Bonanate - Guida Agli Studi Internazionali

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    Studi InternazionaliA cura di

    LuigiBonanate

    Scritti diLuigi Bonanate, Universit di Torino

    Antonio Cassese, Universit di FirenzeEnnio DiNolfo, Universitdi FirenzeRoberto Panizza, Universit di Torino

    EdizionidellaFondazioneGiovanni Agnelli

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    Studi internazionali / a cura di Luigi Bonanate; scritti di Luigi Bo-nanate, Ennio Di Nolfo, Roberto Panizza... Let Torino, Fon-dazione Agnelli, 1990. - XII, 479 p. : 21 cm - (Guide agli studi discienze sociali).

    1. Politica. Studi 2. Relazioni internazionaliI. Luigi Bonanate II. Ennio Di Nolfo

    Copyright 1990 byEdizioni della Fondazione Giovanni AgnelliVia Giacosa 38, 10125 Torino

    tel. (011) 6500500, fax: (011) 6502777e-mail: [email protected], Internet: http://www.fga.it

    ISBN 88-7860-034-2

    La cura redazionale di Sandro Ortona

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    Indice

    Premessa p. 3

    1. La cultura internazionalistica italiana 32. Sulla delimitazione degli studi internazionali 4

    Capitolo primoRelazioni internazionali 9Luigi Bonanate

    1. Le risorse della ricerca internazionalistica in Italia 92. Le relazioni internazionali nella cultura italiana 143. La via italiana alle relazioni internazionali 19

    3.1 La prima fase (1969-1976) 203.2. Il 1976 233.3. 1976-1987 25

    4. Alla ricerca dei criteri di rilevanza degli studi

    internazionalistici 305. Metodologia e teorie generali 33

    5.1. Metodologia 345.2. Teoria e teorie 38

    6. Studi e ricerche sulla politica estera 467. Tra guerra e pace 538. Laffannosa ricerca strategica della sicurezza 599. Conclusioni: un bilancio che guarda al futuro 65

    Riferimenti bibliografici 68

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    VIII Indice

    Capitolo secondo

    Storia delle relazioni internazionali p. 71Ennio Di Nolfo

    1. Dati istituzionali sullinsegnamento e sulla ricerca 712. Un bilancio degli studi di storia delle relazioni internazionali 743. Le fonti 804. Le tematiche 815. Studi sulla politica estera fascista 89

    6. Studi sulla seconda guerra mondiale e sul dopoguerra 967. Nuove aree geografiche 1048. Studi sullemigrazione 108

    Riferimenti bibliografici 111

    Capitolo terzoDiritto internazionale 113

    Antonio Cassese

    1. Premessa 1132. La situazione dellinsegnamento e della ricerca 1143. Levoluzione della dottrina dopo il secondo dopoguerra 116

    3.1. Le trasformazioni della comunit internazionalee del clima generale italiano 116

    3.2. Caratteri generali della dottrina 1184. Le nuove tendenze che emergono tra la fine degli

    anni Sessanta ed oggi 124

    4.1. I fatti nuovi sulla scena italiana 1244.2. I fatti nuovi sulla scena internazionale 1254.3. Le nuove tendenze del positivismo 1274.4. I principali orientamenti della scienza internazionalistica

    contemporanea 1364.5. Gli internazionalisti e il mondo esterno 142

    5. Osservazioni conclusive 1455.1 La scienza internazionalistica italiana pu essere accusata di

    essere astratta e formalistica? 1455.2 Cosa vivo e cosa morto nella dottrina italiana 147Riferimenti bibliografici 149

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    Indice IX

    Capitolo quarto

    Economia internazionale p. 159Roberto Panizza

    1. Origine e contenuti dei primi studi di economiainternazionale in Italia 159

    2. Le risorse pubbliche: cattedre e centri di ricercasulleconomia internazionale 161

    3. Le risorse private: centri di ricerca sulleconomiainternazionale 168

    4. I tradizionali filoni di ricerca delleconomia internazionale 1725. La crisi degli anni Settanta: unanalisi descrittiva 1756. Flussi commerciali dellItalia e delle principali aree

    economiche mondiali 1817. Processi di internazionalizzazione, di integrazione monetaria

    e di globalizzazione dei mercati: unanalisi interpretativa 1898. Contributi alla teoria pura del commercio internazionale 1979. Contributi alla teoria monetaria dello scambio internazionale 204

    Riferimenti bibliografici 212

    APPENDICE BIBLIOGRAFICA

    Premessa 2151. Relazioni internazionali (Fabio Armao e Walter Coralluzzo) 217

    1.1. Teoria e metodologia delle relazioni internazionali 2171.2. Politica estera 225

    1.3. Pacifismo e bellicosit nel sistema internazionale 2381.4. Problemi strategici, sociologia e storia militare 2472. Storia delle relazioni internazionali e storia internazionale

    (Ennio Di Nolfo) 2592.1. Fino al 1815 2592.2. Dal 1815 al 1870 2632.3. Dal 1870 al 1914 2682.4. Dal 1914 al 1943 280

    2.5. Dal 1943 a oggi 3072.6. Nuove aree geografiche, emigrazione e opere varie 3372.7. Fonti 354

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    X Indice

    3. Diritto internazionale (Antonio Cassese) p. 363

    3.1.1. Manuali 3633.2.1. Storia del diritto internazionale 3643.3.1. Diritto dei trattati 3653.3.2. Successione di stati e trattati 3673.3.3. Consuetudine 3683.4.1. Stati e altri soggetti di diritto internazionale 3693.4.2. Insorti 3703.4.3. Autodeterminazione dei popoli 3703.4.4. Individui 3713.4.5. Stranieri 3723.5.1. Organizzazioni internazionali 3723.5.2. Nazioni Unite 3743.5.3. Istituzioni specializzate 3753.5.4. Altre organizzazioni governative 3773.5.5. Organizzazioni non governative 3773.5.6. Comunit europee 3783.6.1. Territorio 3863.6.2 Mare 3873.6.3 Trasporti marittimi 3933.6.4. Fiumi 3933.6.5. Tutela dellambiente 3933.6.6. Spazio aereo 3963.6.7. Cattura illecita di aeromobili 3963.6.8. Spazio extratmosferico 3973.7.1. Rapporti tra diritto interno e diritto internazionale 397

    3.7.2. Immunit giurisdizionale degli stati 4053.7.3. Organi di stati 4063.8.1. Diritti umani 4063.8.2. Scritti relativi alla Convenzione europea dei diritti delluomo 4103.8.3. Diritto penale internazionale 4153.9.1. Cooperazione politica 4173.9.2. Cooperazione economica e sociale 4173.9.3. Cooperazione in campo giudiziario, civile e penale 419

    3.9.4. Cooperazione in altri settori 4203.10.1.Tutela degli investimenti allestero 4203.11.1.Responsabilit internazionale 422

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    Indice XI

    3.12.1.Soluzione delle controversie p. 423

    3.12.2.Mezzi di impiego della forza diversi dalla guerra 4273.12.3.Guerra e neutralit 4273.12.4.Armi 431

    4. Economia internazionale (Roberto Panizza) 433

    Indice dei nomi 461

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    STUDI INTERNAZIONALI

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    Premessa

    1. La cultura internazionalistica italiana

    Per secoli, lunico fatto internazionalmente rilevante e general-mente percepito come tale stata la guerra: e tante se ne sono com-battute (118 nel solo periodo 1816-1980, secondo i sacri testi) che allariflessione su questo evento, e poi sulla sua principale antitesi, il diritto,e sulle modalit di ciascuna di quelle, la storia, ha dovuto esser concessoun grande spazio dalla comunit scientifica in tutti i paesi del mondo.Almeno in parte diversamente si evoluta la cultura accademica perquanto riguarda altre due discipline, sempre a carattere internazionali-stico, che addirittura si presentavano rivendicando una sorta di primo-genitura intellettuale e non cronologica nei confronti degli studi in-ternazionali. La disciplina delle relazioni internazionali (cio: la scienzapolitica applicata ai problemi extra-statuali) e leconomia internazionalepretendevano infatti di possedere una maggior specificit di approccio,unesclusivit di attenzione per le dinamiche degli eventi internazionali,tali da chiedere che i risultati delle loro riflessioni si imponessero su qual-siasi altra analisi si volesse compiere dei fenomeni internazionali.

    Nulla di nuovo ci sarebbe in questa storia, n alcun particolare inte-

    resse nel riferirla, se non fosse che il mondo contemporaneo ha cono-sciuto un cos impetuoso e dirompente sviluppo nellinternazionalizza-zione della realt da riproporre e con ben altra ponderazione il pro-blema dellapproccio agli studi internazionali nella loro generalit. Si po-trebbe addirittura suggerire che dopo essere stata una dimensione lacui importanza cresciuta per anni linternazionalit si sia oggi tra-sformata in una sorta di vera e propria costante che accompagna i pisvariati fenomeni che superano i confini dello stato.

    Cos stando le cose, e restando anche pi di un rebus da sciogliere

    per quanto riguarda la storia delle discipline coinvoltevi, e in particolarequella dei loro reciproci rapporti, il progetto della Fondazione Agnelli didedicare una delle sue guide agli studi internazionali si rivelato al

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    4 Premessa

    di l del risultato del nostro lavoro, che il lettore valuter unocca-

    sione eccezionalmente suggestiva per affrontare, per la prima volta inItalia (ma lavori di questo genere non sono certo diffusi nel mondo),il nodo rappresentato dallo scarso interesse (almeno comparativamente,rispetto ad altri settori di studio) mostrato dalla comunit scientifica ita-liana per gli studi internazionali (va aggiunta la considerazione che questaguida unica anche nel senso che non si sovrappone a una disciplina,accademicamente costituita, ma affronta una problematica, tra laltrovastissima). Come ogni generalizzazione, anche questa contiene qualcheimprecisione: il diritto internazionale e la storia delle relazioni interna-

    zionali (o, come la si chiamava una volta, la storia dei trattati) hannosempre goduto nella comunit accademica italiana di fiducia e rispetto:oggi i titolari di corsi universitari nella prima disciplina sono 106, quellidella seconda 42. Stupisce semmai e in ogni caso, di pi che i titolaridi economia internazionale siano soltanto 31 e quelli di relazioniinternazionali addirittura solo 5; ma qui le considerazioni dovrebberoessere pi amare: nessuno dei paesi sviluppati del mondo anche moltodietro il quarto o il quinto pi industrializzato! conosce una situa-zione di tale arretratezza (la quale, chiaro, deve pur nascondere qualcheresponsabilit, e qualche colpa). Non tocca a questa premessa giustifi-care i diversi aspetti che saranno invece discussi approfonditamente neiquattro capitoli della guida. utile invece soffermarsi ora sulla defini-zione stessa di quegli studi che abbiamo per la prima volta acco-stato, non pretendendo di scoprire una qualche artificiosa o inesistenteomogeneit tra discipline non solo per storia, ma per metodologie, cul-tura, tradizioni notevolmente diverse tra loro, ma per individuare uncampo problematico, che pu utilissimamente giovarsi dellapporto plu-ralistico di esperienze e specializzazioni varie.

    2. Sulla delimitazione degli studi internazionali

    Se linternazionalit non fosse concepibile altrimenti che come unadimensione delle molteplici e incomunicanti realt politica, econo-mica, sociale, giuridica, culturale, ecc. tipiche della vita interna ai singolistati, allora sarebbe sufficiente operare una proiezione speculare di questeultime sulla scena esterna per ottenerne la definizione stessa del-linternazionalit. Se invece si tende a una concettualizzazione autonoma

    e specifica dellinternazionalit come categoria a s stante, diventa ne-cessario affrontare un diverso cammino, che ci permetta di caratteriz-zare pi intensamente tale ricerca.

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    Premessa 5

    Una prima possibilit per muovere in direzione dellindividuazione del-

    larea degli studi internazionali rappresentata dalla semplice giustappo-sizione di diversi approcci disciplinari, come ad esempio si limita a reci-tare la dichiarazione di intenti della British International Studies Associa-tion, nella quarta di copertina della Review of International Studies, la quale in-tende rivolgersi a studiosi interessati a politica, diritto, storia, tecnologia ea tutte quelle altre aree della scienza sociale che rivestono un interesse nel-lo studio accademico dellarena internazionale. Non pi incisiva la pre-sentazione dellInternational Studies Association, quando si riferisce aivari fattori politici, economici, sociali o culturali che coinvolgono pi di

    una societ. Ma la via dellelencazione per quanto sia la pi sempli-ce e approssimativamente accettabile non libera tuttavia dal dubbio selinternazionalit possa davvero costituirsi in oggetto di studio autonomo,dunque non come semplice multi- disciplina (ancora qualcosa meno del-linterdisciplinarit?), bens come problematica complessa e perch no? complicata, dia poi o no essa vita anche a una vera e propria disciplina.

    La vita internazionale piuttosto un immenso campo problematico, su-scettibile di venir analizzato da diverse prospettive e con diverse competen-ze n pi n meno di come succede per lo stato o per un sistema so-

    ciale. Ma a ben vedere, si potrebbe addirittura argomentare che in a-stratto, almeno linternazionalit sia ben pi che lambiente nel quale glistati agiscono, dato che questi ultimi sono divisi luno dallaltro e auto-nomi soltanto in quanto sottrazioni rispetto allunit originaria e sconfi-nata del globo. Gli stati, in altre parole, non esistono in natura, ma co-me artificiali suddivisioni rispetto allidea cosmopolitica di umanit, oppu-re di impero universale, di Sacro romano impero, e cos via (lenormeeterogeneit che differenzia poi gli stati per dimensioni, risorse, popola-zione, regime politico, ecc. rende estremamente difficile abbracciarli

    tutti in un solo e stesso sguardo).In termini pi propositivi, si potr sostenere dunque che linternazio-nalit di per s coessenziale agli stati stessi (un buon esempio, in questadirezione, anche se non intendo qui riferirmi a ci che esso implica, rappresentato dallidea kelseniana del primato gerarchico-sistematico deldiritto internazionale rispetto a quelli statuali), cosicch lelemento distin-tivo dellinternazionalit non andr pi cercato soltanto o esclusivamentenel coinvolgimento aritmetico di pi stati che una condizione ne-cessaria ma non sufficiente per elevare a problematica autonoma lin-

    ternazionalit bens nellautonomia e nella specificit della proces-sualit degli eventi internazionali, i quali si svolgono secondo regolee condizioni indipendenti da quelle che contraddistinguono lo svol-

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    6 Premessa

    gimento di eventi della stessa natura (politica, economica, giuridica, sto-

    rica) allinterno di uno o pi distinti stati.Leconomia internazionale non la somma delle economie nazionali,cos come non lo la politica internazionale rispetto a quelle interne,e cos via. Se da un punto di vista descrittivo-materiale rientra nella vitainternazionale tutto ci che coinvolge pi di uno stato, ci che per giu-stifica la problematicit (lautonomia, almeno relativa) degli studi in-ternazionali la specificit delle spiegazioni che al suo livello si richie-dono per comprenderne la spontanea, inevitabile e intrinseca comples-sit. La simmetria tra guerra civile e guerra internazionale moltopi apparente ed elegante che sostanziale e effettiva (in termini inter-pretativi); la problematica strategica, a sua volta, non esiste invece senon a partire dalla sua connotazione internazionale (anche se lindustriamilitare di un paese, o uneconomia di guerra, hanno poi tanto risvoltiinternazionali quanto interni).

    La rilevanza attuale (cio proprio tipica del nostro tempo) deglistudi internazionali sta dunque nelloriginalit di problematiche le qualidevono affrontare la specificit di fenomeni che si svolgono su una scalatanto ampia e contraddistinta da tanti collegamenti da richiedere unaspecializzazione notevole per affrontarli; specializzazione che deve inoltremuovere dal presupposto certo di per s non molto incoraggiante, senon come sfida intellettuale che caratteristica dei problemi interna-zionali sia, per la loro natura, la difficolt, determinata non soltanto dallavastit della loro scala, ma piuttosto e prevalentemente dalla necessitdi affrontare lanalisi di dinamiche che appaiono il pi delle volte privedi strumenti di governo, e dunque sprovviste di immediata spiegazione.

    Un campo disciplinare siffatto contraddistinto da tanta intensittematica non esiste nel panorama culturale mondiale, n probabil-mente esister mai. La sua costituzione non rientra neppure nelle inten-

    zioni tacite di questa guida, la quale tuttavia mira pur sempre a qual-cosa di pi di una semplice fotografia di gruppo raffigurante storici,giuristi, economisti e politologi finalmente accomunati dallunit del lorooggetto (se non dallinteresse per i reciproci lavori cosa che certo non frequentissima nelle comunit accademiche). Questo lavoro ha obiet-tivi ad un tempo molto meno, e anche un po pi, ambiziosi. Molto meno:esibire correttamente limmenso lavoro infinitamente pi ricco, varioe approfondito di quanto ciascuno dei responsabili delle diverse sezionisi immaginasse allinizio compiuto nellambito delle quattro discipline

    (o loro gruppi: non abbiamo fatto distinzioni, ad esempio, tra studiosidi diritto internazionale pubblico e studiosi di organizzazione interna-zionale, e cos via; abbiamo fatto riferimento a grandi famiglie discipli-

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    Premessa 7

    nari): storia delle relazioni internazionali, diritto internazionale, economia

    internazionale, relazioni internazionali. Valutare criticamente comeciascuno dei quattro responsabili ha fatto, anche senza rifuggire, quandone il caso, dalle polemiche la produzione italiana, anche tenendoconto del grande divario che pu essersi verificato nellattenzione pre-stata ai diversi argomenti (raramente ci avviene in modo casuale). Co-struire in sostanza uno strumento di informazione e di consolidamentodi conoscenze finora estremamente frammentate e frammentarie (anchetra gli specialisti dei diversi campi: ciascuno di noi, nel corso del suolavoro, ha fatto delle scoperte!), che possa offrire (per la sua parte)

    la base per un pi generale bilancio della ricerca scientifica svoltasi negliultimi decenni nel nostro paese. Ciascuna delle quattro sezioni comprende,inoltre, una vera e propria storia della disciplina mai tentata primadora avendo per base un paio di decenni, ma senza rifuggire quan-dera il caso anche dalla preistoria.

    Ci che ha invece questo lavoro di pi ambizioso il desiderio diimporre lidea che la riflessione sugli eventi internazionali, la capacitdi collocarne le componenti al centro di analisi anche apparentementelontane da quelli, la creazione, in una parola, di una nuova e diversa

    sensibilit per questa oggi fondamentale dimensione della realt sia unpasso decisivo nella crescita culturale di una societ.

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    Capitolo primo

    Relazioni internazionaliLuigi Bonanate

    1. Le risorse della ricerca internazionalistica in Italia

    Se non possibile datare precisamente il momento in cui un genuinoe specialistico interesse per i rapporti internazionali si sviluppato inItalia, in ogni caso possibile limitare il periodo storico oggetto di questaricostruzione a partire dalla met degli anni Sessanta anche in consi-derazione del fatto che in quel periodo cadono due avvenimenti signifi-cativi ai fini del censimento delle risorse del campo: nel 1968 viene va-rata la riforma universitaria che ammette a pieno titolo la disciplina dellerelazioni internazionali nei curricula universitari; nel 1965 viene fondato

    lIstituto Affari Internazionali, un centro privato destinato ad avere unruolo rilevante nella promozione degli studi internazionali (come si vedrpi avanti). Assumendo questi due avvenimenti come emblematici, si tenuto conto altres della circostanza che essi sono anche indicativi delledue forme principali secondo cui si aggregheranno successivamente lerisorse: ricerca universitaria e centri di ricerca privati.

    Incominciamo dalla prima. Preceduta dallinsegnamento impartito daprofessori di diritto internazionale oppure di storia dei trattati (cos suc-cede a Torino, ad esempio, dove G. Cansacchi incaricato, secondo

    la formula di allora, di relazioni internazionali fino allanno accade-mico 1971-72, o a Cagliari dove G. Andr insegna nientemeno che teoriadelle relazioni internazionali, sempre per incarico), la disciplina dellerelazioni internazionali vede entrare successivamente in campo UmbertoGori, Antonio Papisca e Luigi Bonanate (Ennio Di Nolfo impartir peralcuni anni corsi di relazioni internazionali, ma con programmi piuttostostoriografici). Essi diventano professori di ruolo (vanno in cattedra,come si dice nel gergo accademico) nel 1975. A quei primi tre titolarisi associano (proprio nel senso giuridico della figura del professore as-

    sociato) nel 1980 Fulvio Attin (che era gi incaricato da alcuni anni)e Carlo M. Santoro. Nel 1985 si associa nella stessa disciplina FrancoA. Casadio, purtroppo scomparso nellestate 1989. Fino a tutto il 1989

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    esistono tre ricercatori di relazioni internazionali, di cui due confer-

    mati Giovanni Bressi e Giorgio Carnevali, pi uno non ancora confer-mato, Luciano Bozzo. Otto persone dunque!Anche escludendo che sia il numero a fare la forza, certo questo

    cos esiguo che non si stenta a percepire quanto ridotto sia stato finorail reclutamento accademico in questo settore ridotto e non ri-stretto, perch va onestamente riconosciuto che a tuttoggi hanno avutoriconosciuto uno status accademico tutti gli studiosi che lhanno deside-rato: come a dire che il mercato non ha prodotto pi di tanto! A talesconfortante bilancio va contrapposta una sola nota positiva, derivantedallintroduzione nelluniversit italiana del cosiddetto dottorato di ri-cerca, il quale svolger proprio una delle due funzioni naturali e prin-cipali delluniversit (nella sua anima di promozione scientifica): la for-mazione di nuovi studiosi nei diversi settori. Due dottorati hanno rile-vanza per la nostra disciplina: quello svolto presso lUniversit di Pa-dova (coordinato da A. Papista), dotato di tre posti per un corso trien-nale formalmente intitolato alle relazioni internazionali, e quello svoltoa Firenze (sede amministrativa, coordinatore Alberto Spreafico), dedi-cato alla scienza politica (composto dai tre curricula di scienza politica,scienza dellamministrazione, relazioni internazionali), dotato dapprimadi 7posti e poi di 6. Con la fine del 1987 sono stati licenziati due dottoridi ricerca in relazioni internazionali (pi uno ammessovi in quantoconcorrente esterno), e dei sette del primo ciclo di scienza politica, uno(lunico che avesse seguito il profilo internazionalistico). Altri due ciclidi dottorato sono attualmente in svolgimento, e si pu ipotizzare un tassodi sviluppo allincirca costante: non pi di cinque giovani studiosi al-lanno, dunque per i quali, va subito aggiunto, non esiste, ora comeora, alcuno sbocco accademico.

    Questo per quanto riguarda le forze intellettuali. Poco pi brillante

    il bilancio in rapporto allaccesso a risorse e finanziamenti in ambito uni-versitario. Fino allentrata in vigore della riforma universitaria del 1980(il D.P.R. n. 382) lunico canale di finanziamento per la ricerca era rap-presentato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, negli organi di con-sulenza del quale tuttavia non sedeva n un politologo n un internazio-nalista (il che non significa che fosse impossibile, ma certo non facilis-simo, ottenere finanziamenti). A partire dal 1980, e cio dallistituzionedei fondi per la ricerca (pi noti nel linguaggio accademico come i fondi40% e 60%, cos denominati in riferimento alla proporzione in cui

    lammontare totale destinato alla ricerca scientifica viene ripartito traprogetti a carattere nazionale interuniversitario e progetti a caratterelocale), laccesso ai fondi per la ricerca nettamente migliorato: mentre

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    Relazioni internazionali 11

    in pratica ogni titolare anno per armo ottiene finanziamenti locali (che

    finiscono per venir principalmente destinati ad acquisto di pubblicazioniscientifiche), a partire dal 1984 una prima ricerca nazionale stata im-postata sul Sistema della politica estera italiana (coordinata da L. Bo-nanate, coinvolgeva le universit di Torino, Firenze, Bologna e Catania);unaltra intestata a Sicurezza nazionale e sistema politico italiano (coor-dinata da C. M. Santoro, con le universit di Bologna, Milano e To-rino) iniziata nel 1986.

    Entrambe le ricerche hanno avuto accanto, ovviamente, al loroobbiettivi scientifici anche la tuttaltro che disprezzabile funzione dicostruire una comunit scientifica integrata e collaborativa. Ma con questeconsiderazioni si conclude gi la rassegna dei centri di elaborazione in-ternazionalistica accademica. Va aggiunto infine che almeno nelle sediuniversitarie che per prime hanno introdotto linsegnamento di relazioniinternazionali lo stato delle infrastrutture (in sostanza libri e periodiciscientifici) pi che accettabile, consentendo a chiunque di disporre insostanza delle stesse pubblicazioni con cui lavora, ad esempio, uno stu-dioso statunitense.

    A fronte della rigidit e anche delle ristrettezze ben note del pano-rama accademico, possibile tracciare un profilo, almeno a prima vista,ben pi ricco per quanto riguarda i centri di elaborazione privati, ivicomprendendo anche le iniziative di tipo editoriale. Qualche cautela vatuttavia subito espressa: se vero come si vedr che centri studie periodici non mancano (anzi, sono pi di quanto non ci si sarebbe aspet-tato), d non significa automaticamente che a tutti competa uno stessolivello scientifico o pi genericamente culturale. Incominciamo dai centri.Essi vanno in primo luogo distinti a seconda che emanino da istituzioniuniversitarie oppure che siano a pieno titolo privati. I primi sono ovvia-mente pochissimi: valgono per questi le considerazioni svolte per la ri-

    cerca universitaria in genere, e sono spessissimo legati allintraprendenzadel singolo studioso. Il finanziamento dei centri privati dipende sostan-zialmente dal mecenatismo proveniente da istituti di credito, impresepubbliche, grandi imprese private. I vari centri possono poi esser classi-ficati per sfera di interessi: accanto ad alcune istituzioni che intendonoaffrontare in generale i problemi internazionali, altre sono invece speci-ficamente rivolte alla politica estera italiana, allanalisi strategica, op-pure alla peace research, o ancora a tematiche regionali o settoriali. Inalcuni casi sarebbe possibile anche stabilire larea di inclinazione poli-

    tica sovente nel nostro paese i centri studi hanno funzioni non deltutto disinteressate ma si potrebbero rischiare identificazioni fretto-lose, e sar meglio trascurare questo dato (va anche ammesso che non

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    di tutte possibile dare notizie esaurienti: e questo pu rappresentare

    un valido, per quanto malizioso, indicatore!).1) Archivio disarmo: centro di documentazione sulla pace e sul con-trollo degli armamenti, costituitosi a Roma nel 1982. Dal 1984 pubblicaledizione italiana del World Armaments ami Disarmament Sipri Yearbook,presso leditore Dedalo di Bari.

    2) Associazione italiana studi di politica estera (Roma): pubblica ilperiodico Affari esteri, dal 1969.

    3) Centro di ricerca per la pace nel Mediterraneo (Catania): promossodal Dipartimento di analisi dei processi politici, sociali e istituzionalidellUniversit di Catania; si vale di contributi degli enti locali. Fon-dato nel 1987.

    4) Centro di studi europei: presso lUniversit di Padova.5) Centro studi e documentazioni internazionali (CESDI): opera a

    Torino, fornisce documentazioni e analisi, a livello professionale, peroperatori nei campi dellinformazione, dellindustria, delleconomia.

    6) Centro di studi e formazione sui diritti delluomo e dei popoli:presso lUniversit di Padova. Pubblica, dal 1987, il periodico Pace-dirittidelluomo-diritti dei popoli.

    7) Centro studi Manlio Brosio: opera a Torino e ha pubblicato dal1984 al 1986 la Rivista italiana di strategia globale.

    8) Centro per gli studi di politica estera e opinione pubblica: isti-tuito a Milano nel 1980 grazie a una convenzione tra Universit e Co-mune di Milano. Pubblica dei Quaderni, che sono veri e propri volumi,e una collana di Saggi italiani.

    9) Centro di studi strategici: presso la Libera universit internazio-nale degli studi sociali di Roma. Pubblica degli Occasionai Papers.

    10) Centro di studi sulle comunit europee: presso lUniversit diPadova.

    11) Centro studi di politica internazionale (CESPI): ha sede a Roma,ed promosso dal Partito Comunista Italiano.12) Forum per i problemi della pace e della guerra: promosso dal-

    lUniversit di Firenze in collaborazione con gli enti locali. Pubblica unacollana presso La Nuova Italia Scientifica, i Quaderni Forum (dedicatia rapporti di ricerca) e Forum informazioni. Promuove ricerche, convegni,seminari. Opera dal 1986.

    13) Istituto Affari Internazionali: fondato nel 1965. Pubblica, dal1969, prima i Quaderni e poi la Collana dello spettatore internazionale

    presso leditore II Mulino di Bologna, fino al 1980. Dal 1973 pubblicalannuario LItalia nella politica internazionale, fino al 1985 presso le Edi-zioni di Comunit, e quindi presso leditore Franco Angeli. Dal 1966

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    pubblica il bimestrale Lo spettatore internazionale, poi sospeso e ripreso

    nel 1984 in lingua inglese e con cadenza quadrimestrale (The Interna-tional Spectator). Diffonde tra i soci degli Occasionai Papers. Opera pre-valentemente come centro di promozione di ricerche.

    14) Istituto per la cooperazione politica, economica e culturale in-ternazionale (ICIPEC): Roma.

    15) Istituto per le relazioni tra lItalia e i paesi dellAfrica, America Latinae Medio Oriente (IPALMO): ha sede a Roma, e pubblica dal 1972 il mensilePolitica internazionale.

    16) Istituto di sociologia internazionale di Gorizia (ISIG): sviluppa, tra

    gli altri, temi legati al controllo degli armamenti, nellambito di unProgramma di politica e relazioni internazionali. Pubblica dei Quaderni, acircolazione limitata.

    17) Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI). Fondato aMilano nel 1933. Ha pubblicato dal 1936 fino al 1983 il settimanale Relazioniinternazionali e lAnnuario di politica internazionaledal 1951 al 1973. Si tratta dellaprima, e pi prestigiosa, istituzione italiana del settore. Dalla met degli anniSettanta incominci a declinare, fino alla pratica totale sospensione delle sueattivit allinizio degli anni Ottanta. Nel 1987, anche sotto legida delMinistero degli Affari Esteri, ha ripreso la sua attivit, organizzandoseminari e convegni. Dal 1988 ha ripreso la pubblicazione di Relazioniinternazionali, con cadenza trimestrale.

    18) Istituto studi e ricerche difesa (ISTRID): Roma. Pubblica quin-dicinalmente, come agenzia di stampa, Informazioni parlamentari difesa.

    19) Istituto universitario europeo: retto dalla collaborazione tra Uni-versit di Torino ed enti locali, svolge principalmente corsi di aggiorna-mento.

    20) Scuola di perfezionamento sui diritti delluomo e dei popoli: pressolUniversit di Padova, lunico corso di perfezionamento del genereesistente in Italia.

    21) Societ italiana per lorganizzazione internazionale (SIOI): fondatanel 1944, si vale del patrocinio del Ministero degli Affari Esteri, dal 1945pubblica il trimestrale La comunit internazionale; una collana di volumi diffusa dalla casa editrice CEDAM di Padova.

    22) Universit per la pace: un centro interdipartimentale di studi ericerche, costituito presso il Dipartimento di discipline storiche del-

    lUniversit di Bologna.23) Unione degli scienziati per il disarmo (USPID): raccoglie scienziatiappartenenti ai dipartimenti di Fisica di varie universit italiane.

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    Lunica altra sede di dibattito internazionalistico rappresentata da

    quei periodici che non sono direttamente legati alle istituzioni prima elen-cate: la Rivista di studi politici internazionali, diretta da G. Vedovato;Progetto pace, diretta da U. Gori; Giano, diretta da L. Cortesi ne sono treesempi. Esistono poi testate a diverso titolo riferibili alle istituzionimilitari del paese, come la Rivista militare, la Rivista marittima, Difesaoggi, le quali tuttavia non rientrano nellambito della circolazione deldibattito culturale, ma sviluppano problematiche specifiche delle diversearmi. Da alcuni anni a questa parte, infine, sempre pi frequente chescritti di relazioni internazionali vengano ospitati su periodici scienti-

    fici come Il Politico ,la Rivista italiana di scienza politica, Teoria politica,oppure su testate di cultura in generale, come Comunit, , Il Mulino, Bozze,Critica marxista, Democrazia e diritto, I problemi di Ulisse, testimoniando ilriconoscimento ottenuto dalla problematica internazionalistica.

    Un ultimo cenno va riferito a una delle forme di diffusione culturaleoggi pi sviluppate in Italia: lattivit convegnistica, nellambito dellaquale uno spazio sempre pi rilevante viene aperto alle tematiche inter-nazionalistiche, con speciale riferimento alle grandi questioni strategicheo allo sviluppo dellideale federalistico (non si citata tra le istituzioniattive nel settore il Movimento federalista europeo, con il suo periodicoIl federalista, per il connotato politico nel senso nobile della parola che possiede). Molto sovente lattivit convegnistica di questo tipo organizzata sotto legida degli enti locali. Ma la mappa delle risorse ri-volte a vario titolo nel nostro paese ai problemi internazionali non puandare disgiunta dalla non facile storia a cui ora ci si rivolger dellaformazione di una sensibilit internazionalistica.

    2. Le relazioni internazionali nella cultura italiana

    Le relazioni internazionali intese come quel settore della scienzapolitica che si rivolge ai rapporti politici che gli stati (e alcuni altri attori)intrattengono tra loro sono apparse sulla scena accademica italianaprima ancora che nella cultura italiana si fosse sviluppata una qualcheconsapevolezza dellutilit di una tale prospettiva ai fini della comprensionedella realt politica internazionale, contemporanea o del passato. Ancoraoggi, a ventanni dellinaugurazione del primo corso universitario direlazioni internazionali avvenuta a Firenze, presso la Facolt di

    Scienze politiche Cesare Alfieri, nellanno accademico 1968-69 (maeffettivamente il corso fu impartito da Umberto Gori a partire dal feb-braio 1969) non sempre facile per tutti comprendere quali diffe-

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    renze intercorrano tra uno studioso di relazioni internazionali, appunto,

    da un lato e un politologo dallaltro, o pi ancora uno studioso di dirittointernazionale o di storia diplomatica o dei trattati.Se ci pu seppure a malincuore esser considerato come una

    mera conseguenza di certo provincialismo italiano, le cose non stannoin modo tanto differente anche allinterno del mondo universitario, nelquale ancora sovente si verificano le stesse confusioni tanto che ci si do-vrebbe forse chiedere se davvero esistano consistenza e indipendenza peruna prospettiva disciplinare genuinamente internazionalistica. Una primaprova, a favore, e per quanto estrinseca, si deduce dallenorme diffusione

    che le relazioni internazionali hanno negli Stati Uniti (il paese che conosceil maggior sviluppo di tutte le discipline politologiche): la InternationalStudies Association ha migliaia di soci individuali, e i corsi di relazioni in-ternazionali impartiti ogni anno in quel paese sono diverse centinaia! Una se-conda prova ben pi importante rappresentata dalla crescente cen-tralit dei fatti politici internazionali, il che ha progressivamente, per quan-to lentamente, sviluppato una qualche attenzione verso il lavoro degli spe-cialisti delle relazioni internazionali ai quali finalmente si potr ricorrereper aver lumi sulle complesse vicende della politica internazionale.

    Con tutto ci, a tuttoggi non si pu n considerare conclusa lafase pionieristica della disciplina n verificare il suo consolidamentoattraverso linstaurazione di un meccanismo di riproduzione discipli-nare. Infatti si deve giungere al 1973 perch si contino quattro O) inse-gnamenti di relazioni internazionali e al 1975 perch tre di quei primiquattro corsi (impartiti per incarico annuale) vengano ammessi a pienotitolo nella comunit accademica con lassegnazione di tre cattedre (aitre stessi incaricati: Gori a Firenze, Papisca a Catania, Bonanate a To-rino). Ma se si guarda ad oggi, la situazione ben poco mutata, anche

    se quantitativamente si era giunti ad un raddoppiamento con lingressonella disciplina di Fulvio Attin, di Carlo M. Santoro (Bologna e, dal1987, supplente nella stessa materia a Milano), e di Franco Casadio(Salerno) .

    Quel che poi necessario mettere in rilievo che di questi titolari,la stragrande maggioranza (quattro) non ha potuto seguire per lov-vio motivo che non esistevano corsi di relazioni internazionali stu-di specialistici n laurearsi in una disciplina politologica (ci che hannoavuto finora lopportunit di fare i soli Bonanate e Attin). Dunque,

    chi nel corso del passato ventennio era interessato alla problematicapolitica internazionale era costretto a rifugiarsi, per via di mera vici-nanza, nel diritto internazionale o nellorganizzazione internazionale.

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    Non solo: a tuttoggi non esiste ancora un solo laureato in relazioni in-

    ternazionali (e ormai sono decine e decine) che sia entrato formalmentenel mondo universitario!Poich uno soltanto dei pochi ricercatori universitari laureato

    in relazioni internazionali, non ci si pu stupire che la comunit acca-demica e culturale nazionale non abbia ancora a pieno titolo accoltonel suo seno questa disciplina, alla luce del criterio, ragionevole, del-lattuale assenza di una catena di riproduzione culturale. difficileaccertarsene definitivamente (data la foresta immensa costituita daititoli delle discipline insegnate nelluniversit italiana), ma non si

    certo lontani dal vero quando si osserva che le relazioni internazionalisono una delle discipline pi piccole di tutto luniverso accademicoitaliano.

    Non sarebbe tuttavia corretto concludere da ci che dunque il pano-rama scientifico degli studi di relazioni internazionali compiuti in Italiasia fallimentare. Per quanto imbarazzante sia parlare di una storia dicui pur si fa parte, onesto come si cercher di illustrare nelle pa-gine seguenti dichiarare che, pur nellesiguit materiale di una pro-duzione scientifica affidata a cos poche mani, lo standard italiano nelcampo delle relazioni internazionali pu essere certamente affiancato al-meno a quello degli altri paesi europei1.

    Quali le cause storiche di tutto ci? Sono molte e ragionevoli. Laprima, sia in termini genetici sia concettuali, sta nella natura stessa dellacosa, cio di una disciplina che oggettivamente particolarmente com-plessa e di difficile accesso: la specializzazione in questo campo com-porta (sia ben chiaro che con ci non si vuoi cercare alcuna patente dinobilt) lapprofondimento di un ambito disciplinare che , per un verso,amplissimo se non sconfinato essendo ovviamente molto difficile af-frontare un qualsiasi argomento internazionalistico senza saperne do-minare gli inestricabili aspetti economici, politici, giuridici, strategici,ecc. ; e dallaltro estremamente sofisticato per quanto riguarda le tec-niche di analisi e i livelli di concettualizzazione scientifica. La inevita-bilmente pi scarsa abitudine ad affrontare tematiche politico-internazionali rispetto a quella che tutti abbiamo ad affrontare la realtpolitica dello stato in cui viviamo inoltre diminuisce la sensibilit e lapredisposizione verso le prime, venendo a favorire o privilegiare grandischematizzazioni che, per rendersi comprensibili e divulgabili, rischianosovente di sconfinare nellovvio se non nellideologico. Ancora pi deli-

    1 Cfr. ad esempio Lyons, 1982; Grader, 1988, per quanto riguarda i casi di francese e bri-tannico.

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    cato poi sempre su questo piano il rapporto che si instaura tra in-

    formazione quotidiana e riflessione scientifica, tra analisi dellattualite produzione di modelli di analisi. Gli eventi internazionalmente rile-vanti tendono a essere oggetto di grandi titoli sui quotidiani, cosicchla loro evidenziazione ne consuma immediatamente la portata e la ca-scata di conseguenze che spesso ricchissima, ma certo meno clamorosae suggestiva per lopinione pubblica. Ne risulta una ricerca di sempli-cit che sconfina sovente nelleccesso di semplificazione, a tutto scapitodellapprofondimento e del disvelamento del significato dei singoli av-venimenti.

    Il secondo ordine di impedimenti allo sviluppo pi in Italia chenegli altri paesi rappresentato dalla preponderanza di tradizioni cul-turali che hanno sia pur involontariamente (ma forse non sempre) schiac-ciato lo sviluppo autonomo delle relazioni internazionali. Diritto inter-nazionale e storia diplomatica (o, come pi tradizionalmente si dice, osi diceva, storia dei trattati) appartengono a famiglie culturali e accade-miche ben pi affermate e solide che comprendendo al loro internolanalisi di elementi di internazionalit hanno a lungo dominato lam-bito degli studi e lo sviluppo delle loro direzioni a favore delle prospet-

    tive storiografica e giuridica, il che naturalmente corretto e compren-sibile, ma non poteva tuttavia non andare a discapito dello sviluppo diun approccio politologico alla stessa realt. Cos essendo da un latolo storicismo crociano e dallaltro la scuola giuridica italiana cos seguitee diffuse nel paese lemergenza delle relazioni internazionali ha finitoper essere il risultato di una specie di guerra di lunga durata o di guerradi indipendenza disciplinare combattuta (sia pure senza spargimento disangue!) tra storici e giuristi da una parte e internazionalisti dallaltra.

    Un terzo ordine di problemi andr infine individuato nella difficolt

    incontrata anche allinterno del raggruppamento politologico per otte-nerne un riconoscimento di legittimit: bench in astratto nessuno con-testi che le tre ripartizioni classiche della disciplina siano la scienza po-litica (strettamente intesa: cio in quanto analisi della politica interna),la scienza dellamministrazione e le relazioni internazionali2, la pi

    2 E una prova per quanto estrinseca di ci diedero le Edizioni del Mulino di Bolognaquando, inaugurando la sezione intestata ai Fondamenti della scienza politica della collana Lanuova scienza, dedicarono i primi volumi alla Introduzione alla scienza politica di R. Dahl (1967),

    a La pubblica amministrazione di F. Heady (1968), e a Le relazioni internazionali di K.W.Deutsch (1970). Considerazioni in gran parte analoghe a quelle qui svolte, ma pi polemiche,faceva Papisca (1984) nel motivare le cause dellarretratezza italiana, anche se con particolareriguardo al settore dellintegrazione europea.

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    scarsa propensione per la ricerca empirica che contraddistingue queste

    ultime ha finito per collocarle sovente ai margini della comunit polito-logica, quasi sospingendole verso i lidi della filosofia politica oppure nellapiccola per quanto abitata da pi coinquilini isola della teoria poli-tica, altro ambito problematico in Italia scarsamente coltivato in quantotale (tant vero che non esiste alcun titolare di una cattedra con talenome in Italia, cosa che invece frequentemente si verifica allestero).

    Un ulteriore elemento va aggiunto al quadro: linevitabile periodo diacritica accettazione del primato statunitense nella teoria delle relazioni in-ternazionali ovviamente non ha che aumentato la lentezza della creazione

    non tanto di unidentit nazionale (il che sarebbe fin ridicolo in una disci-plina internazionalistica!) quanto piuttosto di una tematica originalmenteprodotta a partire delle esigenze conoscitive specifiche di chi opera nel no-stro paese. Se la centralit statunitense nella politica mondiale maturatain particolare dopo il secondo conflitto mondiale era naturalmente labase a partire dalla quale gli studi internazionalistici ottennero in quelpaese finanziamenti, risorse e interesse, lo stesso e con segno contrario si potrebbe forse dire dellItalia che, a causa della sua assoluta margina-lit internazionale (o della sua politica estera di basso profilo3) incon-

    trerebbe cos grandi difficolt nello sviluppo della disciplina scientifica chedi quella dovrebbe occuparsi. Per dirla con le parole di uno dei politologiitaliani che hanno sempre mostrato grande interesse e sensibilit per le re-lazioni internazionali, tanto pi dinamica la politica estera di uno stato,tanto pi ampia sar probabilmente la domanda di studiosi e di operatoriinternazionali e di conseguenza tanto pi grande tender a essere anchelofferta (Pasquino, 1977, p. 27).

    Pu anche darsi che questa specie di legge economica sia sufficientea giustificare larretratezza italiana in questi studi; ma la sua applicazione

    comparativa lascia qualche perplessit: la Gran Bretagna a lungomassima potenza mondiale o la Francia che ha avuto a sua voltauna tradizione imperiale di tutto rispetto dovrebbero allora so-pravanzare di gran lunga il livello scientifico italiano, mentre le cose nonstanno cos. Entrambi i paesi hanno avuto e hanno cultori di grande li-vello, ma non incomparabili a quelli italiani o tedeschi (per ricordare unaltro paese a lungo senza politica estera). La ragione di tutto ci vaquindi piuttosto ricercata in aspetti culturali profondi e nazionali come si vede se si cerca di applicare la legge di Pasquino in modoanalogo, allanalisi della politica interna: lo sviluppo degli studi polito-

    3 Per l'uso di questo formula, del resto estremamente frequente nell'analisi della politicaestera italiana, si veda il paragrafo 6, pi avanti.

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    logici italiani certo ben pi tardo e lento che quello statunitense, ma

    non si potrebbe certo da ci dedurre che la vita politica italiana menointensa o meno ricca che quella statunitense (anzi!).

    3. La via italiana alle relazioni internazionali

    Se da un lato si deve riconoscere la lentezza con cui una cultura in-ternazionalistica si fatta strada nei paesi europei, dallaltra non si pudisconoscere che in tutti questi la situazione si progressivamente e sen-sibilmente modificata anche se va tenuto sempre ben presente che

    ogni studioso europeo continua a considerarsi interlocutore del collegastatunitense e non degli altri europei (il che equivale quindi a ribadire ilprimato scientifico della ricerca americana). Per quanto riguarda spe-cificamente il caso italiano non difficile distinguere, nella sua pur brevestoria, il succedersi fondamentalmente di due fasi: la prima, durata dal1969 alla fine degli anni Settanta (a voler essere precisi, si potrebbe da-tare la fine di questa prima fase al 1976, per il motivo che tra poco sidir); la seconda, che giunge fino al 1987, anno che andr consideratonon esclusivamente il punto darrivo cronologico, ma anche quello del-

    lavvio di una terza, nascente, fase.Ma come in tutte le storie che si rispettano anche questa haun antefatto, o una preistoria, a cui ora necessario far posto. La pro-va, infatti, della dipendenza generale degli studi internazionalistici ita-liani rispetto a quelli statunitensi si trova addirittura in anni precedentia quelli ricordati: infatti gi nel 1962 che la casa editrice Il Mulinoinizia a pubblicare la traduzione di una serie di volumi (di grande inte-resse) dedicati ai problemi degli armamenti, o pi correttamente allafondazione degli studi strategici in quanto scienza politica. Escono

    cos il libro di Schelling e Halperin, Strategia e controllo degli armamenti,quello di H. Bull, Controllo e disarmo nellet dei missili, e quello curatoda Brennan, Controllo degli armamenti, disarmo e sicurezza nazionale(ancora un altro seguir lanno successivo: La riduzione degli armamentidi D. Frisch), ai quali tocca il compito di impostare e orientare i ter-mini del dibattito destinato a un grandissimo sviluppo, sia in Ita-lia sia altrove sul ruolo che gli armamenti (specie nella loro va-riet nucleare) sono chiamati a giocare nella vita politica internazio-nale, e dunque anche nella teoria delle relazioni internazionali4.

    4 appena il caso di ricordare limportanza che tale dibattito assume periodica. mente - speciein riferimento alla sicurezza europea - come mostra anche laccordo raggiunto 18 dicembre 1987 traStati Uniti e Unione Sovietica per leliminazione dei missili intermedi (gli euromissili).

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    E la verifica che quella scelta editoriale non poteva non influire sui primi

    passi della disciplina italiana rappresentata proprio dal fatto che unodei primissimi lavori di teoria delle relazioni internazionali pubblicatiin Italia dedicato in larga misura al posto che gli armamenti (e in par-ticolare la bomba atomica, con la sua minaccia) occupano nella politicainternazionale (Bonanate, 1971).

    3.1. La prima fase (1969-1976)

    Il tratto che contraddistingue i primissimi lavori di Umberto Gorie Antonio Papisca, i due senior researcbers italiani, indubbiamente quellolasciato dalla loro provenienza da studi giuridici orientati verso i pro-blemi dellorganizzazione internazionale (cfr. Gori, 1968; Papisca, 1969).Non a caso essi dedicano i loro primi scritti di ampio respiro (il saggiodi Gori di 85 pagine e quello di Papisca un libro) allevoluzionedellorganizzazione internazionale dalla Societ delle Nazioni allONU,il primo, e al ruolo dellONU nelle consultazioni popolari, il secondo.Ma accanto a questi primi scritti (pre-politologici!), Gori incomincia

    a pubblicare su Futuribili (un periodico che si rif allimpostazione pro-posta da Bertrand de Jouvenel) una serie di brevi articoli che possonoa buon diritto essere considerati come le prime prove italiane nel terri-torio delle relazioni internazionali strettamente intese: vi si parla di pre-visione, di teoria dei sistemi, di modelli (Gori, 1969b; 1969c; 1970a),tre tematiche destinate ad andare incontro a fecondissimi sviluppi. Essioffrono anche lindicazione di quella che sar, almeno in questo primoperiodo, la problematica particolarmente sviluppata da Gori: quella dellametodologia generale delle relazioni internazionali, alla ricerca del loro

    fondamento epistemologico, del procedimento per la costruzione delleteorie (empiriche, derivate cio dai fatti e sui fatti controllabili; Gori,1973b, p. 37), della tecnica per lanalisi della politica estera (Gori,1973a). Come gli sviluppi ulteriori della produzione di Gori mostre-ranno, sar proprio ancora sulle stesse linee a cui andr ad aggiun-gersi il filone di ricerca sulla pace che egli orienter le sue ricerchemaggiori.

    Ma una volta ricordato che sempre nel 1969 esce un altro deiprimi articoli di relazioni internazionali, quello del laico Gianfranco

    Pasquino (Pasquino, 1969), che tuttavia prevalentemente dedicato aillustrare i termini di una grande disputa metodologica sviluppatasi negliStati Uniti e che in Italia non ha ancora materia prima perch vi si

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    trapianti5 bisogna concentrarsi sullanno 1973, il quale pu a buon

    diritto esser considerato quello della nascita ufficiale delle relazioni in-ternazionali in Italia. Per coincidenza sono pubblicati infatti in quel-lanno quelli che possono esser giudicati (anche per il loro respiro) i primitre libri a pieno titolo internazionalistici. Tutti e tre sono ciascuno amodo suo introduttivi; analoghi dunque, ma tanto diversi da potersiintegrare reciprocamente invece che sovrapporre (Bonanate, 1973c; Gori1973a; 1973b; Papisca, 1973).

    LIntroduzione allo studio delle relazioni internazionali di Antonio Pa-pisca (che sistematizza le dispense dei corsi gi impartiti presso lUni-

    versit di Catania a partire dallanno accademico 1970-71) appare, al-meno per la variet dei temi trattati, quello di pi ampio respiro. Nellasua prima met affronta problemi metodologici, quali la delimitazionedel campo dindagine della disciplina, la giustificazione della sua scien-tificit e quindi neutralit, gli approcci e le tecniche di ricerca disponi-bili. La seconda parte verte sul sistema internazionale, di per s assuntocome campo specifico dellanalisi, allinterno del quale cio opererannogli attori internazionali pi diversi (dai singoli stati alle multinazio-nali, ai sindacati, agli organismi sovra-nazionali, ecc.), i quali obbedi-scono a un insieme di condizioni strutturali, riassunte attraverso la lo-gica dei modelli di sistema (mutuata prevalentemente dallimpostazioneclassica di Kaplan, 1957).

    I due principali contributi di Gori al volume Relazioni internazionali.Metodi e tecniche di analisi (in parte proveniente, come ricordato nellaPremessa di Giovanni Sartori, da un seminario svolto in collaborazionecon lIstituto diplomatico e con la Societ italiana per lorganizzazioneinternazionale) sono meno sistematici, ma si pongono a un livello di ela-borazione gi pi maturo o consapevole delle capacit della nuova di-sciplina: nel capitolo dedicato ai recenti sviluppi nello studio delle rela-zioni internazionali (Gori, 1973b), si accostano ai riferimenti canonicisulle questioni epistemologiche indicazioni sul procedimento rivolto allacostruzione delle teorie, sulle potenzialit racchiuse nellappena svilup-patasi analisi quantitativa, sulla querellemetodologica che in conseguenzadei recenti sviluppi disciplinari contrappone metodo classico e metodoscientifico quasi che il pubblico al quale Gori intende rivolgersi siaquello della nascente comunit scientifica italiana piuttosto che degli stu-denti dei primi corsi di relazioni internazionali. Considerazioni analoghe

    Si trattava della polemica aperta dal saggio di H. Bull (1966), in cui si mettevano in di-scussione i meriti dellallora trionfante approccio scientifico-quantitativo nellanalisi inter-nazionalistica.

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    valgono per laltro capitolo contenuto nello stesso volume (Gori, 1973a),

    nel quale il riferimento invece ai policy-makers italiani che egli cercadi indirizzare verso unelaborazione della politica estera nazionale tec-nicamente pi sofisticata.

    LIntroduzione allanalisi politica internazionale di Luigi Bonanate di nuovo rivolta agli studenti pi che agli studiosi, ma obbedisce a unprogetto certo pi ambizioso (altra cosa valutare se i risultati corri-spondano alle intenzioni): la fondazione originale di una metodologiadella disciplina che, pur rientrando fondamentalmente nel solco dellatradizione statunitense, la integri con la consapevolezza dellinscindibi-

    lit delle relazioni internazionali dal pi ampio mondo della politica toutcourt, lo studio della quale richiede a sua volta il riferimento non esclu-sivamente a problemi empirici bens anche teoretici e filosofici. A diffe-renza degli altri due lavori, questultimo si chiude con la proposta diun modello di analisi che, pur senza rinunciare alla neutralit scienti-fica, mira a sviluppare unipotesi interpretativa, che non pu per na-tura che esser considerata soltanto come unaspiegazione possibile, enon il risultato di una continua accumulazione di dati. Anche in questocaso come in quello di Papisca la scelta operativa cade sulla teoricadel sistema internazionale, del quale si propone di individuare il sistemadi ipotesi (ne vengono indicate cinque, che sono tra loro gerarchicamentecollegate) che ne regge il funzionamento e che quindi mira a spiegarlo.

    Se con le note precedenti si dato conto di quello che potrebbe esserconsiderato il corpus ufficiale che d vita alla disciplina delle relazioniinternazionali, non si dovr da ci concludere che nessun altro primao nello stesso periodo si sia occupato in Italia di tematiche interna-zionalistiche. Va cos ricordato almeno a titolo di esempio che stu-diosi provenienti dal diritto internazionale o dalla storia delle relazioniinternazionali pubblicarono tra la fine degli anni Sessanta e i primi anniSettanta corsi universitari esplicitamente intestati alle relazioni inter-nazionali. Giorgio Cansacchi ripubblica nel 1972, con il titolo I principiinformatori delle relazioni internazionali, le lezioni prima note come Storiadei trattati e politica internazionale, alle quali nella nuova versione pre-mette alcune pagine introduttive dedicate alla nuova disciplina (che egliconsidera alquanto generica sia per quanto attiene allindirizzo generale diricerca sia per quanto riguarda le dubbiosit che si profilano inordine ai metodi di indagine )6. Di tuttaltro respiro specie perquanto riguarda la valutazione sulla legittimit dellapproccio politolo-

    6 I due testi (Cansacchi, 1965; 1972) si scambiano titolo e sottotitolo. Il contenuto so-stanzialmente invariato. I riferimenti testuali sono a p. 3 e a p. 4 di Cansacchi, 1972.

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    gico alle relazioni internazionali sono le dispense dei corsi tenuti al-

    lUniversit di Padova da Ennio Di Nolfo tra il 1970 e il 1976 (nel 1977egli sar titolare di relazioni internazionali presso la Libera universitinternazionale degli studi sociali) significativamente intitolate Per unateoria empirica delle relazioni internazionali.

    Se per quanto ciascuno dal suo punto di vista professionale e cul-turale Cansacchi e Di Nolfo accentuano ben pi di quanto non fa-rebbe un politologo la funzione esplicativa dellanalisi storiografica, moltialtri interventi sul terreno internazionalistico si verificano nello stessoperiodo anche in ambito non accademico specialmente nel settore

    degli studi strategici, o pi in generale della sicurezza internazionale.Questi si vedano ad esempio i lavori di Aliboni, Calogero, Devoto,Merlini, Silvestri si pongono a un livello intermedio tra nformazonee analisi, e hanno il merito di discutere la politica ufficiale del nostropaese in questa materia centrando le loro analisi sul prodotto di ricercheinvece che di valutazioni partitiche (significativamente lIstituto AffariInternazionali il primo centro di ricerca non universitario fondato inItalia su temi internazionali che assomigli ad analoghe e ben pi annoseistituzioni anglosassoni inaugura la sua attivit nel 1965).

    3.2. Il 1976

    La ragione che pu consigliare di segnalare il 1976 come svolta neglistudi internazionalistici italiani dipende in primo luogo dallavvenutoconsolidamento accademico delle relazioni internazionali, in seguito al-lassegnazione delle prime tre cattedre nellambito del concorso per pro-fessori di ruolo nel settore della scienza politica conclusosi nellautunno1975 (i tre vincitori sono Gori, Papisca e Bonanate). Accanto a ci va

    ricordato che nel 1976 viene pubblicata in Italia la prima antologia intesaa presentare al pubblico italiano limpostazione della ricerca inter-nazionalistica di matrice statunitense, la quale resta in ogni caso il puntodi riferimento culturale. Ne Il sistema delle relazioni internazionali (1976,a cura di L. Bonanate) sono tradotti nove saggi giudicati particolarmenterappresentativi ed emblematici delle diverse direzioni di ricerca dalproblema dei livelli analitici a quello della definizione del concetto disistema; dai modelli sulla logica polaristica alle cause dellarretratezzadella politica internazionale rispetto a quella interna; dal rapporto tra

    politica e diritto allimpostazione dellanalisi dei collegamenti tra in-terno ed esterno. In tutti i saggi prevale lelemento metodologico,lattenzione per il quale giudicata per quanto con diverse conside-

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    razioni critiche fondamentale nella nascente riflessione italiana. Va

    messo in evidenza specie a titolo di promemoria rispetto alle osser-vazioni che si svolgeranno pi avanti il carattere del tutto teorico deinove scritti scelti, quasi che la politica internazionale sia una materiaastratta e del tutto priva di contatti con la realt, ci che in effetti sa-rebbe ovviamente falso. Quel che con tale scelta piuttosto si mirava adargomentare era la natura effettivamente teoretica delle relazioni inter-nazionali in quanto disciplina, rivolte cio alla costruzione di modelliinterpretativi che prima ancora che adatti alla sperimentazione, incorpore vili, nellattualit politica internazionale siano dotati delle cre-

    denziali scientifiche che vengono pi facilmente riconosciute ai programmidi ricerca contraddistinti da un autonomo e originale apparato metodo-logico e teorico.

    Sempre nello stesso anno si manifesta il primo segno della continuitprofessionale, con la pubblicazione del primo libro di un allievo. Sitratta de I conflitti internazionali (Attin, 1976), che un tentativo dipresentare alla cultura italiana gli interessanti e fecondi risultati di unodei settori di ricerca pi attivi e vivaci negli Stati Uniti: la ricerca quan-titativa, che ha alla sua base i pionieristici lavori di Q. Wright, L. Ri-

    chardson, D. Singer. Va segnalato a questo proposito che il libro vienepubblicato in quella che era allora la prima (ed rimasta tuttora lunica)collana editoriale dedicata espressamente alle relazioni internazionali7.

    Contraddistingue ancora il 1976 il fatto che nella primavera di quel-lanno viene organizzata a cura dellIstituto di studi nordamericanidi Bologna una tavola rotonda dal titolo Linsegnamento e la teoriadelle relazioni internazionali negli Stati Uniti e in Italia (AA.VV., 1977),che rappresenta la prima occasione in assoluto in cui in Italia un gruppodi studiosi discute sui primi passi della neonata disciplina. Il seminario

    comprendeva le relazioni di E. Krippendorff, E. Di Nolfo, G. Pasquino,L. Bonanate, A. Papisca, R. Strassoldo, F. Attin (parteciparono al di-battito anche G. Calchi Novati, P. Calzini, A. Gentili, U. Gori, G. Kauf-mann, A. Panebianco, J. Petersen, S. Pistone). Il taglio degli interventi fondazionale: si va cos dalla ricostruzione storica della disciplina aidubbi sulla consistenza della politica estera italiana, dallutilit della di-sciplina ai fini della comprensione della realt internazionale ai problemi diimpianto che essa deve affrontare, dalla individuazione di una so-

    7 Si tratta della collana Scienza politica e relazioni internazionali, diretta da U. Gori, per leditoreFranco Angeli di Milano. F. Attin aveva gi pubblicato diversi saggi, di minor respiro, negli anniprecedenti, alcuni dei quali ancora in collaborazione conGori. Cfr. Attin, 1973a; 1973b.

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    decidere di darsi un parlamento elettivo i problemi dellintegrazione

    europea, e poi inaugurando un sotto-settore del tutto nuovo nella no-stra cultura, quello dellintegrazione non governativa, con riferimentocio a tutti quei fenomeni transnazionali sociali che potrebbero favorirela democratizzazione della vita politica internazionale. Bonanate infinesembr da allora accantonare il prevalente interesse per lanalisi strate-gica della guerra (bench continuasse a scrivere anche di ci)9 a favoredi quella rivolta alla natura dellambiente (il sistema internazionale)del quale la guerra continua a essere la regina, affidando a ci spintodagli sviluppi dellattualit il proseguimento della sua ricerca sulla

    violenza alla dimensione del terrorismo internazionale.Anche se le risorse personali e intellettuali entrate nel campo interna-zionalistico dopo il 1976 non modificano drasticamente la situazione, indubbio che dopo questa data il ventaglio di interessi si allarga tantoda portare la ricerca italiana su standard pi simili a quelli statunitensi,a riprova di un generale svecchiamento o di un recupero della culturaitaliana nei confronti dei grandi temi dibattuti nel mondo. Lo testimoniail fatto che gli ambiti che incontrano laccelerazione maggiore sono quellidellanalisi della politica estera forse in corrispondenza di una nuova

    (o ritrovata?) intraprendenza italiana sulla scena internazionale edella riflessione sui problemi della sicurezza, che toccano da vicino ancheil nostro paese, tanto pi dopo che la famosa decisione sullinstallazionedei cosiddetti euromissili presa nel dicembre 1979 comport la lorolocalizzazione (per quanto riguardava lItalia) nella base di Comiso. Maanche un altro elemento pu esser considerato come un segno di avve-nuta integrazione della nostra cultura nel dibattito internazionale: la ri-presa della discussione sulle dimensioni etiche dei problemi internazio-nali, che era stata fino ad allora oggetto quasi esclusivo della riflessione

    di Norberto Bobbio (Bobbio, 1962; 1965; 1966). Ed ecco cosi attiratisul terreno della responsabilit etico-civile di fronte allo sviluppo dellearmi di distruzione totale romanzieri come Carlo Cassola (Cassola, 1976a;1976b; 1978); storici come Luigi Cortesi (Cortesi, 1984; 1985a; 1985b);filosofi come Carlo A. Viano (Viano, in Baroncelli e Pasini, 1987)10. As-

    9 Cfr. ad esempio Bonanate, 1979a.10 Queste indicazioni non sono che emblematiche di una ben pi vasta attenzione. Cos, si

    ricorder - sempre soltanto come esempio - che anche Elsa Morante si interrog sui Pro e

    contro la bomba atomica, in una conferenza del 1965, pubblicata nel 1987; e che in tuttaltroambito una rivista come Problemi del socialismo dedica nei 1984 due interi fascicoli ai problemidella guerra e della pace, contribuendo cos a colmare una lacuna tradizionale della sinistraitaliana, la troppo sovente scarsa attenzione ai problemi internazionali.

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    sume addirittura le vesti di un vero e proprio movimento dopinione

    lo sviluppo del dibattito che si apre sulla responsabilit morale degli scien-ziati e che dar vita anche allUnione degli scienziati per il disarmo(USPID), la quale ha la benemerenza di aver avviato (in collaborazionecon lArchivio disarmo) la pubblicazione italiana del pi importante an-nuario internazionale sulla situazione degli armamenti nel mondo11.

    Il decennio che va dal 1977 ai 1987 pu in sostanza esser definitocome lepoca della presa di coscienza della problematica internazionali-stica e pi ancora dello sviluppo di un pluralismo che tanto scientificoquanto civile, che spinge al dialogo e allinterscambio studiosi e movi-

    menti di opinione, sia a carattere politico sia a carattere etico. Alla scarsainformazione fino ad allora disponibile specialmente per quanto ri-guarda la realt degli armamenti e la dimensione della valutazione etica(specialmente da parte dei gruppi cristiani) si sostituisce un massicciointervento editoriale che colma il divario di conoscenze patito dalla pub-blica opinione italiana fino ad allora, anche in conseguenza di un lentoe tardivo riconoscimento da parte dei partiti politici italiani dellimpor-tanza di tali problematiche. Si sviluppa cos anche in questo settore ilfenomeno tipico del nostro paese del chierico vagante che viene

    chiamato a tenere conferenze, seminari, dibattiti in ogni parte del paesee per ogni tipo di pubblico sui temi della pace, della sicurezza, del disarmo.Come reagisce la professione internazionalistica a questa ventata

    nuova? In primo luogo, con un sia pur minimo allargamento del suo re-clutamento: accanto a Fulvio Attin (associato di relazioni internazionalia Catania) entra nel settore Carlo M. Santoro (che si associa nella stessamateria allUniversit di Bologna) il quale, provenendo dalla carrieradiplomatica e da precedenti interessi concentrati piuttosto sulla di-mensione delleconomia internazionale converge verso la tematica poli-

    tologica, sia presentando in Italia una raccolta di studi statunitensi suidiversi aspetti della politica estera della massima potenza mondiale, siapresentando la traduzione di un importante volume di S. Hoffmann,ancora dedicato a un bilancio critico della politica estera statunitense12.Attin, a sua volta, si propone specialmente con La politica interna-zionale contemporanea (Attin, 1982a) di offrire un panorama generaledella storia internazionale del nostro tempo interpretandola alla lucedegli strumenti di analisi politologici. Su una linea che non si discosta

    11 Si tratta del World Armaments and Disarmament Sipri Yearbook, nato nel 1968, che dal1984 pubblicato anche in edizione italiana da Dedalo, Bari.12 Si tratta di Santoro (1978a) e di S. Hoffmann, 1979. Si pu osservare fin dora che la

    politica statunitense rester linteresse prevalente di Santoro: cfr. Santoro, 1984a; 1986b.

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    molto da queste si muove, almeno ai suoi inizi, lunico ricercatore di

    ruolo effettivamente operante nelle relazioni internazionali, Giorgio Car-nevali, con la sua analisi della categoria di interdipendenza (Carnevali,1982a) e con uno dei primi approcci allanalisi della politica estera deipartiti politici (Carnevali, 1982b). Un ulteriore cenno, a questo propo-sito, richiede linaugurazione a partire dal 1983, di un corso di dotto-rato in relazioni internazionali (coordinato allUniversit di Padova daPapisca) e di uno di scienza politica (coordinato a Firenze da AlbertoSpreafico), ai quali affidato il reclutamento di nuovi studiosi.

    La maggior ricchezza di forze intellettuali e di pubblicazioni cos ac-cumulata si presta a una qualche sistematizzazione per correnti,scuole, valutazioni, cos come per la ben pi solida professione statuni-tense si provarono a fare, alcuni anni fa, Alker e Biersteker (1984)? In-dividuando principalmente tre approcci allanalisi internazionale, essivi raccolsero intorno i nomi dei principali rappresentanti di ogni indi-rizzo, realizzando quella specie di archeologia delle relazioni interna-zionali che evocano nel loro titolo. I tre approcci sono: 1) quello tradi-zionale, che raccoglie al suo interno il pensiero realistico come quelloidealistico; 2) quello comportamentistico, che fa spazio sia ai neo-realistisia allinternazionalismo liberale; 3) quello dialettico, che si rivolge tantoai problemi della dependencia quanto agli sviluppi dellinternazionalismoproletario (Alker e Biersteker, 1984, p. 130). Proiettando questa tripar-tizione sul caso italiano una prima constatazione si impone: difficilis-simo stabilire perentoriamente laffiliazione degli studiosi italiani allediverse scuole (il che potrebbe in prima battuta essere spiegato nei ter-mini di un loro eventuale eclettismo, tuttaltro che incomprensibile oingiustificabile data larretratezza italiana nella disciplina). Ma sarebbeforse pi preciso argomentare che i criteri distintivi che pur ci sono potrebbero esser pi perspicuamente ritrovati se ci si muovesse nella

    direzione che va dalle tematiche scelte alla ricerca dellapproccio con cuisono state affrontate, piuttosto che al contrario (come invece sembrafacciano Alker e Biersteker). Potremo cos, in prima approssimazione,individuare alcuni grandi campi di ricerca, lasciando da parte ora ogniriferimento a tematiche di tipo metodologico, le quali ovviamente ser-viranno appunto per cogliere gli approcci caratteristici di ciascuno. Il primo almeno per le dimensioni rappresentato dal sistema inter-nazionale, considerato non tanto come il pi ampio dei cerchi concen-trici che contengono la realt politica, quanto come arena ideale della

    politica internazionale: gli altri sono la politica estera, sia del singolostato sia nel suo intreccio con quella degli altri stati; lintegrazione,in quanto fattore di pace, in primo luogo, e come movimento capace

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    di incidere sulla natura stessa della vita internazionale; la sicurezza in-

    ternazionale, comprensiva della problematica strategica pura nonchdei problemi empirici cui la ricerca di sicurezza (o la sua perdita) d vita.Come si distribuiscono i contributi italiani allo studio di questi pro-

    blemi, nelle quattro sezioni individuate? Se il primo dei criteri di Alkere Biersteker che risente delle polemiche, ormai un po superate, diuna fase iniziale della disciplina viene corretto con quello che si pudefinire un approccio teoretico, inteso come riferimento costante aun sistema interpretativo generale (rientri poi esso nel modo di proce-dere tipico dellidealista o del realista una questione successiva), eccoche la loro proposta pu essere applicata anche al nostro caso. Vedremocos che la problematica del sistema internazionale affrontata da Bo-nanate in modo prevalentemente teoretico, da Attin in modo compor-tamentistico e da Carnevali in modo dialettico. Il livello della politicaestera sar oggetto principalmente di analisi comportamentistiche com-piute da Gori e da Santoro. La problematica dellintegrazione sar af-frontata da Gori in termini teoretici, da Papisca sia in termini teoreticisia in termini comportamentistici e da Carnevali ancora in modo com-portamentistico. La sicurezza internazionale infine sar oggetto teore-tico per Bonanate, comportamentistico per Santoro e per la maggior partedegli studiosi non accademici (dei quali si parler pi avanti); a questaproblematica si accosteranno infine in termini dialettici i lavori che ema-nano in qualche modo dalle attivit dei movimenti culturali impegnatinella trasformazione della societ.

    Pur non potendosi sopravvalutare il valore essenzialmente impres-sionistico di questa catalogazione, non di meno emerge in modo abba-stanza chiaro la prevalenza dei primi due approcci rispetto al terzo, lasuperiorit (quantitativa) del secondo sul primo, lincapacit attuale dicoprire esaurientemente tutte e dodici le combinazioni possibili (quattro

    restano del tutto scoperte). Essa consente comunque di scattare una fo-tografia di gruppo sufficientemente approssimata allo stato della ricercainternazionalistica fino agli anni pi vicini a noi, anche se altri giovanistudiosi pi recentemente stanno facendo il loro ingresso sulla scena (comeLuciano Bozzo ricercatore a Firenze in relazioni internazionali, GabrielePatrizio, Susanna Bacci, Marco Cesa e Walter Coralluzzo, dottori diricerca, e Pierangelo Isernia e Fabio Armao dottorandi).

    Svolge, ancora una volta, la funzione di cerniera una nuova anto-logia, Teoria e analisi nelle relazioni internazionali, curata da Bonanate

    e Santoro (1986), la quale si segnala, in primo luogo, per lallargamentodella prospettiva: non pi soltanto la presentazione di lavori di impo-stazione generale, ma anche introduzioni allanalisi empirica (come mo-

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    tifica della politica, estera italiana, ad esempio, da una che tale non ?

    Soltanto lassenza o la presenza di un esplicito ricorso a giudizi di valore,o ideologici, la volont interpretativa della prima contro la meradescrittivit della seconda? Ma forse che unanalisi descrittiva vale menoche una interpretativa, la quale a sua volta proprio per questo suo in-tento pu rivelarsi meno utile o accettabile? La portata di queste do-mande va ben al di l ovvio del nostro attuale problema, riguar-dando in effetti qualsiasi settore di ricerca. Ma almeno ai fini operativiche ci siamo proposti come selezionare la letteratura rilevante nel no-stro settore possibile proporre qualche distinzione, individuando in-

    nanzi tutto i livelli di impegno a cui i diversi lavori possono esser classi-ficati. La cosiddetta ricerca scientifica pu, a sua volta e in primo luogo,esser assoggettata a una distinzione interna tra lavori scientifici teorici,e lavori scientifici ma applicativi: saranno del primo tipo le ricerche to-talmente astratte e prive di riferimenti specifici alla realt; rientrerannonel secondo i programmi di ricerca che si propongono di applicare unateoria o un modello interpretativo. Accanto a questa prima coppia neesiste una seconda programmaticamente non scientifica la quale siorganizza intorno a intenti descrittivo-informativi, da un lato, e allin-tervento o allinfluenza politica, dallaltro (casi come vedremo piavanti. molto frequenti). Non si pu escludere inoltre che ciascunadelle quattro intenzionalit messe ora in evidenza obbedisca poi a qualchefine operativo-propositivo, come quando in uno scritto in cui si espon-gono le potenzialit dellarsenale nucleare si giunga a proporre che il pro-prio paese lo sviluppi, oppure e al contrario si perori labolizione di tuttii tipi di armamento13.

    Va da s che, in generale, qualsiasi studio, nel momento in cui lasciaspazio alla valutazione politica, cessa di essere scientifico (il che non vuoldire che debba anche risultare meno interessante!); analogamente illavoro di un giornalista pu offrire sia allopinione pubblica sia ancheallo studioso occasioni di riflessione di estremo interesse. Non essendodunque giusto negare ad alcuna di queste quattro possibilit di veniresercitata, la distinzione fondamentale che dovremo porre alla basedella nostra selezione discender dal rapporto in cui il singolo lavorosi colloca rispetto alla teoria: considereremo scientifici (almeno finoa prova contraria) quei lavori che conducono a formulazioni teoriche o

    13

    Come osservava Papisca (1974a), in unopera dedicata alle istituzioni europee,ci che vien fatto passare per scienza politica in realt opera di saggistica, intesaa volgarizzare e diffondere (...). Il suo scopo non fare teoria, ma informare e sensi-bilizzare lopinione pubblica (p. 31).

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    che da queste discendono, che producono deduttivamente teoria o che

    induttivamente la applicano (potendosi far rientrare in questo ambitoanche tutto il lavoro di chiarificazione concettuale, che sovente de-scrittivo, ma non per questo meno fecondo); saranno esclusi dalla no-stra sfera di interesse tutti quei lavori oltre ovviamente a quelli chehanno espliciti fini operativi o propagandistici che si limitano allamera cronaca, che non favoriscono neppure una qualche forma di accu-mulazione di dati (il che non sempre comporta che siano anche inutili).

    Nei termini ricognitivi che ci interessano e che hanno presiedutoquindi alla selezione bibliografica che correda questa sezione ci com-porta che nella nostra bibliografia dovrebbero ritrovarsi tutti gli scritti(salvo eccezionalmente scritti brevissimi non sempre originali) scienti-fici il che consente anche, in un caso come il nostro (che non ca-ratterizzato n da troppi cultori n da troppi scritti) di offrire uninfor-mazione completa pi tutti quelli (ma con maggior rigore selettivo)che pur senza apportare novit scientifiche nel settore delle relazioniinternazionali ne coltivano con neutralit di analisi le tematiche preva-lenti. Va da s naturalmente che questi criteri verranno utilizzati in modovieppi restrittivo man mano che ci si allontaner dai lavori di pi ampiorespiro e si entrer in quelli di tipo giornalistico.

    Non resta dunque che indicare a quali capitoli ideali di un ancoramai scritto trattato italiano di relazioni internazionali i presupposti ap-pena illustrati dovranno applicarsi. Non esiste tuttora nel mondoche un solo esempio di presentazione generale della problematica dellerelazioni internazionali, quella contenuta nel volume VIII dellHandbook ofPolitical Science(Greenstein e Polsby, 1975), i cui sei capitoli erano dedicatialla teoria delle relazioni internazionali (Waltz), alla ricerca empirico-quantitativa (Zinnes), al sistema politico mondiale (Quester), allasicurezza nazionale (Smoke), allinterdipendenza e integrazione (Keohane)e al diritto internazionale (Lipson); il tutto in meno di 500 pagine.Essendo questa scansione ancora estremamente sintetica, pu esser ilcaso almeno come ipotesi di lavoro su cui ritornare una volta che sisar consolidata la disciplina di osservare che unimpostazione si-stematica dellanalisi politica internazionale dovrebbe distinguere innanzitutto due grandi sezioni: una dedicata ai fondamenti della disciplinae unaltra riservata ai principi di analisi. Nella prima parte si distin-gueranno poi tre capitoli dedicati: 1) alla naturadella vita internazionale,affrontata a partire dal concetto di stato e dalla sua evoluzione storica,

    nei suoi diversi aspetti politico, economico, sociale, giuridico; 2) allametodologia, la quale da un lato dovr occuparsi delle questioni epi-stemologiche, dei problemi di confine con altre discipline, dei rapporti

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    zionali si mantiene, nella stragrande maggioranza dei casi, a livello pro-

    positivo piuttosto che applicativo, si rivolge al come e al perch fare,piuttosto che direttamente al fare come inevitabilmente succedealle culture povere o quando sono nella loro fase iniziale, in cui le ri-sorse per la ricerca empirica sono molto pi difficili da rinvenire chenon quelle per la riflessione di carattere generale (va aggiunto inoltre,non a scopo autodenigratorio, bens autocritico e consapevole, che anchenei diversi ambiti nei quali la ricerca si potuta sviluppare ci suc-cesso sovente in modo rapsodico e non sistematico ancora e semprea causa della limitatezza delle risorse, pi che altro umane e intellettuali).

    5.1. Metodologia

    Non un caso che il primo importante volume curato da Gori (Bru-schi, Gori e Attin, 1973) si aprisse imprevedibilmente con un ca-pitolo non-internazionalistico di un non-internazionalista (Bruschi), de-dicato a Scienza, tecnica e senso comune, nel quale in sostanza ci si proponeva dioffrire agli internazionalisti futuri un background preliminare diconoscenze epistemologiche (differenza tra senso comune e scienza, lascoperta e la validazione, le propriet del discorso scientifico, ecc.) cheoffrissero una base condivisa alla ricerca ormai nascente, corrispondendocos (probabilmente) al timore da Gori sovente (giustamente) manifestatoche la giovane disciplina cadesse immediatamente preda del discorsocomune, che si accontentasse di descrizioni cronistiche, e non siattrezzasse con strumenti di autocontrollo. Il secondo capitolo di quellibro, del resto, scritto appunto da Umberto Gori, sviluppava quellin-tenzionalit applicandola ufficialmente alle relazioni internazionali:cos, dopo aver stabilito che la distinzione tra approcci storico-ricostruttivi

    e giuridici da una parte e quello politologico dallaltra consiste nella na-tura nomotetica di questultimo, di contro alla natura idiografica dei primi, sidiscuteva della costruzione della teoria nelle relazioni internazionali edella necessit che esse in ossequio allo spirito prevalentementeempirico-generalizzante della scienza politica si sforzassero di opera-zionalizzare i loro concetti, specialmente attraverso il ricorso a tecnichedi analisi quantitative.

    Scontava inevitabilmente questo primo programma un interes-sante tentativo di procedere nel solco del quale era I conflitti internazio-nali di F. Attin (1976c), che significativamente nel sottotitolo recitavaAnalisi e misurazione una sorta di dipendenza dai risultati metodolo-gici raggiunti dalla ricerca statunitense, per certi versi troppo astratta

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    e tecnologica per il livello degli studi italiani. Il tentativo di colmare

    il divario tra quella cultura e quella (pi umanistica?) locale era inveceal centro del programma di ricerca contenuto nellIntroduzione allanalisipolitica internazionale di L. Bonanate (1973c), scritta esplicitamente afini didattici e intesa proprio a integrare la prospettiva internazionalisticatra le scienze delluomo, senza trascurare tra queste ultime la filosofiapolitica, alla quale veniva specificamente affidato il compito di sollevare iproblemi teorici principali quali lessenza della politica tra gli stati, ladiscussione sulla natura dellanarchia internazionale, la causa delleguerre, e cos via ai quali cercare per una risposta empiricamente

    fondata e controllata.Si proponeva cos in quel libro un percorso che portasse dopoaver chiarito la necessit di stabilire il punto di vista autonomo delle re-lazioni internazionali (risolvendo il cosiddetto problema dei livelli ana-litici, impostato da D. Singer in un notissimo saggio del 196114) alladeterminazione dello strumento di analisi fondamentale della realt in-ternazionale: il sistema internazionale, attorno al quale si intrecciano mo-mento metodologico e proposta teorica. Riconoscere nel sistema inter-nazionale il principale concetto internazionalistico non significa infatti

    esclusivamente farne il sinonimo esterno del sistema politico interno, oil corrispettivo materiale di quel che lo stato significa per i singoli citta-dini che vi appartengono il sistema internazionale, in altre parole,non semplicemente lambiente allinterno del quale gli stati interagi-scono bens considerarlo lelemento basilare attorno al quale ruotanoi singoli comportamenti, muovendo dal presupposto che lo stato esista,in un certo senso, esclusivamente in funzione del sistema stesso, nonperch ne faccia materialmente parte, ma perch a questultimo toccaspiegare le ragioni del suo soggettivo comportamento. Il sistema inter-nazionale rappresentava dunque in quellimpostazione uno strumento perfare ordine concettuale nellenorme massa di dati osservativi che sonodisponibili, pi ancora (o prima che) uno strumento di spiegazione. Laportata metodologica di questa scelta non era senza conseguenze, im-pegnando il ricercatore che la accettasse a muoversi secondo regoleipotetico-deduttive piuttosto che empirico-induttive, in ci discostan-dosi non poco dalla impostazione prevalentemente condivisa nella let-teratura statunitense, molto pi interessata alla scoperta di correlazioniempiriche, provenienti direttamente da dati osservativi, che non alla for-mulazione di ipotesi che inevitabilmente hanno un contenuto teorico,

    14 Compreso anche in Bonanate (1976f).

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    il che dunque trasferisce il dibattito sul piano astratto dalla concorrenza

    tra ipotesi15

    .Specialmente se riportata ai termini generali in cui tale questione fu alcentro di un vivacissimo dibattito sviluppatosi nel mondo anglosassone16,essa mostra quanto difficile se non astratto, e quindi inutile siaaffrontare temi metodologici senza che si abbia in vista un qualcheproblema concreto, empirico o teorico che poi esso sia. E quanto delresto emerge da quella che pu esser considerato lunica discussione ditipo metodologico finora svoltasi in Italia nel 1973 fra A. Pane-bianco e L. Bonanate. Riassumendo i termini della questione tradizione-

    scienza nelle relazioni internazionali se cio debba continuare aesser prediletto i