pendentemente dal Du Fourny, anche più rapidamentedal vecchio architetto Gigante, credo si possa conclude-re che la fase neogreca in entrambi sia stata lo sbocconaturale del processo evolutivo in senso neoclassico, no-tato già nella loro produzione settecentesca. Il movi-mento neogreco è stato essenzialmente intellettualisticoe di moda, mentre il neoclassicista è stato più ampio epiù profondo: non ci meraviglierà dunque di ritrovarenell'architettura siciliana dell'Ottocento più frequenti lenote neoclassiche che quelle neogreche. Ma l'esplora-zione delle rovine dei templi sicelioti da noi – come diquelle di Pompei e della Magna Grecia nell'Italia meri-dionale – svelerà più tardi a qualche architetto di Siciliacolto e sensibile talune misteriose affinità e riviviscenzedi concezioni calme e grandiose, e di particolari raffinatie squisiti. Qualche aspetto della personalità artistica delPatricolo, tutta quella del Damiani Almeyda e, più re-centemente, di Camillo Autore non si spiegheranno al-trimenti.

Trascurando le trasformazioni minori di edifici pree-sistenti rinnovati alla moda, si possono citare in Palermoil pretensioso e freddo palazzo Baucina sulle mura dellaporta dei Greci, il palazzetto Scalea, già Mockarta, quel-lo contiguo al palazzo Trabia sulle mura delle Cattive(un gioiello), quello dei sordomuti, ora istituto agrarioCastelnuovo, a mezzo Monreale e la villa Ranchibile aiLeoni. Fra le costruzioni meno solenni e più utilitarie ri-corderemo soltanto il palazzo Arcuri, ora Hôtel Central.

156

analoga e più ampia evoluzione era stata compiuta, indi-pendentemente dal Du Fourny, anche più rapidamentedal vecchio architetto Gigante, credo si possa conclude-re che la fase neogreca in entrambi sia stata lo sbocconaturale del processo evolutivo in senso neoclassico, no-tato già nella loro produzione settecentesca. Il movi-mento neogreco è stato essenzialmente intellettualisticoe di moda, mentre il neoclassicista è stato più ampio epiù profondo: non ci meraviglierà dunque di ritrovarenell'architettura siciliana dell'Ottocento più frequenti lenote neoclassiche che quelle neogreche. Ma l'esplora-zione delle rovine dei templi sicelioti da noi – come diquelle di Pompei e della Magna Grecia nell'Italia meri-dionale – svelerà più tardi a qualche architetto di Siciliacolto e sensibile talune misteriose affinità e riviviscenzedi concezioni calme e grandiose, e di particolari raffinatie squisiti. Qualche aspetto della personalità artistica delPatricolo, tutta quella del Damiani Almeyda e, più re-centemente, di Camillo Autore non si spiegheranno al-trimenti.

Trascurando le trasformazioni minori di edifici pree-sistenti rinnovati alla moda, si possono citare in Palermoil pretensioso e freddo palazzo Baucina sulle mura dellaporta dei Greci, il palazzetto Scalea, già Mockarta, quel-lo contiguo al palazzo Trabia sulle mura delle Cattive(un gioiello), quello dei sordomuti, ora istituto agrarioCastelnuovo, a mezzo Monreale e la villa Ranchibile aiLeoni. Fra le costruzioni meno solenni e più utilitarie ri-corderemo soltanto il palazzo Arcuri, ora Hôtel Central.

156

Fuori Palermo viene in prima linea la ricostruzionedopo il terremoto del 1783 della così detta Palazzata edel palazzo municipale in Messina, attuata durantel'intero secolo, ma secondo un progetto imposto ai pro-prietari delle aree verso mare, dovuto all'abate Minutolivincitore del concorso relativo del 1802.

Rispetto alla Palazzata seicentesca, la nuova del Mi-nutoli, adottando il partito a semicolonne giganteschesopra un'altra zoccolatura di un intero piano, rappresentala continuità di quella idea di «Teatro marittimo» che imessinesi di due secoli prima avevano voluto offrire achi passava per lo Stretto. La compostezza freddadell'insieme era ravvivata dall'inquadratura chiaroscura-le delle semicolonne che, elevandosi per due piani, suuna zona bugnata, per le loro proporzioni, erano più fa-cilmente percepibili a distanza. Il palazzo del Comuneche ne occupava il centro, era caratterizzato da un fron-tone che s'elevava su tutto il partito centrale verso mare,e dalla parte interna aveva un carattere più nettamentemonumentale poiché le colonne greco-romane partivanosenza base da uno stilobate leggermente rialzato. Grandiarchi, aperti nella zona basamentale esterna, infine da-vano sbocco alle strade trasversali, offrendo incornicia-ture di quadri meravigliosi sul mare e sulla costa calabraai passanti per la via interna.

Sebbene l'autore avesse voluto più nettamente caratte-rizzare le note ideali del palazzo municipale con colon-ne greco-pure, le note romano-rinascimentali prevaleva-

157

Fuori Palermo viene in prima linea la ricostruzionedopo il terremoto del 1783 della così detta Palazzata edel palazzo municipale in Messina, attuata durantel'intero secolo, ma secondo un progetto imposto ai pro-prietari delle aree verso mare, dovuto all'abate Minutolivincitore del concorso relativo del 1802.

Rispetto alla Palazzata seicentesca, la nuova del Mi-nutoli, adottando il partito a semicolonne giganteschesopra un'altra zoccolatura di un intero piano, rappresentala continuità di quella idea di «Teatro marittimo» che imessinesi di due secoli prima avevano voluto offrire achi passava per lo Stretto. La compostezza freddadell'insieme era ravvivata dall'inquadratura chiaroscura-le delle semicolonne che, elevandosi per due piani, suuna zona bugnata, per le loro proporzioni, erano più fa-cilmente percepibili a distanza. Il palazzo del Comuneche ne occupava il centro, era caratterizzato da un fron-tone che s'elevava su tutto il partito centrale verso mare,e dalla parte interna aveva un carattere più nettamentemonumentale poiché le colonne greco-romane partivanosenza base da uno stilobate leggermente rialzato. Grandiarchi, aperti nella zona basamentale esterna, infine da-vano sbocco alle strade trasversali, offrendo incornicia-ture di quadri meravigliosi sul mare e sulla costa calabraai passanti per la via interna.

Sebbene l'autore avesse voluto più nettamente caratte-rizzare le note ideali del palazzo municipale con colon-ne greco-pure, le note romano-rinascimentali prevaleva-

157

no anche qui, non del tutto raffreddate dall'astrazionegreca.

Il dissidio, fra l'utilitarismo delle case d'abitazione ela monumentalità dell'antica idea scenografica di teatromarittimo, era reso più manifesto nella realizzazione chenel progetto per l'incompiutezza di molti edifici arrestatial secondo e anche al primo piano soltanto: finché ilnuovo terremoto del 1908, con gl'incendi successivi,non lasciò che il solo ricordo del superbo concepimento.Ma bisogna rendere merito al progetto del Minutoli pernon avere accentuato le note grecizzanti effimere, mainvece quelle più stabili, quasi rinascimentali, in un di-segno, la cui attuazione egli certamente prevedeva chesi sarebbe trascinata per molto tempo.

Può avere interesse far rilevare l'interpretazione sici-liana nativamente popolare dell'arte neogreca «marvu-gliana» fatta dai costruttori locali in una lunga serie dicasette prevalentemente a due soli piani, accentuando lenote di colore dal Marvuglia stesso introdotte nei fondifra le lesenature dei padiglioni laterali dell'Orto botani-co. Allo stucco lucido bianco si oppongono ora gli into-nachi gialli o rossi ora note grigie ottenute con un para-mento rustico a ghiaiette scure. Questa intuizione, di do-ver dare risalto al partito architettonico povero di spor-genze con i suoi rincassi lievi e le sue lesene poco ag-gettanti mediante il colore, è la nota veramente siciliana,e salva tutta questa architettura minore da quella con-danna sommaria fattane in base alla monotonia delloschema identicamente ripetuto. Sono agghiaccianti, qua-

158

no anche qui, non del tutto raffreddate dall'astrazionegreca.

Il dissidio, fra l'utilitarismo delle case d'abitazione ela monumentalità dell'antica idea scenografica di teatromarittimo, era reso più manifesto nella realizzazione chenel progetto per l'incompiutezza di molti edifici arrestatial secondo e anche al primo piano soltanto: finché ilnuovo terremoto del 1908, con gl'incendi successivi,non lasciò che il solo ricordo del superbo concepimento.Ma bisogna rendere merito al progetto del Minutoli pernon avere accentuato le note grecizzanti effimere, mainvece quelle più stabili, quasi rinascimentali, in un di-segno, la cui attuazione egli certamente prevedeva chesi sarebbe trascinata per molto tempo.

Può avere interesse far rilevare l'interpretazione sici-liana nativamente popolare dell'arte neogreca «marvu-gliana» fatta dai costruttori locali in una lunga serie dicasette prevalentemente a due soli piani, accentuando lenote di colore dal Marvuglia stesso introdotte nei fondifra le lesenature dei padiglioni laterali dell'Orto botani-co. Allo stucco lucido bianco si oppongono ora gli into-nachi gialli o rossi ora note grigie ottenute con un para-mento rustico a ghiaiette scure. Questa intuizione, di do-ver dare risalto al partito architettonico povero di spor-genze con i suoi rincassi lievi e le sue lesene poco ag-gettanti mediante il colore, è la nota veramente siciliana,e salva tutta questa architettura minore da quella con-danna sommaria fattane in base alla monotonia delloschema identicamente ripetuto. Sono agghiaccianti, qua-

158

si tombali i partiti di chiese dorico-greche, come la chie-sa Madre di Gela. Bisogna venire nel tardo Ottocento aqualche opera del Patricolo o del Damiani per averevere opere d'arte in questo stile.

La corrente romantica non ha in Sicilia monumentirappresentativi importanti, né per mole, né per elevatosenso d'arte. Solo come documento singolare di schiettosapore paesano si può citare la singolare chiesa di SanPietro a Caltagirone, nella quale incrostazioni di maioli-ca locale danno sapore allo strano miscuglio di schemanormanno, di pseudo-gotico e di elementi neoclassici.Quell'attaccamento dei feudatari siciliani, durante il pri-mo periodo aragonese, che, caratterizzando il periodoarchitettonico detto chiaramontano, aveva prodotto mo-numenti tanto importanti in piena attività gotica, ora nonproduce alcun monumento d'arte vitale, non essendo ilromanticismo un fenomeno vitale e spontaneo in Sicilia.Esso fa sfoggio di scenografia nordica in una serie dipalazzi medievaleggianti, veri castelli borghesi in cuil'architettura romantica ha attuato visioni melodramma-tiche, prive di vita, di un medioevo manierato, e quasisempre di stucco e d'intonaco anziché di materiale vivo.Basta citare per tutti l'esempio più noto e più vasto: illato meridionale e quello di ponente di Palazzo Reale inPalermo. Ben diverso è il movimento di ripristino che siriscontra verso la fine del secolo, quando gli studi ar-cheologici e i restauri metodicamente intrapresi sui mo-numenti medievali, mettono in grado qualche architettostudioso e artista di costruire opere interessanti: come

159

si tombali i partiti di chiese dorico-greche, come la chie-sa Madre di Gela. Bisogna venire nel tardo Ottocento aqualche opera del Patricolo o del Damiani per averevere opere d'arte in questo stile.

La corrente romantica non ha in Sicilia monumentirappresentativi importanti, né per mole, né per elevatosenso d'arte. Solo come documento singolare di schiettosapore paesano si può citare la singolare chiesa di SanPietro a Caltagirone, nella quale incrostazioni di maioli-ca locale danno sapore allo strano miscuglio di schemanormanno, di pseudo-gotico e di elementi neoclassici.Quell'attaccamento dei feudatari siciliani, durante il pri-mo periodo aragonese, che, caratterizzando il periodoarchitettonico detto chiaramontano, aveva prodotto mo-numenti tanto importanti in piena attività gotica, ora nonproduce alcun monumento d'arte vitale, non essendo ilromanticismo un fenomeno vitale e spontaneo in Sicilia.Esso fa sfoggio di scenografia nordica in una serie dipalazzi medievaleggianti, veri castelli borghesi in cuil'architettura romantica ha attuato visioni melodramma-tiche, prive di vita, di un medioevo manierato, e quasisempre di stucco e d'intonaco anziché di materiale vivo.Basta citare per tutti l'esempio più noto e più vasto: illato meridionale e quello di ponente di Palazzo Reale inPalermo. Ben diverso è il movimento di ripristino che siriscontra verso la fine del secolo, quando gli studi ar-cheologici e i restauri metodicamente intrapresi sui mo-numenti medievali, mettono in grado qualche architettostudioso e artista di costruire opere interessanti: come

159

quando per il barone Pennisi l'architetto Giuseppe Patri-colo, il più distinto sovraintendente ai monumenti di Si-cilia, costruì la bella villa-castello che anche oggi siguarda con interesse anche dal visitatore di passaggio,presso la stazione di Acireale o, pel comune di Castelve-trano, il teatro grecizzante.

Nella provincia di Agrigento e Sciacca l'ingegnereGravanti innalzò parecchie opere: palazzo Tagliavia diSan Giacomo, a Sciacca; palazzo detto dell'Orologio adAgrigento (1856) e, sempre in pseudo-gotico, perfino lostabilimento mercantile Gold-heart in Porto Empedocle!Del tipo di ripristino, ancora non sorretto da vigorosistudi, e quindi manierato, citeremo soltanto il rifacimen-to in istile pseudo-chiaramontano del complesso di torrie torricelle innalzate dall'architetto Palazzotto sull'anticagrande facciata della cattedrale palermitana e comunicacon essa mediante due ponti che scavalcano la via. Lacorrente di ripristino che all'esterno s'inizia coincidendocol movimento neo-greco, in Sicilia non appare chemolto tardi, come uno dei molteplici aspetti dell'ecletti-smo dominante in Europa per tutta la seconda metà delsecolo. L'eclettismo invece, in senso stretto, cioè comemescolanza di elementi tratti da diversi stili e cementatise non fusi in composizione originale da un tempera-mento coordinatore prepotente ed esuberante, si puòdire che non abbia avuto rappresentanti ottocenteschinella terra per eccellenza eclettica in architettura. Fre-quente invece è stato il caso che, contemporaneamenteper opera di parecchi architetti o anche di uno stesso

160

quando per il barone Pennisi l'architetto Giuseppe Patri-colo, il più distinto sovraintendente ai monumenti di Si-cilia, costruì la bella villa-castello che anche oggi siguarda con interesse anche dal visitatore di passaggio,presso la stazione di Acireale o, pel comune di Castelve-trano, il teatro grecizzante.

Nella provincia di Agrigento e Sciacca l'ingegnereGravanti innalzò parecchie opere: palazzo Tagliavia diSan Giacomo, a Sciacca; palazzo detto dell'Orologio adAgrigento (1856) e, sempre in pseudo-gotico, perfino lostabilimento mercantile Gold-heart in Porto Empedocle!Del tipo di ripristino, ancora non sorretto da vigorosistudi, e quindi manierato, citeremo soltanto il rifacimen-to in istile pseudo-chiaramontano del complesso di torrie torricelle innalzate dall'architetto Palazzotto sull'anticagrande facciata della cattedrale palermitana e comunicacon essa mediante due ponti che scavalcano la via. Lacorrente di ripristino che all'esterno s'inizia coincidendocol movimento neo-greco, in Sicilia non appare chemolto tardi, come uno dei molteplici aspetti dell'ecletti-smo dominante in Europa per tutta la seconda metà delsecolo. L'eclettismo invece, in senso stretto, cioè comemescolanza di elementi tratti da diversi stili e cementatise non fusi in composizione originale da un tempera-mento coordinatore prepotente ed esuberante, si puòdire che non abbia avuto rappresentanti ottocenteschinella terra per eccellenza eclettica in architettura. Fre-quente invece è stato il caso che, contemporaneamenteper opera di parecchi architetti o anche di uno stesso

160

temperamento assimilatore e culturale, sorgesse un com-plesso di opere architettoniche ispirate a stili diversi. Unesempio dei più interessanti è offerto nel declinare delsecolo (1872) dall'architetto messinese Leone Savoianella costruzione del bel camposanto di Messina che siestende a proscenio sull'altura in vista dello stupendostretto. L'ingresso è neoclassico, più propriamente in sti-le impero; il solenne famedio che si apre verso mare colsuo colonnato jonico continuo su un largo ripiano dellacollina è greco-romano; la chiesetta che corona l'altura ègotica e lancia le sue guglie acute verso il cielo. Mal'idea di aderire allo stato d'animo di chi accompagna gliestinti ci pare evidente nell'autore e giustifica la diversaespressione architettonica adottata: è quasi un crescendodal gelido mortale dell'ingresso, alla solennità onorariache presiede all'accolta delle tombe degli uomini illustri,infine allo slancio cristiano del credente in una rivivi-scenza in una vita superiore.

Nella prima metà del secolo formano anelli di con-giunzione con la corrente neogreca qualche teatro, qual-che chiesa, qualche edificio pubblico freddamente neo-classico (per esempio, il palazzo delle Finanze a Paler-mo). Dopo l'annessione al regno d'Italia abbiamo un ri-stagno di attività architettonica derivante dalla necessitàdi utilizzare gli immensi locali resi liberi dagli edittiprodittatoriali, che portarono allo sconvolgimento dimolte organizzazioni religiose. Biblioteche, archivi, mu-sei, preture, uffici vari e financo ospedali sono accoltinegli edifici barocchi conventuali di cui abbiamo dato

161

temperamento assimilatore e culturale, sorgesse un com-plesso di opere architettoniche ispirate a stili diversi. Unesempio dei più interessanti è offerto nel declinare delsecolo (1872) dall'architetto messinese Leone Savoianella costruzione del bel camposanto di Messina che siestende a proscenio sull'altura in vista dello stupendostretto. L'ingresso è neoclassico, più propriamente in sti-le impero; il solenne famedio che si apre verso mare colsuo colonnato jonico continuo su un largo ripiano dellacollina è greco-romano; la chiesetta che corona l'altura ègotica e lancia le sue guglie acute verso il cielo. Mal'idea di aderire allo stato d'animo di chi accompagna gliestinti ci pare evidente nell'autore e giustifica la diversaespressione architettonica adottata: è quasi un crescendodal gelido mortale dell'ingresso, alla solennità onorariache presiede all'accolta delle tombe degli uomini illustri,infine allo slancio cristiano del credente in una rivivi-scenza in una vita superiore.

Nella prima metà del secolo formano anelli di con-giunzione con la corrente neogreca qualche teatro, qual-che chiesa, qualche edificio pubblico freddamente neo-classico (per esempio, il palazzo delle Finanze a Paler-mo). Dopo l'annessione al regno d'Italia abbiamo un ri-stagno di attività architettonica derivante dalla necessitàdi utilizzare gli immensi locali resi liberi dagli edittiprodittatoriali, che portarono allo sconvolgimento dimolte organizzazioni religiose. Biblioteche, archivi, mu-sei, preture, uffici vari e financo ospedali sono accoltinegli edifici barocchi conventuali di cui abbiamo dato

161

un cenno trattando del Seicento e Settecento. Anche inparte i palazzi reali e gli edifici vice-regi utilizzati allostesso uso hanno impedito la costruzione ex novo di unagran quantità di edifici pubblici. Solo da recente, spe-cialmente nel secolo attuale, anche in Sicilia si è ripresala costruzione di scuole, di ospedali, palazzi di giustiziaed edifici di cultura fisica; senza parlare di imponentiopere pubbliche, più propriamente di ingegneria. L'Otto-cento, con l'elevazione delle classi sociali borghesi eoperaie, sentì maggiormente il bisogno in Sicilia di edi-fici di pubblico spettacolo, per i quali erano assoluta-mente inadatti i piccoli teatri di corte borbonica, chevennero adattati a teatri di prosa.

Prima città a elevare un ampio teatro fu Messina, conl'ancora superstite teatro neoclassico eretto sui disegnidell'architetto napoletano Pietro Valente (nel 1852); piùtardi (dopo il 1873) seguirono i grandi teatri lirici, ilBellini di Catania (architetti Scala e Sada) e, per concor-so, il Massimo di Palermo dell'architetto Giovanni Batti-sta Filippo Basile (1825-1891).

Il secondo graduato in quel concorso, l'architetto ca-puano Giuseppe Damiani de Almeyda (1834-1911) co-struì, per il Comune di Palermo, il Politeama Garibaldi.Col Basile e col Damiani siamo ai maggiori rappresen-tanti dell'architettura in Sicilia sullo scorcio del secolopassato e, possiamo dire, ai maggiori architetti italianidell'Ottocento. Già l'illustre architetto Semper, presiden-te della commissione del detto concorso internazionale,nella sua relazione aveva tessuto un inno al rifiorire

162

un cenno trattando del Seicento e Settecento. Anche inparte i palazzi reali e gli edifici vice-regi utilizzati allostesso uso hanno impedito la costruzione ex novo di unagran quantità di edifici pubblici. Solo da recente, spe-cialmente nel secolo attuale, anche in Sicilia si è ripresala costruzione di scuole, di ospedali, palazzi di giustiziaed edifici di cultura fisica; senza parlare di imponentiopere pubbliche, più propriamente di ingegneria. L'Otto-cento, con l'elevazione delle classi sociali borghesi eoperaie, sentì maggiormente il bisogno in Sicilia di edi-fici di pubblico spettacolo, per i quali erano assoluta-mente inadatti i piccoli teatri di corte borbonica, chevennero adattati a teatri di prosa.

Prima città a elevare un ampio teatro fu Messina, conl'ancora superstite teatro neoclassico eretto sui disegnidell'architetto napoletano Pietro Valente (nel 1852); piùtardi (dopo il 1873) seguirono i grandi teatri lirici, ilBellini di Catania (architetti Scala e Sada) e, per concor-so, il Massimo di Palermo dell'architetto Giovanni Batti-sta Filippo Basile (1825-1891).

Il secondo graduato in quel concorso, l'architetto ca-puano Giuseppe Damiani de Almeyda (1834-1911) co-struì, per il Comune di Palermo, il Politeama Garibaldi.Col Basile e col Damiani siamo ai maggiori rappresen-tanti dell'architettura in Sicilia sullo scorcio del secolopassato e, possiamo dire, ai maggiori architetti italianidell'Ottocento. Già l'illustre architetto Semper, presiden-te della commissione del detto concorso internazionale,nella sua relazione aveva tessuto un inno al rifiorire

162

dell'architettura siciliana. E realmente dopo le fredde co-struzioni del vecchio Palazzotto e quelle rinascimentalidell'architetto Di Bartolo (palazzo Genuardi in via Ma-queda), le costruzioni del Basile e del Damiani portanoin una sfera d'arte veramente superiore. Il classicismo inloro cessa di essere una maniera per diventare una visio-ne di poesia, allo stesso modo del discusso classicismocarducciano.

Chiamati entrambi a insegnare architettura, fondaronodue scuole che con la loro emulazione tennero un fer-mento di studi e di opere per cui Palermo diventò uncentro dei più vivi d'Italia. I due capiscuola furono arti-sti di assai diverso temperamento. Più geniale forse ilDamiani, fu superato dal Basile padre per nobiltà diispirazione nutrita da studi profondi, sgombri da precon-cetti accademici. Le sue indagini sulle caratteristiche diquello speciale corinzio antico, e ch'egli pertanto chia-mò in una monografia «corinzio italico», lo portaronoad adottarlo all'esterno del suo monumentale teatroMassimo, che resta la più complessa e maggiore operadi architettura siciliana di tutto l'Ottocento.

Artista riflessivo, elaborò una pianta (per attuare laquale dovettero abbattersi chiese e monasteri e crearepiazze e strade) che ai suoi tempi teneva conto di tutti ipiù recenti studi sui teatri, segnatamente di quelli fattidal Garniera per il Nouvel Opéra di Parigi. Anche urba-nisticamente questo teatro segna un progresso con quel-la via carrozzabile che lo attraversa trasversalmente perdividere le correnti dei palchi da quelle di platea. La

163

dell'architettura siciliana. E realmente dopo le fredde co-struzioni del vecchio Palazzotto e quelle rinascimentalidell'architetto Di Bartolo (palazzo Genuardi in via Ma-queda), le costruzioni del Basile e del Damiani portanoin una sfera d'arte veramente superiore. Il classicismo inloro cessa di essere una maniera per diventare una visio-ne di poesia, allo stesso modo del discusso classicismocarducciano.

Chiamati entrambi a insegnare architettura, fondaronodue scuole che con la loro emulazione tennero un fer-mento di studi e di opere per cui Palermo diventò uncentro dei più vivi d'Italia. I due capiscuola furono arti-sti di assai diverso temperamento. Più geniale forse ilDamiani, fu superato dal Basile padre per nobiltà diispirazione nutrita da studi profondi, sgombri da precon-cetti accademici. Le sue indagini sulle caratteristiche diquello speciale corinzio antico, e ch'egli pertanto chia-mò in una monografia «corinzio italico», lo portaronoad adottarlo all'esterno del suo monumentale teatroMassimo, che resta la più complessa e maggiore operadi architettura siciliana di tutto l'Ottocento.

Artista riflessivo, elaborò una pianta (per attuare laquale dovettero abbattersi chiese e monasteri e crearepiazze e strade) che ai suoi tempi teneva conto di tutti ipiù recenti studi sui teatri, segnatamente di quelli fattidal Garniera per il Nouvel Opéra di Parigi. Anche urba-nisticamente questo teatro segna un progresso con quel-la via carrozzabile che lo attraversa trasversalmente perdividere le correnti dei palchi da quelle di platea. La

163

grande scalinata esterna a piè del pronao a colonne oc-corsa per superare il dislivello della volta-solaio che co-pre detta via interna, conferisce monumentalità all'insie-me e all'ordine corinzio che nei fianchi e nella parte po-steriore si eleva sopra un alto piedestallo, sul quales'impostano gli archi della zona basamentale, traendoesempio dall'originale palazzo sangalliano Tarugi diMontepulciano90. Perché la sua massima opera avesse agareggiare con le antiche G. B. Filippo Basile fece riat-tivare antiche cave di magnifico tufo e tenne lezioni se-rali per intagliatori che contribuirono a ricostituire leabilissime maestranze di cui s'era perduto lo stampo nel-la decadenza dell'architettura intonacata ottocentesca.

Allo stucco a vivi colori e in minor misura al graffitoaffidò invece il Damiani il gustoso, policromo aspettoesterno e interno del suo geniale Politeama, adottandoper esso le forme pompeiane da lui lungamente studiate

90 L'affermazione di questa derivazione sangalliana ha l'aval-lo autorevolissimo del figlio, il grandissimo anche lui, architettoErnesto, che fu cooperatore e infine ultimatore dell'opera paterna.Perciò la lasciamo; sentiamo però in noi vivo il desiderio di cre-dere che fonti siciliane ben più efficaci siano state alcuni pubblicipalazzi dell'architetto Natale Bonaiuto (dell'ultimo quarto delXVIII secolo) in Caltagirone (per esempio, ex Monte delle Pre-stanze, ora Banco di Sicilia, ex carcere ora Monte di Pietà) carat-terizzati dalla costante imposta di archi al pianterreno su cornici ofasce di coronamento a piedistalli di ordini. Riteniamo ciò perchéG. B. Filippo Basile ebbe familiare Caltagirone, ove progettò e si-stemò splendidamente la bella villa comunale che è vanto di quel-la città.

164

grande scalinata esterna a piè del pronao a colonne oc-corsa per superare il dislivello della volta-solaio che co-pre detta via interna, conferisce monumentalità all'insie-me e all'ordine corinzio che nei fianchi e nella parte po-steriore si eleva sopra un alto piedestallo, sul quales'impostano gli archi della zona basamentale, traendoesempio dall'originale palazzo sangalliano Tarugi diMontepulciano90. Perché la sua massima opera avesse agareggiare con le antiche G. B. Filippo Basile fece riat-tivare antiche cave di magnifico tufo e tenne lezioni se-rali per intagliatori che contribuirono a ricostituire leabilissime maestranze di cui s'era perduto lo stampo nel-la decadenza dell'architettura intonacata ottocentesca.

Allo stucco a vivi colori e in minor misura al graffitoaffidò invece il Damiani il gustoso, policromo aspettoesterno e interno del suo geniale Politeama, adottandoper esso le forme pompeiane da lui lungamente studiate

90 L'affermazione di questa derivazione sangalliana ha l'aval-lo autorevolissimo del figlio, il grandissimo anche lui, architettoErnesto, che fu cooperatore e infine ultimatore dell'opera paterna.Perciò la lasciamo; sentiamo però in noi vivo il desiderio di cre-dere che fonti siciliane ben più efficaci siano state alcuni pubblicipalazzi dell'architetto Natale Bonaiuto (dell'ultimo quarto delXVIII secolo) in Caltagirone (per esempio, ex Monte delle Pre-stanze, ora Banco di Sicilia, ex carcere ora Monte di Pietà) carat-terizzati dalla costante imposta di archi al pianterreno su cornici ofasce di coronamento a piedistalli di ordini. Riteniamo ciò perchéG. B. Filippo Basile ebbe familiare Caltagirone, ove progettò e si-stemò splendidamente la bella villa comunale che è vanto di quel-la città.

164

e rivissute nella sua formazione napoletana. Nuoce aquest'ora l'ubicazione dal lato depresso della piazza Ca-stelnuovo senza congrua sopraelevazione: invece l'averemanifestato all'esterno la forma curva della sala con co-lonnati funzionanti da foyer intestantisi con l'ardito arcotrionfale d'ingresso, ha conferito carattere e vivacitàspiccate a quest'opera che sembra nata di getto e che fuinvece meditatissima, specie nel complesso sistema dicopertura sulle metalliche colonne delle cavee. Entram-be queste nobili opere, tanto diverse fra l'austerità dellaprima e la vivace energia della seconda, testimoniano almassimo grado sulla capacità, di cui erano perfettamen-te convinti gli architetti, di esprimere la propria persona-lità anche attraverso l'interpretazione più profonda delleforme del passato.

Alla fine della sua carriera G. B. Filippo Basile tentòla creazione di forme che sembrarono nuove, e ora ma-nifestano l'eclettismo che impregnava tutto alla finedell'Ottocento.

La casina Favaloro a Palermo e la cappella Micali alcimitero di Messina rappresentano non felici tentativi diuna lodevole tendenza al rinnovamento che nella suc-cessiva e più matura generazione doveva dare i suoifrutti attraverso l'opera personalissima del figlio Ernesto(1857-1932). Il quale nel mutamento d'indirizzo odiernoha avuto il valore di Matteo Carnilivari alla fine delQuattrocento, ed è passato alla storia come uno dei crea-tori dello «stil nuovo». (Opere: villino Florio a Palermo,il rinnovamento del palazzo del Parlamento a Roma, pa-

165

e rivissute nella sua formazione napoletana. Nuoce aquest'ora l'ubicazione dal lato depresso della piazza Ca-stelnuovo senza congrua sopraelevazione: invece l'averemanifestato all'esterno la forma curva della sala con co-lonnati funzionanti da foyer intestantisi con l'ardito arcotrionfale d'ingresso, ha conferito carattere e vivacitàspiccate a quest'opera che sembra nata di getto e che fuinvece meditatissima, specie nel complesso sistema dicopertura sulle metalliche colonne delle cavee. Entram-be queste nobili opere, tanto diverse fra l'austerità dellaprima e la vivace energia della seconda, testimoniano almassimo grado sulla capacità, di cui erano perfettamen-te convinti gli architetti, di esprimere la propria persona-lità anche attraverso l'interpretazione più profonda delleforme del passato.

Alla fine della sua carriera G. B. Filippo Basile tentòla creazione di forme che sembrarono nuove, e ora ma-nifestano l'eclettismo che impregnava tutto alla finedell'Ottocento.

La casina Favaloro a Palermo e la cappella Micali alcimitero di Messina rappresentano non felici tentativi diuna lodevole tendenza al rinnovamento che nella suc-cessiva e più matura generazione doveva dare i suoifrutti attraverso l'opera personalissima del figlio Ernesto(1857-1932). Il quale nel mutamento d'indirizzo odiernoha avuto il valore di Matteo Carnilivari alla fine delQuattrocento, ed è passato alla storia come uno dei crea-tori dello «stil nuovo». (Opere: villino Florio a Palermo,il rinnovamento del palazzo del Parlamento a Roma, pa-

165

lazzo della Cassa di Risparmio in Palermo, palazzo ecappella del principe di Manganelli a Catania, del prin-cipe di Deliella, del conte di Paternò, villa del baroneFassini e molte altre a Palermo, palazzo comunale diReggio Calabria, teatro Biondo a Palermo, Club tiro avolo e molte cappelle, chioschi, stand per esposizioni,arredamento per la ditta Ducrot ecc.)

Trascurando le opere minori, del Damiani sono da se-gnalare i kaffehaüser della villa Giulia, opere anch'esseoriginali in stile pompeiano, qualche teatro di città mi-nore (Siracusa), il palazzo delle scuole in piazza Marmie soprattutto l'archivio comunale di Palermo e la robu-sta, ferrigna fronte della fonderia Oretea splendidamentecaratterizzata e purtroppo ora demolita. A queste treeminenti figure d'architetti tengono dietro altri attivi co-struttori di quel periodo: ricorderemo il Palazzotto ju-nior, il Rivas, Raffaele Autore e Antonio Zanca. Interes-santi figure di architetti ha dato anche la più giovanescuola di Ernesto Basile, dei quali citiamo solo ErnestoArmò e C. Autore perché scomparsi.

Qui si giunge al limite della storia, e si entra nella cri-tica militante; ma pur essendo il compito propostocistrettamente storico non sarebbe giusto omettere un cen-no delle principali opere contemporanee, perché testi-moniano di una ripresa fervidissima di attività architet-tonica incitata dagli enti locali, ma soprattutto dal go-verno fascista. Le massime opere create recentemente inSicilia sono i palazzi postali: due dell'architetto trentinoA. Mazzoni del ministero delle Comunicazioni (Paler-

166

lazzo della Cassa di Risparmio in Palermo, palazzo ecappella del principe di Manganelli a Catania, del prin-cipe di Deliella, del conte di Paternò, villa del baroneFassini e molte altre a Palermo, palazzo comunale diReggio Calabria, teatro Biondo a Palermo, Club tiro avolo e molte cappelle, chioschi, stand per esposizioni,arredamento per la ditta Ducrot ecc.)

Trascurando le opere minori, del Damiani sono da se-gnalare i kaffehaüser della villa Giulia, opere anch'esseoriginali in stile pompeiano, qualche teatro di città mi-nore (Siracusa), il palazzo delle scuole in piazza Marmie soprattutto l'archivio comunale di Palermo e la robu-sta, ferrigna fronte della fonderia Oretea splendidamentecaratterizzata e purtroppo ora demolita. A queste treeminenti figure d'architetti tengono dietro altri attivi co-struttori di quel periodo: ricorderemo il Palazzotto ju-nior, il Rivas, Raffaele Autore e Antonio Zanca. Interes-santi figure di architetti ha dato anche la più giovanescuola di Ernesto Basile, dei quali citiamo solo ErnestoArmò e C. Autore perché scomparsi.

Qui si giunge al limite della storia, e si entra nella cri-tica militante; ma pur essendo il compito propostocistrettamente storico non sarebbe giusto omettere un cen-no delle principali opere contemporanee, perché testi-moniano di una ripresa fervidissima di attività architet-tonica incitata dagli enti locali, ma soprattutto dal go-verno fascista. Le massime opere create recentemente inSicilia sono i palazzi postali: due dell'architetto trentinoA. Mazzoni del ministero delle Comunicazioni (Paler-

166

mo e Agrigento) e due dell'architetto catanese F. Fichera(Catania e Siracusa). Assai lodevole l'attività del Bancodi Sicilia nel costruire le proprie sedi di Palermo e Sira-cusa (ingegnere S. Caronia), di Caltanissetta (ingegnere-architetto Zanca) e quella di Messina su un'area vincola-ta all'esterno architettonicamente dal Comune al proget-to per la nuova «Palazzata», che sarà eseguita secondo ilprogetto vincitore del concorso nazionale degli architettiCamillo Autore e Giuseppe Samonà. Ma su tutti i nuoviedifizi emerge per merito d'arte il nuovo palazzo di Giu-stizia di Messina di Marcello Piacentini.

Nella affrettata ricostruzione della martoriata cittànon si sono avute manifestazioni assai notevoli, né fragli edifici pubblici né fra i privati. Fra questi ultimi persenso d'arte son da citare forse due palazzetti degli ar-chitetti siracusani G. ed E. Rapisardi, fra quelli deglienti locali è notevole la vasta nuova sede municipalemessinese del palermitano Antonio Zanca (al quale sideve anche il nuovo Policlinico Universitario di Paler-mo). Delle moltissime nuove chiese erette dall'attivo ar-civescovo di Messina, è meglio tacere: quella curia ècerto stata assai più felice nel risolvere i difficili proble-mi pratici e finanziari anziché nell'impostare gli artistici:e l'aver lasciato quasi inefficace l'esito dei concorsi na-zionali a tal uopo banditi, ne è la prova. Per i gravi pro-blemi di restauro e tecnici nell'assicurare la stabilità diun edificio rifatto nell'imponente altezza dei tempi nor-manni si può far menzione della ricostruzione laboriosadel Duomo, in gran parte abbattuto dal terremoto del

167

mo e Agrigento) e due dell'architetto catanese F. Fichera(Catania e Siracusa). Assai lodevole l'attività del Bancodi Sicilia nel costruire le proprie sedi di Palermo e Sira-cusa (ingegnere S. Caronia), di Caltanissetta (ingegnere-architetto Zanca) e quella di Messina su un'area vincola-ta all'esterno architettonicamente dal Comune al proget-to per la nuova «Palazzata», che sarà eseguita secondo ilprogetto vincitore del concorso nazionale degli architettiCamillo Autore e Giuseppe Samonà. Ma su tutti i nuoviedifizi emerge per merito d'arte il nuovo palazzo di Giu-stizia di Messina di Marcello Piacentini.

Nella affrettata ricostruzione della martoriata cittànon si sono avute manifestazioni assai notevoli, né fragli edifici pubblici né fra i privati. Fra questi ultimi persenso d'arte son da citare forse due palazzetti degli ar-chitetti siracusani G. ed E. Rapisardi, fra quelli deglienti locali è notevole la vasta nuova sede municipalemessinese del palermitano Antonio Zanca (al quale sideve anche il nuovo Policlinico Universitario di Paler-mo). Delle moltissime nuove chiese erette dall'attivo ar-civescovo di Messina, è meglio tacere: quella curia ècerto stata assai più felice nel risolvere i difficili proble-mi pratici e finanziari anziché nell'impostare gli artistici:e l'aver lasciato quasi inefficace l'esito dei concorsi na-zionali a tal uopo banditi, ne è la prova. Per i gravi pro-blemi di restauro e tecnici nell'assicurare la stabilità diun edificio rifatto nell'imponente altezza dei tempi nor-manni si può far menzione della ricostruzione laboriosadel Duomo, in gran parte abbattuto dal terremoto del

167

1908, anche se le soluzioni artistiche non sono stateesenti da critiche.

168

1908, anche se le soluzioni artistiche non sono stateesenti da critiche.

168

169

1. SIRACUSA. Duomo, Colonne del tempio di Athena(V sec. a. C.)

169

1. SIRACUSA. Duomo, Colonne del tempio di Athena(V sec. a. C.)

170

2. AGRIGENTO. Tempio della Concordia (V sec. a. C.)

170

2. AGRIGENTO. Tempio della Concordia (V sec. a. C.)

171

3. TINDARI. La basilica (IV sec. a. C.)

171

3. TINDARI. La basilica (IV sec. a. C.)

172

4. MONREALE. Cattedrale (XII sec.), capitello d'arte romana

172

4. MONREALE. Cattedrale (XII sec.), capitello d'arte romana

173

5. FORZA D'AGRÒ. Chiesa di San Pietro e Paolo, corpo ab-sidale (XII sec.)

173

5. FORZA D'AGRÒ. Chiesa di San Pietro e Paolo, corpo ab-sidale (XII sec.)

174

6. SIRACUSA. Castello Maniace, interno (XIII sec.)

174

6. SIRACUSA. Castello Maniace, interno (XIII sec.)

175

7. TAORMINA. Palazzo Corvaja, dettaglio (XV sec.)

175

7. TAORMINA. Palazzo Corvaja, dettaglio (XV sec.)

176

8. PALERMO. Chiesa di S. Maria della Catena, porticod'ingresso, arch. Matteo Carnilivari (fine XV sec.)

176

8. PALERMO. Chiesa di S. Maria della Catena, porticod'ingresso, arch. Matteo Carnilivari (fine XV sec.)

177

9. PALERMO. Chiesa di S. Maria dei Miracoli, arch. Fazio Ga-gini (XVI sec.)

177

9. PALERMO. Chiesa di S. Maria dei Miracoli, arch. Fazio Ga-gini (XVI sec.)

178

10. PALERMO. Chiesa di San Giorgio dei Genovesi, arch.Giorgio di Faccio (fine XVI sec.)

178

10. PALERMO. Chiesa di San Giorgio dei Genovesi, arch.Giorgio di Faccio (fine XVI sec.)

179

11. PALERMO. Palazzo di Santa Rosalia (inizi XVII sec.), rilie-vo del portale (a cura dell'arch. G. Spatrisano)

179

11. PALERMO. Palazzo di Santa Rosalia (inizi XVII sec.), rilie-vo del portale (a cura dell'arch. G. Spatrisano)

180

12. PALERMO. Palazzo di Santa Rosalia (inizi XVII sec.), rilie-vo della finestra-balcone (a cura dell'arch. G. Spatrisano)

180

12. PALERMO. Palazzo di Santa Rosalia (inizi XVII sec.), rilie-vo della finestra-balcone (a cura dell'arch. G. Spatrisano)

181

13. SIRACUSA. Palazzo municipale, arch. Giovanni Vermexio(XVII sec.)

181

13. SIRACUSA. Palazzo municipale, arch. Giovanni Vermexio(XVII sec.)

182

14. PALERMO. Chiesa di S. Maria della Pietà, arch. GiacomoAmato (XVII sec.)

182

14. PALERMO. Chiesa di S. Maria della Pietà, arch. GiacomoAmato (XVII sec.)

183

15. PALERMO. Chiesa del Carmine, cupola, arch. MarianoSmiriglio (XVII sec.)

183

15. PALERMO. Chiesa del Carmine, cupola, arch. MarianoSmiriglio (XVII sec.)

184

16. PALERMO. Scalea di palazzo Bonagia, arch. Andrea Gi-gante (XVIII sec.)

184

16. PALERMO. Scalea di palazzo Bonagia, arch. Andrea Gi-gante (XVIII sec.)

185

17. NOTO. Chiesa di San Domenico, arch. Rosario Gagliardi(XVIII sec.)

185

17. NOTO. Chiesa di San Domenico, arch. Rosario Gagliardi(XVIII sec.)

186

18. PALERMO. Teatro Politeama, arch. Giuseppe Damiani Al-meyda (XIX sec.)

186

18. PALERMO. Teatro Politeama, arch. Giuseppe Damiani Al-meyda (XIX sec.)