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BREVE STORIA

DELLA MEDICINA

DEL LAVORO ITALIANA

Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica

N. Castellino - V. Anzelmo - G. Castellani - F. Pofi

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N. CASTELLINO, V. ANZELMO, G. CASTELLANI, F. POFI

BREVE STORIA DELLA MEDICINADEL LAVORO ITALIANA

Roma 2000

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GLI AUTORI

Prof. Nicolò Castellino:Titolare della Cattedra di Medicina del Lavoro della Facoltà di Medicina e Chirurgiadell’Università Cattolica del S. Cuore di RomaDirettore dell’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università Cattolica del S. Cuoredi RomaPresidente della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale

Dott. Vincenza Anzelmo:Specialista in Medicina del Lavoro – Università Cattolica del S. Cuore di Roma

Dott. Giulia Castellani:Specializzanda in Medicina del Lavoro – Università Cattolica del S. Cuore di Roma

Dott. Francesca Pofi:Specialista in Medicina del Lavoro – Università Cattolica del S. Cuore di Roma

© 2000 I.S.U. Università Cattolica – Largo Gemelli, 1 – Milanohttp://editoriale.cjb.netISBN 88-8311-083-8

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INDICE

INTRODUZIONE ................................................................................................. 7

GLI ALBORI DELLA MEDICINA DEL LAVORODAL I CONGRESSO NAZIONALEAL I CONFLITTO BELLICO MONDIALE...........................................................15

LA MEDICINA DEL LAVORO TRA I DUECONFLITTI BELLICI MONDIALI .......................................................................31

La Medicina del Lavoro in agricoltura ....................................................38L’Organizzazione scientifica del lavoro (O.S.d.L.) ed ilTaylorismo ..................................................................................................64La Silicosi.....................................................................................................82

LA MEDICINA DEL LAVORO DAL SECONDO DOPOGUERRA ...................103Il lavoro femminile...................................................................................111L’igiene industriale ed i limiti di esposizione........................................125Il servizio sanitario nei luoghi di lavoro................................................136Ossicarbonismo........................................................................................165

CONCLUSIONI.................................................................................................177

NOTE...............................................................................................................179

APPENDICE.....................................................................................................249

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Nel ricordare il carissimo amico OlivieroMasci, ricercatore presso il nostro Istituto,di recente tragicamente scomparso, deside-riamo dedicargli questo nostro lavoro aconferma dell’affetto e della stima che gliabbiamo sempre portato per le sue qualitàmorali, professionali ed umane.

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Padre Agostino Gemelli, fondatore della Facoltà di Medicina e Chirurgia dellaUniversità Cattolica del S. Cuore – di cui l’annesso Ospedale porta il nome – è statoun entusiasta e convinto sostenitore dell’importanza degli studi sulla salute deilavoratori e volle inserire l’insegnamento di Medicina del Lavoro nello Statuto dellaSua Facoltà. Purtroppo egli morì prima di vedere completamente realizzata la Suaopera.

Padre Gemelli considerava il lavoro organizzato scientificamente una tappaobbligata verso soluzioni definitive che affrancassero l’uomo dal lavoro “improvvisato”ed usurante e lo collocassero in un contesto che se anche apparentemente più rigido,fosse più rispondente alle esigenze del progresso tecnologico. Egli affermò che le malattiedei lavoratori “... sono l’indice, per la loro frequenza, di una cattiva organizzazionedel lavoro, di una tecnica male indirizzata, sono manifestazioni di una politicaeconomica erronea...”. Con grosso impegno, avendo egli intuito l’importanza di questaDisciplina – che ha spiccati caratteri socio-sanitari ed umani – ne auspicò ilprogresso, anche se la sua formazione privilegiava la ricerca scientifica nell’ambitodella psicotecnica.

Quando Giuseppe Toniolo gli propose di approfondire lo studio delle malattie dalavoro, ebbe delle grosse perplessità temendo che, per la sua formazione di ricercatore,non sarebbe stato all’altezza di questo impegno; Egli intuiva quanto il campo fossevasto e, con eccessiva modestia, ne rimaneva sgomento.

Per la sinteticità di questo nostro testo, non abbiamo avuto modo di citarlo, ancheperché non abbiamo allargato gli orizzonti della Medicina del Lavoro verso tutte lesue componenti scientifiche ed i suoi numerosi aspetti particolari. Comunque numerosisono stati gli interventi di Padre Gemelli nei Congressi di Medicina del Lavoro,prevalentemente diretti alle implicazioni psicotecniche di cui egli fu un illustre pioniereed un esempio interessante è stato il suo studio sulle attitudini professionali degli avierie di altre attività ad elevato contenuto psicofisico.

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INTRODUZIONE

Non è stata nostra intenzione scrivere un testo – breve e sommarioche fosse – sulla Medicina del Lavoro, in quanto compito che abbiamoritenuto arduo ed impegnativo e per il quale ci siamo sentiti impreparati;per contro ci ha sempre stimolato l’idea di esaminare il cammino, lungo efaticoso, della Medicina del Lavoro, dal suo esordio ad oggi, per valutarealcuni aspetti tecnici e sanitari e formulare considerazioni in merito adalcune posizioni sociali e politiche che essa ha dovuto assumere peraffermarsi.

C’è sembrato possibile affrontare questo differente impegno acondizione, però, che esso rimanesse contenuto nel suo reale significatodi discorso divulgativo, con riflessioni personali, il più possibiledocumentate attraverso gli Atti congressuali ed altri scritti delle epochetrascorse. Come già affermato, ciò corrispondeva, da una parte, asoddisfare una nostra ambizione, mentre dall’altra appagava il desiderioche la storia della nostra Disciplina non andasse dimenticata, ma alcontrario fosse illustrata ai più giovani.

Da queste riflessioni è venuto fuori questo testo al quale abbiamolavorato con passione e con impegno, cercando di rimanere sempreaderenti ai fatti, “senza mai tradire la verità”. Infatti le nostre fonti diinformazione sono state gli Atti dei 63 Congressi Nazionali i quali,durante un ampio arco di circa cento anni, hanno registrato ogni evento(apparentemente anche banale, come i molti altisonanti discorsiinaugurali, o i voti espressi, con eccessiva enfasi, spesso diretti non soloal buon esito del Congresso, ma anche a simboliche figure al vertice, allequali la storia sembrava avesse affidato il compito di vegliare sui nostridestini...!) trasformando gli Atti medesimi in “archivi storici”. Accanto aquesta che riteniamo la fonte più fedele, altre testimonianze sono statecercate negli scritti dell’epoca (articoli, pubblicazioni scientifiche, libri)sempre che esse fossero però fonti di prima mano.

Come appare sin da una prima rapida lettura, abbiamo cercato didividere il nostro materiale secondo i differenti periodi storici che si sono

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succeduti in questi cento anni – prima e dopo le due grandi guerre – eche sono stati caratterizzati da particolari e differenti necessità,condizioni sociali e situazioni politiche del Paese con ovvie ricadute sututto il tessuto economico, produttivo e sanitario.

Poiché molte affermazioni, istanze, programmi di studio etc.presentati dai nostri predecessori hanno spesso avuto il pregio diprecorrere i tempi ed, in ogni modo, anticipare di molti anni i relativiinterventi legislativi ed il necessario convincimento del mondo dellavoro, c’ è sembrato doveroso riportare in una serie di note “le proposteed i discorsi originali” in modo da offrire la giusta documentazione inmerito a quanto era stato affermato e veniva da noi ripreso.

Questo processo di analisi ha determinato, involontariamente, unconfronto tra “il vecchio ed il nuovo” e ci è sembrato che moltissimo delnuovo fosse già presente nel vecchio e lo abbiamo così rimarcato.Inoltre, questa constatazione ci ha spontaneamente ricordato i maestridel passato con sincera ammirazione, dovendo loro riconoscere unimpegno, una tenacia ed una fede fuori del comune nel dar vita a quellache sarebbe poi diventata la “nostra Disciplina” e nel far nascere sin dal1929 una Società Nazionale di Medicina del Lavoro alla quale affidarequella indispensabile funzione catalizzatrice che ci ha consentito dicrescere in fretta.

Approfondendo la lettura del testo ci si avvede, inoltre, come da partenostra si sia voluto privilegiare alcuni temi (la patologia da lavoro incampo rurale, l’organizzazione scientifica del lavoro, la silicosi, la tuteladella donna al lavoro, l’igiene industriale, il ruolo e i compiti del medicodi fabbrica e l’ossicarbonismo professionale) a discapito di altri che sonostati appena menzionati. Ciò non è dipeso dall’aver voluto attribuiremaggior importanza ai primi, ritenendo di scarso rilievo i secondi, ma èderivato dalla scelta già motivata relativa all’intenzione di voler scrivereun saggio sulla storia della Medicina del Lavoro e non un libro di studio.

Infatti i temi scelti, per un verso, o per un altro, sono fortementeindicativi di questa nostra posizione.

* * *Il tema della Medicina del Lavoro in agricoltura ha avuto una

lunga storia, e oggi riveste ancora un vivo interesse poiché non ha ancora

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percorso tutte le tappe e portato a termine tutte le sue conquiste incampo preventivo.

Queste hanno seguito tappe cronologicamente definite e logiche:l’iniziale tentativo di difendere una classe sociale povera per garantirebisogni quali la difesa da malattie mortali, il possesso di un’abitazioneigienicamente accettabile, avere un’istruzione etc.; quindi la conquista deidiritti a cure assistenziali ed infine condizioni di parità rispetto allavoratore industriale con l’applicazione di norme dell’igiene industriale,della tossicologia e della sorveglianza sanitaria. Si è passati pertanto dalperiodo del primo conflitto mondiale caratterizzato dai grandi flagelli(malaria, anchilostomiasi), al primo dopoguerra, con la volontà direalizzare una trattazione sistematica delle patologie rurali per organi edapparati, per arrivare, oggi al recepimento dell’attuale legislazione. Larilettura di tale percorso ci dovrebbe in qualche modo evitare, oggi, diincorrere in errori che, nel passato, hanno determinato un ritardo storiconell’applicazione delle norme preventive.

L’organizzazione scientifica del lavoro è presente, come temacongressuale, solo in due occasioni, peraltro distanziate di circa 50 annil’una dall’altra. Eppure l’argomento è, e non può che essere, difondamentale interesse per il medico del lavoro, il sociologo, lopsicologo, ma ancor prima per l’industriale che si occupa di produzione eper lo Stato che risponde sui temi quali produttività e prosperità. Eppurein Italia sembra sia mancato quel necessario interesse culturale, tecnico epolitico, che riteniamo fondamentale spinta propulsiva allo sviluppoindustriale, attraverso una organizzazione scientifica del lavoro.

C’è sembrato quindi utile trattare questo tema troppo spessosottovalutato; oggi con i decreti legislativi 277/91 e 626/94, cheimpongono al medico competente la conoscenza di ogni tipologialavorativa e della sua organizzazione non è immaginabile che si ignoricosa sia e come sia sorta l’organizzazione scientifica del lavoro, o la siconsideri un fenomeno a se stante del quale (forse) il medico competentenon dovrebbe occuparsi.

La silicosi, com’è a tutti ancora noto, ha rappresentato un graveproblema per la salute dei lavoratori esposti all’inalazione di aerosolcontenenti silice ed ha impegnato per oltre mezzo secolo i medici dellavoro per tutti i complessi aspetti della tecnopatia: da quelli eziologici, a

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quelli clinici, diagnostici, epidemiologici, impegnando al massimo lavocazione interdisciplinare della Medicina del Lavoro. È infatti, dalcontributo dell’igiene, della tossicologia, della pneumologia, delladiagnostica per immagini etc. che si è potuto fornire quell’insieme di datiritenuti indispensabili per la formulazione della diagnosi di malattiaprofessionale e per la valutazione dell’entità del danno biologicoattraverso il quale (al di sopra di una certa soglia di danno valutato intermini di percentuale), il lavoratore acquisiva l’innegabile dirittoall’indennizzo.

Non vi è stata altra tecnopatia per la quale sia stato formulato un parinumero di leggi (all’inizio di generica tutela, quindi di taglioprevenzionistico) e non c’è stata altra tecnopatia che sia statacaratterizzata da un iter parallelo tra l’impegno dei medici del lavoro equello del legislatore a definire i caratteri della malattia professionale,essendo partiti da una prima definizione “drammatica” di silicosiindennizzabile per giungere, infine, ad una valutazione della tecnopatiapiù rispondente alle migliorate situazioni di rischio e quindi alle piùsfumate manifestazioni patologiche.

L’interesse per la tutela della donna al lavoro inizia agli albori dellaMedicina del Lavoro e si protrae per tutto il secolo, fornendo una visioneeccellente del ruolo che la donna ha occupato nella società produttiva.

Il titolo di una lettura ad un recente Congresso (di antinfortunistica)“La fabbrica al femminile...” credo che sia sufficientemente eloquente;infatti senza fare della donna sul lavoro una eroina gli autori prendono ingiusta considerazione le osservazioni espresse con rigore e autorevolezzada parte di medici del lavoro, sociologi, psicologi, economisti etc. cheevidenziano come problematiche storiche quali l’assenteismo femminile,il surmenage derivante dal doppio lavoro e dalle eventuali gestazioni, illavoro retribuito e non etc. sono considerate ormai obsolete, mentre altreproblematiche sono emerse e delle quali è indispensabile tenere conto,onde poter realmente tutelare la donna – che ha dimostrato notevoleversatilità, capacità e disponibilità al lavoro – negli anni futuri.

In effetti, avendo con costanza tenuto vivo l’interesse suquest’argomento il legislatore è stato più volte interessato a sancire alcunifondamentali diritti della donna al lavoro ed i medici del lavoro si sono

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rapidamente adeguati alle norme di legge (forse con il loro costanteinteresse ne erano stati i più diretti ispiratori!)

Pertanto, nella recensione che abbiamo dedicato a questo argomentoabbiamo ritenuto doveroso e utile allegare l’excursus storico legislativo.

L’igiene industriale costituisce da vari decenni la base razionaledella Medicina del Lavoro nei suoi interventi di tipo preventivo. Infattidalla conoscenza dell’ambiente, dallo studio delle tecnologie, dallavalutazione dei rischi inizia l’applicazione pratica del D.Lgs. 626/94.Stranamente in sole due occasioni congressuali l’argomento è statoaffrontato per esteso e quindi ci è sembrato utile recensire questi duecongressi arricchendo l’argomento di conoscenze storiche sulla chimicaindustriale e sulla nascita dell’igiene industriale al fine di far conoscere aipiù giovani questo aspetto della nostra Disciplina.

Il ruolo e i compiti del medico di fabbrica, nonché la necessità diprecisi e adeguati riferimenti legislativi sono stati oggetto di dibattitonella nostra Disciplina sin dagli inizi del secolo. Da un lato è possibilerilevare l’evolversi negli anni del profilo professionale di questa figura, insintonia con le modificazioni del mondo del lavoro, attraverso compitidapprima di tipo sanitario-assistenziale e quindi a contenutoessenzialmente di tipo preventivo. Dal punto di vista organizzativo siassiste alla progressiva configurazione di un servizio sanitario aziendalecon compiti e funzioni complessi. Per contro si evidenzia la carenzanormativa e la conseguente necessità di un assetto giuridico della materiache ha fortemente motivato e connotato gli interventi congressuali nelcorso del secolo. I recenti decreti legislativi (D.Lgs. 277/91, D.Lgs.626/94) hanno in gran parte colmato queste carenze, tuttavia residuanoalcune aree mal definite. Anche per questo tema l’attenta analisidocumentale ci ha permesso di seguire e comprenderne le dinamicheintrinseche, ci ha fornito elementi interpretativi e spunti propositivisull’argomento.

La Legge 20 maggio 1970 n. 300, nota come Statuto dei Diritti deiLavoratori, pur rappresentando una pietra miliare nella legislazione dellavoro, non ha trovato nelle sedi congressuali altrettanta rilevanza. Inparticolare, l’importanza dell’argomento trattato dagli artt. 5 e 9 e la lorovalenza nel mondo del lavoro, nonché i rapporti tra queste norme, l’art.

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33 del DPR 303/56 ed i recenti decreti legislativi 277/91 e 626/94 nehanno motivato la nostra attenzione

Dell’ossicarbonismo, ci è sembrato utile indicare come nel corsodegli anni (dalla prima relazione del 1956 alla seconda del 1983) si siaevoluto l’approccio al problema, inizialmente esclusivamente clinico.Attraverso lo sviluppo dell’igiene industriale e della tossicologial’attenzione è stata infatti portata al binomio inquinamentodell’ambiente-effetti sull’uomo; questi in condizioni di ridotte esposizionial CO non potevano più essere di grossa apparenza clinica, ma dovevanoessere necessariamente sfumati e quindi ricercati in quella area grigia edimprecisa, tipica dell’esordio di ogni sintomatologia tossica. Oppuredovevano essere esplorati nel campo della biologia e della biochimicaattraverso tests di dose e di effetto.

In sintesi la Medicina del Lavoro spostava i propri strumenti di lavorodalla clinica, alla tossicologia, all’igiene industriale fornendo indicazionisul piano epidemiologico. Queste due relazioni congressuali presentate adistanza di 30 anni l’una dall’altra e per giunta elaborate dallo stessoIstituto (Napoli) sono tra le più evidenti dimostrazioni dell’evoluzione,nel corso degli anni, della Medicina del Lavoro così come noi volevamoindicare.

* * *Ci auguriamo di aver realizzato il nostro progetto e di aver fornito

una traccia semplice che il lettore può, a suo piacimento, approfondireattraverso lo studio diretto degli Atti congressuali (tutti indicati nel testo)o attraverso la lettura dei numerosi libri e saggi sulla Medicina del Lavoroitaliana.

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GLI ALBORI DELLA MEDICINA DEL LAVORODAL I CONGRESSO NAZIONALE

AL I CONFLITTO BELLICO MONDIALE

Nell’accingerci a trattare un argomento vasto e complesso comequello della nascita e dello sviluppo della Medicina del Lavoro in Italia edimplicitamente, del concetto di prevenzione dei danni, lesioni, malattiecorrelabili o provocate dal lavoro, ci è sembrato opportuno esporre unaconsiderazione preliminare che riguarda il metodo adottato perl’approccio al problema e quindi i criteri seguiti nel raccogliere eregistrare i fatti che hanno segnato in Italia la storia della Medicina delLavoro, che è storia sociale, sanitaria, scientifica e politica.

Abbiamo ritenuto valido, in questa ricerca, percorrere (ove possibilee, comunque, in maniera prevalente) il lungo corso tracciato daiCongressi Nazionali di Medicina del Lavoro che, come è noto,costituiscono la parte essenziale della storia scientifica e pratica dellanostra Disciplina, ne sono i testimoni fedeli e rappresentano i custodiduraturi di ogni evento che l’ha caratterizzata nel corso degli anni.

I Congressi Nazionali di Medicina del Lavoro sono, di fatto, la storiadell’uomo che lavora e che può ammalarsi in quanto lavora; la storia delprezzo, talora drammatico, che egli ha dovuto pagare per realizzarespecifici obiettivi, per consentire ogni forma di produzione mediantel’uso di particolari materiali e l’applicazione di nuove tecnologie; insintesi, per consentire lo sviluppo della nostra società.

Tutto ciò è registrato negli Atti dei nostri Congressi, dove il lettorepuò essere partecipe di stati d’animo che virano dai coinvolgimentiemotivi, nei quali la partecipazione collettiva ci dà una misuradell’intenso entusiasmo che un determinato evento può provocare (comeavvenne in occasione del I Congresso Nazionale a Palermo nel 1907quando il prof. Devoto diede comunicazione della decisione del comunedi Milano di dare inizio ai lavori per l’erigenda Clinica del Lavoro)1; allapresentazione accurata e rigorosa di dati scientifici, di scelte

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metodologiche relative alle esposizioni professionali durante le qualispesso sorgevano controversie (come nei dibattiti avvenuti tra cultori, adesempio tra i giovani dottori Maugeri e Vigliani a proposito delladiagnosi e terapia del saturnismo)2; alle proposte di ricerche da effettuarein Medicina del Lavoro3; alle frequenti sollecitazioni di interventi delleistituzioni e/o dell’iniziativa privata; alle tristi constatazioni del fallimentodelle istanze avanzate4-5.

Il senatore Bozzolo affermava, nel lontano 1911 (Torino, IIICongresso Nazionale), che gli scopi dei nostri Congressi fossero,innanzitutto, quelli di “riunire tutte le energie indirizzate allo studio di questiproblemi, di coordinare il materiale sparso e di dare corpo e unità al nuovo capitolodella medicina che è la patologia del lavoro. È grazie a questi congressi nazionali edinternazionali che si sono definite le malattie professionali e che si sono stabiliti iprincipi di igiene sociale sui quali si fonda la legislazione del lavoro.

Dalla esposizione dei dati scientifici, dalle discussioni feconde e serene nascononuovi indirizzi per la via da seguire, nuovi suggerimenti ai legislatori e al medico perla prevenzione delle malattie professionali.

E di tali progressi ed ammaestramenti sono stati copiosi i passati congressi.Mediante questi incontri iniziano ad evidenziarsi quelle malattie definite

professionali e a definirsi i principi di Igiene sui quali si potrà fondare unalegislazione del lavoro”.

Così aveva già affermato il prof. Lazzaro alcuni anni prima: “Lo studiodelle malattie professionali porterà, senza dubbio, ad una nuova orientazione dellalegislazione moderna e la struttura scheletrica di questa legge, ben dice il Pieraccini,non può essere che opera di medici (e di industriali mi permetto di aggiungere io);l’uomo politico non potrà che mettere la veste. A noi dunque la sostanza, ad altri laforma”.

I Congressi Nazionali di Medicina del Lavoro ed i loro Atti iniziaronocontemporaneamente al riconoscimento della nostra Disciplina qualescienza medico-sociale da inserire nell’insegnamento universitario; ma, inogni modo, molto prima che essa si fosse data un suo assetto formale.Questo, come vedremo in seguito, è venuto a definirsi lentamenteattraverso fasi e vicende successive:✓ una prima fase, in cui furono privilegiati alcuni aspetti clinici e

medico-legali relativi ai danni del lavoro sull’uomo, nella più ampiaaccezione, le cui manifestazioni morbose, quali che fossero, venivano

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rilevate nei lavoratori indipendentemente dalla loro età, sesso,tipologia di lavoro etc. Erano i mali che travagliavano, unitamente allapovertà, alla fame, ad ogni altro tipo di disagio immaginabile quelloche veniva definito il “popolo operaio”6;

✓ successivamente, quando vennero presi in considerazione i risvoltiigienistici e tossicologici del lavoro in fabbrica e delle esposizioni adinquinanti industriali. Erano i nuovi aspetti della Medicina del Lavoro,i quali coerentemente con la rivoluzione industriale, emergevano nelmondo e venivano enfatizzati quali testimoni del passaggio dall’Italiaagricola a quella industriale.

✓ infine, molto più recentemente, quando si è sentito il bisogno ditutelare al massimo ogni lavoratore e sono state dettagliatamenteanalizzate le tecnologie, l’ambiente, i ritmi di lavoro etc nei differenticomparti produttivi, ritenendo argomento di interesse e di studio ogniforma di malessere, iniziale disturbo o disagio etc. che l’esecuzione diun lavoro può comportare. Si è venuta così a formare, nell’arco di un secolo, una Disciplina, la

moderna Medicina del Lavoro, sempre più composita, multidisciplinarecon spiccati contenuti preventivi, con interessi clinici, tossicologici,ergonomici, psicologici che punta non solo all’assenza di effetti causatidal lavoro, ma che vuole promuovere uno “stato di benessere” in chilavora.

Sono indicative di quanto abbiamo affermato, oltre le diversedenominazioni ufficiali dei nostri Congressi anche la notevole variabilitàdei temi che venivano messi in discussione7.

Ed infatti nel 1913 il prof. Tamburini rimarcava al IV CongressoNazionale di Roma come, “gli intenti di questi nostri Congressi non si limitanoai puri argomenti d’indole medica da cui prendono nome, cioè dalle malattieprofessionali, ma investono quasi tutti i problemi economici, politici, legislativi e socialiche hanno attinenza col lavoro, e il cui studio deve fornire al Legislatore materiaessenziale per quel Codice igienico del lavoro, che deve essere basato sui dettami dellaFisiologia, della Clinica e dell’Igiene, per assicurare la difesa e l’assistenza socialedelle classi lavoratrici.

Questo studio che comprende la Fisiologia, la Patologia e l’Igiene del Lavoro, laProfilassi delle malattie professionali, le norme di previdenza e di assistenza sociale, eche perciò richiede l’opera convergente dei cultori delle Scienze naturali e tecniche e

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dell’esperienza degli industriali e degli stessi lavoratori, rappresenta uno dei compitipiù alti di quella branca elevatissima e tutta moderna dello scibile medico che è lamedicina Sociale. È dovere sociale di conoscere, valutare, eliminare, prevenire ondefornire gli elementi essenziali alla Legislazione sanitaria del lavoro, la cui grandeimportanza sta nel fatto che la conservazione ed il miglioramento del valore biologicodegli individui e delle popolazioni è il principale coefficiente dell’evoluzione progressivadell’energie sociali e quindi anche della potenza delle Nazioni”.

A distanza di 10 anni, il prof. Giglioli confermava come “la stessacambiata denominazione dei Congressi nostri dimostra l’evoluzione del nostroindirizzo, dalle malattie professionali attraverso alla patologia del lavoro siamo giuntioggi alla medicina del lavoro che compendia tutto quanto si riferisce alla clinica, allafisiologia, e all’igiene dell’energia produttiva umana: l’attività nostra è andata cosìfacendosi più ampia e più complessa e dall’indagine clinica del malato da lavoroarriviamo ad una concezione medico-sociale dell’organizzazione umana del lavorostesso”.

Come abbiamo accennato, in concomitanza con l’attività congressualeiniziava anche quella didattica universitaria ed i primi due insegnamentiuniversitari di Medicina del Lavoro sorsero nel 1907 a Milano ed aNapoli.

Nell’Ateneo napoletano l’insegnamento cambiò ripetutamentedenominazione: da Malattie Professionali ed Infortuni di spettanzamedica, a Malattie del Lavoro, a Malattie Mediche Professionali. Questedifferenti denominazioni testimoniano, da una parte, un certo conflittoall’interno dello stesso mondo accademico incerto ed esitante –possiamo ben dire oggi – a definire un nuovo ruolo specialisticoall’interno della medicina generale, e, dall’altra, confermano un alto gradodi disinteresse del sistema produttivo-industriale e della classe politica delPaese verso l’ufficializzazione di una branca medica che tutelasse lasalute del lavoratore. Questo voluto disinteresse si è protratto a lungo inItalia (indipendentemente dalla situazione politica del momento), e permolti decenni la Medicina del Lavoro si è trovata a lottare da sola, conl’evidenza dei fatti, contro l’indifferenza delle Istituzioni e la miopia diquanti – responsabili della produzione – non avevano ancora assimilato ipiù elementari concetti della prevenzione industriale, né di come unabuona applicazione di essa avrebbe potuto, alla lunga, ripagare ognispesa ed ogni sforzo sostenuto per realizzarla. Affermava nel ’36

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Ferrannini illustrando i traguardi raggiunti dalla Disciplina: “Tanto si èottenuto non per conquista della classe capitalistica – giacché né operai né padroniavevano mai pensato ad un programma così grandioso e meraviglioso – ma per losviluppo della Medicina nel campo della collettività e della solidarietà umana sottol’impulso poderoso e generoso di Luigi Devoto”.

A Napoli le cose procedettero lentamente: dopo una primacollocazione in un provvisorio Istituto, una valida e definitiva sede perl’Istituto di Medicina del Lavoro si ebbe solo dieci anni dopo, grazie aduna definitiva ospitalità offerta dalla Clinica Medica8.

Milano ebbe sorte migliore. Infatti già nel 1901 una commissionenominata dal consiglio comunale di cui facevano parte De Cristoforis,Mangiagalli, Panzeri e Porro, fu unanime nel voler edificare un IstitutoSuperiore di Studi medici (Istituti Clinici di perfezionamento) tra i qualiuna Clinica del Lavoro. Un anno dopo (1902) la stessa giunta comunaleed il sindaco di Milano Senatore Mussi precisavano le finalità della nuovaclinica che erano quelle di “studiare scientificamente le cause dellemalattie professionali”. Nel 1907 ci fu una delibera comunale e l’Istitutodenominato Clinica del Lavoro fu inaugurato nel 19109.

Può essere degna di menzione l’elencazione di alcuni eventisignificativi, concentrati in pochi anni che collaborarono alla crescitadella nostra Disciplina: nel 1901 il prof. Devoto, che a Pavia ricopriva lacattedra di Patologia Medica, iniziò un corso libero di Medicina delLavoro e nel contempo dette vita alla pubblicazione di una rivista, “Illavoro” (che tuttora si continua con la Medicina del Lavoro). La rivistatrattava argomenti di fisiologia, clinica ed igiene del lavoro. Nello stessoanno il prof. Giglioli pubblicò un manuale di malattie del lavoro e nel1905 vedeva la luce un trattato di patologia del lavoro, autore G.Pieraccini.

In questo primo periodo trascritto in quattro Congressi Nazionali checoprono meno di 10 anni, il concetto della prevenzione accanto a quellidella tutela assicurativa e della terapia delle affezioni da lavoro affiora dicontinuo come un carattere essenziale della Disciplina ed una suaspontanea vocazione. Anche se ancora vaga e mirata verso obiettivi cheallora apparivano contrastanti (quali il benessere del lavoratore ed ilrendimento lavorativo) la necessità di fare prevenzione cominciò a farsistrada nelle menti, negli animi, nella volontà degli uomini che allora si

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proponevano quali interpreti della gestione e tutela della salute deilavoratori.

Sin dal I Congresso di Palermo (1907) si era spesso menzionato edillustrato il concetto di prevenzione attraverso una serie di affermazioni eproposte, quali:

1) l’obbligatorietà dello Stato a tutelare la salute degli operai nellecampagne10; 2) l’utilità delle visite mediche agli operai da assumersi nelleindustrie in rapporto alla prevenzione delle malattie da lavoro. Inparticolare nella 5a seduta presieduta dal prof. Devoto, il dott. Piccininisviluppò la sua relazione “Sulla utilità della visita medica preventiva aglioperai da assumersi nelle singole industrie, in rapporto alla prevenzionedelle malattie da lavoro”. All’epoca la legislazione non contemplava lanecessità di una visita medica agli operai in assunzione, tuttavia –sosteneva il Piccinini – “questa poteva rappresentare sia un vantaggio direttodell’operaio stesso, che dell’industriale”. Infatti l’assicurazione obbligatoria inrapporto agli infortuni sul lavoro, si basava sul presupposto che l’operaiofosse sano e, pertanto, in caso di contestazione al momento dellaliquidazione del danno, sarebbe stato possibile escludere che ad una dataalterazione o diminuzione di una funzione, sopraggiunte dopo l’eventonocivo, potesse corrispondere una preesistente condizione morbosa.Inoltre “è nell’interesse dell’operaio, non meno che dell’industriale, l’essere certo chenessuno dei nuovi assunti porti agli altri operai, col contatto quotidiano più o menostretto, dato dal comune lavoro, i germi di un’infezione, o di un qualsiasi contagio, trai numerosissimi che si potrebbero elencare, dalla tubercolosi al tracoma. La visitamedica preventiva sistematica risponde altamente a questa funzione di doverosaprofilassi”

Si sosteneva l’opportunità di applicare il sistema delle visite medichepreventive in tutte le industrie anche in quelle che, sia per gli elementi dilavorazione e sia per le condizioni ambientali, potevano essereconsiderate le più “salubri”. Veniva descritta brevemente la proceduraseguita che comportava:

1) la visita generale, la quale doveva rispondere a precisi quesitiriguardo: la costituzione scheletrica, l’apparato respiratorio e cardiaco, lecondizioni generale organiche etc.;

2) l’annotazione della mansione alla quale il soggetto era destinato.

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Il risultato della visita veniva successivamente trasmesso allostabilimento per una destinazione lavorativa che tenesse conto del tipo dilavoro “movimentato o sedentario” e della prevalenza o menodell’impegno funzionale dei vari organi (es. visivo, osteoarticolare ecc.).

Sempre nel I Congresso e sul tema prevenzione, il prof. Carozzipresentò una relazione “Il medico nell’ispezione del lavoro”, ovesostenne che “in mancanza di un mezzo di controllo, cioè di una seria ispezionesul lavoro con ispettori ben selezionati, nessun problema sociale avrebbe potuto essereseriamente risolto. Le nazioni che ci hanno preceduto in questo campo hannodimostrato che il miglior sistema è di ammettere nel corpo ispettorale esponenti di tuttele professioni, medici compresi”. L’oratore ricordava che numerose erano lenazioni europee (Belgio, Olanda, Francia e Inghilterra) che avevanoammesso nell’ispezione del lavoro i medici, con un compito ben definito.

In Belgio gli ispettori medici svolgevano la loro attivitàesclusivamente alla ricerca delle cause generali e speciali di insalubrità.Durante la visita in fabbrica essi tracciavano delle “Notes d’observation”,e se necessario, estendevano l’inchiesta a tutti gli operai di una dataindustria. Già nel 1885 ai medici del corpo ispettorale venne attribuitotale compito ben delineato: “sorvegliare amministrativamente l’astensione dallavoro delle donne in puerperio fino dalla quarta settimana; la vaccinazione e larivaccinazione triennale degli operai dei depositi di stracci; la prestazione del primosoccorso agli infortunati sul lavoro; la potabilità delle acque e delle bevande messed’obbligo a disposizione degli operai; il lavoro in fabbriche speciali (fiammiferi alfosforo, fabbriche di composti di piombo, etc.)”. Gli ispettori medici venivanosupportati dai cosiddetti “mèdicins agrèès”, medici pratici che visitavanoperiodicamente gli operai soggetti alla visita medica: le note erano poiriportate nel registro deposto nella fabbrica. In Inghilterra il servizio diispezione medica veniva praticato da un ispettore medico residente aLondra, che poteva avvalersi della collaborazione dei “certinyngsurgeons”, medici pratici che partecipavano all’ispezione medica concompiti più rilevanti rispetto ai colleghi belgi. A conferma di quantosegnalava il prof. Carozzi, si legge nella prefazione alla I edizione de “IlCapitale” che vedeva la luce nell’agosto del 1867: “A confronto di quellainglese, la statistica sociale della Germania e della restante Europa occidentale che faparte del continente, è miserabile. Tuttavia solleva il velo proprio quel tanto che bastaper fare intuire dietro ad esso un volto di Medusa. Noi saremmo spaventati delle

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nostre proprie condizioni se i nostri governi e i nostri parlamenti insediasseroperiodicamente commissioni d’inchiesta sulle condizioni economiche, se tali commissionivenissero fornite di pieni poteri per la ricerca della verità, come in Inghilterra, se siriuscisse a trovare per esse uomini competenti, imparziali e privi di rispetti umanicome gli ispettori di fabbrica inglesi, i relatori inglesi sulla Public Health, icommissari inglesi per le inchieste sullo sfruttamento delle donne e dei fanciulli, sullecondizioni delle abitazioni e della nutrizione, e così via. Perseo usava un manto dinebbia per inseguire i mostri. Noi ci tiriamo la cappa di nebbia giù sugli occhi e leorecchie, per poter negare l’esistenza dei mostri.

Non dobbiamo illuderci in proposito. Come la guerra d’indipendenza americanadel secolo XVIII ha suonato a martello per la classe media europea, così la guerracivile americana del secolo XIX suona a martello per la classe operaia. In Inghilterrail processo di rivolgimento può essere toccato con mano. Quando sarà salito a un certolivello esso non potrà non avere un contraccolpo sul continente: e quivi si muoverà informe più brutali o più umane, a seconda del grado di sviluppo della classe operaiastessa. Astrazion fatta da motivi superiori, è proprio il loro interesse più diretto eproprio a imporre alle classi ora dominanti di sgombrare il terreno da tutti gliimpedimenti legalmente controllabili che impacciano lo sviluppo della classe operaia.Questa è la ragione per la quale in questo volume ho dato un posto così esteso, fral’altro, alla storia, al contenuto e ai risultati della legislazione inglese sulle fabbriche”.

Tra i due eventi, la pubblicazione del Capitale e la relazionecongressuale di Carozzi corrono più di 50 anni; 50 anni durante i qualipoco si era fatto, ma comunque si cominciavano a intravedere quelle chepotremmo definire buoni propositi. In effetti lo stesso Marx cita “IlFactory Act del 1850 ora (1867) vigente, permette dieci ore per la giornatasettimanale media, cioè dodici ore per i primi cinque giorni feriali, dalle sei di mattinaalle sei di sera, detratte però mezz’ora per la colazione e un’ora per il pasto dimezzogiorno, cosicché rimangono dieci ore e mezza lavorative, e otto ore il sabato,dalle sei di mattina alle due del pomeriggio, detratta mezz’ora per la colazione.Rimangono sessanta ore lavorative, dieci e mezzo per ognuno dei primi cinque giorniferiali, sette e mezzo per l’ultimo. Sono nominati speciali custodi della legge, gliispettori di fabbrica, direttamente sottoposti al ministero dell’interno, le cui relazionivengono pubblicate ogni semestre in nome del parlamento. Queste relazioni fornisconodunque una statistica regolare e ufficiale della voracità di pluslavoro del capitalista”.

Secondo Carozzi l’ispezione del lavoro è assolutamente necessaria peril rispetto delle leggi, tuttavia ammettere nel corpo ispettorale

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unicamente figure tecniche (non di cultura medica) è decisamentelimitativo. Per la vigilanza igienica sugli operai occupati nelle industrieinsalubri, per la visita medica dei fanciulli, per definirne l’attitudine allavoro etc., sono indispensabili anche i medici e, onde evitare ogni tipo diconflittualità, ne deriva la necessità – sottolinea Carozzi – “che il medico siaindipendente da qualsiasi padrone o ente e perché ciò si realizzi, che sia unfunzionario dello Stato”.

Solo con un corpo ispettorale misto – continua Carozzi – saràpossibile fronteggiare con competenza i diversi bisogni imposti dallalegislazione protettiva. Ma in ogni caso, “virtù precipua dell’ispettore dovendoessere il buon senso”.

In conclusione l’oratore ricorda l’affermazione del dott. Gilbert(medico capo dell’ispettorato del lavoro del Belgio) all’ultimo congressointernazionale di Igiene tenutosi a Berlino: “L’organizzazione razionale di unbuon servizio di ispezione del lavoro, esige la collaborazione costante del medico e diuomini tecnici”. Sull’argomento lo stesso dott. Gilbert tenne una pubblicaconferenza su “Notre lutte contre les maladies professionelles” al IICongresso Nazionale di Firenze.

Nel 1909 Firenze ospitò, per l’appunto, il II Congresso Nazionale diMedicina del Lavoro che trattò “il rapporto tra il lavoro e le malattiementali, tra il lavoro e la patologia dell’apparato genitale femminile, tral’emigrazione, la sifilide e la tbc, e furono trattati numerosi altri temiconcernenti tutti i rami della patologia del lavoro che attestaronol’interesse e lo studio che la classe medica dedicava alle malattieprofessionali”.

Gli organizzatori vollero ridurre al minimo le manifestazioni sociali emondane, mentre prepararono, per la mattina del 20 maggio, una visita alRegio Arcispedale di S. M. Nuova nel turno del prof. Pieraccini, liberodocente di Patologia del lavoro, il quale ospedalizzava, a partire dal 1903,i casi di malattie professionali.

Furono mostrate forme di crampo professionale; di arteriosclerosi dalavoro diffusa o sistemizzata nelle arterie del braccio (“destro o delsinistro a seconda che si trattava, rispettivamente di operai ambidestri,manritti o mancini”); furono passati in rivista anche diversi casi dianchilostomiasi. Colpirono molto i convenuti tre casi di necrosi fosforicadell’osso mascellare (fiammiferificio empolese). Vennero osservati pure

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alcuni casi di grave intossicazione mercuriale, chiari e ben definiti nellasintomatologia che provenivano dalle miniere cinabrifere del MonteAmiata.

Questa visita fu una dimostrazione pratica di patologia del lavoro ecostituì una documentazione inconfutabile della necessità di studi medicie sociali e dell’urgenza di efficaci provvedimenti in difesa dei danni dalavoro.

Il III Congresso Nazionale delle Malattie del Lavoro si tenne a Torino(nel 1911) in occasione della ricorrenza del cinquantenario dellaProclamazione del Regno d’Italia e dell’Esposizione Internazionaledell’Industria e del Lavoro. Il tema della prevenzione in rapporto alla“morbosità professionale” fu, in questa occasione, affrontato piùspecificamente dai proff. Cesa-Bianchi e Devoto che svolsero un’ampiarelazione sulla “Patologia polmonare da inalazioni di polveri”. Nellarelazione vennero esaminati ampiamente gli aspetti tecnici dellaprotezione, e si annunziarono studi sugli “impianti ed apparati atti a difenderel’operaio e ad isolare le polveri”. Quando non fosse possibile applicaresoluzioni tecniche radicali, venne suggerito di utilizzare “gli aspiratori perascensum o per discensum”, di effettuare “l’inumidamento dell’ambiente e delmateriale di lavoro mediante regolare innaffiamento”. In mancanza di altri mezzidi difesa, vennero suggeriti i sistemi di protezione individuale ovvero “lemaschere di respirazione”. Venne fatta un’ampia trattazione sui requisitiideali, sulle difficoltà di uso e venne ricordata l’esistenza di ben 70modelli di tali maschere. Gli autori inoltre sottolinearono che “mentre ènozione ben acquisita il danno da polveri, mancano disposizioni legislative oregolamenti che impongano in modo preciso l’allontanamento o la soppressione dellepolveri dagli ambienti di lavoro”.

Nella stessa relazione vennero inoltre citati gli aspetti più strettamentesanitari per la profilassi della patologia polmonare da inalazione dipolveri. Tra questi ricordiamo i controlli periodici obbligatori da partedei medici di stato addetti agli stabilimenti industriali; il rinnovamentodei regolamenti municipali di igiene moderna per l’allontanamentodiretto e immediato delle polveri dal punto di origine; l’opportunità chegli operai non abbiano le abitazioni nelle adiacenze dei grandistabilimenti industriali.

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Si è colpiti dalla modernità dell’impostazione della protezione tecnica,generale ed individuale, e della prevenzione sanitaria: questi principiappaiono rivoluzionari per l’epoca in cui furono enunciati e sono daritenere comunque ineccepibili tant’è che da essi sono derivate lesuccessive ed attuali norme di prevenzione delle pneumopatie negliambienti polverosi, i cui risultati si possono oggi apprezzare sul pianoclinico ed epidemiologico attraverso la constatazione di una drasticariduzione del numero di soggetti ammalati e della gravità delle affezionipolmonari.

(Il tema dell’esposizione a polveri e quello relativo alla conseguentepatologia polmonare, in particolare alla silicosi fu ampiamente trattato,come vedremo, nel XIII Congresso di Bari (1938), nel XV CongressoNazionale tenutosi a Genova nel 1949 e in quelli successivi del 1951, ’52,’53, ’55, ’59 e ’67 che tratteremo successivamente).

Affermava il sen. Bozzolo al III Congresso che “l’uomo deve lavorare!Ma deve fruire delle condizioni più favorevoli possibili per produrre il lavoro, deveavere quel tanto di alimenti e di riposo quanto è richiesto dal suo bilancio organico,senza di che diminuirà la sua resistenza fisica, e di conseguenza la somma di lavoroche è capace di produrre”. Infatti “...assai spesso nel calcolo degli interessi vitalidell’industria, nelle discussioni di natura economica, si parla di coefficienti materiali,di fattori meccanici, finanziari, commerciali e così via, ma non si tiene abbastanzaconto di un fattore che dovrebbe essere il principale, del “fattore uomo” o meglio del“motore uomo” il quale è il “summus movens” dell’industria, sia come direzioneintellettuale sia come forza e movimento muscolare”11.

Data la complessità dell’argomento, l’oratore suggerisce due ordini distudi:1) lo studio della patologia del lavoro in senso generico, intesa come

l’insieme dei danni che l’organismo risente dalla esagerata fatica edallo squilibrio tra nutrizione e lavoro da cui i problemi della intensamorbilità e mortalità nel ceto operaio, della durata breve della vitamedia, della frequentissima invalidità precoce, della elevata mortalitàinfantile, dell’incompatibilità tra lavoro operaio femminile e funzionematerna;

2) lo studio delle malattie professionali in senso stretto, cioè di queimalanni che l’operaio contrae lavorando in certe speciali industrie.

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Come si vede, viene costantemente ribadita la necessità di unacomponente strettamente sanitaria, i cui strumenti sono rappresentatidalle visite e controlli medici da affiancare a quelli tecnici dai quali ci siaspetta una maggiore resa del sistema produttivo in quanto al motoremeccanico intrinseco nella struttura della fabbrica, si doveva avere anchecura di promuovere al massimo il rendimento del motore uomo.

All’epoca quindi due grosse tendenze emergevano: da una partel’interesse etico per lo stato fisico del lavoratore, dall’altra l’impegno aproteggere e difendere l’integrità fisica degli operai per ragionistrettamente inerenti la produzione e quindi l’economia dell’impresa.

A conferma Giglioli sosterrà nel 1924 che “l’operaio che, col diffondersi ecol complicarsi del macchinario, sembrava essere quasi diventato un automaticostrumento la cui integrità fisica doveva essere difesa e mantenuta più per ragionieconomiche che morali... torna ad essere considerato alla luce delle sue specificheattitudini e la scelta razionale viene ad essere base prima per il miglioramentoeconomico, ma anche igienico delle condizioni di lavoro, mentre la difesa della suasalute viene a facilitarsi con la denominazione delle singole capacità”.

Al IV Congresso che si tenne a Roma nel giugno del 1913 venneropresentati alcuni temi di attualità. La prima seduta fu dedicataall’anchilostomiasi che fu trattata in due distinte relazioni dai proff.Bozzolo e Trambusti. Seguirono ben otto comunicazioni sull’argomentoe alla discussione generale presero parte numerosi congressisti, tra i qualilo stesso prof. Devoto.

L’anchilostomiasi aveva rappresentato tra la fine del 1800 e l’inizio del1900 uno dei più grossi problemi di interesse della medicina deilavoratori. In occasione del traforo del S. Gottardo nel 1882 emerse iltriste flagello che questa infestazione aveva provocato per cuil’entusiasmo determinato dall’esecuzione di quell’opera colossale,prestigio ingegneristico, la cui rinomanza aveva varcato ogni confine, furattristato dell’enorme incidenza di malattia da anchilostoma (oltre 10000casi tra gli operai italiani che avevano lavorato al traforo) ed un elevatoindice di mortalità (superiore al 3%).

Il problema dell’anchilostomiasi non era certamente nuovo, dalmomento che il parassita era stato già scoperto (1838) e la diffusionedella malattia ed i caratteri di essa erano stati già allo studio daCommissioni Internazionali e Nazionali. Questi studi avevano definito

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l’ampia distribuzione geografica della malattia (“la malattia cinge la terra conuna zona di circa 66° di latitudine estendendosi dal 36° parallelo nord al 30°parallelo di latitudine sud”) per cui si affermò “l’infezione da uncinaria è unproblema mondiale”. Infatti la malattia, diffusissima nel Brasile e nelle isoledell’arcipelago del Madagascar, era stata riscontrata in Colombia ed aPortorico ove il 90% della popolazione contadina delle piantagioni dicaffè ne era affetta con una mortalità che fu definita pari al 22% dellamortalità generale. In Sudamerica era ritenuta causa della “clorosi deitropici” ed in Egitto della “clorosi egiziana”. La malattia era statasegnalata anche in Scozia, nelle miniere del Galles, Germania, PaesiBassi, Belgio, Francia, Spagna ed ovviamente in Italia. La popolazioneaffetta era costituita da contadini, ortolani, fornaciai (in Germania –senza conoscerne la causa – era stata descritta un’anemia dei fornaciai) eminatori, che lavoravano spesso scalzi, con i piedi e le gambe immersenel fango. Il traforo del S. Gottardo fu definito una “necropoli” e fu laconferma che lo svolgimento di alcuni lavori per le precarie condizioniigieniche e per l’assenza di norme di protezione e prevenzione potessecostituire una vera e propria piaga sociale.

Nello stesso Congresso fu poi ampiamente trattato il tema delleAssicurazioni Sociali. A tal riguardo la prima comunicazione dal titolo“Statistica nazionale della morbilità e mortalità delle classi lavoratrici,come base per la legislazione igienica del lavoro, e le assicurazioniobbligatorie contro le malattie” fu tenuta dal dott. Ranelletti. L’oratoreespone la sua iniziativa ed illustra la ragione che lo spinsero a proporla:“raccogliere gli elementi necessari per favorire il raggiungimento di un duplice scopo, ecioè sollecitare anche in Italia la legislazione igienica del lavoro, e facilitare anche danoi le assicurazioni obbligatorie contro le malattie, l’invalidità, la vecchiaia”. Egli sirammarica di come l’Italia sia rimasta indietro rispetto agli altri paesi, maconfida nel poter fornire al legislatore la base ispiratrice ed informativadella legge12.

Seguì poi una seconda comunicazione in materia di AssicurazioniSociali di Devoto e Carozzi dal titolo “Progetto di una Cassa Nazionaled’Assicurazione contro le malattie per gli appartenenti ad unaprofessione”. Dopo aver sottolineato che, per affrontare il problemadell’assicurazione-malattia con intendimenti pratici, occorre guardare allenazioni che vantano questa forma di previdenza già da parecchi decenni,

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i relatori portano ad esempio, per illustrare il loro progetto, laFederazione del libro, una corporazione che raccoglie lavoratoridell’industria, nella maggior parte occupati in grandi città o in centri conottimi sistemi sanitari, che godono di alti salari e sono usi a pagare fortiquote federali.

Riferendosi al sistema tedesco propongono “un’assicurazione per lamalattia che includa un minimo di prestazioni quali:1. Sussidio malattia, pari alla metà della mercede media giornaliera e per una

durata massima di 26 settimane.2. Cura medica, farmaceutica e sussidi terapeutici.3. Indennità funeraria di lire 50.4. Data la esistente Cassa Maternità, si preferirebbe sussidiare la donna madre per

quattro settimane prima del parto e per due settimane del puerperio”. Gli oratori presentano poi i dati di morbi-mortalità raccolti

nell’industria tipografica (in particolare la morbilità di operai tipografiaccolti in ospedali milanesi nel quinquennio 1906-1911, classificata pergruppi di età e durata di degenza), constatando la grande frequenza dellemalattie respiratorie e la preminenza della tubercolosi. Avanzano poi,sulla falsariga dei bilanci di alcune Casse tedesche, il progetto di base neisuoi diversi risvolti e ribadiscono la convenienza del concorso delproprietario alla cassa malattia.

Conclude gli interventi sullo stesso tema il dott. Bernacchi con lacomunicazione: “L’assicurazione delle malattie professionali specifichecol sistema della Lista”, dove sottolinea che “esistono oltre gli infortuni, dellemalattie che derivano sicuramente, ed in modo prevalente, se non esclusivo, dal lavoro;tali malattie avendo comune cogli infortuni l’origine dal rischio professionale, devonocome gli infortuni del lavoro essere prevenute, curate e indennizzate, a carico del datoredi lavoro”.

Bernacchi declina la soluzione integrale dell’assicurazione contro lemalattie comuni e contro l’invalidità pur prendendo in esame lenumerose problematiche che un regime assicurativo speciale porrebbe.

Afferma infine che un regime assicurativo speciale contro le malattieprofessionali, col sistema di “lista” è possibile, e nonostante le difficoltà,risolve meglio il quesito che si riferisce alla riparazione del rischioprofessionale nelle malattie da lavoro”13.

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Durante questo primo periodo (1907-1913), la Medicina del Lavoroappare attraverso la lettura degli Atti dei suoi Congressi, una Disciplinamedica che, seppure in grande fermento, non ha ancora dei precisiconnotati; che ha forte la volontà di voler prendere in considerazionetutti i danni derivanti dal lavoro, nell’accezione più ampia del termine;che riconosce nel suo interno una serie di ruoli e di contributi tecnici maquesti risultano ancora mal definiti, anche se certamente determinanti perla realizzazione di condizioni lavorative sempre più soddisfacenti sulpiano della sicurezza.

Spiace dover rilevare che gli “affanni” dei medici del lavoro, il loro“interrogarsi” su ciò che fosse meglio o doveroso fare, il loro “chiedere”interventi legislativi etc, siano rimasti privi di effetto (e di ogni ascolto)per tanto tempo. (vedi note 3-4-5) Parlare quindi di un ampio periodo di“solitudine” è doveroso e nel contempo illustrativo del duro camminodella nostra Medicina del Lavoro e del grosso disinteresse mostrato dagliindustriali, dalle Istituzioni, dallo Stato, verso quel “popolo operaio” chesi faceva carico di ogni attività di lavoro e della prosperità della Nazionepagando spesso di persona le conseguenze e gli effetti di questa attivapartecipazione.

Non a caso il prof. Bozzolo concludeva al IV Congresso Nazionale diRoma nel 1913 affermando “...alla azione del Governo deve aggiungersil’iniziativa privata e l’aiuto degli industriali i quali, dopo gli operai, sono i piùinteressati a far scomparire questa causa di danni economici dai quali essi sono imaggiormente colpiti”.

Non si dimentichi, comunque, che agli inizi del secolo in Italia ilnumero, le dimensioni, l’efficienza etc. delle fabbriche erano parametriquanto mai precari e, quindi, più che di “disperate istanze” promosse daimedici del lavoro si trattava di appelli al buon senso, sorretti da unagrossa volontà di emulare quanto veniva già fatto in altri Paesi nelfondamentale interesse dello Stato.

In questa prima fase domina il campo una visione della Disciplina chepotremmo definire di tipo “ramazziniano” nel senso di un interessesensibile ed ampio verso tutti quei problemi di pertinenza sociale esanitaria connessi con la tutela della salute dei lavoratori, che affioravanoin un Paese in via di crescita.

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Questo periodo costituisce un momento molto particolare dellaMedicina del Lavoro proprio per le caratteristiche che ci siamo sforzati dimettere in evidenza: all’amara constatazione di uno Stato e di una classeimprenditoriale non ancora maturi ad occuparsi della tutela della salute ditutti i cittadini (specie quelli che vivevano e lavoravano in condizioni dimaggior indigenza economica e di maggior rischio) si contrapponeva unentusiasmo rimarchevole dei pionieri della nostra Disciplina. Tuttoquanto veniva auspicato appare, oggi, di grande attualità. Esso risulta inarmonia con i dettami dei due recenti D.Lgs. 277/91 e 626/94, specie làdove si riconosce la necessità di una cooperazione tra gli industriali e glistessi operai nel dar vita ad un complesso sistema preventivo del qualesono responsabili oltre al datore di lavoro e al tecnico della sicurezza, ilmedico ed il legislatore.

Oggi è evidente e non è più materia di discussione il fatto che, nelprocesso di gestione della prevenzione, debbono essere coinvolte ledifferenti componenti della realtà produttiva dai managers agli stessioperai, dal medico competente al tecnico della sicurezza e leproblematiche aziendali, produzione, sicurezza, salute ed infinebenessere devono avere una visione unitaria attraverso l’integrazionedelle succitate competenze individuali.

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LA MEDICINA DEL LAVOROTRA I DUE CONFLITTI BELLICI MONDIALI

Nel 1922 si tenne a Firenze il V Congresso Nazionale di Medicina delLavoro che riaprì la serie dei Congressi dopo la lunga parentesi – 9 anni– dovuta al primo conflitto mondiale. Nella prefazione degli Atti il prof.Prosperi, segretario del Congresso espose le ragioni che spinsero ariaprire la serie dei Congressi di Medicina del Lavoro, e a scegliere comesede Firenze; inoltre spiegò come la guerra avesse dato risalto a numerosiproblemi di medicina nei lavoratori preparando un terreno fecondoall’organizzazione del Congresso14.

Alla seduta inaugurale che si svolse nella sfarzosa sala dei Duecento diPalazzo Vecchio, fece seguito un’ampia relazione del prof. Luigi Devotosul tema: “La prevenzione delle invalidità di ordine medico”, nella qualel’oratore affermò il solenne principio “prevenire più che curare le malattie”.Nella sua relazione oltre a riportare importanti statistiche (del 1914) sulladistribuzione della mortalità generale in Italia per grandi gruppi di cause,e sulla ripartizione per professione e condizione sociale dei maschi mortiin età da 15 anni in su per alcune malattie comuni a decorso lento,sostenne il principio della protezione dei soggetti cronici o invalidiritenuti incurabili, in quanto “la medicina moderna ha per obiettivo non soloquello di liberare un individuo dalla malattia acuta che lo ha colpito, non solo diimpedire che questo individuo portatore di germi propaghi la malattia, ma deverestituire al malato quella ripristinazione integrale di salute che è consentita dallostato attuale delle conquiste scientifiche”.

Siamo nell’immediato dopoguerra, in un clima di forti tensioni socialie di scontento delle classi lavoratrici. La legge n. 80 del 17 marzo 1898introdusse l’obbligo di assicurare i lavoratori contro il rischio di infortunisul lavoro; nel 1919 era stata anche varata la legge contro l’invalidità e lavecchiaia, ma ora – a tre anni di distanza – si chiede la regolamentazionedell’invalidità da malattia da accoppiare a quelle già tutelate.

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Devoto sostenne che per conseguire l’obiettivo della prevenzione, edin particolare della prevenzione per l’invalidità, fosse necessarioosservare una serie di misure tra cui:✓ allestire una pagella biologica per ogni assicurato;✓ effettuare le visite periodiche da parte dei medici ai lavoratori e agli

assicurati in genere;✓ istituire medici sociali presso gli ospedali;✓ attuare opere di educazione igienica popolare15.

L’affermazione di prevenire l’insorgenza o l’aggravamento di malattie,specie ad andamento cronico, non era comunque nuova come abbiamogià riferito, ma il Devoto ne parlò in questa specifica occasione in quantola data congressuale (1922) coincideva con l’evento significativosuccitato: cioè i tre anni di gestione della legge protettiva della invalidità evecchiaia.

Nello stesso Congresso un argomento molto interessante fu quellotrattato dal prof. Ettore Levi nella relazione “Il moderno indirizzo per ilbenessere e l’incolumità dei lavoratori”. L’autore, dopo aver enunciatoalcuni principi della “organizzazione umana dell’industria”, si soffermasu due movimenti che si sono già affermati nei paesi anglosassoni e cioè:il welfare work, ovvero il servizio delle opere sociali per il benessere deglioperai ed il safety work, ovvero l’opera per la prevenzione degliinfortuni.

Secondo il conferenziere “I grandi industriali statunitensi, osservando l’altapercentuale dei difetti di fabbricazione, ne trovarono la causa nelle condizionideprimenti degli ambienti in cui vivevano gli operai: da ciò la tendenza a crearegiardini operai, refettori, scuole, campi di giuoco e di sport, case operaie, club, circoli,ospedali, dispensari”.

Il welfare work è realizzato attraverso varie forme di assistenza socialenell’industria, nelle case di commercio, nei grandi magazzini, nelleamministrazioni pubbliche16.

Il safety work nasce come associazione cooperativa tra i datori dilavoro e operai utilizzando differenti mezzi tra i quali prevalel’informazione, più capillare possibile, di ogni misura tecnica diprevenzione attuata. Le modalità attraverso le quali si realizza il safetywork, sono illustrazioni, riviste, articoli, safety bulletins, pamphlets. Ilprincipio fondamentale di questo sistema è di dimostrare all’operaio o

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agli industriali come si possano raggiungere contemporaneamente grandirisultati per l’incolumità stessa degli operai e per la prosperità delleindustrie17.

Appare chiaro come, già nel lontano 1922, in alcuni Paesi (ad es.USA) fossero riconosciute di grande utilità quelle realizzazioni aventifinalità sociali che in Italia solo di recente sono state prese seriamente inconsiderazione quando, finalmente, si sono resi evidenti ed in parterisolti sia il problema del servizio sanitario di fabbrica che altre situazionirelative all’organizzazione dei servizi sociali, delle infermerie, delle menseetc.

Oggi non vi è più alcuna difficoltà ad accettare questi concetti che,com’è a tutti noto, sono stati anche sanciti col D.Lgs. 626/94 e ciriferiamo in particolare ad alcuni di essi: il primo soccorso,l’informazione, la formazione etc, tutti di elevato valore sociale.

In questo periodo che va tra i due conflitti mondiali la Medicina delLavoro risente del momento storico, politico e sociale che vive l’Italia.Ben nove Congressi (con cadenza irregolare, anche se generalmentebiennale), in 16 anni ci consentono di rilevare come si venga a delineareun progressivo ampliamento di quegli orizzonti che avevanocaratterizzato l’esordio della Disciplina; quei temi di natura socio-sanitaria spesso di contenuto necessariamente generico, ora sonoaffiancati sempre più ad argomenti di maggior contenuto specifico etecnico: la fabbrica e l’industria costituiscono lo scenario di questa nuovaevoluzione. Il termine tecnopatia viene per l’appunto coniato per definirele patologie professionali derivanti da esposizione a noxae specifichericonosciute presenti in un tipo di lavorazione (così ad esempio ilsaturnismo, la silicosi, l’idrargirismo etc.).

Molti fattori sono alla base di queste variazioni di rotta. Il primo èlegato allo sviluppo industriale, coerente con l’epoca e con letrasformazioni generate da un conflitto bellico. Inoltre il periodo fascistafavorì la trasformazione dell’Italia da paese agricolo in paese industrialee, nella retorica del regime, si esaltarono i record produttivi e tecnologici,i primati nelle scienze e nelle tecniche; vennero enfatizzati gli eventi cheriguardavano l’Uomo Italico, per essere alla pari degli altri Paesi europei.Viene disposto un testo, la Carta del Lavoro, che, dopo varie versioni edanni di riflessioni, vede la luce nel 1927. E forse molte ragioni di questo

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mutamento vanno ricercate proprio nella succitata Carta del Lavoro, chesi proponeva di regolamentare la previdenza e l’assistenza sociale,l’assicurazione infortuni, l’assicurazione della maternità, quella dellemalattie professionali e della tubercolosi come avviamentoall’assicurazione contro tutte le malattie, etc.18.

Il VI Congresso Nazionale si tenne a Venezia nel giugno del ’24; vi sisvolsero sei interessanti relazioni (vedi Appendice) su temi di ampiointeresse della Medicina del Lavoro. Alcuni di essi (ad es. la gestanteoperaia) vennero poi ripresi, ampliati, aggiornati in occasioni disuccessivi congressi e quindi sono stati da noi recensiti in un insieme piùarmonioso facendone oggetto di specifiche trattazioni, che riportiamo inseguito.

A distanza di tre anni dal succitato Congresso, nell’ottobre del ’27ebbe luogo il VII Congresso Nazionale detto “ramazziniano” che sisvolse nelle tre città – Parma, Modena, Carpi – che dettero i natali evidero formarsi il pensiero e la dottrina del grande Maestro. Alla sedutainaugurale Ranelletti svolse una relazione dal tema: “La Carta del lavoroe l’assicurazione delle malattie da lavoro”, sottolineando comel’assicurazione delle malattie professionali “non solo ha lo scopo di riparare ildanno economico causato dalla malattia, ma anche quello di ridonare al più presto lacapacità al lavoro... e inoltre lo scopo più socialmente utile, di prevenire le malattiestesse, con l’attuazione delle varie norme di igiene del lavoro e delle varie opereassistenziali”. Per ragioni di praticità l’oratore sostiene inoltre la validità diadottare “più che il sistema della lista (delle malattie tutelate), un sistema misto chepotremmo definire della “lista aperta”, ovvero sostiene che l’assicurazionedoveva essere estesa a “tutte quelle altre malattie che venissero man manodenunciate e riconosciute, caso per caso, di natura professionale”19.

Due anni dopo in occasione dell’VIII Congresso che si svolse aNapoli nei locali messi a disposizione dalla I Clinica Medica, il direttore,prof. Pietro Castellino, portò il suo saluto a tutti i congressisti, inparticolare al prof. Devoto, collega di studi universitari a Genova sotto laguida del prof. Maragliano ed al Presidente del Congresso, prof LuigiFerrannini, suo discepolo al quale ricordò le aspre lotte sostenute insiemeper una Medicina del Lavoro a Napoli e tutto l’interessamento profusoaffinché l’insegnamento fosse rimasto nell’aria internistica ed avesseimportanza clinica12.

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In occasione di quel Congresso emerse la volontà di dar vita ad unaSocietà Scientifica che avesse come obiettivo riunire tutti coloro i qualisentissero l’esigenza di una medicina finalizzata allo studio dei problemicorrelati al lavoro e che si proponesse di intraprendere ogni forma diiniziativa affinché trionfassero i principi già altre volte affermati della“umanizzazione del lavoro” e della “organizzazione umanadell’industria” oltre quello più specifico della Organizzazione Scientificadel Lavoro. La proposta di istituire la Società Nazionale di Medicina delLavoro fu presentata in un ordine del giorno che così recitava: “L’VIIICongresso di Medicina del Lavoro, considerata la grande importanza assunta dallaMedicina del Lavoro specie in seguito alla promulgazione della Carta del Lavoro,propone la costituzione della Società Italiana di Medicina del Lavoro e dà incarico aiProff. Devoto, Ferrannini e Castellino di compilarne lo Statuto”. L’ordine delgiorno presentato dal dott. Caccuri, portò oltre 36 firme; fu messo ai votidal prof. Ferranini e venne approvato all’unanimità.

Per la precisione, la Società Italiana di Medicina del Lavoro nacquenel pomeriggio del giorno 12 Ottobre 1929 nell’Aula della ClinicaMedica dell’Università di Napoli: era l’VIII Congresso e la Medicina delLavoro non aveva ancora a Napoli una sede propria20.

Per rimanere in argomento riteniamo possa essere consentito saltareal XII Congresso tenutosi a Napoli nel 1936 nel quale si fece ampioriferimento alla Carta del Lavoro, questa volta per sostenere la necessitàche la Medicina del Lavoro fosse inserita nell’insegnamento superioreuniversitario.

In questa occasione Preti affermò che “l’obbligatorietà dell’esame farà sìche la Medicina del Lavoro entrerà come materia in tutte le Università, e quindi daquella conquista verrà, per conseguenza logica delle cose, un secondo desiderata, e cioèche l’insegnamento (ex cattedra) e la necessità di Istituti specialistici si diffondano intutte le Università del regno”.

La seduta congressuale sull’obbligatorietà dell’insegnamento diMedicina del Lavoro si chiuse pertanto con il seguente ordine del giornopresentato dai proff. L. Preti e N. Castellino che venne approvato peracclamazione: “che la Medicina del Lavoro, disciplina la quale ha per basel’attuazione di principi sanciti dalla Carta del Lavoro, sia posta nella facoltà diMedicina delle Università di Regno fra le materie per le quali è reso obbligatorio

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l’esame per l’ammissione alla laurea di medicina e chirurgia, e ne sia aumentato ilnumero di cattedre ufficiali”.21.

In definitiva, dall’insieme degli eventi riferiti, bisogna rilevare che laCarta del Lavoro giocò un ruolo favorevole alla nascente Medicina delLavoro la quale, nell’autodefinirsi interprete ufficiale dei problemi socio-sanitari dell’Italia corporativa, non perse alcuna occasione per rivendicareil suo ruolo e una sua doverosa collocazione nel contesto degli studiuniversitari.

Come la storia ci ha però indicato solo alcune enunciazioni della Cartadel Lavoro vennero realizzate, mentre molte ebbero solo un “significatocartaceo”. Ad esempio si dovettero attendere ben 50 anni per vederefinalmente riconosciuto, con la tabella XVIII, l’insegnamentoobbligatorio della Medicina del Lavoro negli Studi universitari.

Parimenti, si dovettero attendere molti anni per vedere assicurateanche la silicosi e l’asbestosi (1943); per ottenere giuste leggi a protezionedel lavoro agricolo; per tutelare attraverso una serie di provvedimentimolte situazioni a rischio.

Quest’ampio periodo che va dal 1922 all’inizio del II Conflitto bellicomondiale registrò importanti congressi: nel ’22, nel ’24, nel ’27, nel ’29,nel ’30 e quindi con regolare cadenza biennale nel ’32, ’34, ’36, ’38 (vediAppendice). Quello di Roma del 1930 ebbe come tema principale lapatologia dell’apparato respiratorio; quindi quello del 1932 a Milanospaziò dal lavoro intellettuale al lavoro nei campi; nel 1934 a Torino siparlò di solfocarbonismo e di lavoro sul mare; nel 1936 a Napoli vennerotrattati i temi dell’otopatia da rumore e della patologia della chimicaindustriale; infine nel 1938 a Bari la silicosi occupò un ruolo preminente.

Come già detto, poiché i temi trattati in questi congressi furonoripresi anche in numerose successive occasioni gestite dalla nostraSocietà, per una più agevole lettura di questo nostro scritto ed unamaggiore comprensione dei temi scientifici, abbiamo ritenuto preferibileraggruppare alcuni argomenti in singole esposizioni nelle quali abbiamocomunque fatto riferimento alle date ed alle sedi in cui i temi venneroesposti.

Abbiamo così approfondito: il lavoro in agricoltura che vide la suaprima ufficializzazione a Firenze nel 1922 (V Congresso);l’organizzazione scientifica del lavoro (O.S.d.L.) che fu trattata per la

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prima volta a Napoli nel 1929 all’VIII Congresso Nazionale; la silicosiche tenne il campo per circa mezzo secolo dal 1938 (XIII Congresso diBari) sino al 1967 (XXX Congresso di Milano).

(Di seguito riportiamo tre distinti capitoli che fanno il punto eracchiudono quanto si è detto nel corso del secolo sui temi succitati).

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LA MEDICINA DEL LAVORO IN AGRICOLTURA

Nonostante si possa avere l’impressione che in Italia ci si sia occupati,in modo solo marginale, della patologia del lavoro rurale, desideriamoriferire una serie di occasioni e/o eventi scientifici e legislativi chedocumentano, invece, un attivo interesse verso questo settore lavorativo.

Gli Atti di numerosi Congressi che si sono succeduti durante questosecolo – quelli del 1913, 1922, 1932, 1953, 1962, del 1976, 1977, del 1983e 1984, certamente non pochi! – sono testimoni di una costante presenzadella Disciplina in questo specifico settore lavorativo, che è tra i piùdiffusi in Italia ed, al contempo, tra i più complessi per le sue peculiaritàin relazione alle noxae, alle patologie, al tipo di lavoratore interessato. Peruna maggiore chiarezza di esposizione recensiremo i temi sulla patologiain agricoltura così come furono presentati nelle successive datecongressuali, inserendo però nel contesto anche alcune riflessioni sull’iterlegislativo che fu tra i più complessi e travagliati nell’ambito dellenormative riguardanti la prevenzione sul lavoro. Abbiamo utilizzato persemplificare il discorso, una arbitraria suddivisione in fasi successive: sinoal primo conflitto bellico mondiale, in un periodo affatto iniziale, loscenario è dominato dalla drammatica esistenza di veri “flagelli” umaniregistrati nell’ambito del lavoro agricolo quali l’anchilostomiasi, la malariaetc. e ne è fedele testimone il IV Congresso del 1913 tenutosi a Roma nelquale si discusse dell’“uncinaria”, definito problema mondiale, che inItalia aveva un’ampia diffusione, con un’elevata mortalità, specie in tuttequelle attività nelle quali il soggetto si trovava a lavorare (in generescalzo) con i piedi e le gambe in terreni fangosi, spesso paludosisvolgendo attività agricole in senso ampio, ovvero colture particolariquali le risaie, ovvero giardinaggio, oltre al drammatico lavoro nellesolfatare. Successivamente, a partire dal primo dopoguerra, registriamointerventi della Medicina del Lavoro che si caratterizzano per la volontàdi produrre una trattazione più rigorosa e sistematica di ogni patologiaagricola, indipendentemente dalla drammaticità dell’evento morboso edalla sua dimensione epidemiologica. Così nel 1922, con la relazione del

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Monti al Congresso di Firenze, cui fece seguito l’interessamento delledue prime Scuole di Medicina del Lavoro – quella di Milano, conDevoto, e di Napoli, con Ferrannini e Castellino – inizia una secondafase nella quale, accanto all’interesse sempre vivo verso le gravi patologiesuccitate, si evidenzia una grossa spinta verso gli aspetti igienistici,fisiologici e clinici di questo particolare comparto lavorativo: un insiemedi interessi che diverranno complementari evolvendo successivamente inun contesto interdisciplinare. Si discute su di una apparente linea didemarcazione, in effetti non netta, tra l’interesse dell’igienista, che vedenell’ambiente rurale le cause delle infezioni, e quindi delle patologie daesse derivanti, e quello del medico del lavoro, che identifica nellacomponente umana l’obiettivo verso cui la prevenzione va mirata, inquanto gli uomini rappresentano gli anelli di una catena che attraverso uncontinuo flusso uomo-ambiente-uomo ripropone il contagio e ladiffusione del morbo.

Quindi, nel 1953, con il XIX Congresso di Firenze ed in un crescendosino agli anni ’80, in analogia con quanto avviene per l’industria, sisviluppa l’analisi specifica delle lavorazioni agricole delle quali si studianoanche gli aspetti tossicologici e si entra nel vivo delle patologie persingoli apparati. Va ricordato che in quegli anni cominciarono ad essereimmessi sul mercato molti prodotti chimici per l’uso agricolo(fertilizzanti, antiparassitari) per cui si rese necessaria sia unaregolamentazione legislativa di tali prodotti, sia la messa a punto dimetodi analitici per la valutazione dell’esposizione, dell’entitàdell’assorbimento, e del metabolismo di detti composti con proposte attea definire le linee del monitoraggio biologico e della sorveglianzasanitaria. Si tenne conto anche del rischio cancerogeno: infatti a partiredal 1974 lo IARC, sulla base di studi sperimentali ed epidemiologici,inizia ad esprimere, anche per alcuni composti di uso agricolo, l’evidenzadi cancerogenicità secondo la nota classificazione22.

Infine, a partire dagli anni ’90, può essere identificata un’ultima fase incui, essendo state recepite in Italia le direttive comunitarie in materia disalvaguardia delle salute negli ambienti di lavoro con i decreti legislativi277/91 e 626/94, risultano applicabili in agricoltura, nell’ambito dellavalutazione del rischio, il titolo V (con il rischio della movimentazione

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manuale dei carichi), il titolo VII, (riguardante gli agenti cancerogeni), edinfine il titolo VIII (con il rischio biologico).

In conformità a quanto premesso, riportiamo di seguito le principalitappe storico-legislative.

Nel 1917 viene approvata la prima forma di tutela per gli agricoltorimediante l’estensione ad essi dell’Assicurazione obbligatoria contro gliinfortuni sul lavoro: si realizzano così condizioni di parità, nell’ambitoprevidenziale relativo all’infortunistica tra soggetti appartenenti adifferenti settori lavorativi, anche se con un ritardo di quasi venti annirispetto al mondo industriale, per il quale la legge n. 80, relativaall’Assicurazione Obbligatoria degli Infortuni sul Lavoro era stataemanata nel 1898.

Nel 1927, al XIII Congresso Internazionale di Agricoltura vengonoesposti ufficialmente a Roma i principi del taylorismo da applicare inagricoltura. Un primo tentativo di tale applicazione venne effettuato inGermania nel 191923. Sulla scia dell’esempio tedesco, anche in Italia, ladecisione di bonificare vasti terreni rappresentò l’occasione e l’incentivoper l’applicazione dei principi succitati e a partire dal 1928 nasconoriviste come “L’agricoltura razionale” e si sviluppa la fisiologia del lavoro,con studi sui movimenti, sui tempi, sugli strumenti e sulla meccanicaagraria in generale.

Nel 1929 vengono istituite Scuole Professionali e Corsi biennali etriennali di avviamento al lavoro e nel 1932 viene varato un disegno dilegge sull’istruzione professionale ai contadini, che prevede un indirizzopiù pratico per la formazione. In particolare nelle scuole elementarirurali, con l’assegnazione ad ogni scuola di un podere perl’addestramento pratico sotto la vigilanza di personale tecnico, si auspicadi poter insegnare ai ragazzi l’organizzazione del lavoro agricolo.

Nel 1927 viene promulgata la Carta del Lavoro le cui norme 27 e 28porteranno due anni dopo alla costituzione delle Casse Mutue Malattia.

Nel luglio del 1928 si tenne una prima Conferenza d’igiene rurale incui emerse una viva collaborazione tra i vari gruppi internazionali:l’Istituto Internazionale di Agricoltura contattò la Sezione d’igiene dellaSocietà delle Nazioni e l’Ufficio Internazionale d’Igiene di Parigi; tuttiaderirono ad un piano di azione per indurre al rispetto delle condizioniigieniche di base nelle abitazioni rurali. Nel 1929 le Due Confederazioni

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Nazionali di Agricoltura, in accordo con la convenzione Razza-Cacciari,fondarono la Confederazione Casse Mutue Malattia per i lavoratoriagricoli.

Nel 1931 si tenne a Ginevra la Conferenza di Igiene Rurale dove sistabilirono le direttive e le norme per assicurare ai contadini un’efficaceassistenza sanitaria ed igienica; si indicarono i mezzi per una energicalotta contro le malattie infettive, le malattie sociali, l’igiene degli alimentie vennero formulati dei programmi di protezione per la maternità e perl’infanzia.

Alcuni anni dopo, con la Legge n. 1265 del 27/7/1934, venneemanato il Testo Unico delle leggi sanitarie e furono dettate ledisposizioni per le “Condizioni di abitabilità delle case rurali”.

Infine, molti anni dopo, nel 1956, con il D.P.R. 303/56, le aziendeagricole vengono omologate (salvo poche eccezioni) agli insediamenticivili con relative norme riguardanti gli scarichi idrici, lo smaltimento deirifiuti etc. Purtroppo il D.P.R. 303/56 esonera dai controlli sanitariperiodici i lavoratori agricoli singoli e i familiari: in pratica la maggioranzadella manodopera. Nel definire il campo di applicazione, l’art. 49 recita:“le disposizioni stesse non si applicano alle aziende operaie gestite dal proprietario,affittuario, enfiteuta, che coltivi direttamente il fondo con i membri della famiglia secolui conviventi, anche se per brevi periodi di tempo occupi mano d’opera per lavoristagionali”. Stranamente il legislatore italiano, promuovendo il soloconcetto di “operaio-agricolo” e non di “agricoltore in senso lato”, hadeterminato un grosso limite per lo sviluppo di una medicina preventivanella realtà agricola la quale, per motivazioni di tipo storico, politico egeografico, è sempre stata in prevalenza a conduzione familiare. Inparticolare si può osservare che l’art. 33 del succitato decreto – tutt’oggiin vigore – elenca nella tabella delle lavorazioni anche i rischi contemplatiper il mondo agricolo (es.: rischio fosforo per chi somministra gliantiparassitari, rischi zolfo nelle operazioni di solforazione della frutta edelle sostanze alimentari in genere, rischio di leptospirosi per lelavorazioni in canali fogne o terreni di bonifica, etc.), ma occorresottolineare che tutte le lavorazioni vengono prese in esame soltanto seconfigurano un rischio di tipo professionale o di lavorazioneindustriale24.

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Nel 1965, con il Testo Unico (il D.P.R. n. 1124 del 30/06/1965) chesancisce l’obbligo di assicurazione contro le malattie professionalidell’industria e dell’agricoltura, si completa il panorama delineato dalD.P.R. 303/56.

Nel 1968, con il D.P.R. n. 1255, vengono dettate le norme riguardantii fitofarmaci che riportano i dati sulla classificazione, sulla necessità diautorizzazione, controllo e registrazione presso il Ministero della Sanità,in qualità di presidi sanitari. Si stabiliscono norme che regolano l’acquistoe l’utilizzo di tali prodotti anche sulla base della classificazione. Per ipresidi sanitari appartenenti alle classi I e II si stabilisce l’obbligo delpossesso di un “patentino” per il conseguimento del quale si devesostenere un colloquio attestante la conoscenza dei “pericoli connessicon la detenzione, conservazione, manipolazione e utilizzazione deipresidi sanitari, le modalità per il corretto uso degli stessi, le relativemisure precauzionali da adottare e gli elementi fondamentali per uncorretto impiego dal punto di vista agricolo”.

Nel 1972, con la legge n. 457, vengono stabiliti i “Miglioramenti aitrattamenti previdenziali e assistenziali nonché le disposizioni perl’integrazione del salario in favore dei lavoratori agricoli”. Vengonoaboliti i limiti di età per la tutela assicurativa obbligatoria e viene portatoal 10% il grado di invalidità minimo indennizzabile, allineandolo conquello dei lavoratori dell’industria.

Nel D.M. del 1973 viene pubblicato l’elenco delle malattieprofessionali per le quali è obbligatoria la denuncia contro gli infortunisul lavoro e le malattie professionali.

Con il D.P.R. 424/74 viene data una classificazione dei pesticidi inclassi di tossicità ed istituito l’obbligo di un patentino a scadenzaquinquennale.

Con la legge n. 638 del 1975 viene sancito l’obbligo per ogni medicoche venga a conoscenza di casi di intossicazioni da pesticidi di effettuarela denuncia.

Con il D.P.R. n. 223 del 1988 viene fornita la nuova classificazionedegli antiparassitari su due classi di tossicità, introducendo nei termini divalutazione le dosi letali, sia la DL50 orale, che la DL50 cutanea, nonchéle norme per il rilascio dei patentini. Successivamente, con la Circolaredel Ministero della Sanità n. 37 del 29/11/1988, sono state date le norme

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applicative del D.P.R. 223/88 e nell’allegato è stato descritto ilprogramma del corso che devono frequentare gli aspiranti per ottenere orinnovare il patentino per l’acquisto e l’impiego dei presidi sanitari. Ilprogramma allegato alla Circolare prevede l’acquisizione di conoscenzerelative ai seguenti aspetti: tossicologico-preventivo, agronomico (buonapratica agricola), impatto ambientale, disposizioni legislative.

Vorremmo così sottolineare che sia il decreto 223/88, sia la circolarecitata 37/88, aprono alcuni spazi sulla tutela della salute in rapportoall’esposizione professionale a fitofarmaci, tra i quali importanti risultanoil ruolo delle ASL che rilascia il patentino ed il ruolo del medico dellavoro che deve dare informazione anche nel corso della sorveglianzasanitaria.

Infine nel 1994, con l’emanazione del D.P.R. n. 336, si è avuto unodegli ultimi aggiornamenti in materia: “Regolamento recante le nuovetabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura” che haportato da ventuno a ventisette il numero di malattie professionaliagricole indennizzabili25.

In epoca recente il decreto legislativo 626/94 affronta l’aspetto dellelavorazioni agricole nel titolo VIII del rischio biologico. Infattil’agricoltura, la zootecnica e la veterinaria vengono considerati dei settorilavorativi che possono comportare sia l’uso deliberato di agenti biologici,sia una potenziale esposizione ad agenti tossici. In particolare perl’agricoltura: la fertilizzazione di colture, l’uso di microrganismiazotofissatori, lo sviluppo di nuove sementi, uso di antiparassitarimicrobici: batteri, funghi, virus.

Dopo questa sintetica elencazione di norme legislative e seguendo unordine cronologico di riferimento, il primo congresso in cui venneaffrontato il tema dell’agricoltura sotto gli aspetti preventivo-sanitari fu –come già detto – quello di Firenze del 1922, ove il prof. Monti esposeuna relazione dal titolo: “L’igiene agraria del dopoguerra con specialeriguardo alla malaria” rivolgendo particolare attenzione ad una dellepiaghe rurali del primo dopoguerra. Il relatore effettua una puntualepanoramica di questa grave patologia che sembrava debellata o per lomeno “confinata” (a partire dal Settecento) in focolai tipici quali l’AgroPontino, la Sardegna, la Basilicata. La malaria ora torna a diffondersi, –egli afferma – “determinando la decadenza fisica della robusta classe lavoratrice dei

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campi, abbattendo la resistenza organica, la forza di lavoro, lo stesso spirito diiniziativa”.

All’epoca, giustamente ci si preoccupava delle grandi patologie, inquanto ancora presenti e gravi, come l’osteomalacia, i reumatismi cronici,la gotta, l’alcolismo, la sifilide, la febbre tifoide, la dissenteria, la febbre dimalta. Si fanno bilanci in termini di vite umane, e nel tentativo diarginare il dilagare di queste patologie si individuano due principalidifese: la bonifica dell’uomo e la bonifica dell’ambiente: “la bonificadell’uomo è compito di clinici patologi; la bonifica dell’ambiente è compito di igienisti,di tecnici, di cultori della medicina sociale, coadiuvati dal consenso delle masse agricole.L’una e l’altra sono egualmente necessarie e si integrano a vicenda”.

L’oratore, infatti, ritiene necessario affiancare agli igienisti – chevedono la bonifica dell’ambiente come il “caposaldo” della protezione –anche i medici del lavoro che ritengono la sola bonifica dell’ambienteinsufficiente se non addirittura “pericolosa”. Certamente essa èimportante ma secondaria al concetto della bonifica umana “che consistenella cura metodica di tutti i malarici di una regione non solo nella stagione epidemicama anche nel periodo interepidemico cioè nell’inverno e nella primavera. I più grandirisultati che noi abbiamo raggiunto nel trentennio che ha preceduta la guerra si devonoall’opera modesta, ma costante ed instancabile dei medici che hanno curatosistematicamente i malarici ed hanno cosi ridotta non solamente la gravitàdell’infezione ma anche la probabilità di diffusione della malattia”.

Un altro aspetto moderno del pensiero del Monti, che ancor oggi nonriceve però l’adeguata attenzione da parte del legislatore è l’informazionein campo rurale: “quel consenso delle masse agricole... la cosciente collaborazionedelle masse lavoratrici. Se l’emancipazione dei lavoratori deve essere opera dellavoratori stessi, a maggior ragione il risanamento fisico, l’elevazione dei contadini adun più alto tenore di vita, non potranno essere raggiunti, se i contadini stessi non nesaranno persuasi, se non vorranno essere essi stessi gli artefici del loro avvenire... Lapropaganda nel caso nostro saranno i medici condotti, i maestri di scuola e gli stessiorganizzatori... spetterà alle organizzazioni di classe la propaganda presso gliadulti”.

Oggi non abbiamo più dubbi né sulla complementarietà dei due ruoliche spettano all’igienista ed al medico del lavoro né sulla necessità direalizzare l’informazione.

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Dopo dieci anni dal citato Congresso (Firenze), l’inquadramento dellapatologia agricola manifesta una valida evoluzione, e con il X Congressodi Medicina del Lavoro, tenutosi a Milano, nel 1932, vennero poste esviluppate le basi per una trattazione sistematica dell’argomento agricolo.

La prima relazione “Il lavoro nei campi” fu tenuta dal prof. N.Castellino, che strutturò l’intervento insieme a tre suoi collaboratori edespose anche le conclusioni generali: il dott. Caso trattò “La patologia deilavoratori dei campi”, il dott. Noviello trattò “L’organizzazionescientifica del lavoro agricolo” ed il dott. Aiello trattò “La patologia deilavoratori dei campi”.

In merito alla patologia dei lavoratori dei campi, il dott. Caso affrontail problema della postura e la movimentazione manuale dei carichi, infattile “deviazioni della colonna vertebrale”, ed altre affezioni come: lascoliosi, le varici, le emorroidi, le ptosi dei visceri addominali, le ernie, laartrite da sforzo al pollice destro per i mungitori, le artriti localizzate ogeneralizzate vengono correlate all’anzianità lavorativa, all’azione deltrauma lavorativo, e agli strumenti di lavoro adoperati. Interessante è lostudio dettagliato del nesso causale tra posizione lavorativa e insorgenzadi patologia: “... le cifosi dorsali, le iperlordosi lombare, le iperostosi endorachidesono il prodotto di una viziata posizione di lavoro esercitato per decenni e sono anchel’espressione dell’alterazione del rapporto anatomico dello scheletro unilateralmentesottoposto allo sforzo lavorativo, rappresentano oltre che una malattia da posizione dalavoro, addirittura un abito di lavoro, che ben circoscrive e caratterizza tutta lapersonalità del lavoratore agricolo”.

Troviamo affrontate quasi tutte le malattie che riguardano la bocca,l’esofago, lo stomaco come le malattie infettive e parassitarie (rabbia, aftaepizootica, febbre da pappataci, la malattia di Bang, il carbonchio, lamorva, la febbre maltese, il tetano, il tifo, paratifo, enteriti infettive, ilbotulismo); le malattie reumatiche; l’anchilostomiasi o infezionibatteriche come la tubercolosi, le micosi, la spirochetosi, le malattie daprotozoi. Per quanto riguarda il tema dell’igiene l’oratore esamina,nell’ambiente agricolo l’azione della luce, della temperatura, l’umidità, lapressione atmosferica, le condizioni igieniche delle case, e delle stalle: “colprogresso dell’igiene rurale al più presto le aziende agrarie piccole e grandi, vicine olontane dai grandi centri urbani, nelle pianure o sui monti dovranno tutte modellarsi

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su di una azienda tipo fatta di casa igienica e di terra veramente madre, cioè salùbre efeconda”.

La relazione di Noviello, rileva come si stia sviluppando una“Organizzazione scientifica del lavoro agricolo ... ed i cui risultati pratici sono tali chedanno a questa nuova scienza un’importanza ben meritata... essa deriva dal pensieroe dall’impegno di clinici quali Loriga, Devoto, Pieraccini, Castellino, e di economistiquali Mauro, Fossati e di tecnici quali Taylor che fu il promotore di un metodo aventecome obiettivo la razionalizzazione del lavoro”. Nella relazione del Noviello sileggono i tentativi di applicare in agricoltura i principi del taylorismo chemiravano a rendere il lavoro agricolo meno usurante, a ridurre ildispendio di energia, ed eliminare, nei limiti del possibile, tutte le causenocive, “onde il lavoratore in genere e l’agricoltore in specifico, trovi nel suo stessolavoro il benessere individuale e sociale, materiale e psichico, ed acquisti sempre più lacoscienza di un essere che non impieghi la sua forza bruta, ma la sua forza vitale ecosciente che scaturisce dalla sua intelligenza”.

Interessante è l’analisi delle differenze tra realtà industriale ed agricola.Per quest’ultima:1) l’ambiente di lavoro non è confinabile e come tale soggetto a

variabilissime influenze climatiche;2) il binomio uomo-macchina si trasforma quindi in una relazione più

ampia quale uomo-suolo-animale-pianta, elementi complessi chepossono coadiuvare il processo produttivo che è di ordine puramentebiologico;

3) infine – sottolinea l’oratore – nell’operaio meccanico si ha la“specializzazione di lavoro, in quello agricolo si ha la somma delle varie specie dilavoro”.Il Noviello così si espresse: “Nell’industria invero fattori della produzione

sono l’uomo e la macchina, in agricoltura, oltre questi, sono necessari il suolo,l’animale la pianta, ma mentre per l’industria l’uomo e la macchina sono i direttiproduttori, per l’agricoltura essi non possono che solo coadiuvare il processo diproduzione, il quale è di ordine puramente biologico ed organico. Il lavoro industrialesi compie in ambiente confinato, quello agricolo in ambiente libero e soggetto quindipiù direttamente alle influenze climatiche, ed ancora meno influenzabile dall’operadell’uomo; il primo è stabile e continuativo, il secondo è mobile e periodico perché indiretto rapporto con la natura del suolo e della quantità e qualità del prodotto agrariodella terra. Generalmente nell’operaio meccanico si ha specializzazione di lavoro in

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quello agricolo invece si ha la somma delle varie specie di lavoro, ciò che si verificaparticolarmente nelle piccole e medie aziende”.

Ma il motivo fondamentale dell’attenzione al mondo agricolo, rimane,per l’oratore l’importanza del fattore umano tanto che per sottolinearetale concetto afferma: “... la prevalenza del fattore umano sul meccanico non solocostituisce una delle note che contraddistingue l’agricoltura dalla industria ma unodegli argomenti più validi purché al fattore umano si diano tutte quelle cure che non silesinerebbero al meccanico... questa necessità dobbiamo far nostra, e comenell’industria il fattore umano ha avuto la sua più ampia e crescente protezionescientifica e legislativa è d’uopo che anche in agricoltura l’uomo abbia ai fini utilitaristessi della produzione attenzione, cure e provvidenze sanitarie, ed a riguardo diciamopure che molto si è fatto. Tali provvidenze si rendono necessarie se pensiamo comerecenti studi medici hanno dimostrato che il lavoro dei campi non è poi circondato daquella salubrità, felicità e tranquillità idilliaca che prima si riteneva e che essofrequentemente è causa di non poche malattie e deformazioni. L’alta percentuale ditubercolosi riscontrata in alcune zone rurali è di poco inferiore a quella urbana...Astraendoci quivi da considerazioni economiche appare chiaro di dover applicareanche in agricoltura i principi della O.S.d.L. intendendo questa scienza quella chemira ad eliminare la fatica inutile, reintegrare e migliorare quella utile e che in ultimaanalisi si traduce in miglioramento del benessere nazionale ed individuale...”26.

Si ravvisa la necessità di una adeguata protezione scientifica sanitaria elegislativa; si tenta in tutti i modi, per fornire attenzione e cureprevidenziali ai contadini, di sfatare il quadro idilliaco del lavoro suicampi come salubre, felice, tranquillo. Si auspica, come già riferito,l’applicazione dei principi dell’Organizzazione Scientifica del Lavorocome la scienza che “mira ad eliminare la fatica inutile, reintegrare emigliorare quella utile e che in una attenta analisi si traduca inmiglioramento del benessere nazionale e individuale”.

Noviello riferisce nella sua relazione di come in Italia, a partire dal1929, sia iniziato un processo promozionale umano, guidato dal pensierodel Loriga che sviluppa nel 1930 le linee per un migliore studio dellaO.S.d.L. che “deve diventare sinonimo di organizzazione umana – più chescientifica – del lavoro”. Vengono date le direttive indicanti i metodi dimisurazione e di limitazione della fatica nei suoi vari aspetti per lo studiodelle attitudini.

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Infine le conclusioni del prof. Castellino il quale ricorda 5 principifondamentali: collocare ogni individuo al suo posto; regolare il lavorosecondo le norme della fisiologia e della tecnica delle lavorazioni;studiare i fattori che contribuiscono a modificare le capacità produttive(ambiente, materiale di lavoro etc.); studiare i fattori che contribuisconoa reintegrare e a rafforzare le forze logorate; studiare i vari provvedimentilegislativi.

Appare evidente come nel congresso di Milano si tenti in tutti i modidi coinvolgere il Governo e la politica del regime; Noviello afferma: “lalucida e sapiente opera del Governo fascista, vigile e sensibile alla tutela del lavoratore,ha tracciato alcune norme da servire di guida nella disciplina del lavoro campestre ovesi prospetti la possibilità di pericolo per la salute del lavoratore”.

Ciò, in armonia con quanto abbiamo più volte voluto rimarcare,conferma la tendenza, da parte dei fondatori della Medicina del Lavoro,di agganciare, a quelle che erano le ambizioni o le posizioni politiche delmomento, ogni occasione che fosse anche d’interesse per la Disciplina.Nel capitolo successivo abbiamo esposto come l’organizzazionescientifica del lavoro fu sentita e ampiamente trattata in funzione dellavoratore; bypassando ogni considerazione di tipo tecnico-ingegneristico sottolinearono infatti gli aspetti biologici, psicologici,clinici e i relativi rischi o effetti sull’uomo del lavoro moderno. Oggi suquesti temi ci si ritorna dimenticando in parte, l’esperienza storica: laMedicina del Lavoro, forse per la sua semplice concezione, macomplessità di applicazione per le numerose variabili in gioco, ha avuto ilgrosso privilegio di evidenziare sin dall’inizio del secolo molte relazionitra le tipologie del lavoro, le condizioni di esecuzione e le ricadute sullavoratore. Un esempio per tutti è rappresentato dallo studio deimovimenti, delle posizioni, etc. che oggi costituisce il vasto capitolo dellaposturologia.

L’attenzione all’ambiente è così elevata che, nel X Congresso siriporta l’inchiesta, commissionata dal preside della provincia Matalonialla scuola di Milano ed effettuata dai proff. Aiello e Devoto; dal titolo“Le condizioni di ambiente sociale tra i lavoratori della provincia diMilano”, che aggiorna ed amplia – mediante questionari – unaprecedente inchiesta sanitaria del 1885 svolta nei Comuni del

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Circondario: Monza, Gallarate, Abbiategrasso, Lodi, e per ogniCircondario vengono esaminati tutti i comuni che lo compongono.

Su questa stessa scia lavorò la Medicina del Lavoro di Napoli, chenello stesso congresso presentò una relazione dal titolo “Caratteristicheambientali economiche, sociali ed igienico sanitarie del lavoro agricolonelle diverse regioni italiane”. Per ciascuna regione vengono analizzatiquattro aspetti ritenuti fondamentali: le culture prevalenti, i sistemi diconduzione, la zootecnica e l’industria agraria ed infine le condizioni dellavoratori.

Un altro aspetto che il congresso di Milano non trascura, è quellodella tutela assicurativa, cui viene dedicata un’intera seduta presieduta daiproff. Devoto e Diez. Interessanti anche le relazioni di Lattes sul“Trattamento assicurativo dei contadini non salariati”, quella di Borronisull’ “Assicurazione contro le malattie nei suoi rapporti con la medicinadel lavoro” e il breve intervento del prof. Grasso-Biondi nel parlaredell’indennizzo in capitale o in rendita nelle leggi sugli infortuni, e dellacapacità di lavoro e capacità di guadagno nella pratica degli infortuniagricoli.

Dopo il Congresso di Milano si tornerà a parlare di agricoltura nel1953 a Firenze con il XIX Congresso che darà al tema un indirizzoantinfortunistico. Infatti dal 1938 al 1953 si era assistito ad una nettaprevalenza di interesse della Disciplina verso le lavorazioni industriali,che stavano segnando la ripresa dell’economia italiana del primodopoguerra ma che ponevano la problematica di un’elevata incidenzainfortunistica; per analogia anche nel tema rurale prevalse l’interesseverso gli infortuni. In effetti lo spirito del congresso fu improntato ad un’attenzione e una lotta contro gli infortuni, per due motivi. Il Congresso:1) fu organizzato dall’INAIL, che festeggiava il suo sessantesimo anno,2) segnava l’entrata in vigore della legge del 15 novembre 1952 n. 1967che realizzava l’estensione delle malattie professionali.

Nonostante nel ’53 veniva stimato che il 48% della popolazionelavorativa fosse costituito da agricoltori, ancora molta strada si dovevafare per estendere ad essi l’assistenza nei settori degli infortuni e delletecnopatie e rendere più sana la vita nel mondo agricolo.

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Due sono le relazioni più importanti del congresso; quella del prof.Grasso-Biondi su “La patologia del rurale” e quella del prof. Pancheri“Sicurezza ed igiene del lavoro in agricoltura”

Il prof. Grasso-Biondi affronta il tema suddividendolo in vari aspettiche sono poi sviluppati e presentati da più oratori: la Patologiadell’ambiente di lavoro, trattata da Lombardo, la Patologia da materiali dilavoro(antiparassitari organici ed inorganici), trattata da Pancheri edinfine la Patologia da strumenti di lavoro, trattata da Lenzi. La secondarelazione del prof. Pancheri, si articola in varie parti: nella prima partevengono presentati alcuni dati statistici INAIL riguardanti gli infortuni ele malattie professionali e i dati di morbilità del settore agricolo ; in unaseconda parte si tratta la prevenzione suddividendola in “prevenzionesoggettiva” e “prevenzione oggettiva” che considera: a) l’ambiente dilavoro, b) gli attrezzi da lavoro, con proposta di studio scientifico delleforme e delle tecniche di impiego, c) il lavoro delle donne e dei fanciulli,d) la legislazione.

Viene trattata poi come forma di “Prevenzione soggettiva”, laformazione professionale, l’orientamento e selezione professionale, lapropaganda. Riguardo alla formazione professionale è da ricordare comenel ’53 fosse fortemente diffuso l’analfabetismo (presente in ragione del25% ovvero di un ragazzo su quattro), ed è il motivo per cui il prof.Pancheri sostiene una scuola elementare per tutti e successivamente una“istruzione post elementare che mira a consolidare quanto appreso e a dare le primenozioni professionali”. In effetti, in quegli anni, cominciano a nascere leprime scuole professionali quali quella per i periti agricoli a Fondi checostituisce una vera novità per una categoria di lavoratori la cuiprofessionalità non era mai stata presa in considerazione. Nella terzaparte della relazione si espongono alcuni esempi di applicazione praticadelle evoluzioni delle tecniche nell’agricoltura quali la trebbiatura, lamaturazione artificiale della frutta, l’uso dei fumiganti etc. e delleconseguenti misure preventive. Nella parte finale della relazione si tentauna classificazione dei vari “profili professionali” presunti in agricolturadando alcune descrizioni delle mansioni. Infine viene riportata laclassificazione delle professioni agricole che aveva dato il B.I.T. l’annoprecedente (1952).

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Nel 1962 al XXV Congresso di Taormina, viene trattata in modoesaustivo la “Patologia da esteri fosforici”, con la relazione dei proff.Fradà e Salamone che espongono la storia, la chimica, i meccanismitossicologici con le loro interazioni sul sistema nervoso, gli effettibiologici, il metabolismo, la sintomatologia clinica, la prevenzione, edinfine le prospettive terapeutiche. L’impostazione della relazione è ditipo didattico e tossicologico poiché fornisce un resoconto generale diqueste nuove sostanze chimiche di recente impiego in agricoltura. Inrealtà due momenti importanti avevano preceduto la trattazione di taleargomento: nel 1957 una sezione del Consiglio Superiore di Sanità cheaveva finito per concludere che “è oggi impossibile non ricorrere nelcampo degli insetticidi agricoli, a molte sostanze di estrema tossicitàanche per l’uomo e gli animali” ed il I Congresso nazionale di medicinarurale in cui Crepet e Gobbato avevano illustrato il ruolo che gli esterifosforici, tra i pesticidi di più largo uso, occupano sul piano pratico, incampo agricolo. Fradà e Salamone vogliono inoltre sottolineare come ilrischio derivante dall’impiego degli organo fosforici possa investire ilavoratori dell’industria, i consumatori di prodotti agricoli e pertantotutta la popolazione; viene spiegato il meccanismo di azione attraversol’inibizione enzimatica anticolinesterasica: “... il meccanismo dell’intossicazioneda esteri fosforici viene attribuito particolarmente alla inibizione delle colinesterasi(quantunque oggi si tenda a dimostrare che questo non sia l’unico fattoredeterministico dell’intossicazione)...”. Nella parte finale della relazione si trattaanche dell’aspetto preventivo da rivolgersi alle tre categorie esposte arischio: i lavoratori dell’industria, i lavoratori dell’ agricoltura, ed iconsumatori delle derrate alimentari27.

Come si vede, vennero gettate le basi scientifiche e vennero indicateproblematiche con circa un decennio di anticipo rispetto al successivorecepimento da parte del legislatore. Infatti una ripresa del tema agricoloa livello congressuale si avrà solo negli anni Settanta quando verrannoapprovate importanti leggi in merito al riconoscimento di malattiaprofessionale: il D.M. del 1973 che riporta l’“Elenco delle malattie per lequali è obbligatoria la denuncia contro gli infortuni sul lavoro e lemalattie professionali” e il D.P.R. 482 del 1975 recante la nuova tabelladelle malattie professionali in agricoltura, e l’obbligo di denuncia dei casisoggetti ad intossicazione da anticriptogamici (1975).

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Al XXXIX congresso, tenutosi a Fiuggi Terme nel 1976, il prof.Maugeri, e la sua scuola di Pavia tennero una relazione dal titolo“Attualità e prospettive generali della Medicina del Lavoro agricolo.Aspetti particolari del lavoro nelle stalle”.

Sono gli anni in cui esigenze economiche spingono ad un rilanciodelle attività agricole, e quindi appare necessario trasferire le esperienze ele acquisizioni fatte dal medico del lavoro dal campo industriale a quelloagricolo. Nella relazione Capodaglio pur proponendo un adeguamentodelle metodologie sottolinea la non applicabilità di un trasferimento puroe semplice dei metodi operativi usati nell’industria all’agricoltura per tremotivi (alcuni dei quali già evidenziati):1) la non definibilità di un ambiente di lavoro,2) la copertura di più fattori di rischio all’interno di mansioni e la

difficoltà di definire degli standard di esposizione,3) la scarsa recettività dei lavoratori agricoli ad una partecipazione sentita

di tipo preventivo.Maugeri esprime la necessità di precisare i rischi nei singoli settori del

lavoro agricolo “è necessario affrontare settorialmente i problemi lavorando sepossibile su gruppi a rischio il più possibile omogenei” ... “l’invasione di tonnellate diprodotti chimici commerciali deve porre il problema della tutela di chi adopera deifitofarmaci la quale ha aspetti diversi da quella dei consumatori dei prodotti agricoli”.

In tale congresso si raccolgono i frutti di tutti gli sforzi effettuati permigliorare le condizioni dell’ambiente: si sottolinea come patologietipiche del rurale, quali le zoonosi, le parassitosi, le infestazioni da teniaetc. stiano scomparendo mentre viene evidenziata con frequenzacrescente la patologia respiratoria cronica aspecifica. Si studia inoltre illavoro nelle stalle evidenziandone due effetti: le pneumopatie (inrapporto con “muffe saprofite” e i funghi patogeni presentinell’ambiente di lavoro) e la patologia da iperfrigerazione (mioartropatiee affezioni dell’albero respiratorio).

Al XL congresso tenutosi a Milano nel 1977 la Società di Medicina delLavoro amplia la sua denominazione in Società Italiana di Medicina delLavoro e di Igiene Industriale (SIMLII) e come ovvia ricaduta pratica siallargano gli orizzonti nell’igiene industriale e nella tossicologia. Da unpunto di vista della medicina del lavoro, vi sono tre milioni di agricoltoriche possono essere interessati ad un’esposizione a tali sostanze con i

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relativi effetti sulla salute; infatti per la popolazione agricola“l’esposizione a fertilizzanti ed antiparassitari è certa, continuativa etalvolta massiccia”.

Viene così fatto il punto nella relazione di Maroni, Fantini, Foà eSpinazzola, dal titolo “Agenti di uso agricolo – inquadramento generale eaggiornamenti di patologia” si parla sui “... rischi e sui danni da agenti chimicidi uso agricolo, dato il continuo incremento del ricorso a sostanze artificiali peraumentare la produzione con tutti gli interrogativi che esse pongono per la qualitàdella vita”. Se questo problema sta sensibilizzando l’opinione pubblica peri possibili danni ecologici e per la contaminazione della catena alimentarea maggior ragione deve richiamare l’attenzione dei medici del lavoro, maanche di tutte le strutture sanitarie, specie quelle periferiche, perché siasocializzata sempre più la conoscenza dei rischi certi e dei danni possibiliderivanti dalla manipolazione di questi agenti chimici.

Nella relazione si inquadrano le varie sostanze chimiche riportando leclassificazioni proposte dall’OMS nel 1975, per gli antiparassitari epesticidi, e riportando la classificazione dei fitofarmaci come previsto dalD.P.R. n. 1255/1968: “Regolamento concernente la disciplina dellaproduzione, del commercio della vendita dei fitofarmaci e dei pesticididelle derrate alimentari immagazzinate”. Gli oratori presentano unadettagliata esposizione per ogni classe di sostanze cioè insetticidiinorganici, insetticidi organofosforici, insetticidi cloroorganici, carbamati,insetticidi di origine vegetale, idrocarburi alogenati, fungicidi inorganici,fungicidi organomercuriali, fungicidi organo tannici, clorobenzoli,ditiocarbammati, tioftalimidi, rodenticidi, erbicidi derivati dagli acidifennossicarbossilici, triazine, erbicidi dipiridilici, dericati nitrati delfenolo, pentaclorofenolo, fertilizzanti.

Quello che vorremmo sottolineare è che, indipendentemente dallaclasse di appartenenza della sostanza chimica, emerge il dovuto interessetossicologico, con la presentazione di schede che riportano per ognisostanza: la formula chimica, l’assorbimento, il metabolismo el’escrezione, gli indici di tossicità, la sintomatologia da tossicità acuta ecronica.

Si sottolinea anche come negli anni Settanta sia iniziato un calo neiconsumi di insetticidi in particolare degli organo clorati grazie ancheall’emanazione di alcune norme (D.M. 14/1/70: “Divieto e limiti di

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impiego di presidi sanitari contenenti DDT relativamente alle singolespecie vegetali”; D.M. 31/7/73 “Limiti di impiego del DDT negliantiparassitari”, D.M. 26/10/1974 “Divieto dell’impiego diclorociclodienici” e D.M. 1/2/1974 “Divieto di impiego diclorociclodienici nel settore domestico e civile”; D.M. 9/11/74 “Divietod’uso del blindano e BHC negli insetticidi di uso domestico e civile”D.M. 12/7/1975 “Limiti di impiego in agricoltura di presidi sanitaricontenenti blindano”; D.M. 10/08/71 “Divieto per l’impiego agricolodei principi attivi a base di antibiotici, chemioterapici, acetato difenilmercurio”; D.M. 9/10/72 “Divieto di impiego quali antiparassitariagricoli di tutti i composti organici del mercurio”. La parte finale dellarelazione fornisce gli “orientamenti preventivi”28.

Vengono cosi riportati da Maroni i criteri per il monitoraggiobiologico dell’esposizione professionale a pesticidi emersi dall’In-ternational Workshop on pesticides di Amsterdam (I.A.O.H 1972).

Il campo si allarga ed infatti nel XLVI Congresso del 1983, tenutosiad Acireale, viene trattato il tema “Rischi, patologia e prevenzione nellecolture agricole protette” che Inserra introduce illustrando la nascitadelle serre nella provincia di Ragusa e individuando per i serricoltori unapatologia acuta e cronica. Per la prima si identificano tre tipi di fattori dirischio: il microclima, le sostanze chimiche e la fatica fisica, ed una triadesintomatologica aspecifica costituita da astenia, cefalea, e nausea o piùspesso inappetenza. A questo quadro Inserra assegna il nome di“patologia minima” che distingue da una “patologia massima”rappresentata dai gravi fenomeni di intossicazione acuta da pesticidi,fertilizzanti ed altre sostanze usate per le culture.

Per quanto attiene invece la patologia cronica, il microclimasfavorevole delle serre rappresenta certamente un fattore diaggravamento per tutte le patologie degli apparati cardiovascolare,respiratorio, digerente ed osteoarticolare ma da un punto di vistaepidemiologico non si hanno prove per parlare di “una patologia cronicaspecifica sicuramente e direttamente ascrivibile ad uno dei fattori dinocività presenti nella serra”.

Seguono ben sei relazioni in particolare ricorderemo il grossocontributo delle scuole siciliane di Catania e di Palermo, ed il contributodella scuola di Padova.

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Nella relazione di Coppola viene fatta una breve disamina sull’uso deipesticidi nelle colture protette, si evidenziano i danni derivanti dallesostanze più comunemente adoperate nella sericoltura siciliana e tra imezzi di ordine preventivo si sottolinea, ancora una volta la necessità delmonitoraggio biologico pur riconoscendo come limite l’utilizzocontemporaneo di più sostanze e l’alto costo di alcuni indicatori diesposizione eseguibili in ristretti centri. La Paglia con la relazione “Rilieviclinico statistici nei lavoratori delle serre”, illustra grazie all’ausilio diquestionari, il ciclo lavorativo, le sostanze chimiche impiegate, lasintomatologia acuta e cronica e i dati di laboratorio di 268 serricultoridella provincia di Trapani evidenziando l’alta incidenza di eventitraumatici e di episodi di malessere acuto; la maggiore l’incidenza dipatologie respiratorie rispetto a coltivatori non addetti a coltureintensive; e riguardo all’interessamento del sistema nervoso, unaprevalenza non trascurabile di alterazioni dell’elettrogenesi cerebrale e diimpegno di tipo assonopatico del sistema nervoso periferico.

La relazione di Lotti “Esposizione a pesticidi: prospettive comuni perl’epidemiologia e la tossicologia” è incentrata sugli effetti tossicologici deipesticidi e sulla loro non assoluta specificità per l’organo bersaglio percui: “la tossicologia dei pesticidi e l’osservazione epidemiologica deglioperai addetti al loro uso sono due elementi non separabili per lavalutazione del rischio a pesticidi...” Per le normative vigenti infatti siottengono molti dati sulla tossicologia animale “di difficileinterpretazione in tossicologia umana” vengono così esposti i limiti deltrasferire i dati della tossicologia sperimentale animale per valutare ilrischio umano.

Infine la relazione di Bolzoni dal titolo “Proposte per unametodologia di intervento nell’ambito delle serre” vuole accostare illavoro nelle serre, in particolare per gli addetti alla floricoltura, al lavoroindustriale. Partendo dall’analisi del ciclo tecnologico, grazie all’aiuto dellavoratore più esperto (“ il leader”) si passa all’individuazione dei fattoridi rischio quali microclima, il rumore, gli agenti chimici, le vibrazioni, imiceti e la fatica fisica. Interessante l’analisi dei rapporti tra fattori dirischio e monitoraggio biologico che prevede diversi protocolli. Per irischi respiratori: visita medica, spirometria, test allergo-immunologici, rxtorace, esame dell’escreato per il riscontro di miceti. Per il rischio

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tossicologico da antiparassitari si propongono indicatori di effetto quali:l’attività anticolinesterasica, la funzionalità epatica (GOT, GPT,GammaGT, fosfatasi alcalina) l’elettromiografia. Per il dannoartroreumatico: TAS, VES, mucoproteine, proteina C reattiva, gli rx delrachide, delle mani e delle ginocchia.

Indicatori dello stress calorico: il dosaggio degli elettroliti, dell’ADH,della renina e dell’aldosterone, la sudorazione prodotta in quattro ore, latemperatura corporea, la frequenza cardiaca. Per l’esposizione amonossido di carbonio: il dosaggio dell’HbCO. L’elemento dasottolineare è che l’autore propone un programma molto complesso edarticolato proprio perché vede i serricultori come delle figure lavorativeassimilabili all’operaio industriale.

Ultimo tra i Congressi della SIMLII in cui si dedica un’intera sessioneal tema dell’agricoltura è il XLVII, tenutosi ad Assisi del 1984. Lerelazioni affrontano specificamente il problema dei pesticidi: inparticolare Bernardini e Castellino forniscono un “Bilancio dellasituazione italiana”; Chiesura Corona e Lotti espongono gli “Aspettitossicologici e clinici dei peretroidi” (una classe di pesticidi di recenteintroduzione meno pericolosa rispetto ad altre classi); Cabral tratta la“Cancerogenicità dei pesticidi” in particolare gli organo clorati e gliorganofosforici; vi è poi la relazione di Maroni, Colombi e Foà che trattail tema del monitoraggio biologico; la relazione di Abbritti che affronta ilproblema della “Sorveglianza sanitaria” ed infine la relazione di Ambrosiche propone interventi globali di prevenzione e sorveglianza sanitaria:“Organizzazione dei servizi di tutela della salute dei lavoratori inagricoltura ed aspetti normativi”.

La relazione di Bernardini e Castellino sottolinea l’importanza delruolo dei pesticidi per lo sviluppo dell’agricoltura, anche se il loroimpiego pone problemi di tossicità. Essa è suddivisa nelle seguenti parti:dati sull’andamento dei consumi, popolazione esposta al rischio,statistiche nazionali di infortuni e malattie ed infine nuovi metodi di lottaantiparassitaria. In Italia, si nota un andamento crescente del costo deipesticidi, mentre la quantità di prodotti utilizzati mostra una leggeracontrazione, spiegabile con la maggiore efficacia specifica dei prodotti, econ un più oculato utilizzo degli stessi. Tale fenomeno si registra inparticolare per i fungicidi, mentre i diserbanti mostrano un costante e

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progressivo aumento del loro consumo e le altre classi restanosostanzialmente invariate. Per quanto riguarda la popolazione esposta arischio, vengono utilizzati i dati ISTAT che nel 1984 registrano 2.543.000lavoratori, di cui il 63% è costituito da lavoratori autonomi ed il 37% dalavoratori dipendenti. Il 35% dei lavoratori è rappresentato da personalefemminile. Gli autori notano come in teoria l’esposizione dei salariati siasicuramente maggiore rispetto a quella degli autonomi, ma la loroprofessionalità diminuirebbe il rischio espositivo. Il numero degli espostipurtroppo risulta aumentato dalla coesistenza dell’ambiente di lavorocon quello di vita, per cui rientrano nel gruppo a rischio anche le donnein gravidanza, i vecchi e i bambini, come dimostrato dalle segnalazioni aicentri antiveleni. Per definire le dimensioni del problema “rischio dapesticidi” gli autori utilizzano i dati forniti dall’INAIL, dal Ministero dellasanità e dai Servizi Ospedalieri di Rianimazione e Terapia intensiva, chefanno riferimento ad intossicazioni di tipo acuto poiché la mancataapplicazione di una sorveglianza sanitaria ed in alcuni casi la carenzanosografica fanno perdere le rilevazioni delle intossicazioni croniche. Perle caratteristiche tecnico giuridiche l’INAIL classifica l’intossicazionecome infortunio, e quindi come tale appaiono tutti i dati diintossicazione. Un’altra fonte è rappresentata dal Ministero della Sanità,ma la scarsezza dei dati fa sottolineare l’inosservanza di una legge del1975, la n. 638 che impone ad ogni medico di denunciare ogni caso,anche sospetto, di intossicazione da pesticidi, di cui egli sia venuto aconoscenza. Dopo il 1980 tale compito è stato demandato alle USL chetrasmettono la denuncia al Ministero della Sanità, e questo nuovomeccanismo, ha comportato un ulteriore riduzione delle denunce. Gliautori concludono la relazione esponendo dei nuovi metodi di lottaantiparassitaria quali la lotta biologica (basata sul principio di favorire gliantagonisti biologici dei parassiti delle piante ovvero, dei “parassiti deiparassiti”), il controllo genetico (basato sull’immissione in campo dispecie portatrici di aberrazioni genetiche) l’immissione di ecdisoni eiuvenoidi. (Sono sostanze ad azione simil ormonale che risultano solominimamente tossiche per animali a sangue caldo ma che agiscono ointerferendo nella trasformazione degli insetti da larva ad individuoadulto, o producendo individui sterili, o sterilizzando individui adulti).Infine il metodo biologico della confusione rappresentato dalla

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distribuzione sulle culture di ferormoni artificiali che impediscono ilriconoscimento all’insetto maschio del richiamo sessuale dell’insettofemmina.

La relazione di Maroni, Colombi, Foà tratta i “Criteri metodologici eprospettive per il monitoraggio biologico dell’esposizione professionale apesticidi in agricoltura”. Gli autori riprendono il tema, già affrontato nelCongresso di Milano del 1977 dell’importanza del monitoraggiobiologico quale strumento indispensabile della valutazione del rischio apesticidi. Gli autori denunciano come a 7 anni di distanza scarso sia statoil progresso in tale settore, dal momento che le principali innovazionisono ancora oggetto di studio e trovano applicazione solo nella ricerca:“... mentre i progressi della chimica analitica hanno fornito migliori possibilità dimisurare i pesticidi e i loro metaboliti nell’organismo minori avanzamenti si sonoavuti nell’acquisizione di indicatori biologici di tossicità dei pesticidi nell’uomo.D’altra parte anche la maggiore disponibilità di potenzialità analitiche di raro si ètradotta in concreti miglioramenti della sorveglianza dei lavoratori agricoli poichéproblemi di costo e la molteplicità dei prodotti rendono difficile la loro praticaapplicazione...”. Gli Autori illustrano i principali strumenti delmonitoraggio biologico in particolare i test di dose (gli unici atti avalutare il livello più basso di esposizione) ed i test di effetto (la cuiesperienza pratica è limitata alle colinesterasi). Per entrambi vengonoesposti i criteri metodologici per il loro sviluppo e la loro applicazione; inparticolare l’individuazione degli indicatori, la specificità e scelta di essi, ilcampionamento e l’analisi. Le conclusioni degli autori: “... estendere leconoscenze di base sui meccanismi della interazione tossica tra pesticidi e organismoumano; sviluppare da queste conoscenze metodi di indagine biochimici o funzionali chepossono essere utilizzati facilmente dall’uomo; approfondire l’esperienza e validarel’uso dei test finora proposti, cosicché possano entrare in uso routinario... quest’ultimocompito è peculiare della medicina del lavoro ed è necessario che maggiori risorse che inpassato vengano investite in questo campo. Senza un tale sforzo la sorveglianza e laprevenzione per i lavoratori agricoli rimarranno obiettivi reclamati ma privi distrumenti di pratica realizzazione”.

Segue la relazione di Abbritti e coll. che tratta in modo molto ampio iltema della sorveglianza sanitaria in una relazione suddivisa in tre parti. Laprima parte tratta dell’esposizione a pesticidi e dei fattori che neinfluenzano l’assorbimento, sottolineando le peculiarità dell’uso dei

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pesticidi nel mondo agricolo, che non permettono l’applicazione deimodelli e delle metodologie di intervento che si è soliti usare in altrisettori lavorativi. Infatti dall’ esame delle vie di assorbimento, delmetabolismo e della tossicità, emerge che: “molto numerosi sono i fattori chepossono influire sulla farmacocinetica e sulla tossicità dei diversi principi attivi, pococonosciute sono le possibili interazioni metaboliche tra pesticidi e pesticidi. Per ledifferenze tra le specie bisogna essere prudenti nel trasferire all’uomo i risultati di studisperimentali, ed infine nelle condizioni pratiche di uso dei pesticidi ci sono altri fattoriche possono influire sulla comparsa di effetti indesiderati; basta ricordarel’alimentazione, le condizioni climatiche, le misure di prevenzione attuate etc.”.

Abbritti continua esponendo l’importanza e i limiti della sorveglianzasanitaria degli esposti a pesticidi in agricoltura. Nella seconda parte dellarelazione vengono infatti sinteticamente riportati i principali effetti,suddivisi per organi (SNC, fegato, rene, apparati respiratorio,emopoietico, endocrino, riproduttivo, cute), descritti nell’uomo e inanimali da esperimento per gruppi di pesticidi di più vasto impiego inItalia. Gli autori si soffermano in particolar modo sugli effetti cutanei peri quali ritengono necessari controlli periodici dermatologici e l’esecuzionedi test cutanei allergodiagnostici per tutti gli operatori del settoreagricolo, anche a scopo epidemiologico; inoltre ritengono importante ilcoinvolgimento del medico di base che può fornire utili informazionisulla sede di esordio, l’evoluzione della patologia: “... solo dallacollaborazione tra medico di base, medico del lavoro e dermatologo, infatti, potrànascere un’efficace sorveglianza sanitaria anche in questo settore lavorativo”.

La relazione termina con l’esposizione di proposte per la sorveglianzasanitaria. Vengono così forniti, per le maggiori categorie di pesticidi,schemi per la sorveglianza sanitaria in cui si riporta: l’informazione sullaformula chimica, le vie di assorbimento, l’accumulo, i principali organiinteressati e se esiste o meno evidenza di cancerogenicità, ed infine ledirettive per la visita di avviamento al lavoro e per la visita disorveglianza periodica; inoltre l’anamnesi lavorativa dettagliata e la storiaclinica del soggetto, e l’opportunità di eseguire la visita periodica sia infase pre che post-espositiva. Nella visita pre-assuntiva particolare curaandrà rivolta alla conoscenza dei pesticidi che verranno usati anche peruna più mirata informazione al lavoratore sui possibili rischi e sullemodalità di prevenzione, e ove possibile si programmeranno gli esami

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per dosare gli indicatori di dose e di effetto che verranno usati per ilmonitoraggio biologico. In fase post espositiva l’anamnesi e l’esameclinico saranno mirati al rilievo di alterazioni precoci dovute ai pesticidiusati.

Ultima relazione della sessione quella di Ambrosi e coll. sul tema:“Organizzazione dei servizi di tutela della salute dei lavoratori inagricoltura ed aspetti normativi”, in cui si affronta il problema relativoall’organizzazione ed al funzionamento dei servizi territoriali rilevandocome nella nostra realtà nazionale le pur valide iniziative presenti nonconfigurano un intervento globale di prevenzione e sorveglianzasanitaria. Vengono infatti presentate alcune realtà in cui esistono deiservizi periferici che prevedono specifici interventi in agricoltura; adesempio la regione Lombardia attraverso le istituzioni universitarie diMilano e Pavia partendo dalla definizione della mappa dei rischi hannodefinito un sistema informativo che tende da un lato a definire le unitàproduttive attraverso un sistema informativo di esercizio, e dall’altro atrasferire a livello centrale i dati necessari per una programmazione degliinterventi attraverso un sistema informativo di governo; la regione Lazioutilizza l’osservatorio epidemiologico regionale per impostare lasorveglianza sanitaria ed il monitoraggio biologico; la regione Toscana, inparticolare la zona del Chianti, dal 1981 ha delineato dei criteri per lamappatura dei rischi in agricoltura quali: la conoscenza delle strutture edell’organizzazione del lavoro, la conoscenza dei sistemi di difesa delleculture ed i rischi ad essa connessi; la conoscenza delle malattie edinfortuni legati all’attività agricola, l’individuazione delle metodologie perla realizzazione di forme di informazione, educazione sanitaria, e diinterventi di prevenzione atti a ridurre la nocività delle lavorazioni.Nonostante l’eterogeneità di interventi rilevati in alcune regioni, nellagran parte del territorio nazionale mancano forme di organizzazione percui gli oratori illustrano i punti di un organizzazione globale di tutela inagricoltura. Viene infine esaminata la normativa che regola l’uso dellesostanze chimiche in agricoltura ed allegata un ampia raccolta di leggisuddivise in relazione alle discipline di applicazione: disciplina dellaproduzione e del commercio dei fitofarmaci, disciplina del divieto o dellalimitazione di impiego in agricoltura di determinati principi attivi,disciplina concernente i limiti di tolleranza dei residui degli antiparassitari

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nei prodotti ortofrutticoli e relativi metodi ufficiali di analisi, disciplina diinquadramento della tossicità degli antiparassitari, disciplina del controllosostanze tossiche nei luoghi di lavoro e delle malattie professionaliconseguenti, classificazione imballaggio ed etichettatura, restrizione d’usoed immissione sul mercato.

* * *Abbiamo ritenuto utile riferire il percorso della Medicina del Lavoro

sul tema agricolo per un dovere storico, ma anche – e maggiormente –per l’attualità che tale tema sempre riveste; infatti è a tutti nota la scarsaapplicabilità del D.Lgs. 626/94 in campo rurale e ciò determina ancoraun grosso problema antinfortunistico legato alla mancanza diinformazione e formazione e alla mancata obbligatorietà della presenzadi figure professionali, quali il tecnico e il medico, che coadiuvino ildatore di lavoro nel processo di miglioramento della salute negli ambientidi lavoro.

In riferimento a quanto detto, emerge che il tema della Medicina dellavoro in agricoltura ha avuto un suo lungo percorso nell’arco di questosecolo, ma sulla base delle recenti informazioni raccolte dall’ISPESL,rese note in occasione del Workshop tenuto a Roma il 22-23 marzo2000, l’argomento non ha ancora percorso tutte le sue tappe e portato atermine tutte le sue conquiste in campo preventivo, anche se si èottenuta una iniziale ma costante riduzione degli infortuni negli anni1996-1999 come dimostrano i dati qui riferiti: 113.403 gli infortuni nel1996 e 103.214 nel 1997, 96.904 nel 1998 ed infine 87.815 nell’anno1999. Inoltre al congresso succitato dell’ISPESL vi è stata unapartecipazione ancora viva al problema Medicina del Lavoro inAgricoltura, da parte dei centri universitari, e delle aziende sanitarie localima risulterebbe un dato scoraggiante il marginale interesse mostrato dalleparti sociali: ciò si desume dalle indicazioni da esse fornite in merito allepriorità – espresse mediante questionari somministrati dall’ISPESL equindi resi pubblici – che ponevano agli ultimi posti i problemi delmondo agricolo.

Dunque occorre domandarsi fino a che punto la legislazioneprevenzionistica sia sostenuta e quindi sia applicabile agli addetti inquesto settore, ove, come già detto un limite all’applicazione della

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prevenzione in agricoltura è costituito dall’essere, quella agricola,un’impresa a conduzione familiare.

Il decreto 626/94 si occupa specificamente degli obblighi del datoredi lavoro delle imprese familiari nell’undicesimo comma dell’art.4,precisando che quest’ultimo “non è soggetto agli obblighi di cui ai commi 2 e 3,ma è tenuto comunque ad autocertificare per iscritto l’avvenuta effettuazione dellavalutazione dei rischi e l’adempimento degli obblighi ad essa collegati” nel secondoperiodo dello stesso comma si puntualizza tuttavia che “sono in ogni casosoggette agli obblighi di cui ai commi 2 e 3 le aziende familiari (...) soggette aparticolari fattori di rischio, individuate nell’ ambito di specifici settori produttivi conuno o più decreti” da emanarsi. Si evince dunque che le nuove disposizioniprevenzionistiche si applicano anche alle imprese familiari e quindi alsettore dell’agricoltura in cui queste sono particolarmente diffuse per lequali, insieme alle aziende con meno di dieci dipendenti, il legislatore haprevisto delle semplificazioni procedurali quali l’autocertificazione inluogo dell’elaborazione del documento di valutazione dei rischi. (Si pensiche in termini quantitativi tali disposizioni si applicano, in base ai dati delVII censimento ISTAT del 1991, al 94% delle imprese italiane e che,sempre sulla base dei dati ISTAT, in regioni quali il Piemonte, la Valled’Aosta e la Liguria l’incidenza di giornate lavorative prestate damanodopera familiare raggiunge punte di oltre il 95% del totale e che lostesso indice è di oltre il 90% in numerose altre regioni italiane).

Tale panorama ottimistico è in realtà oscurato dalla non condivisibileCircolare del Ministero del Lavoro 154/96 del 16 novembre la qualeafferma che “... le disposizioni di cui ai decreti legislativi 626/94 e n. 242/96non trovano applicazione nei confronti dei collaboratori familiari di cui all’art. 230-bis del codice civile”. Di fatto si esclude completamente dal campo diapplicazione del decreto 626/94 i collaboratori delle imprese familiari,decretando quindi, per quanto sopra detto, la non applicabilità dellostesso a gran parte del settore dell’agricoltura e ad altre numeroseimprese di modestissima dimensione, che sono talvolta altamente nocive.

In conclusione le conquiste preventive in campo rurale hanno seguitotappe cronologicamente logiche: inizialmente il tentativo di difendereuna classe sociale povera come quella rurale, ha soddisfatto e garantitoalcuni bisogni primari dell’ uomo quali sentirsi protetto da eventimorbosi di una certa gravità (malaria, anchilostomiasi, etc.), ottenere

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un’abitazione rispondente alle norme igieniche generali, ricevere unacerta istruzione specie rivolta agli elementi più giovani. In seguito si èparagonato il lavoratore agricolo al lavoratore industriale ed evidenziatianche in questo settore i rischi, si sono conquistati i diritti a cureassistenziali e ai fini assicurativi. A partire da quest’ultima fase, lamedicina del lavoro ha iniziato a studiare con metodo rigorosol’agricoltore senza più differenziarlo dall’operaio dell’industria: si è cosiarrivati anche in questo settore all’applicazione dell’igiene industriale,della tossicologia, della sorveglianza sanitaria; ma molta strada dovràessere ancora percorsa per poterci dichiarare, almeno in massima parte,soddisfatti.

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L’ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO (O.S.d.L.)ED IL TAYLORISMO

All’VIII Congresso Nazionale, tenutosi a Napoli nel 1929, vennepresentato un tema che abbracciava vari aspetti di un argomentoestremamente vasto e spiccatamente nuovo, almeno per l’Italia e partedell’Europa che in quegli anni andavano organizzando le proprieproduzioni industriali.

Il tema, infatti, a differenza di quanto poteva apparire dal breve titolo“La biologia e la clinica per l’organizzazione scientifica del lavoro(O.S.d.L.)” investiva un settore di studi assolutamente polidisciplinareche presupponeva la partecipazione, accanto al medico del lavoro,dell’economista, del sociologo, dell’ingegnere e di quanti altri – operai,rappresentanti sindacali, tecnici – fossero interessati direttamente allaproduzione ed alla prosperità delle industrie. Esso fu svolto in tre distinterelazioni presentate rispettivamente da Nebuloni, da Aiello (Assistentipresso la R. Clinica del Lavoro della R. Università di Milano) e daViziano (Assistente presso la Sezione Malattie Professionali, OspedaleMaggiore della R. Università di Torino). Le singole relazioni dettero untaglio leggermente differente al tema congressuale – pur rispettandone icontenuti generali enunciati nel titolo – e, pertanto, abbiamo ritenuto dipoterle recensire separatamente interponendo, tra la prima e lesuccessive, alcune riflessioni sul concetto di O.S.d.L. e su ciò che vollerorealizzare con essa il Taylor, il Ghilbreth, Ford etc. che ne furono ipropositori.

Nebuloni aprì il suo intervento sottolineando come il taylorismorappresentasse la base dei sistemi di organizzazione scientifica del lavoroe come ad esso venisse universalmente riconosciuto il merito di averportato al più alto livello possibile la produttività in USA offrendo,peraltro, rimedi alla gravissima crisi industriale provocata dal primoconflitto mondiale.

“Mai come oggi è stato tanto necessario valorizzare ogni mezzo per rimediare aglienormi sprechi di guerra, per conservare le energie umane e materiali e tentare di

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riorganizzare e coordinare i frammenti superstiti delle economie in rovina”. H.S.Person così si esprimeva nella prefazione all’Organizzazione Scientificadel Lavoro di F.W. Taylor.

Conferma Nebuloni “questa organizzazione che, nelle sue moderne espressioni,ritrova le proprie origini negli studi dell’ingegnere americano Taylor, ha assunto unostraordinario sviluppo, specie dopo la guerra come un rimedio alla crisi industrialesenza precedenti da essa provocata, crisi che aveva posto in evidenza la necessità diportare il rendimento della mano d’opera e degli impianti al più alto livello possibile”.

La stessa definizione che il BIT dava della O.S.d.L. sottolineava ilcarattere di “scienza dei rapporti tra i diversi fattori della produzione ed inparticolar modo fra l’uomo e la macchina che ha per iscopo di ottenere, conun’utilizzazione razionale di questi differenti fattori, un rendimento ottimale”.

Ma conferma l’Oratore “.... questa necessità pure da noi ripetutamenteproclamata, venne però tardi sentita. Il prof. Belluzzo nel 1918 poteva scrivere: nellamaggior parte delle nostre officine è tutto da rifare: dal diagramma più semplice, piùrapido e più economico di lavorazione che nessuno studia, alla forma degli utensili,alla velocità di taglio, ecc. v’è tutto un campo smisurato da arare. La deficienza deicapi, l’insufficienza degli ingegneri è tale da non conoscere neppure il nome di Taylor”.E successivamente: “Il Governo Fascista ha dimostrato a chiare note di bencomprendere tutta l’importanza che potrebbe derivare da una organizzazionerazionale della produzione. Il Capo del Governo nel 1925, rivolgendosi agliindustriali italiani, li invitava a rivolgere ogni loro attività all’aumento dellaproduzione la quale, da un lato, deve essere rivolta a produrre di più per il consumointerno del paese onde diminuire la somma delle merci importate, dall’altro a produrrepiù e meglio, in modo da alimentare un sempre maggiore incremento dei traffici versol’estero: l’art. 8 della Carta del Lavoro raccomanda il perfezionamento dellaproduzione; l’articolo 24 proclama: le Associazioni professionali di lavoratori hannol’obbligo di esercitare una azione selettiva fra i lavoratori, diretta ad elevarne semprepiù la capacità tecnica ed il valore morale”.

Ricorda ancora Nebuloni che il problema dell’organizzazione dellavoro, secondo schemi scientifici, costituisce argomento di punta nonsolo in USA ma in tutti i Paesi Europei e tra questi l’Italia ed i pilastri sucui esso poggia sono:– la razionalizzazione della parte inanimata della fabbrica (introduzione

del lavoro meccanico in sostituzione di quello dell’uomo, costruzione

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di macchine ed utensili rispondenti alle esigenze fisiologiche dellavoratore, correzione dei fattori ambientali etc.);

– la razionalizzazione dell’attività del lavoratore e della direzione dellafabbrica (eliminazione del lavoro statico, studio dei tempi e deimovimenti, razionalizzazione dei processi lavorativi, studio della faticaetc.; infine

– l’orientamento e la selezione professionale.Ma “... debbo subito dichiarare che, di fronte alla enorme congerie di questioni

fisiologiche e tecnico-fisiologiche inerenti all’argomento, sono stato costretto a prenderein considerazione solo alcune tra quelle di significato più generale ...” tra le quali –all’oratore – preme sottolineare il complesso biologico, fisiologico eclinico affinché il lavoro si svolga nelle condizioni più favorevoli dalpunto di vista della salute. Egli rammenta che “il male maggiore nel lavoroindustriale non è costituito dagli infortuni, dalle intossicazioni o dalle malattieprofessionali in genere, ma dalla fatica – fisica e mentale – determinata dal numeroeccessivo delle ore di lavoro”. Ciò, come è noto, specie se il lavoro vieneeseguito in condizioni non fisiologiche per quanto riguarda l’uomo (es.posizioni irrazionali, eccessivo carico di lavoro, scarsezza di pause diriposo etc.) e per quanto concerne l’ambiente (es. errato microclima,scarsa illuminazione etc.).

Nebuloni passa in rapida rassegna i vari sistemi di organizzazione dellavoro: da quello di Taylor, a quello di Gilbreth, di Ford, sottolineandoalcune differenze e concludendo “sull’urgente necessità per le nostre industrie dimodernizzare i procedimenti di lavoro”, ma ritiene che “l’applicazione pedissequadei sistemi americani di produzione (nonostante i risultati prodigiosi conseguiti inUSA) condurrebbe ad un sicuro insuccesso”.

In effetti è su questo terreno tecnico che ci si sarebbe dovutiesprimere e confrontare, più che sulle ricadute, allora solo ipotizzabili, ditipo biologico, psicologico e clinico di interesse della Medicina delLavoro.

Il notevole ritardo, accusato dallo stesso Nebuloni, riguardava, infatti,la inconsistente organizzazione delle industrie italiane, sia nel campotecnologico (per mancanza di ricerche mirate a migliorare gli strumenti dilavoro, le tecnologie), sia nel campo dell’organizzazione stessa del lavoro(che tenesse in giusto conto la preparazione dell’operaio e,maggiormente, quella dello staff direzionale).

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Basti pensare ai notevoli risultati ottenuti dal Taylor e da luiampiamente divulgati sul “taglio dei metalli”, frutto di lunghi edapprofonditi studi. Affermò Taylor: “La scienza del taglio dei metalli harichiesto un costante sforzo che è durato 26 anni ... ma quando questa scienza èapplicata ad un operaio di prim’ordine, l’effetto del suo lavoro è tanto grande daincrementare il suo rendimento da 2 a 9 volte”. “La scienza del taglio dei metalli(monografia di 248 pagine, numerose illustrazioni e tabelle) fu presentata alA.S.M.E. nel 1906 e fu definita un capolavoro e, senza dubbio la più lunga, vastaed esauriente serie di esperimenti che siano mai stati eseguiti in questo campo...”.

In USA l’ingente disponibilità di materie prime a più basso costo; unastruttura industriale ben consolidata che abbracciava, peraltro, vastissimisettori produttivi; un mercato molto attivo; un capitalismo efficiente eduna mentalità, rispetto al lavoro ed al guadagno molto dinamica eflessibile (basta riflettere alla complessa carriera dello stesso Taylor),costituivano i motivi della grande diversità tra l’organizzazioneindustriale nord-americana (ed anglosassone in senso lato) e quellaitaliana. Questo cenno alle diversità delle situazioni industriali – espressoda Nebuloni – è forse l’unico che si legge nelle tre relazioni delCongresso e giustifica – in fondo – il taglio prevalentemente “umano”cioè psicologico, biologico, fisiologico, sanitario che si detteall’esposizione del vasto argomento, tralasciando (volutamente!) il sensotecnico del taylorismo, vale a dire la preparazione del lavoro, lo studiometodico dei compiti, l’applicazione dei metodi di organizzazione, i ruolie le responsabilità del datore di lavoro, della direzione edamministrazione dell’impresa, da una parte e, dall’altra i ruoli e leresponsabilità, ben distinte dalle precedenti, degli operai.

Negli anni in cui venne discusso questo tema, nel mondoindustrializzato (e, quindi, di riflesso anche in Italia) veniva attribuita lamassima importanza ad ogni studio che fosse diretto alla organizzazionedella produzione industriale secondo basi scientifiche. La rivoluzioneindustriale aveva, infatti, introdotto una serie di profonde trasformazionidi tipo economico e sociale nei differenti settori del lavoro ed a questoprimo fenomeno non poteva non far seguito quello di voler ottenere, dalrinnovato sistema, il massimo della produttività.

In USA, già alla fine del XIX secolo, si erano diffuse le teorie delTaylor che apparivano offrire una razionale risposta allo sviluppo ed alla

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organizzazione delle “lavorazioni in serie” ed alla necessità di utilizzareuna mano d’opera selezionata e, quindi, molto efficiente.

Frederick Wilslow Taylor nacque a Germantown presso Phyladelphianel marzo 1856 da un’agiata famiglia quacchera. Ricevette un’ottimaeducazione di base, soggiornando anche in Europa dove frequentòscuole francesi e tedesche; negli Stati Uniti studiò legge presso la PhillypsExeter Academy e si preparò agli esami di ammissione per entrare nellafacoltà di legge di Harvard. Dovette però rinunciare a questo suoprogramma a causa di un’infermità alla vista (che in breve tempo regredì)per cui decise di iniziare a lavorare. Fu assunto a 19 anni alla EnterpriseHydraulic Works, una piccola officina meccanica di Philadelphia, ovelavorò come apprendista per alcuni anni. Fu quindi manovale presso laMidvale Steel Works di Philadelphia ove percorse una carrieraeccezionale per rapidità e progressione, diventando in pochi anni caposquadra, capo officina e direttore tecnico. Già in questo periodo andòelaborando un suo metodo che, attraverso una prima scomposizionedelle fasi del ciclo di lavoro in movimenti elementari, ed una successivaricomposizione delle stesse fasi secondo criteri più razionali, ottenevauna riduzione del tempo di esecuzione e quindi un incremento delrendimento lavorativo.

Durante questo periodo di lavoro in fabbrica riuscì a frequentare icorsi serali dello Stevens Institute of Technology del New Jersey, e nel1883 conseguì la laurea in ingegneria. Nel 1890 lasciò la Midvale, per treanni e prestò la sua opera come direttore generale della ManufacturingInvestment Co., un’azienda produttrice di fibre di carta; successivamente,e sino al 1901, svolse una intensa attività di consulenza direzionalepresso diverse aziende, tra cui la Bethlehem Steel Co. Dal 1901 nonsvolse più attività di consulenza per dedicare tutte le proprie energie,negli Stati Uniti e all’estero, alla diffusione dei principi dello ScientificManagement in qualità di conferenziere ed autore di scritti29.

(Nel 1912 Taylor subì anche un “processo” da parte di una specialeCommissione della Camera dei Deputati ed il testo completodell’interrogatorio venne pubblicato e, quindi, tradotto in varie lingue).

Taylor è giustamente considerato il “padre” della organizzazionescientifica del lavoro e la sua opera ha avuto, nel corso del secolo, in tuttii paesi industrializzati, un’eco vastissima: sia per gli aspetti innovativi in

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senso lato (fu definita “rivoluzione mentale” ed i suoi principi teoriciaffermavano che “per un paese la massima prosperità può essere solo ilrisultato della massima produttività”); sia per gli aspetti tecnologici che sibasavano sull’analisi e la successiva rielaborazione delle fasi lavorative,sul funzionamento e ammodernamento delle macchine, sullarealizzazione di un ambiente di lavoro il più possibile confortevole; siaper l’impostazione fisiologica dell’esecuzione manuale del lavoro delquale, come è noto, il taylorismo mirava ad esaltare il rendimento,attraverso una razionale coordinazione spazio-tempo dei movimenti (lostudio dei tempi – time study – unito a quello dei movimenti – motionstudy – costituivano infatti la base dell’O.S.d.L.); sia, infine, nel formularesoluzioni concrete ai problemi organizzativi delle aziende.

L’applicazione del sistema della organizzazione scientifica del lavoronell’ottica del taylorismo, necessitava di una profonda collaborazione tracapitale e lavoro e di una serie di interventi mirati affinché l’incrementodi produttività non fosse temporaneo o di breve durata, non avesse comeunica ricaduta il profitto dell’industriale ma risultasse di vantaggio sia aglioperai che all’intera popolazione.

Alcuni anni dopo l’affermazione e la divulgazione del taylorismo sisentì l’esigenza di umanizzare il lavoro industriale e ciò diede origine adue importanti movimenti: il welfare-work ed il safety-work (su cui cisiamo già intrattenuti in precedenza) mediante i quali si offrivano unaserie di situazioni culturali e si provvedeva, nel contesto della fabbrica, arealizzare nuove situazioni per il “benessere del lavoratore”.

A conferma del contenuto squisitamente tecnico del Taylorismo, ilsuo fondatore non manifestò mai un reale interesse per questi movimenti– che definì di contenuto esclusivamente filantropico – in quanto temevache essi potessero fornire giustificazioni al disinteresse degli industrialiverso l’applicazione dei principi tecnici dell’O.S.d.L.

Per quanto riguardava l’uomo, l’organizzazione del lavoro (secondo iltaylorismo) aveva come obiettivo primario “l’economia dei movimenti invista del massimo rendimento lavorativo” ma fu spesso interpretata nelsenso deteriore di massimo utilizzo del lavoro dell’uomo in funzione delfattore produzione. Pertanto i risultati ottenuti dal Taylor stentarono adessere compresi e la logica del sistema e la sua applicazione furono nellapratica a lungo contrastate.

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Gli scioperi di protesta degli operai dell’arsenale di Watertown (nel1911); l’opposizione concettuale allo studio esasperato dei tempi eall’introduzione dello “stop watch” (cronometraggio dei tempielementari) ; i pareri critici sulla validità del sistema formulati da unaCommissione di esperti appositamente costituita nel 1915 (Committeeon Industrial Relations presieduta da R.F. Hoxie dell’Università diChicago), furono ovvie condanne del taylorismo. Lo stesso sostenitoredel sistema veniva definito “speedy Taylor” in quanto “accusato diaccelerare il lavoro dell’operaio fino agli estremi limiti delle possibilitàfisiologiche”.

In riferimento agli scioperi succitati, al “processo”, Taylor così siespresse: “Ritengo che la protesta da parte degli operai dell’arsenale di Watertown,in cui si sta introducendo l’organizzazione scientifica, fu principalmente causata dallafalsa, completamente ingiustificata descrizione di essa, contenuta nella circolare inviatadal signor O’Connel, capo del sindacato dei meccanici, di cui io ho una copia qui e cheè stata messa nei verbali di queste udienze. Il Signor O’Connel scrisse una circolareche fu mandata ai membri del sindacato meccanici in tutto il paese, in cui ognielemento dell’organizzazione scientifica veniva totalmente falsato. Falsato è unaparola troppo debole. Ne userei volentieri una più forte, ma non voglio che pesi tropponel verbale. Ma falsare è una parola di gran lunga troppo mite per ciò che il signorO’Connel ha scritto nella sua circolare”.

La partecipazione degli USA al primo conflitto mondiale mise inevidenza però le carenze organizzative e produttive dell’industriaamericana e quindi rese categorico ed urgente sia la razionalizzazionedelle fasi lavorative (che Taylor definiva “scientific management”) che laselezione degli operai, onde conseguire l’obiettivo di migliorare laproduzione. Cioè realizzò in pratica il sistema di Taylor.

Alcuni anni dopo, l’atteggiamento delle organizzazioni operaie mutòsostanzialmente poiché si resero evidenti – almeno per alcuni settoriproduttivi, quali quelli dell’industria bellica – i lusinghieri risultati ottenuticon l’applicazione del taylorismo. Ma, ciò che è più importante in base aquesta iniziale esperienza, fu che si compresero i limiti delle realiapplicabilità del sistema, che – pena il suo totale fallimento – non potevaprescindere dal definire, da una parte, i ruoli e le responsabilità delle duecomponenti delle unità produttive (lo staff direzionale e la forza lavoro)e, dall’altra, dal realizzare una attiva cooperazione tra di esse.

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La piena armonica collaborazione tra la “direzione” e la “forzalavoro” comportava però alcuni passaggi obbligati:1) la selezione degli operai che poteva avere successo solo se chi la

effettuava aveva già la necessaria conoscenza del tipo di lavoro da faresvolgere (compito della direzione);

2) la piena conoscenza delle possibilità delle macchine affinché ogniprestazione si svolgesse “ad arte e non in modo empirico” (compitodella direzione e degli operai);

3) infine l’impegno ad eseguire il lavoro secondo metodi scienti-ficamente definiti (compito della direzione).Al “processo”, Taylor affermò: “Desidero chiarire Signor Presidente che un

tal genere di lavoro intrapreso dalla direzione conduce allo sviluppo di una scienza edè quasi impossibile ad un operaio sviluppare una scienza. Vi sono molti operai chesono intellettualmente capaci di farlo ... ma la scienza di fare un lavoro non può venirsviluppata da un operaio ... perché egli non ha né il tempo né il denaro ... è ladirezione che deve pagare questi lavori.

Taylor ebbe numerosi allievi, che svilupparono in diversi compartiproduttivi il suo metodo e tra questi il Ghilbreth che si occupòprevalentemente del lavoro in edilizia.

Le sue teorie trovarono numerosi seguaci, tra i quali Henry Ford (ilmagnate di Detroit) che propose un sistema di organizzazione che sibasava fondamentalmente sullo studio dei movimenti e dei tempi, mache presentava sostanziali differenze in merito al salario (generalmenteelevato ma rigidamente calcolato in base al rendimento: “salario atempo”); alla partecipazione degli operai agli utili; all’ampia utilizzazionecon stipendi differenziati di una larga percentuale di soggettihandicappati; alla durata del lavoro (8 ore/giorno) e della settimanalavorativa che veniva proposta a 5 gg/settimana (gli operai che cessavanodi lavorare il venerdì sera avrebbero usufruito di 2 giorni di riposo, ilsabato e la domenica, ma la proposta venne duramente contrastata daparte dei sindacati americani).

Il taylorismo non fu innovativo solo per la proposta di soluzionirelative all’incremento della produzione, ma anche per aver richiamatol’attenzione su soluzioni relative ai problemi economico-sociali, quali:riduzione dell’orario di lavoro, durata del turno giornaliero (da 10 ad 8ore), introduzione di pause di riposo, etc. sino alla proposta di sistemi

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relativi al salario che fissassero un livello standard medio-alto, conrelative fluttuazioni, a seconda del rendimento produttivo del singolosoggetto.

Afferma Taylor: “Nella moderna organizzazione scientifica del lavoro ilparticolare sistema di retribuzione adottato è di secondaria importanza. Il puntofondamentale è che: 1) i lavoratori non accettino mai di fare un duro lavoroquotidiano per una paga normale; 2) siano felici di lavorare al loro massimo pur chesiano pagati di più (dal 30 al 100%)”. “La cosa peggiore che si possa fare è disporreun limite alla quantità di lavoro che ciascun lavoratore può fare. Ciò si traduce in unaingiustizia per i lavoratori migliori...”.

Sui rapporti durata del lavoro-produttività-salario Taylor si espresse inmaniera inequivocabile: “Se voi badate al reale interesse degli operai e pensate chesia nel loro interesse di avere un orario breve, per es. di 8-9 ore/g, state bene attenti anon abbreviare il loro orario senza assicurarvi nello stesso tempo che qualcheprovvedimento sia stato preso perché essi facciano una maggiore quantità di lavoroaltrimenti alla fine dovrete decurtare il loro salario. Potrei richiamare la vostraattenzione su una quantità di casi in cui l’orario degli operai è stato abbreviato a lorosvantaggio, perché, abbreviando le ore di lavoro, non erano stati presi i necessariprovvedimenti per un proporzionale aumento della produzione. Nell’interesse deglioperai vi dico: se non potete provvedere ad un aumento della produzione, dovete allafine ridurre i salari”.

Inoltre Taylor difese ad oltranza, sia la mobilità del posto di lavoro, infunzione delle differenti esigenze della produzione, sia l’incremento delsalario; ed in entrambi i casi selezionando l’uomo più idoneo per losvolgimento di quel compito specifico. Egli riteneva che ogniappiattimento, e/o uniformazione dei compiti, così come delleretribuzioni fossero destinate a produrre effetti fortemente negativi sullaproduzione. La deposizione di Taylor “al processo” così termina:“Presidente: (rivolto a Taylor) voi avete dichiarato di fronte a questa Commissione dinon conoscere alcuna fabbrica che, essendo organizzata secondo il nuovo sistema abbiaadottato il contratto collettivo. Taylor: (risponde al Presidente) non ricordo di alcunafabbrica in cui esista un tale tipo di contratto”.

Non è questa la sede per un approfondimento ulteriore del taylorismocome il primo dei sistemi scientifici di organizzazione del lavoro (citorneremo, comunque in seguito). Le critiche mosse alla draconianaselezione degli operai; alla necessità di disporre di un numero molto alto

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di soggetti onde selezionare quelli che possedevano le doti ritenutenecessarie all’esecuzione di quel determinato lavoro; allastandardizzazione del lavoro, alla meccanizzazione di ogni movimento,alla monotona routine priva di iniziative (condizioni ritenute degradanti)etc. hanno riempito volumi ed hanno animato dibattiti ed opposizioni.

Da tutti venne però riconosciuto che, quella del Taylor, fu una verarivoluzione in un’epoca e in un Paese dove i problemi dellaindustrializzazione venivano fortemente sentiti in funzione di numerosifattori, ma innanzitutto del capitale investito, delle necessità produttivedel momento, delle richieste del mercato, di un costante aggiornamentotecnologico per non essere sopraffatti da una spietata concorrenza.

La seconda relazione al Congresso di Napoli del ’29 fu tenuta daAiello. Essa consta di una parte introduttiva in cui viene definito ilconcetto di “organizzazione scientifica del lavoro” cui fa seguitol’illustrazione della applicazione dei principi del taylorismo in tutte letipologie lavorative: in agricoltura, nell’industria metallurgica, in quellaelettrica etc., nell’edilizia, nel terziario, nelle banche.

Sui rapporti tra orientamento professionale, selezione medica eprofilo costituzionale Aiello ricorda che “l’avviamento e l’insegnamentoprofessionale hanno anche un valore pedagogico e morale in quanto evitano chel’operaio inadatto ozi e cambi continuamente mestiere e che l’esame delle attitudinirichiede per prima cosa, da parte dell’indagatore la conoscenza delle attitudini checiascun mestiere richiede”. Quindi si dilunga ricordando “come il tema fosse statogià brillantemente trattato in occasione del Congresso Internazionale sull’O.S.d.L.tenutosi a Roma nel 1927 e come l’enorme patrimonio culturale trasmesso dallascuola costituzionalistica italiana (E. Maragliano, A. De Giovanni, P. Castellino,L. Viola) costituisse la premessa ed il sostegno vitale alla pratica realizzazionedell’o.p. come componente medica della O.S.d.L. e conclude avanzando una propostadi classificazione costituzionale dei lavoratori di semplice e pratico utilizzo”.

Infine la terza ed ultima relazione di Viziano trattò dei fattoriambientali nell’organizzazione scientifica del lavoro e mirò adevidenziare l’influenza dell’ambiente di lavoro sul rendimento lavorativo“perché molti industriali ancor oggi credono che il rendimento dipenda per la massimaparte dalla macchina, per un’altra minore dall’uomo e scarsamente o nulla addiritturadall’ambiente in cui il lavoro si svolge...” mentre “...soltanto a patto di mantenerel’ambiente in condizioni fisiologiche l’uomo può dare rendimenti ottimi e duraturi”.

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Tra i fattori ambientali che incidono sul rendimento e sul benesseredell’operaio indica la temperatura, la ventilazione, lo stato idrometrico:cioè il microclima. A proposito dei rapporti tra microclima, capacitàlavorativa e condizioni di benessere o di pericolo, riferisce una serie didati che indicano come dal comfort si possa passare a stati di malessere,di scarso rendimento lavorativo, di lavoro penoso e impossibile sino allafatica con seri danni per la salute. Quindi segnala nell’ambitodell’illuminazione i pregi della luce naturale sempre che essa “raggiungaogni punto dell’ambiente e penetri sino al centro di saloni, laboratori, ecc. nellamaggior quantità possibile e sul posto di lavoro nella direzione più utile,distribuendovisi uniformemente; i raggi luminosi non debbono abbagliare la vista”.Inoltre “per quanto si riferisce all’illuminazione artificiale vera e propria, da quandoè stata introdotta e diffusa quella elettrica molto miglioramento si è potutorapidamente ottenere per quella docilità con la quale essa si lascia adattare, direiplasmare a seconda delle necessità fisiologico-igieniche e lavorative”.

Infine espone gli effetti dannosi ascrivibili ai rumori, agli scuotimenti,agli odori sgradevoli. “Da tutte le ricerche eseguite, dalla critica di ogni dato, dallapratica medico-industriale, si può giungere a concludere che la campagna per ilmiglioramento dei fattori ambientali propriamente detti, per non voler estendere losguardo anche a quelli specifici, è una campagna non solo per la salute dell’operaio,ma anche di alto valore economico, che proprio sotto tutti i punti di vista si inquadraperciò nell’O.S.d.L. e mette in evidente rilievo la perfetta aderenza della medicina dellavoro con l’economia del lavoro”.

* * *Come già affermato, nessuna delle tre relazioni tenute al Congresso di

Napoli fece il punto esatto della situazione che si era venuta a creare,all’inizio del secolo, nell’ambito delle attività e produzioni industriali, inseguito allo sviluppo di metodi che avevano, come obiettivo,l’organizzazione su basi scientifiche del lavoro. Infatti il loro contenutospaziava più sulla fisiologia del lavoro (e, forse, con notevoli meriti perl’epoca, anticipava alcuni principi che furono poi dell’ergonomia) chesull’O.S.d.L. in senso stretto. Il passaggio da un tipo di lavoro artigianalead una produzione industriale faceva ampio ricorso alle “macchine” ed al“gruppo” di lavoro in sostituzione del singolo uomo e quindi elementidel tipo autonomia, spirito di iniziativa, creatività del singolo soggettonon rappresentavano più le peculiarità di un buon lavoratore. Questo,

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per contro, in un sistema produttivo scientificamente studiato – che ilTaylor chiamava organizzazione per compiti, o task management –doveva svolgere il proprio compito in un determinato intervallo ditempo in sincronia con il gruppo di lavoro e nel rispetto dei programmigià definiti. Per ottenere questa “organizzazione” bisognava evidenziaree responsabilizzare le due componenti del sistema: la direzione, chedefiniva ogni dettaglio del lavoro (dopo averlo esaminato, studiato,adattato e insegnato al lavoratore) ed il lavoratore, cui veniva negata ognilibera iniziativa, ma al quale veniva affidata una serie di compiti chedoveva rigorosamente eseguire: egli diveniva così, come le macchine,uno “strumento” della produzione. Secondo Taylor il sistema del taskmanagement è applicabile ad ogni tipo di lavoro, dal più elementare alpiù complesso, ma – di nuovo – a condizione che si sia già provveduto aselezionare i soggetti idonei all’esecuzione di esso e sempre che colui cheopera, sia aiutato a capire le regole del sistema in quanto l’organizzazione“per compiti” presuppone la piena collaborazione di più individui aciascuno dei quali è stato affidato un compito specifico. A questoproposito giova citare le stesse esemplificazioni che Taylor espose neldibattito processuale: il funzionamento organico di una moderna equipechirurgica (costituita da 8-9 persone con compiti diversi, ma ciascunacon precise responsabilità), o l’organizzazione di una squadra di baseball(anche questa con persone i cui compiti sono stati minimamentedefiniti).

In base a questi principi fondamentali il Taylor sperimentò il suometodo iniziando da lavori estremamente semplici come trasportarebarre di metallo da una pila ad un carro (studio condotto presso laBethleem Steel Work): il risultato fu quello di quadruplicare la resalavorativa in quanto l’operaio scelto trasportò 47 tonnellate di materialeinvece di 12 ed incrementò il suo guadagno da 1,15 a 1,85 dollari/giorno.Come ci riferisce lo stesso Taylor “il compito stabilito deve però essere tale percui il lavoratore possa trarne vantaggio per un lungo periodi di anni e non un compitoche lo sfibri velocemente”.

Un altro esperimento fu condotto nel lavoro dello spalatore, per ilquale l’approccio alla soluzione fu trovare il giusto peso del carico dellapala che avrebbe permesso all’operaio di lavorare al meglio delle suepossibilità e dei tempi che necessitavano alla esecuzione di ciascun

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movimento, definiti dopo aver scomposto, nelle sua parti più semplici,l’intera fase lavorativa.

Come lo stesso Taylor tiene a precisare: “il sistema non è stato concepito néstudiato per creare dei geni ... comunque nel lavoro quotidiano i geni sono inutili”.Nella analisi condotta da Taylor tutte le componenti del sistemaproduttivo vennero prese in esame anche se alcune furono ritenute diimportanza secondaria; tra queste: la disciplina sul lavoro, i sistemi diretribuzione, il ruolo dei sindacati verso i quali Taylor assunse comunquesempre una posizione critica o di aperto contrasto.

I problemi connessi con la partecipazione emotiva dell’operaio alproprio lavoro, la sua “alienazione” dal contesto produttivo, ed il sentirsisolo una parte minima di un complesso ingranaggio il cui funzionamentoera stato già programmato, non costituivano elementi di fondodell’organizzazione scientifica del lavoro il cui obiettivo era laproduttività.

Il Taylor per la sua cultura scientifica e per la sua formazionematematica aveva incentrato la soluzione di un problema di dimensioniciclopiche, quale il dominio (mondiale) della produttività industriale degliStati Uniti intervenendo sulle componenti tecniche e seguendo la piùelementare logica: analizzare l’esecuzione standard del lavoro nella suaaccezione più ampia e modificarla onde ottenere una esecuzioneottimale; studiare le tecniche in uso e sperimentarne nuove; selezionare lemacchine, le tecnologie, ed i soggetti idonei alla esecuzione di quel tipodi lavoro; separare nettamente i ruoli, i compiti e le responsabilità delladirezione d’azienda – che deve “studiare” l’organizzazione scientifica dellavoro – dai ruoli, compiti e responsabilità degli operai ai quali spettaapprendere ed eseguire le nuove modalità di lavoro; infine incentivare laproduttività attraverso salari più alti per gli operai selezionati ed inserirepause di riposo durante il lavoro di durata proporzionale alla gravositàdel lavoro ed agli stessi turni. Poiché ad ogni “surplus” di produzionecorrisponde un maggior profitto, questo deve essere ripartito tra ledifferenti componenti dell’unità industriale (direzione ed operai) e,all’interno di queste, in misura proporzionale alla sua realizzazione.

È su questi elementi che va focalizzata la critica al taylorismo che, asuo vantaggio e difesa, potè dimostrare come fosse realmente possibileincrementare la produzione contemporaneamente al profitto degli operai

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e degli industriali. Come risulta ovvio, per poter valutare i contenutidell’O.S.d.L. onde poter applicare la disciplina nella pratica, bisognadisporre di una valida cultura manageriale, di una solida strutturaindustriale, di tecnologie avanzate, ed avere un ampio accesso ai mercaticommerciali nazionali ed internazionali. Il taylorismo infatti punta ad unambizioso obiettivo che è il costante incremento della produttività, ma èovvio che ogni tipo di produzione industriale non deve incontrare alcunritardo, o ostacolo, al proprio smercio: la richiesta del mercato, in sensoampio, e la produttività sono due elementi strettamente interconnessi edogni saturazione della richiesta del mercato, sia pur temporanea,costituisce un patologico feed-back da cui derivano, a cascata, effettinegativi per l’industria e per l’economia nazionale. L’aggiornamentotecnologico, inoltre, consente di produrre a più basso costo prodottisempre “nuovi” il che corrisponde a contrastare ogni forma diconcorrenza.

Come appare evidente l’O.S.d.L. ha riscosso numerosi consensi ed haavuto grandi sostenitori e altrettanti numerosi oppositori. Per esseregiudici obiettivi riteniamo sia necessario rifarsi alle letture originali ed aitesti scritti dal Taylor; quanto mai utile risulta la lettura del dibattitoprocessuale nel quale il Taylor ebbe modo di esprimere il propriopensiero rispondendo alle numerose richieste di delucidazioni, spessoformulate e riproposte in chiave differente come accade in interrogatoriche mirano anche a verificare la possibilità di un certo grado dicontraddizione dell’imputato.

In effetti, in Italia, agli inizi del secolo la situazione economicagenerale, il numero e le dimensioni delle industrie, le tecnologie el’accesso ai mercati ed il ridotto smercio dei prodotti, non consentivanoalcun approccio metodologico all’O.S.d.L. Poiché il clima politico – neglianni ’20 – non gradiva d’essere in coda agli altri Paesi Europei, maambiva manifestare le proprie posizioni d’avanguardia, anche in questaoccasione il compito (o parte di esso) fu affidato alla Medicina delLavoro che, ignorando di fatto gli aspetti tecnici del taylorismo,intervenne (di facciata) portando le proprie riflessioni sugli effetti nociviche i metodi nuovi potevano avere sulla psiche, sulla fisiologia e sullasalute del lavoratore.

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Fu comunque un approccio interessante e certamente promozionaleper la Medicina del Lavoro. Purtroppo da quel taglio psicologico,biologico e clinico non ci si è più distaccati anche perché non si sono maicreate (a tutt’oggi), su tutto il territorio nazionale, le condizioni per unaroutinaria e completa applicazione tecnica del taylorismo e pertanto nonabbiamo alcuna possibilità di verificare se la sua piena attuazione, oltre arisolvere i problemi della produttività, avrebbe reso anche l’operaio piùsicuro, più consapevole e, quindi, più appagato.

Indipendentemente da alcuni aspetti del taylorismo che possano averegenerato controversie e discussioni, rimangono sempre validi il concettoe l’obiettivo da Taylor perseguiti: cioè coniugare in una realtà industriale,gli incrementi della produttività e dei salari con la riduzione del caricolavorativo umano, almeno quello dipendente dall’uso di tecnologieantiquate, di macchinari obsoleti e da una mancata selezione della manod’opera. L’O.S.d.L. quale proposta all’inizio del secolo resta, oggi,materia di studio (e di profonda riflessione). Come era prevedibile, la sualogica è sopravvissuta ma i suoi strumenti si sono evoluti. Alcuniproblemi delle società avanzate restano, però, sempre gli stessi:produttività, costo biologico del lavoro, salari, mercati. È di comuneosservazione che se non si vuole ricorrere allo spostamento di tutte leattività produttive verso Paesi o sistemi il cui parametro “basso costo dellavoro” compensa la minore (e più grossolana) produzione, le soluzioniindividuate da Taylor restano valide ed attuali. La recente esplosioneindustriale-economica degli Stati Uniti è basata proprio sulla capacità delsistema di ottenere progressivi incrementi di produttività cheammortizzano quelli salariali attraverso una continua innovazionetecnologica, una ragionata previsione dei consumi, una accurata sceltadelle tipologie e dimensioni dei comparti produttivi da sviluppare, ed unnuovo modo di concepire e di realizzare il mercato.

La robotizzazione e l’informatica hanno consentito unaottimizzazione del processo produttivo e, quindi, un superamento diquegli aspetti più controversi del taylorismo, rendendo in parte menocritica la resa massimale del lavoro dell’uomo attraverso l’inserimento delsingolo atto produttivo in una “filiera” tecnologica costantementemonitorata. Il recupero complessivo della produttività si giova, così, dellariduzione dei tempi di latenza, del contenimento delle scorte, del

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superamento di lunghi passaggi intermedi dalla produzione alladistribuzione del prodotto, etc.

L’O.S.d.L. sarà sempre un tema di studio tutt’altro che secondario efacoltativo non solo per i tecnici ed i managers, ma anche per i medicidel lavoro; oggi i D.Lgs. 277/91 e 626/94 impongono al medicocompetente lo studio degli ambienti di lavoro, le conoscenze dei processiproduttivi, l’aggiornamento tecnologico e quant’altro si ritenganecessario all’espletamento dei ruoli di vigilanza e sorveglianza.

Oggi, più che nel passato, il progresso si basa sul continuoaggiornamento tecnologico e, nell’ambito degli strumenti e metodiritenuti fondamentali per lo sviluppo di ogni tipo di produzione, laMedicina del Lavoro deve tenere in giusto conto lo studio e lavalutazione dei rischi presenti in ogni tipologia di lavoro; il MedicoCompetente deve inserirsi, quindi, nell’impatto tra nuove tecnologie,dinamica produttiva ed eventuali ricadute sulla salute del lavoratore conl’indispensabile bagaglio di conoscenze non solo sanitarie, ma anchetecniche (in analogia a quanto, mezzo secolo fa, era costretto fare ilmedico del lavoro quando studiava la granulometria delle polveri pervalutarne la pericolosità, o quando analizzava i fumi di una fonderia etc.).

* * *Dopo circa 45 anni l’argomento “Organizzazione del lavoro e salute”

venne nuovamente trattato sotto forma di “Documento preparato dallaCommissione di studio della Società Italiana di Medicina del Lavoro” acura del prof. D. Casula e F. Novara con la collaborazione di numerosistudiosi tra i quali A. Grieco, M. Maggio, L. Parmeggiani, A. Spinazzolaetc. (XXXVII Congresso Nazionale tenutosi a Torino nel 1974).

Il documento afferma che “L’Assemblea Generale della Società Italiana diMedicina del Lavoro, nell’ultimo congresso nazionale tenutosi a Pugnochiuso nelnovembre 1973, ha proposto che venisse dato mandato ad una Commissione diStudio, di elaborare un documento comprendente uno schema di relazione dal qualerisultassero indicazioni utili per la valutazione e la classificazione degli effetti chel’Organizzazione del lavoro può indurre, nei suoi molteplici aspetti, sullo stato disalute e di sicurezza dei lavoratori, in particolare sulle condizioni di disagio, disturbo,malattia ed infortunio”.

Venne affermato che “Lo studio dell’organizzazione del lavoro come analisidelle relazioni e delle funzioni intercorrenti fra uomini e mezzi per la produzione di

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beni e servizi riconosce in sé un aspetto specifico e fondamentale che è quello delrapporto fra modalità organizzative e stato di salute dei lavoratori”. “Nel mondooccidentale i modi di produzione hanno caratterizzato diversamente le epoche storicheprecedenti. Oggi, di fronte allo sviluppo su scala mondiale del modello industriale, èlecito domandarsi quali possano essere le tendenze della sua evoluzione organizzativae sino a che punto tale evoluzione sarà in grado di procedere con le dinamiche ed imetodi attuali”.

“È bene precisare che tale mutamento, attualmente in corso in svariati settoridell’apparato produttivo, non investe semplicemente l’aspetto tecnico dellamodificazione organizzativa ma, nel momento in cui costituisce un cambiamento neirapporti decisionali e di potere nell’ambito industriale, può caratterizzare la tendenzastorica alla evoluzione qualitativa dell’intera struttura sociale nelle sue interrelazionicon il modello di sviluppo industriale”.

A queste premesse fece seguito una trattazione del taylorismo delquale si denunciò il tenace tentativo di razionalizzare ad oltranza ciò che,mentre può costituire un notevole apporto sul piano tecnologicorealizzando importanti miglioramenti nel campo della efficienza degliimpianti, sembra rivelare il suo limite nell’ambizione di proporre unmetodo unico anche se scientificamente valido, per l’utilizzazione dellerisorse umane nell’industria.

Dal gruppo di studio vennero quindi riportate le perplessità e leconsiderazioni critiche espresse al sistema, sia sul piano della validitàscientifica, sia su quello della psicologia e della fisiologia anche se sirilevò che molti, nel passato, non condivisero queste ed altre impressionicritiche sulle possibilità offerte dal sistema in esame in quanto presi dal“clima di euforia determinatosi nel mondo industriale in seguitoall’aumento vertiginoso della produzione realmente avvenuto conl’applicazione completa dei principi tayloristici”.

Venne a lungo citato il capostipite degli studi di psico-sociologia dellavoro E. Mayo i cui esperimenti (condotti in diverse unità produttive)sul disadattamento, sulla qualità delle relazioni interpersonali, sullaincentivazione degli scambi sociali, sul senso di sicurezza e di emulazionedei gruppi di lavoro etc. avrebbero indicato come l’O.S.d.L. non sarebbené l’unico né il più importante fattore ai fini del miglioramento del livelloproduttivo e delle stesse condizioni di lavoro.

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Furono, infine, elencati alcuni elementi che potrebbero eliminare“l’impoverimento delle mansioni”, tanto temuto specie dai socio-psicologi, quali: 1) l’autonomia (possibilità di programmazione,regolazione e controllo del lavoro); 2) l’adeguamento (possibilità diimparare e di autorealizzarsi attraverso il proprio lavoro); 3) la variabilitàdei compiti (possibilità di variare le mansioni per evitare i fattori diripetitività e monotonia); 4) la partecipazione alle scelte che riguardano illavoro e alla programmazione delle variazioni. Si propose uno schema direlazione tra i dati dell’indagine che presuppone “variabili indipendenti”,“variabili intervenienti”, “variabili dipendenti”, metodologie diintervento etc.

Chiuse il Documento “La contrattazione sindacale dell’organiz-zazione del lavoro ai fini della salvaguardia della salute” esposta da P.Biasco per conto della CGIL-CISL-UIL.

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LA SILICOSI

Tra le varie patologie professionali quelle dell’apparato respiratoriohanno richiamato l’attenzione dei medici del lavoro sin dall’esordio dellaDisciplina. Non è questa la sede per una trattazione completa di esse, maabbiamo comunque ritenuto di prendere in considerazione la silicosi(nelle sue varie forme con complicazioni e associazioni) per ricordarecome questa tecnopatia abbia rappresentato un problema medico digrandissima importanza e gravità e come l’impegno della Medicina delLavoro (nella sua composizione interdisciplinare più ampia,comprendente quindi l’igiene industriale, la fisiopatologia respiratoria, laradiologia) sia riuscita in effetti a debellare questa grave tecnopatia in unarco relativamente breve di tempo.

A solo scopo dimostrativo riferiamo i dati in merito alle denuncie nelcorso di questi anni.

SILICOSIDENUNCIATE

SILICOSIINDENNIZZATE

(DPR 9/06/1975 n°482) Definizione o esercizio

1976) 11657 (74536 mal. prof. tot) 7673 (23581 m. prof. tot.)1977) 15256 (75321) 7036 (28354)1978) 11887 (71616) 5496 (37021)1979) 9114 (64743) 4522 (33069)1980) 7656 (57212) 3691 (25458)1981) 7992 (58642) 3770 (26951)1982) 6101 (45332) 3493 (24760)1983) 5237 (45266) 2503 (21179)1984) 5976 (46023) 2719 (20781)

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1989) 6782 (59551) 1891 (15941)1990) 5900 (57146) 1189 (13379)1991) 5880 (50555) 1246 (16415)1992) 6430 (60573) 1241 (18437)1993) 4235 (47716) 766 (13555)1994) 4508 (43090) 548 0(9793)1995) 3030 (35263) 346 0(6404)1996) 1991 (33800) 240 0(4709)1997) 1423 (30647) 222 0(4217)1998) 1232 (28771) 217 0(4500)1999) 1169 (28553) 187 0(4897)

(I dati si riferiscono a tutte le pratiche denunciate per annoindipendentemente dalla data della manifestazione clinica della malattia.In parentesi viene rispettivamente riportato il totale delle malattieprofessionali denunciate ed indennizzate)

Ciò che ci è sembrato particolarmente interessante è stato lo studiodell’andamento parallelo tra l’evoluzione delle norme legislative in meritoalla tutela previdenziale della tecnopatia e la definizione di linee guida odi parametri clinici e funzionali atti a definirla. In pratica ogni qualvolta ilLegislatore modificava le normative in vigore introducendo nuovielementi che derivavano dalla scienza clinica e radiologica, i Medici delLavoro venivano costretti ad utilizzare queste nuove normative per lefinalità diagnostiche e di tutela previdenziale. Questa rincorsa è durataoltre 20 anni.

A parte alcuni riferimenti sui rischi derivanti dall’esposizione a polveriin ambiente di lavoro che furono oggetto di interessanti rilievi nelpassato (ad esempio da parte di Cesa Bianchi e Devoto nel 1911), unatrattazione sistematica della patologia da silice comincia nel 1938 a Bari(XIII Congresso Nazionale). In tale occasione Quarelli affermava comeallorché “nel nostro Paese, ove la legge per le assicurazioni contro le MalattieProfessionali ancora non contemplava l’assicurazione per i colpiti da silicosi, mentrel’assicurazione contro la tbc, tanto dal lato sociale quanto da quello diagnostico eterapeutico, aveva dato risultati così brillanti, diventò opportuno attuare uno studiodella silicosi, specie nei suoi rapporti con la tbc”.

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Nella IV seduta del succitato Congresso di Bari lo stesso Quarelliribadiva come “sono gli stadi iniziali della malattia che hanno una massimaimportanza, poiché sono i primi sintomi, anzi, le sfumature dei primi sintomi, benchiariti clinicamente, che possono mettere, non solo il medico del lavoro, ma il medicoin genere, nella possibilità di fare diagnosi precoce, quindi la cura precoce e laprofilassi igienico-sociale precoce, specie quando si tratta di una silicosi che viene adaggravarsi per la concomitante presenza della tbc in atto” e aggiungeva che “in Italianon è stato approfondito e lumeggiato ampiamente come in altre nazioni anche se, lasilicosi, essendo molto più frequente di quanto si pensi, dava una morbilità ed unamortalità infinitamente superiori ad ogni altra malattia professionale”.

L’ambiente di lavoro responsabile della silicosi era prevalentementequello delle cave, delle miniere, dei lavori sotterranei dove, nei processidi frantumazione delle rocce, si formavano aerosoli con contenuto inpolveri molto spesso ad elevata percentuale di silice libera. Per moltidecenni, in Europa, la manodopera che veniva impiegata in questicomparti lavorativi proveniva dalle zone più povere dell’Italia ed il sudha pagato un suo notevole contributo; in effetti, a causa del grosso flussodi manodopera dalle zone depresse italiane a quelle ove si poteva trovarelavoro, si registrava in queste popolazioni emigranti la malattiapolmonare. Ammalare di silicosi era un rischio proporzionato al tipo dilavoro ed alla composizione delle polveri che venivano inalate ed eraparimenti indicativo di particolari attività di lavoro (miniere, cave etc.)che i Paesi europei più ricchi evitavano, ma facevano eseguire allepopolazioni europee più povere.

Nonostante la storia delle malattie polmonari dovute a polveri fossecosì vecchia da doverla ricercare nei più antichi scritti, e la scoperta deiraggi X nella loro applicazione in ambito sanitario avesse aperto ilfortunato campo delle indagini per immagini del polmone, all’epoca allaquale ci stiamo riferendo, la silicosi, riconosciuta in tutti (o quasi) i Paesieuropei come malattia professionale, non lo era ancora in Italia anche sesiamo nel 1938.

“Si deve dunque – sottolinea il Quarelli – far rilevare al Governo la necessitàdel riconoscimento della silicosi come malattia professionale ed occorre che i datieziologici, radiografici, clinici e di laboratorio permettano anche di stabilire quando ilpneumoconiotico possa essere considerato affetto da silicosi e possa, ad un datomomento, fruire delle provvidenze cui ha diritto come malato da lavoro; e quando esso

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invece vada aiutato dall’istituto che si occupa dell’assicurazione contro la tbc. Occorreinoltre che l’Ispettorato del lavoro impartisca precise disposizioni per la difesa dellavoratore che inala polveri di silice e, in seguito all’accertamento di una silicosi,provveda all’allontanamento dal lavoro del silicotico nei primi periodi della malattia,quando è ancora abile ad altro lavoro”.

Pertanto il relatore prende in esame le condizioni necessarie affinchéla silicosi si impianti, i fattori predisponenti e suddivide in tre stadiillustrandone le caratteristiche semeiologiche, sintomatologiche nonchéradiografiche e ribadisce che la diagnosi va fondata su anamnesiprofessionale, esame radioscopico e radiografico e ricerche dilaboratorio30.

In attesa che la denuncia della silicosi professionale permetta digiudicare quando ed in quale limite il silicotico possa essere indennizzato,occorre occuparsi dei silicotici nei limiti delle possibilità concesse dalledisposizioni in vigore per l’invalidità.

Ovviamente datata, ma d’effetto, fu la conclusione del Quarelli: “lalotta contro la silicosi, come contro le altre malattie del lavoro, è lotta per ilmiglioramento della razza: sollecitamente voler risolvere il problema limitandoci perora alla denuncia obbligatoria della silicosi quale malattia professionale, è dovere deiMedici e dei Fascisti coscienti della responsabilità morale che hanno assunta, oltrechédell’onore che essi hanno di appartenere ad uno Stato che nel campo della PrevidenzaSociale non è secondo ad alcun altro Stato del mondo”.

Al XV Congresso Nazionale svoltosi a Genova nel 1949 il tema dellasilicosi venne ampiamente ripreso nelle seguenti relazioni: “Cinque annidi applicazione della legge per l’assicurazione della silicosi ed asbestosi.Osservazioni statistiche ed assicurative” del prof. Mauro, “Problemi diattualità nella prevenzione della silicosi in Italia” del prof. Pancheri,infine “Lo stato attuale della silicosi in Italia” del prof. Vigliani. Questiricorda in particolare come l’erronea convinzione della proprietàpneumosclerogena di tutte le polveri industriali abbia costituito per moltianni in Italia un grave ostacolo al riconoscimento della autonomia egravità della silicosi e che il vero movimento scientifico italiano, direttoad indagare la frequenza, la gravità e la specificità della silicosiincominciò verso il 1934-35. La silicosi diventò poi un problema cosìgrave per le finanze di parecchie industrie e per la produttività dellanazione in guerra, da indurre l’ENPI a farsi alfiere della lotta contro

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questa pneumoconiosi organizzando un Convegno sulla silicosi a Torinonel 1941 e creando un Centro per lo studio e la prevenzione dellepneumoconiosi. A Genova (1949) Vigliani espose una dettagliatastatistica sulla frequenza e la distribuzione della silicosi, asbestosi etubercolosi nelle industrie polverose italiane dal 1941 al 1948 e affrontòinoltre il problema eziopatogenetico, morfologico e quello diagnostico, aproposito del quale espresse un concetto quanto mai attuale: “...per essereun esperto in silicosi non basta essere un buon clinico o un buon radiologo o entrambi,ma è assolutamente necessario conoscere a fondo la tecnologia delle lavorazioni, nonsolo, ma anche la pericolosità dell’ambiente nel quale lavora il particolare soggetto inesame, e la salute dei suoi compagni di lavoro... L’insufficiente conoscenza tecnologicadelle varie lavorazioni spiega il notevole numero di errori diagnostici depositati nellanostra letteratura sulle pneumoconiosi”.

Aggiunse poi come gli scopi delle visite preventive e periodiche aglioperai delle industrie polverose siano tre:– far conoscere all’industriale la vera pericolosità dell’industria, affinché

possa prendere le misure di prevenzione adatte;– sradicare la tubercolosi dalle industrie polverose;– decidere quali provvedimenti prendere nei confronti degli operai

risultati silicotici31.In ultimo Vigliani affrontò il problema della valutazione della capacità

lavorativa del silicotico in merito al quale primeggiava per importanza lostudio della funzionalità cardiorespiratoria32. (Quest’ultimo argomento fupoi ripreso da Maugeri nella relazione “La valutazione della funzionalitàrespiratoria e cardiocircolatoria nella silicosi” tenuta a Padova nel 1955;l’interesse per gli studi di funzionalità respiratoria in generale e neisilicotici in particolare era così intensamente sentito che il congresso del1955 fu dedicato quasi per intero a questo argomento, come vedremo inseguito.)

Perentoria la conclusione del prof. Vigliani: “La silicosi non è unamalattia inviataci dal buon Dio, come il tifo o la polmonite: la silicosi è una malattiacreata dall’uomo; un’onta nella storia dello sviluppo del progresso umano, che noidobbiamo affrettarci a cancellare. È un dovere sociale, per una Nazione civile eprogredita, far scomparire la silicosi dalle proprie industrie: l’impresa non è difficile,purché vi sia spirito di collaborazione e decisa volontà di riuscire”.

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A quei concetti così autorevolmente esposti dal Vigliani nel 1949 aGenova si affiancherà il tema della profilassi medicamentosa della silicosiaffrontato dal prof. Zeglio nel Congresso di Viareggio del 1951.L’oratore in maniera più “ottimista” asserisce che “la posizione di codadell’Italia, a paragone della altre Nazioni, presenta pure un lato positivo, in quantoci ha dato modo di assistere con spirito critico al complesso di ricerche compiute altrovee di scegliere, in un campo di indagini rivelatosi estremamente polimorfo e non di radoincongruente nei risultati, ciò che può esser giudicato obbiettivamente conclusivo edidoneo alla pratica applicazione”. Ricorda come “la profilassi sia stata finorasperimentata ed attuata in due forme, a seconda delle caratteristiche farmacologichedelle sostanze impiegate:1) ad azione esclusiva sull’apparato respiratorio, rivolta al potenziamento dei mezzi

biologici di difesa;2) agenti sulla silice nel senso di apportare alla medesima variazione nelle sue

caratteristiche fisico-chimiche ritenute causa di danno ai tessuti polmonari;e come, poste le basi teoriche e sperimentali della profilassi, si affaccia il problemadell’applicazione pratica.” Secondo l’autore è comunque consigliabile larealizzazione della profilassi ed è pure necessario che gli operai trattatiprofilatticamente siano seguiti clinicamente e radiograficamente al pari ditutti gli esposti al pericolo di silicosi, ma debbano essere sorvegliatialmeno nei primi tempi con più attenta scrupolosità33.

Diverso è l’approccio che per lo stesso argomento della silicosi vieneadottato l’anno seguente al XVIII Congresso di Medicina del Lavorotenutosi a St. Vincent. (1952) Questa volta ci si occupa de “Ladeterminazione della pericolosità agli effetti della silicosi nelle lavorazionipolverose” ed in particolare il Parmeggiani nella sua relazione sottolineacome “si è ben lontani ancora dal conoscere tutte le condizioni del rischio silicotigeno,dal poter elaborare in ogni caso le singole determinazioni nella valutazione finale dellapericolosità, dal disporre di una tecnica standardizzata che dia risultati uniformi e disignificato generale, perché a parte ogni altra difficoltà, tra cui quella di conciliare esintetizzare le diverse e circoscritte competenze del medico, del fisico, del mineralogista edel chimico, questi studi hanno la caratteristica di abbracciare una materia quantomai mutevole da un istante all’altro... la genesi lenta della silicosi e la mancanza deisegni di assorbimento rendono ancor più importante la determinazione dellapericolosità delle varie lavorazioni sia ai fini della prevenzione, e specialmentedell’adozione e del controllo delle varie misure di prevenzione tecnica, sia ai fini di una

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valutazione assicurativa del rischio che voglia tener conto delle condizioni particolari dipericolosità di un’azienda rispetto ad un’altra dello stesso tipo, sia infine per glieventuali riflessi sindacali.” Il Parmeggiani continua: “È poi evidentel’opportunità di calcolare la frequenza delle silicosi su casistiche accuratamenteselezionate di operai che non siano mai stati esposti in precedenza ad altre lavorazionipolverose, o che abbiano atteso a quella in esame con mansioni diverse; è opportunoinoltre che essi abbiano una sufficiente anzianità lavorativa, comunque non inferioreai cinque anni. La valutazione statistica presuppone una classificazione radiologicache dovrà essere esattamente definita per evitare incertezze ed errori specialmentenell’inquadramento delle reticolazioni e delle forme atipiche”.

L’oratore, dopo aver elogiato la classificazione del Vigliani34,sottolinea che nel giudizio di gravità dei casi di silicosi ha un notevolesignificato anche la rapidità di instaurazione e di evoluzione dellamalattia. Le considerazioni fatte dal Parmeggiani dimostrano che glielementi che possono emergere da un’indagine esclusivamente medicadanno indicazioni non sempre sicuramente significative sulla pericolositàdi una lavorazione polverosa e solo in condizioni favorevoli confortano irisultati delle indagini tecniche ambientali e permettono di approfondirel’interessante studio dei rapporti tra la polverosità ambientale el’incidenza della pneumopatia.

Secondo l’oratore la pericolosità di una lavorazione polverosa, ai finidell’insorgenza della silicosi, dipende dall’intensità di esposizione deilavoratori alla silice libera, dalla quantità di polvere in sospensionenell’atmosfera suscettibile di depositarsi negli alveoli polmonari, dalladurata dell’esposizione stessa. Il complesso delle indagini, la scelta deiprocedimenti analitici e la sintesi valutativa dei vari risultati debbonoquindi mirare alla conoscenza della concentrazione nell’aria della polveresilicea che, a seconda delle dimensioni delle particelle è destinata adepositarsi nei diversi compartimenti polmonari; qualsiasi altra nozione,che riguarda ad es. la composizione chimico-mineralogica dei materialilavorati, o dell’intero pulviscolo che la lavorazione produce, interessasolo in quanto più o meno indirettamente può lumeggiare il problemasegnalato. È perciò necessario conoscere innanzitutto alcune proprietàgenerali delle polveri per definire l’oggetto delle ricerche.

Parmeggiani sottolinea come la pericolosità sia la risultante di diversifattori (alcuni già riferiti) e come “oggi non si possono stabilire ancora valori di

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massima concentrazione tollerabile delle polveri silicee, valevoli complessivamente pertutte le industrie polverose; possono invece essere validi integralmente, e debbono anzirappresentare sempre più l’oggetto della ricerca, i limiti di polverosità stabiliti persingola industria o per gruppo di industrie, attraverso lo studio comparativo, il più alungo possibile prolungato nel tempo, delle osservazioni mediche e dei rilievi ambientaliraccolti con tecnica uniforme e ben definita mediante determinazioni più volte ripetute,tenendo conto della tecnologia delle lavorazioni e di tutti quei fattori che abbiamodianzi ricordato nella disamina della pericolosità delle lavorazioni polverose”.

Conclude l’oratore: “... Ma, come per tutte le malattie professionali, lo scopoultimo della lotta contro la silicosi deve essere di combatterne le cause sul posto dilavoro, prima di prevenirla e seguirla nelle visite di assunzione e nei controlli periodicidegli operai esposti, o peggio di curarla al letto del malato; di combatterla precisamenteproprio dove lavora l’operaio che si intende proteggere... Questa è la strada che si devepercorrere: oggi che la scienza è in grado di fornire i mezzi per valutare la pericolositàdelle industrie polverose, alla casistica clinica si deve affiancare una non meno riccacasistica della pericolosità e dal loro studio combinato si dovranno trarre gli elementiper il controllo ed il perfezionamento della prevenzione tecnica, attraverso la levapotente della legge assicurativa”35.

Al XIX Congresso Nazionale di Firenze 1953 il prof. Caglioti tieneuna conferenza su “Problemi chimici e chimico-fisici nelle indagini sullasilice e sulla silicosi” nella quale cita i dati relativi all’azione silicotigenadelle varie forme di silice e le tecniche analitiche per la determinazionedella silice libera. Analizza l’interazione tra silice e tessuto, e l’azione chequesta esercita sulle sostanze metaplastiche inducendo la fibrosi. A talriguardo riesamina, sulla base dei dati di letteratura, le modalità delprocesso di fibrillogenesi. Nella parte finale della esposizione l’Oratore facenno, in relazione all’azione fibrogena della silice, alla capacità dell’acidosilicico di polimerizzare sia in catene fibrose lineari, sia in reticolitridimensionali dando luogo alla formazione di macromolecole.

Al XX Congresso del 1955, con sede a Padova e Venezia, apre laseconda seduta congressuale dedicata alla “Valutazione della funzionalitàrespiratoria e cardiocircolatoria nei silicotici” la relazione del prof. P.H.Rossier – Clinico Medico del Policlinico di Zurigo dal titolo “Laphysiopatologie respiratoire moderne ses bases et son evolution”.L’Oratore ricorda che “Les méthodes modernes d’investigation de la fonctionpulmonaire ont acquis au cours des années surtout depuis une décade, un tel degré de

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precision que le poumon est probablement l’organe que l’on peut aujourd’hui explorerfonctionnellement avec le plus d’exactitude”. Quindi traccia un rigorosoexcursus storico sullo sviluppo della fisiopatologia respiratoriaricordando i lavori di Paul Bert (1878), sull’importanza dei valori delletensioni dei gas respiratori; quelli della scuola anglosassone di Haldane eBarcroftte, e di Bohr e Krogh di scuola scandinava ed altri che hannofondato la fisiologia alveolare; hanno consentito di determinare le curvedi dissociazione dei gas nel sangue; hanno studiato i fenomeni delladiffusione alveolo capillare; hanno definito lo spazio morto polmonare.Si è così giunti, dopo cento anni e diverse generazioni di studiosi, alladifferenziazione fisiopatologica tra quadri di insufficienza respiratorialatente, manifesta e globale. Infine l’oratore ricorda il contributo fornitodal cateterismo cardiaco ideato da Forssman (nel 1929) ed utilizzato almassimo delle sue possibilità dalla scuola di Cournand nello studio deifattori che regolano l’ipertensione del piccolo circolo.

La Scuola svizzera di Rossier, come è noto, approfondì lo studio delladeterminazione dei valori dei gas nel sangue arterioso a riposo e doposforzo e fornì interessanti correlazioni tra questi dati e quelli dellavolumetria polmonare e della permeabilità alveolo polmonare. L’oratorericorda che casi di ipertensione del piccolo circolo si osservano ogniqualvolta “...le système vasculaire pulmonaire a subi une amputation considérable àla suite di une fibrose diffuse du parenchyme pulmonaire” per esempio “lors d’unesilicose grave”. Conclude ricordando che si è ancora lontani dalla possibilitàdi ritenere il capitolo della valutazione della funzionalità respiratoriachiuso nonostante i cento e più anni di intense ricerche; alcuneconcezioni devono essere riviste, nuove tecniche devono esseresviluppate. È lontano il tempo in cui la spirometria dominava lafisiopatologia respiratoria, ora bisogna esplorare sempre più a fondo lecorrelazioni tra le turbe della ventilazione e degli scambi alveolo capillarecon la fisiologia del piccolo circolo.

Fece seguito la relazione di Maugeri e coll. su “La valutazione dellafunzionalità respiratoria e cardiocircolatorio nella silicosi” elaboratasull’esperienza acquisita studiando circa duemila casi di pneumoconiosiricoverati presso la Clinica di Medicina del Lavoro di Padova36.

L’argomento venne trattato attraverso un’ampia progressione dinozioni, dai richiami di morfologia e fisiologia del polmone nel soggetto

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sano e nei silicotici, alla valutazione diagnostica (trattando la metodologiastrumentale: la spirometria, le misure ventilatorie a riposo e durante illavoro, la ventilazione massima minuto, la massima ventilazione dasforzo, la ventilazione interna ed i gas nel sangue arterioso, lo scambiogassoso nei silicotici, etc.) alla scelta dei metodi d’indagine per lavalutazione funzionale, ai limiti della metodologia strumentale, alle proveda sforzo37.

“Dall’esperienza di vari AA ed anche dalla nostra, una condizione patologicaspicca tra le altre a caratterizzare l’aspetto funzionale della malattia silicotica, ed è ladisfunzione ventilatoria. I suoi elementi costitutivi e misurabili sono le alterazioni divolume (riduzione della capacità vitale, aumento dell’aria residua), le limitazioni allaloro utilizzazione come riserve nello sforzo (riduzione della ventilazione massima), leirregolarità della distribuzione intrapolmonare dei gas (ineguale ventilazione alveolare,aumento dello spazio morto). In ultima analisi, una riduzione dell’efficacia dellaventilazione alveolare, che si ripercuote sugli scambi e sul circolo polmonare traendo incompromissione l’intero equilibrio cardiorespiratorio”.

Non è possibile sintetizzare l’intera relazione che sugli Atti occupa287 pagine di stampa; essa conferma, quanto già sottolineato, che neglianni ’50 vi fu un enorme interesse da parte della Medicina del Lavoroallo studio delle affezioni professionali dell’apparato respiratorio.Vennero fissate, innanzitutto, le basi e la metodologia per esplorare lafisiologia del polmone del soggetto sano per poter quindi inquadrare, subasi razionali, ogni deviazione dalla norma, interpretandone anche ilsenso e l’entità delle deviazioni. Sul piano pratico i quesiti che venivanoposti erano fondamentalmente due: definire l’efficienzacardiorespiratoria del soggetto e le possibilità globali di lavoro ad essoancora consentite. Si tenga conto che in quegli anni il numero di soggettiaffetti da silicosi polmonare era in Italia estremamente elevato (con unadistribuzione geografica irregolare) e con punte decisamente moltopreoccupanti nel Sud e nel Veneto. Ciò rendeva necessario e urgente lavalutazione della residua capacità funzionale e respiratoria di questiammalati sia per eventuali programmi di prevenzione terziaria che perl’assegnazione dell’adeguato indennizzo.

Chiusero il congresso la relazione di Franchini ed Introna “Le basimedico-legali della valutazione del danno da silicosi polmonare” e quelladi Guardascione “Su alcuni problemi clinici e medico-legali emersi da

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una esperienza decennale di assicurazione contro la silicosi e l’asbestosi”.I primi nella loro relazione prendono in esame i criteri diagnostici dellasilicosi polmonare e sottolineano come l’interpretazione dell’art. 3 della455/43 complichi ancor più in sede medico-legale il problemadiagnostico già complesso dal punto di vista clinico. Ricordano inoltreche non può trascurarsi l’associazione con la tubercolosi visto che lalegge tutela, con l’art. 3, anche la silicosi complicata a tubercolosipolmonare e quindi, valutare nella sua globalità il danno polmonaresostenuto sia dall’una che dall’altra affezione; e con l’art. 7, garantisce leprestazioni a tutti i casi di silicotici associati a tubercolosi polmonare infase attiva anche se iniziale purché il quadro morboso complessivo siatale da determinare l’abbandono del lavoro, qualunque sia il grado diinabilità derivante dalla silicosi.

Gli oratori si dilungano sull’accertamento del danno funzionalerespiratorio e cardiocircolatorio dal momento che “la silicosi non èindennizzata di per sé, ma in quanto produce uno scadimento funzionaleorganico che si estrinseca essenzialmente a carico del sistemacardiorespiratorio e che pone le ragioni della invalidità dell’assicurato”.

Segue poi la trattazione della valutazione medico-legale della silicosiprofessionale assicurata38, ove viene presa in esame la dizione dell’art. 3,ribadendo quali fossero le intenzioni del legislatore e vengono esposte lediscussioni nate intorno a tale dizione39.

Gli oratori esaminano anche l’art. 8, che prevede “che l’operaio alquale sia stata riconosciuta l’inabilità permanente (> del 33%) puòcontinuare ad attendere alle lavorazioni specificate nella tabella annessaalla legge” e sottolineano il contrasto con l’art. 3. Infine ribadiscono ipunti che richiedono una più soddisfacente e tempestiva soluzione40.

Allo stesso Congresso (Padova 1955) Guardascione tenne unaconferenza per conto dell’Inail “Su alcuni problemi clinici e medico-legali emersi da una esperienza decennale di assicurazione contro lasilicosi e l’asbestosi”. L’oratore lamenta come la legge sia stata emanatama non sia stata seguita dal regolamento di attuazione, a ben 12 anni didistanza. Dopo aver analizzato il problema della revisione decennale,accenna alle questioni nate circa la limitazione imposta dal legislatorequando ha precisato che la malattia è produttiva di prestazioni medicheassicurative, solo ove si manifesti entro i 10 anni dalla data

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dell’abbandono definitivo dalla lavorazione pericolosa e dichiara che “ilperiodo di 10 anni dalla data di abbandono definitivo dal lavoro è indubbiamentetroppo breve, perché non sempre si adegua alle particolarità patogenetiche ed evolutivedella silicosi”.

È di nuovo il prof. Vigliani nel 1959 a discutere questa volta“L’eziopatogenesi della silicosi” in un’ampia relazione tenuta al XXIIICongresso Nazionale di Rimini, di cui ci limiteremo a riferire chel’Oratore espose l’evoluzione storica delle teorie sulla patogenesi dellasilicosi (come quella dell’origine tubercolare, quella meccanica, quellainerente la solubilità della silice ecc.) e ricordiamo come queste differentiopinioni erano state direttamente confrontate e discusse alla ConferenzaInternazionale sulla Silicosi tenuta a Ginevra nel settembre del 1938 periniziativa del Bureau International du Travail. Seguono poi l’analisi deifondamenti della ipotesi immunologica della patogenesi in un’ampia edettagliatissima relazione che spazia dall’istopatologia della silicosi umanae sperimentale alle modificazioni sierologiche osservabili nei silicotici onegli animali da esperimento. L’esposizione dei dati statistici degli anni55-56 ribadiscono come la silicosi potesse all’epoca considerarsi la piùfrequente malattia professionale, si calcolava infatti che il 5% circa ditutti gli operai addetti a lavorazioni nelle quali si sviluppano polvericontenenti silice libera presentavano segni radiologici di silicosi.

Anche nel 1967 si discusse di silicosi, ciò in quanto era largamentesentita la necessità di mettere a fuoco i problemi di indole pratica che imedici del lavoro dovevano affrontare ogni giorno a proposito dellapneumoconiosi, quali ad esempio la definizione radiologica dellatecnopatia, la possibilità di rilevare aspetti radiologici non nodulari dellastessa e la valutazione del grado di invalidità; pertanto a Milano, voluto eproposto al direttivo della Società Italiana di Medicina del Lavoro dalprof. Vigliani si tenne un Simposio sulla Diagnosi e la ValutazioneFunzionale della silicosi.

Il gran numero di partecipanti al simposio indicò che la necessità distudiare in profondità i problemi posti dalla silicosi preoccupavaprofondamente i Medici del Lavoro. Sottolineava in questa occasione lostesso Vigliani che: “In effetti si assisteva ad un notevole progressivo aumento deicasi di silicosi denunciati, e perciò era lecito chiedersi se la malattia colpisse veramenteun numero sempre maggiore di persone, nonostante tutti i mezzi di prevenzione posti

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in atto, o se la diagnosi di silicosi venga fatta in Italia con criteri diversi e più larghidi quelli adottati in altre Nazioni”.

Il simposio si articolò in sei tavole rotonde sui seguenti temi:1. Radiologia della silicosi2. Clinica della silicosi3. Funzionalità respiratoria4. Anatomia patologica5. Valutazione dell’invalidità6. Misura del Rischio41.

Nella prima tavola rotonda esperti provenienti da tutta l’Italiaillustrarono le metodiche utilizzate nella diagnostica della tecnopatia erisposero, in base alle proprie esperienze, a diversi quesiti, quali: quanteradiografie di routine occorresse eseguire per ciascun lavoratore esposto,quale classificazione andasse adottata, quale fosse il valore di alcunetecniche speciali42 e tra quest’ultime, contrastanti furono i pareri sulruolo diagnostico della schermografia43. In effetti gran parte delledomande vertevano su problemi tecnici, che sarebbe impossibileriportare sinteticamente in questa sede; andò sottolineato però che, unavolta ottenute delle buone immagini, il problema radiologico piùimportante per la silicosi era quello interpretativo dal momento chenessuna immagine elementare, di per sé considerata era patognomonicaper la silicosi.

Emerse comunque la necessità di una standardizzazione dellametodologia radiologica per una corretta diagnosi di silicosi e leconclusioni furono le seguenti:✓ la standardizzazione della tecnica radiografica era fondamentale

perché tutti i radiologi potessero intendersi;✓ le forme reticolari (anodulari) rappresentavano un limite alle

conoscenze obiettive dei radiologi; non si poteva richiedere allaradiologia più di quanto essa potesse dare;

✓ l’impiego delle sviluppatrici automatiche era raccomandabile, cometutto ciò che diminuiva l’intervento soggettivo del radiologo;

✓ la scopia aveva un valore limitato per lo studio delle pneumoconiosied era soggetta ad un’interpretazione personale, fonte di errori;

✓ per arrivare ad una diagnosi di silicosi era necessario che il radiologoconoscesse l’anamnesi professionale del caso in esame;

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✓ lo studio di alterazioni del polmone, come quelle pneumoconiotiche,richiedeva una attrezzatura perfetta; era necessario quindi nondisperdere le forze, ma creare centri di indagine radiologica dellasilicosi, con attrezzature standardizzate. La seconda tavola rotonda trattò la Clinica della Silicosi. Si discusse in

tale sede del ruolo dei dati anamnestici, degli esami di laboratorio, delreferto radiologico, di come interpretare la bronchite e l’enfisemaassociati alla silicosi etc. Venne concordemente ribadita l’importanza deidati anamnestici nella diagnosi della tecnopatia e sottolineato non solocome essi dovessero essere forniti dal paziente stesso, ma soprattuttocome andasse verificata l’effettiva esposizione del soggetto alla silice44.

Vennero poi illustrati gli esami di laboratorio di routine e quellieffettuati in casi particolari. La routine comprendeva: radiografiastandard del torace, elettrocardiogramma, prove di funzionalitàrespiratoria, ricerca del micobatterio, velocità di eritrosedimentazione,esame emocromocitometrico, colesterolo e sue frazioni, glicemia,azotemia esame delle urine e reazione di Wassermann; in casi particolarisi suggerì l’uso di broncografia, broncoscopia, elettrocardiogramma dasforzo, tests di attività reumatica, esame culturale e citologicodell’escreato, etc. Unanimi furono i pareri circa la centralità del ruolodell’esame radiografico, pur ribadendo come esso andasse integratodall’anamnesi lavorativa e dalla valutazione della reale esposizione delsoggetto45; discordi invece furono pareri circa l’interpretazione dellabronchite e dell’enfisema come conseguenze dirette della silicosi46.

I quesiti rivolti ai partecipanti della terza tavola rotonda vertevanosulla funzionalità respiratoria. Dall’esposizione dei singoli oratori e dalladiscussione che ne seguì emersero i seguenti concetti: una alterazionesignificativa degli indici funzionali era osservabile, nelle forme di silicosiiniziali e/o micronodulari, solo in presenza di bronchite cronica e/oenfisema; lo studio spirografico, pur restando un elemento fondamentalenella diagnostica delle pneumopatie professionali doveva essere integratodallo studio dei gas del sangue e della Dco; un giudizio complessivo dellafunzionalità respiratoria non si poteva fondare su questa o quella provaritenuta preferibile “a priori”, ossia più importante dal punto di vistateorico, ma doveva basarsi, caso per caso, sulla valutazione globale ditutte le prove eseguite.

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Era indubbio che il problema principale fosse rappresentatodall’interpretazione a fini pratici dei risultati delle prove di funzionalitàrespiratoria sotto sforzo, ma a conclusione dei lavori risultò che ladiminuzione della capacità lavorativa non dipendeva soltanto dallariduzione della funzionalità respiratoria e in genere quest’ultima non sitrasformava automaticamente in diminuzione della capacità lavorativadal momento che essa non è la sola causa di invalidità; peraltro ungiudizio sulla capacità lavorativa di un silicotico non poteva prescinderedalla somma dei dati clinici, radiologici e cardio-circolatori.

Categorico fu il prof. Vigliani quando affermò che bisognava tenerconto del fatto che “il polmone ha una esuberanza funzionale rispetto alleprestazioni normali, in altre parole ha una larghissima capacità di riserva; incondizioni normali la limitazione al lavoro muscolare è data dalla incapacità del cuorea pompare la quantità necessaria di sangue, piuttosto che ad una incapacità deipolmoni di ossigenarla”.

Il quarto tema riguardò l’anatomia patologica della silicosi. Venneroesposti i criteri per la diagnosi di silicosi in caso di esumazione tardiva,vennero descritti i reperti nodulari classici ma si sottolineò in modoinequivocabile che la fibrosi silicotica anche “anodulare si accompagnavaad un cospicuo aumento del tasso di silice nell’organo”; il nodulosilicotico sclero-ialino, che costituiva il più tipico aspetto della fibrosipolmonare da silice, non poteva essere considerato che alla stregua di unfrequente ma incostante aspetto evolutivo. Il prof. Barni distinse poi duetipi di silicosi anodulare:– una fibrosi interstiziale discreta sotto il profilo anatomo-patologico

ma spesso accompagnata da grave enfisema;– una reazione granulomatosa capace di evolvere verso la fibrosi

massiva senza attraversare la fase nodulare. Si analizzò anche il ruolo del dosaggio chimico della silice polmonare,

sul quale sembrava incidere più che la durata dell’esposizione al rischio,la sua intensità; sul significato diagnostico di tale analisi si espresserodelle perplessità specialmente se i dati forniti non venivano valutati inrelazione a quelli anamnestici, clinici e anatomopatologici. Riguardo allabiopsia polmonare, se ne suggerì l’utilizzo nelle seguenti indicazioni:✓ forme a rapida evoluzione del quadro radiologico;✓ forme miliariformi o nodulari con esposizione dubbia;

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✓ forme radiologicamente atipiche con esposizione al rischio accertata;✓ discrepanza fra quadro clinico e radiologico.

La quinta tavola rotonda affrontò il problema della valutazionedell’invalidità.

Si illustrò in questa occasione come si procedeva alla valutazionedell’invalidità da parte dell’Inail e dei patronati, in che modo venivaespresso il grado di invalidità, quando andasse applicata la rendita dipassaggio e se fosse opportuno eseguire una revisione annuale di tutti isilicotici anche se non richiesta dagli interessati. In genere una voltaposta la diagnosi di silicosi, la valutazione si basava sull’esame clinico,sull’esame radiologico e soprattutto sull’esperienza del medico valutatore.In ogni caso la percentuale dei casi indennizzati su quelli denunciati erapiuttosto elevata, dal momento che si avanzava domanda di rendita solonei casi in cui risultava accertata la diagnosi di silicosi. La tendenza eraquella di comprendere nella valutazione globale della compromissionedell’attitudine al lavoro anche gli elementi dovuti alla bronchite cronica eall’enfisema, allorché ovviamente fosse stata già posta diagnosi di silicosi.Ci preme a questo punto ricordare che il Testo Unico permettevaall’epoca di considerare senz’altro indennizzabili i casi in cui lacomponente silicotica fosse molto modesta e, per contro, fosse moltocompromessa l’attitudine al lavoro del soggetto, a causa dellacomponente bronchitica ed enfisematosa47. Rimaneva la premessa difondo che non esisteva “silicosi diagnosticabile o diagnosticata” che noncomportasse un danno permanente ed indennizzabile. In tale occasionefu anche ribadito che non era sufficiente l’assenza di alterazionifunzionali evidenziabili con le tecniche a disposizione per negare il gravesquilibrio biologico che una silicosi diagnosticabile comportava; taliprove entravano quindi nella valutazione come un aspetto importante efondamentale ma non egemonizzante del quadro valutativo.

Circa il problema della revisione dei silicotici il prof. Vigliani affermòche la revisione annuale doveva essere automatica per tutti i silicotici inrendita; il silicotico infatti era, per la natura della sua affezione, unapersona che andava tenuta d’occhio periodicamente. Aggiunse l’oratore“Non si tratta soltanto di un problema di giustizia della medicina assicurativa; sitratta di mantenere sotto controllo preventivo delle persone, i cui polmoni sono menoresistenti di quelli normali di fronte a certe infezioni. Il nostro scopo non deve essere

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soltanto quello di dare una rendita al silicotico e di adeguarla alle sue condizioni dicapacità lavorativa durante il decorso della malattia; ma anche quello di conservarnequanto più a lungo possibile la salute e la capacità lavorativa residue e di proteggerlicontro ogni pericolo, o almeno di diagnosticarne precocemente le complicazioni e dicurarle tempestivamente”.

Chiuse il simposio la tavola rotonda sulla misura del rischio dove siillustrò come si effettuano le determinazioni della polverosità degliambienti e in quale modo viene valutato il rischio di silicosi in base airisultati forniti dalle misure eseguite. Vennero esposte le metodiche dimonitoraggio ambientale, in particolar modo quelle della determinazionedella silice libera. Si auspicò che in tutte le lavorazioni potenzialmentesilicotigene, a fianco dei controlli periodici del quadro radiograficodell’operaio, venisse misurata la polverosità ambientale e il suo contenutoin silice libera, e che tali misure diventassero obbligatorie in un momentoin cui l’obbligatorietà vigeva solo per le attività minerarie e per i lavori insotterraneo.

Alla fine del simposio furono esposte le conclusioni di ciascun settoree le conclusioni generali furono le seguenti:1) È sentita la necessità di organizzare nuove riunioni per discutere

approfonditamente i diversi problemi trattati nel Simposio.2) La diagnosi di silicosi deve essere affidata a Centri specializzati e dotati di medici

altamente qualificati e specificamente competenti sia per le indagini cliniche,radiologiche e di funzionalità respiratoria, sia per l’accertamento e la misura delrischio di silicosi nell’ambiente di lavoro.

3) Sono necessarie periodiche riunioni di radiologi per uniformare le tecnicheradiografiche e criteri di lettura e interpretazione delle radiografie.

4) Sono necessarie riunioni periodiche di esperti di fisiopatologia respiratoria peruniformare i metodi di indagine ed i criteri di valutazione della funzionalitàrespiratoria.

5) La accuratezza diagnostica può essere migliorata per mezzo di studi comparativifra gli aspetti radiografici e i relativi reperti anatomopatologici.

6) I rapporti tra silicosi e bronchite cronica devono essere studiati per mezzo indaginiepidemiologiche, condotte con criteri standardizzati e con metodo rigorosamentescientifico.

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7) I metodi di misura del rischio silicotigeno nell’ambiente di lavoro devono essereuniformati, e deve essere effettuato un periodico controllo del rischio di silicosi nelleindustrie assicurate.

8) La prevenzione tecnica della silicosi deve essere intensificata.

In sintesi con questa carrellata abbiamo voluto focalizzare il grossoimpegno che i medici del lavoro rivolsero al problema della silicosi sinoad ottenere in pratica una quasi totale “estinzione” della malattia.

Abbiamo riferito come agli inizi di questo secolo la tecnopatia fosseampiamente diffusa e quanti danni, sotto il profilo della salute umana edella ridotta o perduta capacità lavorativa dell’individuo, potessedeterminare. Il problema andava affrontato nel modo più ampiopossibile:

1) rischio ambientale che è costituito dalla polverosità totale presentenegli ambienti di lavoro (espressa in mg/m3), dalla distribuzionegranulometrica delle polveri (espressa in micron ed in percentuale deltotale) e dalla ricchezza in SiO2: tutti problemi di interesse del medico dellavoro nella sua veste di igienista industriale.

Ciò ha comportato lo studio, lo sviluppo e l’applicazione dei mezzi diprotezione individuale (ad esempio le maschere) e generali (ad esempiol’abbattimento delle polveri mediante umidificazione, o captazionemediante aspiratori). Questi provvedimenti hanno generato un drasticoabbattimento (in alcuni casi azzeramento) del rischio in ambitolavorativo.

2) possibilità di diagnosticare il più precocemente possibile latecnopatia e prendere provvedimenti di tipo preventivo e curativo.

Sotto il profilo diagnostico le tecniche radiologiche hanno consentitodi evidenziare i primi segni e di ipotizzare un eventuale aggravamento(vedi classificazione radiologica della silicosi). La diagnostica perimmagini è stato uno strumento di colossale importanza per il medicodel lavoro ed ha confermato come un’affezione professionale possaessere affrontata e debellata nel momento in cui si possono integrare lecompetenze multidisciplinari.

Prima di concludere questo argomento che, come si è scritto, fusvolto in maniera sempre più approfondita in una serie successiva dicongressi (Bari ’38, Genova ’49, Viareggio ’51, St. Vincent ’52, Firenze

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’53, Padova ’55, Rimini ’59, Milano ’67) è nostro intendimentoripercorrerne l’iter legislativo.

Innanzitutto ricordiamo che in Italia, motivi di ordine sociale,economico e pratico hanno fatto sì che gli infortuni prima ed alcunemalattie professionali dopo, fossero tutelati nell’ambito di una “disciplinaprivilegiata” rispetto ai processi morbosi della comune malattia. Mentrela tutela per gli infortuni del lavoro cominciò nel 1898 (prima legge chene rese obbligatoria l’assicurazione) le malattie professionali hanno avutoun ruolo da cenerentola; le due assicurazioni avrebbero dovuto nascereinsieme, ma purtroppo lo studio sistematico delle malattie professionali,condizione ritenuta necessaria ad un loro inquadramento nosologico edassicurativo, è di data successiva. E, se nel 1923 il decreto 228 (entrato invigore solo nel 1934) istituì l’assicurazione obbligatoria per le malattieprofessionali dell’industria limitatamente ad alcune intossicazioni(piombo e leghe, composti di mercurio, fosforo, solfuro di carbonio,benzolo e omologhi e loro derivati nitrati e clorati ed anchilostomiasi),per l’assicurazione contro le due più gravi pneumoconiosi, la silicosi el’asbestosi, bisognò invece attendere il 1943 come già riportato. Al 12aprile di tale anno infatti risale il decreto legislativo 455, che rappresentala prima legge di tutela della silicosi.

Tale legge si preoccupò, per ragioni di politica assicurativa, di stabilirei requisiti diagnostici ed il minimo indennizzabile di tale patologia.Precisò infatti, con una formula definitoria, i caratteri delle formemorbose oggetto di trattamento assicurativo; l’art. 3 recitava perl’appunto: “per silicosi deve intendersi una fibrosi polmonare, complicata o non datubercolosi che, provocata da inalazione di polvere di biossido di silicio allo statolibero, si manifesta particolarmente con bronchite ed enfisema e ripercussionesull’apparato cardiocircolatorio ed all’esame radiologico con disseminazione diffusa diombre nodulari miliariformi, confluenti e non”.

La legge indicava dunque esplicitamente nell’ambito della silicosipolmonare, quale fosse la forma indennizzabile in base ad una precisaobiettivazione semeiologica (di tipo radiologico). Faceva comunqueriferimento 1) al dato anamnestico lavorativo rappresentatodall’esposizione a polveri di SiO2; 2) al dato clinico della bronchite edell’enfisema o addirittura della tubercolosi; 3) all’handicap funzionalerespiratorio e cardiaco. Pertanto l’art. 7 alla lettera a) stabilì che la

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concessione delle prestazioni assicurative per la silicosi polmonare fossesubordinata all’esistenza di una inabilità permanente parziale superiore al33%.

Inutile dire che l’entrata in vigore di tale legge diede luogo, come si èsempre verificato, a numerose discussioni sull’interpretazione di alcuniarticoli ed alcuni dispositivi (in particolare gli articoli 3 e 7), in quantointroduceva elementi nuovi come ad esempio le succitate definizionimedico-assicurative della malattia e la questione relativa al minimoindennizzabile.

Nel 1956 la legge 648 apporterà delle norme modificatrici alla 455 ed inparticolare l’art. 4 di tale decreto, che sostituisce l’art. 7 della 455, abbassa ilgrado minimo di incapacità lavorativa indennizzabile portandolo dal 34% al21%, parificandolo così a tutte le rimanenti malattie professionali. In merito atale provvedimento nel 1959 Rimini XXIII Congresso Nazionale) siesprimerà il dott. Capezzuto nella sua relazione “Osservazioni sul D.P.R. 20-3-1956 a tre anni dalla sua applicazione”48.

Sei anni più tardi una sentenza della Corte di Cassazione del 30 agosto1962 n. 2718 stabilì che “gli elementi clinici e radiologici indicati nell’art. 3 dellalegge 455 hanno carattere esplicativo, pertanto, nel caso che la silicosi sia stataaccertata, non può essere negata la tutela assicurativa per il solo fatto che la malattianon si manifesta con tutti i caratteri tipici previsti dalla legge”. La Corte sottolineòche comunque la diagnosi di Malattia Professionale deve essere“indiscutibilmente accertata”. Da tempo esponenti della Medicina Legalee Medicina del Lavoro del nostro Paese valorizzavano le cosidette silicosiistologicamente e radiograficamente anodulari e sottolineavano che lalegge “tutela la silicosi e non il nodulo silicotico”, il quale, se èun’indubbio reperto diagnostico, non è però la malattia, tanto è vero chequesta può esistere anche in sua almeno macroscopica assenza.

Per conseguenza della succitata sentenza, il D.P.R. 30 giugno 1965 n.1124 (Testo Unico) modificò finalmente con l’art. 142 la formuladefinitoria della silicosi nei seguenti termini: “agli effetti del presente capo persilicosi deve intendersi una fibrosi polmonare complicata o non da tubercolosi cheprovocata da inalazione di polvere di biossido di silicio allo stato libero, si manifestaparticolarmente ma non esclusivamente con bronchite ed enfisema e ripercussionesull’apparato cardiocircolatorio ed all’esame radiologico con disseminazione diffusa diombre nodulari miliariformi, confluenti e non”.

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La disseminazione di ombre nodulari non era più un requisitodiagnostico indispensabile della silicosi oggetto di tutela e così anche lapresenza di bronchite, enfisema etc. La pneumopatia, tuttavia, dovevaessere, secondo il monito della Suprema Corte, “indiscutibilmenteaccertata” e tale accertamento in vita non poteva e non può ignorare lepiccole e grandi opacità incluse nelle classificazioni radiologiche propostein materia da organismi internazionali, come quella ILO-BIT 1971-1980.

Arriviamo così alla legge n. 780 del 1975, tuttora vigente che sulleprincipali pneumoconiosi ha:1) ampliato l’oggetto di tutela che non comprende solo silicosi ed

asbestosi con le loro conseguenze dirette, ma, in sede di valutazionedel danno, anche ad altre malattie respiratorie e cardiocircolatorie (es.il tumore del polmone);

2) abolito le formule definitorie di silicosi ed asbestosi;3) abolito l’art. 143 del Testo Unico, per cui non è più sottolineata, per le

due pneumoconiosi, la distinzione tra rischio teorico derivantedall’esercizio dei lavori indicati nella tabella (allegato 8) e rischioeffettivo da accertare caso per caso.La successione dei provvedimenti legislativi in merito alla silicosi ci

offre una misura estremamente chiara di come si è tentato di proteggerel’esposto alla silice e nel contempo di diagnosticare una affezionemorbosa di cui, per l’appunto, non si avevano precise nozioni, né inmerito alla sua subdola comparsa, né in merito alla più o meno veloceevoluzione, né in merito alla reattività biologica individuale. Inoltre nonera ancora ben definita un’eventuale correlazione tra polverosità in sensolato, granulometria delle polveri cui l’operaio era esposto, composizionedi esse, ricchezza in SiO2, solubilità delle polveri, loro deposizione esuccessiva rimozione dal polmone etc.

Tutti questi parametri sono stati progressivamente chiariti grazie astudi multidisciplinari ed ad un approccio al problema sotto il profilofisico-chimico degli aerosoli e quindi igienistico-industriale e sotto ilprofilo fisiopatologico e pneumologico. Si tenga conto che solo nel 1966venne sviluppato con ricchezza di particolari dal Task Group on LungDynamics un modello polmonare “for computing dust deposition onand clearance from the human respiratory tract”, al quale riferirsi peraffrontare questo arduo problema.

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LA MEDICINA DEL LAVORODAL SECONDO DOPOGUERRA

Nel 1948 si tenne a Torino il XIV Congresso Nazionale cherappresentò la ripresa delle attività di studio della Medicina del Lavorodopo 10 anni di interruzione dovuta al secondo conflitto mondiale. Essovenne pertanto nominato “Convegno della Rinascita” e la sontuosainaugurazione avvenne nel Salone degli Svizzeri del Palazzo Reale.

Nel secondo dopoguerra lo studio delle malattie da lavoro e laprevenzione di esse ebbero uno sviluppo importante che portò tutti iproblemi connessi con il lavoro alla più viva attenzione non solo deimedici e dei tecnici, nella più ampia accezione, ma anche dellapopolazione generale. Questa maggiore attenzione derivava da quellagiusta pressione sociale che sappiamo essere alla base dei convincimenticollettivi e dalla febbrile volontà di ripresa e di rinascita di una nazione“messa in ginocchio” da eventi disastrosi. Ora, ancor più che nelprecedente periodo post-bellico, tutto il Paese era in rovina, dalmomento che la seconda guerra mondiale allargò le aree del conflitto,prima limitate alle zone di frontiera e di trincea, coinvolgendo nelledrammatiche distruzioni tutto il paese. Era necessario risollevarsi e creareun nuovo Paese, non solo dal punto di vista politico.

Al termine della sontuosa seduta inaugurale tenutasi nel Salone degliSvizzeri di Palazzo Reale, il prof. Carozzi tenne la relazione di aperturasul tema “Progresso e tendenze attuali della Medicina del Lavoro”.L’oratore sostenne che il compito della medicina del lavoro era quello diassicurare “all’uomo sano ed idoneo un lavoro adatto” e di mantenerlotale attraverso “la diagnosi precoce delle malattie professionali el’organizzazione della prevenzione”. Egli rammentò come tale compitosi fosse lentamente delineato nel tempo a partire dal ruolo svolto tra lafine del secolo scorso e l’inizio del ’900 allorquando “ci si limitava a curarele malattie del lavoro le più drammatiche”, o ad applicare “le misure di prevenzionele più urgenti”. Sottolineava il momento di svolta cui era giunta la

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disciplina, che doveva attribuirsi ormai nuove funzioni in considerazionedel fatto che “il problema attuale medico-tecnico è sempre più dominato,compenetrato da quello economico-sociale”.

Gli aspetti che progressivamente caratterizzarono questa fase disviluppo furono molteplici. Vogliamo citarne alcuni: la concretarealizzazione sul piano pratico dei contenuti interdisciplinari dellaMedicina del Lavoro; il riconoscimento definitivo della priorità della“prevenzione sulla terapia” (concetto non certamente nuovo, madivenuto imprescindibile); l’ampliamento delle problematichecongressuali che ripresero a spaziare a pieno campo coinvolgendosempre più ampi settori lavorativi. Infine sul piano accademicol’istituzione di nuovi insegnamenti universitari della Medicina del Lavoro,con la formazione di giovani medici interessati alla prevenzione, alladiagnosi e alla cura delle malattie dipendenti, o correlate al lavoro. Ma aldi sopra di tutto ci preme sottolineare la proposta di alcuni nuovi modellidi approccio allo studio dei problemi del lavoro e dell’ambiente di lavoro,quali quello igienistico ed ergonomico, che oggi costituiscono il normalebagaglio operativo della prevenzione, ma che all’epoca furono elementidi stimolo alla crescita tecnica e metodologica della Disciplina.

Il Congresso di Torino fu ricco di relazioni, alcune sull’apparatorespiratorio e cardiovascolare espressioni del vecchio taglio dellaMedicina del Lavoro che affrontava lo studio degli organi ed apparati inrelazione all’insulto delle attività lavorativa, e altre che impostavano insenso più moderno le patologie derivanti da specifiche attività lavorative.

Di questa nuova tendenza sono testimoni numerosi interventi eletture congressuali tra le quali ci è caro citarne alcuni già nel XVCongresso tenutosi a Genova nel 1949. In questa occasione furonoaffrontati tre temi di attualità: il primo inerente il lavoro della donna (icui contenuti saranno poi analizzati in un paragrafo a parte), il secondosulla silicosi (che abbiamo già trattato) ed infine l’ultimo su “I lavoratorinei porti”. Quest’ultimo fu trattato da N. Castellino con una relazioneche costituisce il completamento di uno studio condotto anni prima erelativo alla valutazione dei fattori ambientali responsabili di danni allasalute dei lavoratori portuali.

L’oratore propose di invertire il metodo tradizionale deduttivo (dalmale risalire alla causa) per sostituirvi un procedimento che più

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rispondesse al carattere preventivo della Disciplina: e cioè dallavalutazione dei fattori ambientali, ipoteticamente ritenuti nocivi, giungeregradualmente fino alla dimostrazione del loro effetto, cioè la malattia.Oggi sul piano del metodo di studio sappiamo che solo dalla elencazionedelle noxae presenti negli ambienti di lavoro e dalla conoscenza delleinsidie legate alle tecnologie si può procedere ad ipotizzare eventualidanni sull’uomo. Il controllo epidemiologico, fatto in fase successiva,conferma la validità del “risk assessment”.

Nella stessa relazione fu esaminato il problema della tutela igienico-sanitaria dei lavoratori nei porti e fu sottolineato come occorrerebbeconsiderare “tutte le categorie come soggette alle stesse influenze aggressive emorbigene cui soggiace la categoria più esposta. La proposta ci è suggerita oltre chedall’esperienza, da constatazioni evidenti di dati di fatto: la comunanzadell’ambiente, l’azione indiscriminata degli agenti meteorici ed atmosferici, lacontiguità dei posti di lavoro; con la possibilità quindi che fenomeni morbosi propri dispecifiche lavorazioni insorgano in individui addetti a compiti differenti e ritenutiindenni”. Questa annotazione andava riferita in particolare a quelle noxaeche, come il rumore ed altri agenti fisici, come le polveri ed in particolarele fibre di asbesto non possono agevolmente essere “intrappolate” equindi risultano ad esse esposti tutti i lavoratori di quel reparto e di quelcantiere. Ricorda Castellino “abbiamo cominciato a rilevare casi di asbesto traoperai non coibentisti, quali falegnami, fabbri, etc.”. Oggi sul pianodell’identificazione dei rischi di esposizione a noxae, riteniamo evidentecome non sono più solo alcune categorie lavorative nel mirino delrischio, ma in un ambiente di lavoro ampio e differenziato tutti ilavoratori possono essere parimenti esposti alle medesime noxae. Ciòche molti anni dopo sarà stigmatizzato nel concetto di gruppoomogeneo, era stato già intuito in questi anni.

Questo terzo periodo della Medicina del Lavoro che abbraccia circamezzo secolo della nostra storia, ha visto svolgersi, con cadenza annuale,49 Congressi Nazionali (compresi i due già citati di Torino e Genova) insedi generalmente costituite da quelle città che organizzavano ilCongresso e che, al contempo, avevano nel proprio insegnamentouniversitario la Medicina del Lavoro, spesso con relativo Istituto Clinicocome Milano, Napoli, Palermo, Genova. Sin dall’inizio vi furono, però,alcune variazioni a questa che appariva una salda consuetudine, come

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quella di tenere il Congresso in “sedi anomale” quali Viareggio (nel ’51)St. Vincent (’52), Merano (’56) – presidente della società Vigliani – poiRimini (’59) Salice Terme (’66) etc. Dette varianti si fecero, via via,sempre più frequenti a causa delle inevitabili (e forse insormontabili)difficoltà organizzative (e logistiche) dipendenti dal numeroprogressivamente crescente di partecipanti che, dagli anni 70 in poi,tendeva a superare le 400 presenze.

In questi ultimi anni, sia per il grosso interesse verso la Medicina delLavoro, promosso dai D.Lgs. 277/91 e 626/94, sia per aver trovato unpiù giusto equilibrio tra costi di partecipazione e benefici offerti aipartecipanti, gli iscritti hanno superato il migliaio (Montecatini nel 1996,Chianciano nel 1998). Tutto ciò va registrato in questa nostra piccolastoria in quanto ci conferma “vincenti” nel senso che all’incremento delnumero degli iscritti alla Società (oggi circa 1400) corrisponde quello deipartecipanti ai Congressi per l’interesse vivo ai problemi ed ai dibattitiche avvengono nella Disciplina.

Di recente una certa preoccupazione è stata manifestata da alcunicolleghi, se fosse il caso di “fare di più per rilanciare” la nostraDisciplina. Il dibattito, ospitato dalla rivista La Medicina del Lavoro èancora aperto ed ancora numerosi saranno i colleghi che, in piena libertàdi opinioni potranno esprimersi a riguardo. Sarebbe forse necessario unsecondo “giro” di opinioni più sintetico e chiaro, forse addiritturamonosillabico. L’importante è che il fuoco intorno ai nostri probleminon si spenga mai, non importa se il o i problemi siano visti in mododifferente da alcuni per rapporto ad altri; siano vissuti con maggiore ominore incisività; siano privilegiati alcuni aspetti, trascurati altri;prospettate e sostenute alcune soluzioni, combattute da altri. Contapoco: il problema è che noi si possa consegnare ai nostri allievi unafiaccola ancora viva, che è l’amore per la nostra Medicina del Lavoro,esercitata con professionalità, etica e piena consapevolezza dei reali limitioperativi.

Una riflessione negativa a tanto ottimismo riguarda il costumeinvalso, già dalla fine degli anni 70, di stampare gli Atti Congressuali edistribuirli prima che i lavori del Congresso venissero aperti, e ciò al finedi rendere noti i contenuti delle relazioni a quanti volessero prepararsialla discussione. Valido il motivo, ma evidente il danno per la privazione

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di numerose notizie sul numero degli iscritti, sulle norme di iscrizione,sull’andamento del Congresso etc. nonché della lettura delle eventualidiscussioni che, per il passato, venivano riportate negli Atti e lirendevano eterni testimoni del dibattito scientifico e del clima storico.

A parte queste digressioni (specie l’ultima che dovrà certo trovare unasoluzione, peraltro, nemmeno tanto cervellotica purché trovi tutticoncordi!) i 49 Congressi hanno portato al dibattito numerosi argomentidi grande interesse. Nella Appendice li abbiamo elencati tutti – anche sesinteticamente – al fine di offrire un panorama vasto per una valutazionecompleta di quanto è stato fatto. Tra questi temi, ne abbiamo scelto soloalcuni (Lavoro femminile, Igiene Industriale, Medico di Fabbrica,Ossicarbonismo) in quanto ci è sembrato che fossero sufficientementeindicativi dell’evoluzione della Medicina del Lavoro nel corso degli anni.Ma prima di esporre le nostre recensioni riteniamo utile formulare unavalutazione sul clima, sui caratteri della Disciplina e sui numerosi fattoriche hanno agito in questo lungo periodo.

Innanzitutto l’interesse a definire quelle patologie strettamentedipendenti da specifici agenti di rischio, ovvero a definire i rapporti tratipologia del lavoro e patologie professionali. In effetti già prima deglianni 70 e sino a metà del decennio successivo i temi congressualiripeterono spesso il tracciato tecnologie-rischi-patologia-prevenzionenelle diverse attività lavorative industriali: siderurgia e fonderie,verniciatura, navalmeccanica, accumulatori, tessile, ceramica,petrolchimica, poligrafici etc.

Ovviamente non solo questi citati furono i temi trattati, ma questidiedero un’impronta ad un lungo periodo in cui si cercò: a) dievidenziare attraverso le tecnologie, i materiali, gli ambienti i conseguentirischi ai quali gli operai erano esposti; b) di studiare ed identificare glistrumenti di prevenzione.

Ci è sembrato però di notare – in questo periodo – un certoscollamento tra l’impegno accademico della Medicina del Lavoro(nell’ambito universitario e didattico) l’impegno pratico sul territorio (nelvalutare con accuratezza gli ambienti ove si realizza il danno ed ove ènecessario intervenire) e l’interesse (purtroppo ridotto) verso quantoveniva legiferato in merito al lavoro ed alla tutela del lavoratore.

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Appare strano infatti che in nessuno dei Congressi tenutosi in questoampio periodo si sia direttamente e specificamente analizzato e discussoil D.Lgs. 303/56 (al quale oggi riconosciamo il grande merito di avercodificato e resi cogenti alcuni comportamenti, strumenti lavorativi,scadenze etc. della prevenzione); è, ancora più grave, il non aver“aperto” un Congresso sullo Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300 del 20maggio 1970).

La Legge 20 maggio 1970 n. 300 (“Norme sulla tutela della libertà edignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale neiluoghi di lavori e norme sul collocamento”) definita “Statuto dei Dirittidei Lavoratori” rappresenta un punto di riferimento negli orientamentilegislativi legati alle profonde trasformazioni avvenute nel mondo dellavoro negli anni 60-70. La ratio di questa norma è riconducibile aiprincipi di tutela della libertà e della dignità del lavoratore e della suariservatezza. In particolare due articoli, l’art. 5 “Accertamenti sanitari” el’art. 9 “Tutela della salute e della integrità fisica” affrontano questetematiche complesse della medicina del lavoro.

L’art. 5 è costituito da tre principi fondamentali mediante i quali: a) sivieta l’effettuazione di accertamenti sanitari, da parte del datore dilavoro, sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio dellavoratore dipendente; b) si stabilisce che il controllo delle assenze perinfermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degliistituti previdenziali competenti; e infine c) si attribuisce al datore dilavoro la facoltà di far controllare l’idoneità fisica dei lavoratori da partedi enti pubblici e di istituti specializzati di diritto pubblico.

In vigenza del D.P.R. 303/56 il datore di lavoro, in base ai principigenerali concernenti il rapporto di lavoro subordinato ed in conseguenzadella necessità di assicurare il buon andamento dell’impresa, aveval’incondizionata facoltà di far controllare dai propri servizi medici (oveesistenti), o comunque da un proprio medico di fiducia, lo stato di salutedei lavoratori dipendenti non esposti a rischi specifici, sia in caso dipresumibile o dichiarata malattia, sia ad ogni altro effetto, compresoquello del licenziamento per sopravvenuta inidoneità generica ospecifica.

L’art. 5 dello Statuto vieta gli accertamenti discrezionalmente dispostidal datore di lavoro nell’esclusivo interesse dell’azienda, ma riconosce

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come giuste queste esigenze aziendali, laddove riafferma la facoltà didisporre di visite mediche subordinandole però alla condizione dimaggiore imparzialità nel momento in cui sono incaricati enti pubblici edistituti specializzati di diritto pubblico.

L’oggetto giuridico, ossia il bene tutelato dall’art. 33 del D.P.R.303/56, è l’integrità fisica del lavoratore mentre con l’art. 5 dello Statutodei lavoratori è la personalità morale del prestatore d’opera checostituisce l’oggetto di interesse. Pertanto i campi di applicazione delledue norme sono completamente diversi e vanno tenuti separati sia insede esegetica che applicativa.

L’art. 33 sancisce l’obbligo, per il datore di lavoro, di sottoporre ilavoratori addetti a lavorazioni nocive a visita medica preventiva eperiodica secondo indicazioni allegate al D.P.R. stesso. L’art. 5 delloStatuto dei lavoratori, pur non modificando la situazione a riguardo degliaccertamenti succitati, muta radicalmente la situazione riguardo agliaccertamenti discrezionalmente disposti dal datore di lavoro.L’operatività e il campo di applicazione dell’art. 5 resta invariato ancherispetto ai recenti decreti legislativi 277/91 e 626/94, in quanto anche inquesto caso l’oggetto giuridico è distinto e non vi è contrasto tra lenorme.

L’art. 9 dello Statuto afferma che “i lavoratori mediante loro rappresentanze,hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degliinfortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione el’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”.In tal modo viene offerto ai lavoratori non solo un ruolo attivo nelprocesso di tutela della salute, ma anche un ruolo propositivonell’applicazione di norme e misure pratiche di prevenzione.

Si realizza così con il contributo dei lavoratori quella importantecongiunzione tra teorizzazioni accademiche e verifiche dirette sui rischilavorativi, nella pratica applicazione della medicina del lavoro.

Riteniamo che il succitato “scollamento” abbia reso più difficile lacomprensione e l’applicazione del D.Lgs. 626/94 non fosse altro perchémolti “addetti ai lavori” non hanno voluto comprendere quanto negli art.5 e 9 del succitato Statuto fosse stato enunciato in difesa della dignità epersonalità del lavoratore. Certamente avremmo risparmiato inutilidiscussioni sulla liceità e trasparenza di alcune incompatibilità tra le

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funzioni che la 626/94 attribuisce al medico competente, definito taleall’art. 17 (comma 5) in qualità di:a) dipendente da una struttura esterna pubblica o privata convenzionata

con l’imprenditore per lo svolgimento dei compiti di cui al presentecapo;

b) libero professionista;c) dipendente dal datore di lavoro (!!!)

Non è il caso di insistere oltre su questi concetti, ma attendiamoquanto verrà indicato dal Testo Unico in via di elaborazione.

Infine dagli anni ’90 è invalsa la abitudine di impostare tutti i nostriCongressi su temi che contemplassero i due principi fondamentali:vigilanza e sorveglianza sul lavoro in osservanza dei D.Lgs. 277/91,626/94.

Già si iniziò con il Congresso di Fiuggi (1994) ma fu proprio inoccasione dell’Assemblea Generale in chiusura di quel Congresso cheall’unanimità venne votata questa decisione che, a tutt’oggi, tiene ilcampo come confermano i programmi dei Congressi successivi al ’94.

In riferimento a questo ampio periodo, esponiamo alcune recensionisui temi: l’interesse della Medicina del Lavoro sul lavoro femminile,l’igiene industriale, il servizio sanitario nei luoghi di lavoro el’ossicarbonismo professionale.

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IL LAVORO FEMMINILE

Difficile affrontare il tema della donna al lavoro senza correre ilrischio di dire concetti ormai ovvi e ripetitivi; ciò è legato all’importanzache il tema ha sempre avuto per gli aspetti umani, culturali, sociali,legislativi, economici, etc. Tali aspetti sono così strettamente intrecciatiche risulta impossibile effettuare la trattazione di uno solo di essi senzaaccennare o trovare dei rapporti causali con gli altri, pena laframmentarietà di ogni riflessione in merito. Nonostante non sia negliobbiettivi e nelle ambizioni di questo nostro saggio esporre unatrattazione sistematica del problema, bensì presentare, in modo semplice,la storia e le conquiste della donna lavoratrice, facciamo presente che talecompito risulta, comunque, complesso in quanto l’evoluzione delladonna e la sua indipendenza nel contesto lavorativo spesso hannoprogredito per balzi, con lunghe pause contrapposte a momenti di vivaattenzione scientifica e sociale.

Riteniamo utile, nel ripercorrere le tappe di questa evoluzioneattraverso la storia nei congressi, riportare in una nota l’excursus storicodelle leggi che hanno rappresentato la base giuridica della prevenzione odell’attenzione verso la donna al lavoro: oltre la legge del 1902 sullatutela delle donne e la legge del 1934 n. 653 che recava gli aggiornamentidella precedente legge, bisogna ricordare la legge n. 860 del 1950 chetrattava della tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri; la leggedel 1971 n. 1204 sulla tutela delle lavoratrici madri; quella del 1996 n. 645con i miglioramenti della sicurezza e della salute sul lavoro dellelavoratrici gestanti puerpere o in periodo di allattamento ed infine larecentissima legge n. 53 del marzo 2000 recante le disposizioni per ilsostegno della maternità e della paternità49.

Inoltre per ragioni di sintesi citeremo soltanto i Congressi di Firenzedel 1909, di Venezia del 1924, di Genova del 1949, di Fiuggi del 1976 edinfine l’ultimo del 1998 tenutosi a Chianciano Terme. Comunque apparequasi costante il riferimento a tale tema, anche se in forma di

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comunicazioni sporadiche, in quasi tutti i Congressi di Medicina delLavoro.

Un momento storico importante in cui si mette a fuoco il problemadel lavoro femminile, è rappresentato dalle convenzioni internazionalistipulate a Berna nel 1906 dove viene adottata all’unanimità il divieto dellavoro notturno per le donne, e sette Stati accettarono il divieto per i“lavoratori” di utilizzare il fosforo bianco nella fabbricazione deifiammiferi. Poiché in questo settore lavorativo la quasi totalità delpersonale era femminile, le legge era in effetti diretta a proteggere lelavoratrici.

Tre anni dopo, nel 1909, i Congressi di medicina del lavoro iniziaronoa parlare del lavoro femminile e nel II Congresso che si tenne a Firenze,vi fu la relazione del prof. Bossi sulla “Patologia dell’apparato genitalefemminile in rapporto al lavoro”. Dopo un breve cenno sulle malattieutero-ovariche, l’oratore ampliò il tema e fece emergere numerose altreproblematiche, quali l’insufficienza dei salari, le condizioni pocoigieniche dell’ambiente e la non adeguata nutrizione delle donne inrapporto al consumo energetico. Nella relazione si fa riferimento ad unimportante obiettivo che era stato proposto al Congresso iInternazionaledella patologia da lavoro tenutosi a Milano ove venne votato un ordinedel giorno con il quale i convenuti invitavano i governi a legiferare indifesa della madre lavoratrice con l’Istituzione di una Cassa di Maternità.Il prof. Bossi, e tutti i partecipanti alla discussione, denunciarono i limitidi un progetto di regolamento, uscito in quell’anno, che avrebbe dovutointegrare la succitata legge sull’istituzione della Cassa di Maternità e cheinvece non teneva conto: dell’ultimo mese di gravidanza; non distinguevail sussidio rilasciato dopo un parto o dopo un aborto (essendo la ripresadel post-partum e dell’allattamento ben più lunga); ma soprattutto era discarsissimo aiuto economico. “... una legge tanto e da tanto tempo strombazzatache si risolve in un sussidio totale alle operaie dopo il parto di 30 lire, che per metàsono costituite da ritenute fatte sui salari delle operaie stesse senza alcun sacrificio delloStato appare per sé così misero provvedimento a noi clinici che quotidianamenteconstatiamo a quali tristi condizioni e a quali impellenti necessità sono esposte il piùdelle volte le lavoratrici nell’ultimo mese della gestazione, nel parto e nel puerperio,soprattutto quando allattano, da farci arrossire di essere Italiani. ...Il richiamarel’attenzione del legislatore costituisce una delle più efficaci opere per la tutela fisica

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delle lavoratrici di tutte le classi, dalle maestre alle operaie, alle domestiche allecontadine...”.

La trattazione del tema succitato fu molto variegata, infatti nelladiscussione si proposero delle norme protettive e cautelative per ladonna in gravidanza, si sollecitò ad esempio la necessità di un interventoeconomico da parte dello Stato per far si che la tutela della maternità nondipendesse più dalla beneficenza del privato.

Sempre nello stesso congresso vi sono numerosi studi che riportiamoa titolo di curiosità: “Sul rischio professionale nella sifilide daallattamento mercenario” del prof. Barduzzi; “La mestruazione nellelavoratrici del tabacco” del dott. Peri (che non rileva modificazioni acarico del ciclo mestruale quanto disturbi nervosi e psichici); la “Dermiteprofessionali nelle sbucciatrici di mandorle nel settembre” del dott.Sberna, che, peraltro, sono spaccati di lavorazioni tipicamente femminilioggi non più in uso.

Il primo momento significativo del tema della donna a lavoro,nell’ambito dei Congressi di Medicina del Lavoro, lo si deve a Ferranniniche affrontò in modo organico “L’Assistenza prenatale nella gestanteoperaia sana e malata”, al VI Congresso tenutosi a Venezia nel 1924.

Il prof. Ferrannini sostiene infatti che “...la protezione della maternità, lapuericultura prenatale la quale si continua con la difesa e la protezione della primainfanzia, sono la migliore profilassi sociale fatta con il minimo sforzo”. La letturadegli atti di tale congresso ci ricorda come due momenti storiciimportanti condizionarono l’argomento in questione: rispettivamente, ilprimo dopoguerra e il successivo periodo fascista, durante i quali oltre alclima sociale generale si sentivano, prima, i tristi effetti di una disastrosaguerra e poi una esaltante retorica diretta alla famiglia in crescita, allegiovani leve, etc.

Inizialmente la donna è essenzialmente madre e Ferrannini dichiara:“debbono impegnare tutta la nostra attenzione, le gestanti che le leggi di Licurgoequiparavano ai soldati morti in guerra quando morivano in parto, perché sia le uniche gli altri avean dato la vita per la patria...”. Quindi madre come generatricedi prole “nessuna funzione sociale merita maggiore attenzione della riproduzionedella specie nella quale si compendi tutta la vita futura della società mentre si procuraai genitori la gioia di figli robusti e sani mediante la tutela assidua e sapiente dellefunzioni materne...”

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La cura della donna gestante è il punto di partenza per risolvere legrosse piaghe della mortalità infantile e post infantile. La protezione delladonna in quanto generatrice di prole significa non soltanto la tutela delladonna in sé ma anche del nascituro. Non dimentichiamo infatti qualipiaghe rappresentassero per l’Italia la mortalità infantile e post infantile aquei tempi.

“... lo spettro della morti-natalità della mostriparità e della morbiparità,dell’eredità morbosa ne spinge e ne sprona per una vasta opera di puericultura intra-uterina, che deve essere il punto di partenza per ogni attività di protezionedell’infanzia e di eugenia in cui a pieno si esplica lo scopo e la mira della medicina: laprevenzione anzitutto e in mancanza la cura o per lo meno il miglioramento”.

Da tutto ciò scaturisce la necessità di difendere la maternità el’infanzia istituendo forme di assistenza obbligatoria. Si parla didispensari già a partire dal 1879 e successivamente nascono per leoperaie le case di maternità. Non bisogna dimenticare che il pensiero èquello di assimilare lo stato di gestazione e parto allo stato di malattiacome avvenne con la legge del 1893, per stabilire a favore degli indigentiil diritto all’assistenza sanitaria gratuita.

“Dal punto di vista sociale ci sarebbe da augurarsi anzitutto che le donnepotessero fare a meno di andare all’officina e subordinatamente che almeno la donnagravida potesse essere esclusa dal lavoro...”.

“Le malefiche influenze del lavoro sulla donna operaia ...l’antagonismo fra lavoroindotto e faticoso, cui troppo spesso la donna è costretta e le funzioni della maternitàrisulta evidente. L’ideale sarebbe che la donna venisse restituita alla casa: mai nellequestioni sociali bisogna perdere di vista la famiglia” (Ferrannini).

Interessanti risultano essere le conclusioni di tale relazione:✓ Difendere la donna operaia e la donna in genere.✓ Lottare contro le insidie tese dal lavoro parallelamente ad altre dovute

alla tubercolosi, etc.✓ Istruire i pubblici amministratori sull’importanza della medicina

preventiva rilevando i danni derivanti da inconsulte economie✓ Coordinare e completare le istituzioni esistenti attorno a consultori-

dispensari, veri e propri perni vitali del funzionamento sanitario sulquale gravita tutto il sistema assicurativo

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Alcune di queste proposte verranno recepite dal legislatore a distanzadi circa cinquant’anni con le leggi 185/64; 1204/71; 1026/76 ed infine lalegge 645/96.

Durante la “rinascita” al XV Congresso tenutosi a Genova nel 1949, ilprof. Malcovati tratta il tema “Fisiopatologia sessuale e funzioni dimaternità in rapporto al lavoro della donna”. La relazione consta di seiparti e tenta di fornire una dettagliata e panoramica trattazione delproblema.

La prima parte inizia ad affrontare il problema del lavoro casalingo omeglio dell’attività domestica: si pone l’attenzione sullaplurimansionarietà della donna che lavora e che assomma così il lavorodomestico alle ore di un normale turno lavorativo all’interno di unafabbrica, o di una giornata di lavoro nei campi; si riportano i dati statisticiINAIL del censimento del 1936 sulla popolazione femminile lavoratricein Italia (17.553.821 donne “attive”); si espone il problema delle“assenze” lavorative come indice della morbilità delle lavoratrici, el’incidenza delle forme ostetrico ginecologiche sul detto indice; siindividua la necessità di un servizio ostetrico ginecologico nellaassistenza sanitaria delle lavoratrici.

La seconda parte tratta l’influenza delle funzioni sessuale e generativasul lavoro della donna, prendendo in esame gli ormoni sessuali e l’attivitàmuscolare, l’influenza del sesso sul lavoro muscolare e sul metabolismo,l’influenza del ciclo mestruale, della gravidanza, della pubertà e dellamenopausa sulla capacità lavorativa.

Nella terza parte si discutono il lavoro salariato e il lavoro casalingo“lavoro fuori casa: industriale, artigiano, d’ufficio, intellettuale, agricolo... e lavoro incasa: artigiano e casalingo...” vengono analizzati i fattori potenzialmentedannosi per la donna quali il clima, i cambiamenti di residenza,l’ambiente di lavoro, il lavoro eccessivo, il lavoro “inadatto” (che oggiindicheremmo con il termine di “posture incongrue”), i microtraumilavorativi, l’esposizione a tossici che vede la donna più “recettiva e sensibilealle intossicazioni professionali che l’uomo”.

Nella quarta parte vengono invece esaminate le influenze che il lavorocomporta sulla pubertà, sul ciclo mestruale e la circolazione pelvica, sullasessualità, sulla genesi dei prolassi uterini o comunque sulle altre malattiepelviche ed altre forme morbose.

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Nella quinta parte viene analizzata l’influenza del lavoro sulle funzionidi maternità quindi, problemi di sterilità, di aborti, di parti prematuri, edinfine gli effetti sul prodotto di concepimento.

La relazione termina affrontando il problema della tutela della donnalavoratrice ed in particolare della lavoratrice madre; a tale propositol’oratore presenta il quadro della normativa che regola l’assistenza socialein 15 paesi (Gran Bretagna, Australia, Belgio, Brasile, Egitto, Spagna,Messico, Venezuela, Jugoslavia, Svezia, Unione Sovietica, Unione SudAfricana, Francia, Olanda, Stai Uniti), e denuncia le carenze dellalegislazione italiana in vigore (Legge 23/3/34).

In realtà nel secondo dopoguerra riemerge la necessità di rivedere erinnovare la legislazione sociale a favore delle donne lavoratrici e deifanciulli; necessità che diede origine alle leggi 185/64 e 977/67.

A partire dagli anni Sessanta, e ancor più in quelli successivi, in tuttal’Europa si inizia a registrare un significativo incremento di donne nel“mercato del lavoro” e la rilevanza del lavoro femminile diviene unelemento caratterizzante di quella società, così che la donna tornaprepotentemente a far parlare di sé anche nei congressi di Medicina dellavoro. Infatti il XXXIX Congresso tenutosi a Fiuggi nel 1976 vieneaperto dal tema “Lavoro e funzione di maternità”, in cui numerosi autoriintervengono con ben otto relazioni per descrivere i danni che il lavoropuò provocare sull’andamento della gravidanza, sull’integrità della prole,ma in parte si cambiano le prospettive da cui vedere il problema. Infattinon si esaminano più tutte le noxae patogene nei vari momenti dellagravidanza e dell’allattamento (noxae fisiche, chimiche, fatica eccessiva,esposizione a tossici), bensì si tenta di individuare altri aspetti forse piùsociali come la qualificazione professionale della donna, il doppio lavoroin fabbrica e nella famiglia, la parità dei sessi fino al concetto diliberazione integrale della personalità femminile.

È da sottolineare l’interdisciplinarietà di tale congresso che vedeimpegnati oltre alle figure di medici del lavoro – con la relazione diGranati “Lavoro e funzioni di maternità” – ginecologi – con le relazioni“Evoluzione nel concetto delle interazioni tra riproduzione e lavoro” diCarenza, “Influenze ambientali sul prodotto del concepimento” diPescetto, “Influenza dello stato civile, della condizione professionale deiconiugi e del tipo di assistenza prenatale sull’esito della gravidanza” di

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Bottiglione, “Influenza del lavoro sulla maternità: analisi dei risultati diun’indagine promossa dalla Federazione CGIL-CISL-UIL” di Candiani –e medici dell’Istituto di Medicina Sociale – con le relazioni “L’assistenzasociale per i figli delle lavoratrici madri” di Antoniotti e “Considerazionisulla legislazione attuale per la maternità” di Berlinguer.

Nelle varie relazioni presentate, ed in particolare in quella di Granati,si nota che, pur concentrando l’attenzione sulla prevenzione neiconfronti della donna, si evita accuratamente di creare pretesti di“discriminazione” fondabili su presunte maggior suscettibilità di essa. Perdirla con Granati: “... scopo da raggiungere è la soppressione dei rischi professionaliper tutti, uomini e donne. ... non esiste alcuna differenza nei due sessi sulla definizionedelle concentrazioni massimali ammissibili in ambienti di lavoro”. E ancora: “... illavoro femminile venga valutato nei suoi aspetti preventivi ed in quelli sociali cheriguardano oltre che la gravidanza e l’allevamento del bambino, la qualificazioneprofessionale, il doppio lavoro in famiglia gli aspetti socio economici organizzativi dellavoro, il rendimento lavorativo, la parità di lavoro fra uomini e donne fino allaconcezione più alta di personalità femminile”. Un ulteriore aspetto che vienesottolineato è, quello relativo ai principi dell’ergonomia che si faràsempre più strada nella società moderna. Alla luce di ciò l’autore ricordal’importanza di una progettazione ergonomica e denuncia quellamentalità che porta ad un’unanime accettazione delle macchine ma cheesclude a priori la possibilità di modificarle a seconda delle specifichefunzioni. Resta chiaro però che i maggiori risultati in senso ergonomiconon si ottengono da modifiche successive bensì da una progettazione amonte che abbia come scopo: “... l’adattamento della macchina e del lavoroall’uomo”, inoltre per quanto attiene la donna in gravidanza vannomodificate le condizioni di lavoro creando situazioni che favoriscono losvolgimento fisiologico di una gravidanza, (la quale non viene più vistacome un evento simil patologico ma come evento fisiologico)“... attraverso schemi ergonomici in sede di progettazione ... si possono creare per ladonna in gravidanza condizioni tali da eliminare ogni fattore negativo”

Ultima e riassuntiva relazione a tale congresso è quella di Berlinguerche, esprimendo delle considerazioni sulla legislazione dell’epoca per lamaternità, ricorda la situazione storico legislativa del tempo ed espone le“distorsioni” createsi.

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“In questo decennio stiamo vivendo un periodo, ancora incompiuto, masicuramente avviato di profondo rivolgimento legislativo in ogni campo della vitafemminile e nel rapporto fra la donna e la società... Si colloca all’inizio di questoperiodo la legge 1204 del 1971...; ... Contemporaneamente, o successivamente altreleggi tendono trasformare: il lavoro femminile, come per esempio la legge sul lavoro adomicilio, che interessa essenzialmente le donne, forza lavorativa principale di questosettore atipico della produzione; la procreazione e la maternità, come per esempio lalegge sui consultori, la contrastata ma necessaria modifica delle leggi sull’aborto, leproposte sull’educazione sessuale nella scuola; la famiglia, che è stata modificata neisuoi rapporti giuridici ed economici dalla legge sul diritto di famiglia; i servizi socialiche sono stati potenzialmente sviluppati dalla legge sugli asili nido, e decentrati dallalegge che sopprime l’Opera nazionale della maternità e dell’infanzia; la tutela dellasalute, che sia per la madre che per l’infanzia è oggetto di espliciti programmipreventivi ed assistenziali nei progetti istitutivi del Servizio Sanitario Nazionale...”.

L’autore individua come “distorsioni” un conflitto tra un simileapparato giuridico istituzionale e la reale condizione, e che mentre siallarga la tutela giuridica della lavoratrice madre si va gradualmenterestringendo l’oggetto tutelato, per il calo registrabile dell’occupazionefemminile e della natalità; inoltre osserva uno squilibrio (legislativo) traprotezione della donna in quanto madre e protezione in quantolavoratrice, infatti le leggi privilegiano generalmente la prima funzionedanneggiando indirettamente la seconda togliendo competitività euguaglianza rispetto alla figura maschile “... la giurisprudenza accentua spesso,con la migliore intenzione di ovviare alle carenze assistenziali l’allontanamento delladonna dal lavoro produttivo”. Ultima distorsione sta nella scarsità edisfunzionalità delle misure preventive, dei servizi sanitari, dell’assistenzaeffettiva alla maternità e all’infanzia e nel tentativo di supplire a ciò sigrava economicamente, socialmente e psicologicamente, o sullalavoratrice, o sul datore di lavoro. Con tale congresso potremmoaffermare che si chiude una fase di lotta per l’affermazione della donnache aveva la sua tesi nella difesa della donna-madre, e che si apre ainostri giorni con la speranza di poter trovare un momento di sintesi omeglio di equilibrio tra questi due inscindibili ruoli di madre e dilavoratrice.

Al LXI Congresso di Chianciano Terme del 1998 il tema della donnaè stato affrontato da quattro relazioni rispettivamente: “Donna e lavoro

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aspetti medico sociali” di Germanò e coll.; “I tumori professionali delledonne” di Cocco, Zham e Blair; “Lavoro della donna e disturbi dellafunzione ovarica e mestruale e della fecondità” di Figà-Talamanca edinfine “La tutela della lavoratrice della sanità in gravidanza:considerazioni in merito all’idoneità lavorativa” di Villa e coll. La primarelazione dopo una panoramica sulla discriminazione sociale, checonseguiva alle impostazioni socio-culturali che si sono succedute apartire da Eva o dalla tradizione greca fino ai nostri giorni, arriva aparlare del progresso dell’emancipazione femminile e dell’evoluzionedelle tipologie di lavoro femminile fino ad oggi dove la donna è ormaipresente in quasi tutti i settori lavorativi. Alla luce di quest’ultimaconquista però, gli autori, nel tentativo di difesa delle peculiaritàfemminile e al fine di un ottimale impiego del personale femminiledescrivono le caratteristi positive della donna lavoratrice quali: 1.adattamento all’occupazione; 2. attaccamento all’occupazione; 3. precisionenell’esecuzione; 4. accuratezza nella produzione personalizzata; 5. facilitàd’iniziativa; 6. collaborazione attiva ai problemi lavorativi; 7. maggiore adattabilitàai lavori ripetitivi; 8. maggiore impegno alla conservazione dell’ordine e della salubritàdell’ambiente di lavoro; 9. maggiore senso di responsabilità e delle caratteristichenegative: 1. minore resistenza alla fatica fisica o mentale protratta; 2. frequentimodificazioni dell’umore; 3. facile distraibilità per cause familiari; 4. faciledistraibilità per cause ambientali; 5. facile distraibilità per cause sentimentali; 6.facilità d’irritazione per molestie sessuali; 7. maggiore possibilità di alterazionicaratterologiche e comportamentali in caso di “lavoro attitudinale”; 8. tendenza adinterpretare provocatoriamente una situazione di stress; 9. facile suscettibilità aigiudizi ed ai rimproveri; 10. maggiore conflittualità nell’ambiente di lavoro.

Il medico del lavoro dovrebbe tener conto di tali elementi ed inparticolare dovrebbe effettuare: “1. la valutazione delle caratteristiche di unaoccupazione e giudizio di idoneità; 2. il controllo delle condizioni igienichedell’ambiente di lavoro in rapporto alle esigenze del personale femminile; 3. lo studioergonomico delle lavorazioni con particolare riguardo alle condizioni di postura diatteggiamento e di spostamento delle lavoratrici; 4. il controllo delle qualitàattitudinali della lavoratrice; 5. il controllo periodico delle condizioni di salute dellalavoratrice; 6. il controllo periodico del ritmo lavorativo per rilevare eventualicondizioni di stress”. Molto sentita la conclusione alla panoramica evolutivadella donna “...resta fondamentale che non venga mai dimenticato l’umile ma

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enorme e fattivo contributo di fatiche lacrime e privazioni che nei secoli passati e,spesso, ancor oggi è stato l’immenso apporto di amore e di devozione all’umanità chela donna ha offerto con il sacrificio della sua libertà e della sua felicità sotto tutti i cielie a tutte le latitudini”.

La seconda relazione affronta il tema della cancerogenesioccupazionale al femminile, mostrando attraverso una serie di studicondotti sulle donne, come l’interesse degli epidemiologi stia iniziandoad osservare anche le donne pur restando ancora delle grandi differenzeche richiedono ancora molti sforzi per essere colmate, in particolare peradattare gli strumenti epidemiologici su una forza lavoro di cui vannomeglio valutate le reali condizioni espositive specie nel settore dei servizi(spesso si tratta di piccole imprese). La terza relazione di Figà-Talamancasottolinea come negli anni ’90 l’attenzione si sia focalizzata su unparticolare indicatore della salute riproduttiva: la fertilità. Lo studio dellafertilità si sta concentrando sui rischi lavorativi, precedentemente pocovalutati, quali lo stress psico-fisico che è presente anche in categorielavorative fino ad oggi poco osservate quali: donne manager, avvocati,libere professioniste in genere. La relazione conferma l’esistenza di unnesso causale tra esposizione occupazionale a vari agenti (ormoni,farmaci anti-neoplastici, solventi, metalli, pesticidi, agenti alchilanti,stress, lavoro notturno, lavoro a turni) e disturbi della funzione mestrualeed ovulatoria, individuando nel ritardo di concepimento un indicatoreprecoce di sofferenza riproduttiva sulla base del quale riesaminare gliattuali limiti espositivi.

Conclude la sessione la quarta relazione di Villa che offre un esamedelle principali leggi che hanno regolato il lavoro femminile, tra cui lalegge n. 645 concernente il miglioramento della sicurezza e della salutesul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo diallattamento50. Tale legge in realtà non prevede un intervento diretto eparticolare di tutela da parte del medico del lavoro, bensì da parte deldatore di lavoro e dell’Ispettorato del lavoro.

Villa espone la suscettibilità ai rischi professionali dell’organismomaterno in rapporto alle sue modificazioni in gravidanza, riportandoinoltre la classificazione operata della Commissione ConsultivaTossicologica Nazionale delle sostanze chimiche sulla base dell’evidenzadegli effetti tossici sulla riproduzione.

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L’autore riporta infine la valutazione dei rischi presenti in ambientisanitari a tutela della lavoratrice gravida.

Se confrontiamo gli impegni scientifici sul lavoro femminile citati sinora, con uno degli ultimi lavori effettuati, quale quello di Sottini e Fracchiesposto al Congresso Internazionale tenutosi a Norcia il 13-17 giugno2000 dal titolo: “La fabbrica al femminile: peculiarità e conseguenze inambito di prevenzione e riabilitazione”, notiamo la ripresa di temi giàaffrontati ma – in quanto non risolti – riaffrontabili per la carenza disoluzioni.

La relazione succitata evidenzia come ci sia stata una notevole crescitadella popolazione lavorativa femminile europea: si è infatti passati da46.000.000. a 62.000.000 di donne al lavoro dal 1975 al 1996, unaumento in assoluto maggiore rispetto alla classe lavorativa maschile. Siprevede che tale dato sia in costante crescita tanto che in alcuni Paesi, siipotizza nel prossimo futuro un sorpasso da parte della popolazionelavorativa femminile su quella maschile. Si sottolinea come la fascia di etàdi questa massa lavorativa sia compresa tra i 25 e 49 anni, cioè gli annidella vita riproduttiva e della cura dei figli, per il passato principali fattoridi esclusione dall’accesso al lavoro. Dall’analisi di diversi Paesi si vedecome l’occupazione femminile sia negativamente influenzata daimpossibilità del part-time, da un basso livello di servizi pubblici e da unregime fiscale neutro o disincentivante, “... ne deriva che la partecipazionedelle donne al mercato del lavoro richiede dimensioni nuove delle configurazionieconomiche e sociali derivanti dall’aggiunta della famiglia alla configurazione delmercato/stato. Per le donne la modernizzazione comporta un adattamento piuttostoche un cambiamento e la loro partecipazione occupazionale risulta ovunquedirettamente proporzionale al tipo di offerta e di sostegno sociale”.

Altro problema affrontato è quello dell’ineguaglianza nellaretribuzione tra uomini e donne, guadagnando le donne dal 30 al 40% inmeno rispetto agli uomini per lavori di valore comparabile. A ciò si deveaggiungere che le ore complessive di lavoro femminile, cioè quelle dellavoro retribuito sommate alle ore spese per le attività domestiche nonsalariate, sono maggiori se comparate a quelle degli uomini.

Interessante il commento dell’economista Beker (citato da Sottini eFracchi): “... I salari femminili sono dunque negativamente condizionati dalleresponsabilità domestiche anche quando le donne partecipano alla forza lavoro per lo

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stesso numero di ore degli uomini perché diventano stanche... l’ironia sta nel fatto chele donne che si assume siano altrettanto abili degli uomini nei lavori di mercato (anchese una donna deve avere una abilità maggiore per ricoprire il medesimo incarico di unuomo) e migliori dell’uomo nel lavoro domestico e di cura, finiscono per guadagnaremeno degli uomini se consideriamo che la loro utilità è maggiore. L’importo deiguadagni attesi condizionati al lavoro, più quello dell’uso alternativo del tempo nondedicato al lavoro, è indubbiamente maggiore per le donne; ciò discende in modobanale dall’ipotesi che le donne abbiano un’abilità superiore a quella degli uomini”.

Altro aspetto affrontato è quello del rischio lavorativo inteso comeinfortunio dal momento che le donne sono meno vittime di incidenti sullavoro, (forse perché svolgono lavori meno pericolosi, o forse perché piùattente), mentre sono più facilmente vittime di patologie acute e/ocroniche occupazionali, in particolare di patologie a carico dell’apparatomuscolo scheletrico. Ciò sarebbe spiegato (paradossalmente) perl’assegnazione di lavori energeticamente leggeri (addette al montaggio,assemblaggio industrie manifatturiere...) che sono però usuranti per ilsistema osteoarticolare dato l’alto ripetersi dei movimenti, e la scarsaopera preventiva a tale riguardo.

Prima di concludere vorremmo dare qualche cenno sulla recente leggen. 53 del 2000 recante le “Disposizioni per il sostegno della maternità edella paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per ilcoordinamento dei tempi delle città” la quale legge non ha ancora avutomodo, per questioni di ordine temporale, di essere oggetto di riflessionenell’ambito dei congressi di medicina del lavoro. Essa ha nelle sue finalitàla promozione di un equilibrio tra tempi di lavoro, cura, formazione erelazione mediante:

“... a) Istituzione dei congedi dei genitori e l’estensione del sostegno aigenitori di soggetto portatori di handicap

b) l’istituzione del congedo per la formazione continua e l’estensionedei congedi per la formazione

c) il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e lapromozione dell’uso del tempo per fini di solidarietà sociale” (art. 1)”.

In realtà rappresenta a nostro giudizio un’importante conquista, oltreche per le donne, anche per il medici del lavoro il cui ruolo è divenuto, inquesti ultimi anni sempre più incisivo e a cui è stato riconosciuto unruolo decisionale, dopo decenni in cui è stato un osservatore (anche se

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critico). Infatti l’articolo 12 (“Flessibilità dell’astensione obbligatoria”)prevede che esprima un parere, sentito anche lo specialista ginecologo,sull’opportunità che la donna in gravidanza possa continuare la suaattività lavorativa fino al mese precedente la data presunta del parto,creando così un importante momento di incontro e di colloquio con essache diviene consapevole di una figura di riferimento medico anche sulluogo di lavoro. Ciò rappresenta una conquista anche rispetto alla legge645 del 96 che inseriva la donna in gravidanza in un sistema disorveglianza sanitaria con una valutazione del rischio mirata, ma nondava al medico del lavoro se non nell’ambito delle visite periodichepossibilità di contatto o di giudizio.

Concludendo si può affermare che gran parte delle problematiche dellavoro femminile nonostante siano state subito individuate e quindi dacirca un secolo studiate, non si è giunti, ancor oggi, alla loro totalerisoluzione. La costante attenzione ad esse rivolta, ha però favoritol’emanazione di leggi che hanno consolidato e reso esecutive molte delletutele sociali e sanitarie auspicate; e queste inevitabilmente hannocomportato importanti ricadute sulla sicurezza e sulla salute dellelavoratrici. Si può cosi giustificare e al tempo stesso lodare la “costanzadella ragione” che grazie ai media, ai Congressi della Medicina delLavoro, agli interventi delle forze sociali e politiche, nonché delle diretteinteressate ha razionalizzato al massimo il problema e tenuto vivol’interesse sull’argomento facendo leva su tutti i parametri e non solo suquelli emotivi e retorici.

Problematiche storiche quali: le incombenze familiari, il lavororetribuito e non, il doppio lavoro o surmenage al quale sono sottoposte,assenteismo femminile, unito a problematiche più strettamente connessealla fisiologia dell’apparato femminile quali i rischi riguardanti il sistemamuscolo-scheletrico, i rischi di alterazioni della sfera riproduttiva, i rischiper il prodotto del concepimento sono oggi sentiti da tutti, maconsiderati argomenti del tutto o in parte noti. Come spesso accade perargomenti di vivo interesse sociale caratterizzati da un intensodinamismo, si è notato uno sfalsamento tra il momento in cui le esigenzesi palesano ed il momento in cui esse vengono risolte, per l’intervento dileggi che ne sanciscono i diritti. Nel caso in questione questo cammino asbalzi ci è sembrato molto evidente e quindi noi medici del lavoro

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continueremo a sostenere ogni giustificato atteggiamento preventivo perfavorire l’opera di armonizzazione tra la nascita di un problema e la suasoluzione.

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L’IGIENE INDUSTRIALE ED I LIMITI DI ESPOSIZIONE

Nel 1969 si tenne a Montecatini Terme il XXXII CongressoNazionale di Medicina del Lavoro e venne trattato l’argomento, ampio ecomplesso, della definizione dei valori limite di esposizione a sostanzenocive negli ambienti di lavoro che costituiscono i più validi riferimentidella moderna Igiene Industriale.

Le relazioni scientifiche furono tre: “Limiti massimi tollerabili dellesostanze nocive nelle industrie” svolta da Vigliani; “Massimeconcentrazioni biologiche tollerabili” svolta da Crepet e “MAC dellaboratorio di igiene industriale della Clinica del Lavoro di Milano” svoltada Zurlo.

Questo importante tema Congressuale venne da noi già recensito inuna precedente occasione (I primi 50 Congressi della Medicina delLavoro Italiana) e da quel testo riprendiamo il seguente brano:

“Il 32° Congresso Nazionale di Medicina del Lavoro, tenutosi a MontecatiniTerme nel 1969, sancisce la definitiva acquisizione di un modello interdisciplinare diintervento preventivo, scaturito da una visione integrata della nocività nei luoghi dilavoro, all’interno del quale sono riconoscibili i ruoli svolti non più solo dal medico,ma da varie altre figure professionali, nell’elaborazione e nella utilizzazione delmodello stesso. Il carattere interdisciplinare della Medicina del Lavoro nonrappresentava, comunque, un’acquisizione di quegli anni. L’esigenza di unamolteplicità di contributi professionali per lo studio delle condizioni di lavoro e dellecause di danno alla salute ai fini della prevenzione, venne (anche se in tono minore)riconosciuta e codificata già nel corso dei primi congressi nazionali allorché si fecero iprimi tentativi di delineare gli ambiti operativi della Medicina del Lavoro e dielaborare progetti strategici di intervento consentendo di prendere parte ai lavoricongressuali a medici, ingegneri, chimici, industriali e a tutti coloro che si sianooccupati delle questioni in ordine al lavoro (art. 3 del Regolamento del 3° CongressoNazionale di Medicina del Lavoro del 1911). Negli anni immediatamente successivisarà prevista anche l’ammissione dei sociologi e degli operai.

Il nucleo di aggregazione disciplinare che ha sortito, forse, i più rilevanti successi intermini di prevenzione è quello che si è creato tra medici del lavoro, da un lato e

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chimici ed ingegneri dall’altro, sul terreno dell’Igiene Industriale cioè dellaindividuazione, valutazione e controllo dei fattori di rischio di natura chimica e fisicaderivanti dall’attività lavorativa e dell’intervento finalizzato alla loro eliminazione oal loro contenimento entro limiti accettabili. Le esperienze della medicina del lavoro inquest’ambito hanno fortemente risentito di tutte le circostanze scientifiche, tecniche,sociali, economiche che avevano il potere di incidere sul mondo del lavoro e quindi sullatutela della salute dei lavoratori.

Come già riferito, scarsi ed occasionali furono gli interventi riguardanti l’igiene finoai primi anni successivi alla II guerra mondiale; ma, progressivamente, più frequenti esistematici divennero nel periodo della ricostruzione e negli anni successivi inconcomitanza con la necessità da parte degli imprenditori di riorganizzare laproduzione per rispondere alla crescente domanda interna di beni e competere suimercati internazionali; con l’acquisizione progressiva di una sempre più solidacoscienza di classe dei lavoratori, di un loro aumentato potere contrattuale e di unadiffusa e forte organizzazione sindacale”.

Come accennato, ancor prima del succitato Congresso Nazionale diMontecatini, alcuni riferimenti all’Igiene Industriale erano, comunque,già emersi attraverso affermazioni, proposte o comunicazioni, quali:l’istituzione di un “ispettorato d’igiene nei locali del lavoro e nelleabitazioni operaie” (I Congresso: Palermo, 1907); “l’insegnamentodell’Igiene Industriale nell’Istituto Superiore di Studi Commerciali edattitudinali a Roma” (II Congresso: Firenze, 1909); “la mostrapermanente di Igiene Industriale in Torino (III Congresso: Torino,1911); “l’eliminazione delle polveri nocive negli stabilimenti industriali”(IV Congresso: Roma, 1913).

Quindi, relazioni con più ampi riferimenti all’igiene industrialevennero discusse: al X Congresso (Milano, 1932) nel corso della terzagiornata dei lavori dedicata alla patologia da solventi: “Chimica, patologiaed igiene dei solventi delle vernici cellulosiche” e al XII Congresso(Napoli, 1936) con la relazione di N. Castellino su “Patologia dellachimica industriale moderna” in cui venivano anche segnalate specifiche“provvidenze igieniche” di carattere tecnico in rapporto alle sostanzechimiche prese in esame.

Successivamente i contributi si fecero più numerosi e più diretti aspecifici settori. Citiamo il XV ed il XVI Congresso Nazionale (tenutisirispettivamente a Genova nel 1949 ed a Napoli nel 1950) dove, per il

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settore lavorativo con rischio di inalazione di polveri, vennero esposticomplessi programmi e vennero avanzate proposte mirantiall’abbattimento della polverosità mediante tecniche di perforazione dellerocce con inumidamento del materiale e/o mediante captazione(mediante aspirazione) delle particelle. In entrambe le occasioni venivasottolineata l’utilità dei controlli sistemici delle concentrazioni dellepolveri negli aerosol e dei materiali di prelievo e campionamento. Siaffermò e dimostrò come “i risultati avessero un interesse pratico per laprevenzione. Infatti essi hanno permesso di identificare i repartimaggiormente pericolosi, di riconoscere l’utilità dei mezzi adottati e/o disuggerirne altri”.

Per comprendere a fondo quanto veniva dibattuto nei nostriCongressi a proposito dell’igiene industriale, è utile fare un passo indietroe ricordare come e perché era sorto e si era sviluppato questo settore distudi che è diventato rapidamente così importante da costituire la basedella moderna prevenzione tecnica.

Nella seconda metà degli anni ’30 in tre Paesi fortementeindustrializzati, quali l’USA, l’URSS e la Germania, venne sentita lanecessità di definire i livelli delle concentrazioni nell’aria degli ambienti dilavoro degli inquinanti industriali che (a quelle concentrazioni) avrebberopotuto essere considerati non nocivi. In altri termini venne proposto dipreparare elenchi di “valori limite” di concentrazione nell’aria respirata disostanze che, in concentrazioni pari o inferiori ai “valori limite”, avesserouna significativa probabilità di non intaccare l’integrità psico-fisica dellavoratore ad essi esposto.

Questo movimento di pensiero era animato dalla logica di fornireindicazioni igienistiche che costituissero la base per operazioni di ordinepreventivo e quindi facevano leva sull’assunto che, per determinati tempidi esposizione quali quelli del lavoro industriale (corrispondenti a 8ore/giorno, 5 giorni/settimana etc.) è possibile stabilire livelli diconcentrazioni di noxae (agenti chimici, polveri, energie fisiche etc.) al disotto dei quali è presumibile ritenere che non compaiono effetti dannosinei soggetti esposti.

Veniva di fatto riconosciuto che nell’industria è spesso impossibileeliminare la produzione, l’uso o la semplice presenza di sostanze dotatedi tossicità e che se anche un rigoroso controllo delle fonti di

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inquinamento (mediante l’impiego di tecnologie a ciclo chiuso, lasostituzione di sostanze sicuramente nocive con altre ritenute menodannose, etc.) può consentire una maggiore sicurezza ai lavoratori, inpratica, purtroppo, tutte le misure adottate non possono assicurare lacompleta rimozione del rischio specifico (azzeramento del rischio). Ilrischio viene inteso come probabilità di riportare un danno alla salute percause strettamente connesse e dipendenti dal lavoro svolto; cioè come unevento che ha una determinata probabilità matematica di verificarsi per ilconcorso di numerose cause, in genere note, ma a volte imponderabili,che agiscono con varia intensità ed in vario senso. Detta probabilità èsuscettibile di essere modificata se si controllano le cause che sonocondizioni di essere dell’effetto in esame; quindi, nel caso specifico, se siapplicano sull’ambiente misure di protezione per l’uomo, se simodificano le tecnologie e se si interviene sui ritmi e turni lavorativi.

Poiché un ambiente sano non significa necessariamente noninquinato, e poiché è stata dimostrata una certa dipendenza del tipo edentità degli effetti morbosi dalla concentrazione delle noxae – cioèdall’entità dell’esposizione – il rispetto di valori limite d’esposizione(entro i quali il suddetto rischio si presume possa essere controllato)costituisce il primo valido momento preventivo.

Fu sotto questa spinta che in USA, URSS, Germania, negli anni ’30,vennero formulate proposte di valori accettabili per un certo numero disostanze chimiche e, come già riferito, esse sorsero con l’intento dipromuovere ogni forma di studio diretto a migliorare le condizioniigienico-sanitarie del lavoro industriale, di sviluppare gli aspetti tecnicidella prevenzione e di stabilire alcune norme di sicurezza in fabbrica.

In USA era sorta l’American Conference of Governmental IndustrialHygienistis (ACGIH) che, già prima del 1940, aveva elaborato un gruppodi dati relativi a solventi industriali; mentre in URSS il compito era statoaffidato all’Accademia Russa per le Scienze mediche ed agli Istituti diMedicina del Lavoro e di Igiene di Mosca sotto l’egida del Ministerodella Sanità.

A causa del triste evento bellico che in quegli anni sconvolse ilmondo, le commissioni di studio dei Paesi succitati, furono costrette asospendere ogni attività scientifica e, solo nel dopoguerra, le attivitàripresero con rinato vigore ed il lavoro svolto sfociò in due meetings

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internazionali. Il primo si svolse a Praga, nel ’59, ed il secondo a Parigi,nel ’63, con lo scopo di esaminare e confrontare i valori proposti delledifferenti Commissioni. Gli incontri succitati avevano come obiettivouna ovvia discussione sui valori proposti, sui criteri e sui metodi seguitiper la loro elaborazione; sulle filosofie che avevano animato i diversigruppi di lavoro; e, ovviamente, sulla validità ed applicabilità dei risultatinella pratica quotidiana.

Purtroppo sia il primo che il secondo meeting videro dueschieramenti (quello occidentale e quello orientale) fortementecontrapposti ed in pratica apparve chiaro che nessuna possibilità di intesao compromesso si sarebbe potuto raggiungere:– le proposte sovietiche (presentate dal Ministero della Sanità) si

basavano sul concetto di definire “concentrazioni massimeammissibili” (Maximum Allowable Concentration: MAC) che nondovevano essere mai superate in alcun momento di un turno dilavoro. In altri termini valori limite (nel senso assoluto del termine)indipendentemente dalla durata dell’esposizione

– le proposte statunitensi (presentate dall’ACGIH e sulle quali siallineavano tutti i Paesi europei) esaltavano il concetto della notevolevariabilità dei livelli di inquinamento degli ambienti di lavoro,dipendente dalle differenti tecnologie impiegate, dalle differenti fasilavorative, dalle tipologie dei luoghi di lavoro, dai parametri delmicroclima (ventilazione, temperatura, etc.) e quindi basavano leproprie indicazioni sul concetto di definire concentrazioni ambientaliche rappresentassero il valore medio ponderato nel tempo del totaleturno di lavoro (Treshold Limit Value: TLV; Time Weight Average:TWA). Le inevitabili fluttuazioni dei valori di concentrazione al disopra della media (compensate da fluttuazioni di pari entità ma disegno opposto) venivano tollerate se di durata ed entità ben definite,comunque molto breve (15 min): Short Time Exposure Level: STEL.I risultati, già in base a queste premesse terminologiche e

metodologiche, non potevano non differire tra di loro in manierasignificativa. Ma non erano solo queste le ragioni del grosso divario; adesse si aggiungevano i criteri che erano stati utilizzati per la valutazionedegli effetti “avversi”:

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a) la sperimentazione sugli animali da laboratorio, l’osservazionesull’uomo, le valutazioni epidemiologiche sui luoghi di lavoro, lecondizioni di analogia erano i criteri adottati dall’ACGIH (anche secon “peso” differente) mentre solo il primo (quello sperimentale) eratenuto in conto nella valutazione dei limiti proposti dall’URSS;

b) il tempo di comparsa degli effetti avversi: immediati e/o tardivi peresposizioni massive o ripetute;

c) l’entità, la reversibilità, l’emendabilità, la durata degli stessi effetti.La logica statunitense della valutazione del rischio mediante

definizione di valori limite (standard igienistici), secondo i criteri succitativenne sempre più diffondendosi nel mondo e quindi, sin dalla secondametà del XX secolo, vennero preparate liste simili in quasi tutti i Paesi:Finlandia, Cecoslovacchia, Giappone, Argentina, Egitto, Sud Africa,Zambia. Le liste in alcuni Paesi ebbero valore legale, anche se fossemolto sentita e chiaramente espressa la riserva relativa a questa posizionedi vincolo giuridico ritenuta fortemente limitativa di quelle caratteristichedi flessibilità e di continua verifica che costituivano la premessa ed ipresupposti basilari sottolineati dalle Commissioni proponenti. È noto,infatti, che con periodicità le liste vengono revisionate, ampliate eripubblicate quando nuove conoscenze ne indicano l’opportunità.

Nel Congresso del 1969 tenutosi a Montecatini Terme, Vigliani posein evidenza come la base della moderna igiene industriale siastrettamente connessa con il concetto di massima concentrazioneaccettabile (MAC) degli inquinanti negli ambienti di lavoro e che l’elencodei MAC presentato nel 1969 dall’ACGIH conteneva, già, più di 400voci. Inoltre affermò “in Italia esistono sul momento due soli riferimenti di MACambientali: uno, che ha valore legale, limitato all’inquinamento di cave e miniere daanidride carbonica, ossido di carbonio, idrogeno solforato, gas nitrosi, anidridesolforosa e polveri (art. 411 e 636 del DPR 128/9.IV, 1959) ed uno non ancoraufficialmente riconosciuto che è costituito dalla tabella dei valori limite stilata dallasezione di igiene industriale della Clinica del Lavoro di Milano. Questa è statamodulata sui valori americani (ACGIH) ma contiene alcune differenze riguardo adun certo numero di inquinanti”.

Vigliani rifece brevemente la storia dei MAC e sottolineò una“precisazione di terminologia: da molti vengono usate indifferentemente le espressioni:MAC (Maximum Allowable Concentration) e TLV (Treshold Limit Value):

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tuttavia esse non significano la stessa cosa: massime accettabile concentrazione (oMAC) significa quella concentrazione che non può essere oltrepassata neanche per unbreve periodo di tempo: in altre parole, per essere nella zona di sicurezza, tutti i valorimisurati debbono risultare al di sotto del MAC: si tratta quindi di unaconcentrazione limite, indipendente dal tempo di esposizione.

Concentrazione ponderata di sicurezza (TLV), o concentrazione di sicurezzaintegrata nel tempo, è la concentrazione media dell’intero turno di lavoro, che si ricavamoltiplicando le varie concentrazioni per i relativi tempi di esposizione e dividendo ilprodotto per il tempo totale del turno di lavoro. Essa perciò non esclude punte piùelevate, a patto che vi siano altrettante punte più basse per compensarle”.

In entrambi i casi, Vigliani, ricorda che con le sigle riferite si intende“quella concentrazione media nell’aria che non provoca, salvo casi di ipersensibilità, innessuno dei soggetti esposti in modo continuativo (8 ore al giorno per 5 giorni allasettimana per tutta la durata della vita lavorativa) alcun segno o sintomo di malattiao di cattiva condizione di salute che possa essere messo in evidenza con i tests piùsensibili accettati internazionalmente”.

Prima di passare la parola agli altri Oratori, Vigliani fa riferimento aipiù recenti sviluppi del concetto di Massime Accettabili Concen-trazioni51.

La seconda relazione esposta da M. Crepet trattò delle MassimeConcentrazioni Biologiche Tollerabili (o limiti biologici che l’oratoreanagramma in TBL), cioè dell’entità dell’esposizione professionale, chedeve tener conto anche della quota di tossico assorbita per altra via. Ilrischio relativo ai TBL si basa innanzitutto sulla cinetica dei tossici (conlento e/o rapido assorbimento ed eliminazione), sulla loro capacità diaccumularsi nell’organismo e sulle modalità di trasformazionemetaboliche.

L’Oratore riferisce una serie di esemplificazioni delle diverse modalitàe possibilità di azione dei tossici, prese dalla letteratura, e fornisce unadocumentazione grafica dei modelli matematici sottolineando i rapportitra sostanze con differenti emiperiodi. È noto che da queste nozioni èpossibile stabilire le modalità di interventi diagnostici (prelievo di sangue,urina etc.) e terapeutici.

I concetti formulati in questa relazione esprimono fedelmente imodelli matematici di cinetica che sono alla base di tutte le nozionirelative alla distribuzione dei tossici nell’organismo, al body burden, alle

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interazioni biologiche, alle trasformazioni metaboliche, alle vie ed aitempi di eliminazione.

Si nota la mano di Gobbato che ha sempre prediletto la logicamatematica di modelli mono e pluri compartimentali nello studio dellatossicologia ed appare chiaro come i contributi della scuola di Padovaanche in questo settore della nostra Disciplina siano stati determinantiper il suo progresso.

Nel testo sono inoltre riportati i Valori Limite Biologici all’epocaproposti dall’ACGIH ed adottati in USA ed in vari paesi europei. Èovvio che detti valori limite non sono oggi più accettabili ma ci sembralecito affermare che (ad una più approfondita analisi) non lo fosseronemmeno negli anni ’60 e ’70. Ad esempio ritenere accettabile un livellodi Pb nel sangue compreso tra 40 e 80 microgrammi/dl (al qualecorrisponde un TLV ambientale compreso tra 50 e 150 microgrammi dipiombo/m3), è da definire “delittuoso” e di questa piccola leggerezza furesponsabile il nutrito gruppo di esperti di una apposita commissioneinternazionale che elaborò lo “Statement” pubblicato sul Br. Med. J., nel1966.

Non è possibile infatti ipotizzare che nessuno dei succitati espertiabbia mai rilevato un qualche sintomo soggettivo o effetto critico insoggetti con 60-80 microgrammi di piombo nel sangue. Lo spirito dellaCommissione non sembra preoccupato della sicurezza e tutela deilavoratori quanto della tutela del costo del lavoro. A conferma, a distanzadi pochi anni, un fiorire di indagini epidemiologiche abbassòdrasticamente i succitati standars ed indicò come accettabili livellicompresi tra 40 e 50 microgrammi di Pb/100 ml di sangue. Oggi sidiscute sull’opportunità di ridurre ancora detti limiti.

La terza relazione presentata da Zurlo è ricca di considerazionitecniche, scientifiche e pratiche che confermano la grande esperienzadell’Oratore nel settore della Chimica e dell’Igiene Industriale maturatapresso la Clinica del Lavoro di Milano. Potremmo chiudere la recensionedi questo importante Convegno citando lo stesso Zurlo.

“Come messo in evidenza i MAC ACGIH non possono venire adottati taliquali per il nostro paese, ma devono essere modificati, almeno in parte, per adattarlialla nostra situazione locale, procedimento eseguito in tutti i paesi che prendono comebase per i propri MAC i limiti ACGIH.

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La mancanza di una tabella dei MAC per l’Italia, settima potenza industrialedel mondo, non è assolutamente giustificabile. Questa lacuna deve venire eliminata alpiù presto possibile senza dimenticare però la complessità dell’argomento.

Le difficoltà cominciano quando si deve stabilire il significato esatto ed il criterio diinterpretazione, subordinati fra l’altro, anche alle caratteristiche delle singole sostanzeed al grado di purezza col quale il composto viene usato industrialmente. Lasituazione si complica ulteriormente quando sono contemporaneamente presentinell’aria più sostanze o con situazioni locali particolari.

La complessità dell’argomento impone che lo si affronti con l’approfondimentonecessario, più che giustificato dalla importanza dei MAC che interessano buonaparte delle forze del lavoro. Occorrono commissioni qualificate dove siano rappresentatetutte le attività interessate e necessarie. Solo così si potrà arrivare ad una tabellaMAC esauriente e valida per il nostro paese che possa essere accettata da tutti edeventualmente acquistare valore legale”.

Infine nel marzo del 1973, per iniziativa del Consiglio Direttivodell’Associazione Lombarda di Medicina del Lavoro e dell’AssociazioneItaliana degli Igienisti Industriali, si svolse a Milano un ConvegnoNazionale “Sui limiti massimi ammissibili degli agenti nocividell’industria (MAC)” che rappresentò anche l’ultimo grosso incontroscientifico dedicato, in Italia, all’importante argomento del controlloigienistico e della tutela degli ambienti di lavoro.

Recensire dettagliatamente gli Atti di questo Convegno (che sono statipubblicati su La Medicina del Lavoro, Vol. 64, n. 5-6, anno 1973)sarebbe impossibile in questa sede, ma cercheremo, comunque, di dareuna indicazione dei temi trattati e delle considerazioni finali.

Preceduto da una introduzione del prof. Maugeri e seguito da uncommento dei proff. Foà e Tomasini, il tema si articolò in 9 relazioni:“Recenti sviluppi dei limiti massimi ammissibili dal punto di vistainternazionale” (Parmeggiani); “Problemi tecnici del controllo dei MACper le sostanze chimiche negli ambienti di lavoro” (Esposito); “I MACper le polveri” (Zurlo e coll.); “I MAC dei solventi nell’industria”(Iannaccone e coll.); “I MAC nel lavoro ad alte temperature”(Capodaglio e coll.); “MAC biologici” (Crepet); “Importanza dei MACnella medicina preventiva dei lavoratori” (Capellini); “Significato e valoredei MAC nella contrattazione collettiva nazionale ed aziendale”(Pallotta); “I MAC e la legislazione prevenzionale” (Maggio).

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Alla discussione generale, ampia ed articolata, parteciparonoesponenti del mondo universitario (Istituti Universitari di Medicina delLavoro, di Igiene, di Fisiologia), esponenti dell’ENPI, dell’IspettoratoMedico del Lavoro, di grosse industrie etc. Molte posizioni furonodiscusse sul piano tecnico e sull’eccessivo utilizzo di parametri fisici, diindici, di monogrammi etc. che rischiavano di fornire informazioni, seanche estremamente importanti sull’ambiente, purtroppo poco gestibilisul piano pratico della protezione dell’uomo che lavora, di cui in effetti sideve tenere un conto primario.

Come venne sottolineato nel commento in margine da parte di Foà eTomasini, se risulta ovvio che il compito fondamentale della MedicinaPreventiva consiste nel controllo degli inquinanti ambientali, risultaparimenti necessario sottolineare come la definizione dei MAC siaancora lontana dall’aver trovato una validità ed una accettabilità generalee come ci fosse ancora un certo disaccordo sul piano dottrinario e delletrattative sindacali.

Poiché “molta strada è stata percorsa da quando i limiti tollerabili diesposizione erano considerati innanzitutto od esclusivamente in rapporto all’evento piùgrave, quello mortale: successivamente essi sono stati via via valutati in rapporto allepossibilità di diagnosi dello stato di malattia, alla opportunità di una diagnosi clinicaprecoce, alla utilità del rilievo di iniziali alterazioni biochimiche senza ancoraapparenza clinica. Il continuo progresso delle cognizioni di tossicologia – proseguonoFoà e Tomasini – ed il perfezionarsi delle metodiche di indagine oltreall’interessamento rinnovato e più vivace del mondo operaio, accanto alle vecchiediatribe non ancora del tutto risolte, pongono oggi sul tappeto altri nuovi interrogativi:quali delle alterazioni biochimiche più precocemente rilevabili devono essere considerateespressione di malattia e quali altre irrilevanti, anche soltanto sul piano dellecondizioni di benessere, quali stati patologici tecnopatici si esauriscono in se stessi equali concorrono in maniera diversa con malattie della comune patologia ad aggravarelo stato di morbosità, quali malattie professionali esplicano i loro effetti solo sul direttointeressato e quali hanno in potenza la possibilità o la probabilità di estendere la loroinfluenza non solo anche sui non direttamente esposti ma addirittura sulle generazionisuccessive.

I valori di MAC pertanto non servono allo scopo precipuo di delimitare certamenteuna zona di sicurezza da quella di pericolo ma debbono essere considerati comeindicazioni operative generiche sul piano igenico-preventivo, riferite ad una normalità

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teorica media dello stato di salute e sempre passibili di revisione. Entro questi limitiessi sono forzatamente accettabili sul piano pratico, avendo altresì presentel’impossibilità pratica e teorica di raggiungere un livello zero di esposizione”.

A noi medici del lavoro risulta necessario, quindi, ampliare edapprofondire il più possibile questo settore di studio favorendo unaattiva collaborazione tra singoli ricercatori, enti, industrie. Con questomessaggio si conclusero i lavori del Convegno e la condizione che sivenne a determinare fu quella della piena consapevolezza dellapluridisciplinarietà della Medicina del Lavoro che riconosceva all’IgieneIndustriale non solo la piena validità di settore disciplinarecomplementare, ma anche il ruolo di primo piano in ogni intervento ditipo preventivo.

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IL SERVIZIO SANITARIO NEI LUOGHI DI LAVORO

Nel 1951 compare negli Atti del XVIII Congresso Nazionale diMedicina del Lavoro (Viareggio) la prima completa trattazione di unargomento di rilevante importanza nella pratica applicazione della nostraDisciplina, costituito:1) dalla istituzione e regolamentazione di un servizio sanitario nei luoghi

di lavoro e, contestualmente, dalla istituzione e regolamentazione diun medico di fabbrica o di azienda;

2) dalla definizione dei profili, ruoli e compiti rispettivamentedell’istituendo servizio e del medico preposto a dirigerlo52.In maniera molto frammentaria, questa problematica era già apparsa

sullo scenario della nostra Disciplina, sin nel 1907, prevalentementeincentrata però sul ruolo del medico con compiti di natura sanitario-assistenziale (nei confronti di soggetti affetti da patologie causate dallavoro nella sua più ampia accezione) ed a contenuto specificamentepreventivo: visite mediche preassuntive, ispezione nei luoghi di lavoro,educazione igienico-sanitaria etc. Successivamente e specie negli anni ’50si fece quindi strada l’esigenza di una organizzazione sanitaria piùcomplessa e più adeguata, inserita strutturalmente all’interno dei luoghidi lavoro, in cui la figura del medico ed il servizio di cui egli faceva parteassumevano una posizione di rilievo nel contesto della unità produttiva.

Come già detto, questa nuova configurazione che prevedeva di fattoun servizio sanitario aziendale, si realizzava compiutamente negli anni’50-’60 in rapporto alla evoluzione del mondo del lavoro che, per leinnovazioni tecnologiche, per le modificazioni di tipo organizzativo e deicicli lavorativi, era passato dalla dimensione artigianale a quellaindustriale: più semplicemente negli anni in cui anche in Italia il concettodi fabbrica assumeva definitivamente il carattere di insediamentoproduttivo modernamente inteso.

Ed è in questo periodo che la tematica del servizio sanitario nei luoghidi lavoro esplode in tutta la sua reale dimensione e complessità.

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Le tappe cronologiche di questo processo sono fedelmentedocumentate negli Atti dei Congressi Nazionali, come già riferito, apartire dal 1907, quindi nel 1951, 1956, 1959, poi nel 1965 e nel 1966,ancora nel 1978 ed infine nel 1984. Ciò nonostante, dopo ben 40 anni didibattito sul medico di fabbrica e sui servizi sanitari aziendali, non si eraancora raggiunta, attraverso norme legislative, una definizione ed unriconoscimento ufficiale di questi strumenti e delle strutture sanitarieoperative, che ne definissero le figure professionali, la tipologia,l’organizzazione ed i rispettivi compiti. Solo in parte, e relativamente adalcuni aspetti, queste definizioni e chiarimenti si sono ottenute con iDecreti Legislativi n. 277 e n. 626 rispettivamente nel 1991 e nel 1994.

Le norme a cui ci riferiamo sono elencate nella nota 52.È importante ancora sottolineare che i riferimenti legislativi in

materia, presenti prima degli anni ’50 fanno cenno (peraltroindirettamente) al solo ruolo di un medico e/o di un servizio medico.Infatti, in ordine temporale, va ricordato che i primi dispositivi di leggein materia riguardavano la codificazione indiretta del ruolo assistenziale epreventivo del medico soprattutto nel merito della tutela di alcuneparticolari categorie di lavoratori: ad es. in previsione dell’applicazione dinorme operative quali le visite mediche preventive per accertare lo statodi buona salute dei lavoratori minorenni, delle donne, dei lavoratoriesposti ad alcuni particolari rischi ecc. Ma, purtroppo in minoreevidenza, essi codificavano altre norme più generali ed esecutive, oentravano nel merito di altre problematiche quali il ruolo nel primosoccorso.

A partire dagli anni ’50, la legislazione fa finalmente riferimento alruolo di un medico di fabbrica e/o di un servizio sanitario che abbiarapporti più stretti con l’azienda; ma ancora una volta indirettamente,sebbene con una maggiore incisività. Ciò, per ottemperare alledisposizioni che obbligavano il datore di lavoro, sia ad istituire un primosoccorso, che predisporre visite mediche preventive e periodiche ailavoratori esposti a rischi ben codificati. In ogni caso queste norme nonprevedono ancora un assetto giuridico in merito alla figura del medico odel servizio medico di fabbrica, pur contribuendo a delinearneindirettamente il ruolo.

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Per semplicità di esposizione, le norme legislative emanate nelperiodo compreso tra gli inizi del ’900 e gli anni ’5052 sarannocommentate nell’ambito delle singole relazioni congressuali di seguitoriportate, in quanto proprio in quel contesto furono oggetto di dibattitoesplicativo ed interpretativo.

Ci soffermiamo invece sui riferimenti normativi che negli anni ’50hanno contribuito a motivare la presenza di servizi medici in numeroseaziende italiane.

L’art. 388 del D.P.R. 547/55 obbliga il datore di lavoro a disporre chein caso di infortuni, comprese le lesioni di piccole entità, sianoimmediatamente prestati all’infortunato i soccorsi di urgenza; tuttavianon indica né le modalità né le figure preposte53.

L’art. 32 del D.P.R. 393/56 sancisce per le aziende in cui si svolgonolavorazioni nocive, solo l’obbligo di un cartello indicante il nome e ilrecapito del medico a cui poter ricorrere o del posto di soccorsopubblico più vicino all’azienda. Altri articoli (27, 28, 29, 30) dello stessoDecreto prevedono un servizio di primo soccorso ed i relativi materialied impianti, ma – ancora una volta – non si impone la necessità di unmedico, ma solo di un infermiere o addirittura, in mancanza di questo, dipersona pratica di servizi di infermeria54.

Queste norme sono integrate, per particolari settori, da altredisposizioni: D.P.R. 320/56 e D.P.R. 321/56. Il primo decreto concernela prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro in sotterraneo (artt. 96e 97) imponendo all’imprenditore di provvedere all’attrezzatura e aipresidi di primo soccorso necessari e sancendo che un medico siasempre prontamente reperibile per i soccorsi di urgenza55. Il secondodecreto, che riguarda le norme per la prevenzione degli infortuni el’igiene del lavoro nei cassoni ad aria compressa prevede, agli artt. 11, 12,13, le attrezzature e presidi per garantire l’assistenza sanitaria e il primosoccorso, impone sul posto di lavoro la presenza di un infermiere estabilisce che un medico sia sempre reperibile in ogni momento per i casidi necessità56.

L’art. 33 del D.P.R. 303/56 sancisce l’obbligo delle visite medichepreventive e periodiche per i lavoratori esposti a determinate sostanzetossiche o infettanti o comunque nocive, indicate in una tabella allegataallo stesso decreto57.

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Nonostante la evidente genericità della normativa in materia, già neglianni ’50 le grandi imprese (ad es. Pirelli, Fiat, Montedison, Alfa Romeo,Magneti-Marelli, Olivetti, ecc.) avevano attivato servizi sanitari aziendalia cui affidare oltre il compito del primo soccorso, altre funzioni di tipoessenzialmente preventivo.

Negli anni ’60 anche le imprese di medie dimensioni si dotavano diqueste strutture sanitarie. Ciò si realizzava in quanto, sia pure in ritardo,veniva recepito, l’orientamento generale che in Europa derivava dalledirettive che le Organizzazioni Internazionali (OIL-OMS) andavanoelaborando e perfezionando. Infatti, già nel 1950 il Comitato CongiuntoOIL-OMS affermava che il compito della Medicina del Lavoroconsisteva nella “promozione del più alto grado di benessere fisico,mentale e sociale dei lavoratori in tutte le attività”. Questo assuntoindusse l’OIL ad adottare, alcuni anni dopo, uno strumento operativoper la tutela della salute nei luoghi di lavoro: il “Servizio di medicina dellavoro”, prevalentemente con contenuti preventivi, ma basato anchesull’obbligo di fornire prestazioni sanitarie di tipo diagnostico e curativo.Questo programma si concretizzò, attraverso le visite medichepreventive, di assunzione e periodiche, con la Raccomandazione 112 del1959 che nel 1962 venne recepita integralmente dai Paesi membri dellaComunità Europea.

In Italia, a fronte dell’immobilismo delle Istituzioni, e pur rimanendoimmutata la situazione legislativa, il riverbero di queste proposte europeeè tangibile sulla Medicina del Lavoro e ne sono testimoni i CongressiNazionali nei quali i servizi sanitari di fabbrica diventano argomento dispecifiche relazioni o temi congressuali negli anni succitati che vanno dal1951 al 1984.

Come già accennato, nel 1951, all’ XVII Congresso il prof. G.Pancheri, vice direttore dei Servizi Sanitari dell’ENPI, svolse un’ampiarelazione dal titolo “Il medico di fabbrica” cui fece seguito un intensodibattito al quale intervennero illustri esponenti della medicina del lavoroquali Carozzi, Vigliani, Molfino, Prosperi, Pieraccini ed altri.

Il tema, definito dall’oratore quanto mai “complesso e delicato”, erastato da tempo sfiorato, ma necessariamente rinviato ad epoche piùmature, quando condizioni sociali e politiche e una più profondacoscienza delle parti sociali ne avrebbero garantito un più costruttivo

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dibattito. Infatti ricorda Pancheri che nel lontano 1907 a Palermo, e inun Congresso anteguerra, “in quello di Napoli del 1936 o di Bari del1938” era stata avviata una discussione sull’argomento, anche se conangolazioni differenti che sottolineavano l’importanza del ruolo di unmedico per le visite mediche e per l’ispezione dei luoghi di lavoro, inrapporto alla prevenzione delle malattie da lavoro.

Pancheri evidenzia inoltre come il problema del medico di fabbricafosse “scabroso e irto di difficoltà” dal momento che tocca numerosiinteressi a volte contrastanti, coinvolgenti il datore di lavoro, illavoratore, il politico, il sociologo, lo stesso medico di fabbrica. Inoltre,trattandosi di una istituzione con finalità essenzialmente pratiche, ilproblema segue anche l’evoluzione della legislazione per la tutelasanitaria delle classi lavoratrici, e gli sviluppi della medicina del lavoro erisente degli effetti che entrambi hanno sulla coscienza delle classi sociali.

L’oratore espone quindi i punti successivi su cui intende richiamarel’attenzione dei partecipanti al Congresso; essi riguardano lo sviluppo el’evoluzione del medico di fabbrica, sia nella legislazione che nellapratica58.

Per quanto concerne il primo aspetto – quello legislativo – il Pancheriricorda che l’istituzione di un medico di fabbrica e di un relativo serviziosanitario faceva la sua prima apparizione in Inghilterra ove, a causa delnotevole sviluppo industriale, la legislazione per la tutela del lavoroprecorse ogni altro Paese europeo. Infatti già nel 1833 la legge Althorpistituiva l’obbligo della tutela sanitaria dei fanciulli con l’istituzione dei“certifyng surgeons” o medici certificatori. Questi medici, scelti daldatore di lavoro, avevano il compito di sottoporre ad una visita medica ifanciulli prima della loro ammissione al lavoro nelle fabbriche. Una leggesuccessiva (del 1844) affidava ad una struttura dello Stato (equivalente alnostro Ispettorato del Lavoro) il diritto di nominare o licenziare i medicicertificatori succitati, ma investiva questi ultimi anche di compiti ispettivinelle fabbriche. Venti anni dopo, la legge 1867 estendeva quindi lavigilanza sanitaria ad un numero maggiore di fabbriche, e quindi nel 1873i “medici certificatori” sentirono la necessità di presentare in Parlamentouna petizione in cui si chiedeva la delega a visitare gli ambienti di tutte lefabbriche per accertarne le condizioni igieniche.

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Pancheri riferisce che in Italia, sull’esempio inglese, alcune (ecomunque le prime) disposizioni di legge in questo campo risalgonoparimenti alla fine dell’800 e agli inizi del ’900 quando venne introdottol’obbligo della visita medica per l’ammissione dei fanciulli al lavoro e peril rilascio del libretto di ammissione al lavoro. Questo incarico venivaaffidato agli “ufficiali sanitari”. Successivamente la vigilanza sanitariaveniva estesa anche alle donne e ai minori e veniva ripetuta ad intervalliregolari; in un secondo tempo, ancora, veniva istituito l’obbligo dellavigilanza sanitaria preventiva e periodica a tutti i lavoratori esposti airischi di intossicazione e di infezione professionale. Tale compito venivaaffidato a medici scelti dal datore di lavoro, sotto il controllodell’Ispettorato del Lavoro.

Infatti nel 1927 l’emanazione del Regolamento generale per l’Igienedel Lavoro istituiva, all’art. 6, l’obbligo della visita medica preventiva eperiodica da parte di un “medico competente” per i lavoratoridell’industria esposti al rischio di intossicazione o di infezione. Lelavorazioni interessate venivano specificate in decreti successivi: D.M.del 20 marzo 1929 e D.M. dell’11 giugno 193959.

Nella sua disamina legislativa il Pancheri cita sia la legge del 12 aprile1943 n. 455 che estendeva ulteriormente l’obbligo delle visite medichecon l’inclusione della silicosi e dell’asbestosi tra le malattie professionaliindennizzabili, sia il pronto soccorso, argomento ormai istituzionalizzato,che tuttavia non imponeva ancora alle aziende l’obbligo del medico difabbrica. L’oratore analizza a riguardo la prima norma introdotta in Italiacon l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro approvatadalla Legge del 17 marzo 1898, n. 80, che istituì l’obbligo per i datori dilavoro di organizzare il pronto soccorso all’infortunato. Essa fucompletata dall’art. 15 del Regolamento Generale per la prevenzionedegli infortuni sul lavoro (R.D. del 19 giugno 1899) e dagli artt. 4, 5, 7 delRegolamento Generale per l’Igiene del Lavoro del 1927.

Per quanto riguarda l’aspetto extralegislativo e cioè quellodell’evoluzione, nella pratica, del concetto istitutivo del medico difabbrica, Pancheri ritiene che ne siano stati elementi determinanti ladiffusione e l’applicazione del taylorismo da una parte e dall’altrol’aumento degli infortuni del lavoro legati alla progressivameccanizzazione. Infatti, Egli sostiene che proprio per controbilanciare

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gli effetti antifisiologici attribuiti alla organizzazione scientifica del lavoronella logica del taylorismo venne introdotto il medico di fabbrica nelleindustrie americane, con il compito aggiuntivo di consulente tecnico deldatore di lavoro per tutelare che la efficienza lavorativa nonpregiudicasse la salute delle maestranze. Il secondo elemento,rappresentato dall’aumento degli infortuni nell’industria, sfociò nellaemanazione di regolamenti di tipo preventivo e nella leggesull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro di cui si ègià detto. Questa legge – afferma Pancheri – prevedeva solo l’obbligoper il datore di lavoro della prima medicazione e del pronto soccorso, maragioni umanitarie e (non ultimo) una certa convenienza indussero gliindustriali ad organizzare servizi medici di fabbrica attrezzati al prontosoccorso e finalizzati a curare l’infortunato sino alla guarigione ondeprevenire gli esiti degli infortuni stessi. Accanto a questi due aspettiprioritari, secondo l’oratore, sullo sviluppo del medico di fabbricaintervennero anche alcuni elementi definiti secondari: la spinta“filantropica” degli industriali che vedeva sorgere negli stabilimentiindustriali accanto alle infermerie di fabbrica, mense, asili e scuoleorganizzate e dirette dal medico di fabbrica e il concetto della“mutualità” che portava a considerare il medico di fabbrica come ilmedico condotto della comunità operaia60. Su questi orientamenti avevalentamente agito lo sviluppo del “Welfare state”.

Dopo questa carrellata sulla storia e sulle ragioni della istituzione nelnostro Paese del medico di fabbrica, Pancheri rileva le peculiarità delfenomeno presente anche in altri Paesi:– evoluzione sempre più preventiva;– presenza di due tipi di medici di fabbrica (riuniti spesso nella stessa

persona), l’uno imposto dalla legge per il controllo sanitario dellemaestranze, e l’altro assunto volontariamente dal datore di lavoro concompiti più vasti, quali la sovraintendenza, l’organizzazione, ladirezione e talora la esecuzione di tutti i servizi sanitari di fabbrica nelsenso più ampio della parola, dal pronto soccorso all’assistenzamedica complementare a quella fornita dagli istituti previdenziali, aicompiti fiscali, e con il carattere di consulente tecnico della azienda61.

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A completamento della sua puntuale disamina sull’argomento,l’oratore analizza le principali deficienze del sistema allora vigente inItalia ed individua essenzialmente tre punti negativi:– la limitazione dell’obbligo del medico di fabbrica solo ad alcune

aziende, e non sempre quelle con lavorazioni a più alto rischio;– la limitazione delle disposizioni legislative riguardo ai vari compiti del

medico di fabbrica;– la troppo frequente inadeguata preparazione del medico di fabbrica in

rapporto ai suoi compiti specifici.Pancheri insiste quindi sulla necessaria estensione del servizio medico

di fabbrica a tutte le aziende industriali e alle principali aziendecommerciali e agricole62; si interroga sulla denominazione di questaparticolare figura e sulla opportunità di denominarla medico di fabbrica,o di medico di azienda, o di medico del lavoro. Là dove il pensiero diPancheri dimostra la sua grande esperienza e la capacità di proiettare nelfuturo le sue considerazioni, è quanto racchiude in 5 sintetici punti icompiti del medico di fabbrica: 1) vigilanza sanitaria delle maestranze; 2)vigilanza igienica dei locali di lavoro; 3) pronto soccorso; 4) prevenzionedegli infortuni; 5) raccolta e conservazione dei dati statistici.

In merito al primo punto è di rilevante attualità la propostadell’oratore che vuole la vigilanza sanitaria non limitata alle disposizioniallora vigenti, ed il ripetersi della stessa con periodicità non solo per ilavori gravosi o nocivi, ma anche per i lavori generici cioè non esponentia particolari rischi63.

È da sottolineare che con queste proposte, si sottolinea la periodicitàdei controlli sanitari, secondo la dinamica della prevenzione; in altritermini si intuisce che l’atto della prevenzione è costituito da un“continuum” di interventi in quanto non è sufficiente definire, in un solopreciso momento, le condizioni igienico-sanitarie, i rischi, gli effetti sullasalute di una determinata esposizione lavorativa, ma è indispensabileaverene un controllo dinamico e continuo di tutti i fattori in gioco.

Viene affrontato, quindi, il problema della preparazione specifica delmedico di fabbrica64, della opportunità di integrare le visite mediche conopportuni esami complementari – anticipando così un’esigenza dellamedicina del lavoro attualmente divenuta prassi – e di eseguire alcuni diquesti esami sistematicamente all’atto dell’assunzione e di ripeterne altri

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ad intervalli regolari nelle visite periodiche. In aggiunta Pancheri ritieneche la visita medica possa essere completata con pratiche preventivequali la vaccinazione antivaiolosa o antitubercolare, anticipando ancorauna volta un argomento – le vaccinazioni – trattato nel recente D.Lgs.626/94 (art. 86, comma 2, lettera a)

L’oratore si sofferma inoltre su altre problematiche legate all’attivitàdel medico di fabbrica quali il problema del giudizio di idoneità, delladeontologia del medico di fabbrica e dell’annesso segreto professionale, ea questo riguardo sottolinea che il medico di fabbrica è legato al duplicesegreto uno nei confronti del datore di lavoro e uno professionale neiconfronti del lavoratore65.

Un punto molto delicato e di particolare interesse è quello delladipendenza del medico di fabbrica: viene ricordato come sia stato alungo sostenuto che il medico di fabbrica avesse difficoltà di espletarebene i suoi compiti ove fosse alle dipendenze del datore di lavoro, inquanto parte delle sue funzioni e decisioni avrebbero potuto trovarsi incontrasto con le aspettative e gli interessi del datore stesso (ovvero conquelle delle maestranze lavorative) e ciò avrebbe potuto condizionare lacorrettezza e la trasparenza del suo operato. Pancheri sostiene, tuttavia,che una simile tesi, anche se da lui stesso in passato fortementesostenuta, andrebbe ridimensionata: “il medico di fabbrica non può, fra l’altro,essere un impiegato statale” e quindi si dovrebbe definire “un’istituzioneprescritta dallo Stato a tutela dei lavoratori, pagata dal datore di lavoro e controllatadallo Stato”.

Egli ribadisce l’opportunità che siano precise norme legislative adimporre l’obbligo del medico di fabbrica all’azienda, a fissarne i compiti ea responsabilizzare il datore di lavoro sulla mancata nomina o sulla nonosservanza dei compiti e degli adempimenti di sua spettanza.Analogamente si auspica che la stessa legislazione prevedaprovvedimenti a carico del medico di fabbrica qualora egli nonadempisse ai suoi doveri o li eseguisse con negligenza66. È esaltantel’analogia con gli obblighi del datore di lavoro e del medico competenteprevisti ai rispettivi articoli 4 e 17 del D.Lgs 626/9467. Questaanticipazione della figura del medico competente come poi sarà previstodal D.Lgs 626, conferma l’esperienza e la cultura dei medici del lavoroche sin dagli anni ’50 impostavano il problema secondo una visione che

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teneva conto della complessità dei compiti e della peculiarità di questafigura.

Strettamente connesso con il problema della dipendenza è quello dellascelta del medico di fabbrica. L’oratore analizza le varie possibilità allorapresenti68 e si auspica che venga attuata una libera scelta da parte deldatore di lavoro del medico in un Albo di medici di fabbrica; l’iscrizioneall’albo avrebbe dovuto essere subordinata al superamento di una provadi esame da parte di una Commissione composta dall’Ispettore Medicodel Lavoro, da un titolare di Cattedra in Medicina del Lavoro e da unrappresentante dell’Ordine dei Medici. In ogni caso i docenti in medicinadel lavoro e gli specializzati nella Disciplina, avrebbero il dirittoall’iscrizione all’Albo senza ulteriori esami. Quindi già dagli anni ’50emerge in modo pressante, la necessità che il medico di fabbricapossegga i requisiti specifici e una buona preparazione che diventanogaranti della sua peculiare competenza ovvero che sia “competente inmedicina del lavoro”.

Nel XXI Congresso svoltosi a Merano nel 1956, i Servizi Sanitari difabbrica sono ancora al centro dell’attenzione, in quanto ad essi vienededicato il quinto tema congressuale: “Compiti e preparazione delleassistenti sanitarie di fabbrica”. Nella discussione sul tema – moderatadal prof. Vigliani – viene sottolineata la necessità di una preparazioneprofessionale specifica per svolgere l’attività di “infermiere industriale”.Questo termine è la traduzione della “industrial nurse” utilizzato neiPaesi anglosassoni, ed indica una infermiera altamente qualificata che haricevuto una particolare formazione sui problemi dell’assistenza sanitariadi fabbrica e che ha conseguito uno speciale diploma. Viene sottolineatoche nel servizio sanitario di una azienda il ruolo di una infermieracomporta compiti diversi rispetto a quelli svolti negli ospedali e negliambulatori. Infatti le attività previste richiedono nozioni di prontosoccorso, di piccola chirurgia, di tossicologia, di metodologia statistica, dipsicologia industriale, che normalmente non sono richieste alleinfermiere o alle assistenti sanitarie generiche. Inoltre a questa figuraprofessionale viene attribuito un compito ben più ampio che comprendeanche la collaborazione con il medico per la registrazione di esami clinici,di radiografie etc., e per effettuare corsi di educazione sanitaria epreventiva dei lavoratori sia individuale che collettiva.

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Pochi anni dopo, nel 1959, a Rimini, (XXIII Congresso Nazionale)viene nuovamente affrontata la questione del medico di fabbrica con iltema “Assistenza malattie e servizi sanitari di fabbrica” trattato dal prof.Giromini. Nel discorso inaugurale il prof. Ricciardi Pollini, presidente delComitato ordinatore, affermò che tale argomento merita la massimaattenzione in quanto rappresenta “la parte applicativa” e “più attiva e piùproduttiva del medico del lavoro. È nelle fabbriche, negli opifici, nei cantieri, nelleminiere, infatti, che il medico del lavoro trova, non solo il materiale di studio, diosservazione, di ricerche, ecc., ma anche la possibilità di applicare uno dei mezzifondamentali della medicina preventiva, ossia il controllo periodico della salute dellavoratore, tale da favorire la diagnosi precoce”.

Ancora una volta vengono ribaditi i punti chiave del problema giàaffrontati otto anni prima.

Ricciardi Pollini infatti sottolinea la necessità che l’attività del medicodi fabbrica venga regolamentata per essere efficacemente svolta; emergenuovamente la necessità di definire la figura giuridica del medico difabbrica, di stabilirne le attribuzioni, di configurarne il campo di attività edi puntualizzare i rapporti con gli Enti assistenziali e con leorganizzazioni industriali.

Nella relazione del prof. Giromini, la prima parte viene dedicata allaorganizzazione dei servizi medici di azienda nei vari paesi europei e negliStati Uniti. Da questa panoramica l’oratore individua gli obiettivi comuniche nei vari Paesi hanno ispirato la realizzazione di questi servizi: essisvolgevano una funzione essenzialmente preventiva e nella maggior partedei Paesi non erano limitati ai soli settori industriali, ma erano estesianche all’edilizia, alle miniere, ai lavori pubblici, all’agricoltura, alcommercio etc.; inoltre la piena realizzazione dei servizi si è attuataprevalentemente nelle grandi aziende, anche se in ogni Paese è emersa lanecessità di estenderli anche alle piccole e medie aziende. In ogni Paese, iservizi medici del lavoro avevano comunque conseguito risultatiapprezzabili, in particolare “per la riduzione della durata della incapacitàlavorativa”, per le diagnosi precoci e per il miglioramento della salute ingenerale. A questo punto l’oratore affronta dettagliatamente il problemadella preparazione del medico di azienda, sottolineando che la modernaconcezione del medico di fabbrica supera il ruolo che lo avevacaratterizzato per molto tempo (di gestione e prevenzione degli

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infortuni, di sorveglianza dell’igiene dello stabilimento), per entraredecisamente nel vasto campo della medicina preventiva. Quindi vieneposto il quesito “quali conoscenze generali di medicina del lavoro deve possedere ilmedico di fabbrica e come si può ottenere la sua preparazione professionale?”. Già inquegli anni, un progetto di legge (De Cossi-Ceravolo) avrebbe voluto chetutti i medici che prestavano servizio nelle aziende fossero specialisti inmedicina del lavoro. All’oratore questa condizione sembrava comunque“eccessiva” soprattutto per le difficoltà di molte aziende dislocate inpiccoli paesi lontani dai grandi centri, di reperire specialisti in medicinadel lavoro. Viene pertanto proposto che per “i medici di fabbrica aservizio prevalente” venisse richiesto il titolo di specializzazione, per “glialtri invece corsi di perfezionamento e di aggiornamento”69. Ispirandosi aquesti concetti l’oratore ricorda che il comitato misto O.I.L.-O.M.S. nellasessione tenutasi nel 1950 aveva precisato per tutti i medici leconoscenze in medicina del lavoro proporzionali al posto che questadisciplina occupava nella loro attività professionale. Per il medico difabbrica a “servizio completo” era prevista la specializzazione inmedicina del lavoro per poter “conoscere dettagliatamente i rapporti fral’uomo e il suo lavoro ed i mezzi di lotta contro le malattie e gli infortunicausati o favoriti dal lavoro”. Inoltre lo specialista in medicina del lavoro“deve avere una comprensione esatta dei rapporti tra la sua specialità e lealtre branche mediche e tecniche al fine di poter utilizzare tutte leesperienze le possibilità che gli si offrono, e di portare un contributoefficace al programma sanitario della collettività”.

La terza ed ultima parte della relazione riguarda il servizio di medicinadel lavoro nelle aziende secondo la Raccomandazione della 43° sessionedella Conferenza Internazionale del lavoro del giugno del 1959 tenutasi aGinevra. L’oratore ne riferisce dettagliatamente i 25 articoli e commentale affermazioni sostanziali contenute negli stessi. Egli precisa che i servizidi medicina del lavoro dovrebbero avere compiti prevalentementepreventivi ed assicurare la protezione dei lavoratori contro ogni minacciaalla loro salute, derivante dal lavoro o dalle condizioni nelle quali questosi compie. Sottolinea però che il medico dovrebbe godere di “completaindipendenza tecnica e morale nei confronti sia dei datoridi lavoro che dei lavoratori”. La 43° Sessione della ConferenzaInternazionale del Lavoro, avrebbe pertanto indicato i presupposti i fini

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e i mezzi del Servizio medico di azienda esteso a tutti i settori dellaproduzione e pertanto ne veniva auspicata la rapida attuazione anche nelnostro Paese.

Nella seduta inaugurale che si tenne presso il Teatro di Corte delpalazzo Reale di Napoli (XXVIII Congresso Nazionale, 1965) vennepresentato il tema “Collaborazione fra medico di fabbrica e servizio disicurezza nelle fabbriche” con il quale si sottolineò che per ilraggiungimento dell’obiettivo della prevenzione degli infortuni e dellemalattie professionali e per rendere il lavoro meno dannoso alla vitaumana “è necessario che finalmente tutte le industrie abbiano il medico di fabbrica,ciò che ancora oggi trova numerosi ostacoli”.

La novità sulla tematica del medico di fabbrica e dei servizi dimedicina aziendale è rappresentata, in questo congresso, dalla comparsa,per la prima volta, del ruolo dei servizi si sicurezza nelle azienda edell’interfaccia di questi con il medico. Questo argomento rappresentaun punto cardine dell’attuale D.Lgs. 626/94 e pertanto desideriamosoffermarci e sottolineare come esso sia diventato un punto di arrivo diesigenze e proposte concrete della nostra Disciplina.

Il prof. Tecce, Ispettore Generale medico della provincia di Napoli, intale seduta sostenne che il continuo e rapido progresso dellaindustrializzazione ha creato complessi problemi derivanti dalle nuovepatologie e che è compito dei clinici, degli igienisti e dei tecnici affrontare“in equipe” e quindi risolvere nei limiti delle umane possibilità: l’operadel medico di fabbrica nel settore assistenziale è però solo una parte,anche se molto importante, di tutto ciò che è richiesto dalla necessità edal dovere di risolvere delicati problemi a vantaggio del lavoratore,dell’ambiente di lavoro e delle macchine. Il medico di fabbrica,nell’auspicata regolamentazione, deve essere quindi portato, secondol’oratore, allo studio di quel complesso di fattori che interferiscono traindividuo e ambiente o meglio che creano un’interazione individuo,agente nocivo e ambiente di lavoro. Tale studio deve quindi tradursi in“armonica collaborazione tra i servizi sanitari e i servizi di sicurezza dell’azienda”.

Il prof. Crepet, allora presidente della Società di Medicina del Lavoro,nel suo intervento sostenne che “se infatti è incontestabile che un alto livello diproduttività e di benessere è stato raggiunto, non possiamo certo affermare, conaltrettanta convinzione, che altrettanto progresso si avverta nella sicurezza e

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nell’ordine del lavoro”. Egli ricorda come si è ancora ben lontani daltraguardo fissato dall’OIL nella sua Raccomandazione 112 del 1959, dalmomento che di fronte ai prodigiosi balzi del progresso tecnico, quelliper l’assistenza alla salute dell’uomo che lavora appaiono solo piccolipassi. L’oratore riassume brevemente la situazione normativa italianaaffermando che le norme emanate dal legislatore riguardanti laorganizzazione e il funzionamento del servizio medico di fabbrica inItalia non sono né sufficienti, né sempre di chiara interpretazione. Egliribadisce che si tratta di poche norme contenute nella regolamentazionegenerale e speciale per l’igiene del lavoro che concernono solo alcuni deicompiti del medico di fabbrica: il pronto soccorso e gli esami preventivie periodici per gli operai esposti solo a determinati rischi, nonché per ifanciulli e le donne minorenni. Al contrario, la preparazione del medico,le sue attribuzioni, la sua responsabilità sarebbero materia ancora maldefinita; le modalità della sua scelta e nomina, i suoi rapporti con ildatore di lavoro, con le organizzazioni sindacali e con gli organismiispettivi sarebbero non ancora disciplinate. Crepet anticipa molti puntiriguardo al problema che affronterà in maniera più dettagliata ed ampianel successivo congresso di Medicina del lavoro, nella relazione “Ilservizio medico di azienda”, soffermandosi soprattutto sulla estensionedella tutela sanitaria a tutte le categorie di lavoratori, sulla competenzadei medici preposti ai servizi di fabbrica, e sull’insegnamento delladisciplina nelle Università e sulla formazione dei medici specializzati.

Moderatore e relatore al primo tema congressuale, il prof. Viglianiintroduce la sua relazione “Rapporti tra Servizi Sanitari e Servizi dellaSicurezza Aziendali” evidenziando come il Consiglio direttivo dellaSocietà italiana di Medicina del Lavoro ha voluto introdurre nei suoicongressi nazionali una “novità”: un incontro tra medici del lavoro etecnici della sicurezza per trattare della loro collaborazione nelleindustrie. Egli sostiene che questa novità era stata accolta con moltofavore dai medici e dagli ingegneri della sicurezza di alcune fra le piùgrandi aziende industriali italiane; pertanto, in questo congresso, sisarebbe riferito schematicamente sull’organizzazione di alcune aziendenel campo della medicina, dell’igiene, della sicurezza del lavoro,indicando sia gli argomenti sui quali si sarebbe svolta una più proficua

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collaborazione fra i servizi sanitari e quelli tecnici, sia i risultati ottenuticon questa cooperazione.

L’oratore comunque ritiene che si possa parlare di collaborazione fraservizi sanitari e servizi di sicurezza aziendale solo nelle grandi aziendedove questi sono realmente operativi ed afferma che in Italia, come inquasi tutte le altre nazioni, le medie e le piccole industrie non hanno unservizio sanitario o della sicurezza, o non li hanno entrambi. Tuttavia egliricorda come in Italia esistono, presso Enti o Istituti estranei alleindustrie, servizi di medicina, igiene e sicurezza industriale dai quali ogniindustria può ottenere consigli o prestazioni continuative.

Vigliani prosegue la sua relazione evidenziando come, da un lato, icompiti dei servizi sanitari e della sicurezza nelle industrie sono spessonettamente separati; dall’altro essi richiedono la conoscenza di elementidi medicina e di elementi tecnici, configurando in tal caso un campoideale per una proficua collaborazione. Il pronto soccorso e la cura degliinfortuni sono di esclusiva spettanza medica, così come di converso laprotezione degli impianti elettrici e quella delle macchine riguardaesclusivamente il campo tecnico. Invece tra i più importanti compiti checoinvolgono entrambe le competenze egli ricorda: l’igiene e la sicurezzanella progettazione di nuovi stabilimenti e di nuovi procedimentiindustriali; la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali; ilmiglioramento delle condizioni ambientali di lavoro, l’ergonomia, la lottacontro la fatica e la monotonia, la selezione e l’adattamento al lavoro ecc.L’oratore afferma che gran parte delle collaborazioni riguardano unvastissimo campo che, con una espressione che ha trovato un largofavore nella letteratura di lingua inglese, si può definire “igieneindustriale”. Conseguentemente egli sostiene che in questo campo,proprio per la necessità e frequenza di incontri tra medici e tecniciaziendali, si è a poco a poco delineata la figura di un soggetto cheproprio in virtù dell’acquisizione di un notevole numero di cognizionitecniche e anche indirettamente di nozioni mediche è stato chiamato“igienista industriale”. Questa professione esisteva ormai in diversenazioni e la sua derivazione poteva essere diversa: spesso un ingegnere,in molte nazioni un medico, in alcune un chimico o un laureato inscienze70.

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L’oratore afferma che quando i rapporti fra medici e tecnici nel vastocampo della prevenzione dei rischi e dei disagi del lavoro sono moltosentiti, stabili e ben organizzati, origina un vero e proprio servizio diigiene industriale. Questo servizio avrebbe, a suo parere, una seri discopi: stabilire l’esistenza e l’entità di un eventuale rischio o anche solodisagio; studiare se il rischio e/o disagio possono essere eliminati oridotti, e suggerire i mezzi a ciò più idonei; stabilire se esistono rischiprodotti dalla industria, per poterli abolire o controllare.

Dopo un breve panoramica sulla collaborazione esistente nei variPaesi tra medici e tecnici, Vigliani esamina la situazione in Italia, ovel’igiene industriale risulta ampiamente insegnata nelle scuole dispecializzazione in Medicina del Lavoro. Sul quesito se esistono alcontempo servizi o laboratori di igiene industriale, Vigliani analizza lasituazione affermando che esistono tre tipi di realtà: 1) L’Ispettorato delLavoro ha un proprio servizio di igiene industriale ; 2) l’Ente NazionalePrevenzione Infortuni ha attrezzato laboratori di igiene industriale; 3)parecchi Istituti Universitari di Medicina del Lavoro e MedicinaPreventiva dei Lavoratori hanno laboratori di Igiene Industriale. A questiultimi, soprattutto, vengono richiesti interventi da parte di un semprecrescente numero di aziende.

In conclusione “i servizi di igiene industriale sono il principale punto diincontro e di collaborazione tra medici, ingegneri e chimici nelle fabbriche ed offronoargomento di meditazione sulla stretta parentela organizzativa e sulla unitàfunzionale dei due servizi aziendali deputati a salvaguardare la salute e il benesserelavorativo degli operai: il servizio sanitario e quello della sicurezza”.

Al XXIX Congresso Nazionale (Salice Terme-Pavia 1966) la primarelazione fu tenuta dal prof. Crepet che svolse “Il servizio medico diazienda” al quale fece seguito un ampio dibattito sugli aspetti pratici edorganizzativi di questi servizi, sulla necessità di promuoverli, sulle lorofinalità e funzioni.

A distanza di ben 15 anni dalla prima analisi esposta dal Pancheri,vengono ora da Crepet riproposte le stesse tematiche e lamentate lestesse carenze: materia giuridica inadeguata sul medico di azienda;necessità del titolo di specializzazione in medicina del lavoro; compitiprecisi da attribuire al medico di azienda, quasi tutti di natura preventiva,(in ogni caso non di tipo fiscale); rapporti tra il medico di fabbrica e la

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direzione aziendale. Ciò indica l’esigenza sempre più pressante dicodificare e definire giuridicamente e compiutamente problematiche nonpiù derogabili nell’ambito della Disciplina ed al contempo sottolineal’enorme disinteresse mostrato dal Legislatore per questo settore dipratica applicabilità.

Le premesse su cui si basarono la relazione e la discussione furono dauna parte gli artt. 32 e 33 della nostra Costituzione e dall’altra le posizioniinternazionali assunte a seguito della Raccomandazione 112 sottoscrittadal B.I.T. nel 1959 e della Raccomandazione CEE sottoscritta aBruxelles nel 196271. L’oratore ricorda le finalità spiccatamentepreventive attribuite alla Medicina del Lavoro dalla Raccomandazione112 e, riguardo alle modalità di istituzione dei servizi di medicina dellavoro (strumento operativo della Raccomandazione), prevede soluzionidiverse: emanazione di apposite leggi, convenzione tra le organizzazionidei datori di lavoro, altre eventuali procedure comunque concordatedalle organizzazioni sindacali aziendali e dei lavoratori. Quanto ai tempidi attuazione, nel caso di transitoria impossibilità alla istituzione di questiservizi, che “leggi locali rendessero obbligatoria alle aziende la stipulazione diaccordi con medici o servizi medici cui affidare i compiti essenziali”. Crepetesamina quindi alcune attuazioni in vari Stati – Francia, Belgio, Germania– appartenenti alla Comunità Europea con problematiche e situazioniassimilabili a quelle italiane e la situazione in Italia, dove vige, qualenormativa fondamentale nell’ambito della tutela delle condizioniigienico-sanitarie del Lavoro, l’art. 2087 del Codice Civile che dettanorme di contenuto ampio ed impegnativo72. Nell’ambito di questoprincipio, sono state introdotte alcune norme specifiche che impongonoin particolare l’obbligo delle visite mediche preventive e periodiche inrelazione a determinate attività lavorative (legge n. 455 del 1943modificata dal D.P.R. n. 648 del 1956; D.P.R. n. 128 del 1959; D.P.R. n.303 del 1956; D.P.R. n. 321 del 1956; D.P.R. n. 128 del 1959; D.P.R. n.185 del 196473.

Il relatore afferma che l’impegno di tutela della integrità fisica emorale dei lavoratori posto dal Codice Civile a carico dell’imprenditore,risulta insufficientemente specificato dalle norme di Legge in vigore.Infatti il campo delle attività per le quali si prevede un controllo medicoè limitato e la Tabella dei lavori comportanti rischi di malattia

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professionale dovrebbe essere ampliata considerando voci già compresenella elencazione proposta dalla CEE. L’oratore sottolinea la necessità diprogrammare una estensione del servizio medico aziendale; affronta inmaniere puntuale le carenze legate alla materia giuridica riguardante ilmedico di azienda ed i requisiti dello stesso74 e analizza i compiti, quasitutti di natura preventiva, che dovrebbero essere affidati al medico diazienda, sottolineando il principio secondo il quale a quest’ultimo nondeve essere affidato al medico di azienda il controllo fiscale della assenzaper malattia75. Crepet non trascura altre problematiche legate al serviziomedico aziendale, quali i rapporti tra medico e direzione aziendale e tramedico e operai assistiti e ritiene assolutamente necessaria laindipendenza del medico per lo svolgimento dei suoi doveri el’opportunità che sia il datore del lavoro a designare il medico essendol’imprenditore responsabile dell’organizzazione e del funzionamento delservizio sanitario nell’azienda. Inoltre prevede la possibilità da parte dellavoratore di avvalersi della facoltà di ricorso nei confronti di un giudiziomedico ritenuto non congruo76.

In tema di discussione, i numerosi interventi dimostravano quanto ilproblema fosse attuale: la complessità degli aspetti morale, economico,giuridico, culturale, tecnico – professionale dello stesso e la necessità diun coordinamento di tutte le norme e gli indirizzi in materia.

Infine, nel Congresso tenutosi a Santa Margherita Ligure nel 1978,nell’ambito del tema “Criteri e metodi di controllo periodico deilavoratori esposti al rischio” ancora una volta si propone il problemadella preparazione del medico o più generalmente del personale sanitariocui vanno affidati l’accertamento delle condizioni di salute e dellaprevenzione in ambiente di lavoro.

“Il nostro corso di laurea non informa, e tanto meno forma, colui che per legge saràdomani il medico competente delegato al controllo dell’igiene e della salute negliambienti di lavoro, non solo ma non contribuisce nemmeno a dare un indirizzogenericamente preventivo al futuro medico”.(Crepet)

È evidente come ormai sono finalmente maturi i tempi per ladefinizione legislativa del ruolo, del profilo e dei compiti del medico diazienda.

Nella lettura degli Atti Congressuali della nostra Disciplina sul temadel medico e dei servizi sanitari aziendali non possiamo trascurare il

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XLVII Congresso di Medicina del Lavoro di Perugia-Assisi del 1984, peril contributo della SIMLII alla attuazione di un Testo Unico in materia diigiene e sicurezza sul lavoro, già previsto dall’art. 24 della legge 833 del1970 di riforma sanitaria.

Nell’ambito del tema “Responsabilità, criteri e procedure per ilcontrollo ambientale e sanitario nei luoghi di lavoro” vengono presentatee discusse le seguenti proposte:– adeguati servizi sanitari di supporto dimensionati a seconda dei rischi

e della forza dell’unità produttiva;– figure professionali ben definite: il medico di azienda, l’infermiere di

fabbrica e l’igienista industriale;– compiti dei servizi sanitari nelle aziende;– necessità dell’obbligatorietà dei servizi sanitari e di igiene del lavoro

con medici e tecnici dotati di una precisa qualificazione professionalee anche se dipendenti o consulenti dell’impresa, punto di incontrodelle parti sociali;

– medico di azienda (“medico competente”) responsabile di un serviziodi prevenzione sanitaria, aziendale o pubblica con necessario diplomadi specialità in medicina del lavoro;

– visite mediche di assunzione, preventive e periodiche;– monitoraggio ambientale e biologico.

In conclusione, fino all’approvazione del D.Lgs. 277/91 e del D.Lgs.626/94, in mancanza di ogni tipo di identificazione di ruolo, di funzione,di percorso formativo, la figura del medico di fabbrica e/o medico diazienda era incerta ed indefinita, oscillando tra le finalità preventive e lealtre incombenze che tendevano a ricadere (attività di primo soccorso,attività terapeutiche, “medico condotto delle comunità lavorative”, etc.)proprio sul medico.

Questi compiti, nel loro complesso, erano stati i pilastri sui quali lafunzione del medico era stata accettata dalle varie componenti del mondodel lavoro e sui quali si era accreditato il suo ruolo fino a determinarel’esigenza dell’organizzazione di veri e propri servizi di medicina del lavoro.

Questo ampio spettro di attività del medico di fabbrica, se da un lato erastato la spinta per l’affermazione della sua figura, dall’altra era divenuto neltempo un onere di difficile gestione proprio per l’assenza di precisiriferimenti legislativi. Per questi motivi la medicina del lavoro, come dimostra

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la lettura documentale degli Atti dei congressi, per quasi un intero secoloaveva invocato una legislazione di riferimento che definisse la figura giuridicadel medico di fabbrica o medico di azienda e ne configurasse il campo diattività; ma questa esigenza era stata disattesa.

Finalmente solo negli anni ’90, i decreti legislativi succitati hannodefinito la figura dello specialista in medicina del lavoro (medicocompetente), codificando le sue attività preventive, e sollevandolo damolte delle sue antiche funzioni (Schema 1).

SCHEMA 1

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Se da un lato, nelle unità produttive, si staglia ormai nitidamente lafigura del medico del lavoro come medico competente secondo i dettamidei suddetti decreti, in altri contesti produttivi esiste ancora unasovrapposizione di vecchi e nuovi ruoli e rimane ancora incerto il ruolodel medico di fabbrica o di azienda definito ormai “ambulatoriale”, nonspecialista in medicina del lavoro (di solito generalista o internista, o conesperienza – specialista – in medicina di urgenza) che si ritrova a gestirequelle funzioni “in eccesso” rispetto ai compiti del medico competente(funzioni che prima gravavano sul medico di fabbrica) (Schemi 2 e 3).Egli svolge questo ruolo ancora oggi senza una precisa normativa diriferimento seguendo unicamente quelle norme di comportamentocodificate dalla prassi e con compiti che, per così dire, vengonoindividuati per sottrazione da quelli codificati per il Medico Competente.

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SCHEMA 2RAPPORTI FUNZIONALI

(presenza nell’azienda del solo Medico del Lavoroper un numero limitato di ore)

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SCHEMA 3RAPPORTI FUNZIONALI

(quando nell’azienda sono presenti le 2 figure:Medico del Lavoro, Medico Ambulatoriale)

Queste attività sono rappresentate essenzialmente (Tabella 1):– dal primo soccorso in caso di malore o infortunio;– dalla assistenza di patologie acute di varia natura;– dalla consultazione e terapia per affezioni croniche in cooperazione

con il medico curante;– dalle piccole medicazioni.

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TABELLA 1FUNZIONI DEL MEDICO “AMBULATORIALE”

DI UN SERVIZIO SANITARIO AZIENDALE

1. Intervento di primo soccorso, in caso di malore o infortunio.2. In caso di infortunio: prestare il Primo Soccorso, assicurare il

trasporto dell’infortunato al Pronto Soccorso ospedaliero,accompagnare eventualmente l’infortunato, registrare l’avvenuto sulregistro dell’infermeria aziendale.

3. Assistenza per patologie acute.4. Consultazione per patologie croniche, già in terapia, in

collaborazione con il medico curante.5. Supporto per terapie in corso su richiesta del curante

INTERVENTI CHE NON POSSONO ESSERE EFFETTUATIDAL MEDICO “AMBULATORIALE”

1. Non rilasciare certificazioni giustificative.2. Non contrastare la richiesta del dipendente di abbandonare il lavoro

per malessere (anche quando non sussistono elementi clinicamentevalidi).

3. Riammettere al lavoro il dipendente dopo una malattia e/o uninfortunio.

4. Annullare una prognosi rilasciata dal Pronto Soccorso o dal medicocurante anche se su espressa richiesta dell’interessato.

5. Non rilasciare il certificato di infortunio che dovrà essere rilasciatodalle strutture pubbliche.

In considerazione del fatto che questi compiti sono affidati ad unmedico che può non avere il bagaglio culturale proprio della medicinadel lavoro, è facile comprendere le difficoltà operative e gestionali neicasi di infortunio, o di certificazioni giustificative, o di correttainterazione con le strutture assistenziali e con il medico curante.

Il “medico ambulatoriale” ad es. non può:– rilasciare il primo certificato di infortunio, perché ai sensi della legge

300/70 (Statuto dei Lavoratori) art. 5, comma 3, solo un istitutopubblico può attestare l’idoneità di un dipendente al lavoro (con

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esclusione delle visite preventive e periodiche ex D.P.R. 303/56,D.Lgs. 277/91, D.Lgs. 626/94);

– rinviare d’autorità al lavoro un dipendente se l’infortunio vienevalutato di piccola entità; e non può eseguire controlli di idoneità allavoro al rientro dopo la guarigione di un infortunio;

– annullare la prognosi rilasciata dal Pronto Soccorso ospedaliero o dalmedico di base, anche se ciò avvenga su espressa richiesta dellavoratore interessato; e non può indicare interventi diapprofondimento diagnostico per valutare l’entità del danno subito, iquali dovranno essere effettuate da strutture pubbliche per il rilasciodi diagnosi e prognosi sul primo certificato di infortunio;

– rilasciare certificazioni giustificative (art. 5, comma 3 Legge 300/70);– contrastare l’eventuale richiesta del dipendente di abbandonare il

lavoro per malessere anche quando il medico non intravede elementiclinicamente validi.Nelle realtà produttive, di solito le più grandi, in cui esiste un servizio

medico aziendale con un medico ambulatoriale non specialista inmedicina del lavoro, i rapporti tra questo ed il medico competente sonoben demarcati: quest’ultimo, prescindendo dagli obblighi e dai compiticodificati dal D.Lgs. 626/94, rappresenta di fatto il coordinatore tecnicodelle attività ambulatoriali, in quanto organizza le procedure per il primosoccorso parametrandole alle reali necessità aziendali con la preparazionedi un eventuale piano di emergenza sanitaria e stabilisce le linee operativeper la attività svolta dal medico ambulatoriale per evitare disattenzionilegislative di cui è stato esemplificato sopra.

Il percorso finora seguito ha permesso di rilevare che le numerosecarenze legislative e le difficoltà interpretative e operative ad esseconnesse sono state progressivamente colmate. Tuttavia non è possibileaffermare che le problematiche intrinseche all’attività dei servizi sanitarinei luoghi di lavoro e al ruolo delle figure professionali coinvolte sianocompletamente risolte, così come può evincersi da alcune considerazionidi seguito riportate.

La prima considerazione riguarda le tematiche della qualità,dell’accreditamento e dell’aggiornamento del medico del lavoro. Le realtàafferenti alla Medicina del Lavoro sono varie e complesse (IstitutiUniversitari, Servizi ospedalieri, Servizi delle ASL, laboratori e centri

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diagnostici privati, studi associati, singoli professionisti); di conseguenza,esigenze e strumenti per la promozione e la verifica della qualitàdovranno necessariamente diversificarsi e da ciò deriva l’opportunità dispecifici programmi. Inoltre l’accreditamento del medico del lavoro è dacollocare concettualmente nell’area del risultato delle attività diaggiornamento-formazione.

La seconda, di notevole complessità e con rilevanti implicazioni diordine pratico, riguarda l’ampliamento dei compiti del medico di aziendaanche in rapporto alle mutate esigenze della medicina del lavoro indeterminati settori. Così ad es. la pratica delle vaccinazioni che per moltianni è stata limitata essenzialmente alla vaccinazione antitetanica peralcune categorie di lavoratori, in questi ultimi anni è stata estesa per laprevenzione di altre patologie (epatite A e B, tifo, rosolia etc.) ad altrefigure professionali appartenenti ai più svariati settori professionali:operatori sanitari, educatori degli asili nido e della scuola materna,personale di aziende con attività svolta prevalentemente all’estero ed inPaesi ad elevato rischio infettivo. Pertanto notevole rilievo assume iltema delle vaccinazioni in ambiente di lavoro.

Le tappe cronologiche delle vaccinazioni sono ben definite el’immunizzazione attiva contro le malattie infettive ha rappresentato unadelle grandi conquiste della medicina moderna. Jenner nel 1796, Pasteurnel 1885 aprirono l’era vaccinale moderna. L’impatto sociale dellevaccinazioni fu grande e provocò dibattiti aspri influenzati e stimolatidalla cultura positivistica dell’800. L’interesse per le vaccinazioni inizia inmodo empirico, si afferma successivamente su base scientifica, sidiffonde via via interessando non solo la Medicina e suoi cultori, maanche coinvolgendo, non sempre dalla stessa parte, lo Stato, le industrie,associazioni varie, le Organizzazioni mondiali per la difesa della salute.Le disposizioni legislative in merito compaiono tardivamente rispetto alleesigenze emerse dalla realtà sociale e lavorativa.; basti pensare che laprima normativa sulla obbligatorietà della vaccinazione antivaiolosacompare in Italia nel 1888 (Legge Crispi-Pagliani).

La medicina del lavoro risente di questa cultura di prevenzionevaccinale è già nel I Congresso Nazionale (1907) il prof. Carozzi,trattando il tema “Il medico nell’ispezione del lavoro” ricordava che in

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Belgio i medici del corpo ispettorale avevano il compito di “sorvegliare lavaccinazione e la rivaccinazione triennale degli operai dei depositi di stracci”.

Successivamente nel 1951 il prof. Pancheri, come già citato, auspicavache le pratiche preventive del medico di fabbrica comprendessero lavaccinazione antivaiolosa, la vaccinazione antitubercolare, lavaccinazione antitifica. Egli ricordava a proposito, che durante la I guerramondiale i servizi sanitari a disposizione delle aziende rappresentati dallaorganizzazione chiamata “la Vigile”, a seguito di alcuni casi di vaioloverificatisi a Torino, avevano vaccinato 50.000 operai, seguiti dalla FIATche vaccinò i suoi 30.000 dipendenti.

Nel 1962, durante il XX Congresso Nazionale (Taormina 1962), laterza relazione congressuale fu rappresentata dal tema “La profilassivaccinica nell’industria”. I relatori, appartenenti ai servizi sanitari dellaFIAT diretti dal prof. Rotta sottolineavano che lo scopo dei medici dellavoro era quello di proteggere il lavoratore da “qualsiasi agente che possainsidiare la sua salute” e che la funzione eminentemente preventivanell’ambito aziendale doveva garantire al lavoratore il più alto grado dibenessere fisico e proteggerlo contro “qualsiasi rischio derivante da agentipregiudizievoli alla sua salute e per quello della suo nucleo familiare”. I relatoriaffermavano che la vaccinazione profilattica “per le affezioni che,nell’occasione di lavoro, trovano più facile attecchimento è certo un mezzo valido percontribuire al benessere fisico del lavoratore e procurargli, condizioni psicologiche esociali favorevoli al suo lavoro”.

Nel campo del lavoro, sostenevano gli autori, alcune malattie dovutead agenti infettivi trovano condizioni favorevoli al loro insediarsi. Inparticolare il riferimento riguardava la vaccinazione antitetanica per lapopolazione addetta all’industria, collegata soprattutto alla prevenzioneantinfortunistica. Ciò precorreva di un anno la Legge n. 292 del 5/3/63sulla obbligatorietà della vaccinazione antitetanica.

Riguardo ad altre vaccinazioni, quali l’antinfluenzale, l’antidifterica el’antipoliomelitica, gli autori sostenevano che le finalità si fondavano subasi etico-sociali ed economiche. Nel caso della influenza, essiconsideravano l’occasione di lavoro come una condizione favorevole peril diffondersi della malattia tra gli operai e da questi alle loro famiglie; diconseguenza l’elevato assenteismo provocava danni notevoli allaeconomia e alla organizzazione del lavoro. Le vaccinazioni antidfterica,

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antipoliomelitica, antitifo e paratifo venivano considerate piùspecificamente sul piano sociale quali mezzi di prevenzione per ilmantenimento del miglior benessere fisico del lavoratore e del suonucleo familiare. Infatti, sotto questo profilo esse erano meritevoli diattenzione da parte della Medicina del Lavoro in quanto: 1) praticatesistematicamente ai figli dei lavoratori in occasione dell’invio in colonia oin comunità scolastiche (asili nido annessi alle fabbriche) e agli allievidelle scuole professionali di fabbrica; 2) praticate occasionalmente inoccasione di eventuali minacce di epidemie.

Da questi riferimenti congressuali emerge la capacità della nostraDisciplina di anticipare, sulla base della tutela della salute dei lavoratori,le disposizioni legislative riguardanti un campo particolarmentecomplesso e vasto come quello delle vaccinazioni obbligatorie. Questaesigenza avvertita inizialmente in ambito lavorativo, saràsuccessivamente sentita nel più ampio contesto sociale. Il recente D.Lgs.626/94 prevede, per il rischio biologico, lo stesso approcciometodologico già utilizzato dai medici del lavoro ben 40 anni prima, epur inserendosi in un contesto normativo ben definito (l’obbligo divaccinazione per alcune categorie lavorative: l’antitifica, l’antitubercolare,l’antitetanica, antileptospira), amplia il contesto vaccinale obbligando ildatore di lavoro a mettere a disposizione vaccini efficaci per i lavoratorinon immuni agli agenti biologici presenti nelle lavorazioni (art. 86).

L’ultima considerazione, di ordine concettuale ma anche pratico,riguarda l’indipendenza intellettuale e morale del medico del lavoro neiconfronti del datore di lavoro, così come auspicato e sancito anche dacodici internazionali di comportamento (International Code of Ethicsfor Occupational Health Professional del 1992) oltre che nazionali. Se inlinea teorica appare ragionevole identificare la suddetta “indipendenza”in un rapporto di tipo libero-professionale tra il medico competente e ildatore di lavoro, nella pratica osservazione questo tipo di rapporto nonrisulta sempre garantire l’indipendenza del medico, per la naturacontrattuale del rapporto stesso, suscettibile del gradimento da parte deldatore di lavoro nei confronti dell’operato del medico stesso. Noi chesiamo stati assertori dell’opportunità che il medico del lavoro (medicocompetente) fosse garantito dalla stessa tipologia e forma contrattualenelle sue funzioni e scelte operative per la tutela della salute dei

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lavoratori, in piena onestà dobbiamo evidenziare i non pochi casi legatialla rinnovabilità del contratto e quindi alle pressioni indirette che questascadenza può esercitare sul medico. Tuttavia il rapporto di dipendenza atempo indeterminato – ovvero la presenza del medico nell’organigrammaaziendale e la sua diretta partecipazione nei processi decisionali e neiprogrammi aziendali riguardante la tutela della salute dei lavoratori –oltre a non abbattere le perplessità prima espresse, fa sorgere il dubbio diuna eccessiva omologazione del medico alle necessità aziendali e nonconsente quella trasparenza tanto spesso invocata. È possibile pertantoconcludere che, anche in presenza di normative adeguate (e di codici dicomportamento), sono sempre gli uomini che danno adeguata e correttaapplicazione alle stesse. I punti nodali della questione rimangono semprei ruoli che giocano i requisiti morali e culturali del medico i quali trovanol’unico vero fondamento nella deontologia medica. Questo è unargomento di vitale importanza in quanto i notevoli progressi dellaMedicina del Lavoro unitamente ai nuovi dispositivi di legge dovrebbero,finalmente, garantire “a tutti” una Medicina del Lavoro ineccepibile.

Su questi principi, lungo tutto questo secolo, i nostri predecessorihanno sempre insistito e spesso offerto esempi di elevatocomportamento, sia mediante teorizzazioni accademiche che attraversola viva esperienza. Sta a noi di continuare.

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OSSICARBONISMO

Nel 1982 a Sorrento si tenne il XLV Congresso Nazionale nel qualefurono presentati tre temi: “Rischi, patologia e prevenzione in unaindustria ad avanzata tecnologia: la produzione dei cinescopi pertelevisori a colori”, “Ossicarbonismo professionale e monitoraggiobiologico dell’esposizione al rischio”, “Il rumore industriale e il dannouditivo”.

L’ossicarbonismo professionale fu articolato nelle seguenti relazioniprincipali: “Turnover del CO e valutazione del rischio” (F. Gobbato);“Exposition a long terme a de faibles concentrations de monoxyde decarbone” (M. Stupfel); “Effetti neurolesivi” (G. Colicchio, S. Fati e coll.);“Effetti sull’apparato cardiovascolare” (L. Rossi); “Hyperbaric therapy incarbon monoxide and cyanide poisoning” (E.R. Levine); “Monitoraggiodell’esposizione professionale al CO: proposta di classi di rischio” (N.Castellino e N. Sannolo); “Conclusioni” (G. Graziani).

Questo tema – l’ossicarbonismo – ha suscitato l’interesse dei cultoridella Medicina del Lavoro in più di una occasione congressuale; infatti,oltre le numerose comunicazioni presentate in un ampio arco di tempoche va dal IV Congresso svoltosi a Roma nel 1913 sino ai più recenti,una trattazione dell’argomento, organica e sistematica è stata presentataal XXI ed al XLV Congresso Nazionale di Medicina del Lavoro tenuti,rispettivamente, nel 1956 a Merano e nel 1982 a Sorrento.

In entrambe le occasioni il tema venne proposto e sviluppatodall’Istituto di Medicina del Lavoro di Napoli a dimostrazione che,accanto ad uno specifico interesse per un argomento meritevole diapprofondimenti scientifici, si ponevano, anche ragioni di ordine praticoe di ampia portata sociale; la presenza nell’area campana di industrie adelevato rischio di intossicazione da CO rendeva, infatti, il problema diparticolare interesse per la Medicina del Lavoro napoletana che sitrovava quotidianamente impegnata nella definizione di casi diintossicazione e nella soluzione dei relativi aspetti medico-legali edassicurativi.

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Come volle sottolineare Vigliani, in fase di discussione a conclusionedelle relazioni presentate al XXI Congresso (Merano, 1956),“l’ossicarbonismo cronico sembra una malattia regionale: gli svedesi hanno moltissimedenuncie per l’ossicarbonismo cronico, gli americani nessuna. A Milano non mirisulta che l’INAIL abbia mai avuto denuncie per ossicarbonismo cronico; a Romainvece sono state visitate decine di operai, provenienti da Terni, sospetti diossicarbonismo cronico”.

A questo rilievo possono essere attribuiti vari significati ma, nelrispetto che abbiamo per lo studioso, vorremmo escludere quellisegnatamente ironici o polemici ed essere propensi a ritenere che ilVigliani abbia voluto rimarcare come la maggiore attualità di alcuniproblemi di patologia professionale fosse realmente legata allaprevalenza, in determinate aree, di taluni insediamenti industrialiresponsabili di particolari rischi.

La trattazione che si fece dell’ossicarbonismo nel 1956 puntava asostenere l’esistenza di una patologia cronica da esposizione al CO(ossicarbonismo cronico professionale) attraverso i risultati di ricerchesperimentali su animali di laboratorio e di osservazioni cliniche susoggetti ricoverati presso la Clinica del Lavoro di Napoli i qualiavrebbero presentato una triade sintomatologica (cefalea-vertigini-astenia) e avevano una anamnesi lavorativa a rischio d’esposizione al CO.

I risultati delle ricerche sperimentali si basavano sullo studio dellevariazioni di alcune costanti ematiche che avrebbero potuto indicareeventuali compromissioni biologiche indotte dall’esposizione al tossico;mentre le osservazioni cliniche avrebbero testimoniato – attraverso lapresenza di sintomi subiettivi ed alterazioni obiettive – la presenza di unostato di intossicazione cronica.

Purtroppo i sintomi clinici subiettivi ed obiettivi non avevano alcunaspecificità e per altro l’indagine fu condotta su di una popolazionenumericamente esigua (ai fini di una indagine epidemiologica) e nonsufficientemente selezionata; alcuni soggetti, infatti, avevano unaesposizione protratta al CO ma anche presentavano episodid’intossicazione acuta all’anamnesi, e quindi gli elementi di confusionetra postumi di intossicazione acuta e patologia da ascrivereall’esposizione cronica in atto, erano numerosissimi.

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La dimostrazione di una reale lesività del CO a basse dosi diesposizione – quale responsabile di una intossicazione cronica – non siriuscì a portare all’evidenza dei congressisti per cui i commenti in tema didiscussione furono piuttosto negativi, ma, comunque, anche essi nonapportarono alcun chiarimento al già controverso problema. In effettiemersero conflitti personali o di Scuole; ad esempio Vigliani, che perprimo prese la parola, fu molto aspro nel formulare le sue considerazionied in fatti esordì affermando: “io ho avuto l’impressione che si sia lavoratomoltissimo in superficie, ma non si sia approfondito in modo conclusivo nessuno deiproblemi veramente fondamentali e maggiormente controversi della intossicazioneossicarbonica”. Inoltre rimarcò, come già riferito, gli aspetti geografico-regionali della tecnopatia e sottolineò, da una parte, la possibilità di poterstudiare sperimentalmente gli effetti ipossiemici o istotossici del CO alivello mitocondriale mediante microscopia elettronica e, dall’altra, comel’ipotesi di una pseudoemoglobina di Barkan, a sede intraepatica dotatadi particolare affinità per il CO non avesse avuto definitiva conferma.Vigliani concluse affermando: “se esiste o no un’ossicarbonismo cronico nonvoglio prendere posizione netta” ed inoltre che “il problema della intossicazioneprofessionale da CO si complica con l’abitudine al fumo. Se veramente si dovesseroavere intossicazioni croniche con quantità di CO estremamente deboli, buona parte deiforti fumatori di sigaretta dovrebbe essere considerata affetta da ossicarbonismocronico”.

Considerazione che comunque non aiuta a risolvere il problemadell’ossicarbonismo cronico professionale, in quanto altro non fa – inassenza di prove sull’esistenza o meno di un ossicarbonismo cronico deisoggetti fumatori – che ampliare il campo delle incertezze includendo neldibattito anche un’altra variante che è quella dell’ampia fascia di fumatoriprobabili soggetti esposti anche al rischio di ossicarbonismo.

Purtroppo all’epoca in cui si svolse questo primo Congresso nonerano sufficientemente note e diffuse le tecniche analitiche che potesserodeterminare i valori delle tensioni dei gas a livelli alveolare, ematico ecellulare e quindi i tentativi intrapresi per poter fornire un supportoall’ipotesi di interazione tra il CO e gli enzimi intracellulari dellarespirazione furono solo di tipo speculativo. Le stesse curve dieliminazione del CO dal sangue, in assenza di più approfondite nozionirelative alla cinetica del legame HbCO e della successiva dissociazione

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portarono a formulare ipotesi del tutto errate. Ad esempio Grazianisostenne che “dopo aver fatto inalare a soggetti circa 200 ml di CO, durante laprima ora successiva alla somministrazione del tossico la quantità di CO trovatanell’aria espirata raggiunge solo il 60-70% e nelle 4 ore successive il 96-98% per cuiè legittimo dedurre che il 40-30% del CO scomparso temporaneamente dal sangue enon eliminato si sia reversibilmente combinato con altre sostanze al di fuori dellacorrente sanguigna”.

In effetti la curva di eliminazione del CO dal sangue seguel’andamento esponenziale di una reazione di I ordine e quindi la quantitàdi CO eliminata nell’unità di tempo è proporzionale alla quantitàpresente nel sangue. Ciò spiega i dati surriferiti. Il tempo didimezzamento dell’HbCO in condizioni normali è di 4h, può esserefortemente ridotto a meno di 1 ora se il soggetto respira ossigeno puro equesto in quanto la cinetica di associazione e dissociazione dell’Hb conl’O2 e con il CO è retta dalla legge di azione di massa e la costante diaffinità relativa dell’Hb è di 1 per l’O2 e di 200 per il CO.

In conclusione, l’impostazione di questo Congresso fu di nettaispirazione clinica ed infatti la relazione principale di Caccuri fu centratasulla evidenziazione di sintomi ed effetti clinici spesso aspecifici e senzauna effettiva correlabilità con l’esposizione al CO. Gli obiettivi che irelatori si erano prefissati non vennero conseguiti, ma le stesseargomentazioni che animarono la discussione, pur fortemente dubitative,se non decisamente contrarie all’esistenza di un rischio e di una patologiacronica da inalazione di CO, parimenti non fornirono chiarificazioni. Lostesso Palmieri concludeva la sessione così replicando: “Il prof. Vigliani hadetto che rischiamo di uscire da questo Congresso con le idee un poco più confuse diquelle che avevamo portato entrando in questa sala. Io credo che questo non sia undemerito del Congresso, perché il riconoscere i punti controversi costituisce in definitivaun apporto che ci deve incitare ad una maggiore circospezione ed una maggioreprudenza. Soprattutto quando, come nel caso, non si tratta di discussioni puramenteaccademiche, ma di argomenti che hanno un immediato riflesso di carattereassistenziale e di carattere pecuniario”.

A distanza di 25 anni, in occasione del XLV Congresso di Medicinadel Lavoro, tenutosi a Sorrento nel 1982, venne ripreso il medesimotema.

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Nell’ampio intervallo di tempo trascorso tra i due Congressi si eranotenuti importanti Simposi Internazionali sulla fisiopatologia del CO – trai quali vanno ricordati: la “Conference on Biological effects of carbonmonoxide” tenuta a New York nel 1970, il Colloquio su “Health effectsof carbon monoxide environmental pollution” svoltosi nel 1973 aLussemburgo e il “Work-shop on carbon monoxide and cardiovasculardisease” del 1978 a Berlino – e le conoscenze in merito alcomportamento del tossico nell’organismo umano ed animale si eranoarricchite di notevoli contributi sperimentali; in particolare erano stateapprofondite le nozioni relative alla cinetica del CO, ai suoi legami con leemoproteine ed agli eventuali effetti biologici del tossico.

Nel frattempo anche la Medicina del Lavoro aveva allargato i propriorizzonti al di là della sola visione clinica dei vari problemi interessandosettori propri dell’igiene e della tossicologia, ed il differente approcciometodologico che caratterizzò questo successivo esamedell’ossicarbonismo professionale risentiva delle nuove acquisizioni inmateria.

Un ulteriore aspetto che caratterizzava questa successiva trattazionerispetto alla precedente era costituito dal fatto che, in conseguenza dellemigliorate condizioni igieniche degli ambienti di lavoro e dell’impegno dipiù sicure tecnologie, l’attenzione era rivolta sempre più allo studio deglieffetti derivanti da un’esposizione prolungata alle basse quantità di CO.Gli obiettivi si spostavano alla prevenzione della tecnopatia ed i mezzi diindagine non si basavano più sulla sola elencazione e ricerca dei sintomi,ma miravano a fissare livelli di esposizione cui correlare indici di rischio.

Il tema congressuale fu introdotto da Castellino, che illustrò lo statoattuale delle conoscenze sui meccanismi responsabili della tossicità delCO e si soffermò sul concetto di dose interna del tossico e sui livelli oltrei quali sono ravvisabili correlazioni dose-effetto e dose-risposta. Ilrelatore riferì sui valori limite di esposizione al tossico proposti daOrganismi Internazionali e sui livelli di HbCO corrispondenti,sottolineando che lo scopo ultimo delle presenti relazioni è quello diindividuare le condizioni operative per il controllo dell’ambiente e per lasorveglianza biologica e sanitaria onde realizzare una efficaceprevenzione e protezione dei lavoratori dal rischio di esposizione al CO.Ribadì che gli obiettivi di questo secondo studio sull’ossicarbonismo,

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non miravano a fornire risposte definitive e chiarificatrici ai moltiproblemi rimasti insoluti dal precedente Congresso del 1956 maaspiravano ad evidenziare elementi concreti per un routinario approcciopreventivo e diagnostico, sull’ambiente e sull’uomo, in tema di rischio daossicarbonismo.

Tenuto conto del fatto che grossi limiti analitici rendevanopraticamente impossibile la diretta dimostrazione di una interferenza “invivo” del CO sugli enzimi endocellulari, si era consapevoli che l’ipotesidi un meccanismo istotossico non poteva che venir esaminata in viaindiretta confrontando, in un modello globale, sia i valori delle affinitàrelative per il CO e l’O2 delle differenti emoproteine intracellulari, che ivalori delle pressioni parziali che i due gas assumevano nei varicompartimenti intra ed extracellulari e nello stesso torrente ematico. Unmodello del genere lasciava comunque seri dubbi sulla possibilità che ilCO, stabilmente legato all’Hb, si potesse liberare a livello cellulare perlegarsi alle emoproteine intracellulari. Tale eventualità avrebbe potutorealizzarsi solo in caso di esposizione massiva al CO, tale da determinare– oltre ad una elevatissima quota di HbCO (> al 60%) ai danni di unabassissima percentuale di HbO2 – una notevole pressione parziale delCO sciolto nel plasma e quindi di gas libero di interagire con gruppieminici intracellulari (“CO attivo”). Detta evenienza non è peròipotizzabile nell’esposizione anche protratta a basse concentrazioni diCO nell’aria espirata.

La prima relazione, svolta da Gobbato, rappresentò la premessaindispensabile alla valutazione del rischio di intossicazione da CO; ilRelatore rappresentò il turnover del CO mediante l’illustrazione di uncomplesso modello di distribuzione multicompartimentale del gasnell’organismo umano (compartimento ematico, muscolare e tissutale)del quale segnalò, comunque, i limiti dovuti al fatto che “la capacità di talicompartimenti non sempre è suscettibile di una precisa definizione”. “Tutte leequazioni, ad eccezione di quella di Peterson e Stewart, hanno un alto valorepredittivo. In conclusione si può affermare che quasi tutte le equazioni oggi disponibiliper valutare l’assorbimento del CO nel corso di esposizioni acute danno risultatisoddisfacenti e consentono una corretta previsione del rischio”. Soffermandosi sulleequazioni che descrivono l’eliminazione polmonare del CO il Relatorecolse l’occasione per segnalare, in aggiunta alle applicazioni terapeutiche,

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le implicazioni teoriche derivanti dallo studio del “lavaggio del CO”: “sela distribuzione del CO nell’organismo non è di tipo mono ma pluri-compartimentale,la curva di lavaggio sarà definita non da una esponenziale semplice, ma dallarisultante di più curve esponenziali, ciascuna riconducibile ai diversi compartimenti incui il gas si distribuisce ... i risultati di ulteriori indagini in questo campo potrannofornire quelle informazioni sulla capacità di distribuzione del CO nei varicompartimenti (Body-Stores) che ancora oggi fanno difetto e non consentono di gestireun modello più complesso, ma più approssimato alla realtà sul turnover del CO”.

La seconda relazione di Colicchio e Fati sugli effetti neurolesividell’esposizione prolungata a deboli concentrazioni di CO comprese unarassegna bibliografica sull’argomento ed uno studio statistico personale.La rassegna bibliografica non consentì di individuare livelli diesposizione e/o di dose interna ai quali eventuali effetti neurologici sonopresenti, cioè non consentì di individuare un sicuro indice di effetto. Irelatori affermarono: “malgrado i numerosi studi surriferiti esiste ancoraincertezza sugli effetti neurolesivi del CO conseguenti ad esposizioni prolungate abasse concentrazioni ambientali. In particolare, è tuttora aleatoria la possibilità didefinire un livello della concentrazione ambientale di CO e/o del tasso di HbCO aldi là del quale i differenti effetti neurologici e psicologici comportamentali sonoconcordemente ritenuti presenti venendo a costituire così un sicuro indice di effetto”.

Nella quarta relazione Rossi riferì gli effetti del CO sul sistema cardio-vascolare che, secondo numerosi dati bibliografici, risultano dovuti adun’azione del CO adiuvante, piuttosto che direttamente determinante, losviluppo di ateromasia.

“I risultati delle ricerche sperimentali su animali esposti a lungo a deboliconcentrazioni di CO hanno mostrato che per tassi di HbCO del 18% non siinstaurano lesioni a carico del miocardio e dei vasi. Alterazioni aterosclerotiche si sonoriscontrate però per tassi di HbCO del 9% se contemporaneamente all’esposizione sisottoponevano gli animali a diete ricche di colesterolo. Le indagini epidemiologiche voltea stabilire negli uomini eventuali rapporti fra manifestazioni aterosclerotiche e tassiematici di HbCO% hanno talvolta consentito di dimostrare come l’incidenza dellamalattia aterosclerotica fosse maggiore nei gruppi di soggetti fumatori con tassi diHbCO superiori al 5%. Ma talvolta invece il ruolo dell’HbCO è risultato dubbio,non essendosi potuto escludere il contributo di altri elementi lesivi, quali la nicotina ela dieta ricca di lipidi. A tal proposito si ricorda che indagini epidemiologiche svolte inGiappone, dove la dieta è povera di grassi e di colesterolo, hanno dato risultati negativi

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fra forti fumatori con tassi di HbCO anche del 15%. Allo stato attuale delleconoscenze, quindi, l’aumento del tasso di HbCO% rappresenta un probabile fattoreadiuvante lo sviluppo dell’ateromasia, piuttosto che un fattore direttamenteresponsabile di esso”.

Il Relatore conclude: “Da ciò la necessità di assidui controlli periodici,ambientali e medici e l’opportunità di riconsiderare i valori consigliati per breviesposizioni, costituendo queste le condizioni che più facilmente sono capaci di romperel’equilibrio che si instaura nell’organismo umano per protratte esposizioni aconcentrazioni di CO non superiori agli attuali TLV-TWA, che dalla disamina deidati bibliografici sono risultati privi di gravi effetti lesivi a carico dell’apparatocardiovascolare”.

La relazione di Levine e coll. fa il punto sulla terapiadell’intossicazione acuta da CO che a volte risulta associata adintossicazione da cianuro: “there will be some effect on the brain in all periodswhen the carbon monoxide is above a level of 20%”. “But when one deals withcarbon monoxide particulary in relation to exposure to fire and smoke inhalation,other gases are present which must be considered. Chief among these is cyanide foundas HCN. Reports indicate that this gas is found in all conflagrations, and that itsaction must be considered in addition to that of carbon monoxide. Cyanide acts as apoison by inactivating the enzyme cytochrome oxidase, which enables the cells of thetissue to utilize oxygen. Consequently the degree of hypoxia is influenced not only bythe oxygen deficit in the blood, but by the presence of cyanide wich increases the tissuehypoxia to a much greater extent”.

Il Relatore comunica quindi i lusinghieri risultati ottenuti in 175soggetti intossicati acutamente da CO e trattati con ossigeno iperbarico(100% a 3 ATA) somministrato in sedute di 1 ora per numerosi giorniconsecutivi.

In alcuni casi si sono resi necessari trattamenti protratti per circa 1mese, ma al termine si è sempre ottenuto la scomparsa dei sintomineuropsichici (perdita della memoria, irritabilità, tremore alla mano); ilrelatore conclude: “Only by such a program will the serious consequences ofhypoxic damage caused by CO and CN, which are generally not even recognized orrelated to the previous poisoning, be prevented and eliminated completely”.

L’ultima relazione, di Castellino e Sannolo, definì i criteri per ilmonitoraggio biologico dell’esposizione professionale al COcomprendente diversi parametri misurati in campioni biologici: livelli di

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HbCO, di 2,3-DPG, di tiocianati e di nicotina. Il nucleo della relazione ècostituito dalla proposta di classi di rischio, in analogia a quanto giàadottato per altri inquinanti in occasione del XLI Congresso di S.Margherita Ligure del 1978, individuate in base al livello di HbCO checostituisce, in mancanza di un attendibile indice di effetto, l’unicoparametro utilizzabile per la valutazione del rischio. Ad esso va aggiuntoil dosaggio della concentrazione del tiocianato nel siero per valutarel’entità dell’esposizione a CO da fumo di sigaretta.

I relatori proposero le seguenti classi di rischio per soggettiprofessionalmente esposti:

CLASSI DI RISCHIO PER SOGGETTI PROFESSIONALMENTE ESPOSTI

HbCO VOL. CO CO% % PPM

(s. venoso) (s. venoso) ARIA ESP.VALORI DI NONINTERVENTO

< 8 < 1,6 < 20 I LIVELLO

VALORI DISORVEGLIANZA

> 8 < 12 > 1,6 < 2,5 < 30 II LIVELLO

VALORI DIINTERVENTO

> 12 < 15 > 2,4 < 3,0 > 35 III LIVELLO

VALORI DIINTERVENTO

> 15 > 3,0 > 50 IV LIVELLO

Infine la relazione conclusiva fu tenuta da Graziani che riassunse ipunti salienti di ogni precedente intervento: “Gli scopi di queste relazionisono quelli di fornire, mediante dati della letteratura ed osservazioni personali, unasoluzione a taluni problemi riguardanti l’ossicarbonismo professionale tra i quali è inprimo luogo quello della definizione dei livelli di rischio che devono condizionare il tipodi intervento ai fini della sicurezza dei lavoratori esposti”. Inoltre “Per quantoconcerne il monitoraggio biologico dell’esposizione professionale al monossido dicarbonio, condivido l’utilità di proporre livelli crescenti di rischio allo scopo diindirizzare l’intervento del personale addetto alla sorveglianza dei soggetti esposti. Iquattro livelli crescenti di rischio proposti, sui quali concordo, sono stati definiti inbase a presupposti teorici ed a contributi sperimentali riguardanti la determinazione dicarbossiemoglobina nei soggetti esposti e ciò in quanto a tutt’oggi mancano altri validipunti di riferimento. In particolare, manca la dimostrazione di un attendibile indice dieffetto delle esposizioni a basse concentrazioni di monossido di carbonio”. Infine per

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quanto riguarda gli interventi terapeutici il Relatore conclude: “I risultatidell’ossigenoterapia iperbarica nell’ossicarbonismo acuto, esposti dal prof. Levine,indicano l’efficacia di tale cura nel rimuovere i disturbi definiti “the late syndrome ofCO and HCN poisoning”; Graziani conclude “L’uso dell’ossigenoterapiapotrebbe essere esteso con successo anche alle piccole o modeste intossicazioni acute damonossido di carbonio”. Che, aggiungiamo, sono di frequente riscontrospecie nel personale addetto ad intervenire in caso di incendi (frequentinelle nostre campagne, nei nostri boschi, pinete etc.) i quali avrebbero adisposizione un dispositivo terapeutico, l’ossigenoterapia, di indiscussa,scientifica efficacia

I risultati dei lavori concordarono con la proposta esposta daCastellino e Sannolo che indicarono nell’8% di HbCO il valore limitedella dose ematica di ossido di carbonio oltre il quale è necessarioprendere provvedimenti di sorveglianza sanitaria e/o di intervento.Detto valore dell’8% corrisponde in base alla elaborazione di modellimatematici, controlli sperimentali ed osservazioni epidemiologiche, allaquantità di CO assorbita dall’operaio e presente nel compartimentoematico, per esposizioni di 8 ore a concentrazioni di 50 ppm. A distanzadi anni la validità di questa scelta è stata ampiamente confermata dallaproposta, formulata nel 1984 dall’ACGIH, di fissare il BEI del COall’8% di HbCO, per esposizioni professionali di 8 ore.

***Abbiamo ritenuto utile recensire questo tema onde poter evidenziare

come la sostanziale differenza tra i due Congressi sia consistita nel fattoche, in quello del 1982, non si è più andati alla ricerca, nel singoloindividuo, del o dei sintomi clinici per formulare diagnosi di tecnopatiacronica, ma si è insistito sull’importanza della misura dell’inquinamentoambientale e della determinazione della quantità di CO assorbita comeindicatori imprescindibili dell’entità dell’esposizione e della dose. Al finedi una corretta prevenzione del rischio di ossicarbonismo, in tale sedevennero presentati modelli di schede per il monitoraggio biologico che,accanto ai valori di HbCO, elencavano anche altri test quali il dosaggiodel tiocianato e della nicotina nel plasma che consentono di precisare iltipo di esposizione e di “marcare” la quota di CO di provenienza dalfumo di tabacco.

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Tra il ’56 e l’82 la Medicina del Lavoro aveva compiuto il suodefinitivo viraggio verso quella vocazione preventiva e quei contenutiinterdisciplinari che hanno costituito, in modo inconfutabile, la suapeculiarità. Al di là del suo contenuto scientifico, riteniamo che larecensione di questo tema offra una panoramica completa di questofenomeno che volevamo rimarcare e che crediamo abbia rappresentato ilfisiologico progredire della Disciplina.

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CONCLUSIONI

Nella prefazione al pregevole volume Medicina del Lavoro, chel’autore – Luigi Ferrannini – definì “modesto manuale scritto... oltre a dare aglistudenti un testo... anche per sostenere l’affermazione che la Medicina del Lavoro deveavere carattere clinico, e che va studiata con metodo scientifico senza preconcettipartigiani e senza livori”, si coglie, inizialmente, un profondo senso diamarezza per un esordio difficile e contrastato (“... la Medicina del Lavoro,da tutti respinta e persino derisa come medicina dell’ozio, quando solo il coraggiosoentusiasmo dei pionieri contro accaniti misoneisti ne sorreggeva i primi incertipassi...”) seguito poi da un pieno entusiastico riconoscimento dellavalidità che Essa andava assumendo come Disciplina specialistica medica(“... ora, che pionieri sono diventati gli epigoni, è da tutti biamata: io dissi che èdiventata oramai come la vigna di Renzo ove tutta la gente del paese andava a farlegna; ognuno ne vorrebbe almeno un pezzo e per averlo cerca di acquistare diritto convariazioni e contorcimenti di titoli e con spostamenti di angoli visuali”).

E più oltre Ferrannini precisava: “... così la Medicina del Lavoro ha assuntocarattere e importanza di una funzione pubblica per un compito sociale che l’ha manmano portata allo studio delle malattie dette popolari o sociali, ossia a larga diffusioneper la loro contagiosità e trasmissibilità e per l’influsso delle condizioni generali divita...” ed infine “... lavoro ed industria oggi racchiudono un innumerevole quantitàdi insidie, di pericoli, di sofferenze, di disastri; nel loro immane palpito cadonoquotidianamente – eroi di oscuro martirio – vittime sempre più numerose, a misurache l’attività umana va sempre più intensificandosi e i moderni meccanismi vannofacendosi ogni giorno più complicati e più possenti”.

Questi concetti così validamente e vivamente espressi alla fine deglianni ’20 – quando il Ferranini diede alla stampa il suo volume – stanno adimostrare quanto fosse grande la volontà di dar vita ad una brancaspecialistica che, conservando i propri caratteri clinici, affrontasse i grossiproblemi sociali che sconfinavano, per la loro “popolarità e diffusione”con i problemi sanitari dei lavoratori, nell’accezione ampia del termine.

Quelle affermazioni hanno anche un profondo significatopreconizzante ed offrono al lettore una visione ampia su quelli che erano

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i reali obiettivi che gli internisti volevano raggiungere sviluppando unamedicina specificamente diretta alla tutela dell’uomo che lavora.

La Medicina del Lavoro iniziò proprio all’alba del nuovo secolo conuna serie di impegni a livello accademico (incarichi per insegnamentiuniversitari, corsi liberi, pubblicazioni di testi di studi...) ed a livello diinterventi pratici, animata dalla ferma volontà di lottare affinché venissericonosciuto e rispettato il suo campo di applicazione.

È quanto si è nuovamente manifestato in questi ultimi dieci annidurante i quali la Medicina del Lavoro ha dovuto “riconvincere” ilmondo del lavoro (ed in parte quello accademico) che non a caso ilLegislatore aveva identificato una sola fascia specialistica per l’attuazionedel D.Lgs. 626/94; egli non si era limitato a richiedere il solo possessodella laurea in Medicina, ma aveva privilegiato quel bagaglio culturalespecifico e complesso che costituisce il percorso formativo dellospecialista in Medicina del Lavoro. Ciò è stato più volte sottolineato enon è il caso di dilungarci oltre.

Come più volte ricordato, con questo breve scritto ci siamo postil’obiettivo di illustrare il lungo cammino della Medicina del Lavoro che,sorta dal grembo della grande Scuola italiana di Medicina Interna, ebbeinizialmente esclusivo carattere clinico, ma rapidamente assunse queiconnotati interdisciplinari e quella naturale inclinazione alla prevenzioneche l’hanno fortemente caratterizzata.

Numerosi furono gli studiosi – i pionieri e gli epigoniprecedentemente citati – ai quali va il merito e il riconoscimento di averprima tenuto a battesimo la Medicina del Lavoro, e compiuto, poi,questo processo evolutivo; solo alcuni sono stati da noi citati in questobreve testo – per ragioni di spazio – e decisamente solo pochi perrapporto ai tanti che sono invece rimasti nell’ombra.

Non credo si possa più temere che la nostra “vigna” – come quella diRenzo – possa essere depredata; oggi la Medicina del Lavoro ha ottenutoil pieno consenso sociale, oltre che scientifico, e quindi spetta solo a noispecialisti (Medici Competenti) di continuare a prodigarci seguendo ilgrande esempio che ci è stato trasmesso.

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NOTE

1ATTI DEL I CONGRESSO NAZIONALE PALERMO 1907

“La clinica delle malattie professionali di Milano nei suoi edifici e nei suoi rapporticogli studiosi delle tecnopatie e coi medici pratici”

Relazione del prof. Devoto pp. 238-240

“L’oratore illustra la nuova clinica delle malattie professionali di Milano e presenta ipiani dettagliati dell’edificio clinico, studiato con grande cura sotto la guida dell’illustreingegnere prof. Saldini, che coprendo circa 1500 m2 sorgerà in mezzo ad un’area di5000 m2 limitrofa all’Ospedale Maggiore, ai padiglioni chirurgici, e alla ClinicaGinecologica. L’appalto è stato affidato ad una rinomata ditta che per l’obbligo dicontratto lo darà finito per il 31 agosto 1908. L’edificio al momento del suofunzionamento verrà a costare circa 600 mila lire.

Passa in rassegna i dettagli tecnici delle camere per i malati, dei vari laboratori,accenna alle funzioni della nuova clinica e svolge il programma dei concorsi ai posti deimedici corrispondenti e coadiutori corrispondenti che saranno buoni elementi per ilfunzionamento dell’istituto stesso e che diverranno parti integranti dello svilupposcientifico della clinica delle malattie professionali.

Vuol ricordata l’opera nobilissima delle amministrazioni comunali di Milano che,nell’atto di accingersi alla creazione di quelle scuole cliniche di perfezionamento versocui tendono tutte le grandi città dell’America, dell’Inghilterra e della Germania, havoluto l’erezione di una clinica per lo studio e la cura delle malattie del lavoro”.

Si continua con le seguenti proposte:Il Presidente: propone un voto di plauso al prof. Devoto che ha iniziato in Italia

questo nuovo movimento scientifico e che ha, col suo consiglio e con l’opera di fervidoapostolo, fatto sorgere a Milano un Istituto che farà onore non solamente alla città, maall’Italia tutta, perché un’idea non vi poteva essere meglio attuata.

Bernabei: propone al Congresso di esprimere l’augurio che lo splendido esempiodato da Milano, a cui deve andare il nostro pieno plauso, possa essere imitato dall’Italiacentrale e meridionale, perché i benefici della geniale e provvida istituzione socialepossano essere conforto e protezione di quanti vivono di lavoro e contribuiscono collavoro alla ricchezza e grandezza d’Italia.

Monti: plaude alla iniziativa della nobile Milano che ha creato la prima clinica dellavoro. Ritiene indispensabile creare altri istituti consimili nell’Italia centrale e nell’Italia

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meridionale e fa voti che nella Università si abbiano, sotto forma di corsi liberi,insegnamenti di patologia del lavoro.

In questo senso presenta un ordine del giorno a firma anche dei professoriBernabei, Barbera, Bossi, Biondi e avvocato Cesare Lauro.

“Il Congresso:fa plauso alla gloriosa iniziativa che ha creato in Milano la prima clinica delle

malattie del lavoro ed al sapiente ordinamento della nuova istituzione che risponde adun nuovo compito assegnato alla medicina scientifica della civiltà industriale;

si augura che sorgano almeno altri due istituti consimili uno nell’Italia centrale ed unaltro nell’Italia meridionale;

fa voti perché nelle università si abbiano, o sotto forma di corsi liberi o sotto formadi corsi complementari, insegnamenti di patologia del lavoro con carattere dimostrativoe pratico, sufficienti a preparare buoni corrispondenti per l’Istituto di Milano e buonicultori della medicina sociale.

L’ordine del giorno viene approvato all’unanimità.Greco: esprime un voto di plauso al sindaco della città di Milano che iniziata

un’opera si alta e civile e propone il seguente telegramma:Sindaco Milano

Primo congresso nazionale Malattie lavoro sentita relazione prof. Devoto nuovoistituto malattie professionali, mentre plaude opera illustre professore, esprimesentimento viva ammirazione civile colta città Milano, iniziatrice opera grandiosa, lustro,decoro Italia rispondente principi umanitari e progresso scienza.

La proposta è approvata all’unanimità”.

2ATTI DEL XII CONGRESSO NAZIONALE NAPOLI 1936

Seduta inaugurale del 26 ottobre pp. 363-368

Presiede l’on. CASTELLINO.1) MAUGERI: Sulla terapia del saturnismo.“Sulla scorta di osservazioni cliniche e sperimentali l’O. sostiene che nel saturnismo

a sindrome acuta occorre somministrare calcio per via endovenosa. Nel saturnismocronico ed anche negli altri casi di saturnismo passato lo stadio acuto la terapia devemirare alla depiombizzazione dell’organismo. La depiombizzazione si ottiene facilmentemediante iniezioni endovenose di solfato di magnesio.

L’O. ritiene errata la somministrazione di calcio per la profilassi del saturnismo e faampie riserve sulla indicazione di una dieta alcaligena allo stesso scopo. Per la profilassioccorre di impedire la fissazione del piombo eventualmente assorbito: mentre il calcio ela dieta alcaligena favorirebbero questa fissazione nei tessuti”.

2) MAUGERI: Sul valore della ricerca del piombo nelle urine per la diagnosi delsaturnismo.

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“La ricerca del piombo nelle urine ed in genere nei liquidi organici è stata praticatamolto frequentemente con i diversi macro e micrometodi. Però tale ricerca ha perdutomolto del suo valore pratico perché i metodi adoperati in passato erano molto pocosensibili e potevano svelare la presenza del piombo quando già elementi clinici eranosufficienti a far porre la diagnosi di saturnismo...

... In una recente pubblicazione il prof. Preti ed io abbiamo reso noto una tecnicamolto semplice per la determinazione nelle urine. Noi siamo partiti dall’osservazione diFischer che il difeniltiocarbazone o ditizone forma coi metalli pesanti un compostocolorato in rosso e solubile in cloroformio. Se la reazione si svolge in ambientecontenente cianuri ed acido citrico essa diventa specifica per il piombo...

... Senza ricordare dettagliatamente le singole osservazioni, mi limiterò ad accennareche negli individui normali od ammalati ma che non avevano mai avuto la possibilità diintrodurre piombo nel loro organismo, la ricerca del piombo è stata costantementenegativa; fatto del resto che avevamo largamente constatato nelle nostre ricerche fattedurante la elaborazione del metodo di determinazione del piombo.

Negli individui invece, i quali avevano lavorato con preparati piombiferi od in quelliche presentavano segni manifesti di saturnismo abbiamo ottenuto risultati differenti aseconda delle manifestazioni cliniche presentate. Negli ammalati di forme acute disaturnismo abbiamo trovato costantemente la presenza di piombo nelle urine; ma inalcuni casi la quantità di questo metallo era considerevole, in altri casi invece esse erapiuttosto scarsa. Ad ogni modo possiamo dire che nel saturnismo con manifestazioniacute la presenza di piombo nelle urine può essere considerata come un segno costantedella affezione.

Nei casi invece di saturnismo cronico ed in quelli dove esisteva solo il sospettodell’intossicazione i risultati della ricerca non sono stati uniformi. In alcuni casi infattiabbiamo potuto rintracciare questo metallo nelle urine; in altri invece questo era assentealmeno secondo il nostro metodo di ricerca: eppure talvolta ci trovavamo di fronte adindividui sicuramente saturnini cronici...”.

Al termine della presentazione ha la parola il prof. VIGLIANI:“Trova le comunicazioni del prof. Maugeri molto interessanti: si permette di fare

osservare, a proposito della terapia del saturnismo, che la propria esperienza non lo hamai convinto della diminuzione della eliminazione delle porfirine in seguito alla terapiacalcica, nonostante le dosi piuttosto elevate iniettate endovena. Riguardo alla secondacomunicazione afferma che al metodo colorimetrico, spesse volte impreciso econgiunto a forti perdite di piombo è da preferirsi quello spettrografico, che è veloce,facile e del tutto sicuro, e che inoltre fornisce una documentazione stabile, la lastrafotografica, dei risultati ottenuti”.

Risponde il prof. MAUGERI:“A proposito dell’azione del calcio sulle porfirine le osservazioni del prof. Vigliani

sono in contrasto con quelle di Massa, di Massa e Battistini, di Emminger e Battistini, iquali hanno osservato che alla somministrazione di calcio segue una spiccata

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diminuzione della porfinuria. Ulteriori ricerche nella Clinica del Lavoro hannoconfermato tali constatazioni. A proposito della ricerca del piombo nelle urine ilmetodo spettrografico proposto dal prof. Vigliani è qualitativamente superiore agli altri.Ma a scopi pratici non può essere usato per difficoltà di tecnica, e per la necessità diapparecchi speciali che solo istituti speciali possono avere. Il metodo da me adoperato ètecnicamente molto semplice, non richiede apparecchi speciali e dà risultatisufficientemente esatti”.

3ATTI DEL XII CONGRESSO NAZIONALE NAPOLI 1936

“Proposta di ricerche di medicina del lavoro”Comunicazione del prof. Romanelli pp. 123-124

Presiede il prof. Ferrannini.Ha la parola il prof. ROMANELLI, che svolge la sua comunicazione “Proposta di

ricerche di Medicina del lavoro”.“Non vi è dubbio che gli studi e le ricerche dei cultori della Medicina del Lavoro

hanno guidato, anzi determinata, tutta l’azione dei legislatori a favore dei lavoratori.Legislazione sociale atta a prevenire e ad indennizzare i danni che dal lavoro possonoderivare. Legislazione che va dall’indennizzo in caso di infortunio sul lavoroall’assicurazione contro la tubercolosi, all’assicurazione contro l’invalidità e vecchiaia, aquella contro le malattie professionali, alle Casse Mutue di malattia e, per riassumere,alla promulgazione della Carta del Lavoro Italiana del 1927 che ha consacrato i dirittidel lavoro e che è vanto dell’Italia Fascista.

L’opera degli studiosi e dei ricercatori è stata rivolta fino ad oggi alla determinazionedei danni di cui il lavoro era la causa.

Ma vi è a mio modo di vedere un campo di studi che, per quanto io sappia, non èstato approfondito.

Sarebbe, a mio modo di vedere, molto utile un contributo della Medicina del Lavoroche potesse dimostrare di quanto la vita umana viene abbreviata a causa dei vari lavorinei quali l’attività dell’uomo si esplica.

Ed un altro campo di lavoro potrebbe essere quello dello studio e della ricerca dellafrequenza e delle cause che determinano la invalidità totale permanente dovuta ai varilavori dell’uomo...

... Sarebbe più opportuno stimolare molti lavori sull’argomento; fissando magaripremi a coloro che ci daranno il migliore contributo. Ad ogni modo il Comitatodirettivo della Società potrà meglio determinare la linea di condotta più adatta”.

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4ATTI DEL IV CONGRESSO NAZIONALE ROMA 1913

“Anchilostomiasi”Relazione del prof. Bozzolo p. 77

“Noi dobbiamo essere grati a quei nostri colleghi che si sono fatti eco in Parlamentodei pericoli che sovrastano alle nostre classi lavoratrici per l’estendersi dellaanchilostomiasi, e di avere incitato il Governo ad agire per riconoscerne la vera portatae a porre in pratica i mezzi per debellarla. Ma alla azione del Governo deve aggiungersil’iniziativa privata e l’aiuto intelligente degli industriali i quali, dopo gli operai, sono i piùinteressati a far scomparire questa causa di danni economici dei quali essi sono imaggiormente colpiti”.

5ATTI DEL IV CONGRESSO NAZIONALE ROMA 1913

“Anchilostomiasi”Relazione del prof. Trambusti pp. 86-87

“Ora, fra i centri di maggiore infezione a cui urge di provvedere tengono il tristeprimato le zolfare di Sicilia, dove, come ho già detto, l’anchilostoma ha fatto e continuaa fare strage.

Disgraziatamente a far cessare uno stato di cose così deplorevole non è semprefacile adottare pel risanamento delle zolfare siciliane, quei mezzi di lotta che in altricentri minerari si sono dimostrati efficaci.

In una mia recente pubblicazione ne ho dimostrato le ragioni, tra le quali,principalissime, le condizioni speciali della lavorazione e la scarsa evoluzione di questaclasse operaia”.

“Di fronte alla gravità e all’impressionante dilagare della infezione non c’è chi nonveda la necessità di un pronto ed energico provvedimento.

Troppi voti sono stati fatti in più di un Congresso perché io torni a proporne deinuovi.

Le cognizioni già acquistate sulla biologia del parassita, e i mezzi curativi eprofilattici che possiamo mettere in opera, ci danno ormai modo di combattereefficacemente l’anchilostoma”.

6ATTI DEL III CONGRESSO NAZIONALE TORINO 1911

Discorso inaugurale del senatore Bozzolo p. 42

“... Ecco i due punti estremi ed integrantisi del problema operaio: al principio eticodel dovere al lavoro, dobbiamo associare quello fisiologico del diritto alla vita...

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... così lo studio della “miseria fisiologica” delle masse entrò in una fase pratica erisolutiva quando si prese a studiare l’uomo proletario secondo i metodi della medicinae delle scienze naturali, le sole che studiano con esattezza i fenomeni della vita....

... prima fra le cause della inferiorità organica delle classi operaie e agricole e dellascarsa resistenza alle malattie è l’insufficienza di alimentazione che una cospicua serie diricerche, tra le quali varie ed ottime di biologi italiani, ha dimostrato essere un caratterecomune della vita di gran parte della nostra popolazione povera; fenomeno che ilSonnino definiva colla espressione di “fame fisiologica” che più esattamente dovrebbedirsi “fame cronica”...

... questa debolezza fisica della popolazione operaia, d’onde la elevata morbilità emortalità, non è fatale, inamovibile; gli studi di igiene sociale hanno posto in evidenza lealtre cause che la determinano oltre la insufficiente alimentazione, quali, le abitazionimalsane, il vestiario insufficiente, la scarsa educazione intellettuale fisica ed igienica, illavoro troppo faticoso, di durata troppo lunga, insalubre e pericoloso”.

7TEMI CONGRESSUALI

“Le malattie del lavoro negli operai delle miniere bergamasche” (I Congresso)“Alcuni brevi osservazioni sulle condizioni igieniche del lavoro degli adulti, delle donne

e dei fanciulli” (I Congresso)“Anchilostomiasi” (I Congresso)“L’ematologia nell’Anchilostomiasi” (II Congresso)“Per proteggere gli operai delle industrie dalla malattia del carbonchio” (II Congresso)“Lavoro a domicilio. Mali e rimedi inerenti” (II Congresso)“Infezioni di stalla nei contadini” (II Congresso)“L’influenza del lavoro sulla digestione gastrica” (II Congresso)“La mestruazione nelle lavoratrici di tabacco” (II Congresso)“La sifilide nelle balie mercenarie” (II Congresso)“Distrofia tiroidea da strapazzo” (II Congresso)“Risultati di un’inchiesta sulla natalità e sulla mortalità infantile nelle classi operaie ed

agricole torinesi” (III Congresso)“Sui rapporti esistenti tra professione e andamento della gravidanza” (III Congresso)“Le mani dei costruttori di sporte” (III Congresso)“Uno sguardo ai primi 18 mesi di attività della clinica delle Malattie Professionali di

Milano” (III Congresso)“Sulla ricerca del piombo nel sangue e nelle orine” (III Congresso)“Sulle modificazioni che subiscono i legumi nel tubo digerente umano” (III Congresso)“I laboratori di sartoria per signora in Torino dal punto di vista igienico” (III Congresso)

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“Il colera nelle lavandaie” (III Congresso)“Lo sviluppo somatico della fanciulla operaia durante l’adolescenza” (III Congresso)“Mortalità infantile in rapporto alle condizioni sociali e alla professione dei genitori”

(IV Congresso)“Malattie del sangue di origine professionale” (IV Congresso)“Dermatiti di origine professionale” (IV Congresso)“Patologia professionale dei ferrovieri” (IV Congresso)

8ATTI DEL XII CONGRESSO NAZIONALE NAPOLI 1936

Discorso inaugurale del prof. Ferrannini p. 8

“Ed io mi lusingo che ancora molti ricordino che trent’anni fa è sorto qui – comeun atto di fede – il primo insegnamento ufficiale di Malattie professionali, cominciato il1° gennaio 1907 senza alcun mezzo proprio, in una forma modestissima, che pur tanticonsensi, entusiasmi, collaborazioni, interessamenti suscitò ed altrettanti ostacoliincontrò; e, anche in mezzo a difficoltà di ogni genere, riuscì per sola sua forzaintrinseca a svilupparsi in un istituto che divenne particolarmente ricco ed attivo fino agiustificare forse a pieno invidie, risentimenti e gelosie che ne decretarono il supplizio,pur senza poterlo a pieno eseguire, facendo dell’atto di fede un auto-da-fè.

Dalle sue ceneri, ancora calde, su proposta di un valoroso superstite, sorse più tardi,il 12 ottobre 1929, inspirandosi alla monumentale Carta del Lavoro di recentepromulgata e come affermazione d’indirizzo prima e dopo costantemente perseguito, laSocietà Italiana della Medicina del Lavoro, in seno all’VIII Congresso nostro nazionale,qui, nell’aula in cui risuonava possente la voce di Pietro Castellino, Clinico Medico dicui tuttora sentiamo l’eco affascinante, nella generosa ospitalità di Lui, che volle anchericordare “le aspre lotte insieme sostenute per la Medicina del Lavoro a Napoli” e tuttoil suo interessamento affinché l’insegnamento fosse rimasto ed avesse improntastrettamente clinica.

Fu inspiratore, patrono e padre della nostra Società – e mi addolora assai il doverlosupplire oggi nella presidenza di essa – un indimenticabile, impareggiabile Maestro, chefin dall’inizio avevamo avuto sempre con noi, guida sicura ed infallibile ed animatoreinsuperabile, che ora per la prima volta manca in un congresso nostro, e di cuirimpiangiamo con vivo dolore la recente irreparabile perdita: Luigi Devoto!”

9“LA STORIA AVVENTUROSA DELLA MEDICINA DEL LAVORO”L. Ferrannini su Nuova Antologia dicembre 1947, vol. CDXLI pp. 315-316

“A Milano il 2 marzo 1893 era morto l’ing. Siro Valerio istituendo suo erede ilComune, perché con la sua sostanza, capitale e relative rendite, aumentate per un tempoabbastanza lungo, si costituisse un fondo da servire, alla fondazione o al trasferimento

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in Milano di un’Università per lo studio delle scienze, o per lo meno di qualche sezionedi esse e, prima d’altro, preferibilmente della Facoltà medico-chirurgica. UnaCommissione, nominata dal consiglio comunale di Milano il 26 settembre 1901 di cuifacevano parte De Cristofori, Mangiagalli, Panzeri e Porro, fu unanime nel concetto dicreare un istituto superiore di studi medici, istituti clinici di perfezionamento, tra i qualiuna Clinica del Lavoro.

Frattanto la sera del 13 aprile 1902, ad un banchetto offerto dalla Giunta comunaledi Milano, il prof. De Cristofori, allora assessore del Comune, dopo aver salutato ipresenti ed accennato alla prossima apertura del traforo del Sempione, che dopo quellodel Gottardo (ove oltre 10000 nostri operai avevano lasciato la vita per anchilostomiasiper cui Boselli lo definì una necropoli per gli Italiani), era forse destinato a farealtrettante vittime tra le migliaia di operai accorrentivi per lavorare, aggiungeva: Io nonmi sento di far brindisi, ma sento invece nell’animo un pensiero che voglio esporre a voitutti. Pare a me che il miglior modo di celebrare questo grande trionfo del lavoro che sierigerà sopra non poche vittime, sia quello di riunire ad un convegno internazionalequanti hanno studiato e studiano in Italia e fuori i problemi igienici e clinici del lavoro.Signori, a rivederci a questo Congresso, al quale spero di vedervi tanto più numerosi, inquanto il Comune di Milano per bocca del mio illustre amico, senatore Mussi sindaco diMilano qui presente, adempirà nobilmente e signorilmente ai doveri della più larga edamica ospitalità”. Un grande e prolungato applauso accolse le nobili parole dell’on. prof.M. De Cristofori, che fu invitato subito ad assumere la presidenza del Comitatoorganizzatore del nuovo Congresso, di cui il prof. L. Devoto fu nominato segretariogenerale, e che il 5 maggio iniziò la sua attività.

Lo stesso sindaco Mussi, il 20 novembre dello stesso anno in seno al Consigliocomunale, precisava le finalità della nuova Clinica con le storiche parole che poi furonoincise nell’atrio della Clinica stessa: Studiare scientificamente le cause delle malattieprofessionali, diffondendone la conoscenza clinica tra i medici, ospitare a scopodiagnostico e terapeutico i lavoratori sospetti iniziati od inoltrati nelle malattieprofessionali, controllare periodicamente lo stato di salute degli operai addetti alleindustrie in genere e ai lavori insalubri in modo speciale”.

10ATTI DEL I CONGRESSO PALERMO 1907

“Intervento dello stato per la tutela della salute dei contadini in campagna”Comunicazione del dott. Di Leo pp. 171-172

Il presidente prof. Devoto dà la parola al dott. Francesco Di Leo, sull’interventodello Stato per la tutela della salute dei contadini in campagna.

L’O. sottolinea “l’obbligatorietà dello Stato, a tutelare la salute degli operai incampagna, e nelle miniere. Costoro hanno saputo farli sollevare dall’avvilimento penosoin cui si erano adattati, pecudum ritu; a furia di veri sacrifici, ne hanno migliorata lacoscienza, così da vedere quasi emancipata dal servilismo e militarizzata questa

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benemerita classe di lavoratori della terra, da cui proviene la ricchezza nazionale; mafinora non hanno reclamato ed ottenuto da chi dirige le sorti della Nazione la tuteladella salute degli stessi.

In atto uomini di governo, scienziati... fanno a gara perché venga risolta la fatalequestione della crisi agricola del mezzogiorno, ...ma resta sempre omessa la questionesanitaria.

L’O. cita le malattie di più facile riscontro che sono gravissime: la polmonite,l’insolazione, la meningite, la malaria, sotto tutti i vari tipi, il carbonchio, lagastroenterite, il reumatismo, l’erisipela, la cisti di echinococco, il tenia, il tetano. Vi diròaltresì di aver visto lavorare operai affetti da ulcere corneali con ipopion, con iridocicliti,con accessi glaucomatosi e perfino erniosi molto sofferenti”.

11ATTI DEL III CONGRESSO NAZIONALE TORINO 1911

Discorso inaugurale del senatore Bozzolo pp. 42-46

“... Assai spesso nei calcoli degli interessi vitali dell’industria, nelle discussionid’indole economica, si parla di coefficienti materiali, di fattori meccanici, finanziari,commerciali e così via, ma non si tiene abbastanza conto di un fattore che puredovrebbe essere il principale, del “fattore uomo” o se vogliamo del “motore uomo”, ilquale in fondo in fondo, col cervello e coi muscoli, è il produttore del lavoro, è il“summus movens “, dell’industria sia come direzione intellettuale, sia come forza emovimento muscolare.

L’uomo deve lavorare: laborem manus tuarum manducabis: è questo uno dei cardinidell’edifizio sociale, una condizione necessaria per la vita dell’uomo e dei popoli nelcontinuo attrito della selezione, della lotta per l’esistenza.

L’uomo deve lavorare! Ma l’uomo deve fruire delle condizioni più favorevolipossibili per produrre il lavoro, deve avere quel tanto di alimento e di riposo quanto èrichiesto dal suo bilancio organico, senza di che diminuirà la sua resistenza fisica, e diconseguenza la somma di lavoro che è capace di produrre.

L’argomento che è oggetto di questo nostro Congresso è dunque di una grandecomplessità: esso comprende due ordini di studi: lo studio della patologia del lavoro insenso generico, intesa come l’insieme dei danni che l’organismo risente dalla esageratafatica e dallo squilibrio fra nutrizione e lavoro, d’onde i problemi della intensa morbilitàe mortalità nel ceto operaio, la durata breve della vita media, la frequentissima invaliditàprecoce, la elevata mortalità infantile, l’incompatibilità fra lavoro operaio femminile efunzione materna; lo studio delle malattie professionali, sensu strictiore, vale a dire diquei malanni che l’operaio contrae lavorando in certe speciali industrie: infezionispeciali provocate, facilitate da certi generi di lavoro es.: la tubercolosi da respirazione dipulviscoli, il carbonchio dal maneggio delle pelli, dei crini di cavallo e così via:avvelenamenti cronici, dai notissimi, quali il saturnismo e l’idrargirismo, a quelli ancora

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in istudio, dovuti a sostanze chimiche organiche di recente uso industriale; traumi eneurosi traumatiche dei meccanici, dei macchinisti, dei ferrovieri. E così via”.

12ATTI DEL IV CONGRESSO NAZIONALE ROMA 1913

“Statistica nazionale della morbilità e mortalità delle classi lavoratrici, come base per lalegislazione igienica del lavoro, e le assicurazioni obbligatorie contro le malattie”

Comunicazione del dott. Ranelletti pp. 241-244

“In quest’opera di difesa sociale contro le malattie del lavoro, intese nel senso piùlato, l’Italia si è fatta precedere da altre Nazioni, cui essa fu pur maestra col Ramazzininel campo scientifico. Ebbene potremmo agevolare e affrettare anche da noi il nuovocodice dell’igiene del lavoro, preparando al legislatore la base ispiratrice e informativadella legge, mercè la raccolta dei dati statistici sulla natura, frequenza, durata, ecc. dellemalattie comuni e professionali delle classi lavoratrici. Giacché è evidente che non èpossibile pensare all’attuazione di adatti rimedi di prevenzione e di difesa, se prima nonsi ha sufficiente conoscenza della natura, diffusione, localizzazione, entità delle malattieda prevenire o curare”.

“Ma oltre la ragione della non ancora sufficiente preparazione dei medici per l’esattaconoscenza delle malattie professionali, fui indotto a preferire il tentativo di unastatistica della morbilità generale, per conoscerne l’entità e la differenza di essa nellevarie classi lavoratrici, e i danni economici consecutivi. Verremo così a raccoglierequegli elementi che potranno facilitare l’istituzione anche in Italia delle leggid’assicurazione obbligatoria contro le malattie, l’invalidità e la vecchiaia.

Coll’assicurazione volontaria contro l’invalidità e la vecchiaia offerta dalla Cassanazionale di Previdenza per gli operai, coll’assicurazione obbligatoria contro gliinfortuni del lavoro, colla cassa di Maternità, noi ci siamo già incamminati verso quelpiù grandioso edificio di assicurazioni sociali, che già vantano altri Paesi, specie laGermania e l’Inghilterra”.

13ATTI DEL IV CONGRESSO ROMA 1913

“L’assicurazione delle malattie professionali specifiche col sistema della lista”Comunicazione del dott. Bernacchi p. 350

“Il problema fondamentale va posto in questo modo: esistono oltre agli infortuni,delle malattie che derivano sicuramente, ed in modo prevalente, se non esclusivo, dallavoro; tali malattie avendo comune cogli infortuni l’origine dal rischio professionale,devono come gli infortuni del lavoro essere prevenute, curate e indennizzate, a caricodel datore di lavoro.

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Ciò premesso: è possibile la soluzione integrale dell’assicurazione contro questemalattie, a mezzo dell’assicurazione contro le malattie comuni e contro l’invalidità?

Noi rispondiamo recisamente di no; ed in appoggio della nostra opinionericordiamo: 1° che colle due assicurazioni sopraccennate, sono esclusi i casi di morte; 2°che l’assicurazione contro l’invalidità contempla solo i casi gravissimi (al di sopra dei2/3 della incapacità totale); 3° che l’assicurazione contro l’invalidità richiede una lungacarenza (fino a 5 anni); 4° che le pensioni di invalidità sono di gran lunga inferiori aquelle concesse per gli infortuni (da 1 a 5).

Ma d’altra parte si osserva dai fautori dell’assicurazione globale: è sempre possibileuna diagnosi clinica e medico-legale della malattia professionale? è possibile un regimeassicurativo speciale?

Rispondiamo: le malattie esclusivamente d’origine professionale non sononumerose. Citiamo, ad esempio, le malattie dei lavoratori in aria compressa. Però lemalattie che dal lavoro traggono la loro origine sicura e prevalente, non scarseggiano ecitiamo ad esempio la lunga serie delle intossicazioni croniche. Ma, si insiste dai nostricontraddittori: da queste malattie nettamente professionali si passa con limite netto nellemalattie comuni? Questo non possiamo affermare: ma appunto per questa condizionedi fatto rinunciamo a provvedere a tutte le possibili malattie da lavoro. Da ciò l’ideadella “lista” delle malattie assicurabili e delle industrie dove si presume che tali malattieabbiano in ogni caso l’origine professionale. Voi commettete una manifesta ingiustizia!si grida. Non una ingiustizia, rispondiamo, ma una opera incompleta, come avvienenella maggior parte dei provvedimenti d’indole sociale. Per questo criterio di relatività,abbiamo assicurato contro gli infortuni non tutte le industrie, ma solo quelle che hannomaggior pericolosità d’infortuni. Per questo criterio, la “lista” delle malattie assicurabili,andrà gradatamente allungandosi e trasformandosi, secondo lo sviluppo delleconoscenze di patologia e di medicina legale delle malattie da lavoro e secondo ilsorgere, l’evolvere, o il cessare delle industrie insalubri”.

“Concludiamo, affermando che un regime assicurativo speciale contro le malattieprofessionali, col sistema della “lista” è possibile, e che tale regime pur presentando deidifetti e delle gravi difficoltà, specie iniziali, risolve meglio che gli altri regimiattualmente in vigore, il quesito che si riferisce alla riparazione del rischio professionalenelle malattie da lavoro”.

“La ragione sostanziale che ci fa preferire il regime dell’assicurazione speciale delletecnopatie, al regime dell’assicurazione generale contro le malattie comuni e l’invalidità,è precisamente questa: obbligando l’industriale a indennizzare i casi gravi e conclamatidelle malattie derivanti dal lavoro insalubre, richiamiamo l’attenzione degli operai suipericoli delle malattie, in gran parte evitabili e stimoliamo l’industriale a diminuire ilrischio morbigeno, per diminuire l’onere dell’indennizzo. Bisogna distruggere il pregiudizioche le malattie del lavoro siano quasi una fatalità connaturata col lavoro stesso, una necessità di vitadell’industria. Contrariamente a quanto parrebbe a prima vista, sono più evitabili i dannidella salute che arrivano lentamente per la natura o l’ambiente di lavoro, cioè per unacausa nota, di quelli che dipendono dagli infortuni e cioè da una causa improvvisa,accidentale. Nel condizionalismo dell’infortunio il fattore prevalente sta nell’individuo

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che lavora: in quello della malattia professionale il fattore prevalente è nel lavoro. Noiarriviamo a dire che la insalubrità di un’industria deve essere tollerata fino ad un limiteche non è lecito sorpassare, cioè fino a quando si offendono i sacri diritti alla vitadell’operaio. Se un’industria uccide l’uomo necessariamente, questa industria deve essere soppressa”.

14ATTI DEL V CONGRESSO NAZIONALE FIRENZE 1922

Prefazione del prof. Prosperi pp. 1-3

“Nel Dicembre 1921, per accordi intervenuti fra il Prof. Luigi Devoto e il Prof.Arnolfo Ciampolini, fu deciso di riaprire la serie di Congressi di Medicina del Lavoro,interrotta dalla guerra e di organizzare il Quinto Congresso, dopo ben 9 anni da quellodi Roma, a Firenze anziché a Venezia, come era stato deciso a Roma, approfittandodelle facilitazioni offerte dalle feste primaverili fiorentine. Venezia cedette ben volentieriil suo turno a Firenze e mercè l’opera attiva e intelligente degli organizzatori in pochimesi il lavoro preparatorio era compiuto e il successo del Congresso assicurato.

Il fervore che i problemi del lavoro hanno suscitato nel dopo guerra fra gli studiosidei problemi sociali, fra le classi operaie e in particolar modo nel ceto medio italiano –che sente viva la fiamma della tradizione gloriosa di Bernardino Ramazzini – fu ilterreno fecondo, sul quale il Comitato organizzatore potè seminare colle più grandisperanze di successo.

La lunga parentesi della guerra e il particolare risalto che dalla guerra avevanoottenuto alcuni problemi di medicina del lavoro, i quali reclamavano la parola dei tecniciper maturare gli opportuni provvedimenti legislativi, davano un aspetto di particolareinteresse ai lavori del Congresso.

Così fu che all’appello del Comitato largamente da ogni angolo d’Italia – mercèanche l’opera dei vari Comitati regionali risposero entusiasticamente autorità politiche emediche, comuni, provincie, enti pubblici e privati, camere del lavoro, organizzazionioperaie e industriali”.

“Al tempo stesso fu curata la stampa di una edizione di squisito stile settecentesco divolgarizzazione del “De literatorum morbis dissertatio” di Bernardinino Ramazzini, coltesto latino opera egregiamente riuscita dello stesso Dottor Masi, molto gradita daicongressisti.

Particolare interesse suscitò l’esposizione dei mezzi di prevenzione degli infortuni edelle malattie del lavoro e pure riuscitissime furono le visite e le gite a stabilimentiindustriali, a istituti di assistenza, alle terme di Montecatini”.

“L’intervento del Governo rappresentato dal Ministro del Lavoro on. Arnaldo DelloSbarba, il quale nello smagliante discorso tenuto nella seduta inaugurale dette lasensazione di sentire profondamente l’importanza del compito riservato alla Medicinadel Lavoro e di voler dedicare la sua saggezza politica a concretare in norme legislative iresponsi scientifici emessi dal Congresso sui gravi problemi della prevenzione dellainvalidità, del saturnismo, della igiene agraria, specialmente nella profilassi antimalarica,

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dei turni di lavoro, dell’assicurazione degli infortuni e delle malattie del lavoro; la caldaadesione del Ministro della Pubblica Istruzione on. Anile, all’indomani dei suoiprogettati provvedimenti per l’igiene scolastica, ossia per la protezione della salute deigermogli dei futuri lavoratori della mente e del braccio, ci sono garanzia e speranza che ilavori del congresso segneranno una pagina degna del nome di Ramazzini e di Firenze”.

15ATTI DEL V CONGRESSO NAZIONALE FIRENZE 1922

“La prevenzione dell’invalidità di indole medica”Relazione del prof. Devoto pp. 73-96

“La grande sentenza prevenire più che curare le malattie ha conseguito sempre,anche nei tempi più oscuri, il consentimento dell’anima umana. Medici insigni, dei secoliscorsi, più particolarmente incaricati di trattare della terapia, hanno pronunziatesentenze divenute storiche, in quanto che essi con similitudine calzanti ribadirono lasuperiorità e la necessità delle prevenzioni. Di rado invece si è accennato, in terminiprecisi, alla profilassi della cronicità, della invalidità, o dell’incurabilità, ossia allaprotezione preventiva di quella schiera di dolenti, che, in ogni grande città, ebbero già intempi lontani, il loro nosocomio, frutto di pietà, esplicantesi in ospizio dirassegnazione”.

“La medicina moderna ha per obbiettivo non solo quello di liberare un individuodalla malattia acuta che lo ha colpito, non solo di impedire che questo individuoportatore di germi propaghi la malattia, ma deve restituire al malato quellaripristinazione integrale di salute che è consentita dallo stato attuale delle conquistescientifiche. Troppo di sovente si fa la cura della malattia acuta, senza appurare se ilpaziente ha ripreso il suo stato del periodo premorboso nell’atto di rimettersi alla suaconsueta attività professionale. Mentre v’è tutta una serie di malattie infettive suscettibilidi veder liquidato ogni loro reliquato dal riposo oltre la convalescenza, dallaalimentazione appropriata etc. sicché, innanzitutto l’infetto si mantenga compensato: epoi l’alimentazione, il riposo, il lavoro graduale e graduato, il lavoro all’aperto,esplichino tutte quelle altre azioni ristoratrici, che la patologia sperimentale ci dimostraoltremodo efficaci negli animali sottoposti a lunghi strapazzi.

“Dato questo sguardo d’insieme agli obiettivi della prevenzione ed in particolaredella prevenzione della invalidità, io accennerò ad alcune norme che meritano di essereesaminate per fornire una traccia agli enti assicurativi e agli studiosi.

Tra le misure più provvide e che io sottopongo alla benevolenza e considerazionedei colleghi, anche per dare una conclusione pratica al mio dire, io metto:1. La pagella biologica di ogni assicurato alla invalidità e vecchiaia.2. Le visite periodiche fatte da medici ai lavoratori e agli assicurati in genere.3. Il controllo di tutti i convalescenti di malattie infettive.4. Gli accordi cogli ospedali, coi comuni etc. per erigere convalescenziari etc. per

l’estensione delle cure climatiche e balneari.

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5. La istituzione dei medici sociali presso gli ospedali.6. Accordi o convenzioni tra la Cassa Nazionale e gli Istituti scientifici ed ancora

coll’Istituto Nazionale delle assicurazioni perché questo svolga le sue funzioni e lesue propagande profilattiche.

7. Le opere di educazione igienica popolare.8. La promulgazione del regolamento generale d’Igiene del lavoro al quale S.E. Dello

Sbarba vorrà legare il suo nome (questo è l’augurio che gli porgo anche a nome deisodalizi milanesi)

9. Ed infine la legge assicurazione contro le malattie, che sarà la base, il fondamento,l’atmosfera per il risorgimento igienico sanitario dell’Italia, degno cioè dell’altointelletto, dell’animo generoso ed operoso del popolo italiano”.

16ATTI DEL V CONGRESSO NAZIONALE DI FIRENZE 1922“Il moderno indirizzo per il benessere e l’incolumità dei lavoratori”

Relazione del prof. Levi pp. 149-152

“Accenneremo brevemente alle varie forme di assistenza sociale nell’industria, nellecase di commercio, nei grandi magazzini, nelle amministrazioni pubbliche.

I refettori tendono a dare all’operaio nutrimento semplice e buono sia fornendodirettamente le materie alimentari agli operai, sia dando loro modo di riscaldare quelleche essi portano dalle loro case. Tutte le bevande alcoliche sono bandite da questirefettori e ciò nonostante essi hanno avuto un enorme successo ed hanno portato ad unaccrescimento della produzione; questa infatti mostrava un notevole abbassamento nelleprime ore pomeridiane dalle 12 alle 15, abbassamento che è cessato là dove è statofornito il ristoro alimentare necessario. In molte Compagnie vi sono pure i così dettiBar di latte.

I vestiari con armadi individuali sono ovunque adottati e l’operaio non lavora checon vestimenta da lavoro.

Le fontane d’acqua potabile sono sparse ovunque, i lavabi e le docce sonolargamente usati con una proporzione di una cabina da doccia ed un lavabo per ogni 10operai.

Le sale da riposo sono specialmente usate nei laboratori femminili. Esse possonodividersi in tre categorie: i saloni, forniti di poltrone, divani, pianoforti, etc., dove ilpersonale si riunisce per leggere, chiacchierare ed occuparsi in manifestazioni artistiche;le sale da riposo, dove il silenzio è la regola, e non contengono che sedie a sdraio; le saledi isolamento, annesse al dipartimento medico e fornite di letti per il caso diindisposizioni o di malattie improvvise.

I campi da giuoco, diretti da monitori e monitrici scelti tra gli operai ed amministratida un comitato indipendente, in cui gli operai sono larghissimamente rappresentati.

Le case operaie ed i giardini operai hanno un’importanza capitale per la salute deilavoratori e le loro famiglie. Abbandonare le case operaie alla speculazione privata è un

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errore che costa miliardi all’industria. Il servizio delle Opere Sociali, se non costruiscedirettamente, deve però almeno poter consigliare e dirigere i lavoratori nella scelta delleabitazioni salubri disponibili in ogni data regione.

Le biblioteche, i cinematografi, i circoli operai, le società di divertimento, di studio,di arte, di escursioni, le cantine, le casse di risparmio, di prestito, di assicurazione controla malattia, l’invalidità, la vecchiaia e la vita costituiscono un insieme di opere checontribuiscono notevolmente al benessere degli operai e sul cui andamento gliindustriali debbono esercitare la primitiva vigilanza”.

17ATTI DEL V CONGRESSO NAZIONALE DI FIRENZE 1922“Il moderno indirizzo per il benessere e l’incolumità dei lavoratori”

Relazione del prof. Levi pp. 152-153

Principio fondamentale di quest’opera è che le istituzioni per l’incolumità deglioperai costituiscono un terreno comune sul quale i datori di lavoro ed i lavoratori chelavorano insieme per il reciproco beneficio, mettono le basi per migliori future relazioniindustriali.

“L’altro movimento, che ha assunto negli ultimi tempi un’importanza altrettantogrande, è il così detto Safety work o Opera per la Prevenzione degli infortuni.

Questa per quanto riguarda l’America, è concentrata in un Consiglio Nazionaledetto National Safety Council, che ha iniziato l’opera sua nel 1913 con 14 membri e cheora annovera 4.000 soci rappresentanti della maggiori industrie ferroviarie, di miniere, diuffici pubblici, di associazioni, di scuole tecniche, di compagnie di automobili, ecc.

È un’associazione corporativa tra datori di lavoro e simpatizzanti, non commercialee che esclude ogni profitto. È la grande Istituzione nazionale che organizza e dirige ilmovimento per l’incolumità dei lavoratori negli Stati Uniti.

Questa crociata ha dimostrato che il 75% di tutte le morti accidentali e degliinfortuni gravi nelle industrie può essere eliminato e che salvando queste migliaia di vitee di membra umane la società guadagna milioni di dollari, non solo in quanto riguardagli operai, conservando loro i salari di lavoro, ma pur anco in quanto riguarda leindustrie, perché i metodi usati per prevenire gli infortuni contribuiscono pure adaccrescere la produzione ed a migliorare l’andamento dell’industria.

Il consiglio svolge l’opera sua con differenti mezzi.1. Tutti i membri ricevono la rivista “The National Safety News” che espone in forma

straordinariamente efficace e con splendide illustrazioni ogni movimento nel campodella prevenzione degli infortuni.

2. I “Safety Bulletins” che sono piccoli manifesti di propaganda adatti ad ogni forma dilavoro ed hanno lo scopo di istruire gli operai sulla prevenzione degli infortuni inogni singola industria in cui essi vengono ad essere occupati. La centralizzazione diquesti lavori risparmia naturalmente ai direttori di officine ogni inutiledisperdimento di energie e di denaro.

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3. I “Safety Practices Pamphlets”, pubblicazioni tecniche da 12 a 16 pagine, che dannoinformazioni sull’organizzazione di determinate industrie in rapporto alla salute. Essisono il risultato di un’estesa inchiesta condotta dal Dipartimento Tecnico delconsiglio colla collaborazione di un Comitato composto dei 75 migliori SafetyEngineers del Paese, e sono scritti in modo che ogni operaio possa facilmente capirlie possa valersi delle cognizioni acquisite per l’utile propaganda nel suo ambiente dilavoro. La serie di queste pubblicazioni costituisce una vera e propria enciclopediadella materia.

4. Il Consiglio possiede una splendida libreria ed un Ufficio Informazioni, a cuimembri dell’associazione possono continuamente rivolgersi per documentarsi.

5. Congressi annuali. Ogni anno i membri dell’associazione si riuniscono in AnnualSafety Congress, che è frequentato da migliaia di persone ed in cui i problemi delmiglioramento e della prevenzione in genere nelle industrie vengono seriamentediscussi.

6. Cinematografia e Proiezioni. Tutti i membri del consiglio hanno diritto ad avere aspeciali condizioni produzioni cinematografiche e diapositive per la propagandaeducativa tra i loro impiegati.

7. Consigli Locali. Per iniziativa del consiglio centrale vanno creandosi ovunqueconsigli comunali e regionali, allo scopo di stimolare le iniziative locali.

8. Incolumità pubblica. Il Consiglio non si occupa solo dell’integrità dei lavoratoridell’industria, ma fa largamente propaganda per la protezione dei cittadini in genere,nelle case, nella strade, etc.

18CARTA DEL LAVORO

Nel 1927 fu promulgato il testo definitivo della Carta del Lavoro che aveva avutosvariati precedenti progetti tutti comunque miranti ad indicare i nuovi diritti e doveriattribuiti ai cittadini dello stato corporativo. La Carta esprimeva, nell’ambito delleesigenze dell’economia nazionale, una volontà di protezione diretta a “chiunqueproducesse nel campo economico, morale, scientifico ed artistico ponendo a contributoi mezzi di produzione e l’opera personale”. “Ogni attività produttiva è regolatanell’interesse della Nazione”.

Il testo definitivo era costituito da 30 articoli dei quali il 27° chiaramente interessavala Medicina del Lavoro. Esso così recitava:

“Lo stato fascista si propone:1) Il perfezionamento dell’assicurazione infortuni;2) Il miglioramento e l’estensione dell’assicurazione maternità;3) L’assicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi come avviamento

all’assicurazione generale contro tutte le malattie;4) Il perfezionamento dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria5) L’adozione di forme speciali assicurative dotalizie per i giovani lavoratori”.

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19ATTI DEL VII CONGRESSO NAZIONALE PARMA 1927“La carta del lavoro e l’assicurazione delle malattie da lavoro”

Comunicazione del prof. Ranelletti pp. 23-25

“È merito del Governo fascista d’avere tolto il nostro Paese, che pure era la Patriadi Ramazzini, da uno stato d’inferiorità di fronte ad altri Paesi, annunziando nella cartadel Lavoro anche l’assicurazione delle malattie professionali. Con tale assicurazione,unita a quella contro la tubercolosi, già oramai approvata dal Consiglio dei ministri, epoi a quella contro tutte le malattie, le classi lavoratrici faranno un’altra grandeconquista, accanto a quella economica: conquista cioè igienico-sanitaria, in quanto esseassicurazioni tendono a tutelarne vieppiù la salute: l’assicurazione delle malattieprofessionali infatti non solo ha lo scopo di riparare il danno economico causato dallamalattia, ma anche quello di ridonare al più presto la capacità al lavoro, mercè tutti isussidi terapeutici che la scienza possa suggerire; e inoltre lo scopo ancora piùsocialmente utile, di prevenire le malattie stesse, con l’attuazione delle varie norme diigiene del lavoro, e delle varie opere assistenziali, che, mentre tendono a risanare illavoro sia di per sé che per l’ambiente in cui si svolge, vengono altresì a difendere erafforzare sempre più la salute dei lavoratori, a vantaggio della produzione, e quindi deisingoli e della collettività”.

“Peraltro, se ragioni di opportunità contingente facessero prevalere anche in Italia ilsistema della lista, noi proporremmo, sempre allo scopo di evitare più che sia possibiledolorose esclusioni, di adottare un sistema misto, che potremmo dire della “listaaperta”; vale a dire le malattie elencate nella lista, che sarebbero quelle più facilmentericonoscibili come malattie professionali, verrebbero senz’altro indennizzate, ma oltre diesse potrebbero avere lo stesso trattamento anche tutte quelle altre malattie chevenissero man mano denunciate e riconosciute, caso per caso, di natura professionale.In tal caso si darebbe l’incentivo allo studio sempre più accurato delle malattie chepossono essere causate dal lavoro, specie in rapporto a nuove industrie e a nuovi mezzidi lavoro, e si avrebbe così non solo il vantaggio immediato di riparare i danni ad unavittima del lavoro, ma anche quello più generale e più socialmente importante, diallargare sempre più la cerchia dei mezzi di profilassi delle malattie stesse. Quando lacasistica avesse fatto riconoscere il carattere professionale di altre malattie nonantecedentemente incluse nella lista, esse vi potrebbero essere aggiunte definitivamentee così di seguito, in modo che si verrebbe man mano ad avvicinarsi sempre piùall’assicurazione generale di tutte le malattie professionali”.

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20ATTI DEL VIII CONGRESSO NAZIONALE NAPOLI 1929

Fondazione della Società Nazionale di Medicina del Lavoro pp. 150-151

“Subito dopo la comunicazione del dott. Papanti entra nell’aula l’On. Prof. PietroCastellino, Direttore della Prima Clinica Medica.

I congressisti in piedi l’applaudono. e l’O. così inizia il suo dire:A nome dell’Istituto della prima Clinica Medica in cui ebbero sede i lavori di questo

Congresso, porge l’espressione del suo grande compiacimento per l’alta importanza cheil congresso assunse, la elevatezza dei temi svolti e l’interesse delle brillanti discussioniche ne seguirono. Porge il saluto al prof. Devoto, il grande animatore di tutte questediscipline alle quali dedicò l’entusiasmo che egli nutre per la scienza e l’amore che haper la Patria, in quanto i problemi della patologia del lavoro, problemi profondamentesociali, posseggono vasti e profondi riflessi nell’organizzazione dei mezzi provvidenziali,utili alla protezione degli operai e alla sicurezza per il loro animo giacché la scienza liaccompagna nelle loro ardue fatiche e provvede alla tutela dei loro bisogni.

A lui – continua l’oratore – va dato anche il merito della progressiva evoluzione chela Disciplina subì in questi ultimi tempi, poiché allargando il programma dei suoi studi edilatando la sua missione dalle semplici indagini della patologia professionale si è elevatoa più alto respiro, onde nell’anno stesso in cui l’Italia Romana promulga il grandeCodice della Carta del Lavoro, questo Congresso inspirandosi ad essa affronta le suequestioni sogguardate da un angolo molto superiore riportandosi alle prische classichetradizioni italiane le quali risalgono perfino al Santo di Norcia che, fondando i suoicenobi nel 500, fece ordine nella sua regola fondamentale di difendere il lavoro,esaltarlo nella sua nobile missione, riguardando il lavoratore come il più benemeritosoldato della Patria, il più puro apostolo della fede la quale egli non vuole tutta assorbitanella mistica contemplazione ma dedicata ad un’azione proficua al servizio dell’umanità.

L’oratore infine saluta il Presidente Prof. Luigi Ferrannini, suo discepolo, e ricordale aspre lotte insieme sostenute per la Medicina del Lavoro a Napoli e tutto il suointeressamento affinché l’insegnamento fosse rimasto e avesse impronta strettamenteclinica”.

Ferrannini Luigi (Presidente): “Rispondere al Prof. Pietro Castellino è semprecompito arduo, anche quando si tratta di ringraziarlo solamente; e qui bisognaringraziarlo doppiamente, per fatto personale, ed a nome del Congresso che gli deve unalto godimento intellettuale.

Occorreva che qui ove da un secolo un Clinico medico come Manfrè, insegnavamalattie professionali, ed in quest’aula di clinica che sa la passione del nostroinsegnamento, e dal prof. Pietro Castellino che lo sostenne e lo difese nei più asprimomenti, si riconsacrasse nel suo carattere clinico la medicina del lavoro e si tenesse abattesimo la nascente Società italiana di Medicina del Lavoro. Giacché noi abbiamovoluto che la nostra scienza avesse carattere pratico, morale, e veramente assistenzialenel compito di proteggere e curare i lavoratori e non di pagare soltanto l’aborrito prezzo

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del sangue. In questo concetto s’imperniavano tutte le nostre lotte, tenacemente ed oggianche vittoriosamente perseguite”.

Chiede di parlare il Dott. Caccuri, il quale presenta il seguente ordine del giorno:“L’VIII congresso di Medicina del Lavoro, considerata la grande importanza,

assunta dalla Medicina del Lavoro, specie in seguito alla promulgazione della Carta delLavoro, propone la costituzione della Società Italiana di Medicina del Lavoro e dàincarico ai Proff. Devoto, Ferrannini e Castellino di compilarne lo statuto”.

Detto ordine del giorno, oltre quella del proponente, porta le seguenti firme: A.Ciampolini, F. Pignatari, S. Diez, Nebuloni, Sgambati, Castellino, Coppa, Galloro,Miraglia, Quarelli, G. Loriga, L. Ferrannini, V.M. Palmieri, Tovo, G. Prosperi, P.Papanti, G. Caso, G. De Mattei, R. Pellegrini, G. A. Vigliani, A. Cammarata, F.S.Correra, S. Pepe, A. filippini, M. Azario, Senigaglia, L. Devoto, A. Ranelletti, G.Pieraccini, G. Mauro, E. Sorrentini, Marotta, Giannini, Mogliazza, Viziano, G. Aiello.

Ha aderito anche Montemurri per la Confederazione Nazionale Fascista degliAgricoltori.

Messo ai voti dal Presidente, l’ordine del giorno viene approvato all’unanimità.

21ATTI DEL XII CONGRESSO NAZIONALE NAPOLI 1936

“La medicina del lavoro nell’insegnamento superiore” pp. 190-191

“I Proff. Preti e Castellino presentano quindi il seguente ordine del giorno che èapprovato per acclamazione: Tenuto presente che uno dei primi postulati della Carta delLavoro riconosce al Lavoro la dignità di dovere sociale e come tale lo pone sotto latutela dello Stato; tutela che il Regime fascista con le numerose provvidenze legislativeed attraverso l’organizazione Corporativa dello Stato ha potenziato al massimo grado;considerata l’importanza sociale e tecnica che le disposizioni di legge relative agliinfortuni sul lavoro ed alle malattie professionali hanno per la protezione del lavoro;considerati i compiti molteplici e delicati ai fini profilattici ed assicurativi che dalla leggeassicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivano ai Medici pratici iquali sono tenuti alla denuncia delle malattie professionali e possono essere chiamati allaloro cura; considerato che simili compiti devono essere la conseguenza di un tempestivoed esatto riconoscimento delle malattie stesse; preso in considerazione il grave dannomorale ed economico che può derivare da una non perfetta conoscenza dellemanifestazioni cliniche di tali malattie da parte dei giovani medici che con denunzieomesse o sbagliate o con cure inadeguate possono frustrare gli scopi che dalla legge loStato si è prefisso di ottenere, ed ingenerare in chi ne deve essere protetto un senso disfiducia; per tutto questo, resosi conto della inderogabile necessità di estendere semprepiù il campo delle cognizioni pratiche relative alle malattie professionali nei futuriMedici che devono essere messi nelle condizioni di operare con piena sicurezza nel

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campo della Medicina del lavoro, della Medicina cioè più aderente alle finalità delloStato Corporativo, il XII Congresso di Medicina del Lavoro fa voti:1) che la Medicina del Lavoro, disciplina la quale ha per base l’attuazione di principi

sanciti dalla Carta del lavoro, sia posta nelle facoltà di Medicina delle Università diRegno fra le materie per le quali è reso obbligatorio l’esame per l’ammissione allalaurea di medicina e chirurgia, e ne sia aumentato il numero di cattedre ufficiali;

2) che la Presidenza della Società di Medicina del Lavoro porti a conoscenza deiMinisteri dell’Educazione Nazionale, dell’Interno e delle Corporazioni il presenteordine del giorno”.

22In base ai dettami della IARC anche per alcuni composti di uso agricolo:

l’evidenza di cancerogenicità è riconosciuta sufficiente soltanto per i compostiarsenicati e per gli olii minerali grezzi o parzialmente raffinati presenti negli insetticidi,mentre è riconosciuta limitata per i clorofenoli presenti nei fungicidi e per iclorofenossiacidi presenti negli erbicidi. Tutti gli altri composti presenti negli erbicidi(amitrol, atrazina, nitrophen, sulfallate, ...), negli insetticidi (aramite chlorodano,clordecone, ddt, dichlorvos, esaclorocicloesani, blindano, heptaclor, mirex, toxafene,etc), nei fungicidi (captafol, esaclorobenzene, tiourea) e nei fumiganti (1,2dibromoetano, 1,2 dicloroetano, 1,3 dicloropropene, tetracloruro di carbonio)presentano in realtà evidenza di cancerogenicità sufficiente/limitata per gli animali.

23XXXII CONGRESSO DI MILANO 1932

“Sviluppo storico del O.S.d.L”Relazione del prof. Noviello, pp. 155-176

Il primo tentativo di applicare i principi del Taylor in agricoltura fu trattato per leprime volte da Seedorf nel 1919 con il suo libro “Die Verwollkommung der Landarbeitund die besser Ausbindlung der Landarbeiter unter besonderer Berucksichtigung desTaylorsistems” Nel 1920 Seedorf fonda a Pomritz in Germania il primo Istituto che sioccupa dello studio scientifico del lavoro agricolo, l’Istituto è diretto da Delitzki, sistudia il parametro uomo (destrezza, posizioni, movimenti, utilizzazione di muscoli,respirazione, ritmo, pause, vestiti, alimentazione, esercizi corporali, etc.) ed il parametroprocesso-lavorativo (divisione e distribuzione del lavoro, esecuzione e tecnica dellavoro, influenza e miglioramento degli stimoli psichici ed economici). Nascono in 10anni numerosi istituti che puntano alla razionalizzazione del lavoro agricolo.

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24Riferimenti legislativi a tutto oggi validi per applicare la sorveglianza obbligatoria in

agricoltura: D.P.R. 303/56; D.Lgs. 277/91 D.Lgs. 626/94

D.P.R. 303/56: art. 33:voce 7: fosforo e composti: Lavoratori addetti all’impiego professionale di

antiparassitari contenenti composti organici del fosforo; periodicità di visitatrimestrale.

Voce 9 mercurio amalgame e composti: Lavoratori addetti all’impiegoprofessionale di antiparassitari contenenti composti organici di mercurio periodicità divisita trimestrale.

Voce 18 acido cianidrico e composti lavoratori addetti alla derattizzazione edisinfestazione, alla distruzione di parassiti nocivi all’agricoltura (in quanto assumacarattere professionale o do lavorazione industriale); periodicità di visita trimestrale.

Voce 20 cloropicrina o nitrocloroformio: lavoratori addetti alla distruzione diparassiti nocivi all’agricoltura (in quanto assuma il carattere professionale o dilavorazione industriale); periodicità di visita trimestrale.

Voce 21 Anidride solforosa e composti L lavoratori addetti: alla solforazione dellafrutta e delle sostanze alimentari in genere ; periodicità di visita semestrale.

lavoratori addetti alla derattizzazione e disinfestazione, in quanto assuma carattereprofessionale; periodicità di visita trimestrale.

Voce 28 Solfuro di carbonio: lavoratori addetti alla derattizzazione e disinfestazione,in quanto assuma carattere professionale; periodicità di visita trimestrale.

Voce 34 Fenoli tiofenoli cresoli: lavoratori addetti alla distruzione di parassitinocivi all’agricoltura mediante derivati nitrati dei fenili e cresoli (in quanto assumacarattere professionale o di lavorazione industriale, periodicità di visita semestrale.

Voce 53 polveri di cotone lino, canapa, juta: lavoratori addetti alla aperturabattitura, cardatura e pulitura delle fibri di cotone, lino, canapa e juta; periodicità divisita annuale.

Voce 48: vibrazioni e scuotimenti: lavoratori che impiegano utensili ad ariacompressa o ad asse flessibile; periodicità di visita annuale

Voce 55 Carbonchio e morva: lavoratori addetti alla raccolta e lavorazione deiresidui animali per la fabbricazione di concimi, di colla e di altri prodotti industriali;visita immediata quando operaio denunci o presenti sintomi sospetti di infezione

Voce 56 leptospirosi: lavori in bonifica in terreni paludosi; visita immediataquando operaio denunci o presenti sintomi sospetti di infezione

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25Elenco delle malattie professionali per l’agricoltura riconosciute dal

D.Lgs. 336/94 come previsto dalla “nuova tabella delle malattie professionalidell’agricoltura” Allegato V del D.Lgs. 336/94

(In base al sistema di lista trasformato in un sistema misto di riconoscimentodelle malattie tabellate e non dalla Sentenza n. 179/1988 della Corte Costituzionale)

MALATTIE LAVORAZIONI PERIODO MAXINDENNIZZABILITÀ

DALLA CESSAZIONE DELLAVORO

Anchilostomiasi, con le sue conseguenzedirette

Lavorazioni in terreni irrigui edargillosi

3 anni

Malattie causate da:composti inorganici dell’arsenicocomposti organici dell’arsenico, con le loroconseguenze dirette

Lavorazioni che espongono al-l’azione dei composti arsenicati

3 anni. In caso dimanifestazionineoplastiche illimitato

Malattie causate da:composti inorganici del mercuriocomposti organici del mercurio, con le loroconseguenze dirette

Lavorazioni che espongono all’a-zione dei composti del mercurio

4 anni

Malattie causate da solfuro di carbonio,con le loro conseguenze dirette

Lavorazioni che espongono all’a-zione dei composti del solfuro dicarbonio

3 anni

Malattie causate da:composti inorganici del forforocomposti organici del fosforo, con le loroconseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei composti delfosforo

6 anni

Malattie causate da:a) derivati clorurati degli idrocarburi

alifaticib) derivati bromurati degli idrocarburi

alifatici, con le loro conseguenze dirette

Lavorazioni che espongono all’a-zione dei derivati clorurati ebromurati degli idrocarburi alifa-tici

3 anni

Malattie causate da:a) derivati clorurati del benzolo ed

omologhib) derivati dei fenoli ed omologhi,c) derivati da cresoli ed omologhi con le

loro conseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei derivati del benzolo,dei fenoli, dei cresoli e dei relativiomologhi

3 anni. In caso dimanifestazionineoplastiche illimitato

Malattie causate dai composti del rame,con le loro conseguenze dirette

Lavorazioni che espongono all’a-zione dei composti del rame.

3 anni

Malattie causate da derivati dell’acidocarbammico e tio carbammico, con le loroconseguenze dirette

Lavorazioni che espongono all’a-zione dei composti del rame

3 anni

Malattie causate da:a) xpolisolfuri di bariob) polisolfuri di calcioc) polisolfuri di sodio, con le loro

conseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei polisolfuri di bario,di calcio, di sodio

3 anni

Malattie causate da composti organici dellostagno con le loro conseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei composti organicidello stagno

3 anni

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Malattie causate da composti organici dellostagno con le loro conseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei composti organicidello stagno

3 anni

Malattie causate da composti organici daderivati degli arisolfoni con le loroconseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei derivati degliarisolfoni

3 anni

Malattie causate da fenossiderivati con leloro conseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei fenossiderivati

3 anni

Malattie causate dai derivati dell’acidoftalicop e della ftalamide con le loroconseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei derivati dell’acidoitalico e della ftilamide

3 anni

Malattie causate dai derivati delle diamine edelle triazine, con le loro conseguenzedirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei derivati dellediamine e triazine

3 anni

Malattie causate dai derivati del dipiridilecon le loro conseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei derivati del dipiridile

3 anni

Malattie causate dai derivati cloruratidell’acido benzoico, con le loroconseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei derivati cloruratidell’acido benzoico

3 anni

Malattie causate daammoniaca.Altri concimi azotati, con le loroconseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dell’ammoniaca e deglialtri concimi azotati

3 anni

Mallatie causate da cianocomposti, con leloro conseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei cianocomposti

3 anni

Malattie causate da chinoni, con le loroconseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei chinoni

3 anni

Malattie causate da Zolfo;Anidride solforosa con le loro conseguenzedirette

Lavorazioni che espongonoall’azione dei composti amminicie composti ammidici

3 anni

Malattie cutanee causate da oli minerali Lavorazioni che espongonoall’azione degli oli minerali

6 mesi. In caso dimanifestazionineoplastiche illimitato

Asma bronchiale primario estrinsecocausato da sostanze vegetali e derivatianimali con le loro conseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’inalazione di sostanze vegetalie derivati animali

18 mesi

Alveoliti allergiche estrinseche e fibrosipolmonari da esse derivate, causate damiceti e da altre sostanze vegetali oanimali, con le loro conseguenze dirette

Lavorazioni che espongonoall’inalazione di miceti ed altresostanze vegetali ed animali

3 anni

Ipoacusia e sordità da rumori Lavorazioni forestali nelle quali siimpiegano in modo prevalentemotoseghe portatili

6 anni

26“Sviluppo storico dell’O.S.d.L.”

Relazione del prof. Noviello, pp. 155-176

“... Il problema di applicare i principi del Taylorismo in agricoltura fu trattato per leprime volte dal Seedorf (1919) ma bisogna risalire al 1927 per vedere discusso per laprima volta in un congresso un tema di così alto interesse. Infatti nel 1927 in Roma alXIII Congresso internazionale di agricoltura per opera di Jellineck, Fontana, furono

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dettate le direttive ed i metodi della nuova scienza, e che trovarono più ampio emaggiore indirizzo al IV congresso di Organizzazione Scientifica del Lavoro in Pariginel 1929 ed in cui specie per opera di Derlitzki fu data una grande importanza al fattoreumano. Contemporaneamente varie pubblicazioni di numerosi Autori trattavano ilproblema da vari punti di vista, e da noi specialmente il Loriga con varie monografie, losviluppava dal punto di vista umano stabilendo i quattro capisaldi a tutti noi noti e nel1930 tracciò sinteticamente le linee per un miglior studio della O.S.d.L. che giustamentedice il Loriga stesso deve diventare sinonimo di organizzazione umana del lavoro. Talidirettive indicano i metodi di misurazione e di limitazione della fatica nei suoi variaspetti per lo studio delle attitudini e l’esame biotipologico dell’uomo. Lo svilupposempre crescente di questa nuova disciplina fece si che la O.S.d.L., limitata in un primotempo a questa o quella azienda, a questa o a quella fabbrica, portò alla concezione diorganizzazione statale e sociale del lavoro e che ebbe come valido assertore il Prof. N.Castellino. Ed invero non può essere che lo Stato che con le sue leggi deve curare esorvegliare lo sviluppo sano dell’organismo, controllare e disciplinare il lavoro e curarela ripartizione del beneficio e la utilizzazione della produzione. In base a tali concetti lanuova disciplina non può che utilizzare gli insegnamenti che derivano dalle altre scienzequali la fisiologia la clinica la meccanica, l’igiene, la psicologia la legislazione, etc. È soloutilizzando ed applicando le verità già assodate da queste varie discipline che si puòparlare veramente di organizzazione del lavoro e pretendere dal lavoratore che almomento opportuno si esplichi o possa esplicare tutta la sua attività energetica epsichica volendo delineare le direttive di tale concezione e limitandoci nel caso nostro alsolo fattore uomo...”.

27ATTI DEL XXV CONGRESSO NAZIONALE TAORMINA 1962

“Patologia da esteri fosforici”Relazione dei proff. Fradà e Salamone pp. 133-137

“I lavoratori dell’industria costituiscono per ovvii motivi la categoria più facilmentecontrollabile, particolarmente per la omogeneità e la relativa costanza delle condizioniambientali, per il raggruppamento dei soggetti esposti, per la possibilità d’attuare la visitadi assunzione e soprattutto un controllo medico laboratoristico. All’atto dell’assunzione,particolare attenzione andrà rivolta all’apparato respiratorio, al sistema nervoso, allafunzione epatica e renale; vanno inoltre esclusi i soggetti portatori di affezionicongiuntivali e dermiche e gli obesi in quanto oltre tutto questi ultimi vanno piùfacilmente incontro a fenomeni di accumulo.... I lavoratori agricoli sono esposti arischio sia nella fase della preparazione estemporanea della miscela sia in quella deltrattamento delle aree coltivate. In questo settore la prevenzione assume dei caratteri didifficoltà tuttora allarmanti: la mancanza di un benché minimo controllo sull’acquisto dipreparati commerciali..., l’uso di tali prodotti per i trattamenti disinfestanti, lungidall’essere regolarmente affidato ad organizzazioni private... viene realizzato dal singolo

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agricoltore possibilmente con l’aiuto dei familiari, non esclusi donne ed adolescenti. Unatale varietà e dispersione dei soggetti esposti rende ancora più precaria la realizzazionedi un’adeguata prevenzione, per il mancato controllo sanitario e laboratoristico, nonsolo prima dell’esposizione ma nel corso della stessa... I consumatori di derratealimentari trattate con antiparassitari costituiscono la terza categoria, enormemente piùvasta delle precedenti... ove un gran numero di fattori intervengono nel determinarel’entità e la tossicità dei residui attivi negli alimenti, fra i quali ricordiamo la tossicità delprodotto usato, l’intensità, la frequenza del trattamento, la sede, il periodo e le modalitàd’applicazione, la natura del prodotto agricolo trattato, le condizioni atmosferichesuccessive al trattamento”.

28ATTI DEL XL CONGRESSO NAZIONALE MILANO 1977

“Agenti chimici di uso agricolo. Inquadramento generale e aggiornamenti di patologia”.Relazione di Maroni, Fantini Foà, Spinazzola pp. 788-790

“Un’efficace azione preventiva è particolarmente necessaria nei confronti deilavoratori agricoli che, insieme con i produttori industriali, risultano più direttamenteesposti agli effetti dannosi di fertilizzanti ed antiparassitari... se si vogliono ottenere deirisultati apprezzabili l’intervento preventivo deve agire a vari livelli, tra lorocomplementari: quello sociale, quello legislativo, quello tecnologico ed infine quellosanitario... a livello sociale e necessario assicurare la parità del lavoro agricolo con quelloindustriale per ciò che riguarda le condizioni di lavoro e di vita e promuovere lapartecipazione dei lavoratori che devono assumere sempre più un ruolo diprotagonismo. Ciò crea le premesse per l’estensione della educazione sanitaria, che nonpuò essere intesa solo come insieme di elementi informativi da fornire ai lavoratori, mapiù correttamente come presa di coscienza del proprio ruolo produttivo e dei rischi perse e per gli altri che esso comporta...

Livello legislativo, al quale oggi non si chiede più solamente di regolamentare oproibire l’uso di alcune sostanze ma di predisporre strutture e metodi di controllo estrumenti epidemiologici di rilievo che consentano di affrontare correttamente ed inmodo continuo il problema....

Livello tecnologico... perché vengano individuate e prodotte sostanze che unisconoad una buona efficacia d’uso, minimi effetti indesiderati sull’ambiente e sull’uomo...nessun nuovo prodotto deve essere immesso sul mercato prima che studi adeguatiabbiano consentito di documentarne la eventuale potenzialità tossica a breve e lungotermine per l’uomo e per l’ambiente di vita... Tra gli effetti a lungo termine... debbanoessere compresi studi di cancerogenicità ... Ruolo ben definitivo spetta poi allasorveglianza sanitaria dei lavoratori agricoli, che deve essere attuata da personale aconoscenza dei rischi specifici a cui essi sono esposti. In base al D.P.R. 303/56 èperentoria la visita medica periodica per i lavoratori esposti ad un numero ristretto diagenti chimici di uso agricolo; riteniamo invece opportuno che tale procedura venga

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estesa a tutti i lavoratori agricoli che utilizzano fertilizzanti ed antiparassitari; quanto allaperiodicità della visita è auspicabile che essa avvenga al termine del ciclo stagionale diimpiego di tali prodotti. L’esame clinico deve essere rivolto alla ricerca degli effettispecifici... tuttavia la ricerca degli effetti lesivi provocati dai fertilizzanti non è sempreagevole... giacché molti quadri clinici diventano riconoscibili solo in uno statoavanzato... diventa pertanto auspicabile che la sorveglianza sanitaria periodica deilavoratori agricoli possa avvalersi del monitoraggio biologico delle principali sostanzeutilizzate...”.

29Pubblicazioni di F.W. Taylor

Tra queste ricordiamo: “Scientific Management. Preliminary Statement” cherappresentavano gli appunti per una conferenza tenuta nel 1909 alla Harward BusinessSchool. Quindi: The principles of Scientific Management” editi nel 1911, New York,Harper and Bros.

Come testi tradotti in Italiano abbiamo: “Principi di organizzazione scientifica dellavoro”. Franco Angeli Ed. Milano, 1975 che contiene anche: “L’Organizzazionescientifica del lavoro (appunti per una conferenza)”.

“L’Organizzazione scientifica del lavoro” che contiene: Direzione di officina.Principi di organizzazione scientifica del lavoro. La deposizione di Taylor davanti allacommissione speciale della Camera dei Deputati (Gennaio 1912), Ed. Comunità,Milano, 1952.

30ATTI DEL XIII CONGRESSO NAZIONALE BARI 1938

“La silicosi (silicosi e tubercolosi-silicosi)”Conferenza del prof. Quarelli pp. 69-72, 74

“Dalla stessa letteratura si deve dedurre che, perché la silicosi si impianti, occorre:– che la roccia lavorata sia sufficientemente ricca di silice;– che la concentrazione di polveri nell’atmosfera raggiunga un dato grado;– che le polveri silicotiche non superino per lo più la dimensione di 10 micron;– che la durata dell’esposizione sia sempre sufficiente (da 2 a 3 anni nelle lavorazioni

dove la sabbia è scagliata con aria compressa, nella fabbricazione di polveri siliceeabrasive, nella perforazione delle rocce; da 8 a 10 anni nei minatori metallurgici,sbavatori di metalli, molatori a smeriglio, cavatori di pietre silicee, di granito, ecc.)Nella produzione della silicosi esistono fattori predisponenti, in maggioranza

costituzionali: alcuni dati dall’ostruzione delle vie nasali, causanti la respirazione orale;altri dalla tendenza più o meno grave, naturale, alla formazione di tessuti fibrosi. Sonocause predisponenti ancora le malattie respiratorie, quali la tubercolosi, ... predisponentila silicosi sono altre coniosi, quali la coniosi da zolfo e malattie che sono causa di

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sclerosi, non solo polmonare, ma di altri organi, cioè: la sifilide, l’alcoolismo ed ilsaturnismo. L’alcoolismo ha pure un’azione dannosa in quanto paralizza i movimentidelle ciglia vibratili, che nelle prime vie respiratorie hanno tanta importanza perl’espulsione delle polveri e rende insensibili le terminazioni sottoepiteliali dei nervi cheprovocano la tosse e lo starnuto. Indirettamente la razza dovrebbe avere un’importanzanel senso che alcune razze più attaccate dalla sifilide e dalla tubercolosi sono piùsensibili alla silicosi.

La silicosi è una malattia che inizia nei giovani asintomaticamente, tanto chel’operaio trascura di prendere precauzioni contro le polveri dalle quali non ha disturbi.Essa si manifesta con sintomi soggettivi rilevantisi poi nell’età matura, come risultaanche dai dati offertimi dall’I.N.F.P.S. in base alle storie cliniche ed alle radiografie.L’età, quindi, deve essere anche presa in considerazione.

Semeiologicamente, pur non essendo possibile fare delle precise divisioni dei varistadi della malattia, tanto che non è facile sapere quando questa incominci o quandoessa si complichi colla tubercolosi, tuttavia io penso che si possa seguire laclassificazione fatta dalla maggioranza degli AA: in tre stadi, sia perché taleclassificazione è abbastanza corrispondente a quanto si osserva clinicamente eradiologicamente, sia perché è sempre pericoloso proporre nuove classificazioni che, sericordano il nome del proponente, possono portare a confusionismi.

Luigi Devoto, fra i primi, con Cesa Bianchi e, poi, coi suoi valorosi discepoli ci hadato una classificazione degna di essere presa nel massimo conto; tuttavia non credo diessere meno deferente al pensiero dell’illustre maestro se modifico la sua divisione deglistadi della silicosi.

Riconosceremo quindi tre stadi:* Nel primo stadio si osserva spesso appiattimento lieve della parte superiore del

torace; elasticità toracica diminuita durante il respiro; alla ascoltazione: respiro aspro conqualche rantolo alla base. In questo stadio la dispnea è lieve; facendo le prove funzionalisi ha un aumento della frequenza e del ritmo ed un aumento della dispnea in confrontodi quanto si osserva negli individui normali; la tosse è rara, non vi è espettorato. Gliammalati hanno facilmente fatti infiammatori e congestizi delle vie respiratorie, rara èl’astenia e l’anoressia. La pressione arteriosa non offre segni diagnostici.

L’esame radiologico, già nei primi anni, presenta qualche interesse. La radiografiamette in evidenza un’accentuazione, sia pure discreta, delle immagini peri-bronco-vascolari; la densità del parenchima è maggiore dell’abituale; talora si osserva unapicchiettatura interstiziale periilare. Già in questo stadio è molto importante il rilevare labilateralità del reperto.

* Nel secondo stadio si nota: depressione toracica, espansione ridotta; da qualcheparte si è accennato ad una minore sonorità plessica posteriore, sempre che non esistaun enfisema polmonare già marcato. La mobilità delle basi è diminuita; all’ascoltazione,l’inspirazione è rude, l’espirazione prolungata. Si percepiscono rantoli e sibili, taloracrepitii ed anche sfregamenti pleurici. Soggettivamente buona parte dei malati èdispnoica. L’esame funzionale cardiaco e respiratorio provocano tachicardia e dispnea oaccentuano questi sintomi stessi. La tosse è discretamente frequente. L’espettorato

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mucoso è talvolta misto a sangue. L’aspetto radiologico è ora ben caratteristico: sirilevano abbondanti noduli disseminati bilateralmente, in modo quasi simile a caratteredi tempesta di neve o ad ali di farfalla. Radioscopicamente e radiograficamente sonoevidenti le aderenze pleuriche e pleurodiaframmatiche. Le ombre ilari sono accentuate,meno però di quanto si osserva in un processo tubercolare di uguale gravità, sonovisibili zone di enfisema. In questo stadio, nelle forme più avanzate, come si osservaspecialmente nel terzo stadio, può presentarsi la complicazione tubercolare. Leradiografie fatte in serie, a distanza di un paio di mesi l’una dall’altra, mostrano una piùrapida modificazione del quadro. I noduli silicotici complicati della tubercolosidiventano più grossi; le ombre ilari diventano maggiori.

* Nel terzo stadio: soggettivamente l’ammalato ha un’intensa dispnea da sforzo,tosse stizzosa, continua, con dolori toracici, espettorazione abbondante, talora conbacilli di Koch. Talvolta ha emoftoe. Obbiettivamente: la rigidità e la retrazione dellagabbia toracica sono la norma; la respirazione cessa di essere costale e diventaesclusivamente diaframmatica. Alla percussione si rilevano zone di ottusità date dapachipleuriti o da condensazioni a tipo tumorale, se grosse e vicine alle pareti esternedel polmone. La respirazione è chiaramente prolungata, soffiante. Si rilevano pureall’ascoltazione: sibili e rantoli sottocrepitanti, sfregamenti pleurici. Il soggetto ha unpolso frequente anche in riposo, talora irregolare. Non raramente ha poliglobulia e lievecianosi; nelle forme a lungo decorso, dita a bacchetta di tamburo con unghie convesse.Il cuore è aumentato nel diametro trasverso, specie a carico del ventricolo edell’orecchietta destra; il fegato è aumentato di volume più o meno chiaramente.Radiograficamente si vedono ombre spesse, più o meno opache, anche di parecchicentimetri di diametro, con contorni sfumati, irregolari, di aspetto tumorale, per lo piùiuxta-ilari. Opacamenti pleurici; deformazione delle cupole diaframmatiche... La tbcnegli stadi avanzati è la complicazione terminale nella quasi totalità dei casi...

... La diagnosi va fondata su tre dati: anamnesi professionale; esame radioscopico eradiografico; ricerche di laboratorio.

31ATTI DEL XX CONGRESSO NAZIONALE PADOVA 1955

“Le basi medico legali della valutazione del danno da silicosi polmonare”Relazione del prof. Franchini p. 372

Sulle considerazioni espresse dal Vigliani nel Convegno del 1941 ritorna il prof.Franchini, 14 anni dopo, affermando quanto segue:

“Alla opportunità, se non addirittura necessità, di allontanare il silicotico dallalavorazione pericolosa, si obietta: perché suscitare un così vasto problema organizzativoed assicurativo per porre riparo ad un danno potenziale collegato ad un’ulterioreevoluzione morbosa che è possibile ma non certa, dato che a volte l’operaio presentaper anni lo stesso quadro radiologico, stazionario, pur se continua ad inalare polvere? Equali garanzie poi abbiamo sulla veridicità della diagnosi precoce della silicosi? Sfugge

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alle volte la certezza diagnostica nella silicosi avanzata e come regolarsi nella grandeincertezza diagnostica della silicosi iniziale?

È per questo che Vigliani concludeva la sua relazione al Convegno di Torino del1941, affermando che non bisogna allontanare l’operaio e lasciare la polvere maallontanare la polvere e lasciare l’operaio”.

32ATTI DEL XV CONGRESSO GENOVA 1949

“Lo stato attuale della silicosi in Italia”Relazione del prof. Vigliani pp. 157-205

“Non vi è dubbio che con lo studio della funzionalità respiratoria ocardiorespiratoria si possono ottenere risultati di grande importanza ai fini dellavalutazione della capacità lavorativa del silicotico. Tuttavia nella ricerca di un metodosempre più obiettivo ed esatto, non deve essere perduto di vista il concettofondamentale che la capacità lavorativa di un malato di malattia professionale deveessere valutata in base al quadro complessivo clinico-funzionale. Come la capacitàlavorativa di un anemico da piombo o da benzolo non viene giudicata unicamente inbase al risultato dei conteggi globulari, così la capacità lavorativa di un silicotico nonpuò essere valutata solamente in base alla sua funzionalità respiratoria. Altri elementientrano in gioco; elenco i principali:1) Coesistenza di associazione tubercolare più o meno latente: a parità di altre

condizioni, un silicotico atipico o conglomerato, in altre parole un silico-tubercolotico, con velocità di sedimentazione aumentata e altre provesierofunzionali alterate, ha una capacità lavorativa minore di un silicotico puro.

2) Coesistenza o facilità di bronchiti o di spasmi della muscolatura bronchiale.3) Condizioni del cuore e del circolo, interessamento linfoghiandolare, crasi ematica.4) Rapidità di sviluppo della silicosi e sua situazione dinamica al momento dell’esame;

la capacità lavorativa di un silicotico divenuto tale in pochi anni e ancora in periododi evoluzione appare minore di quella di un vecchio silicotico stabilizzato.

5) Aspetto radiologico della silicosi, distribuzione e tipo della fibrosi, rapporti frafibrosi ed enfisema, giudizio sulla esistenza e grado dell’interessamento pleurico.

6) Età del soggetto, anche in rapporto al giudizio di dipendenza dell’enfisema dellasclerosi; sue condizioni generali.

7) Attività del soggetto: se lavora ancora, e se perciò ha conservato un certoallenamento, o se non lavora più, e da quanto tempo”.

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33ATTI DEL XVII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Profilassi medicamentosa della silicosi”Relazione del prof. Zeglio pp. 231-233, 241

“Possiamo distinguere le varie forme di profilassi medicamentosa della silicosi finorasperimentate ed attuate in due categorie, a seconda delle caratteristiche farmacologichedelle sostanze o dei gruppi di sostanze impiegate:1) ad azione esclusiva sull’apparato respiratorio, rivolta al potenziamento dei mezzi

biologici di difesa;2) agenti sulla silice nel senso di apportare alla medesima variazioni nelle sue

caratteristiche fisico-chimiche ritenute causa di danno ai tessuti polmonari.Tentativi del primo gruppo sono probabilmente stati e restano, tuttora, assai

numerosi, e comprendono l’utilizzazione preventiva di gran parte dell’arsenaleterapeutico dei balsamici, degli antispastici, dei bechici, degli antisettici, degli antibiotici.È infatti presumibile, anche al di fuori di casi personalmente noti, che molti medicipreposti alla sorveglianza della salute delle maestranze esposte al pericolo della silicosiutilizzino tali presidi farmacologici in varie forme e combinazioni e con diverse modalitàdi applicazione.

La profilassi della silicosi per mezzo di sostanze ad azione diretta sulle particelle disilice riguarda un capitolo di ricerche diventato ormai di vasta mole e privo tuttora diconclusioni definitive: il trattamento alluminico preventivo degli operai esposti al rischiodella silicosi.

L’American Medical Association, nel 1946, a conclusione delle varie ricerche e dellecontrastanti opinioni sull’uso dell’alluminio nella profilassi e nella terapia della silicosi,ha espresso il suo obbiettivo prudente giudizio in questi termini:a) è confermato negli animali da esperimento che l’uso profilattico dell’alluminio

inibisce l’azione dannosa del quarzo;b) nell’uomo solo una osservazione prolungata potrà confermare o meno i risultati

ottenuti negli animali;c) l’uso profilattico dell’alluminio non deve far trascurare l’attenzione dei metodi atti a

ridurre la polverosità dell’ambiente di lavoro;d) se un’industria tratta i propri dipendenti con polvere di alluminio deve porre

particolare attenzione ai casi sospetti di tubercolosi;e) l’uso terapeutico dell’alluminio sembra atto a migliorare i sintomi della malattia in un

numero di casi assai piccolo, nei quali può essere in gioco un complesso coadiuvantedi fattori psicologici a carattere suggestivo”.

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34ATTI DEL XV CONGRESSO NAZIONALE GENOVA 1949

“Lo stato attuale della silicosi in Italia”Relazione del prof. Vigliani pp. 162-163

“Le classificazioni che necessitano un commento sono quella per malattia e quellaper mestiere. Nella suddivisione degli operai a seconda del quadro radiologico mi sonoattenuto a criteri di praticità funzionale. I soggetti normali sono stati suddivisi in “normalicompletamente” e in “accentuazione del disegno polmonare”: in parecchi casi laaccentuazione può essere stata dovuta alle polveri, ma l’aspetto radiologico non erasufficientemente indicativo di una pneumoconiosi. I soggetti pneumoconiotici sonostati suddivisi in “Reticolazione”, “Silicosi nodulare”, “Silicosi massiva”, “Silicosi contubercolosi”. Come reticolazione sono stati classificati quei casi nei quali per la evidenzadell’aspetto reticolare dei polmoni e per l’anamnesi lavorativa vi era una ragionevolecertezza trattarsi di pneumoconiosi, sotto forma di reticolazione da silice o da polverimiste (e cioè di una silicosi iniziale) o da polveri non silicee e cioè di altrepneumoconiosi. Nel gruppo reticolazione sono stati compresi anche quei pochi casi disiderosi o di altre pneumoconiosi benigne ad aspetto micronodulare. Come silicosinodulare sono stati classificati i casi di reticolazione con nodulazione silicotica evidente, laclassica silicosi nodulare e le silicosi atipiche con aspetto a chiazzette, a pustola vaiolosa,etc. La silicosi massiva comprende i casi di silicosi confluente, conglomerata e massiva, equelli di reticolazione con ombre fiocconose o grosse chiazze o placche fibrotiche;insomma tutti quei casi di condensazioni fibrose che oggi si ascrivono alla azioneintimamente associata della silice e del bacillo tubercolare. Silicosi con tubercolosi indica unquadro di silicosi, nel quale è visibile e delimitabile un processo di tubercolosi aggiuntafrancamente cavitaria o ad aspetto radiologico evolutivo. In altri termini, i casi di silicosicon tubercolosi intimamente associata e presumibilmente latente sono stati classificatinella silicosi massiva; per essi sono stati prescritti la denuncia e controlli clinico-radiologici, ma non l’immediata cessazione del lavoro: i casi di silicosi con tubercolosiaperta o attiva o sospetta tale sono stati classificati come silicosi con tbc; per essi è stataprescritta la immediata cessazione del lavoro e il ricovero ospedaliero o sanatoriale.

I casi con alterazioni tubercolari furono classificati come segue: Tubercolosi spenta:comprende i complessi primari calcificati, le calcificazioni ilari, le cicatrici sclerosate ocalcificate di tbc primaria o postprimaria, gli esiti in aderenze i pleuriti, e le calcificazionipleuriche: insomma tutte le alterazioni che dal punto di vista pratico sono daconsiderarsi spente e prive di ripercussione sull’attività lavorativa, e per le quali nonnecessitano ulteriori indagini. Tubercolosi probabilmente inattiva: comprende quelle lesionipolmonari o pleuriche di aspetto radiologico non sicuramente evolutivo, ma neppuresicuramente spento, e per le quali la prescrizione è stata: può continuare a lavorare, madeve essere sottoposto ad accertamento clinico-radiologico o a controllo medico ogni 2-3 mesi. Tubercolosi probabilmente attiva: comprende quelle lesioni polmonari o pleurichecon immagini cavitarie o francamente essudative, o di aspetto evolutivo o comunque

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tale da prescrivere l’immediata cessazione del lavoro, la denuncia all’Istituto dellaprevidenza sociale e il ricovero ospedaliero o sanatoriale”.

35ATTI DEL XVIII CONGRESSO NAZIONALE ST. VINCENT 1952

“La determinazione della pericolosità agli effetti della silicosinelle lavorazioni polverose”

Relazione del prof. Parmeggiani pp. 171-174

“Il rischio di silicosi dipende da molteplici condizioni che riteniamo di poterclassificare come segue:1) fattori oggettivi:

a) natura dei materiali in lavorazione, con particolare riguardo al loro tenore insilice libera anidra, e, come abbiamo visto dianzi, in sostanze capaci dimodificarne l’azione biologica;

b) suddivisione e granulometria dei materiali.2) fattori ambientali:

a) attivi, si riassumono nel lavoro inteso come attività di uomini e funzionamentodi macchine (nelle varie modalità di tecnologia, ciclo ed orario di lavoro,organizzazione degli impianti nel senso che una più progredita meccanizzazionerichiede, a parità di produzione, l’esposizione, anche se più intensa, di unnumero di gran lunga minore di operai, ecc.) che agiscono sui materialiproducendo e sollevando la polvere;

b) climatici: temperatura, umidità ventilazione, ionizzazione dell’aria, presenza dicampi elettrici, ecc;

c) locali: dimensioni, forma, e ubicazione dell’ambiente di lavoro (a cielo aperto, incapannoni, sotterra, ecc.).

3) fattori di prevenzione:a) mezzi che diminuiscono la polverosità ambientale (sistemi chiusi, aspiratori, filtri

di vario tipo per l’abbattimento delle polveri, aerosoli agglutinanti, ecc.);b) mezzi che diminuiscono l’inalazione della polvere (filtri e maschere respiratorie);c) mezzi che attenuano l’azione delle polveri silicee nell’organismo (aerosoli di

allumina, pneumodilatatori, ecc.)4) fattori umani:

a) collettivi, dipendenti dal lavoro: durata dell’esposizione, ampiezza dellaventilazione polmonare condizionata dallo sforzo richiesto dal lavoro, stato diaffaticamento;

b) individuali, in rapporto alle condizioni fisiopatologiche polmonari: alterazionianatomiche e funzionali del torace e del polmone, associazione tubercolare,efficienza del drenaggio linfatico polmonare anche in rapporto a precedentilavorazioni polverose, efficienza del filtro nasale, ecc.

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Volendo ora distinguere in uno schema didattico il rischio della pericolosità,possiamo definire quest’ultima considerando che, dei vari fattori del rischio dianzielencati, tutti quelli che prescindono dalla reazione soggettiva determinano lapericolosità della lavorazione; riteniamo infatti che la pericolosità sia la risultante difattori oggettivi e ambientali, di fattori di prevenzione (con esclusione di quelli cherichiedono la partecipazione attiva dell’organismo), e infine di fattori umani in quantoconnessi strettamente alla condizione di lavoro nell’ambiente (durata della esposizione,intensità della ventilazione polmonare, etc.)”.

36ATTI DEL XX CONGRESSO NAZIONALE PADOVA-VENEZIA 1955

“La valutazione della funzionalità respiratoria e cardiocircolatoria nella silicosi”Relazione del prof. Maugeri, prof. Franchini e dott. Capodaglio pp. 154-156

“Se volessimo ora riassumere i momenti patogenetici messi in luce attraverso lenostre considerazioni sulla fisiopatologia del polmone silicotico potremmo fissare lanostra mente a questi quattro:a) La riduzione delle riserve ventilatorie per un impiego antieconomico dei volumi

statici e dinamici.b) La disfunzione della capacità ventilatoria; cioè modificazioni della dinamica

ventilatoria con alterata distribuzione dei gas intrapolmonari.c) La riduzione delle riserve funzionali del letto capillare, sia per fenomeni di stasi, sia

per fatti di ipertono nel piccolo circolo.d) La riduzione anatomica del letto capillare.

Dalla combinazione di queste quattro componenti viene lasciata libertà di ricavare lepiù variate situazioni fisiopatologiche. Conviene tuttavia fissare la mente su quattroquadri principali, quattro situazioni fisiopatologiche, le quali sono al contempoespressioni di possibili successivi morbose.1) Il quadro con riduzione delle riserve ventilatorie. La sua manifestazione tipica è la

dispnea senza anossiemia, quale fattore limitante la capacità di prestazione fisica. Lacausa fondamentale è la riduzione di elasticità parenchimale con tendenzaall’iperventilazione.

2) Il quadro con riduzione delle riserve ventilatorie e disfunzione della capacitàventilatoria. La sua manifestazione tipica è la dispnea accompagnata da ipossiemiaquale fattore limitante la capacità di prestazione fisica. La causa principale: alterataventilazione dell’aria residua funzionale complicata da iniziali disturbi didistribuzione e da processi ostruttivi bronchiali.

3) Il quadro con riduzione delle riserve ventilatorie, disfunzioni della capacitàventilatoria, riduzione delle riserve funzionali del letto capillare.Manifestazione tipica è l’ipossiemia a riposo associata ad impegno pressorio delpiccolo circolo in modo più o meno evidente in rapporto alla reversibilitàdell’ipoossia alveolare. Si può avere ipoossiemia a riposo che scompare durante

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iperventilazione da sforzo modesto. Cause principali: ipoventilazione alveolareparziale (ipoventilazione alveolare reversibile), per turbe della distribuzione associatead alterata ventilazione dell’aria residua funzionale, e ipoventilazione alveolare nonreversibile.

4) Il quadro dominato da una riduzione della capacità del letto capillare con riduzionedelle riserve e disfunzione ventilatoria. Manifestazione tipica: ipertensione delpiccolo circolo in parte indipendente dall’ipossia alveolare e quindi reversibile;generalmente associata ad ipossiemia dipendente da alterata diffusione peraccelerato transito del sangue capillare.Cause principali: limitazione anatomica del letto capillare, di ruolo importanterelativamente allo specifico quadro funzionale”.

37ATTI DEL XX CONGRESSO NAZIONALE PADOVA-VENEZIA 1955

“La valutazione della funzionalità respiratoria e cardiocircolatoria nella silicosi”Relazione del prof. Maugeri, prof. Franchini e dott. Capodaglio” pp. 255-256

“I quesiti più immediati prospettati dal medico pratico di fronte al malato dipneumoconiosi potrebbero a nostro avviso essere ricondotti a due.

Quale è l’efficienza di questo particolare polmone nella funzione respiratoria?Quale possibilità globali di lavoro sono consentite a questo particolare paziente?La risposta nel modo più elegante ed esatto può venirci data da una sintesi fra la

spirografia da un lato e la gasanalisi a riposo e dopo sforzo dall’altro, secondo gliindirizzi più attuali dei quali ci ha parlato il professor Rossier ai quali noi stessi ci siamoandati uniformando e sui quali abbiamo potuto fare una iniziale esperienza.

Siamo però d’avviso che una integrale soluzione del genere è riservata ai pochi,mentre ai più non è ancora consentito di allontanarsi molto dal valorizzare metodologiele quali, pur essendo parziali, possono dirci pur sempre qualcosa...

... Noi disponiamo di quattro grandi famiglie di metodi: la volumetria dei gaspolmonari, la quale si propone di misurare il volume polmonare totale e separatamente ivolumi dei gas mobilizzabili ed i volumi non mobilizzabili direttamente: la ventilometriala quale vuole misurare le quantità di aria che il polmone è in grado di muoverenell’unità di tempo e, confrontandole con i volumi non mobilizzabili, vuole misurarel’efficacia del rinnovamento e del miscelamento intrapolmonare; l’indagine gasanaliticala quale vuole vedere gli effetti del lavoro ventilatorio sull’alveolo perfuso in variecondizioni di richiesta; la ricerca delle riserve residue la quale si propone di valutare lacapacità complessiva di un soggetto nel mantenere in equilibrio economico durante illavoro una determinata o più determinate funzioni...”.

“... È veramente grande il numero di ricerche basate sull’esecuzione di un lavoro neimodi più svariati. In queste prove si ricorre al controllo di uno o più indici funzionali;fra questi i più rappresentati sono il consumo di ossigeno, la ventilazione polmonareesterna, il rapporto tra ventilazione e consumo di ossigeno, la frequenza del polso, il

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debito di ossigeno, i rapporti fra la frequenza del polso e la pressione arteriosa, ladesaturazione dell’emoglobina, i segni elettrocardiografici, etc...

... Le variazioni della frequenza del polso, del respiro o della pressione arteriosa, inqueste condizioni, rappresentano manifestazioni sulle quali rimane sempre margine perla discussione. Per contro, la scomparsa di segni elettrocardiografici di sofferenzamiocardica e la comparsa di ipossiemia sono manifestazioni di entità non opinabile”.

38ATTI DEL XX CONGRESSO NAZIONALE PADOVA 1955

“Le basi medico legali della valutazione del danno da silicosi polmonare”Relazione del prof. A. Franchini p. 363

“Al Convegno della Silicosi svoltosi a Torino nel 1941, e promosso dall’EnteNazionale di Propaganda per la Prevenzione degli Infortuni, Antonio Cazzanigaimpostò il problema della valutazione medico-legale della silicosi, con la chiarezza sicurae programmatica che gli è universalmente riconosciuta ed in termini che ancora oggi sidevono ritenere validi. Secondo Cazzaniga la posizione del medico-legale di fronte allasilicosi deve essere intesa così: data una sindrome morbosa respiratoria in un operaioche è stato addetto a lavorazione silicotigena, accertare se si tratta di silicosi polmonare;se è silicosi accertare se questa malattia è invalidante; in caso affermativo stabilire se lo èin modo permanente; in caso positivo stabilire il grado di riduzione della efficienza delsoggetto rispetto alla sua capacità produttiva”.

39ATTI DEL XX CONGRESSO NAZIONALE PADOVA 1955

“Le basi medico legali della valutazione del danno da silicosi polmonare”Relazione del prof. A. Franchini pp. 365-367

“Altro punto che richiede chiarificazione è quello relativo al divario esistente frasilicosi clinica e silicosi assicurativa.

L’art. 3 dice che: “per silicosi deve intendersi una fibrosi polmonare, complicata o non datubercolosi che, provocata da inalazione di polvere di biossido di silicio allo stato libero, si manifestaparticolarmente con bronchite ed enfisema e ripercussione sull’apparato cardiocircolatorio ed all’esameradiologico con disseminazione diffusa di ombre nodulari miliariformi, confluenti e non”.

La legge indicava dunque esplicitamente nell’ambito della silicosi polmonare, qualesia la forma indennizzabile in base ad una precisa obiettivazione radiologicasemeiologica. Questa, e non altra, è la silicosi polmonare intesa come malattiaprofessionale assicurata, la quale pertanto non sempre coincide con la silicosipolmonare malattia da lavoro, che può mancare di alcuni requisiti indicati cui vaaggiunto quello fondamentale di determinare una inabilità permanente di grado stabilito.Si è detto che la legge ha voluto precisare i requisiti della silicosi per ragioni di politicaassicurativa allo scopo di evitare, nella facile discordanza di pareri diagnostici su questa

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come su tante altre malattie, che sotto l’etichetta della silicosi entrassero a godere dellatutela forme morbose solo probabilmente riconducibili a silicosi, ma non sicuramentetali.

In altri termini la legge del 12 aprile 1943 ha voluto standardizzare il quadrosintomatologico obiettivo ponendo come condizione di indennizzabilità la presenza disegni inequivocabili. Il legislatore si è preoccupato che, ai fini della tutela assicurativadella silicosi, la certezza, o almeno la estrema probabilità della malattia siano condizionidi fondamentale importanza per garantire in pratica la retta applicazione della legge, eper evitare di confondere la silicosi con altri stati morbosi non silicotigeni diosservazione piuttosto frequente”.

Franchini interviene sostenendo che “Il concetto è ribadito da numerose sentenze,e, fra le altre, l’enunciato del Tribunale di Bergamo del 6 novembre 1952 sottolineasenza equivoci che: ai sensi dell’art. 3 della legge del 12 aprile 1943, n. 455 deveintendersi per silicosi una fibrosi polmonare che si manifesta particolarmente conbronchite ed enfisema e ripercussione sull’apparato circolatorio, e all’esame radiologico,con disseminazione diffusa di ombre nodulari miliariformi”.

“Ma la giurisprudenza, che opportunamente adegua il buon senso alla disposizionedi legge, non è concorde, e lo spunto al dissenso è fornito da quell’avverbioparticolarmente, che, secondo l’interpretazione di taluni, allarga la silicosi indennizzabileal di fuori degli angusti limiti indicati dalla lettera dell’articolo, per inserirsi nell’ampiospirito previdenziale che ha dettato la promulgazione della legge (Barni, Giuliani,Faraone).

Afferma infatti il tribunale di Messina in una sua rivoluzionaria sentenza del 3giugno 1953 che: l’assenza di reticolazione e di ombre nodulari non può ritenersielemento sufficiente per giustificare l’esclusione del processo silicotico in quanto talicaratteristiche costituiscono solo alcuni e non tutti gli elementi rivelatori del processo.

Continua la sentenza che se è indennizzabile la silicosi che si manifestaparticolarmente con quei determinati requisiti, ciò non significa che sia indennizzabilesolo la silicosi che presenta esclusivamente quei tali segni.

Particolarmente significa anche specialmente o, se si preferisce, prevalentemente,mentre, solo se fosse scritto esclusivamente, ne rimarrebbero escluse tutte le forme disilicosi che non hanno quei segni. Il legislatore non ha preteso insomma di costringere ilmedico a non fare diagnosi di silicosi nei casi in cui pur sussiste la convinzione clinica,ma ha inteso dare delle indicazioni di massima e suggerire dei segni che facciano dapilota nella formulazione diagnostica...”.

Come si vede e come già da noi in precedenza affermato lunghe diatribe ocomplesse riflessioni caratterizzarono l’emanazione della legge e a noi sembra ovvioche, in carenza di maggiori e più rigorose definizioni, all’epoca, non poteva esserediversamente.

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40ATTI DEL XX CONGRESSO NAZIONALE PADOVA 1955

“Le basi medico legali della valutazione del danno da silicosi polmonare”Relazione del prof. Franchini, pp. 389-391

“Alcuni punti della questione, che richiedono una più urgente soluzione, possonoessere così indicati in vista di una riforma della legge.1) La legge attuale tutela solo la silicosi polmonare e le sue conseguenze dirette

escludendo, per lo meno nella lettera, le manifestazioni primitive a carico di altriorgani ed apparati.

2) La legge attuale tutela la silicosi polmonare da biossido di silicio allo stato liberoescludendo le conseguenze della silice combinata (silicati).

3) La legge attuale tutela solo la silicosi che risponde ai requisiti diagnostici raccoltinell’art. 3, escludendo troppe forme di silicosi polmonari che non sono fedeli aquelli. Peraltro la giurisprudenza, sentendo la necessità di allargare il concetto disilicosi assicurata, tende oggi ad interpretazioni estensive.

4) La legge attuale, in contrasto con la realtà medico-biologica dell’aggravamento dellasilicosi dovuto alla ulteriore inalazione della silice, lascia facoltà all’operaio dicontinuare nella lavorazione pericolosa, ciò che egli fa quasi sempre, peggiorandocosì la propria condizione organica ed appesantendo l’onere che deriva all’Istitutoassicuratore delle maggiori rendite di inabilità permanente, ed accentuando il graverischio di aggiungere la tubercolosi alla silicosi. La rendita di passaggio oltre cheeconomicamente adeguata dovrà essere completata con misure di riqualificazioneprofessionale.

5) La legge attuale fissa le revisioni nel decennio in modo non adeguato al dinamismoevolutivo della silicosi e rende definitiva l’ultima revisione in maniera non adeguataalla spiccata evolutività della malattia, che, quando dura ormai da dieci anni, è spessosulla china di un fatale e continuo peggioramento. In sostanza la legge ignora chenon si tratta di una invalidità stabilizzata da esito di lesione ma di una inabilitàevolutiva da malattia cronica, per la quale la revisione dovrebbe sempre esserepossibile.

6) La legge attuale lascia fuori dalla tutela assicurativa le silicosi che compaiono al di làdel decimo anno dall’abbandono del lavoro pericoloso, mentre sono segnalati casi dipiù tardiva comparsa.

7) La legge attuale non pone l’obbligo del riscontro diagnostico nei casi di morte persilicosi e silicosi-tubercolosi ed impedisce così un concreto sviluppo alle nostreconoscenze sull’argomento.

8) La legge attuale, mentre si preoccupa, per ragioni discutibili di politica assicurativa,di stabilire i requisiti diagnostici (art. 3) ed il minimo indennizzabile (art. 7, lettera a),non fornisce suggerimenti per la obiettivazione del danno funzionale (unificazionedei metodi) e per la valutazione dell’inabilità lavorativa (coordinamento edunificazione delle tabelle). È stato detto che con l’art. 3 si evita di far godere dellatutela le forme di silicosi che non siano sicuramente tali e che con l’art. 7, lettera a),

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si è voluto impedire che un numero troppo elevato di piccole inabilità venisse agravare sulle prestazioni; ma, evidentemente, non si tratta di considerazioniconvincenti.Per tutte queste ragioni, e poiché il problema della silicosi interessa circa 120.000

(centoventimila) persone addette alle lavorazioni pericolose, è necessario rivedere eriorganizzare il problema assicurativo di questa malattia sulla base dei larghissimicontributi che la Medicina del Lavoro e la Medicina legale hanno fornito”.

41ATTI DEL SIMPOSIO SULLA DIAGNOSI E VALUTAZIONE DELLA SILICOSI

MILANO 3-5 LUGLIO 1967Partecipanti al Simposio

Tavola rotonda su radiologia della silicosiDott. M. Cossu, Prof. M. Faccini, Prof. G. Sessa, Prof. G. Piazza, Prof. M. Caprotti,Prof. A. Francia, Prof. G. Scansetti. Moderatore: Prof. A. Ratti

Tavola rotonda su clinica della silicosiProf. D. Casula, Prof. B. Pernis, Prof. E.C. Vigliani, Prof. S. Caccuri, Prof. M.Crepet, Prof. S. Maugeri, Prof. V. Guardascione, Prof. Ingrao, Prof. S. Pozzato.Moderatore: Prof. M. Crepet

Tavola rotonda su funzionalità respiratoria nella silicosiProf. G.P. Nissardi, Prof. A. Iannaccone, Prof. D. Tannini, Prof. E. Sartorelli, Prof.C. Secchione, Prof. E. Gaffuri, Prof. G. Pezzagno, Prof. G. Scansetti, Prof. A.Monaco. Moderatore: Prof. E.C. Vigliani

Tavola rotonda su anatomia patologica della silicosiProf. G. Mottura, Prof. M. Barni, Prof. M. Governa, prof. G. Chiappino, Prof. G.Rubino, Prof. L. Lorenzoni.

Tavola rotonda su valutazione dell’inabilitàProf. R. Luvoni, Prof. R. Bentiveglia, Prof. P. Maranzana, Prof. S. Maugeri, Prof. M.Crepet, Prof. T. Sessa, Prof. E.C. Vigliani, Prof. A. Iannaccone, Prof. D. Casula.Moderatore: Prof. S. Caccuri.

Tavola rotonda su misura del rischioProf. A. Liberti, Prof. E. Occella, Prof. P. Cerchi, Prof. N. Zurlo, Prof. F. Salvadori,Ing. R. Bonazza, Dr. F. De Luca, Ing. A. D’Agostini. Moderatore: Prof. Ricciardi-Pollini.

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42ATTI DEL SIMPOSIO SULLA DIAGNOSI E VALUTAZIONE DELLA SILICOSI

MILANO 3-5 LUGLIO 1967Tavola rotonda su “Radiologia della silicosi”

Interventi del dott. Cossu, dott. Faccini, pp. 648-671

“Ordinariamente viene eseguita una sola radiografia standard. Nei casi dubbivengono eseguite più radiografie in diverso grado di inspirazione e variando lievementela tecnica radiografica. L’esame in proiezione laterale viene eseguito solo in casiparticolari. In tutti i casi di ombre confluenti, di sospetta associazione specifica oquando interessa studiare dettagliatamente determinate immagini polmonaripatologiche, le diramazioni bronchiali o le immagini ilari, viene eseguito l’esametomografico...

... La lettura delle radiografie viene fatta sempre indicando la sigla dellaclassificazione BIT e confrontando il radiogramma in esame con le radiografie diriferimento...

... La lettura delle radiografie viene fatta conoscendo tutti i dati della anamnesipatologica e della anamnesi lavorativa. Inoltre, per i soggetti studiati in precedentiricoveri o ambulatorialmente, si hanno a disposizione tutte le precedenti radiografie...

... Non è possibile, con l’uso delle radiazioni dure, poter distinguere unaaccentuazione del disegno polmonare di origine vascolare da una iniziale fibrosipolmonare, per cui non ci sembra che la tecnica possa essere adoperata con vantaggioper il riconoscimento precoce della silicosi”.

“Il problema radiologico principe nel campo della silicosi è la definizione ed ilriconoscimento degli stadi iniziali, questo problema è strettamente connesso alledefinizione ed al riconoscimento delle forme L. Personalmente ho sempre avuto moltidubbi e molte incertezze nel riconoscimento delle forme L ed è mia opinione,confortata da rilievi anatomo-patologici, che la silicosi si manifesti essenzialmente conformazioni nodulari...

... sul valore delle tecniche speciali, restringendo sempre il problema alriconoscimento delle forme iniziali, direi che gli ingrandimetni diretti offronoeffettivamente delle belle immagini radiologiche, tuttavia non ne ho mai ricavato datidiagnostici supplementari...

... penso che sia auspicabile un controllo annuale degli operai esposti a rischiomediante schermogrammi di formato 10x10...”.

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43ATTI DEL SIMPOSIO SULLA DIAGNOSI E VALUTAZIONE DELLA SILICOSI

MILANO 3-5 LUGLIO 1967Tavola rotonda su “Radiologia della silicosi”

Interventi del prof. Casula, dott. Monaco, prof Vigliani, pp. 648-671

“La diagnosi di silicosi non può essere fatta correttamente sulla base di unaschermografia. Anche per il controllo annuale degli operai esposti al rischio sidovrebbero eseguire radiografie standard”.

“La mia esperienza personale di più di tremila esami schermografici eseguiti e letti in12 anni mi ha indotto ad affermare una proposizione quasi paradossale: laschermografia non serve per il depistage dei malati bensì per il depistage dei sani! Inaltri termini la schermografia serve per evidenziare qualsiasi deviazione dal quadroradiologico normale onde poter procedere ad un esame radiologico approfondito delleimmagini patologiche o anomale con risparmio di tempo e di mezzi dato dallaesclusione di tutti i soggetti sani. Questo principio è valido per tutte le malattie deltorace.

Fatta questa premessa di ordine generale però con altrettanta convinzione debboaffermare che la ripetizione sistematica e periodica della schermografia può dare risultatiutili nella sorveglianza agli esposti a richio silicotigeno a condizione che il medico sia unesperto di malattie del torace ed abbia larga esperienza radiologica”.

“Quando si discute se la schermografia permette una diagnosi precoce della silicosi,bisogna ricordare che nessuno ha mai detto che la schermografia può sostituire ilradiogramma standard”.

44ATTI DEL SIMPOSIO SULLA DIAGNOSI E VALUTAZIONE DELLA SILICOSI

MILANO 3-5 LUGLIO 1967Tavola rotonda su “Clinica della silicosi”

Interventi del prof. Casula, prof. Vigliani, prof. Maugeri, pp. 673-707

“I dati anamnestici professionali ci vengono forniti direttamente dall’operaio evengono controllati attraverso il libretto di lavoro che tutti gli operai vengono invitati adesibire”.

“Noi abbiamo a disposizione i dati anamnestici forniti dal paziente, che sono diimportanza fondamentale, a patto che chi raccoglie l’anamnesi conosca bene lelavorazioni e sappia fare quelle domande particolari che permettono di valutare quale èstata la pericolosità effettiva alla quale l’operaio è stato esposto”.

“I dati dell’anamnesi lavorativa sono di solito ricavati dall’interrogatorio del malato.Sarebbe oltremodo utile che i malati inviati per accertamenti di silicosi fossero muniti diun documento, sia pur riassuntivo, comprovante la effettiva esposizione, quale risultataall’Istituto Assicuratore. È indispensabile infatti, per la diagnosi di silicosi, una correttavalutazione ed uno studio del rischio”.

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“La prima istruttoria per accertare l’anamnesi lavorativa viene fatta dall’Inail.L’operaio fornisce dei dati che sono generalmente molto vaghi e non forniscono maielementi concreti sull’esistenza, la durata e l’entità del rischio. Solo per i soggetti i qualisono in attualità di lavoro, è possibile compiere delle ricerche conimetrichenell’ambiente stesso di lavoro; evidentemente i valori ottenuti si riferiscono al momentoin cui la ricerca viene eseguita, ma non ai precedenti rischi a cui l’operaio è statosottoposto”.

45ATTI DEL SIMPOSIO SULLA DIAGNOSI E VALUTAZIONE DELLA SILICOSI

MILANO 3-5 LUGLIO 1967Tavola rotonda su “Clinica della silicosi”

Interventi del prof. Casula, prof. Pernis, prof. Vigliani, pp. 673-707

“La diagnosi di silicosi può essere formulata solo in base ai dati forniti dall’esameradiografico del torace, tenendo presente l’anamnesi lavorativa e, in particolare, laqualità e la quantità della polvere inalata”.

“L’esame radiologico è la base della diagnosi di silicosi”.“Evidentemente teniamo in gran conto il referto radiologico, però non lasciamo fare

la diagnosi di silicosi al radiologo. Il radiologo vede e descrive delle ombre; ma chi fa ladiagnosi è il clinico. Beninteso il radiologo è di aiuto grandissimo, indispensabile alclinico, che tuttavia non deve cedere al primo il privilegio della diagnosi, la quale si basanon solo sul quadro radiologico, ma anche sulla conoscenza precisa dell’anamnesilavorativa e sulla esclusione di una lunga serie di affezioni polmonari”.

“Il reperto radiologico è fondamentale, unitamente all’anamnesi lavorativa, ai finidella diagnosi di silicosi e della precisazione dello stadio della malattia, soprattutto neicasi iniziali, reticolari... Però anche le immagini più suggestive per la silicosi nonpermettono di diagnosticare la malattia se non dopo aver valutato il rischio silicotigenonell’anamnesi lavorativa”.

“Noi diamo moltissima importanza all’esame radiologico, stante la aspecificità delquadro clinico il quale tuttavia soccorre per la diagnostica differenziale. Vorreiaggiungere che i quadri radiologici dubbi o appartenenti a soggetti in cuipresuntivamente si ritiene che la silicosi sia molto iniziale, possono divenire significativisolo quando esista un’anamnesi lavorativa concreta per durata e intensità”.

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46ATTI DEL SIMPOSIO SULLA DIAGNOSI E VALUTAZIONE DELLA SILICOSI

MILANO 3-5 LUGLIO 1967Tavola rotonda su “Radiologia della silicosi”

Interventi del prof. Casula, prof. Pernis, prof. Vigliani,prof. Ingrao, prof. Barni, pp. 648-671

“È indubbio che in molti silicotici la bronchite non è una conseguenza diretta dellasilicosi. Noi tutti sappiamo quale sia la frequenza della bronchite sia in campoprofessionale che nel resto della popolazione civile e come molteplici siano i fattori diessa. Risulta peraltro, anche per nostra personale esperienza, come sia notevolmenteelevata la presenza di bronchite e di enfisema negli operai esposti al rischio di silicoticoe pneumoconiotico in genere. Stabilire con esattezza quale possa essere la eziologia dellabronchite osservata in un silioctico spesso non è facile, talvolta impossibile; d’altrocanto anche in questi casi una causa extra silicotica appare evidente, non si può in ognicaso sempre escludere un contemporaneo associarsi della silicosi nella genesi dibronchite ed enfisema nella genesi delle manifestazioni bronchitico-enfisematose”.

“A mio modo di vedere, una volta accertata la diagnosi di silicosi, se esiste ancheuna bronchite e un enfisema è impossibile dire che non sono la conseguenza dellasilicosi”.

“Il problema riguardante le relazioni fra silicosi e bronchite cronica è estremamentedelicato. Contrariamente a quanto si può credere, la diagnosi di bronchite cronica non èfacile e dipende dai criteri che vengono adoperati per stabilirne l’esistenza. Nelleinchieste inglesi è stato considerato bronchitico cronico chi ha tosse e espettorazionepressoché ogni giorno per tre mesi o più all’anno, e almeno un episodio di bronchiteacuta con assenza dal lavoro di tre settimane negli ultimi tre anni. È chiaro che unadiagnosi fondata su questi dati, puramente anamnestici, può essere valida in un’inchiestafra la popolazione generale, ma è soggetta a critiche se effettuata fra una popolazione dipersone che chiedono un risarcimento per silicosi. Più o meno consciamente infatti ilavoratori denunciati per silicosi tendono a valorizzare l’esistenza di questi sintomi cheessi sanno o pensano essere connessi con la loro malattia. Perciò io ritengo chenell’attuale situazione italiana la diagnosi di bronchite cronica debba essere fatta nonsolo in base ai dati anamnestici di tosse e catarro, ma anche in base alla esistenza dellatosse e del catarro o di altri segni ascoltatori di bronchite cronica durante il periododella osservazione medica, o almeno in base ad una documentazione medica di ripetutebronchiti pregresse.

Secondo la nostra esperienza, che coincide del resto con quella di molti studiosistranieri, la bronchite cronica non è per nulla una manifestazione costante e nemmenomolto frequente della silicosi, specialmente delle silicosi iniziali o cosiddette semplici”.

“... dirò che in generale la eziopatogenesi della bronchite cronica è un complessoprocesso del quale taluni aspetti ancora ci sfuggono. Sappiamo tuttavia che soltantoprofonde modificazioni strutturali e funzionali dell’albero bronchiale fanno sì che neiterritori bronchiali e polmonari normalmente sterili alberghino costantemente agenti

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batterici e che fattori vari provochino effetti sproporzionati rispetto a quelli che siosservano nei bronchi normali. Il ruolo di queste modificazioni ambientali apparedeterminante nella patogenesi della bronchite cronica. Abbiamo visto che nella silicosi,condizioni del genere sono realizzate fin dai primissimi stadi della malattia da lesionispecifiche intrinseche ed estrinseche ai condotti aerei. Per questo ritengo che unarisposta affermativa debba essere data quando ci si chiede se la bronchite cronicaassociata a silicosi è sempre una conseguenza diretta della pneumoconiosi, purché siprescinda dai casi nei quali la malattia bronchiale precedeva già la comparsa dipneumoconiosi”.

“Il problema della bronchite che può essere associata a silicosi ha notevoleimportanza medico-legale, a causa della formulazione della legge che considera labronchite tra le conseguenze dirette della silicosi. La bronchite, l’enfisema e leripercussioni cardiocircolatorie che si osservano nella silicosi possono essereconcomitanze dovute ad altre cause, ma sul piano assicurativo non si può fare unadistinzione. L’espressione della legge invita infatti a considerare ogni bronchite, ognienfisema, come parti integranti della silicosi; anche se si riconosce una origine diversa aqueste manifestazioni morbose, si tratta sempre di un tipico concorso di invalidità.D’altra parte bisogna considerare che, in assenza di silicosi, uno stato bronchitico puòessere messo in relazione con l’esposizione professionale alle polveri, ma non si tratta inquesto caso di una malattia professionale assicurata”.

47ATTI DEL SIMPOSIO SULLA DIAGNOSI E VALUTAZIONE DELLA SILICOSI

MILANO 3-5 LUGLIO 1967Tavola rotonda su “Valutazione dell’invalidità”

Interventi del prof. Bentiveglia, prof. Maugeri, pp. 779-818

“Consideriamo allora queste eventualità: a) casi di silicosi modeste che dannoprecocemente luogo a gravi enfisemi, b) casi in cui la silicosi è molto più grave diquanto la radiografia documenti. È noto che l’enfisema maschera molte lesionisilicotiche nel radiogramma, c) casi infine in cui effettivamente l’enfisema ha precedutola comparsa radiologica delle alterazioni specifiche. Non esistono tuttavia mezzi perpoter distinguere le varie componenti di questa categoria.

Per concludere su questo argomento, noi riteniamo che la bronchite cronica el’enfisema che si sono evidenziati dopo esposizione al rischio silicotigeno, anche seprecocemente rispetto ai segni radiologici certi di silicosi, devono essere sempreconsiderati come facenti parte del quadro invalidante provocato dalla silicosi, malattiache, per definizione anatomopatologica, clinica, e soprattutto medico-legale è unapneumoconiosi”.

“Se è già documentata l’esistenza di una silicosi anche se iniziale, la bronchite el’enfisema coesistenti vanno valutati come collegati al processo silicotico, perché noidobbiamo presumere che il processo bronchitico ed il processo enfisematoso si sono

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stabiliti in conseguenza e per l’azione del lavoro svolto in quell’ambiente polveroso. Lacomponente silicea può avere anche se non un effetto determinante nello stabilirsi diqueste manifestazioni bronchitiche od enfisematose, sicuramente una azionecoadiuvante, concausale, e sappiamo tutti che la concausa è uguale alla causa”.

48ATTI DEL XXIII CONGRESSO NAZIONALE RIMINI 1959

“Osservazioni sul D.P.R. 20/3/1956 a tre anni dalla sua applicazione”Comunicazione del dott. Capezzuto pp. 166-167

“L’entrata in vigore del D.P.R. 20-3-1956 n. 648, contenente norme modificatricidella legge 12-4-1943 n. 455 sull’assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l’asbestosi,avvenuta nel luglio del 1956, ha posto un problema importante circa la valutazione deldanno nella silicosi polmonare. L’art. 4 di tale decreto, che sostituisce l’art. 7 della legge12-4-1943, abbassa il grado minimo di incapacità lavorativa indennizzabile portandolodal 34% al 21%, parificandolo così a tutte le rimanenti malattie professionali.

Questo provvedimento, che appare senz’altro equo, ha determinato, nella suaattuazione pratica, delle notevoli perplessità. A tre anni di applicazione delle nuovenorme, è possibile trarre delle conclusioni circa la reale efficacia delle stesse e giudicarese sono servite a tradurre in realtà operante la volontà innovatrice della legge. La nostraesperienza ci permette di affermare che solo in parte lo scopo è stato raggiunto.

La causa di ciò va ricercata nel fatto che il Legislatore, pur avendo inteso diammettere ai benefici assicurativi quegli operai affetti da silicosi polmonare la cuiincapacità al lavoro è al di sotto del 33%, ha tuttavia omesso di predisporre i mezzilegislativi adeguati, lasciando inalterata la dizione dell’art. 3 della legge 12-4-1943, tuttoravalido. Questo articolo, fondamentale ai fini della individuazione medico-legale dellasilicosi indennizzabile, nel fissare quali devono essere i caratteri di quest’ultima,stabilisce, come è noto, che ai fini della presente legge per silicosi deve intendersi unafibrosi polmonare complicata o non da tubercolosi polmonare, che, provocatadall’inalazione di biossido di silicio allo stato libero, si manifesta particolarmente conbronchite ed enfisema e ripercussione sull’apparato circolatorio ed all’esame radiologicocon disseminazione diffusa di ombre nodulari miliariformi, confluenti o non. Si richiedepertanto, ai fini assicurativi, oltre naturalmente l’esposizione al rischio silicotigeno, lamanifestazione radiologica della silicosi sotto forma di ombre miliari nodulariformiconfluenti o non, ed interessamento cardio-respiratorio.

A parer nostro l’abbassamento del grado minimo di incapacità lavorativaindennizzabile, avrebbe dovuto significare anche allargamento delle manifestazionianatomo-patologiche polmonari da riconoscersi come efficienti a provocare danno allapersona e quindi entrare nel campo della indennizzabilità, come ad esempio la silicosireticolare.

Invece, allo stato attuale delle cose, si corre il rischio di emettere giudizi valutativinon perfettamente equi...”.

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“... Tutti gli studiosi concordano, d’altra parte, sulla mancanza d’ogni parallelismotra manifestazioni radiologiche e manifestazioni cliniche della malattia (Vigliani eCattabeni). Il Pellegrini afferma che la silicosi sussiste dal punto di vista medico-legaleassicurativo, principalmente nelle sue ripercussioni sulla capacità lavorativa di ciascunsoggetto e non soltanto nelle sue manifestazioni patologiche.

Riteniamo pertanto che le nuove norme andrebbero integrate, perfezionando ladizione attuale dell’art. 3 della legge 12-4-1943 e non limitando l’indennizzo alle soleforme di silicosi nodulare ma estendendolo anche alle forme reticolari quando siaccompagnino a deficit cardio-respiratorio”.

49EXCURSUS STORICO DELLE LEGGI

CONCERNENTI IL LAVORO FEMMINILE

1880: viene presentata la prima proposta di tutela per le donne.1902: viene emanata la prima legge di tutela per il lavoro delle donne e dei fanciulli.1934-1938: viene effettuato il primo aggiornamento della legge del 1902 attraverso

l’emanazione della legge n. 653 sulla “Tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli”.1936: viene emanato il R.D. n. 1720 nel quale vengono approvate le tabelle indicanti i

lavori per i quali è vietata l’occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni equelle per le quali ne è consentita l’occupazione con le cautele e le condizioninecessarie.

1938: viene emanato il decreto ministeriale con “determinazione delle attività per lequali è obbligatoria la visita medica alle donne e ai fanciulli che vi sono occupati.

1950: legge n. 860 sulla “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”.1961: vengono apportate delle modifiche alla legge 635/34 attraverso l’emanazione della

legge n. 13251963: con la legge n. 7 viene stabilito il divieto di licenziamento delle lavoratrici per

causa di matrimonio e vengono apportate le modifiche alla legge n. 860/50.1964: viene emanato il D.P.R. 185 il quale si occupa delle donne in particolare con l’art.

65, il quale vieta di adibire alle mansioni proprie dei lavoratori professionalmenteesposti le gestanti e fa obbligo a queste di notificare al datore di lavoro il propriostato di gravidanza, vieta inoltre di adibire a lavori comportanti rischi dicontaminazione o irradiazione elevata, le donne che allattano al seno.

1967: viene emanata la legge n. 977/67 riguardante la tutela del lavoro dei fanciulli edegli adolescenti, la quale pur trattando di fanciulli e adolescenti estende alcuneforme di tutela alle donne fino agli anni 18 per i lavori gravosi e nel capitolo deltrasporto e sollevamento pesi riconosce la maggiore fragilità del sistemamuscoloscheletrico imponendo dei limiti di peso più bassi.

1971: viene emanata la legge del 30/12/71 n. 1204 sulla tutela delle lavoratrici madri:per la prima volta nasce una legge che prevede per le lavoratrici in generale, e nonsoltanto per le lavoratrici professionalmente esposte a radiazioni, l’astensione

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obbligatoria dal lavoro nei due mesi antecedenti al parto e nei tre mesi successivi. Siprevede inoltre l’estensione di tale periodo qualora insorgano complicanzegravidiche e si prevede inoltre la possibilità di spostare le donne ad altre mansioni,se le condizioni di lavoro sono tali da alterare la salute della donna e del bambino.

1973: vengono emanati due importanti decreti ministeriali comportanti rispettivamentel’applicazione della convenzione dell’OIL n. 89 sul lavoro notturno delle donnenelle aziende industriali (D.M. 5/7/73) e l’Istituzione della commissione nazionaleper i problemi dell’occupazione femminile (D.M. 17/12/73).

1976: viene emanata la legge del 25/11/1976 n. 1026 come Regolamento di esecuzionedella legge n. 1024: tale legge risulta essere di grande importanza poiché vengonospecificati ed elencati i lavori da considerare faticosi pericolosi ed insalubri e cometali da evitare.

1977: legge n. 903 la quale stabilisce “Parità di trattamento tra uomini e donne inmateria di lavoro”. Tale legge vieta discriminazioni fondate sul sesso per quantoriguarda l’accesso al lavoro, indipendentemente dalle modalità di assunzione,qualunque sia il settore o il ramo di attività. In effetti si vengono a perdere anchedelle forme di tutela quali, ad esempio, delle maggiori limitazioni nel sollevamentodei carichi.

1987: legge n. 546 “Indennità di maternità per le lavoratrici autonome”.1990: legge n. 379 “Indennità di maternità per le libere professioniste”.1991: legge n. 125 per la realizzazione delle parità uomo-donna nel lavoro.1994: D.Lgs. 566 recante “Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di tutela

del lavoro minorile, delle lavoratrici madri e dei lavoratori a domicilio”.1996: legge n. 645 nasce come recepimento di una direttiva comunitaria del 1992

(92/85/CEE) concernente il “Miglioramento della sicurezza e della salute sul lavorodelle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento”.

2000: legge 53: “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per ildiritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città” la cuilegge ha nelle sue finalità la promozione di un equilibrio tra tempi di lavoro, cura,formazione e relazione mediante:

“... a) Istituzione dei congedi dei genitori e l’estensione del sostegno ai genitori disoggetto portatori di handicap

b) l’istituzione del congedo per la formazione continua e l’estensione dei congedi per laformazione

c) il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell’usodel tempo per fini di solidarietà sociale” (art. 1).

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50ELENCO NON ESAURIENTE DI AGENTI, PROCESSI E CONDIZIONI

DI LAVORO PER LE QUALI IL DATORE DI LAVORO DEVE VALUTAREI RISCHI ANCHE PER QUANTO RIGUARDA LA SPECIFICITÀ FEMMINILE

ED INFORMARE LE LAVORATRICI ANCHE NEL MERITO DI QUESTI

Agenti fisici:vibrazioni meccaniche;movimentazione manuale di carichi;rumore;radiazioni ionizzanti e non ionizzanti;sollecitazioni termiche;movimenti e posizioni di lavoro, spostamenti sia all’interno che all’esterno dello

stabilimento;fatica mentale e fisica.Agenti biologici dei gruppi di rischi da due a quattro ai sensi dell’art. 65 del D.Lgs.

626/94.Agenti chimici particolari:le sostanze etichettate con la frase di rischio r40, r45, r46 e r47 ai sensi della direttiva

sulle etichettature;mercurio e derivati;monossido di carbonio;medicamenti antimicotici;farmaci antiblastici.Agenti chimici pericolosi di comprovato assorbimento cutaneo (ad es. solventi).Processi:processi industriali che figurano nell’allegato VIII del D.Lgs. 626/94 e successive modificazioni ed

integrazioni.Condizioni di lavoro:lavori sotterranei e di carattere minerario.

51ATTI DEL XXXII CONGRESSO NAZIONALE MONTECATINI TERME 1969

“Limiti massimi tollerabili delle sostanze nocive nelle industrie”Relazione del prof. Vigliani

Nel giugno 1968 il Comitato Misto BIT-OMS per la Medicina del Lavoro hadiscusso i criteri per stabilire le concentrazioni massime accettabili delle sostanzetossiche nell’aria, ed ha riconosciuto che i termini correntemente usati, TLV e MAC,non indicano la possibilità di una scala continua di azione dei tossici: livelli indicativimultipli invece esprimerebbero meglio le relazioni fra esposizione ed effetto.

È stato allora sostenuto che il sistema dei livelli indicativi multipli potrebbepermettere una più facile unificazione internazionale dei valori, visto che essa appare

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estremamente difficile adottando un valore solo per ciascuna singola sostanza. Inpratica vennero proposti 5 livelli, e cioè:

nessun effetto;effetto minimo svelabile, diretto o indiretto, incluse le alterazioni dei riflessi

condizionati, e le risposte adattive o protettive;accorciamento della vita, o produzione di cellule anormali, conducenti ad effetti

mutageni o genetici;disturbi di funzioni fisiologiche, o alterazioni che conducono a malattia;malattie immediate, danni irreversibili o morte.Questo sistema di livelli multipli corrisponde grosso modo ai quattro livelli stabiliti

dall’O.M.S. nel 1964 come criteri di inquinamento atmosferico generale (Organ. Mond.Sanità, Ginevra, WHO Technical Report Series n. 271, 1964), e cioè:

Livello I: Concentrazioni producenti nessun effetto, diretto o indiretto, incluse lealterazioni dei riflessi e le risposte adattive o protettive.

Livello II: Concentrazioni al di sopra delle quali vi è probabilità di irritazione degliorgani di senso, effetti dannosi sulla vegetazione, riduzione della visibilità o altri effettisfavorevoli all’ambiente.

Livello III: Concentrazioni al di sopra delle quali vi è disturbo delle funzionifisiologiche vitali o alterazioni conducenti a malattie croniche o accorciamento dellavita.

Livello IV: Concentrazioni al di sopra delle quali vi è probabilità di malattie acute omorte in gruppi di popolazioni particolarmente sensibili.

52DEFINIZIONE DEL MEDICO DI FABBRICA E/O MEDICO DI AZIENDA

I due termini devono essere considerati sinonimi ai fini del ruolo e dei compiti attesio svolti da questa figura professionale: infatti negli Atti dei Congressi di Medicina delLavoro vengono utilizzati con il medesimo significato, la diversa aggettivazionecompare solo in tempi successivi e comunque non in senso sostitutivo. Nel 1907 siaccenna genericamente ad un “medico”. Negli anni ’51, ’56 e ’59 si definiscono “difabbrica” sia il medico, sia le assistenti sanitarie, sia i servizi sanitari, e nel l’ambito deitemi congressuali relativi a questa figura, ricorre pressoché unicamente questo termine.Negli anni ’65 e ’66 nell’ambito delle sessioni congressuali dedicate a questo tema, itermini utilizzati sono quelli di “medico di azienda” e di “servizio medico di azienda”,tuttavia nelle varie relazioni vengono impiegati, con diversa frequenza e come sinonimi,i termini “medico di fabbrica”, “medico del lavoro”, “medico competente”. Negli annisuccessivi (1978, 1984) nella trattazione di questo tema ricorrono più frequentemente itermini “medico di azienda” “medico competente”.

Il termine “azienda” esprime un concetto più moderno di quello di “fabbrica”, edefinisce una unità produttiva in senso lato.

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Citiamo il prof. G. Pancheri il quale nella relazione “Il medico di fabbrica” a pag.174 esprime la sua incertezza nella definizione di questa figura: “Potrebbe sorgere qui ilquesito se convenga mantenere alla nostra istituzione il nome di medico di fabbrica o se non sia piùappropriato il termine di medico di azienda o di medico del lavoro. Potendo scegliere io sarei perquest’ultima definizione più vasta e adatta a tutti gli sviluppi futuri del servizio”.

RIFERIMENTI LEGISLATIVI PRIMA DEGLI ANNI ’50Obbligo della visita medica per l’ammissione dei fanciulli al lavoro e per il rilascio del

libretto di ammissione al lavoro (1886, 1902, 1907).Obbligo della sorveglianza sanitaria periodica per le donne e i minori (1934).Regolamento Generale per l’Igiene del Lavoro (1927).

Art. 6: obbligo della visita medica preventiva e periodica da parte di un medicocompetente per i lavoratori dell’industria esposti al rischio di intossicazione o diinfezioni.

D.M. 20 marzo 1929 e D.M. 11 giugno 1939Identificazione delle lavorazioni interessate.

Legge 12 aprile 1943 n. 455Estendeva l’obbligo delle visite mediche con l’inclusione della silicosi e dell’asbestositra le malattie professionali indennizzabili.

Legge 17 marzo 1898 n. 80Istituiva l’obbligo per i datori di lavoro di organizzare il pronto soccorsoall’infortunato.

Regolamento Generale per la Prevenzione degli infortuni sul Lavoro (R.D. 19 giugno1899).

Art. 15: obbligo al datore di lavoro di mantenere sul luogo stesso in cui si compie illavoro, il materiale indispensabile per la immediata medicazione antisettica delleferite per infortunio sul lavoro.

Regolamento Generale per l’Igiene del Lavoro (1927)Art. 4 e 5: obbligo per il datore di lavoro, a seconda della natura e dell’importanzadell’azienda, del pacchetto di medicazione, della cassetta del pronto soccorso, o, perle aziende con più di 5 operai con rischio di scoppio, asfissia, infezione ointossicazione, della infermeria.Art. 7: tutte le aziende industriali soggette all’obbligo dell’assicurazione contro gliinfortuni sul lavoro devono esporre un cartello con l’indicazione di un medico chepossa essere chiamato in caso di pronto soccorso e talune di esse devono disporre diun infermiere o, in difetto, di persona pratica di infermeria.

RIFERIMENTI LEGISLATIVI NEGLI ANNI ’50D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 (Norme generali per l’igiene del lavoro)

Capo III: Servizi SanitariArt. 27: Pronto SoccorsoArt. 28: Pacchetto di medicazioneArt. 29: Cassetta di pronto soccorso

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Art. 30: Camera di medicazioneArt. 31: Decentramento del pronto soccorsoArt. 32: Personale sanitarioArt: 33: Visite mediche“Nelle lavorazioni industriali che espongono all’azione di sostanze tossiche oinfettanti o che risultano comunque nocive, indicate nella tabella allegata al presentedecreto, i lavoratori devono essere visitati da un medico competente:prima della loro ammissione al lavoro...successivamente nei periodi indicati nella tabella...”

D.P.R. 20 marzo 1956 n. 320 (Norme per la prevenzione degli infortuni e l’igiene dellavoro in sotterraneo)Art. 96: Pronto soccorsoArt. 97: Infermeria

D.P.R. 20 marzo 1956 n. 321 (Norme per la prevenzione degli infortuni e l’igiene dellavoro nei cassoni ad aria compressa)Art. 11: Assistenza sanitaria e pronto soccorsoArt. 12: Medici ed infermieriArt. 13: Presidi medico-chirurgici

53D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547 (“Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”)

Art. 388: “Denuncia dell’infortunio e soccorsi d’urgenza”.“I lavoratori, salvo impedimenti per causa di forza maggiore, sono tenuti a segnalare

al proprio datore di lavoro o ai propri capi gli infortuni, comprese le lesioni di piccolaentità, loro occorsi in occasione di lavoro.

Il datore di lavoro deve disporre che per gli infortuni, comprese le lesioni di piccolaentità, siano immediatamente prestate all’infortunato i soccorsi d’urgenza”.

54D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 (“Norme generali per l’igiene del lavoro”)

Art. 27: “Pronto soccorso”.“Nelle aziende industriali, e in quelle commerciali che occupano più di 25

dipendenti, il datore di lavoro deve tenere i presidi sanitari indispensabili per prestare leprime immediate cure ai lavoratori feriti o colpiti da malore improvviso.

Detti presidi devono essere contenuti in un pacchetto di medicazione o in unacassetta di pronto soccorso o in una camera di medicazione:

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Con decreto del Ministero per il lavoro e per la previdenza sociale e sentito ilConsiglio superiore di sanità, saranno indicate la quantità e la specie dei presidichirurgici e farmaceutici”.

Art. 28: “Pacchetto di medicazione”.“Sono obbligate a tenere un pacchetto di medicazione le aziende industriali che non

si trovano nelle condizioni indicate nei successivi artt. 29 e 30, nonché le aziendecommerciali che occupano più di 25 dipendenti”.

Art. 29: “Cassetta di pronto soccorso”.“Sono obbligate a tenere una cassetta di pronto soccorso:

a) le aziende industriali, che occupano fino a 5 dipendenti, quando siano ubicatelontano dai centri abitati provvisti di posto pubblico permanente e di prontosoccorso e le attività che in esse si svolgono presentino rischi di scoppio, di asfissia,di infezione o di avvelenamento;

b) le aziende industriali, che occupano fino a 50 dipendenti, quando siano ubicate inlocalità di difficile accesso o lontane da posti pubblici permanenti di prontosoccorso e le attività che in esse si svolgono non presentano i rischi considerati allalett. a);

c) le aziende industriali, che occupano oltre 5 dipendenti, quando siano ubicate neicentri abitati provvisti di posto pubblico permanente di pronto soccorso e le attivitàche in esse si svolgono presentino rischi di scoppio, di asfissia, di infezione o diavvelenamento;

d) le aziende industriali, che occupano oltre 50 dipendenti, ovunque ubicate che nonpresentino i rischi particolari sopra indicati.

Art. 30: “Camera di medicazione”“Sono obbligate a tenere la camera di medicazione le aziende industriali che

occupano più di 5 dipendenti quando sono ubicate lontano dai posti pubblicipermanenti di pronto soccorso e le attività e in esse si svolgono presentino rischi discoppio, di asfissia, di infezione o di avvelenamento.

Quando, a giudizio dell’Ispettorato del lavoro, ricorrano particolari condizioni dirischio e di ubicazione, le aziende di cui al precedente art. 29, in luogo della cassetta dipronto soccorso, sono obbligate ad allestire la camera di medicazione.

Sono obbligate a tenere la camera di medicazione anche le aziende industriali cheoccupano più di 50 dipendenti soggetti all’obbligo delle visite mediche preventive eperiodiche a norma degli artt. 33, 34 e 35 del presente decreto.

La camera di medicazione, oltre a contenere i presidi sanitari previsti dall’art. 27,deve essere convenientemente areata ed illuminata, riscaldata nella stagione fredda efornita di un lettino con cuscino e due coperte di lana; di acqua per bere e per lavarsi; disapone e asciugamani”.

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Art. 32: “Personale sanitario”“Nelle aziende che eseguono le lavorazioni indicate al successivo art. 33 deve essere

affisso in luogo ben visibile un cartello indicante il nome, il cognome ed il domicilio odil recapito del medico a cui si può ricorrere ed eventualmente il numero del suotelefono, oppure il posto di soccorso pubblico più vicino all’azienda.

Nelle aziende di cui agli artt. 29 e 30, un infermiere od, in difetto, una personapratica dei servizi di infermeria, deve essere incaricato di curare la buona conservazionedei locali, degli arredi e dei materiali destinati al pronto soccorso”.

55D.P.R. 20 marzo 1956 n. 320

(“Norme per la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro in sotterraneo”)

Art. 96: “Pronto soccorso”.“I cantieri che occupano fino a 100 lavoratori devono essere dotati di almeno una

cassetta di medicazione.I cantieri che occupano un numero di lavoratori superiore a 100 e quelli la cui

distanza da posti pubblici di pronto soccorso sia tale da non garantire la tempestivaassistenza, devono avere sul posto di lavoro una propria attrezzatura sanitaria,consistente in un apposito locale, rispondente ai requisiti di cui agli artt. 81, 82 e 83,fornito dei presidi necessari al pronto soccorso, nonché di acqua potabile, di lavandinoe latrina.

L’imprenditore deve provvedere acché un medico, prontamente reperibile, possarapidamente raggiungere, in caso di bisogno, il cantiere”.

Art. 97: “Infermeria”.“Nei cantieri che occupano almeno 500 lavoratori, oltre al locale di pronto soccorso,

indicato nell’articolo precedente, deve essere allestita una infermeria, nella qualepossano essere ricoverati i lavoratori che siano affetti da lievi forme morbose ovveroche siano in attesa di trasferimento in luogo di cura. L’infermeria deve contenerealmeno due letti se il cantiere occupa un numero di lavoratori inferiore a 1.000 e almenoquattro letti se ne occupa un numero superiore. Essa deve avere i requisiti indicati negliartt. 81, 82 e 83 e deve essere affidata in custodia as un infermiere incaricato di recareeventualmente i primi soccorsi in attesa del medico.

Nei cantieri di cui al comma precedente deve essere provveduto affinché un medicorisieda sul posto.

L’Ispettorato del lavoro può esonerare l’imprenditore che ne faccia motivata istanzadall’osservanza delle norme di cui ai commi precedenti, quando nelle vicinanze delcantiere esista un ospedale”.

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56D.P.R. 20 marzo 1956 n. 321 (“Norme per la prevenzione degli infortuni

e l’igiene del lavoro nei cassoni ad aria compressa”)

Art. 11: “Assistenza sanitaria e pronto soccorso”.“Il cantiere deve essere dotato di un locale adibito a pronto soccorso, rispondendo

alle condizioni indicate dagli artt. 27, 30 e 31 del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303,contenente norme generali per l’igiene del lavoro.

Il cantiere in cui si eseguono lavori a pressione superiore a 1,5 atmosfere deve altresìessere dotato di mezzi necessari per sottoporre a ricompressione terapeutica i lavoratoriche presentino turbe derivanti dall’aria compressa. A tal fine, annessa al suddetto localedi pronto soccorso, deve essere predisposta un’apposita camera di ricompressionerispondente ai requisiti stabiliti dal precedente art. 8.

Il locale adibito a pronto soccorso e la camera di ricompressione non possonoessere adibiti ad altri usi”.

Art. 12: “Medici ed infermieri”“Un infermiere deve essere sempre sul luogo di lavoro durante il periodo in cui i

lavoratori svolgono la loro attività in aria compressa e durante la decompressione.Il medico deve essere facilmente reperibile.Un mezzo di trasporto deve essere tenuto disponibile in modo da consentire al

medico di raggiungere rapidamente il luogo di lavoro in caso di soccorso d’urgenza.In luoghi ben visibili del cantiere devono essere affissi cartelli indicanti le generalità

e il recapito del medico, nonché l’eventuale numero del suo telefono.Per le pressioni superiori a 2,5 atmosfere l’Ispettorato del lavoro può prescrivere la

presenza del medico nel cantiere o nelle sue immediate vicinanze”.

Art. 13: “Presidi medico-chirurgici”“Il datore di lavoro deve fornire i presidi medico-chirurgici necessari e deve far

prestare le prime cure agli individui colpiti da lesioni derivanti dal lavoro in ariacompressa, secondo le modalità e le indicazio0ni che saranno stabilite con decreto delMinistro per il lavoro e la previdenza sociale”.

57D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 (“ Norme generali per l’igiene del lavoro”)

Art. 32: “Visite mediche”“Nelle lavorazioni industriali che espongano all’azione di sostanze tossiche o

infettanti o che risultino comunque nocive, indicate nella tabella allegata al presentedecreto, i lavoratori devono essere visitati da un medico competente;

prima della loro immissione al lavoro per constatare se essi abbiano i requisiti diidoneità al lavoro al quale sono destinati;

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successivamente nei periodi indicati nella tabella, per constatare il loro stato disalute.

Per le lavorazioni che presentano più cause di rischio e che pertanto sono indicate inpiù di una voce della tabella, i periodi da prendere a base per le visite mediche sonoquelli più brevi.

L’Ispettorato del lavoro può prescrivere la esecuzione di particolari esami medici,integrativi della visita, quando li ritenga indispensabili per l’accertamento dellecondizioni fisiche dei lavoratori”.

58ATTI DEL XVII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Il medico di fabbrica”Relazione del prof. Pancheri pp. 162-163 e pp. 166-167

“Entrando ora nel vivo della nostra materia, ritengo non privo di importanza praticae di interesse dare un rapido sguardo alla sua evoluzione la quale si compendia,praticamente, in pochi decenni. Per questo esame conviene dividere il campo in dueparti: sviluppo ed evoluzione del medico di fabbrica nella legislazione e sviluppo edevoluzione nella pratica.

Dal punto di vista legislativo la nostra istituzione fa la sua prima apparizione,sebbene in forma embrionale, in quell’Inghilterra che, a causa dello sviluppo delle sueindustrie, precorse la legislazione per la tutela del lavoro, di tutto il mondo: La leggeAlthorp (1833), meteora in un cielo allora ancora tanto oscuro, istituì l’obbligo delcontrollo sanitario dei fanciulli, creando i «certifyng surgeons » o medici certificatoriaffidando loro il compito di sottoporre i fanciulli prima della loro immissione al lavoronelle fabbriche ad una visita medica per accertarne l’età in base al loro sviluppo fisicoperché (e il Loriga ce lo riferisce), in Inghilterra fino al1837, nell’Irlanda e nella Scoziaanche più tardi, non esistevano registri delle nascite. Questi medici erano scelti dagliindustriali. Ma l’esperimento non diede buona prova. Frequenti erano gli abusi dovutiad incompetenza del medico o a poca scrupolosità. Questo indusse ad imporre ai datoridi lavoro di affidare tale incarico esclusivamente ai medici di gradimento dell’Ispettoratodel Lavoro, che era stato creato nel 1833. Il principio fu sanzionato nel 1844 da unalegge che diede all’Ispettorato del Lavoro anche il diritto di nominare e di licenziare imedici certificatori. A questi vennero affidati dalla stessa legge taluni compiti ispettiviquali il diritto di accedere alle fabbriche, di accertare che i dirigenti tenessero il registroo la raccolta dei certificati medici, di assicurarsi che i certificati stessi si riferissero aifanciulli occupati nel lavoro e non ad altri, ecc. La legge impose ai medici certificatoril’obbligo di seguire le visite direttamente nelle fabbriche, salvo eccezioni concessedall’Ispettorato del Lavoro, e agli industriali di denunziare al medico certificatore ogniinfortunio avvenuto nella fabbrica. Il medico a sua volta doveva dare notizia degliinfortuni all’Ispettore del lavoro e doveva portarsi sul luogo dell’infortunio per accertarele circostanze in cui l’infortunio si era verificato e le cause che lo avevano determinato.

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La legge dava ancora al medico il potere di visitare quegli ambienti della fabbrica chepotessero avere una relazione con l’infortunio. Una legge del 1867 estese la vigilanza adun numero molto maggiore di fabbriche, il che aumentò considerevolmente il numerodei medici certificatori e li indusse a costituirsi sotto la guida di uno di essi, il Baker, inassociazione. E poiché l’unione fa la forza, nel 1873 essi presentarono una petizione alParlamento chiedendo il diritto di visitare tutti gli ambienti delle fabbriche peraccertarne le condizioni igieniche e costringere gli industriali a rimuovere le cause aldanno per la salute degli operai.

L’esempio inglese fu seguito da altri Paesi fra i quali il Belgio, ove con DecretoMinisteriale del 1902, furono istituiti i «medicins agrees» con incarichi tuttavia che noncorrispondevano esattamente a quelli dei medici inglesi...”.

“Nel campo extralegislativo la nostra istituzione ha seguito un’altra strada: Aprescindere da qualche rarissimo caso di medico di fabbrica che ha precorso gli eventi ela storia (Carozzi mi ha parlato questa mattina di un medico di fabbrica che risale al1823), elementi determinanti nello sviluppo della nostra istituzione furono in primoluogo la diffusione e l’applicazione su scala sempre maggiore delle teorie di Taylor el’aumento con il progressivo meccanicizzarsi dell’industria, degli infortuni sul lavoro.

Può sembrare strano che sia stata proprio l’organizzazione scientifica del lavoro,sorta ignorando e trascurando i principi della fisiologia, a segnare l’ingresso del medicodi fabbrica nelle industrie americane. Ma fu invece proprio per controbilanciare glieffetti antifisiologici del sistema di Taylor e per evitarne le dannose conseguenzesull’organismo umano, che si sentì il bisogno, soprattutto nel paese in cui il sistemaaveva trovato la più pronta e vasta applicazione, di ricorrere all’opera del medico difabbrica. E furono proprio gli industriali americani quelli che intravidero tuttal’importanza del medico di fabbrica non solo come elemento necessario per il prontosoccorso ma come consulente tecnico del datore di lavoro per la conservazionedell’efficienza lavorativa e per la protezione della salute delle maestranze.

Il secondo elemento che influì in modo particolare sulla nostra istituzione ful’impressionante aumento degli infortuni nell’industria, che ben presto richiamòl’attenzione di medici, sociologi, sindacalisti e politici e creò un movimento che verso lafine del secolo scorso culminò con l’emanazione dei regolamenti per la prevenzionedegli infortuni e della legge sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavorodi cui ho già parlato. Questa legge in Italia prevedeva però per il datore di lavoro solol’obbligo della prima medicazione e del pronto soccorso, tralasciando al lavoratore ilprovvedere al resto della cura. Ragioni umanitarie e, soprattutto, facili calcoli diconvenienza, indussero gli industriali ad organizzare servizi medici di fabbrica, vuoiautonomi nelle aziende maggiori, vuoi consorziati in quelle minori, nell’intento diassolvere alle disposizioni di legge e di curare l’infortunato fino a guarigione. Non eradifficile difatti alle industrie intuire che questo era anche nel suo interesse, in quanto unpronto soccorso fatto a regola d’arte e le successive cure eseguite e vigilate dacompetenti riducono da una parte le complicazioni e dall’altra la durata dellatemporanea nonché l’entità delle permanenti, con grande beneficio, e non solopecuniario, di tutti gli interessati, industriali e operai...”.

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59ATTI DEL XVII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Il medico di fabbrica”Relazione del prof. Pancheri pp. 164-165

“Le disposizioni dell’art. 6 del Regolamento Generale per l’Igiene del Lavoro hannoavuto successivamente un notevole ampliamento con l’art. 21 della nuova legge sullatutela del lavoro delle donne e dei fanciulli (Legge 26 aprile 1934 n. 653 e con il Decretodell’allora Ministero delle Corporazioni (8 giugno 1938) che hanno esteso l’obbligo dellavisita periodica alle donne di qualsiasi età ed ai minoro degli anni 18 addetti a lavoripericolosi e insalubri elencati nelle tabelle A e B approvate con il R.D. 7 agosto 1936n. 1720; alle donne minorenni ed ai fanciulli di undici grandi gruppi di industrie quando,a giudizio dell’Ispettorato del Lavoro, fossero esposti ad eccesso o a sbalzi notevoli ditemperatura, ad eccesso di umidità, a polveri, fumi, gas, vapori, o alla manipolazione disostanze tossiche, caustiche o fortemente irritanti; e, infine, alle donne minorenni e aifanciulli delle aziende industriali e commerciali, quando, sempre a giudiziodell’Ispettorato del Lavoro, fossero addetti a lavori che importino prolungate edincomode posizioni od intenso sforzo muscolare. Queste ultime norme hanno avutotuttavia scarsa applicazione, poiché risultando finora le prescrizioni specifiche inmateria, da parte dell’Ispettorato.

60ATTI DEL XVII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Il medico di fabbrica”Relazione del prof. Pancheri p. 169

“Un altro elemento che diede alla nostra istituzione una sua particolare fisionomia econtribuì alla sua estensione fu la mutualità. Questa, sviluppatasi da noi prima comeforma volontaria, quando già da anni gli Imperi Centrali, avevano introdotto sia puresotto la spinta di considerazioni politico-sociali, l’assistenza malattie obbligatoria pertutti i lavoratori dell’industria, ebbe particolare impulso attraverso i contratti collettivi dilavoro che costrinsero i datori di lavoro alla creazione di mutue aziendali edinteraziendali. Il medico di fabbrica si identificò in quell’epoca in molti casi con ilmedico di mutua, assommando spesso i compiti mutualistici con quelli del prontosoccorso e con la consulenza igieno-sanitaria. La legge dell’11 gennaio 1943 n. 138provvide a dare un nuovo assetto e nuova organizzazione a tutta l’assistenza malattiecreando quello che a Milano fu denominato dai medici «il mutuone» e togliendo almedico di fabbrica questo servizio che fu affidato ai medici dell’Istituto Assicuratore esvolto fuori dello stabilimento. Talune aziende hanno tuttavia conservato ancora nelservizio medico di fabbrica, almeno in parte, questa fisionomia e tra esse uno deimaggiori stabilimenti di Milano. Anche in Sardegna il medico di fabbrica, o meglio diminiera, ha spesso conservato il carattere del medico di mutua, vorrei quasi dire delmedico condotto, della comunità mineraria”.

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61ATTI DEL VII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Il medico di fabbrica”Relazione del prof. Pancheri p. 172

“In quanto all’Italia, noi assistiamo allo stesso fenomeno osservato negli altri Paesi:evoluzione della nostra istituzione sempre più verso compiti preventivi; esistenza,accanto a ditte che si limitano ad osservare di stretta misura le già monche disposizionidi legge, seppur le rispettano pur avendone l’obbligo, di aziende con servizi di fabbricamodernissimi, ove i compiti del medico spaziano dalla prevenzione nel senso più lato alpronto soccorso, dall’assistenza medica complementare di quella fornita dagli istitutiassistenziali, agli inevitabili compiti fiscali. Esistenza quindi dei soliti due tipi di medici,l’uno con il solo compito delle visite mediche, preventive e periodiche, e l’altro concompiti di medico di fabbrica nel senso più ampio della parola. Anche da noi la stessapersona può naturalmente disimpegnare i due servizi. Infine, è forse più marcata cheall’estero, la tendenza, soprattutto delle piccole ditte ma anche dei grandi complessiindustriali, di affidare il servizio ad appositi istituti fra i quali in primo luogo l’E.N.P.I.”.

62ATTI DEL XVII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Il medico di fabbrica”Relazione dl prof. Pancheri p. 174

“A mio parere la nostra istituzione dovrebbe essere estesa a tutte le aziendeindustriali e per lo meno alle principali aziende commerciali, agricole o di altra natura,come primo passo verso la vigilanza sanitaria periodica di tutti i lavoratori. Entità enatura del servizio medico nelle varie aziende, dovrebbero variare con la natura e conl’entità dell’azienda stessa”.

“Il mio parere è comunque che i grandi stabilimenti dovrebbero avere uno o piùmedici «full time», ossia ad orario intero mentre per gli altri potrebbe essere seguito sia ilcriterio di prescrivere un numero di ore di servizio proporzionato all’entità e ai rischidell’azienda, sia quello di lasciare la facoltà al datore di lavoro di coprire il servizioprescritto dalla legge col numero di giornate o di ore di prestazione necessarie pereseguirlo bene. Sarà poi compito dell’Ispettorato del Lavoro vigilare che questo sia fattoa dovere”.

63ATTI DEL XVII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Il medico di fabbrica”Relazione del prof. Pancheri p. 182

“Un punto che merita qualche accenno riguarda la frequenza delle visite medicheperiodiche. Tale frequenza è logicamente in rapporto alla natura del lavoro da svolgersi

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ed alle condizioni psico-fisiche del soggetto. In merito alla natura del lavoro ènecessario non cadere nell’errore del legislatore che ha ritenuto nocive, soprattutto, pernon dire soltanto, le lavorazioni tossiche ed infettanti. In particolare bisogna tener contodella fatica che resta pur sempre la malattia del lavoro più grave e più diffusa.

Per quanto ha attinenza invece alle condizioni fisiche del lavoratore, è necessarioconsiderare non soltanto i minori o le donne, ma anche i minorati, vuoi del lavoro, vuoidella guerra, che oggigiorno debbono essere assunti obbligatoriamente dalle aziende, e iminorati in genere, nonché i vecchi, troppo di sovente completamente trascurati. Dovràanzi essere data facoltà al medico di giudicare se il soggetto debba essere rivisto, a causadelle sue condizioni fisiche o per particolari condizioni in cui si effettua il lavoro, adistanza anche minore da quella fissata dalla legge.

Ciò premesso, per i lavori generici e cioè non esponenti a particolare rischio, si puòritenere sufficiente una visita medica ogni sei mesi per i minori degli anni 18 e per ledonne di età inferiore agli anni 21; ogni anno per i minori dai 18 ai 21 anni e per ledonne di qualsiasi età; ogni due anni per gli adulti di sesso maschile fino a 50 anni; ognianno per gli adulti dai 50 ai 65 anni e ogni sei mesi per gli adulti ogni 65 anni.

Per i lavori gravosi o nocivi necessita invece una vigilanza periodica più frequente.Vigilanza è richiesta pure per le donne in stato interessante e per minorati fisici, fra iquali in particolare i tubercolotici dimessi dai sanatori”.

64ATTI DEL XVII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Il medico di fabbrica”Relazione del prof. Pancheri p. 179

“L’esito, ossia l’importanza delle visite mediche, sia di assunzione che periodiche, èlegato strettamente alla preparazione specifica, direi quasi alla «forma mentis» delmedico che le esegue. Ed è questo un punto di capitale importanza. È facile infattiosservare che, sia da noi che all’estero, come su 100 operai visitati, taluni medici nontrovano che qualche raro rilievo patologico, mentre altri medici, specie se specializzati inmedicina del lavoro, constatano sulla stessa maestranza fino al 50% di casi richiedentisuggerimenti profilattici o provvedimenti terapeutici. Direi anzi, e questa mia opinione ècondivisa da altri, che queste visite rappresentano un mezzo di valutazione dellapreparazione del medico di fabbrica e della diligenza con la quale esegue le visite. Almedico di fabbrica è richiesto per espletare queste visite, una particolare mentalità che siscosta considerevolmente da quella che lo guida nella visita a scopo terapeutico. Questamentalità gli è data in buona parte dalla specializzazione in Medicina del Lavoro.Affermava il Crampolini a questo proposito che la «La medicina di fabbrica è unaindiscussa specialità», e aggiungeva che «il medico di fabbrica è per lo meno altrettantoutile nell’azienda quanto l’ingegnere»”.

“In questo soprattutto il medico di fabbrica si differenzia dal generico: che egli attuala medicina preventiva dei lavoratori al posto di quella terapeutica. E in questo

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soprattutto la medicina preventiva si differenzia dalla medicina curante che nel primocaso è il malato che va alla ricerca del medico, mentre nel secondo è il medico che vaalla ricerca del malato”.

65ATTI DEL XVII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Il medico di fabbrica”Relazione del prof. Pancheri p. 184

“Deontologia del medico di fabbrica. Siamo così entrati in pieno in quell’interessante edelicato capitolo che è la deontologia del medico di fabbrica di cui si è occupata anchela British Medical Association, fissando, fin dal 1937, per i medici di fabbrica inglesialcune norme che ritengo di sufficiente interesse per riportarle integralmente inappendice”.

APPENDICE:Norme deontologiche della British Medical Association per il medico di fabbrica (1937).

Nell’espletare i loro compiti i medici di fabbrica debbono seguire in via di massima,il seguente codice deontologico:

1) il medico di fabbrica deve espletare il trattamento di emergenza o di prontosoccorso richiesto sul luogo di lavoro e deve informare il medico curante del lavoratoredi ogni trattamento fatto. Se ritiene necessario un ulteriore trattamento, il lavoratoresarà avviato al medico di fiducia;

2) dove vi sono speciali possibilità o attrezzature, e disponibili convenienti mezzi ditrasporto, se questo è nell’interesse del paziente, l’ulteriore trattamento può essere fattonella clinica dell’azienda con il consenso e previa consultazione del medico curante dellavoratore. In tali casi deve essere redatto il seguente modulo per il curante:

Questo paziente è stato inviato a casa ed è stato invitato a consultarLa ; se ritieneche l’attrezzatura particolare di questa clinica possa essere idonea ad eseguire iltrattamento che Lei desidera, sarei ben lieto di provvedervi. In tal caso La prego diinvitare il paziente a rivolgersi a me.

Suo dev.moIl Medico di Fabbrica

(Firma)Risposta del medico fiduciatario del lavoratore...Questa nota deve essere ritornata al paziente.

3) Nei casi in cui il medico di fabbrica ritenga conveniente trattenere nella clinicadella fabbrica il paziente per sottoporlo a trattamento speciale, onde risparmiargliperdita di tempo di lavoro, egli dovrà avvisare il medico di fiducia del paziente e farglipresente le possibilità offerte dalla clinica;

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4) il medico di fabbrica non deve eseguire il trattamento di malattia, salvo che ciònon possa essere concordato, attraverso l’Impresa, con i rappresentanti dei medici localio a meno che non vi sia un accordo “ad hoc” con il medico di fiducia ed il paziente. Lacura deve essere prestata soltanto con il consenso del lavoratore;

5) il medico di fabbrica dovrà porre la sua attenzione e dare il proprio consiglio inmerito alla occupazione di qualsiasi lavoratore, qualora i compiti affidati a questiappaiano troppo pesanti o comunque inadatti; ove necessario egli dovrà consultarsi conil medico curante del lavoratore;

6) il medico di fabbrica dovrà: a) dare gli opportuni consigli per i lavoratori occupatiin lavori rischiosi o pericolosi o per quelli che devono essere trasferiti a lavori pesanti odannosi, e consultarsi con il medico di fiducia del lavoratore, appena se ne presentil’opportunità; b) esaminare e riferire alla direzione circa quei lavoratori che sembranobisognevoli di provvedimenti medico-legali;

7) il medico di fabbrica non deve eseguire cure domiciliari;8) il medico di fabbrica a orario intero non deve curare nessun membro della

famiglia del lavoratore che non sia occupato nella fabbrica;9) il medico di fabbrica a orario ridotto non deve utilizzare la sua posizione per

influenzare i lavoratori a sceglierlo quale medico personale o di famiglia;10) il medico di fabbrica non deve, salvo casi di emergenza o ove non sia in corso

una preventiva intesa con i medici locali, inviare alcun dipendente direttamenteall’ospedale. Ove egli consideri la degenza all’ospedale necessaria o consigliabile, dovràinviare il lavoratore al proprio medico di fiducia.

Ove in caso di emergenza il medico di fabbrica invii un lavoratore all’ospedale,dovrà avvisare:

a) i parenti, se il paziente è trattenuto;b) il medico di fiducia del lavoratore;11) qualora un medico di fabbrica debba visitare o riferire alla sua direzione circa le

condizioni di un lavoratore assente per malattia o in cura dal proprio medico di fiducia,egli dovrà conformarsi al codice deontologico stabilito dall’Associazione per visitefiscali. In tali casi il medico di fabbrica dovrà, con il consenso del datore di lavoro,mettere le proprie cognizioni particolari a disposizione del medico di fiducia e viceversa;

12) il medico di fabbrica deve, ove possibile, aderire a qualsiasi invito di consultocon il medico di fiducia;

13) salvo in casi di emergenza, il medico di fabbrica non dovrà eseguire nessunamisura preventiva senza il consenso individuale del lavoratore e il preventivo accordodel medico di fiducia dello stesso. In nessun modo egli dovrà associarsi ad esperimentiche interessino i lavoratori senza il loro consenso e la preventiva comunicazione almedico del lavoratore;

14) le schede mediche del lavoratore sono documenti riservati; esse debbonorimanere in custodia del medico di fabbrica o di un suo incaricato. La loro visione nonpuò essere consentita che ai medici ed anche allora soltanto su richiesta e con ilconsenso del lavoratore;

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15) il medico di fabbrica dovrà in ogni caso essere responsabile della sicura custodiadelle schede mediche. Al termine del suo incarico egli dovrà prendere i provvedimentiper la sicura custodia delle schede, finché non sia possibile trasmetterle al suosuccessore.

Ove siano occupate dal datore di lavoro delle nurses, il medico di fabbrica deve darloro istruzioni per attenersi al codice deontologico per nurses.

Qualsiasi questione di carattere professionale deve essere trattata in via riservata erivelata soltanto al medico di fabbrica o al medico di fiducia del lavoratore.

Qualora, entro un termine ragionevole, il medico fiduciatario del lavoratore nonavesse risposto, il medico di fabbrica è libero di impegnarsi verso il primo.

“Segreto professionale. Intimamente connesso con il codice deontologico del medico difabbrica è il problema del segreto professionale. Il medico di fabbrica è legato ad unduplice segreto: uno nei confronti del datore di lavoro e uno professionale nei confrontidel lavoratore. Nei confronti del primo il medico di fabbrica deve mantenere il segretosu quanto possa – se divulgato – ledere gli interessi del datore di lavoro, salvonaturalmente che questo non contrasti con disposizioni di legge. Nei confronti dellavoratore, infine, il medico di fabbrica è tenuto all’osservanza del segreto professionale«strictu sensu» e cioè sulle notizie riflettenti la visita medica. È intuibile tuttavia che unaosservanza rigorosa del segreto professionale nel nostro campo non è più possibile datigli obblighi imposti dalla legge al medico e dato che spesso i provvedimenti di naturagiuridica o medico-legale, che seguono la visita, non sono attuabili senza lacollaborazione di terzi e in particolare del datore di lavoro”.

66ATTI DEL XVII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Il medico di fabbrica”Relazione del prof. Pancheri p. 196

“Dipendenza del medico fabbrica”. Un punto di particolare interesse della nostraistituzione è la dipendenza del medico di fabbrica. Si è detto e lo si ripete da talunituttavia, che il medico di fabbrica non può espletare bene i suoi compiti se è alledipendenze del datore di lavoro, in quanto parte delle sue funzioni, in taluni momenti,potrebbero trovarsi in contrasto con gli interessi del primo. Confesso che io stesso inaltri tempi (ero allora medico dell’Ispettorato Medico del Lavoro) ho inclinato verso unasimile tesi. Ora però penso con il compianto Prof. Preti, con Nervi e con tanti altri, cheestraniando il medico di fabbrica dal datore di lavoro si corre il rischio di annullare inpratica i benefici di questa istituzione che abbisogna della perfetta intesa con il datore dilavoro per raggiungere al completo i suoi scopi. Il medico di fabbrica non può, fral’altro essere un impiegato statale. Guai se il datore di lavoro dovesse vedere nel medicodi fabbrica un elemento estraneo all’azienda o peggio un elemento fiscale. Hointerpellato su questo argomento un centinaio di medici di fabbrica italiani e stranieri,europei ed extraeuropei, e il loro parere è stato pressoché concorde nel rigettare

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qualsiasi soluzione che non fosse quella della dipendenza dal datore di lavoro dellapersona da lui delegata. Optano per questa tesi, sia le considerazioni esposte dellanecessità di un’intima collaborazione fiduciataria fra medico di fabbrica e datore dilavoro, che deve considerare il medico come il consulente e l’elemento tecnico a suadisposizione per assolvere da una parte i compiti nel campo igienico-sanitario che lalegge gli impone e dall’altra per mantenere in piena efficienza la sua maestranza; insecondo luogo considerazioni di natura giuridica in quanto la direzione dell’azienda e lerispettive responsabilità sono lasciate da tutta la nostra legislazione al datore di lavoro.Sostituire questa responsabilità con quella di un elemento estraneo alla direzionedell’azienda potrebbero avere delle gravi conseguenze di ordine pratico.

Con questo non voglio dire che il medico di fabbrica debba essere in balia deldatore di lavoro e sottrarsi, quando a questi fa piacere, ai suoi obblighi. Il medico difabbrica deve essere un’istituzione prescritta dallo Stato a tutela dei lavoratori, pagatadal datore di lavoro e controllata dallo Stato. Sta quindi alla legge imporre l’obbligo delmedico di fabbrica all’azienda, fissarne i compiti e rendere responsabile il datore dilavoro della mancata nomina o della non osservanza di quella parte di tali compiti che èdi sua spettanza. La stessa legge stabilirà pure i provvedimenti a carico del medico difabbrica che trascurasse i suoi doveri o li eseguisse con negligenza. Essa potrà prevedereanche l’esonero del medico nel caso di manifesta incompetenza o negligenza...”.

67ATTI DEL XVII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Il medico di fabbrica”Relazione del prof. Pancheri pp. 197-198

“Fra i compiti che la legge dovrebbe imporre al medico cito: l’esecuzione delleprescritte visite mediche, la denuncia delle malattie professionali riscontrate, la tenutadelle registrazioni obbligatorie, la raccolta dei dati statistici, la segnalazione – scritta everbale – al datore di lavoro degli inconvenienti igienico-sanitari riscontrati nellostabilimento, un rapporto semestrale o annuale all’Ispettorato del Lavoro sullecondizioni igienico-sanitarie dello stabilimento e delle maestranze, e altro”.

68ATTI DEL XVII CONGRESSO NAZIONALE VIAREGGIO 1951

“Il medico di fabbrica”Relazione del prof. Pancheri pp. 199-200

“Strettamente connessa con la dipendenza è la scelta del medico di fabbrica. Non èil caso di soffermarci sul modo come essa è fatta oggigiorno non soltanto in Italia.Accanto a nomine rigorosamente obiettive, si vedono spesso incaricati di tante delicatefunzioni medici che per titolo principale hanno quello di essere il medico curante deldatore di lavoro o un parente. Si sono visti persino dentisti fare il medico di fabbrica.

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Anche qui il problema non è però tanto semplice come appare a prima vista, edobbiamo guardarci da soluzioni affrettate o semplicistiche.

Esaminiamone qualcuna.1) Libera scelta assoluta lasciata all’arbitrio del datore di lavoro, ritenendo che la sola

laurea in medicina e chirurgia sia titolo sufficiente a dare diritto ad espletare il nostrocompito. Che questo non sia accettabile lo si può facilmente dedurre dallo stato attualedelle cose.

2) Scelta di un medico “competente” con l’obbligo di notificare il nominativo delmedico scelto all’Ispettorato del Lavoro, come prescrive il Regolamento Generale perl’Igiene del Lavoro. Anche questa soluzione non elimina, come dimostra la situazioneattuale, gli inconvenienti lamentati, in quanto non specifica il significato preciso da dareal termine “competente” e come giudicare questa qualifica. È logico pensare che iltermine “competente” usato dall’art. 6 del Regolamento Generale Igiene Lavoro sia daintendersi nel senso di “competente in medicina del lavoro” sebbene un medico legaledi alta fama abbia detto che medico “competente” poteva ritenersi qualsiasi persona inpossesso della laurea in medicina e chirurgia, e abilitata all’esercizio della professione.Noi dobbiamo rispondere, però, che il legislatore non fa mai spreco di aggettivi inutili eche se quelle fossero state le sue intenzioni, egli si sarebbe limitato a dire “medico”,superflua risultando allora la parola “competente”.

3) Libera scelta, da parte del datore di lavoro, di medici in possesso di titoli pratici oaccademici che dimostrino la loro competenza in medicina del lavoro. Questi titolopossono andare dall’esame in medicina del lavoro durante i corsi universitari, al titolo dispecialista in medicina del lavoro, dall’aver espletato per breve tempo funzioni dimedico di fabbrica in piccoli stabilimenti, all’aver diretto per anni il servizio medico digrandi complessi industriali. Risulta così chiaramente quanto vasta possa essere lagamma di questi titoli e quanto difficile una valutazione obbiettiva di ogni singolo caso.

4) Libera scelta, da parte del datore di lavoro, fra gli specialisti in medicina dellavoro. Questo equivarrebbe a pretendere che il medico di fabbrica abbia sempre iltitolo di specialista. Tutti sappiamo che tale titolo richiede due anni di preparazionepost-universitaria. Per questo e per altre ragioni, io non posso accedere a questa tesiintransigente, che troverebbe difficoltà nella sua applicazione pratica. Dobbiamosempre tener presente che esistono sempre piccoli centri, con una o due aziende conalle dipendenze qualche lavoratore, ove difficilmente sarebbe disponibile uno specialistain medicina del lavoro e ove eccessiva sarebbe la spesa per farlo venire da fuori. In talicasi io penso che ci si possa accontentare di titoli minori quali l’aver frequentato ilCorso Universitario di Medicina del Lavoro o Corsi accelerati di aggiornamento.Comunque, accettando anche una soluzione radicale non dobbiamo dimenticare i dirittiacquisiti dai medici che attualmente esercitano, e talora in modo eccellente, da anni lefunzioni di medico di fabbrica, anche senza titoli specifici. Tali diritti vanno rispettati.Nella peggiore delle ipotesi dovrà essere concesso il tempo necessario per acquisire iltitolo prescritto.

5) Libera scelta da parte del datore di lavoro, del medico in un albo per medici difabbrica, da tenersi presso l’Ordine dei Medici o presso l’Ispettorato del Lavoro.

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L’iscrizione all’Albo dovrebbe esser subordinata al vaglio dei titoli del candidato o alsuperamento di una prova di esame da parte di una Commissione compostadall’Ispettore Medico del Lavoro, da un titolare di Cattedra di Medicina del Lavoro e daun rappresentante dell’Ordine dei Medici. Dovrebbero in ogni caso aver dirittoall’iscrizione all’Albo, senza esami, i docenti in medicina del lavoro, e gli specializzati.L’Albo dovrebbe comprendere, secondo taluni, due categorie di iscritti: quelli idoneiincondizionatamente alle funzioni di medico di fabbrica, qualunque sia la natura el’entità dell’azienda (docenti universitari e specialisti) e quelli idonei solo per le aziendeminori.

6) Scarto senz’altro, per le ragioni già esposte a proposito della dipendenza delmedico di fabbrica, altre due ipotesi: la impostazione del nominativo da partedell’Ispettorato Medico del Lavoro o la imposizione da parte delle maestranze.

Da tutto quanto esposto risultano evidenti le difficoltà della scelta, qualunque sarà lasoluzione adottata essa presenterà sempre inconvenienti. Le difficoltà potranno esseretuttavia superate col tempo. Non aveva forse già detto il Thiers, come ricorda ilCarozzi, che il solo vero legislatore dei tempi moderni è l’esperienza?

La scelta del medico di fabbrica dev’essere fatta in ogni modo sotto il controllodell’Ispettorato del Lavoro al quale il datore di lavoro deve comunicare il nominativoprescelto e richiedere il benestare”.

69ATTI DEL XXIII CONGRESSO NAZIONALE RIMINI 1959

“Assistenza malattie e servizi sanitari di fabbrica”Relazione del prof. Gironimi pp. 336-337

“Il progetto di legge De Cossi-Ceravolo vorrebbe che tutti i medici che prestanoservizio nelle aziende fossero specialisti in medicina del lavoro. Questa condizione,come rileva Di Donna, sembra eccessiva, perché vi sono medici per i quali l’attività infabbrica è del tutto marginale, talora limitata ad un’ora alla settimana ecorrispondentemente aziende che per il limitato numero di operai non richiedonol’assistenza medica aziendale per più di qualche ora al mese. Molte aziende sonodislocate in piccoli paesi, lontani dai grandi centri, e devono affidate il loro servizioaziendale al medico condotto del luogo, cui sarebbe impossibile chiedere diabbandonare la sua preziosa attività per recarsi un paio d’anni in un Istituto di Medicinadel Lavoro e conseguire la specializzazione. Si dovrebbe perciò pretendere che i medicidi fabbrica a servizio prevalente avessero il titolo di specializzazione, per gli altripotrebbero essere sufficienti corsi di perfezionamento e di aggiornamento”.

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70ATTI DEL XXVIII CONGRESSO NAZIONALE NAPOLI 1965

“Rapporti fra servizi sanitari e servizi della sicurezza aziendale”Relazione del prof. Vigliani p. 39

“I rapporti fra i medici e i tecnici nel vasto campo della prevenzione dei rischi e deidisagi del lavoro sono molto sentiti, vivi e importanti: quando sono stabili e benorganizzati originano un vero e proprio servizio di igiene industriale. Ne parlerò quindipiù a lungo anche perché è un argomento nel quale la nostra Clinica ha una certaesperienza.

Un servizio di igiene industriale si deve proporre un quadruplice scopo: 1) stabilirese esiste o no un rischio, o anche un disagio; 2) stabilire con mezzi strumentali quantogrande è il rischio o il disagio; 3) studiare se il rischio o il disagio possono essereeliminati o ridotti e suggerire i mezzi a ciò più idonei; 4) stabilire se esistono rischiprodotti dalla industria, ma esplicantesi all’infuori di essa e abolirli o controllarli”.

“È difficile organizzare un buon servizio di igiene industriale. Infatti, ciò che locaratterizza e lo distingue da un laboratorio di analisi è la capacità di dare ai risultatidelle misurazioni una valutazione in termini di pericolo per la salute, e di indicareragionevoli rimedi per eliminare o ridurre il pericolo. Infatti un’industria, quando sirivolge ad un servizio di igiene industriale, non desidera una ricerca accademica che lalascia nelle stesse difficoltà di prima; vuole un giudizio sull’entità del rischio e deiconsigli pratici per eliminarlo. I consigli dell’igienista devono perciò essere basati nonsolo su analisi e calcoli precisi, ma su di una larga esperienza di procedimenti industrialie su di una esatta conoscenza della tolleranza, dell’adattabilità e della reattività umana”.

71ATTI DEL XXIX CONGRESSO NAZIONALE SALICE TERME – PAVIA 1966

“Il servizio medico di azienda”Relazione del prof. Crepet pp. 21-22

“Una norma generale di natura programmatica per una legislazione in questo settoretroviamo innanzitutto nella nostra Costituzione, la quale all’art. 32 prevede quantosegue: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo edinteresse della collettività” e nel successivo art. 35 riprende e qualifica la tutela neiconfronti del lavoratori: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme edapplicazioni.

In campo internazionale troviamo due Raccomandazioni: l’una del B.I.T. sottoscrittaa Ginevra nel 1959, l’altra della C.E.E. sottoscritta a Bruxelles nel 1962.

Anche se i testi sono noti almeno nelle linee essenziali, a noi è sembrato opportunorichiamare le indicazioni principali che essi forniscono.

La prima Raccomandazione prevede, per la Medicina del lavoro nell’ambito delleaziende, finalità di natura preventiva. Essa dovrebbe cioè prevedere la protezione deilavoratori contro ogni minaccia alla salute che possa risultare dal loro lavoro e dalle

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condizioni in cui esso si effettua, contribuire all’adattamento fisico e mentale deilavoratori, specialmente per quanto riguarda l’adattamento del lavoro ai lavoratori el’assegnazione dei lavoratori ai lavori a cui sono adatti, contribuire a stabilire ed amantenere il più alto grado possibile di benessere fisico e mentale dei lavoratori...

La Raccomandazione C.E.E. mira ad indurre i sei Paesi membri a dare unadisciplina giuridica alla Medicina del lavoro nelle imprese senza peraltro precisarescadenze e tappe nella considerazione che le condizioni di realizzazione varianosecondo i Paesi, particolarmente in funzione del numero dei medici specialistidisponibili e dello orientamento degli studenti in Medicina verso le nuove possibilità chevengono loro offerte dall’istituzione di tali servizi.

Essa accoglie integralmente i principi della Raccomandazione del B.I.T. ma hasottolineato alcuni aspetti ritenuti di particolare importanza: la necessità che gli statidispongano di un numero sufficiente di cattedre per la specializzazione in Medicina dellavoro e di altri istituti a livello universitario che offrano agli studenti un insegnamentospecializzato ed ai medici del lavoro la possibilità di aggiornamento e di ricerca: lanecessità che vengano date ai medici del lavoro le garanzie necessarie al regolareesercizio delle loro funzioni, garanzie individuate nella totale indipendenza tecnica emorale del medico di fronte al datore di lavoro, al lavoratore, ed agli organismi diprotezione sociale, nella delimitazione precisa della sua attività rispetto a quella deimedici curanti, nella certezza che le sue attività di medico in seno all’impresa nonpossono essere controllate che da altri medici del lavoro all’uopo designati.

Al controllo dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi di medicina dellavoro dovrebbe provvedere l’Ispettorato medico del lavoro”.

72ATTI DEL XXIX CONGRESSO NAZIONALE SALICE TERME – PAVIA 1966

“Il servizio medico di azienda”Relazione del prof. Crepet pp. 23-24

“In Italia vige: quale norma fondamentale, nel campo della tutela delle condizioniigienico-sanitarie del Lavoro, l’art. 2087 del Codice Civile che detta norme di contenutoparticolarmente ampio ed impegnativo: “l’imprenditore è tenuto ad adottarenell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienzae la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale deilavoratori”.

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73ATTI DEL XXIX CONGRESSO NAZIONALE SALICE TERME-PAVIA 1966

“Il servizio medico di azienda”Relazione del prof. Crepet p. 24

“Nel quadro di questo principio il legislatore ha poi dettato alcune norme specifiche.Esse impongono, in particolare, l’obbligo di visite mediche preventive e periodiche in relazione adeterminate attività lavorative (legge n. 455 del 1943, modificata dal D.P.R. n. 648 del 1956:per ad detti a lavoro che espongono a rischio di silicosi, da parte del medico di fabbricao di Ente autorizzato dal Ministero del lavoro; D.P.R. n. 128 del 1959: per addetti alavori in cave e miniere con formazione di polveri nocive; D.P.R. n. 303 del 1956: peraddetti a lavorazioni esplicitamente previste che espongono all’azione di sostanzetossiche o infettanti, da parte di «medico competente»; D.P.R. n. 321 del 1956: peraddetti a lavori in casse ad aria compressa; D.P.R. n. 128 del 1959: per addetti a lavori insotterraneo con formazioni di polveri nocive, da parte di medici di «specificacompetenza»; D.P.R. n. 185 del 1964: per coloro che siano esposti professionalmente alrischio delle radiazioni ionizzanti, da parte di «medici autorizzati», prescelti dal datore dilavoro in apposito elenco istituito con decreto del Ministero del lavoro), l’obbligo divisite mediche preventive e periodiche in relazione a determinate caratteristiche dei lavoratori (leggen. 655 del 1934, modificata ed integrata da successive disposizioni, per donne eminorenni); l’obbligo – sia pure generico – di apprestamenti di pronto soccorso (pacchetto,cassetta o camera di medicazione – a seconda del tipo e della misura dell’azienda – inbase al D.P.R. n. 303 del 1956; indicazione del medico facilmente reperibile a tenuta adisposizione di mezzo di trasporto per soccorsi d’urgenza, in base ad altre norme)”.

74ATTI DEL XXIX CONGRESSO NAZIONALE SALICE TERME-PAVIA 1966

“Il servizio medico di azienda”Relazione del prof. Crepet p. 26

“Noi pensiamo pertanto che oggi si debba programmare una estensione del serviziomedico aziendale per gradi, incominciando dalle categorie di aziende nelle quali pernostra esperienza e conoscenza i rischi di malattia o di infortunio sono maggiori e cioènel settore industriale. In questo nostro avviso siamo del resto confortati da quanto èavvenuto in altri paesi che pure hanno già avvertito la necessità di attuare unaestensione della copertura sanitaria a tutte le proprie aziende: da quanto è avvenuto inFrancia che ha graduato in 20 anni il suo programma, nei Paesi Bassi nei quali i servizidi medicina del lavoro sono obbligatori per le imprese industriali a partire da unorganico di almeno 750 operai, in Spagna in cui la legge ha cominciato ad imporre ilservizio sanitario nelle aziende con almeno 500 operai.

Le proposte di Legge in materia hanno di solito condizionato il sorgere dell’obbligodi organizzazione del servizio medico a una determinata dimensione di imprese: in talmodo verrebbero escluse proprio le aziende di piccole dimensioni dove i rischi sono

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spesso maggiori. Sembrerebbe invece opportuno determinare eventualmente l’obbligodi organizzazione del servizio in relazione ai gradi di «rischio malattia» nelle differentiaziende»; il criterio dovrebbe essere in ogni caso seguito almeno in fase transitoria sino ache gli Istituti Universitari abbiano specializzato il necessario numero di medici dellavoro”.

75ATTI DEL XXIX CONGRESSO NAZIONALE SALICE TERME-PAVIA 1966

“Il servizio medico di azienda”Relazione del prof. Crepet p. 29

“Quanto ai compiti che dovrebbero esser affidati al medico del lavoro è noto che lericordate convenzioni internazionali, come del resto vari progetti di istituzioni delservizio in Italia hanno previsto una elencazione di compiti, quasi tutti di naturapreventiva, quali: l’accertamento e il controllo della idoneità fisica al lavoro attraversovisite di assunzione, visite periodiche, visite all’atto della ripresa del servizio dopoassenza prolungata per infortunio o malattia; sorveglianza dell’adattamento dellavoratore al lavoro o del riadattamento in caso di mutamento di mansione, prontosoccorso in caso di infortunio ed eventuale cura ambulatoria nel caso gli infortunatisiano in grado di continuare il lavoro; vigilanza sulle condizioni ambientali, suiprocedimenti ed i metodi di lavoro; controllo sulle installazioni igienico-sanitarie,nonché su servizi quali dormitori, mense, asili...; partecipazione all’organizzazione dellaprevenzione delle malattie professionali e degli infortuni e alla raccolta di dati statistici;vigilanza sull’efficienza e corretto uso dei mezzi personali di protezione contro malattieprofessionali ed infortuni; cura delle condizioni igieniche e prevenzionali dei lavoratoried opportuni consigli medici individuali...”.

76ATTI DEL XXIX CONGRESSO NAZIONALE SALICE TERME-PAVIA 1966

“Il servizio medico di azienda”Relazione del prof. Crepet p. 29

“Altro elemento che il legislatore deve considerare con particolare cura peraddivenire ad una soddisfacente definizione oltre che dei compiti del medico di aziendaanche della reale possibilità di svolgerli, riguarda i rapporti tra medico e direzione aziendale.Si tratta di una materia senza dubbio delicata sotto il profilo sia giuridico chedeontologico; anzi si può affermare senza tema di errore che questo particolare aspettodel problema ha avuto un peso non indifferente nel determinare il così lungo iter diquesto progetto legislativo.

È certamente indispensabile che siano studiati i mezzi adatti a garantire al medico diazienda la indipendenza necessaria per lo svolgimento dei suoi doveri e per il pienogodimento dei suoi diritti, assicurandogli una stabilità e una posizione nella gerarchia

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dell’azienda tale da conferirgli l’autorità necessaria. D’altro canto è anche da considerareche scelta e designazione del medico, o comunque del tipo di servizio aziendale,appartengono di diritto all’imprenditore; non va dimenticato che egli è il responsabiledell’organizzazione e del funzionamento del servizio sanitario nell’azienda e ciò rendelegittimo che gli compete il diritto di scelta”.

77LEGGE 20 MAGGIO 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori)

Articolo 5 (Accertamenti sanitari):“Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulle idoneità e sulla

infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i

servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierloquando il datore di lavoro lo richieda.

Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore daparte di enti pubblici e di istituti specializzati di diritto pubblico”.

Articolo 9 (Tutela della salute e della integrità fisica):“I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare

l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattieprofessionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misureidonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”.

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APPENDICE

Anno Sede Presidente Presidente N. temi Relazioni principaliCongresso Società di relazione

1907 Palermo L. Giuffrè 1 Simulazione degli infortuni sul lavoro1909 Firenze G. Pieraccini 5 Arteriosclerosi e cardiopatie da lavoro

Le malattie mentali e il lavoroLa patologia dell’apparato genitale femmi-nile in rapporto con il lavoroLe malattie dei lavoratori del mareI nuovi studi ematologici nel campo dellatossicologia del lavoro

1911 Torino C. Bozzolo 3 Le neurosi traumatiche con particolareriguardo alle forme indennizzabiliLa patologia polmonare da inalazione dipolveriIl volume del cuore sano nella fatica enello sforzo fisico

1913 Roma G. Baccelli 5 AnchilostomiasiMalattie del sangue di origine professionaleMortalità infantile in rapporto allecondizioni sociali e alla professione deigenitoriDermatiti di origine professionalePatologia professionale dei ferrovieri

1922 Firenze A. Ciampolini 4 La prevenzione dell’invalidità di ordinemedicoI turni di lavoro con particolare riguardo alpersonale ferroviarioNuove e vecchie vedute sugli avvele-namenti da piomboL’igiene agraria nel dopoguerra conspeciale riguardo alla malaria

1924 Venezia F. Vitali 6 Assistenza prenatale nella gestante operaiasana e malataNuove conquiste e nuovi orizzonti dellaMedicina del LavoroEffetti del lavoro uniforme e monotonosull’organismo umanoLe intossicazioni professionali per viainalatoriaOrari di lavoro per invalidi parzialiLo stato attuale delle Assicurazioni Socialinelle terre redente

1927 Parma V. Gabbi 4 Emigrazione e tubercolosiModena A. Donaggio Patologia da elettricità

Carpi C. Feltri Patologia da raggi XLe intossicazioni professionali dal 1924

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Anno Sede Presidente Presidente N. temi Relazioni principaliCongresso Società di relazione

1929 Napoli N. Castellino 3 Il lavoro nelle miniereL’organizzazione scientifica del lavoroIl lavoro nei porti

1930 Roma L. Devoto L. Devoto 1 La patologia dell’apparato respiratorio1932 Milano L. Devoto L. Devoto 3 Il lavoro intellettuale

Il lavoro nei campiLa patologia da solventi

1934 Torino G. Quarelli L. Devoto 3 Il lavoro sul mareSolfocarbonismoLe malattie professionali dell’apparatovisivo

1936 Napoli N. Castellino L. Ferrannini 8 Patologia della chimica industrialeSull’importanza delle cure idrotermali perla tutela dei lavoratoriOtopatie da rumoreNeoplasmi e gli infortuniColonna vertebrale e lavoroL’assicurazione obbligatoria delle malattieprofessionali nel primo biennio diapplicazioneLa Medicina del Lavoro nell’insegnamentosuperiore

1938 Bari L. Ferrannini L. Ferrannini 2 Malattie degli atleti professionistiIndirizzi e ricerche nello studio dellapatologia dei piloti di aviazioneLa silicosi

1948 Torino A. Viziano R. Pellegrini 5 Progresso e tendenze attuali dellaMedicina del LavoroL’apparato cardiovascolare nelleintossicazioni professionaliLa fatica dell’apparato respiratorioPatologia e clinica dei saldatori elettriciDiagnostica radiologica nei servizi sanitaridi fabbrica

1949 Genova F. Molfino A. Viziano 3 Fisiopatologia sessuale e funzione dimaternità in rapporto al lavoro della donnaSilicosiI lavoratori dei porti

1950 Napoli N. Castellino A. Viziano 5 Le azioni a distanza nella patologia dellavoroUlcera gastroduodenaleCarenze alimentari nella patologia dalavoroIl lavoratore in vecchiaiaDiabete e lavoro

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Anno Sede Presidente Presidente N. temi Relazioni principaliCongresso Società di relazione

1951 Viareggio M. Barsotti E. Vigliani 6 Sistemi di illuminazione artificiale degliambienti di lavoroPatologia e prevenzione nella fabbrica-zione e uso dei nuovi insetticidi al fosforoIl medico di fabbricaProfilassi medicamentosa della silicosiIl problema dell’assenteismo nell’industriaPatologia professionale da ultrasuoni

1952 St. Vincent G. Montesano E. Vigliani 6 Il mercurialismo cronico nei cappellificiLe malattie dell’apparato respiratorio neilavoratori del solfoNuovi orientamenti della psicologia indu-striale e primi risultati della attività dei cen-tri dipsicologia dell’ENPI

1953 Firenze R. Ricciardi-Pollini

5 Aspetti delle immunità naturali nelleintossicazioni professionaliL’Anchilostomiasi e l’idatidosi nei lavo-ratori agricoliLa patologia polmonare da polvere nel-l’industria tessileLa patologia del ruraleSicurezza e igiene del lavoro in agricolturaProblemi chimici e chimico-fisici nelleindagini sulla silice e sulla silicosi

1955 Padova S. Maugeri S. Caccuri 3 Inquinanti atmosferici delle aree industrialiVenezia Valutazione della funzionalità respiratoria e

cardiocircolatoria nei silicoticiPatologia da strumenti vibrantiSu alcuni problemi clinici e medico-legaliemersi da una esperienza decennale diassicurazione contro la silicosi e l’asbestosi

1956 Merano R. Ricciardi-Pollini

E. Vigliani 5 Le acque radioattive nelle malattie da usura

Recenti acquisizioni sul saturnismoL’ossicarbonismoProtezione dalle radiazioni ionizzantiRicambio proteico nelle intossicazioni pro-fessionaliCompiti e preparazione delle assistentisanitari in fabbrica

1958 Roma G. Pancheri E. Vigliani 4 Le bronchiti croniche e l’enfisema dinatura professionaleProblemi di attualità in psicologia applicataal lavoro di interesse medicoEmopatie da idrocarburi benzeniciEsiti a distanza del mercurialismo

1959 Rimini R. Ricciardi-Pollini

S. Maugeri 2 Eziopatogenesi della silicosi

Assistenza malattie e servizi sanitari difabbrica

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Anno Sede Presidente Presidente N. temi Relazioni principaliCongresso Società di relazione

1961 Milano-Torino E. Vigliani S. Maugeri 2 Il surrene nel lavoro e nella patologiaprofessionaleLa capacità di lavoro dei pneumoconioticicronici

1962 Taormina A. Nunziante S. Maugeri 3 La malattia da solfataroCesaro Patologia da esteri fosforici

La profilassi vaccinica nell’industria1963 Padova M. Crepet S. Maugeri 4 Basi immunologiche delle allergie profes-

sionaliAspetti clinico-patogenetici delle dermatosiallergiche professionaliAspetti clinici e diagnostici dell’asma aller-gica professionaleProblemi medico-legali ed assicurativi delleallergopatie professionali

1964 Firenze A. Morelli M. Crepet 3 Biotrasformazione dei tossici industrialiPatologia da elettricitàBiometereologia e lavoro umano

1965 Napoli S. Caccuri M. Crepet 2 Collaborazione tra i Servizi Sanitari e iServizi della Sicurezza delle AziendeBaropatie nelle attività subaquee

1966 Salice Terme S. Maugeri M. Crepet 3 Il servizio medico di aziendaL’azione citotossica dei comuni solventiindustrialiPatologia dei saldatori

1967 Palermo G. Fradà M. Crepet 2 Recupero lavorativo dei cardiopaticiRumore e vibrazioni

1968 Bologna G. D’Antunono S. Caccuri 2 Patologia da cresil fosfatiBrisighella Rischi e protezione dalle radiazioni ioniz-

zanti1969 Montecatini-T. A. Morelli S. Caccuri 2 Limiti massimi tollerabili delle sostanze

nocive nelle industrieLe malattie professionali indennizzabili

1970 Cagliari D. Casula S. Caccuri 2 La riabilitazione dei broncopneumopaticiPatologia gastroenterica e lavoroAsbestosi

1971 St. Vincent B. Pernis Asbestosi1972 Pisa L. Baschieri D. Casula 2 Valutazione del rischio pneumoconiogeno

Nevrosi e lavoro1973 Pugnochiuso L. Ambrosi D. Casula 3 Documentazione igienico-sanitaria dei

contratti di lavoroBroncopneumopatie da polveri vegetaliPatologie da fibre tessili vegetaliRischio professionale nelle fonderie dighisa

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Anno Sede Presidente Presidente N. temi Relazioni principaliCongresso Società di relazione

1974 Torino M. Fimiani D. Casula 4 Metodi e limiti dell’indagine epidemio-logica

G.F. Rubino Apparato cardiovascolare nel solforcar-bonismoInformatica e programmazione in Medici-na del LavoroOrganizzazione del lavoro e salute

1975 Padova M. Crepet D. Casula 2 Metabolismo e biotrasformazione deitossici industriali e diagnosi di intossica-zione

Verona Problemi sanitari del lavoro poligrafico1976 Fiuggi Terme A. Granati D. Casula 4 Lavoro e funzione di maternità

Vernici e patologia dei verniciatoriIgiene ambientale dei rischi da lavoronell’industria delle acque mineraliMedicina del Lavoro in ambiente agricoloNuova lista delle malattie professionali

1977 Milano E. Vigliani D. Casula 3 Lavoro e salute nel settore siderurgico enelle fonderie di ghisa e acciaioAgenti chimici di uso agricoloEsperienze regionali per la prevenzionedella patologia da lavoro attraverso i servizidegliEnti locali

1978 S. Margherita L. A.D. Bonsignore D. Casula 4 Le emopatie professionaliUn sistema di prevenzione nell’ambito delS.S.N.Criteri e metodi di controllo periodico dilavoratori a rischioLa radioprotezione in Medicina del Lavoro

1979 Trieste F. Gobbato D. Casula 3 Rischi, malattie professionali e preven-zione nell’industria naval-meccanicaRischi, patologie e prevenzione nell’indu-stria degli accumulatoriRischi, malattie e prevenzione nell’indu-stria tessile

1980 Parma I. Franchini D. Casula 2 Rischi, patologie e prevenzione nell’indu-stria ceramicaPetrolchimica: tecnologia, ambiente dilavoro, prevenzione e patologie

1981 Padova M. Crepet D. Casula 3 Tumori professionaliNeuropatie periferiche professionali dacausa tossicaIndagine cronobiologica e cronotos-sicologia in lavoratori turnisti

1982 Sorrento G. Graziani D. Casula 3 Rischi, patologia e prevenzione nell’indu-stria di televisori a coloriOssicarbonismo professionale e monito-raggio biologico dell’esposizione a rischioIl rumore industriale e il danno uditivo

1983 Acireale-Noto A. Inserra F. Candura 3 Rischi, patologie e prevenzione nel perso-nale ospedaliero

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Anno Sede Presidente Presidente N. temi Relazioni principaliCongresso Società di relazione

Rischi, patologie e prevenzione nell’indu-stria della gommaRischi, patologie e prevenzione nelle serre

1984 Assisi A. Furbetta F. Candura 5 Sorveglianza sanitaria dei lavoratori espostia pesticidi in agricolturaEffetti sull’interstizio polmonare dellepolveri minerali non fibrose a basso onullo contenutodi silice libera cristallinaRischi da vibrazioneContributo della Società all’attuazione delT.U. previsto dall’art. 24 della 833/78Rapporti Stato-Regione nella formazionelegislativa in materia di igiene e sicurezzanegliambienti di lavoro

1985 Pavia F. Candura F. Candura 2 Esposizione a sostanze chimiche eindicatori biologiciTabellazione delle malattie professionali

1986 S. Margherita P. D. Casula F. Candura 2 Il costo energetico del lavoroAsma bronchiale professionale

1987 Roma G. Berlinguer F. Candura 2 Epatopatie professionaliN. Castellino Rischi, patologie e prevenzione nel lavoro

artigianoA. Farulla

A. Spinazzola1988 Firenze G. Giuliano F. Candura 2 Vasculopatie professionali

Nefropatie professionali1989 Palermo L. Salomone G. Giuliano 2 La patologia da solventi

A. Coppola La diagnosi in Medicina del Lavoro oggi1990 Stresa A. Grieco G. Giuliano 1 La salute nel lavoro d’ufficio

G. Chiappino cancerogenesi e tossicitàAllergopatie professionali

V. Foà Indicatori di dose e di effetto nell’esposi-zione a solventi

1991 L’aquila G. Giuliano G. Giuliano 2 Tutela della salute nell’industria farmaceu-tica

A. Paoletti Termalismo e lavoroAttività preventive ed ispettive nei luoghidi lavoro

1992 Torino G. Giuliano G. Giuliano 2 Il diabetico al lavoroG.F. Rubino Il cardiopatico al lavoroL. Pettinati Recenti progressi in Medicina del Lavoro

ed Igiene IndustrialeG. Scansetti

1993 Venezia B. Saia G. Giuliano 1 Valutazione del rischio e definizione deivalori limiti per agenti chimici

P. ChiesuraCorona

M. CrepetG. Giuliano

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Anno Sede Presidente Presidente N. temi Relazioni principaliCongresso Società di relazione

1994 Fiuggi G. Giuliano G. Giuliano 2 Sorveglianza Sanitaria nell’industria mine-rariaLimiti di esposizione a campi elettroma-gneticiL’attività di vigilanza in edilizia

1995 Bologna N. Castellino N. Castellino 6 Patologia dell’arto superiore da sovrac-carico biomeccanico

G.B. Raffi Informatica e telecomunicazioni inMedicina del Lavoro: esperienze e ap-plicazioniLa nuova organizzazione dei Servizi diMedicina del Lavoro nel settore pubblico eprivatoEnvironmental and Occupational Healthin Europe – Ambiente, lavoro e salute inEuropaIpersuscettibilità individuale e rischioccupazionali: basi scientifiche, prospettivein Medicina del Lavoro e possibiliproblematiche eticheAggiornamenti in radioprotezione

1997 Palermo N. Castellino N. Castellino 4 Contributi sulla dirigenza e management insanità

A. Coppola Contributi sul burnout e stress assistenzialeD. Germanò Medico competente e Medici del lavoro

pubblici nelle aziende sanitarie dopo ilD.L. 626/1994. Qualità dei servizi.Osservzioni di parte sindacale.

1996 Montecatini N. Castellino N. Castellino 1 Sorveglianza e vigilanza in Medicina delLavoro ed Igiene Industriale

Terme F. CanduraD.Casula

1998 Chianciano N. Castellino N. Castellino 2 Medico competente e idoneità lavorativaF. Candura La salute della donna che lavoraD. Casula

1999 Genova A.D. Bonsignore N. Castellino 2 Criteri e metodi del controllo periodico deilavoratori esposti a rischioLa promozione della salute in ambiente dilavoroCriteri di riferimento per il monitoraggiobiologico

2000 Sorrento N. Castellino N. Castellino 2 Aggiornamento e accreditamento delMedico del LavoroTutela della salute degli addetti ai lavoriatipici

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versione digitale 2007ISBN 978-88-8311-083-2