Bovo

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Mattatoio. Animali. Buoi in tumulto. Le macchine delle celle frigorifere. Leone. Mac-china per la produzione di salami. Migliaia di salami.

László Moholy-Nagy

Io ho una mucca assai pregiata (ehhh oh!) e Carolina l’ho chiamata (ehhh oh!). Appeso al collo ha un campanon, produce latte a profusion, vale certo dei milion (tolon tolon, tolon tolon... ehhh oh!).

Carosello Invernizzi

Mattatoio. Animali. Buoi in tumulto. Le macchine delle celle frigorifere. Leone. Mac-china per la produzione di salami. Migliaia di salami.

László Moholy-Nagy

Io ho una mucca assai pregiata (ehhh oh!) e Carolina l’ho chiamata (ehhh oh!). Appeso al collo ha un campanon, produce latte a profusion, vale certo dei milion (tolon tolon, tolon tolon... ehhh oh!).

Carosello Invernizzi

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The intimate secrets and rigorous ramifications of railway running were all elucidated to me by a blackshirt named Ana Nias,

who said that he was once a cow-catcher on the Venetian railways. In case you do not appreciate what a cow-catcher on the Venetian railways means, let me explain that he is the official who stands on the pergola of the gondola, and leaps off when he detects a cow on the line. His job is to see that the permanent way is not converted into the milky way with curds and whey. He throws the bovine interloper off the rails, brings it to a full stop, and causes it to imitate an inverted comma by turning it on its back, in which position, of course, it is completely cowed, and is helpless to molest, impede, or otherwise create a hiatus in the poetry of motion.

As the Venetian railways are run solely on water (garnished perhaps with a hint of garlic and Fascism to give it foundation) the cow-catcher must combine the muscularity of a matador, the toughness of a door-a mat (Italian pronunciation), the waterproofness of Mr. Macintosh, the cow-consciousness of a dairy inspector, and the turning propensities of Dick Whittington, who, as you know, became Lord Mayor of London merely by rotating on his axis.

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The intimate secrets and rigorous ramifications of railway running were all elucidated to me by a blackshirt named Ana Nias,were all elucidated to me by a blackshirt named Ana Nias,

who said that he was once a cow-catcher on the Venetian railways. In case you do not appreciate what a cow-catcher on the Venetian railways means, let me explain that he is the official who stands on the pergola of the gondola, and leaps off when he detects a cow on the line. His job is to see that the permanent way is not converted into the milky way with curds and whey. He throws the bovine interloper off the rails, brings it to a full stop, and causes it to imitate an inverted comma by turning it on its back, in which position, of course, it is completely cowed, and is helpless to molest, impede, or otherwise create a hiatus in the poetry of motion.

As the Venetian railways are run solely on water (garnished perhaps with a hint of garlic and Fascism to give it foundation) the cow-catcher must combine the muscularity of a matador, the toughness of a door-a mat (Italian pronunciation), the waterproofness of Mr. Macintosh, the cow-consciousness of a dairy inspector, and the turning propensities of Dick Whittington, who, as you know, became Lord Mayor of London merely by rotating on his axis.

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Ana Nias cambiò lavoro perché di bovini a Venezia non se ne videro più.

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Ana Nias cambiò lavoro perché di bovini a Venezia non se ne videro più.

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A parte uno.

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A parte uno.

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BOVOdi Silvio Lorusso

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BOVOBOVOdi Silvio Lorusso

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BOVO5

BOVOBOVO

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Che pace! Un’esistenza semplice. La natura nella sua espressione ideale.

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Che pace! Un’esistenza semplice. La natura nella sua espressione ideale.

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Ebbene no, non era questo lo scenario in cui trascorrevo la mia vita.

Piccola, umida, buia. Questa era la mia casa. Quattro mura spoglie, ornate solo da muffa e sporcizia, che se-gnavano il confine con la montagna. Non ero solo, ma non è che tra di noi ci fosse molto da dire.

Stare con i miei simili tutto il tempo annullava ogni tipo di dialogo, come dopo quarant’anni di matrimonio.

Il cibo non mancava mai, la mangiatoia sempre piena, ma ogni gior-no, verso sera, l’allevatore si faceva vivo e ci conciava un po’ come i turisti cinesi o quelli messicani, solo che le nostre mascherine non ci impedivano di contrarre germi, bensì di trangugiare quintali di fieno, unico passatempo contro la noia.

La montagna, così impo-nente, la scorgevo solo dalla piccola finestra inferriata, rimanendone comunque incantato. In fondo non era la montagna ad incantarmi, ma il fatto che essa fosse così distante, irraggiungibile. Infatti d’esta-te, durante il pascolo – quando finalmente la abitavo, vagando qua e là – nessuno stupore mi coglieva, solo il piatto desiderio di brucare l’erba fresca. Era lo stesso per i detenuti durante l’ora d’aria? La li-bertà acquistava senso solo dalla reclusione?

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Ebbene no, non era questo lo scenario in cui trascorrevo la mia vita.

Piccola, umida, buia. Questa era la mia casa. Quattro mura spoglie, ornate solo da muffa e sporcizia, che se-gnavano il confine con la montagna. Non ero solo, ma non è che tra di noi ci fosse molto da dire.

Stare con i miei simili tutto il tempo annullava ogni tipo di dialogo, come dopo quarant’anni di matrimonio.

Il cibo non mancava mai, la mangiatoia sempre piena, ma ogni gior-no, verso sera, l’allevatore si faceva vivo e ci conciava un po’ come i turisti cinesi o quelli messicani, solo che le nostre mascherine non ci impedivano di contrarre germi, bensì di trangugiare quintali di fieno, unico passatempo contro la noia.

La montagna, così impo-nente, la scorgevo solo dalla piccola finestra inferriata, rimanendone comunque incantato. In fondo non era la montagna ad incantarmi, ma il fatto che essa fosse così distante, irraggiungibile. Infatti d’esta-te, durante il pascolo – quando finalmente la abitavo, vagando qua e là – nessuno stupore mi coglieva, solo il piatto desiderio di brucare l’erba fresca. Era lo stesso per i detenuti durante l’ora d’aria? La li-bertà acquistava senso solo dalla reclusione?

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Senza esitazione posso definire uniche le circostanze che mi avevano portato in laguna.

Ventimila allevatori in protesta a Venezia,

gli accessi bloccati,

il sindaco aggredito.

E una dozzina di bovini trasportati in barca nella città.

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Senza esitazione posso definire uniche le circostanze che mi avevano portato in laguna.

Ventimila allevatori in protesta a Venezia,

gli accessi bloccati,

il sindaco aggredito.

E una dozzina di bovini trasportati in barca nella città.

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Scalciando e dimenandomi ero caduto in acqua.

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Scalciando e dimenandomi ero caduto in acqua.

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Gli allevatori avevano tentato di recuperarmi, ma io ero rimasto saldo sulla secca. Alla fine decisero di abbandonarmi là, simbolo vivente della protesta.

Attesa la fine della manifestazione avevo nuotato fino alla riva e così mi ero conquistato la libertà.

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Gli allevatori avevano tentato di recuperarmi, ma io ero rimasto saldo sulla secca. Alla fine decisero di abbandonarmi là, simbolo vivente della protesta.

Attesa la fine della manifestazione avevo nuotato fino alla riva e così mi ero conquistato la libertà.

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Come seppi in seguito, la causa della protesta era la cosiddetta mucca pazza. Con questo nome si in-tendeva una malattia che i bovini contraevano mangiando le carni dei propri simili defunti.

Essi impazzivano letteralmente perché nel loro cervello si formavano dei piccoli buchi come in una spugna.

Non vi era dub-bio che la protesta fosse rivolta verso quegli allevatori malvagi che nutrivano in questo modo i miei simili causandone la morte.

Certamente gli esseri umani non tolleravano tale crimine, dato che l’erba non era mai mancata e ba-stava sicuramente per tutti. E di sicuro consideravano immonda la pratica di sminuzzare le carcasse fino a renderle polvere da confon-dere con il fieno.

Pare che il morbo si trasferisse anche agli esseri umani. Ma come? Questa era l’unica domanda a cui non ero in grado di dare risposta. Supponevo che la malattia si depositasse nel latte delle mucche – di cui gli umani come i bovini si nutrono – o semplice-mente che il contatto con i buoi fosse fatale.

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Come seppi in seguito, la causa della protesta era la cosiddetta mucca pazza. Con questo nome si in-tendeva una malattia che i bovini contraevano mangiando le carni dei propri simili defunti.

Essi impazzivano letteralmente perché nel loro cervello si formavano dei piccoli buchi come in una spugna.

Non vi era dub-bio che la protesta fosse rivolta verso quegli allevatori malvagi che nutrivano in questo modo i miei simili causandone la morte.

Certamente gli esseri umani non tolleravano tale crimine, dato che l’erba non era mai mancata e ba-stava sicuramente per tutti. E di sicuro consideravano immonda la pratica di sminuzzare le carcasse fino a renderle polvere da confon-dere con il fieno.

Pare che il morbo si trasferisse anche agli esseri umani. Ma come? Questa era l’unica domanda a cui non ero in grado di dare risposta. Supponevo che la malattia si depositasse nel latte delle mucche – di cui gli umani come i bovini si nutrono – o semplice-mente che il contatto con i buoi fosse fatale.

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Nei primi tempi Venezia per me non era solo una città speciale, bensì la Città, speciale di per sé. Infinitamente diversa dalla montagna, Venezia mi appariva un posto magico, dove la pietra immobile si era animata per assu-mere forme complesse e bellissime, forme gentili che parevano dire qualcosa. Al contrario dei pascoli indifferenti, le calli mi guidavano e quando esse incontravano un canale, senza paura lo superavano come dei serpenti di cui non si vede né testa né coda. Io avanzavo seguendo questi percorsi. Le biforcazioni non erano che due serpenti accavallati. Di solito continuavo la strada prescelta poiché, come sa-pete, i bovini sono piuttosto abitudinari. E infine trovavo il lago im-menso in cui il serpente si tuffava.

Venezia era il nome di un enorme animale assopito, immerso per metà nel mare e noi non eravamo che mosche mentre ne esplorano le membra affioranti.

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Nei primi tempi Nei primi tempi Venezia per me non era solo una città speciale, bensì la Città, speciale di per sé. Infinitamente diversa dalla montagna, Venezia mi appariva un posto magico, dove la pietra immobile si era animata per assu-mere forme complesse e bellissime, forme gentili che parevano dire qualcosa. Al contrario dei pascoli indifferenti, le calli mi guidavano e quando esse incontravano un canale, senza paura lo superavano come dei serpenti di cui non si vede né testa né coda. Io avanzavo seguendo questi percorsi. Le biforcazioni non erano che due serpenti accavallati. Di solito continuavo la strada prescelta poiché, come sa-pete, i bovini sono piuttosto abitudinari. E infine trovavo il lago im-menso in cui il serpente si tuffava.

Venezia era il nome di un enorme animale assopito, immerso per metà nel mare e noi non eravamo che mosche mentre ne esplorano le membra affioranti.

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Certo all’inizio fu dura. Ma la cosa che mi infastidiva di più non era il fatto che tutti mi guardassero stupefatti come se venissi da un altro pianeta,

bensì il fatto che mi scambiassero per una mucca. Ora, c’è una bella differenza tra una mucca ed un bue e se permettete la cosa mi stava a cuore.

Il nome che mi affibbia-rono, a detta di molti sarà un po’ banale, ma almeno non lascia adito a equivoci. Era finalmente chiaro che ero un bue, non pro-ducevo latte e non avrei partorito vitelli.

Tutti mi chiamavano Bovo e credetemi se vi dico che quando mi in-contravano per strada mi salutavano con larghi sorrisi. In verità ciò che mi rallegrava di più era il cibo che di tanto in tanto mi offrivano per riempire i quattro stomaci.

Questo non sempre accadeva, quindi ogni giorno mi recavo ai Giardini dove ne trovavo in abbondanza.

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Certo all’inizio fu dura. Ma la cosa che mi infastidiva di più non era il fatto che tutti mi guardassero stupefatti come se venissi da un altro pianeta,

bensì il fatto che mi scambiassero per una mucca. Ora, c’è una bella differenza tra una mucca ed un bue e se permettete la cosa mi stava a cuore.

Il nome che mi affibbia-rono, a detta di molti sarà un po’ banale, ma almeno non lascia adito a equivoci. Era finalmente chiaro che ero un bue, non producevo latte e non avrei partorito vitelli.

Tutti mi chiamavano Bovo e credetemi se vi dico che quando mi in-contravano per strada mi salutavano con larghi sorrisi. In verità ciò che mi rallegrava di più era il cibo che di tanto in tanto mi offrivano che mi rallegrava di più era il cibo che di tanto in tanto mi offrivano per riempire i quattro stomaci.per riempire i quattro stomaci.

Questo non Questo non sempre accadeva, quindi ogni giorno mi recavo ai Giardini dove ne sempre accadeva, quindi ogni giorno mi recavo ai Giardini dove ne trovavo in abbondanza.

adito a equivoci. Era finalmente chiaro che ero un bue, non pro-

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A Venezia solo il mondo esterno mi riguardava, le porte erano quasi sempre troppo strette e quando ne trovavo una abbastanza larga per la mia mole, subito qualcuno accorreva spingendomi fuori. I luoghi al di là delle porte erano un mistero, chissà quali tesori all’interno, quali segreti. Solo uno di essi sembrava richiamarmi dentro.

Mi chiedevo dove portassero queste fauci che si aprivano per acco-gliermi, cosa fosse questa trappola luminosa e colorata.

Gli esseri umani ci entravano tranquilli e dopo un po’ ne venivano fuori illesi. Si procuravano così il cibo, esplorando lo stomaco di Venezia.

Ciò che mi terrorizzava era il presentimento che un giorno Venezia si sarebbe risvegliata e avrebbe inghiottito in un atti-mo tutti coloro che ne perlustravano lo stomaco.

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A Venezia solo il mondo esterno mi riguardava, le porte erano quasi sempre troppo strette e quando ne trovavo una abbastanza larga per la mia mole, subito qualcuno accorreva spingendomi fuori. I luoghi al di là delle porte erano un mistero, chissà quali tesori all’interno, quali segreti. Solo uno di essi sembrava richiamarmi dentro.

Mi chiedevo dove portassero queste fauci che si aprivano per acco-gliermi, cosa fosse questa trappola luminosa e colorata.

Gli esseri umani ci entravano tranquilli e dopo un po’ ne venivano fuori illesi. Si procuravano così il cibo, esplorando lo stomaco di Venezia.

Ciò che mi terrorizzava era il presentimento che un giorno Venezia si sarebbe risvegliata e avrebbe inghiottito in un atti-mo tutti coloro che ne perlustravano lo stomaco.

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Ecco perché preferivo girovagare nei campi spaziosi, dove qualche raro albero fa capolino.

É qui che le strette calli sfociano, sono questi i luoghi che esse indicano. Ecco che la città diventa paesaggio ed io ritrovo la dimensione del pascolo. Infatti pare che un tempo alcuni di essi fossero dei campi veri e propri, come quelli di cui la montagna era circondata.

Ho cominciato a domandarmi quali potessero essere e quando fosse stato così.

Ho immaginato la laguna primordiale, senza costruzioni, solo terra verde e acqua salmastra, senza uomini, senza nulla.

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Ecco perché preferivo girovagare nei campi spaziosi, dove qualche raro albero fa capolino.

É qui che le strette calli sfociano, sono questi i luoghi che esse indicano. Ecco che la città diventa paesaggio ed io ritrovo la dimensione del pascolo. Infatti pare che un tempo alcuni di essi fossero dei campi veri e propri, come quelli di cui la montagna era circondata.

Ho cominciato a domandarmi quali potessero essere e quando fosse stato così.

Ho immaginato la laguna primordiale, senza costruzioni, solo terra verde e acqua salmastra, senza uomini, senza nulla.

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Poi le prime fragili capanne circondate dalla terra prima che dalla palude.

La chiesa costruita in pietra, il centro del villaggio, nient’altro che un’isola più grande delle altre.

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Poi le prime fragili capanne circondate dalla terra prima che dalla palude.

La chiesa costruita in pietra, il centro del villaggio, nient’altro che un’isola più grande delle altre.

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E poi la repubblica Serenissima, il centro del mondo conosciuto, i popoli giunti da terre lontanissime. L’esplosione della città che sep-pellisce la natura, delimitandola e allontanandola.

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E poi la repubblica Serenissima, il centro del mondo conosciuto, i popoli giunti da terre lontanissime. L’esplosione della città che sep-pellisce la natura, delimitandola e allontanandola.

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Rari tappeti verdi sotto gli edifici, testimoni dell’ascesa e della caduta di Venezia, del suo potere e della sua sconfitta.

L’industria, il progresso, la modernità. Adesso il cemento affianca la pietra e di campi verdi nessuna traccia.

Forse nelle isole, forse al Lido o in Giudecca. Forse ancora abitate da altre mucche o buoi. Chissà se la terra, un tempo alla luce del sole, ri-posa sotto la pietra o solo tronchi ammassati sorreggono questa città dell’uomo.

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Rari tappeti verdi sotto gli edifici, testimoni dell’ascesa e della caduta di Venezia, del suo potere e della sua sconfitta.

L’industria, il progresso, la modernità. Adesso il cemento affianca la pietra e di campi verdi nessuna traccia.

Forse nelle isole, forse al Lido o in Giudecca. Forse ancora abitate da altre mucche o buoi. Chissà se la terra, un tempo alla luce del sole, ri-posa sotto la pietra o solo tronchi ammassati sorreggono questa città dell’uomo.

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Il 2 gennaio fu un giorno speciale, e da allora ogni 2 gennaio lo è stato per me. Un’amorevole signora si presentò con una gustosa insalata di soia, erba e fieno, dicendomi: «Auguri! Oggi è San Bovo, il tuo ono-mastico.» Mi spiegò che un santo col mio stesso nome era celebrato in questo giorno, quindi era anche un po’ la mia festa. Mi disse inoltre che il santo era il protettore dei buoi e delle mucche. Ero entusiasta, volevo sapere tutto di quest’uomo che abitava il cielo e ci proteggeva dall’alto.

Lei poté solo raccontarmi questa leggenda:

«La notte del 2 gennaio Bovo entrò in stalla per ascoltare ciò che i buoi ave-vano da dirsi sull’anno a venire e sul comportamento del bovaro, l’allevatore. Nascosto sotto la paglia scoprì che gli animali, prevedendo un anno di care-stia che li avrebbe condannati alla morte, avevano deciso di ucciderlo. Bovo, dopo aver udito questa intenzione, morì di spavento.»

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Il 2 gennaio fu un giorno speciale, e da allora ogni 2 gennaio lo è stato per me. Un’amorevole signora si presentò con una gustosa insalata di soia, erba e fieno, dicendomi: «Auguri! Oggi è San Bovo, il tuo ono-mastico.» Mi spiegò che un santo col mio stesso nome era celebrato in questo giorno, quindi era anche un po’ la mia festa. Mi disse inoltre che il santo era il protettore dei buoi e delle mucche. Ero entusiasta, volevo sapere tutto di quest’uomo che abitava il cielo e ci proteggeva dall’alto.

Lei poté solo raccontarmi questa leggenda:

«La notte del 2 gennaio Bovo entrò in stalla per ascoltare ciò che i buoi ave-vano da dirsi sull’anno a venire e sul comportamento del bovaro, l’allevatore. Nascosto sotto la paglia scoprì che gli animali, prevedendo un anno di care-stia che li avrebbe condannati alla morte, avevano deciso di ucciderlo. Bovo, dopo aver udito questa intenzione, morì di spavento.»

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Il racconto mi lasciò perplesso. I bovini non avrebbero mai potuto fare una cosa del genere. Non vi era motivo, in nessun modo l’omici-dio avrebbe giovato. Pensai che la storia fosse solo un monito per far sì che gli allevatori si prendessero maggior cura degli animali. Da al-lora chiedevo a chiunque della vita di San Bovo. Molti conoscevano la leggenda ma solo un turista francese poté raccontarmi la vera storia.

Attorno all’anno 1000 in Provenza ebbe i natali Bovo, figlio di Adal-fredo e Odilinda. Egli fu un guerriero nobile che difendeva i villaggi dalle razzie compiuto dai Saraceni. Sotto la pesante armatura portava sempre il cilicio e passava le notti in preghiera. Memorabile fu l’eroi-smo dimostrato quando, sotto il comando di Guglielmo I,

liberò la fortezza di Frassineto nei pressi dell’attuale Saint Tropez. Dopo quest’impre-sa Bovo perdonò l’uccisione del fratello, dedicandosi alla penitenza e vivendo in un’umile casupola in cima ad un colle. Bovo fu un notevole taumaturgo e il suo culto si diffuse largamente. Dopo alcuni secoli le sue reliquie furono raccolte a Voghera, dove spirò durante un pelle-grinaggio verso Roma.

Così fu chia-mato San Bovo, e questo cavaliere che così poco aveva avuto a che fare con i bovini ne diventò il protettore solo a causa del suo nome.

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Il racconto mi lasciò perplesso. I bovini non avrebbero mai potuto fare una cosa del genere. Non vi era motivo, in nessun modo l’omici-dio avrebbe giovato. Pensai che la storia fosse solo un monito per far sì che gli allevatori si prendessero maggior cura degli animali. Da al-lora chiedevo a chiunque della vita di San Bovo. Molti conoscevano la leggenda ma solo un turista francese poté raccontarmi la vera storia.

Attorno all’anno 1000 in Provenza ebbe i natali Bovo, figlio di Adal-fredo e Odilinda. Egli fu un guerriero nobile che difendeva i villaggi dalle razzie compiuto dai Saraceni. Sotto la pesante armatura portava sempre il cilicio e passava le notti in preghiera. Memorabile fu l’eroisempre il cilicio e passava le notti in preghiera. Memorabile fu l’eroi-smo dimostrato quando, sotto il comando di Guglielmo I,smo dimostrato quando, sotto il comando di Guglielmo I,

liberò la fortezza liberò la fortezza di Frassineto nei pressi dell’attuale Saint Tropez. Dopo quest’impre-sa Bovo perdonò l’uccisione del fratello, dedicandosi alla penitenza e vivendo in un’umile casupola in cima ad un colle. Bovo fu un notevole taumaturgo e il suo culto si diffuse largamente. Dopo alcuni secoli le sue reliquie furono raccolte a Voghera, dove spirò durante un pelle-grinaggio verso Roma.

Così fu chia-mato San Bovo, e questo cavaliere che così poco aveva avuto a che fare con i bovini ne diventò il protettore solo a causa del suo nome.

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L’immagine di San Bovo era comune nelle stalle del veneto.

Qui ogni giorno si recava il bovaro per condurre i buoi che avrebbero arato l’aspra terra,

sotto un giogo che lui stesso aveva ottenuto da un grosso pezzo di noce o di acero.

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L’immagine di San Bovo era comune nelle stalle del veneto.

Qui ogni giorno si recava il bovaro per condurre i buoi che avrebbero arato l’aspra terra,

sotto un giogo che lui stesso aveva ottenuto da un grosso pezzo di noce o di acero.

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Le frequenti inondazioni del territorio mietevano le prime vittime ne-gli animali, pochi i superstiti riparati in posti impensabili.

La vita allora era durissima per noi, ma probaiblmente quella del bo-varo era peggiore. Quest’ultimo dava al padrone i sudati frutti del raccolto in cambio della misera porzione di polenta quotidiana da di-videre con la famiglia numerosa. L’abuso di questa pietanza – prepa-rata in mille modi per risultare meno stomachevole – causava molto spesso la pellagra,

una malattia tanto terribile da essere paragonata alla lebbra.

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Le frequenti inondazioni del territorio mietevano le prime vittime ne-gli animali, pochi i superstiti riparati in posti impensabili.

La vita allora era durissima per noi, ma probaiblmente quella del bo-varo era peggiore. Quest’ultimo dava al padrone i sudati frutti del raccolto in cambio della misera porzione di polenta quotidiana da di-videre con la famiglia numerosa. L’abuso di questa pietanza – prepa-rata in mille modi per risultare meno stomachevole – causava molto spesso la pellagra,

una malattia tanto terribile da essere paragonata alla lebbra.

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La polenta era consumata anche dai ricchi nobiluomini veneziani, in questo caso come gustoso contorno a porzioni abbondanti di ricette raffinate che io, ghiotto solo di erba e fieno, non avrei comunque ap-prezzato.

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La polenta era consumata anche dai ricchi nobiluomini veneziani, in questo caso come gustoso contorno a porzioni abbondanti di ricette raffinate che io, ghiotto solo di erba e fieno, non avrei comunque ap-prezzato.

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In poco tempo i miei sentimenti verso Venezia mutarono. Lo stupore iniziale svanì. Gli edifici che mi erano parsi magnifiche sculture, divennero nient’al-tro che ostacoli ingombranti. La gente affollava le strade come chias-sose galline nel pollaio. Volevo andarmene, ma non potevo. C’erano due vie d’uscita, una per mare e una per terra. Ma nessuna barca mi voleva trasportare e nessun treno aveva ormai il carro bestiame. Cos’è che non andava? Cibo ed acqua ne avevo a sufficienza, il sole mi illuminava, nessuno mi faceva del male.

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In poco tempo i miei sentimenti verso Venezia mutarono. Lo stupore iniziale svanì. Gli edifici che mi erano parsi magnifiche sculture, divennero nient’al-tro che ostacoli ingombranti. La gente affollava le strade come chias-sose galline nel pollaio. Volevo andarmene, ma non potevo. C’erano due vie d’uscita, una per mare e una per terra. Ma nessuna barca mi voleva trasportare e nessun treno aveva ormai il carro bestiame. Cos’è che non andava? Cibo ed acqua ne avevo a sufficienza, il sole mi illuminava, nessuno mi faceva del male.

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Allora l’unico rimedio al mio sconforto divenne l’ostinata ricerca dei miei simili a Venezia. «La città è grande – mi ripetevo –, devo solo cercare nei posti giusti». Non c’era nessun bue a Venezia? Nessuna mucca? Ce n’erano mai stati? Come ci erano arrivati? Ma soprattutto come riuscirono ad andarsene?

Ogni volta che ponevo queste domande ai veneziani, essi imbarazzati campavano scuse per non rispondere e mi liquidavano in tutta fretta. Il silenzio che tutti mantenevano era la ragione della mia speranza. Esso implicava un segreto che prima o poi avrei scoperto.

Ad un tratto mi fu tutto chiaro:Ero solo, mi mancavano i miei simili, il loro silenzio, la loro presenza in fondo. Nessuno con cui godere della freschezza dell’erba o con cui lamentarsi del fastidio delle mosche.

Sentivo di essere stato separato dal mio ambiente, l’ambiente che mi apparteneva. Se non proprio un mondo ideale, un mondo adatto a me.

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Allora l’unico rimedio al mio sconforto divenne l’ostinata ricerca dei miei simili a Venezia. «La città è grande – mi ripetevo –, devo solo cercare nei posti giusti». Non c’era nessun bue a Venezia? Nessuna mucca? Ce n’erano mai stati? Come ci erano arrivati? Ma soprattutto come riuscirono ad andarsene?

Ogni volta che ponevo queste domande ai veneziani, essi imbarazzati campavano scuse per non rispondere e mi liquidavano in tutta fretta. Il silenzio che tutti mantenevano era la ragione della mia speranza. Esso implicava un segreto che prima o poi avrei scoperto.

Ad un tratto mi fu tutto chiaro:Ero solo, mi mancavano i miei simili, il loro silenzio, la loro presenza in fondo. Nessuno con cui godere della freschezza dell’erba o con cui lamentarsi del fastidio delle mosche.

Sentivo di essere stato separato dal mio ambiente, l’ambiente che mi apparteneva. Se non proprio un mondo ideale, un mondo adatto a me.

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Così cominciai a cercare tracce in città.

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Così cominciai a cercare tracce in città.

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Abituato com’ero alla vita brada, cercavo le tracce nel pavimento, tra le geometrie disegnate nel lastricato. Cosa cercavo? Sapevo bene che nella dura pietra le zampe non avrebbero lasciato impronte.

Giunto sul posto scoprii deluso che anche stavolta si trattava dell’opera di un cane. L’uomo si voltò verso di me ringraziandomi. Poi mi chiese cosa ci fa-cesse un toro a Venezia e se la mia presenza fosse legata all’iscrizione. Gli risposi che non ero un toro bensì un bue ed incuriosito gli chiesi di leggere l’iscrizione.

Ero entusiasta, avevo finalmente la prova che non ero il primo bovino giunto a Venezia. Decisi quindi di investire tutte le mie energie per scoprire cosa fossero le cacce ai tori.

Un giorno, costeggiando una fondamenta, adocchiai una traccia. Subito dopo vidi un uomo che arretrava rischiando di calpestarla. L’uomo non si sarebbe accorto di nulla, preso com’era dal fotografa-re un’iscrizione sull’edificio. Emanai un forte muggito per avvertirlo. L’uomo si arrestò poco prima di schiacciarla.

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Abituato com’ero alla vita brada, cercavo le tracce nel pavimento, tra le geometrie disegnate nel lastricato. Cosa cercavo? Sapevo bene che nella dura pietra le zampe non avrebbero lasciato impronte.

Giunto sul posto scoprii deluso che anche stavolta si trattava dell’opera di un cane. L’uomo si voltò verso di me ringraziandomi. Poi mi chiese cosa ci fa-cesse un toro a Venezia e se la mia presenza fosse legata all’iscrizione. Gli risposi che non ero un toro bensì un bue ed incuriosito gli chiesi di leggere l’iscrizione.

Ero entusiasta, avevo finalmente la prova che non ero il primo bovino giunto a Venezia. Decisi quindi di investire tutte le mie energie per scoprire cosa fossero le cacce ai tori.

Un giorno, costeggiando una fondamenta, adocchiai una traccia. Subito dopo vidi un uomo che arretrava rischiando di calpestarla. L’uomo non si sarebbe accorto di nulla, preso com’era dal fotografa-re un’iscrizione sull’edificio. Emanai un forte muggito per avvertirlo. L’uomo si arrestò poco prima di schiacciarla.

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Le cacce erano un emozionante spettacolo sia per i nobili veneziani che per il popolo, una singolare attrazione per gli stranieri e un mar-tirio atroce per i buoi. Sì, perché i tori in realtà erano buoi, molto più mansueti e facili da governare.

A questo punto dei cani rabbiosi addestrati a mordere le orecchie del bovino venivano sciolti e si lanciavano su di lui. Tirando la corda il tira-tore strattonava la testa del bue e lo salvava dall’attacco, come se stesse manovrando una marionetta. Quando ciò accadeva tutti applaudivano.

Un tiratore conduceva il bue legato per le corna in mezzo al campo, un omuncolo si avvicinava all’animale e ne stimolava la furia facendo esplodere dei petardi. Pare che il più delle volte il bue rimanesse im-mobile terrorizzato.

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Le cacce erano un emozionante spettacolo sia per i nobili veneziani che per il popolo, una singolare attrazione per gli stranieri e un mar-tirio atroce per i buoi. Sì, perché i tori in realtà erano buoi, molto più mansueti e facili da governare.

A questo punto dei cani rabbiosi addestrati a mordere le orecchie del bovino venivano sciolti e si lanciavano su di lui. Tirando la corda il tira-tore strattonava la testa del bue e lo salvava dall’attacco, come se stesse manovrando una marionetta. Quando ciò accadeva tutti applaudivano.

Un tiratore conduceva il bue legato per le corna in mezzo al campo, un omuncolo si avvicinava all’animale e ne stimolava la furia facendo esplodere dei petardi. Pare che il più delle volte il bue rimanesse im-mobile terrorizzato.

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Era solo una questione di tempo, prima o poi uno dei cani azzannava l’orecchio e non se ne staccava fino a quando il cavacani non interveniva.

Il bue sanguinante era portato in rassegna nelle calli come trofeo vi-vente, destando l’ammirazione della folla. Arrivati a destinazione gli si segavano le corna e la massima prova di abilità consisteva nel ma-neggiare un grande spadone a due mani per decollare il bue in un sol colpo senza toccare terra con la lama.

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Era solo una questione di tempo, prima o poi uno dei cani azzannava l’orecchio e non se ne staccava fino a quando il cavacani non interveniva.

Il bue sanguinante era portato in rassegna nelle calli come trofeo vi-vente, destando l’ammirazione della folla. Arrivati a destinazione gli si segavano le corna e la massima prova di abilità consisteva nel ma-neggiare un grande spadone a due mani per decollare il bue in un sol colpo senza toccare terra con la lama.

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Meditai a lungo sulle ragioni di tale pratica, sul significato di questa crudeltà. Alcuni sostenevano che il bue fosse il simbolo del mondo rurale e lo spettacolo non era che la dimostrazione del dominio della città su di esso. Altri semplicemente lo consideravano una dimostra-zione di forza. Ma la spiegazione che accettai come vera fu un’altra.

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Meditai a lungo sulle ragioni di tale pratica, sul significato di questa crudeltà. Alcuni sostenevano che il bue fosse il simbolo del mondo rurale e lo spettacolo non era che la dimostrazione del dominio della città su di esso. Altri semplicemente lo consideravano una dimostra-zione di forza. Ma la spiegazione che accettai come vera fu un’altra.

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Venezia in passato era divisa in quartieri e vi era una forte rivalità fra di essi. I bovini privi di orecchie venivano liberati nei quartieri nemici e gli abitanti terrorizzati si tuffavano nei canali per sfuggire all’animale. Le cacce ai tori non erano che un pretesto per arrecare danni ai rivali.

I buoi apparivano così spaventosi perché erano una presenza rara a Venezia. Ancora una volta le peculiarità di questo luogo tanto ambi-guo, rendevano ambigua la natura ed i suoi prodotti. Mi sentii solle-vato solo quando seppi che lo spettacolo era stato abolito ormai da alcuni secoli, proprio perché considerato crudele e spietato.

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Venezia in passato era divisa in quartieri e vi era una forte rivalità fra di essi. I bovini privi di orecchie venivano liberati nei quartieri nemici e gli abitanti terrorizzati si tuffavano nei canali per sfuggire all’animale. Le cacce ai tori non erano che un pretesto per arrecare danni ai rivali.

I buoi apparivano così spaventosi perché erano una presenza rara a Venezia. Ancora una volta le peculiarità di questo luogo tanto ambi-guo, rendevano ambigua la natura ed i suoi prodotti. Mi sentii solle-vato solo quando seppi che lo spettacolo era stato abolito ormai da alcuni secoli, proprio perché considerato crudele e spietato.

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Ma ogni volta che passavo per un campo non potevo evitare di chie-dermi se questo fosse stato palcoscenico di tali violenze.

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Ma ogni volta che passavo per un campo non potevo evitare di chie-dermi se questo fosse stato palcoscenico di tali violenze.

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Venezia, come sapete, è ricca di vetrine, tutte piene degli stessi ogget-ti luccicanti. Ma ce n’era una piccola, nascosta e buia. Pochi i turisti che ci passavano davanti e ancora meno quelli che entravano nel ne-gozio. Questa vetrina polverosa ospitava stampe antiche, scatole in latta, francobolli, medaglie, libri, radioline, dischi, macchine fotogra-fiche, cappelli, carillon e mille altri oggetti. In verità non ci avevo mai fatto caso fino a quando un giorno, gironzolando per la città, mi parve di scorgere due corna dentro il negozio.

Come al solito l’entrata era trop-po stretta per me e mi avvicinai alla vetrina per distinguere meglio il mio simile tanto agognato. Vedendomi, la proprieta-ria uscì dal negozio. Immediatamente le chiesi del bovino che viveva lì. Perplessa si voltò verso l’interno. Entrò nel negozio e uscì di nuovo ridendo. Portava con sé una mucca bellissima, piccola e fiorita.

Mi disse che si chiamava mucca Carolina e che era stata lei stessa in gioventù a crearne innumerevoli esemplari quando viveva in un pae-sino a poca distanza da Venezia.

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Venezia, come sapete, è ricca di vetrine, tutte piene degli stessi ogget-ti luccicanti. Ma ce n’era una piccola, nascosta e buia. Pochi i turisti che ci passavano davanti e ancora meno quelli che entravano nel ne-gozio. Questa vetrina polverosa ospitava stampe antiche, scatole in latta, francobolli, medaglie, libri, radioline, dischi, macchine fotogra-fiche, cappelli, carillon e mille altri oggetti. In verità non ci avevo mai fatto caso fino a quando un giorno, gironzolando per la città, mi parve di scorgere due corna dentro il negozio.

Come al solito l’entrata era trop-po stretta per me e mi avvicinai alla vetrina per distinguere meglio il mio simile tanto agognato. Vedendomi, la proprieta-ria uscì dal negozio. Immediatamente le chiesi del bovino che viveva lì. Perplessa si voltò verso l’interno. Entrò nel negozio e uscì di nuovo ridendo. Portava con sé una mucca bellissima, piccola e fiorita.

Mi disse che si chiamava mucca Carolina e che era stata lei stessa in gioventù a crearne innumerevoli esemplari quando viveva in un pae-sino a poca distanza da Venezia.

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«La mucca Carolina è stata per Cer-varese una miniera d’oro. Quando abbiamo iniziato a produrla erano gli anni duri del dopoguerra. Gli anni della miseria, soprattutto per la gente che abitava in campagna. Per noi ragazze trovare un posto di lavoro in fabbrica vicino casa era come vincere un terno al Lotto. Ricordo che la giornata in laboratorio passava in fretta. Terminato il turno di lavoro si tornava in fretta a casa e ci si piantava davanti al televisore (chi aveva la fortuna di averlo) in attesa di vedere la pub-blicità dei formaggini Invernizzi.

Vedere quegli esemplari di plastica costruiti con le no-stre mani “viventi” sullo schermo era un’emozione forte.»

Cosa intendeva per viventi? Acconsentì gentilmente quando le chiesi ansioso di mostrarmi la mucca Carolina. Rientrò in negozio e accese il piccolo televisore in bianco e nero che stava riposto in un angolo della vetrina.

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«La mucca Carolina è stata per Cer-varese una miniera d’oro. Quando abbiamo iniziato a produrla erano varese una miniera d’oro. Quando abbiamo iniziato a produrla erano gli anni duri del dopoguerra. Gli anni della miseria, soprattutto per la gente che abitava in campagna. Per noi ragazze trovare un posto di lavoro in fabbrica vicino casa era come vincere un terno al Lotto. Ricordo che la giornata in laboratorio passava in fretta. Terminato il turno di lavoro si tornava in fretta a casa e ci si piantava davanti al televisore (chi aveva la fortuna di averlo) in attesa di vedere la pub-blicità dei formaggini Invernizzi.

Vedere quegli esemplari di plastica costruiti con le no-stre mani “viventi” sullo schermo era un’emozione forte.»

Cosa intendeva per viventi? Acconsentì gentilmente quando le chiesi ansioso di mostrarmi la mucca Carolina. Rientrò in negozio e accese il piccolo televisore in bianco e nero che stava riposto in un angolo della vetrina.

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Carolina era una mucca operaia, e ogni giorno produceva litri e litri di latte. Era felice quando riceveva le lettere di Annibale, suo com-pagno, che le raccontava dei suoi frequenti pasticci. Come quando aveva distrutto la sua bicicletta nuova dando un passaggio ad una cavallina o quando, durante una partita a scopa, una volpe gli aveva soffiato la valigia affidatagli da un turista.

Ne rimasi meravigliato e da allora la proprietaria ogni giorno, all’apertura del negozio, accendeva il televisore mostrando le vicende di mucca Carolina e Annibale.

Ma non solo! Molti altri personaggi, molte altre storie convivevano in quello spettacolo che gli umani chiamavano Carosello.

detersivi, formaggi, dentifrici, dolciumi, elettrodomesti-ci accompagnavano l’immancabile lieto fine addolcito da una canzoncina orecchiabile.

La pubblicità era come la fiaba:

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Carolina era una mucca operaia, e ogni giorno produceva litri e litri di latte. Era felice quando riceveva le lettere di Annibale, suo com-pagno, che le raccontava dei suoi frequenti pasticci. Come quando aveva distrutto la sua bicicletta nuova dando un passaggio ad una cavallina o quando, durante una partita a scopa, una volpe gli aveva soffiato la valigia affidatagli da un turista.

Ne rimasi meravigliato e da allora la proprietaria ogni giorno, all’apertura del negozio, accendeva il televisore mostrando le vicende di mucca Carolina e Annibale.

Ma non solo! Molti altri personaggi, molte altre storie convivevano in quello spettacolo che gli umani chiamavano Carosello.

detersivi, formaggi, dentifrici, dolciumi, elettrodomesti-ci accompagnavano l’immancabile lieto fine addolcito da una canzoncina orecchiabile.

La pubblicità era come la fiaba:

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Piazza san Marco non era un luogo abituale per me. Non che non mi piacesse; solo che la folla di turisti rendeva difficili i movimenti per un animale della mia mole. Un giorno inaspettatamente la trovai vuo-ta, non era notte né faceva freddo. Nessuno intento a nutrire stormi di piccioni in mezzo alla piazza. Decisi di approfittarne e rimasi lì per un po’. Così ebbi modo di osservare tutto con maggiore attenzione mentre note allegre arrivavano dal caffè Florian. Ammirai gli archi delle procuratie, l’altissimo campanile,

la torre dell’orologio dove un toro capovol-to era accompagnato da due gemelli ed un ariete. Sapevo a cosa si riferiva quell’illustrazione:

era un segno zodiacale, un toro fatto di stelle che popolava il cielo e influenzava coloro i quali erano nati sotto il suo segno. Contemplai anche l’opulenta facciata della basilica, luogo sacro per alcuni esseri umani, e mentre scorrevo i bassorilievi dell’ampio portale mi soffer-mai su un episodio in particolare.

Pensai che anche questo fosse un evento accaduto in un passato re-condito. La scena era la rappresentazione di una delle tredici arti su cui si basava la libera civiltà veneziana: l’arte di massacrare degli ani-mali per farne del nutrimento per gli esseri umani.

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Piazza san Marco non era un luogo abituale per me. Non che non mi piacesse; solo che la folla di turisti rendeva difficili i movimenti per un animale della mia mole. Un giorno inaspettatamente la trovai vuo-ta, non era notte né faceva freddo. Nessuno intento a nutrire stormi di piccioni in mezzo alla piazza. Decisi di approfittarne e rimasi lì per un po’. Così ebbi modo di osservare tutto con maggiore attenzione mentre note allegre arrivavano dal caffè Florian. Ammirai gli archi delle procuratie, l’altissimo campanile,

la torre dell’orologio dove un toro capovol-to era accompagnato da due gemelli ed un ariete. Sapevo a cosa si riferiva quell’illustrazione:

era un segno zodiacale, un toro fatto di stelle che popolava il cielo e influenzava coloro i quali erano nati sotto il suo segno. Contemplai anche l’opulenta facciata della basilica, luogo sacro per alcuni esseri umani, e mentre scorrevo i bassorilievi dell’ampio portale mi soffer-mai su un episodio in particolare.

Pensai che anche questo fosse un evento accaduto in un passato re-condito. La scena era la rappresentazione di una delle tredici arti su cui si basava la libera civiltà veneziana: l’arte di massacrare degli ani-mali per farne del nutrimento per gli esseri umani.

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Le speranze di trovare i miei simili a Venezia si erano affievolite, ma adesso mi premeva conoscere le ragioni di tale pratica. Capire in qua-li circostanze era nata, come si era protratta e quando finalmente era stata abbandonata.

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Le speranze di trovare i miei simili a Venezia si erano affievolite, ma adesso mi premeva conoscere le ragioni di tale pratica. Capire in qua-li circostanze era nata, come si era protratta e quando finalmente era stata abbandonata.

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Mandrie intere di bovini allevati in Dalmazia o nei più vicini pascoli del Veneto o del Piemonte erano condotte a Venezia per mare o via terra, durante viaggi lunghi e durissimi.

I bovini giunti a Marghera erano nutriti abbondantemente in stazioni di riposo affinchè ingrassassero fornendo così più cibo. Essi venivano poi trasportati in barca per giungere infine nei macelli comunali. Erano chiamati macelli i luoghi nei quali si uccidevano gli animali per farne carne; non solo bovini ma anche polli e maiali. Ai tempi in cui la città era fatta di legno ce n’erano ben due, uno a Rialto ed uno a San Marco.

Il caso vuole che le prime memorie del macello di Rialto abbiano a che fare con la carne umana.

Candiano IV, un doge prepotente e malva-gio che aveva ripudiato una moglie costringendola alla vita monacale e sposato un’altra con l’unico scopo di arricchirsi, subì una congiura da parte di alcuni sudditi.

Candiano fu trucidato senza pietà e nella ressa anche il figlioletto avuto dalla seconda moglie Waldrada fu colpito a morte da una lan-cia. Con sprezzo, i due corpi furono gettati nel macello comunale di Rialto mescolandosi alle carni dei miei simili.

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Mandrie intere di bovini allevati in Dalmazia o nei più vicini pascoli del Veneto o del Piemonte erano condotte a Venezia per mare o via terra, durante viaggi lunghi e durissimi.

I bovini giunti a Marghera erano nutriti abbondantemente in stazioni di riposo affinchè ingrassassero fornendo così più cibo. Essi venivano poi trasportati in barca per giungere infine nei macelli comunali. Erano chiamati macelli i luoghi nei quali si uccidevano gli animali per farne carne; non solo bovini ma anche polli e maiali. Ai tempi in cui la città era fatta di legno ce n’erano ben due, uno a Rialto ed uno a San Marco.

Il caso vuole che le prime memorie del macello di Rialto abbiano a Il caso vuole che le prime memorie del macello di Rialto abbiano a che fare con la carne umana.che fare con la carne umana.

Candiano IV, un doge prepotente e malvaCandiano IV, un doge prepotente e malva-gio che aveva ripudiato una moglie costringendola alla vita monacale e sposato un’altra con l’unico scopo di arricchirsi, subì una congiura da parte di alcuni sudditi.

Candiano fu trucidato senza pietà e nella ressa anche il figlioletto avuto dalla seconda moglie Waldrada fu colpito a morte da una lan-cia. Con sprezzo, i due corpi furono gettati nel macello comunale di Rialto mescolandosi alle carni dei miei simili.

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Il macello di Rialto era il punto centrale del vivace mercato di Vene-zia popolato oltre che da altolocati forestieri anche da mendicanti e truffatori.

Su spartani banconi in pietra si ammazzavano e squartavano mucche e buoi, mentre poco lontano si contrattava il prezzo di sete preziose, spezie e schiavi o si svolgeva la vita di famiglie prestigiose come i Gradenigo, i Fon-tana e i Contarini. I membri di queste famiglie componevano la municipalità veneziana e si riunivano in piazza san Marco, nelle varie procuratie. Era questo il luogo del potere ufficiale.

E questo era anche il luogo del secondo macello comu-nale, non molto distante dalle cinque osterie, consueto alloggio per illustri ospiti giunti da paesi lontani, e dalle due colonne di San Marco e San Todaro, tra le quali avve-nivano le esecuzioni capitali.

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Il macello di Rialto era il punto centrale del vivace mercato di Vene-zia popolato oltre che da altolocati forestieri anche da mendicanti e truffatori.

Su spartani banconi in pietra si ammazzavano e squartavano mucche e buoi, mentre poco lontano si contrattava il prezzo di sete preziose, spezie e schiavi o si svolgeva la vita di famiglie prestigiose come i Gradenigo, i Fon-tana e i Contarini. I membri di queste famiglie componevano la municipalità veneziana e si riunivano in piazza san Marco, nelle varie procuratie. Era questo il luogo del potere ufficiale.

E questo era anche il luogo del secondo macello comu-nale, non molto distante dalle cinque osterie, consueto alloggio per illustri ospiti giunti da paesi lontani, e dalle due colonne di San Marco e San Todaro, tra le quali avve-nivano le esecuzioni capitali.

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Il mestiere dei becchéri, l’arte di uccidere e dilaniare i corpi degli animali, era molto redditizio, spe-cialmente per coloro che praticavano il contrabbando. Vi era un con-trollo accurato e ferreo dei becchéri da parte delle autorità perché spesso questi truffavano i clienti con bilance truccate oppure vende-vano carne avariata o ancora trasportavano di nascosto bestiame in città per non pagare il dazio.

Ai becchéri spettava anche un luogo di culto, una piccola chiesetta nei pressi di Rialto. Toccava inoltre a loro un gradito compito: quello di preparare addobbi e festoni in onore degli illustri ospiti in visita nella città di Venezia.

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Il mestiere dei becchéri, l’arte di uccidere e dilaniare i corpi degli animali, era molto redditizio, spe-cialmente per coloro che praticavano il contrabbando. Vi era un con-trollo accurato e ferreo dei becchéri da parte delle autorità perché spesso questi truffavano i clienti con bilance truccate oppure vende-vano carne avariata o ancora trasportavano di nascosto bestiame in città per non pagare il dazio.

Ai becchéri spettava anche un luogo di culto, una piccola chiesetta nei pressi di Rialto. Toccava inoltre a loro un gradito compito: quello di preparare addobbi e festoni in onore degli illustri ospiti in visita nella città di Venezia.

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Essi avevano un simbolo.

Nello sguardo del bue che ras-segnato si dirige verso la morte vi leggevo chiaramente il dolore e mi chiedevo se gli umani ne fossero consapevoli. Questa domanda e molte altre affollavano costantemente la mia mente mentre la ricerca dei miei simili si sostituiva pian piano all’ossessiva ricerca della fine di queste atrocità.

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Essi avevano un simbolo.

Nello sguardo del bue che ras-segnato si dirige verso la morte vi leggevo chiaramente il dolore e segnato si dirige verso la morte vi leggevo chiaramente il dolore e mi chiedevo se gli umani ne fossero consapevoli. Questa domanda e molte altre affollavano costantemente la mia mente mentre la ricerca dei miei simili si sostituiva pian piano all’ossessiva ricerca della fine di queste atrocità.

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L’arrivo della peste a Venezia fu terribile, la popolazione ne risultò decimata e furono emanati molti provvedimenti per scongiurare il morbo.

Uno di questi consisteva nell’allontanare dal centro della città tutte le attività ritenute inquinanti, tra di esse vi era la macellazione.

Tutto fu spostato nei pressi di San Giobbe, il punto della città più vicino alla terraferma, collegato ad essa attraverso il canale di San Secondo. I miei simili avevano modo di osservare lo splendore di Ve-nezia solo dall’esterno, infatti il loro viaggio a bordo dell’arca,

Anche l’isoletta lungo il canale ne era esclusa, abitata da monaci domenicani dediti più alla vita spirituale che ai bagordi.

In questo modo Venezia cominciò ad assomigliare a quella che è ades-so: non il luogo sporco e operoso dei mestieri, bensì quello immobile della bellezza, delle feste e delle celebrazioni.

un barcone in grado di trasportare sei bovini adulti , si concludeva prima di entrare in contatto con i fasti della città.

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L’arrivo della peste a Venezia fu terribile, la popolazione ne risultò decimata e furono emanati molti provvedimenti per scongiurare il morbo.

Uno di questi consisteva nell’allontanare dal centro della città tutte le attività ritenute inquinanti, tra di esse vi era la macellazione.

Tutto fu spostato nei pressi di San Giobbe, il punto della città più vicino alla terraferma, collegato ad essa attraverso il canale di San Secondo. I miei simili avevano modo di osservare lo splendore di Ve-nezia solo dall’esterno, infatti il loro viaggio a bordo dell’arca,

Anche l’isoletta lungo il canale ne era esclusa, abitata da monaci domenicani dediti più alla vita spirituale che ai bagordi.

In questo modo Venezia cominciò ad assomigliare a quella che è ades-so: non il luogo sporco e operoso dei mestieri, bensì quello immobile della bellezza, delle feste e delle celebrazioni.

un barcone in un barcone in grado di trasportare sei bovini adulti , si concludeva prima di entrare in contatto con i fasti della città.

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In seguito fu soppresso anche il luogo di culto dei becchèri. Fu per opera dei francesi, sotto il comando di Napoleone Bonaparte,

il quale diede l’ul-timo saluto a Venezia dal “pontile dei manzi”, luogo in cui venivano imbarcati i bovini per essere poi trasportati in laguna.

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In seguito fu soppresso anche il luogo di culto dei becchèri. Fu per opera dei francesi, sotto il comando di Napoleone Bonaparte,

il quale diede l’ul-timo saluto a Venezia dal “pontile dei manzi”, luogo in cui venivano imbarcati i bovini per essere poi trasportati in laguna.

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L’attività rimase tutto sommato immutata per alcuni secoli fino a quando nel 1843 fu inaugurato il macello di San Giobbe.

La pratica della morte assumeva così un ritmo ed una dimensione industriale.

Infatti a poca distanza dalla strut tura esisteva una fabbrica di candele di sego, il grasso animale resi-duo dalle carcasse macellate. Esso diventava la materia prima per candele e saponi.

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L’attività rimase tutto sommato immutata per alcuni secoli fino a quando nel 1843 fu inaugurato il macello di San Giobbe.

La pratica della morte assumeva così un ritmo ed una dimensione industriale.

Infatti a poca distanza dalla strut tura esisteva una fabbrica di candele di sego, il grasso animale resi-duo dalle carcasse macellate. Esso diventava la materia prima per candele e saponi.

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L’attività del macello fu inaugurata da un disperato tentativo di eva-sione che risultò inevitabilmente vano. Due buoi appena giunti in la-guna avvertendo il pericolo si agitarono e si diedero alla fuga, uno di essi fu catturato immediatamente, mentre l’altro, passando per cam-po San Geremia e arrivando fino alla chiesa degli Scalzi, fu infine bloccato da due macellai. Forse fu lui stesso ad arrendersi quando si rese conto di essere finito in una prigione senza celle né grate. Un tale evento non capitò più, ogni giorno prima dell’alba il bestiame veniva condotto senza intoppi all’interno del macello. Esisteva persino un ponte apposito per il trasporto del bestiame che giungeva via terra, il ponte delle vacche.

Gli animali introdotti nel macello veni-vano poi pesati su due grandi bilance presso l’edificio del dazio, sul quale vi era un grosso orologio che segnava le ore, regolando tutte le attività.

Poco dopo gli scorteghini colpivano i bovini uno ad uno con la mazza romana o col martello inglese in modo da far perdere loro i sen-si; ciò non sempre accadeva quindi era necessario ripetere il colpo anche più volte.

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L’attività del macello fu inaugurata da un disperato tentativo di eva-sione che risultò inevitabilmente vano. Due buoi appena giunti in la-guna avvertendo il pericolo si agitarono e si diedero alla fuga, uno di essi fu catturato immediatamente, mentre l’altro, passando per cam-po San Geremia e arrivando fino alla chiesa degli Scalzi, fu infine bloccato da due macellai. Forse fu lui stesso ad arrendersi quando si rese conto di essere finito in una prigione senza celle né grate. Un tale evento non capitò più, ogni giorno prima dell’alba il bestiame veniva condotto senza intoppi all’interno del macello. Esisteva persino un ponte apposito per il trasporto del bestiame che giungeva via terra, il ponte delle vacche.

Gli animali introdotti nel macello veni-vano poi pesati su due grandi bilance presso l’edificio del dazio, sul quale vi era un grosso orologio che segnava le ore, regolando tutte le attività.

Poco dopo gli scorteghini colpivano i bovini uno ad uno con la mazza romana o col martello inglese in modo da far perdere loro i sen-si; ciò non sempre accadeva quindi era necessario ripetere il colpo anche più volte.

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Di tanto in tanto le mazze erano lasciate da parte, perché il compito di stordire i miei simili toccava a Plinio Scarabellin

giovane veneziano che si affer-mò nel mondo del pugilato – il quale con un pugno tramortiva il bovino.

Litri di sangue scorrevano dai corpi dei bovini appena sgozzati men-tre essi, appesi per una zampa, scalciavano in preda alle convulsioni.

In poche mosse i minuzzadori decapitavano l’animale. La testa veniva poggiata su un piedistallo e lavata men-tre spasmi muscolari erano ancora evidenti.

Il resto del corpo era poi scuoiato, svuotato delle interiora e tagliato in due pezzi.

Un’ulteriore visita post-mortem era praticata per con-trollare la commestibilità delle carni e se essa dava esito positivo le mezzene erano bollate ad inchiostro.

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Di tanto in tanto le mazze erano lasciate da parte, perché il compito di stordire i miei simili toccava a Plinio Scarabellin

giovane veneziano che si affer-mò nel mondo del pugilato – il quale con un pugno tramortiva il bovino.

Litri di sangue scorrevano dai corpi dei bovini appena sgozzati men-tre essi, appesi per una zampa, scalciavano in preda alle convulsioni.

In poche mosse i minuzzadori decapitavano l’animale. La testa veniva poggiata su un piedistallo e lavata men-tre spasmi muscolari erano ancora evidenti.

Il resto del corpo era poi scuoiato, svuotato delle interiora e tagliato Il resto del corpo era poi scuoiato, svuotato delle interiora e tagliato in due pezzi.in due pezzi.

Un’ulteriore visita post-mortem era praticata per conUn’ulteriore visita post-mortem era praticata per con-trollare la commestibilità delle carni e se essa dava esito positivo le trollare la commestibilità delle carni e se essa dava esito positivo le mezzene erano bollate ad inchiostro.

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I pezzi di carne erano infine caricati su barche a remi e si tenevano delle regate per rifornire le macellerie, i punti vendita delle carni.

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I pezzi di carne erano infine caricati su barche a remi e si tenevano delle regate per rifornire le macellerie, i punti vendita delle carni.

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Le Corbusier, un grande architetto francese, si interessò alla sede per convertirla in un ospedale. Il progetto fu stu-diato nei minimi dettagli suscitando l’entusiasmo e le polemiche che le novità portano nell’immobilità senza tempo di Venezia.

Alla fine esso l’ospedale non fu realizzato.

Per più di un secolo – dal 1843 al 1972 – l’attività del macello continuò incessantemente. Dopo la chiusura la struttura dovette suscitare un certo terrore e disgusto infatti per anni essa fu abbandonata.

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Le Corbusier, un grande architetto francese, si interessò alla sede per convertirla in un ospedale. Il progetto fu stu-diato nei minimi dettagli suscitando l’entusiasmo e le polemiche che le novità portano nell’immobilità senza tempo di Venezia.

Alla fine esso l’ospedale non fu realizzato.

Per più di un secolo – dal 1843 al 1972 – l’attività del macello continuò incessantemente. Dopo la chiusura la struttura dovette suscitare un certo terrore e disgusto infatti per anni essa fu abbandonata.

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In una fotografia dell’epoca vidi gli uomini e gli animali a San Giobbe ritratti insieme, i primi con in mano le diverse mazze per lo stordi-mento e le mannaie per la scuoiatura. Un bue mi impressionò, incor-poreo come un fantasma di un tempo passato.

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In una fotografia dell’epoca vidi gli uomini e gli animali a San Giobbe ritratti insieme, i primi con in mano le diverse mazze per lo stordi-mento e le mannaie per la scuoiatura. Un bue mi impressionò, incor-poreo come un fantasma di un tempo passato.

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Decisi di recarmi lì, di portare i miei ossequi alle vittime che riposa-vano in quel grande cimitero.

Dall’esterno mi parve un monu-mento commemorativo, con simboli e fregi sulla facciata.

All’interno inaspettatamente vi trovai la vita: l’edificio era sede dell’università, dove ogni giorno ci si occupava di eco-nomia, studiando la gestione delle risorse per soddisfare i bisogni della popolazione. Vedere tutti questi giovani umani impegnati in calcoli complessi mi convinse che la sede scelta non fosse casuale e che fossero contemplati anche i bisogni degli altri esseri viventi per una serena convivenza, per il bene comune.

Me ne andai soddisfatto, l’uomo era in grado di capire i suoi errori e studiava costantemente il modo migliore per correg-gerli. Mi parve chiaro che fosse questo il significato di mo-dernità.

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Decisi di recarmi lì, di portare i miei ossequi alle vittime che riposa-vano in quel grande cimitero.

Dall’esterno mi parve un monu-mento commemorativo, con simboli e fregi sulla facciata.

All’interno inaspettatamente vi trovai la vita: l’edificio era sede dell’università, dove ogni giorno ci si occupava di eco-nomia, studiando la gestione delle risorse per soddisfare i bisogni della popolazione. Vedere tutti questi giovani umani impegnati in calcoli complessi mi convinse che la sede scelta non fosse casuale e che fossero contemplati anche i bisogni degli altri esseri viventi per una serena convivenza, per il bene comune.

Me ne andai soddisfatto, l’uomo era in grado di capire i suoi errori e studiava costantemente il modo migliore per correg-gerli. Mi parve chiaro che fosse questo il significato di mo-dernità.

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61

Il gancio esterno dove le carni ve-nivano esposte non era che un documento del passato, lasciato lì per non dimenticare e non ripetere.

Anche l’incisione dell’ultima ma-celleria rimasta a Venezia chiusa ormai da qualche anno, sembrava un monito per le generazioni future.

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Il gancio esterno dove le carni ve-nivano esposte non era che un documento del passato, lasciato lì per non dimenticare e non ripetere.

Anche l’incisione dell’ultima ma-celleria rimasta a Venezia chiusa ormai da qualche anno, sembrava un monito per le generazioni future.

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62

Questa scoperta stemperò la rassegnazione di non poter trovare i miei simili in città e di condurre una vita solitaria.

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Questa scoperta stemperò la rassegnazione di non poter trovare i miei simili in città e di condurre una vita solitaria.

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Ma un giorno, mentre vagavo come al solito, vidi un ragazzo che por-tava con sé una scatola; su di essa c’era una mucca felice nei campi verdi.

Il ragazzo era appena uscito da quel-le spaventose fauci, abbastanza capienti per far entrare anche me.

Mi feci coraggio ed entrai. Una luce innaturale illuminava lunghi corridoi.

Rappresentava per me l’ultima speranza.

Le immagini sull’edificio mi convinsero che all’interno, magari dopo un lungo tragitto, fosse possibile raggiungere campi sterminati dove mucche appagate producevano latte e formaggi, alberi rigogliosi of-frivano frutti di ogni genere e crescevano floride piante di sedano, spinaci, prezzemolo.

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Ma un giorno, mentre vagavo come al solito, vidi un ragazzo che por-tava con sé una scatola; su di essa c’era una mucca felice nei campi verdi.

Il ragazzo era appena uscito da quel-le spaventose fauci, abbastanza capienti per far entrare anche me.

Mi feci coraggio ed entrai. Una luce innaturale illuminava lunghi corridoi.

tava con sé una scatola; su di essa c’era una mucca felice nei campi verdi.

Rappresentava per me l’ultima speranza. Rappresentava per me l’ultima speranza.

Le immagini sull’edificio mi convinsero che all’interno, magari dopo un lungo tragitto, fosse possibile raggiungere campi sterminati dove mucche appagate producevano latte e formaggi, alberi rigogliosi of-mucche appagate producevano latte e formaggi, alberi rigogliosi of-mucche appagate producevano latte e formaggi, alberi rigogliosi offrivano frutti di ogni genere e crescevano floride piante di sedano, spinaci, prezzemolo.

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Ritrovai subito l’immagine della scatola che si ripe-teva come un eco senza fine.

Vidi insalata a volontà in sacchi trasparenti,

le maestose montagne lontane ed innevate,

€ 0 ,89 € 1,99

€ 2 ,59 64

Ritrovai subito l’immagine della scatola che si ripe-teva come un eco senza fine.

Vidi insalata a volontà in sacchi trasparenti,

le maestose montagne lontane ed innevate,

€€ 00000000 ,89,89,89,89,89,89,89,89,89,89,89Vidi insalata a volontà in sacchi trasparenti, €€ 1111,99,99,99,99,99,99,99,99

€€ 2222222 ,59,59,59,59,59,59,59,59

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€ 1,75

la polenta, maledizione dei poveri e sfizio dei potenti,

tori muscolosi che si divertivano scontrandosi tra di loro.

E tante mucche tranquille e serene come Carolina, felici nei pascoli.

€ 1,05

€ 1,69 € 1,19

€ 1,49

€ 0 ,95

€ 1,57

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€€ 1111,75,75,75,75,75,75,75,75,75,75

la polenta, maledizione dei poveri e sfizio dei potenti,

tori muscolosi che si divertivano scontrandosi tra di loro.

E tante mucche tranquille e serene come Carolina, felici nei pascoli.

€€ 1111,05,05,05,05,05,05,05,05,05,05

€€ 1111111,69,69,69,69,69,69,69,69,69,69,69 €€€€ 1111,19,19,19,19,19,19,19,19

€€ 11111111,49,49,49,49,49,49,49,49

€€€ 000000000 ,95,95,95,95,95,95,95,95,95,95,95,95,95,95,95

€€ 111111,57,57,57,57,57,57,57,57

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€ 7 ,59al kg

€ 8 ,12al kg

€ 6 ,59al kg

€ 10 ,90al kg

€ 8 ,99al kg

€ 7 ,30al kg

€ 4 ,29al kg

Ma appena prima che il commesso riuscisse a bloccarmi lo shock mi lasciò esterrefatto.

€ 15 ,99al kg

€ 9 ,40al kg

€ 7 ,59al kg

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€€ 77777 ,59,59,597 ,5977 ,597 ,597 ,597 ,59,59,59,59,59,59,59,59al kg

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Ma appena prima che il commesso riuscisse a bloccarmi lo shock mi lasciò esterrefatto.

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€ 7 ,59al kg

Spezzatino, hamburger, polpette, wurstel, involtini, bistecche, carpac-cio, filetto, roast-beef. Tutti modi possibili di sezionare, tritare e sminuz-zare le nostre carni, di servirci ai tavoli, mescolarci con altre pietanze.

€ 8 ,59al kg

€ 6 ,39al kg

€ 9 ,12al kg

€ 11 ,59al kg

€ 5 ,80l kg

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€ 6 ,60al kg

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€€ 7777777 ,59,59,597 ,5977 ,597 ,597 ,597 ,59,59,59,59,59,59,59al kg

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Spezzatino, hamburger, polpette, wurstel, involtini, bistecche, carpac-cio, filetto, roast-beef. Tutti modi possibili di sezionare, tritare e sminuz-zare le nostre carni, di servirci ai tavoli, mescolarci con altre pietanze.

€€€€ 88888 ,59,59,59,59,59,59,59,59,59al kg

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I bovini che giun-gevano vivi in città dall’Ungheria e dalla Croazia, ci arrivavano ora in pezzi minuti e surgelati da tutto il mondo: dalla Francia, dalla Polo-nia, dall’America Latina.

I contadini che pativano la fame nelle campagne lavorando al nostro fianco, vivevano adesso in città e ricordando quei tempi duri mangiavano carne tre volte al giorno. La carne era sinonimo di forza: persino Napoleone – che aveva con-quistato mezza Europa – era stato sconfitto dagli inglesi, il popolo dei mangiatori di manzo.

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I bovini che giun-gevano vivi in città dall’Ungheria e dalla Croazia, ci arrivavano ora in pezzi minuti e surgelati da tutto il mondo: dalla Francia, dalla Polo-nia, dall’America Latina.

I contadini che pativano la fame nelle campagne lavorando al nostro fianco, vivevano adesso in città e ricordando quei tempi duri mangiavano carne tre volte al giorno. La carne era sinonimo di forza: persino Napoleone – che aveva con-quistato mezza Europa – era stato sconfitto dagli inglesi, il popolo dei mangiatori di manzo.

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Lo spettacolo di Annibale e Carolina, che mi era parso così innocente, non era affatto diverso da quello delle cacce ai tori, entrambi spettacoli di morte.

E per ogni santo protettore vi era qualcuno che difendeva l’opposto con la stessa convinzione o forse di più.

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Lo spettacolo di Annibale e Carolina, che mi era parso così innocente, non era affatto diverso da quello delle cacce ai tori, entrambi spettacoli di morte.

E per ogni santo protettore vi era qualcuno che difendeva l’opposto con la stessa convinzione o forse di più.

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L’uomo, oltre a controllare la morte degli animali, ne regolava anche l’esistenza. Gli animali erano valutati in termini di performance come macchine.

E proprio delle macchine aveva-no sostituito i buoi nel lavoro agricolo. Privati di questa funzione essi vivevano in box angusti, senza mai vedere la luce del sole, così grassi da non reggersi in piedi.

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L’uomo, oltre a controllare la morte degli animali, ne regolava anche l’esistenza. Gli animali erano valutati in termini di performance come macchine.

E proprio delle macchine aveva-no sostituito i buoi nel lavoro agricolo. Privati di questa funzione essi vivevano in box angusti, senza mai vedere la luce del sole, così grassi da non reggersi in piedi.

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Le mucche inve-ce erano collegate a macchine che simulavano le bocche dei vitelli o le mani degli allevatori, munte senza sosta fino a provare dolore.

Le primitive mazze per stordire il bue erano state sostituite da una macchina che prometteva un trattamento “umano”. Esso consiste-va nel fare un buco nel cervello dell’animale con una pistola ad aria compressa che toglie immediatamente la vita. Tutto ciò accadeva mentre gli altri animali in fila sentivano lo sparo, i muggiti e l’odore del sangue a poca distanza.

Mi fu chiara anche la causa della mucca pazza: il tentativo di chiu-dere la catena della produzione dando in pasto agli animali i resti inutilizzati delle loro carcasse. L’uomo aveva tentato di rendere car-nivori i bovini, ma quest’ulteriore affronto alla natura si era rivelato un disastro.

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Le mucche inve-ce erano collegate a macchine che simulavano le bocche dei vitelli o le mani degli allevatori, munte senza sosta fino a provare dolore.

Le primitive mazze per stordire il bue erano state sostituite da una macchina che prometteva un trattamento “umano”. Esso consiste-va nel fare un buco nel cervello dell’animale con una pistola ad aria compressa che toglie immediatamente la vita. Tutto ciò accadeva mentre gli altri animali in fila sentivano lo sparo, i muggiti e l’odore del sangue a poca distanza.

Mi fu chiara anche la causa della mucca pazza: il tentativo di chiu-dere la catena della produzione dando in pasto agli animali i resti inutilizzati delle loro carcasse. L’uomo aveva tentato di rendere car-nivori i bovini, ma quest’ulteriore affronto alla natura si era rivelato un disastro.

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Provai pietà per i miei simili e ne provai anche per gli uomini. Sì, an-che per loro, perché l’uso dei bovini non era che il riflesso di come gli esseri umani usano sé stessi.

Gli animali negli allevamenti artificiali come gli uomini nelle fabbriche sterminate o in coda al supermercato, nient’altro che strumenti al servi-zio della produzione e del consumo.

Pensai che non mancasse molto all’allevamento intensivo degli umani.

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Provai pietà per i miei simili e ne provai anche per gli uomini. Sì, an-che per loro, perché l’uso dei bovini non era che il riflesso di come gli esseri umani usano sé stessi.

Gli animali negli allevamenti artificiali come gli uomini nelle fabbriche sterminate o in coda al supermercato, nient’altro che strumenti al servi-zio della produzione e del consumo.

Pensai che non mancasse molto all’allevamento intensivo degli umani.

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Volevo fuggire da questa città a qualsiasi costo.

Solo in apparenza Venezia riposava, essa in realtà inghiottiva senza sosta montagne, laghi, campi, buoi, mucche, galline, piante. Gli uo-mini non agguantavano che gli avanzi in bella mostra dentro questo stomaco continuamente riempito e depredato.

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Volevo fuggire da questa città a qualsiasi costo.

Solo in apparenza Venezia riposava, essa in realtà inghiottiva senza sosta montagne, laghi, campi, buoi, mucche, galline, piante. Gli uo-mini non agguantavano che gli avanzi in bella mostra dentro questo stomaco continuamente riempito e depredato.

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Questa città,

come la mucca Carolina,

e come i pascoli ideali mostrati sui prodotti, non era che l’immagine ingannevole di una quiete ap-parente. Venezia aveva eliminato ogni traccia dell’ingiustizia e del dolore, del sangue e della polvere. Tutto vi arrivava qui sotto forma di immagini pacifiche e di pezzi di carne in forme regolari che erano spogliate del loro passato di esseri viventi. Per condurre una vita se-rena gli uomini avevano bisogno di questa bugia e ci credevano since-ramente. Un giorno non si sarebbero nemmeno ricordati della verità.

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Questa città,

come la mucca Carolina,

e come i pascoli ideali mostrati sui prodotti, non era che l’immagine ingannevole di una quiete ap-parente. Venezia aveva eliminato ogni traccia dell’ingiustizia e del dolore, del sangue e della polvere. Tutto vi arrivava qui sotto forma di immagini pacifiche e di pezzi di carne in forme regolari che erano spogliate del loro passato di esseri viventi. Per condurre una vita se-rena gli uomini avevano bisogno di questa bugia e ci credevano since-ramente. Un giorno non si sarebbero nemmeno ricordati della verità.

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Tornai là dove in passato i bovini ogni giorno erano condotti alla mor-te. Da lì potevo vedere l’isoletta ormai abbandonata, ultimo ricordo di migliaia di animali.

Avrei vissuto lì, la solitudine non mi spaventava più. Ogni indivi-duo in viaggio verso Venezia si sarebbe accorto di me e avrebbe conosciuto la storia di Bovo, simbolo vivente della protesta contro la menzogna dell’uomo.

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Tornai là dove in passato i bovini ogni giorno erano condotti alla mor-te. Da lì potevo vedere l’isoletta ormai abbandonata, ultimo ricordo di migliaia di animali.

Avrei vissuto lì, la solitudine non mi spaventava più. Ogni indivi-duo in viaggio verso Venezia si sarebbe accorto di me e avrebbe conosciuto la storia di Bovo, simbolo vivente della protesta contro la menzogna dell’uomo.

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Mi tuffai senza esitazione.

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Mi tuffai senza esitazione.

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Non arrivai mai all’isola.

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Non arrivai mai all’isola.

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Ma la mia storia non fu dimenticata dagli uomini e le tracce che lasciai furono molto più evidenti di quelle che io stesso avevo trovato a Venezia.

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Ma la mia storia non fu dimenticata dagli uomini e le tracce che lasciai furono molto più evidenti di quelle che io stesso avevo trovato a Venezia.

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Referenze fotografiche

Ken Alexander, Ana Nias - Cow-catching in Venice in “The New Zealand railways magazine” 1929, vol.4, p.13Cioccolato Villars, illustrazione su prodottoAssociazione Carro dei Giovani di Portocannone, still da video 2009Cioccolato Villars, illustrazione su prodottoAssociazione Carro dei Giovani di Portocannone, still da video 2009Venezia ostaggio dei cow-boy in “Il Gazzettino”, 4 luglio 1999, p.2Prigionieri sul Ponte della Libertà in “Il Gazzettino”, 4 luglio 1999, p.3Cacciari “toreador” tra sputi e insulti in “Il Gazzettino”, 4 luglio 1999, p.3Le mucche sul Canal grande in “La Repubblica”, 4 luglio 1999, p.21spot Snorkel, Parmigiano Reggiano, still da video “Vacqueros” al Florian, bovini in barca sotto palazzo Ducale in “Il Gazzettino”, 4 luglio 1999, p.2spot Snorkel, Parmigiano Reggiano, still da video Riva del Vin, foto dell’autore, Venezia 2010KBS, Madcow disease and U.S. beef industry, still da videoNancye Good, The Mad Cow Investigator, still da videoCartolina di Venezia, 1957, Collezione dell’autore DeAgostini, Città del mondo - Venezia, still da videoWill Wright, Spore 2008, still da videogiocoLa mungitura, www.matteocattadori.itfoto dell’autore, Latte Candia 2010

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Referenze fotografiche

Ken Alexander, Ana Nias - Cow-catching in Venice in “The New Zealand railways magazine” 1929, vol.4, p.13Cioccolato Villars, illustrazione su prodottoAssociazione Carro dei Giovani di Portocannone, still da video 2009Cioccolato Villars, illustrazione su prodottoAssociazione Carro dei Giovani di Portocannone, still da video 2009Venezia ostaggio dei cow-boy in “Il Gazzettino”, 4 luglio 1999, p.2Prigionieri sul Ponte della Libertà in “Il Gazzettino”, 4 luglio 1999, p.3Cacciari “toreador” tra sputi e insulti in “Il Gazzettino”, 4 luglio 1999, p.3Le mucche sul Canal grande in “La Repubblica”, 4 luglio 1999, p.21spot Snorkel, Parmigiano Reggiano, still da video “Vacqueros” al Florian, bovini in barca sotto palazzo Ducale in “Il Gazzettino”, 4 luglio 1999, p.2spot Snorkel, Parmigiano Reggiano, still da video Riva del Vin, foto dell’autore, Venezia 2010KBS, Madcow disease and U.S. beef industry, still da videoNancye Good, The Mad Cow Investigator, still da videoCartolina di Venezia, 1957, Collezione dell’autore DeAgostini, Città del mondo - Venezia, still da videoWill Wright, Spore 2008, still da videogiocoLa mungitura, www.matteocattadori.itfoto dell’autore, Latte Candia 2010

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foto dell’autore, Insalata Chef Menù 2010foto dell’autore, Supermercato Billa, Venezia 2010Strato56, Campo San Polo, www.flickr.com/photos/strato56/Laguna di Venezia in Arturo Colamussi, Isole della laguna di Venezia, Endeavour, Ferrara 2009, p. 4Tomaso Diplovatacio, Tractatus de Venetae urbis libertate et eiusdem imperii dignitate et privilegiis et an de iure Dominium Venetorum habeat superiore, sec. XIV, part. in Wladimiro Dorigo, Venezia Romanica, Cierre-Istituto Veneto Scienze Lettere e arti, Venezia-Verona 2003, vol. I, p. 7Valentin Orlandini inv., Ignazio Colombo inc., Stato delle isolette di Rivoalto, prima Culla della città di Venezia, vedute nella loro semplicità, Venezia 1796-97, part. in Wladimiro Dorigo, Venezia Romanica, Cierre-Istituto Veneto Scienze Lettere e arti, Venezia-Verona 2003, vol. I, p. 9La platea marciana e le lagune, fine sec. XV, Biblioteca Condè, Chantilly, part. in Ennio Concina, Piero Codato, Vittorio Pavan, Elisabetta Molteni, Venezia, le chiese e le arti, Magnus, Udine 1995, p.17Vittore Carpaccio, The English Ambassadors before the Father of St. Ursula and his Councillors, Venezia 1496-9, Gallerie dell’Accademia, Venezia, part. in Jan Lauts, Carpaccio, paintings and drawings, Phaidon, London 1962, imm. 44Fabbrica Narduzzi di mattoni e calce, c. 1930, Archivio ACTV, part. in Venezia, città industriale, Marsilio, Venezia 1980 p. 117Lido di Venezia, Casa paterna sorta nel 1884 in Luciano Filippi, Vecchie immagini di Venezia, Filippi, Venezia 1993, vol. III, p. 158Remondini, S.Bovo cavaliere, prima metà XIX sec., Museo civico di Bassano, part. in Antonio Niero, Tradizioni popolari veneziane e venete, Studium Cattolico Veneziano, Venezia 1990, p. 14973 et la Libération de la Provence par Guillaume 1er, www.reconquista.comstampa popolare, S. Bovo cavaliere, 1820, part. in Dino Coltro, Mondo contadino, Arsenale, Venezia 1982, vol. I, p.70Affresco su un rustico a Villorba (TV) 1927, Coll. privata A. Favaro in “Fotostorica”, n. 27/28, Giugno 2004Collezione Gianni Martini in Dino Coltro, Mondo contadino, Arsenale, Venezia 1982, vol. I, p. 26Giuseppe Mazzotti, Gioghi per buoi, anni ’60, FAST Fondo G. Mazzotti in “Fotostorica”, n. 27/28, Giugno 2004Giuseppe Mazzotti, Contadino con coppia di buoi, anni ’50, FAST Fondo G. Mazzotti in “Fotostorica”, n. 27/28, Giugno 2004Bovini annegati 1966 in Venezia. Una storia per immagini, inserto de “la Nuova Venezia”, vol. IV, p. 33Bovini nella chiesa di Grassaga 1966 in Venezia. Una storia per immagini, inserto de “la Nuova Venezia”, vol. IV, p.130Malato di pellagra, http://history.nih.gov/exhibits/goldberger/docs/intro_2.htmPietro Longhi, La polenta, Cà Rezzonico - Venezia in Adriano Mariuz, Giuseppe Pavanello, Giandomenico Romanelli, Pietro Longhi, Electa, Milano 1993, p. 71Scuola dei Longhi, Banchetto alla Giudecca, Cà Rezzonico - Venezia inPino Agostini, Alvise Zorzi, A tavola con i dogi, Arsenale, Venezia 1992, p. 11Cartolina di Venezia, Mazzega Art and Design, Veneziarapimento alieno di una mucca in Argentina 1983, www.youtube.com/watch?v=MZzJGM661D0foto dell’autore, Fondamenta Cereri, Venezia 2010foto dell’autore, Venezia 2009foto dell’autore, Iscrizione in fondamenta Cereri, Venezia 2010Baratti-Grandis, Caccia del toro per i Conti del Nord, Venezia - Museo Correr, part. in Bianca Tamassia Mazzarotto, Le feste veneziane, Sansoni, Firenze 1980, p. 16Domenico Lovisa, Caccia del toro a San Geremia 1720, part. in Bianca Tamassia Mazzarotto, Le feste veneziane, Sansoni, Firenze 1980, p. 15Giuseppe Heintz il Giovane, La caccia dei tori in campo S. Polo, Museo Correr - Venezia, part. in Giorgio Busetto, Antichi giochi di Venezia, Nuova Accademia Aldina, Venezia 1987, p.15Giovanni Grevembroch, Esercizio Piacevole, in Gli abiti de’ Veneziani, Museo Correr - Venezia in Giorgio Busetto, Antichi giochi di Venezia, Nuova Accademia Aldina, Venezia 1987, p.22Giovanni Grevembroch, Fabro, in Gli abiti de’ Veneziani, Museo Correr - Venezia in Giorgio Busetto, Antichi giochi di Venezia, Nuova Accademia Aldina, Venezia 1987, p.20Giacomo Franco, Caccia al toro in Habiti d’Huomeni et Donne Venetiane, Venezia 1610 in Giorgio Busetto, Antichi giochi di Venezia, Nuova Accademia Aldina, Venezia 1987, p.27Anonimo del sec. XVIII, Caccia dei tori in onore del Duca di Wüttemberg 1767, Museo Correr - Venezia, part. in Giorgio Busetto, Antichi giochi di Venezia, Nuova Accademia Aldina, Venezia 1987, p.19Giuseppe Heintz il Giovane, La caccia dei tori in campo S. Polo, Museo Correr - Venezia, part., in Giorgio Busetto, Giochi antichi di Venezia, Nuova Accademia Aldina, Venezia 1987, p.15Strato56, Campo San Polo, www.flickr.com/photos/strato56/Mucca Carolina, InvernizziBambina con mucca Carolina, Collezione Mauro Antoninischeda punto formaggio Milione, Invernizzi ▬Rai, sigla Carosello, still da videoCartolina Invernizzi, Collezione Luca ZanichelliRai, Carosello, still da videoRai, Caroselli, 1957-63, still da videoRestauro dell’orologio della torre, Musei civici Veneziani, Venezia 1999, p. 20Costellazione del toro, part. in Johannes Hevelius, Firmamentum Sobiescianum, sive Uranographia, Danzica 1690Intradosso dei becchèri, Facciata ovest della Basilica di San Marco in Otto Demus, Le sculture esterne di san Marco, Electa, Milano 1995, p. 173

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foto dell’autore, Insalata Chef Menù 2010foto dell’autore, Supermercato Billa, Venezia 2010Strato56, Campo San Polo, www.flickr.com/photos/strato56/www.flickr.com/photos/strato56/Laguna di Venezia in Arturo Colamussi, Isole della laguna di Venezia, Endeavour, Ferrara 2009, p. 4Tomaso Diplovatacio, Tractatus de Venetae urbis libertate et eiusdem imperii dignitate et privilegiis et an de iure Dominium Venetorum habeat superiore, sec. XIV, part. in Wladimiro Dorigo, Venezia Romanica, Cierre-Istituto Veneto Scienze Lettere e arti, Venezia-Verona 2003, vol. I, p. 7Valentin Orlandini inv., Ignazio Colombo inc., Stato delle isolette di Rivoalto, prima Culla della città di Venezia, vedute nella loro semplicità, Venezia 1796-97, part. in Wladimiro Dorigo, Venezia Romanica, Cierre-Istituto Veneto Scienze Lettere e arti, Venezia-Verona 2003, vol. I, p. 9La platea marciana e le lagune, fine sec. 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Bovo cavaliere, 1820, part. in Dino Coltro, Mondo contadino, Arsenale, Venezia 1982, vol. I, p.70Affresco su un rustico a Villorba (TV) 1927, Coll. privata A. Favaro in “Fotostorica”, n. 27/28, Giugno 2004Collezione Gianni Martini in Dino Coltro, Mondo contadino, Arsenale, Venezia 1982, vol. I, p. 26Giuseppe Mazzotti, Gioghi per buoi, anni ’60, FAST Fondo G. Mazzotti in “Fotostorica”, n. 27/28, Giugno 2004Giuseppe Mazzotti, Contadino con coppia di buoi, anni ’50, FAST Fondo G. Mazzotti in “Fotostorica”, n. 27/28, Giugno 2004Bovini annegati 1966 in Venezia. Una storia per immagini, inserto de “la Nuova Venezia”, vol. IV, p. 33Bovini nella chiesa di Grassaga 1966 in Venezia. Una storia per immagini, inserto de “la Nuova Venezia”, vol. 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Polo, Museo Correr - Venezia, part. in Giorgio Busetto, Antichi giochi di Venezia, Nuova Accademia Aldina, Venezia 1987, p.15Giovanni Grevembroch, Esercizio Piacevole, in Gli abiti de’ Veneziani, Museo Correr - Venezia in Giorgio Busetto, Antichi giochi di Venezia, Nuova Accademia Aldina, Venezia 1987, p.22Giovanni Grevembroch, Fabro, in Gli abiti de’ Veneziani, Museo Correr - Venezia in Giorgio Busetto, Antichi giochi di Venezia, Nuova Accademia Aldina, Venezia 1987, p.20Giacomo Franco, Caccia al toro in Habiti d’Huomeni et Donne Venetiane, Venezia 1610 in Giorgio Busetto, Antichi giochi di Venezia, Nuova Accademia Aldina, Venezia 1987, p.27Anonimo del sec. XVIII, Caccia dei tori in onore del Duca di Wüttemberg 1767, Museo Correr - Venezia, part. in Giorgio Busetto, Antichi giochi di Venezia, Nuova Accademia Aldina, Venezia 1987, p.19Giuseppe Heintz il Giovane, La caccia dei tori in campo S. 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Cameraphoto, General view of the central portal in Ettore Vio, The Basilica of St. Mark in Venice, Scala, Firenze 1999, p.69Savii ed esecutori alle acque, serie Laguna, dis. 156, part. in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 53Candiano IV in Alessandro Maria Manoli, Historia Veneta, Venetia in Marco De Biasi, La cronaca veneziana di Giovanni Diacono, Ateneo Veneto, Venezia 1988, p. 78Pietro Pasini, Fasti veneziani, 1842, Palazzo Ducale - Venezia, part. in Marco De Biasi, La cronaca veneziana di Giovanni Diacono, Ateneo Veneto, Venezia 1988, p. 81San Lorenzo di Venezia , b. II, fasc. II, part., in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, pp. 78-79Amman Jobst, Piazzetta San Marco, la Beccaria, la Zecca e la Libreria, 1550 c.ca, part., in Manuela Morresi, Piazza San Marco, Electa, Milano 1999, p. 66Andrea de Michieli, L’incoronamento della dogaressa Morosina Morosini 1597, part. in Giovanni Caniato, Punta San Giobbe, Associazione Macellai, Venezia 1997, p. 74Medaglione dei becchèri, sec. XVI, Museo Correr - Venezia in Antonio Stangherlin, L’Associazione Macellai di Venezia e il cippo di San Giobbe, Associazione Macellai, Venezia 1985, p. 3Frontespizio che raccoglie i decreti del Senato Veneto in materia di macellai e contrabbandieri, Archivio di Stato, Venezia 1594 in Antonio Stangherlin, L’Associazione Macellai di Venezia e il cippo di San Giobbe, Associazione Macellai, Venezia 1985, p. 43Jacopo de’ Barbari, Veduta di Venezia, Museo Correr - Venezia 1500, part. in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 28Gaspare Vanvitelli, Veduta del Molo, la piazzetta e il Palazzo Ducale 1697, Museo del Prado - Madrid, part. in Gaspare Vanvitelli, Viviani, Roma, 2002Isola di San Secondo in Arturo Colamussi, Isole della laguna di Venezia, Endeavour, Ferrara 2009, p. 85Napoloene passa in rivista la marina italiana a Venezia, Museo Napoleonico - Rome in Amable de Fournoux, Napoléon et Venise, Éditions de Fallois, Paris 2002, p. 127Avviso di apertura macello, 1840-1844 Sanità Macelli IV/7Planimetria della punta san Giobbe, Savii ed esecutori delle acque, b.700, dis. 2, part. in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 43Giuseppe Salvadori, Giovanbattista Meduna, Dettaglio del fronte verso laguna, 1834, part. in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 145Ponte delle vacche, Comune di Venezia, Assessorato all’Urbanistica in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 117Edificio del dazio in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Catalogo della mostra, Facoltà di Economia - Ca’ Foscari Università di Venezia, 1997, p. XVIIIPlinio Scarabellin al lavoro , Venezia, 1958 in Giovanni Caniato, Punta San Giobbe, Associazione Macellai, Venezia 1997, p. 77Frederick Wiseman, Meat, 1976, still da videoTamponi di gomma per la timbratura, Collezione Antonietti, Venezia inGiovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 115San Giobbe, Collezione Dalla VeneziaLe Corbusier, Archivio Progetti Università IUAV, part. in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 170Veduta a volo d’uccello del nuovo ospedale a San Giobbe, Venezia 1967, part. in Valeria Farinati, H VEN LC, IUAV archivio progetti, Venezia 1999, p. 204Collezione Zambenedetti, Venezia in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, pp. 110-111foto dell’autore, Punta San Giobbe, Venezia 2010Menini, S.Bonifacio, 1936 in Dino Coltro, Mondo contadino, Arsenale, Venezia 1982, vol. I, p. 128foto dell’autore, Macelleria nei pressi di Rialto, Venezia 2010Macelleria Panisson in Rio Terà San Leonardo, fine anni ‘50 in Venezia. Una storia per immagini, inserto de “la Nuova Venezia”, vol. IV, p.10foto dell’autore, Latte Candia, 2010foto dell’autore, Supermercato Billa, Venezia 2010Luca Coppola, Supermercato Billa, Venezia 2009foto dell’autore, Venezia 2010Tagli di carne di manzo, Agrarmarkt Austria Marketing GesmbHManifesti pubblicitario carne in scatola SimmenthalNino Pagot, carosello carne in scatola SimmenthalCarosello carne in scatola Montana, 1966, still da videoDisney, Oswald the lucky rabbit - The mechanical cow, 1927, still da videoAllevamento intensivo, www.eat-ing.netSarah Puckitt, Milking machine, www.historysanjose.orgFrederick Wiseman, Meat, 1976, still da videoNewark Livestock Market, www.newarklivestocksales.comFabbrica tessile, Guatemala, www.crea-inc.org/Steve Crane, Supermarket, www.flickr.com/photos/strandloper/Giulia Ciliberto, Rifornimento Supermercato Billa, Venezia 2009foto dell’autore, Supermercato Billa, Venezia 2010Cartolina di Venezia, Mazzega Art and Design, Venezia

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Cameraphoto, General view of the central portal in Ettore Vio, The Basilica of St. Mark in Venice, Scala, Firenze 1999, p.69Savii ed esecutori alle acque, serie Laguna, dis. 156, part. in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 53Candiano IV in Alessandro Maria Manoli, Candiano IV in Alessandro Maria Manoli, Candiano IV Historia Veneta, Venetia in Marco De Biasi, La cronaca veneziana di Giovanni Diacono, Ateneo Veneto, Venezia 1988, p. 78Pietro Pasini, Fasti veneziani, 1842, Palazzo Ducale - Venezia, part. in Marco De Biasi, La cronaca veneziana di Giovanni Diacono, Ateneo Veneto, Venezia 1988, p. 81San Lorenzo di Venezia , b. II, fasc. II, part., in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, pp. 78-79Amman Jobst, Piazzetta San Marco, la Beccaria, la Zecca e la Libreria, 1550 c.ca, part., in Manuela Morresi, Piazza San Marco, Electa, Milano 1999, p. 66Andrea de Michieli, L’incoronamento della dogaressa Morosina Morosini 1597, part. in Giovanni Caniato, Punta San Giobbe, Associazione Macellai, Venezia 1997, p. 74Medaglione dei becchèri, sec. XVI, Museo Correr - Venezia in Antonio Stangherlin, L’Associazione Macellai di Venezia e il cippo di San Giobbe, Associazione Macellai, Venezia 1985, p. 3Frontespizio che raccoglie i decreti del Senato Veneto in materia di macellai e contrabbandieri, Archivio di Stato, Venezia 1594 in Antonio Stangherlin, L’Associazione Macellai di Venezia e il cippo di San Giobbe, Associazione Macellai, Venezia 1985, p. 43Jacopo de’ Barbari, Veduta di Venezia, Museo Correr - Venezia 1500, part. in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 28Gaspare Vanvitelli, Veduta del Molo, la piazzetta e il Palazzo Ducale 1697, Museo del Prado - Madrid, part. in Gaspare Vanvitelli, Viviani, Roma, 2002Isola di San Secondo in Arturo Colamussi, Isole della laguna di Venezia, Endeavour, Ferrara 2009, p. 85Napoloene passa in rivista la marina italiana a Venezia, Museo Napoleonico - Rome in Amable de Fournoux,Napoléon et Venise, Éditions de Fallois, Paris 2002, p. 127Avviso di apertura macello, 1840-1844 Sanità Macelli IV/7Planimetria della punta san Giobbe, Savii ed esecutori delle acque, b.700, dis. 2, part. in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 43Giuseppe Salvadori, Giovanbattista Meduna, Dettaglio del fronte verso laguna, 1834, part. in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 145Ponte delle vacche, Comune di Venezia, Assessorato all’Urbanistica in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 117Edificio del dazio in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Catalogo della mostra, Facoltà di Economia - Ca’ Foscari Università di Venezia, 1997, p. XVIIIPlinio Scarabellin al lavoro , Venezia, 1958 in Giovanni Caniato, Punta San Giobbe, Associazione Macellai, Venezia 1997, p. 77Frederick Wiseman, Meat, 1976, still da videoTamponi di gomma per la timbratura, Collezione Antonietti, Venezia inGiovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 115San Giobbe, Collezione Dalla VeneziaLe Corbusier, Archivio Progetti Università IUAV, part. in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, p. 170Veduta a volo d’uccello del nuovo ospedale a San Giobbe, Venezia 1967, part. in Valeria Farinati, H VEN LC, IUAV archivio progetti, Venezia 1999, p. 204Collezione Zambenedetti, Venezia in Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, Il Macello di San Giobbe, Marsilio, Venezia 2006, pp. 110-111foto dell’autore, Punta San Giobbe, Venezia 2010Menini, S.Bonifacio, 1936 in Dino Coltro, Mondo contadino, Arsenale, Venezia 1982, vol. I, p. 128foto dell’autore, Macelleria nei pressi di Rialto, Venezia 2010Macelleria Panisson in Rio Terà San Leonardo, fine anni ‘50 in Venezia. Una storia per immagini, inserto de “la Nuova Venezia”, vol. IV, p.10foto dell’autore, Latte Candia, 2010foto dell’autore, Supermercato Billa, Venezia 2010Luca Coppola, Supermercato Billa, Venezia 2009foto dell’autore, Venezia 2010Tagli di carne di manzo, Agrarmarkt Austria Marketing GesmbHManifesti pubblicitario carne in scatola SimmenthalNino Pagot, carosello carne in scatola SimmenthalCarosello carne in scatola Montana, 1966, still da videoDisney, Oswald the lucky rabbit - The mechanical cow, 1927, still da videoAllevamento intensivo, www.eat-ing.netwww.eat-ing.netSarah Puckitt, Milking machine, www.historysanjose.orgFrederick Wiseman, Meat, 1976, still da videoNewark Livestock Market, www.newarklivestocksales.comFabbrica tessile, Guatemala, www.crea-inc.org/www.crea-inc.org/Steve Crane, Supermarket, www.flickr.com/photos/strandloper/Giulia Ciliberto, Rifornimento Supermercato Billa, Venezia 2009foto dell’autore, Supermercato Billa, Venezia 2010Cartolina di Venezia, Mazzega Art and Design, Venezia

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Cartolina Invernizzi, Collezione Luca ZanichelliCioccolato Villars, illustrazione su prodottoIsola di San Secondo, www.undo.netspot Snorkel, Parmigiano Reggiano, still da videofoto dell’autore, Bovo Burger 2010

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220-55255-56

Ken Alexander, Cow-catching in Venice in “The New Zealand railways magazine” 1929, vol.4, p.13Intervista Rilasciata da Maria Rossetto, www.animamia.net/ita/giochi/la_mucca_carolina

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Cartolina Invernizzi, Collezione Luca ZanichelliCioccolato Villars, illustrazione su prodottoIsola di San Secondo, www.undo.netspot Snorkel, Parmigiano Reggiano, still da videofoto dell’autore, Bovo Burger 2010

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7678-7982-83

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220-55255-56

Ken Alexander, Cow-catching in Venice in “The New Zealand railways magazine” 1929, vol.4, p.13Intervista Rilasciata da Maria Rossetto, www.animamia.net/ita/giochi/la_mucca_carolinawww.animamia.net/ita/giochi/la_mucca_carolina

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