Bollettino Itals Novembre 2012 Da...medicina. Lo studio formale delle lingue è sorto molti secoli...
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Bollettino Itals Novembre 2012
Anno X n. XLVII
Novembre 2012 Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
DA DOCENTE A RICERCATORE: UNA PROPOSTA DI LAVORO
Jaime Magos Guerrero
ABSTRACT
I docenti sono sempre una miniera di idee e di proposte: sono
ricercatori. Ma le loro buone idee cedono il posto ad altre, forse ancora più buone, e le prime si perdono. Come fare perché questo non succeda? Come fare affinché un buon docente diventi un
ricercatore? La presente proposta, basata su uno schema per la gestione della lezione di lingua e su uno schema per la ricerca
etnografica, intende essere una base che risponda a tutte e due le domande. La base è che il docente conosca bene la cultura della sua classe, parta dai suoi veri bisogni e organizzi il suo lavoro “come
sempre lo fa”; la differenza è che ora avrà un osservatore (possibilmente un collega allenato allo scopo) e un tutor (specialista
nella disciplina e/o nella tecnica della ricerca) che lo accompagneranno criticamente durante tutto il processo, farà uso
della registrazione (audio e/o video) e altri strumenti e analizzerà quanto sia successo. Il docente ricercatore è sensibile a tutte le manifestazioni dei suoi studenti che gli indicano l’andamento della
lezione/ricerca, cerca o crea delle teorie che spieghino quanto succede, reimposta i lavori, arriva a risultati e comunica i risultati.
Un buon docente può diventare un ricercatore.
INTRODUZIONE
Molti docenti sono, naturalmente, dei ricercatori (Patterson, 2002).
Non parlo di quelli che sono arrivati in “modo incerto” alle aule, ma di quelli che per vocazione vogliono educare e far parte del progetto
di vita dei loro studenti. E in effetti, ricercano: creano dei materiali nuovi per gli studenti, organizzano delle attività che prima non facevano, provano delle tecniche che prima non conoscevano, ecc.;
ma molte volte i loro sforzi e le loro scoperte vanno perse perché ne creano delle altre nuove e così molte idee che sono potenzialmente
molto interessanti e nuove si perdono. Eppoi ci sono delle altre situazioni: alcuni docenti che fanno questo tipo di ricerca “domestica” non prendono nota di quello che fanno e la memoria,
volubile ed effimera, dimentica. In altri casi sì prendono nota e alla fine di una esperienza ordinano i loro appunti e scrivono quello che è
successo e lo comunicano ai colleghi alle volte in riunioni di lavoro, alle volte in piccoli convegni interni. Molti altri non fanno né una cosa né l’altra perché pensano che non lo possono fare perché non sono
dei “ricercatori ufficiali”. Le mode politico-amministrative creano gruppi “ufficiali” di ricercatori e molti docenti che non fanno parte di
questi circoli non si sentono né capaci né obbligati a fare ricerca. Ma per fare ricerca non ci vuole tanto... Parlo dei docenti che, oltre alla vocazione di educatori nominata sopra, hanno alle spalle una
formazione psicopedagogica e disciplinare che sostiene il loro lavoro: basterebbe conoscere la “cultura” dei loro gruppi di studenti e una
tecnica che permettesse loro di sistematizzare le azioni quotidiane di lavoro per formalizzarle in un documento frutto di una ricerca.
È questo l’obiettivo di questo rapporto: proporre uno schema di
lavoro per far sì che il nostro agire quotidiano prenda la forma di un documento formale da comunicare ai colleghi vicini e lontani fisicamente per condividere con loro il risultato della nostra
esperienza docente.
1. UN CAMPO DI STUDIO E DIVERSI PROFESSIONISTI
Le prime Università del mondo, già nel secolo XII, formavano i professionisti di alcuni campi molto notevoli quali il diritto e la medicina. Lo studio formale delle lingue è sorto molti secoli dopo e,
in Messico, la prima laurea che formava questo tipo di professionisti è stata creata nel 1954. Lo studio specifico che mira alla formazione
specifica dei docenti, dei letterati, dei linguisti, dei traduttori e degli interpreti è di formazione molto più recente e, in alcuni casi, non
esiste ancora. E con tutti questi professionisti condividiamo lo studio di un solo campo: la lingua e la cultura di uno o diversi paesi. Sicuramente la vocazione e la conoscenza sociale è diversa per
ognuno di questi professionisti e, soprattutto, la formazione per il “saper fare” e per il “saper ricercare”. Un linguista sarà pronto per
studiare lo stato presente delle lingue e il passato di esse mentre collabora con altri professionisti che studiano tecnologia e lingua; il suo metodo di ricerca sarà di tipo descrittivo-positivista. Un letterato
si occuperà di promuovere, criticare o creare letteratura e farà dell’ermeneutica, soprattutto, il suo metodo per ricercare; un
traduttore e un interprete si occuperanno della trasposizione di una lingua (orale o scritta) ad un’altra e il loro metodo per fare ricerca sarà, necessariamente, di tipo eclettico. E un docente? È l’unico
educatore fra i professionisti elencati e, oltre ad essere l’unico che naturalmente fa parte di comunità molto simili a lui, ha un obiettivo
umanistico molto preciso: formare i cittadini del mondo per il tempo che si vive e per un futuro immediato; il suo metodo per fare ricerca è, necessariamente, quello che gli permette di interagire
direttamente con i suoi studenti al tempo stesso che promuove un cambiamento di cultura in essi. Detto così, per fare ricerca si dovrà
avvicinare necessariamente ad un approccio di tipo etnografico.
2. TIPI DI RICERCA
Il mondo della ricerca si è evoluto molto lentamente. Durante molti secoli il metodo scientifico è stato l’unico procedimento autorevole per realizzare ricerca e, evidentemente, non tutti i campi della
conoscenza umana sono suscettibili di applicarlo.
Il metodo scientifico fondato ufficialmente da Galileo Galilei (1564-1642) già considerava due maniere per arrivare alla verità: “sensata
esperienza o necessaria dimostrazione” (Rojas Soriano 1985:46)
dove figurava un inquestionabile “esperimento”. Tale sperimentazione comprende necessariamente il controllo delle variabili e il posto più adeguato per realizzarlo è il laboratorio
scientifico: temperatura, grado di umidità, pressione, numero e caratteristiche dei soggetti in studio, ecc. Il metodo scientifico così
concepito (approccio positivista) controlla al massimo le variabili che possono alterare sia il processo della sperimentazione sia il risultato.
Evidentemente un approccio di questo tipo non è adatto all’aula dove il controllo delle variabili è praticamente impossibile; non è dunque l’approccio che un docente possa seguire in un’aula ordinaria.
Ma l’approccio positivista non risolveva tutte le necessità per fare
ricerca e così fu precisamente in Italia che nacque un’altra ottica per realizzarla: il metodo storico. È un metodo da attivare in un archivio
e informa un pubblico specializzato riguardo ai successi di una volta, alle loro cause e alle loro conseguenze. La scuola può essere un ambito dove applicare questa proposta metodologica, ma l’aula dove
la realtà è soggetta a una durata piuttosto ridotta, non lo è.
Fu così che, avendo delle radici ritenute “primitive” già nel secolo XIX, nel 1940 nacque una nuova forma di fare ricerca (Goetz,
LeCompte 1985:40): la ricerca etnografica, da applicare nel campo delle scienze sociali, quale l’educazione. La ricerca etnografica non è
altro che un gruppo di processi e strumenti per avvicinarsi alla cultura del gruppo in studio per scoprire i suoi elementi e i rapporti che si stabiliscono fra di essi per scoprire la loro incidenza su un
problema motivo di studio. Questo tipo di ricerca non si accontenta della descrizione di una cultura in rapporto a un problema, ma si
propone di arrivare a una proposta per risolvere tale problema e di delineare un progetto specifico da essere applicato nell’aula di riferimento. La ricerca etnografica è, sicuramente, il paradigma al
quale un docente ordinario si può accostare se vuole realizzare il suo lavoro con il compromesso storico e morale che gli richiede il secolo
che sta ancora cominciando. Anche se si possono trovare delle piccole differenze, la ricerca etnografica è conosciuta anche come ricerca-azione, ricerca qualitativa, ricerca in collaborazione e ricerca
ecologica.
3. DIFFERENZE FRA LA RICERCA IN LABORATORIO E IN AULA
Perché un docente di lingue deve scegliere l’approccio della ricerca etnografica anziché quello positivista se vuole fare ricerca? Fra queste due maniere di agire nel campo della ricerca ci sono alcune
differenze che li fanno diversi; non migliore uno rispetto all’altro: diversi. Ecco tali differenze (Gimeno Sacristán, 1992).
Questi due ambienti di lavoro sono, naturalmente, dissimili. La realtà
che si vive in un laboratorio può essere costruita e controllata. Le variabili dipendenti e indipendenti devono essere verificate e, se
sono contrarie agli obiettivi della ricerca, vengono nullificate. La realtà che si vive in aula è una complicata rete di relazioni che cambiano, si condizionano le une con le altre, si relazionano fra di
loro e stabiliscono rapporti di collaborazione, di dipendenza, di conflitto, ecc. Le condizioni nelle quali opera un docente (variabili)
non possono essere controllate né nullificate, ma devono essere necessariamente incluse.
La ricerca scientifica, per sua propria natura, deve essere realizzata in un ambiente con le caratteristiche di un laboratorio e
possibilmente non si possa effettuare in un altro ambiente che non sia il laboratorio scientifico. La ricerca etnografica si invera nei
diversi e complessi contesti dove si realizza l’evento educativo: in aula, nei cortili della scuola, nei diversi ambienti scolastici interni ed esterni e, addirittura, nelle dimore degli allievi dove sarebbe
possibile includere i loro genitori come attori importanti del fenomeno che guida la ricerca.
Per la ricerca che si svolge in un laboratorio scientifico è importante
che il ricercatore non influisca sulla realtà che sta studiando e che rimanga fuori dallo studio; l’obiettivo principale è conservarne
l’obiettività. Al contrario, nella ricerca che si sviluppa in un’aula, il docente deve mantenersi dentro al gruppo che sta studiando e deve essere, addirittura, “inquinato” dalla situazione che vuole conoscere;
l’obiettivo è arrivare alla comprensione chiara e profonda della situazione che si vive. È facile capire che la ricerca etnografica ha
bisogno di un docente che sia disposto a entrare nella dinamica della classe e non un “professore” che si limiti a “dettare la lezione del giorno” e non conosca nemmeno il nome dei suoi studenti.
La ricerca positivista mira a produrre delle conoscenze nomotetiche
che descrivano e spieghino universalmente i fenomeni studiati indipendentemente dal contesto anche se, è chiaro, la loro validità
decade con il tempo e alla fine passa da essere teoria a essere
storia. La ricerca in aula quello che vuole è scroprire e capire quale è la causa dei fenomeni in studio; non mira a produrre teorie, ma ipotesi di lavoro che vengano applicate alla realtà in studio per
indurre dei cambiamenti, che produrranno altre situazioni, soggette a nuove ipotesi d’interpretazione. La ricerca in un laboratorio
scientifico parte da teorie e mira a produrre altre teorie; la ricerca nelle aula parte da ipotesi e mira a produrre delle altre ipotesi.
La ricerca positivista fa uso di strumenti per misurare e controllare
l’andamento degli esperimenti: test, prove oggettive, guide di osservazione, ecc., e il ricercatore deve rimanerne fuori per non contaminare i risultati. La ricerca etnografica fa uso di alcuni di
questi strumenti, ma ne aggiunge altri, quali l’osservazione partecipante e l’osservazione esterna, l’intervista con i partecipanti
allo studio, la triangolazione (fra la teoria, il docente e la realtà studiata o, comunque, fra i tre attori diretti dello studio), il registro in audio e video per il controllo dell’evento in studio, la presenza di
uno specialista –tutor- sia nel livello scolastico che nella disciplina insegnate o nella ricerca etnografica, il diario del docente dove si
annotano e commentano i fatti verificatisi durante la ricerca. Si noti che non è che la ricerca etnografica rifiuti gli strumenti usati nella ricerca positivista, ma ne include altri, pensando al coinvolgimento
degli attori della ricerca.
La credibilità del risultato di una ricerca positivista è data dalla trasferibilità dei risultati: quello che è stato dimostrato in un
laboratorio è valido in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo (anche se, in fondo, la teoria lascia la sua supremazia di fronte ai nuovi
risultati e, prima o poi, diventa storia). Il risultato di una ricerca di taglio etnografico non pretende di basare la sua credibilità su qualcosa di simile, ma si limita ad apportare delle ipotesi che gli altri
ricercatori devono verificare nei loro ambiente: il risultato di una ricerca X è possibile che permetta, dato che il contesto dove si
applicherà è simile, di ottenere risultati X1.
Il resoconto della ricerca che si realizza nel laboratorio scientifico deve essere scritto pensando che dovrà essere letto da ricercatori scientifici e dai colleghi del ricercatore; questo significa che deve
essere scritta in un linguaggio lineare, diretto e preciso, che descriva il fenomeno analizzato e il processo seguito. Questo tipo di
documento fa uso di un linguaggio accademico e molto tecnico, con una sintassi semplice che permetta una lettura altrettanto diretta e non soggetta a interpretazioni. L’ideale di un rapporto di questo tipo
sarebbe la formulazione matematica che permetta di visualizzare i suoi elementi e le relazioni fra di essi. Il resoconto prodotto di una
ricerca etnografica, invece, è scritto affinché sia letto praticamente da qualsiasi persona interessata al tema, che sia o meno specializzata. Fa un uso molto piú largo delle risorse letterarie e,
addirittura, ricorre ad analogie, metafore e modelli che servano a facilitare la comprensione dei suoi risultati. Forse la questione più
importante è che un rapporto etnografico permette che i soggetti studiati prendano la parola e quindi contiene una grande quantità di
frasi da loro pronunciate. La caratteristica principale di un rapporto etnografico è che permette al lettore di ricreare la cultura del gruppo studiato, il fenomeno e il processo studiati e i risultati rilevati.
4. LA “CULTURA” NELLA NOSTRA AULA
Dato che l’obiettivo principale della ricerca etnografica è esplicitare la
cultura del gruppo di allievi dove si svolgerà lo studio, è importante partire da un concetto di “cultura”. È ovvio che tale termine può
essere concepito con un’ottica ampia: la cultura di un popolo. Tyler (in Silva 2007:80) definisce tale termine come “un insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la moralità,
il diritto le abitudini e qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società”. Se parliamo della
“cultura” nella nostra aula, allora per “cultura” si intende (Boas in Fabietti, 1991):
“la totalità delle reazioni e delle attività intellettuali e fisiche che caratterizzano il comportamento degli individui che
compongono un gruppo sociale – considerati sia collettivamente sia singolarmente – in relazione al loro
ambiente naturale, ad altri gruppi, ai membri del gruppo stesso, nonché quello di ogni individuo rispetto a se stesso. La cultura (...) comprende anche i prodotti di queste attività e
soprattutto i suoi elementi non sono indipendenti ma possiedono una struttura.”
Per i docenti che non hanno né una formazione accademica alle spalle né molta esperienza insegnando/educando, un gruppo di studenti é “un gruppo di studenti”; invece, per i docenti con
formazione, esperienza e voglia di realizzare ricerca presso i loro allievi per migliorare il loro lavoro, un gruppo di studenti risponde al
concetto citato sopra. Ma... cosa osservare nella “cultura” dei nostri allievi? Come procedere in modo sistematico, che ci permetta di non
“perderci” quando facciamo il nostro lavoro quotidiano e di ricerca? Martínez Miguelez (2004:75ss) ci suggerisce di, innanzitutto, ricorrere al “diario del maestro” per scrivere quello che osserviamo in
aula, oppure fare uso del videoregistratore o, almeno, del registratore audio. In questo modo possiamo ritornare a “osservare”
quello che è successo in aula e che ci dà fede della cultura dei nostri studenti. Potremmo categorizzare le nostre osservazioni in: azioni, attività, indicatori verbali, accordi, vincoli e situazioni; tutti questi
sono elementi della cultura dell’aula dove svolgiamo la ricerca. Tutte queste categorie sono portatrici di un significato importante per
costituire la cultura della classe e il docente-ricercatore può facilmente capirle (se fa parte di quella classe) oppure avrà bisogno di ricorrere alla teoria o al tutor della ricerca. Ogni categoria si può
sempre dividere in sotto-categorie che fanno uno studio molto più fine e accurato della cultura che vogliamo capire per migliorare. Si
insiste sul fatto che l’importanza di capire la cultura prevalente nella nostra aula ha uno scopo molto importante: proporre dei modi precisi per modificarla in positivo.
Le azioni sono gli eventi che durano solo un momento durante la
lezione. Un’azione può essere la maniera in cui gli studenti ricevono le indicazioni di lavoro del docente: si alzano, non rispondono alle
indicazioni di lavoro e continuano seduti ai loro posti, si guardano fra di loro con complicità o iniziativa e piacere, fanno scambio di battute. Le risposte degli studenti a livello singolo, come isolarsi dal resto
della classe, cercare sempre gli stessi compagni per lavorare o per farsi compagnia, portare i materiali necessari, realizzare o no i
compiti e un lungo eccetera. Le azioni sono di una grande importanza, perché permettono al docente-ricercatore indurre quale sia la teoría che sottostà al comportamento degli studenti. Certe
azioni molte volte vengono ignorate, sia perché il docente ritiene che non siano importanti, sia semplicemente perché sfuggono alla sua
attenzione. Ecco il momento di ricorrere al diario o alla registrazione audio o video.
Le attività sono eventi che si svolgono nell’aula e che hanno una durata di tempo più lunga: un gruppo di studenti che sistematicamente si mette a parlare durante la lezione ignorando il
lavoro del resto della classe; uno studente che tutti i giorni arriva con un certo ritardo o uno che esce prima della fine della lezione;
uno studente che vuole essere sempre di aiuto al docente cancellando la lavagna, accompagnandolo al suo studio o portandogli i materiali; un gruppo di studenti che cercano di lavorare insieme
ogni volta che che il docente organizza un’attività in piccoli gruppi; un allievo che assume il ruolo di “secchione” oppure di “somaro” agli
occhi degli altri studenti.
Gli indicatori verbali sono le espressioni verbali con le quali gli allievi ci fanno sapere come vivono il lavoro in aula: costituiscono “il termometro” del lavoro svolto dal docente. Più il docente è in
contatto con gli studenti maggiori sono gli indicatori verbali a cui avrà accesso. È importante riportarli in modo completo (fra
virgolette e lettere in corsivo): da quelli che ci “accarezzano l’udito” a quelli che ci fanno capire che qualcosa non va fra gli studenti (i
nostri rapporti con loro, i materiali, le attività proposte, ecc.). Riportare gli indicatori verbali dei nostri allievi nel nostro rapporto di ricerca significa dare loro la parola in merito al lavoro svolto.
Gli accordi sono i compromessi che gli studenti stabiliscono fra di
loro e con l’insegnante. Alcuni di essi sono ben espliciti: “Chi porterà le fotocopie per domani?”, “Ci penso io a inviarvi per mail l’indirizzo
del sito che ci serve”, “Professore, Lei ci presta il CD con i dialoghi che dobbiamo ascoltare?”. Molte volte gli accordi sono impliciti e quindi diventano molto più difficili da osservare: ridono quando
qualcuno dice una battuta, parlano quando uno prende la parola, fanno o non fanno una determinata attività senza mettersi
esplicitamente d’accordo, l’ordine nel quale arrivano in aula, ecc. Gli accordi possono essere di causa-effetto, di dipendenza, di giustapposizione, ecc. Quasi sempre gli accordi riguardano l’intera
classe.
I vincoli sono le maniere in cui si relazionano i membri della classe a livello individuale fra di loro. I vincoli esistono sempre, anche se alle volte non li notiamo: Tizio parla e si rapporta molto bene con
Caio, ma non con Sempronio; Caio aiuta Tizio a fare i lavori, ma non Sempronio, ecc.
Le situazioni non sono altro che il comportamento oggetto di analisi
nei diversi momenti della ricerca. Per esempio, se il problema oggetto di studio è “Quali testi di letteratura posso sottoporre a
questo grupo di livello B2 al fine di migliorare la loro produzione scritta?” ci sarà da confrontare la situazione del gruppo in termini di scrittura all’inizio dei lavoro, durante e alla fine dell’esperienza. Fra
un momento e l’altro della comparazione saranno successe delle cose: il docente avrà sottoposto diversi tipi di manuali, avrà
consultato materiali di letteratura per scegliere i testi che fanno per quella ricerca, avrà consultato libri di glottodidattica per proporre delle attività, avrà ascoltato i suoi colleghi osservatori, avrà
consultato il tutor della ricerca; insomma fra un momento e l’altro della ricerca troverà dei segnali più o meno significativi che portano
la ricerca a una conclusione.
Tutti questi elementi che evidenziano la cultura della classe dove vogliamo effettuare la ricerca sono molto importanti.
Non basta riuscire a scrivere una lista di questi elementi: l’importante è saper analizzarli sia per guidare la ricerca teorica che
li possa mettere in contatto e spiegarli, sia per tentar di creare una nuova teoria.
Una volta che si ottiene la lista di elementi che evidenziano la cultura
di una classe (divisi nelle categorie sopra elencate e sotto-divisi, eventualmente, in sottocategorie) è arrivato il momento di
“teorizzare”; anche se questa è una parola che ci può causare un certo effetto, alla fin fine non è altro che analizzare tali elementi e stabilire fra di essi rapporti di (come detto sopra) dipendenza,
giustapposizione, causa ed effetto, opposizione, ecc., per attivare la nostra cornice teorica di riferimento e cercare spiegazioni ai
fenomeni osservati. Quando non si trova tale spiegazione sarà il momento di, in accordo con i colleghi che osservano il nostro lavoro
e/o con il tutor della ricerca, arricchire, reordinare tale cornice teorica o, addirittura, cercare di creare una nuova teoria.
Il tentativo di creare una nuova teoria (azione che alle volte ci
occupa degli anni e che ovviamente si deve accostare a schemi epistemici) può trovare l’avvio nello stabilire un’analogia (stabilendo rapporti di affinità fra il nuovo e sconosciuto con il vecchio e
conosciuto); una metafora (stabilendo rapporti fra l’entità nuova e sconosciuta con un’entità vecchia e conosciuta, ma eliminando il
nesso che le mantiene unite); oppure adottando dei modelli già conosciuti e stabiliti che guidino la strutturazione di quella nuova teoria (Martínez Miguelez 2004:75ss).
Sebbene si debba puntare a spiegare i fenomeni che caratterizzano
la cultura di una classe per introdurre in essa elementi che la possano cambiare per migliorarla, teleologicamente parlando
l’obiettivo di un docente-ricercatore dovrebbe essere produrre nuova teoria nel campo dell’insegnamento delle lingue, nel nostro caso.
5. UNA PROPOSTA
Ma... un docente “ordinario” sarà capace di svolgere una ricerca seria e fondata nella teoria e inoltre sarà capace di produrre teoria?
Un docente con una seria formazione in glottodidattica e con una gran voglia di farlo, sì.
La proposta del sottoscritto ha due grandi fasi: la prima è
incorniciare il nostro lavoro in uno schema per la gestione della lezione di lingua; la seconda include la prima, ma in uno schema più
ampio che mira alla ricerca etnografica.
5.1 LA GESTIONE DELLA LEZIONE DI LINGUA
L’insegnante appena descritto, cioè con una certa formazione in glottodidattica e una certa esperienza docente, realizza quotidianamente le azioni che si descrivono nel seguente schema.
Questo è prodotto dall’analisi realizzata dal sottoscritto nell’ambito teorico dell’amministrazione (gestione); si trovò che la proposta
teorica dell’amministrazione sistemica (cioè quella che risulta dal definire tutti gli elementi che costituiscono un ente –in questo caso la
classe- e di stabilire dei rapporti fra di essi) è quella che ci può meglio spiegare le fasi nelle quali si divide il lavoro che realizza –più meno in maniera conscia- un docente. Queste fasi sono:
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N. F a s i A z i o n i
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I
Analisi dei bisogni
Individuare lo stato reale della situazione; precisare i bisogni degli
studenti; definizione del problema; stesura della prima cornice teorica…
II Stesura degli obiettivi
generali
Individuare lo stato ideale della situazione; cosa si vuole ottenere e per
quale motivo; dove si vuole arrivare...
III Pianificazione Individuare come si arriverà dalla situazione reale alla situazione ideale; precisare quali passi si devono fare…
IV Organizzazione Individuare con quali strumenti si
lavorerà, in quale maniera, con quanto tempo ci si conta, dove si lavorerà…
V Esecuzione del Progetto
Definire lo stile per dirigere le azioni; individuare i meccanismi per integrare le
risorse; definire i meccanismi per motivare gli attori del processo...
VI Controllo
dell’andamento
Definire con quali strumenti verranno
quantificati i risultati e in quali momento...
Tab. 1. Fasi della gestione della lezione di lingua (Magos 2008)
Ecco una descrizioni di queste 6 tappe lineari:
Analisi dei bisogni: con strumenti quali l’intervista personale e di gruppo, la griglia di osservazione o l’osservazione libera,
l’inchiesta e il controllo di diversi documenti, il docente può venire a conoscenza dei bisogni dei suoi studenti. Tali bisogni possono essere di tipo normativo (quello che dicono le
“norme” –il programma o il progetto scolastico- che i nostri studenti devono sapere, saper fare o essere; sentiti (i bisogni
che gli studenti esplicitano come carenze delle quali sono consapevoli); bisogni richiesti (dalla società o dal livello scolastico al quale i nostri studenti accederanno); bisogni
comparativi (quello che emergono dallo stabilire differenze e somiglianza fra i nostri studenti e studenti simili a loro, ma di
altre classi o altre scuole); bisogni in pospettiva (che in realtà non esistono, ma che il docente sa bene che un domani sorgeranno). Questa tipologia è suggerita da Zabalza
(1996:62ss). D’altra parte aggiungiamo un altro tipo: i bisogni latenti (quelli che non fanno parte di nessuna altra categoria,
ma che stanno lì e impediscono che la classe funzioni ottimamente; quasi sempre hanno ha che vedere con la dinamica del gruppo). La lista dei bisogni trovati può essere
molto vasta e quindi sarà necessario ridurla associando le necessità elencante e raggruppandole in categorie. Un elenco
più breve permetterà di ponderarle e ordinarle per definire immediatamente il problema. Si consiglia seguire la tecnica russa (Rojas Soriano 1995:42) e cioé enunciarlo come una
domanda: con quale x si riuscirà ottenere un risultato y? Quale strada seguire per risolvere tale problema che hanno i
miei studenti? e così via. Questa fase dovrà essere completata con la stesura della prima e approssimativa cornice teorica. Questo significa indagare gli elementi teorici che fanno parte
del problema definito; la cornice teorica di un insegnante di lingue mira principalmente ad aree come la didattica delle
lingue (lessico, grammatica, cultura, ecc.), le competenze linguistico-comunicative, la psicologia dello sviluppo e cognitiva, la filosofia educativa, le dinamiche dei gruppi, ecc. e
questi potranno essere i nostri primi punti di riferimento. Lo
sviluppo di questa fase ci porta alla conoscenza precisa della situazione reale.
Stesura degli obiettivi generali: costituiscono il punto di
arrivo del nostro lavoro e possono mirare, educativamente, alle conoscenze che i nostri allievi devono ri-costruire, alle competenze che devono sviluppare e agli atteggiamenti che
devono assumere; come “lezione di lingua” possono mirare alla conoscenza della lingua e della cultura, allo sviluppo delle
competenze linguistico-comunicative, all’arricchimento lessicale, alla capacità di realizzare riflessioni meta-cognitive/meta-linguistiche e/o cross-culturali. Gli obiettivi
rappresentano il punto di arrivo, la situazione ideale. Pianificazione: significa individuare i passi da compiere per
arrivare dalla situazione reale alla situazione ideale e si basa sulla cornice teorica. Sebbene debbano avere un senso formale, non avranno mai un senso finito e possono essere
modificate man mano si va avanti. Alcuni chiamano questa fase “determinare la metodologia”, ma da parte nostra si
suggerisce piuttosto il termine “procedimento”, nel senso che in aula non applichiamo dei “metodi” che sono caratteristici della ricerca positivista e del laboratorio.
Organizzazione: significa individuare il come si realizzeranno i passi determinati dalla Pianificazione: con quali materiali, in
quali posti, in quanto tempo, quali sono le funzioni degli studenti e funzioni del docente, con quali temi (si noti che la scelta di un eventuale libro di testo appare solo qui) e, molto
importante, con quali attività (sarà il momento di disegnare le “Unitá didattiche”). Il risultato di realizzare queste due ultime
fasi sarà la stesura del progetto da applicare. Esecuzione del Progetto: con questa fase si intende la
messa in atto del progetto disegnato. È il momento di portare
alla luce la parte “artistica” del docente. La discussione se il nostro lavoro educativo è scienza o arte prende i suoi spunti
dal nostro “agire artistico” come educatori. Eseguire il progetto significa, infatti, mettere in moto le proprie qualità
come direttore del progetto (indicare cosa si fa, come, quando, perché, ecc.), integratore (far sì che ogni elemento materiale o umano presente sia “usato” a favore del progetto)
e motivatore (far sì che ogni integrante della classe dia il meglio di sé).
Controllo dell’andamento: è l’azione di, per prima cosa, disegnare e applicare strumenti per valutare i risultati ottenuti
e, poi, quantificare i risultati. Assegnare un voto a ogni allievo per le sue prestazioni è il risultato finale di questa fase.
Ed ecco le 2 fasi permanenti:
Valutazione: esiste quella interna e quella esterna. Il suo
proposito fondamentale è permettere agli elementi della classe –allievi e docente- prendere delle decisioni riguardo all’andamento dei lavori: si mantiene il progetto o una sua
parte, si modifica, si arricchisce, si cambia, ecc. Valutazione e comunicazione fanno praticamente un solo processo durante
tutta l’applicazione del progetto. Comunicazione: non è altro che considerare la presenza di
tutti gli implicati nel nostro lavoro (studenti, altri docenti,
autorità, genitori, ecc.) e mantenerli informati dell’andamento del nostro lavoro e, d’altra parte, permettere che tutti loro ci
informino di quello che sia necessario per il nostro lavoro.
5.2 LA RICERCA ETNOGRAFICA
Lo schema appena presentato verrebbe sussunto, come già si è detto, da un altro schema più ampio che gli assomigli, ma che include delle chiare fasi che fanno di un lavoro “quotidiano” un lavoro
di ricerca. Eccolo:
Gestione
della lezione di lingua
A z i o n i
da eseguire
Ricerca
etnografica
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n
e
I.- Analisi dei
bisogni
1. Precisare le
caratteristiche della classe
2. Individuare e
precisare il problema della
ricerca
3. Scrivere la prima cornice teorica
1.-
Giustificazione teorica e
pratica del
progetto
VIII
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II.- Stesura degli obiettivi
generali
4. Precisare gli obiettivi generali
5. Definire le ipotesi di soluzione al
problema
2.-Anticipazione
III.-
Pianificazione
6. Definire,
disegnare e strumentare il progetto che si
applicherà alla classe
3.- Definizione
del progetto
IV.-
Organizzazione
V.- Esecuzione del Progetto
7. Applicare e controllare il
progetto definito
8. Osservare l’andamento dei
lavori 9. Definire le
categorie osservate e analizzarle
10. Reimpostare i lavori se fosse
necessario
11. Ordinare l’informazione in
categorie e analizzarle
12. Teorizzare sui risultati ottenuti.
4.- Applicazione,
controllo e valutazione del
Progetto.
VI.- Controllo dell’andamento
13. Scrivere il resoconto finale
14. Condividere i risultati
5.- Comunicazione
dei risultati
Tab. 2 La ricerca etnografica e la gestione della lezione di lingua
(Magos 2009)
Seguendo quanto descritto in questo specchietto:
La prima fase della ricerca etnografica è la giustificazione teorica e pratica del progetto; vista dallo schema della gestione della lezione di lingua corrisponde all’analisi dei bisogni e comprende tre
momenti:
Precisare le caratteristiche della classe intervistando gli studenti, i colleghi, le autorità della scuola; effettuando delle
inchieste socioeconomiche, di atteggiamento, di aspettative, ecc.; osservando la classe e le sue mosse.
Individuare e precisare il problema della ricerca. Torno a
dire che la pratica ci consiglia di usare la tecnica russa (a forma di domanda) e da essa derivarne altre.
Scrivere la prima cornice teorica. Si suggerisce di farlo in
modo deduttivo su basi disciplinari, psicopedagogiche ed epistemiche. Questa cornice sarà arricchita, ri-orientata e addirittura cambiata lungo la ricerca.
L’anticipazione è la seconda fase della ricerca azione e corrisponde al momento della stesura degli obiettivi generali, secondo lo schema della gestione della lezione di lingua. Ci sono due momenti precisi:
Precisare gli obiettivi generali a cui mira il progetto. Gli obiettivi specifici di ogni Unità didattica saranno precisati più avanti.
Definire le ipotesi di soluzione al problema vincolate ai
materiali che si intende usare, le attività e la loro sequenza, le attività da proporre agli studenti, i tempi, ecc.
La definizione del progetto
Significa integrare tutti gli elementi della fase anteriore per
descrivere con precisione il progetto da attivare presso i nostri studenti: le Unità didattiche da svolgere (obiettivi specifici;
attività di presentazione, di introduzione, di ricezione, di riflessione, di produzione, di ripasso e rinforzo, di valutazione); i materiali da usare, i tempi, esplicitazione
dell’approccio metodologico e delle tecniche da usare, strumenti per il controllo dei risultati, ecc. Questi titoli sono
approssimativi: ogni docente e ogni progetto ne implicano diversi.
Applicazione, controllo e valutazione del Progetto.
Applicare e controllare il progetto definito. È la parte più quotidiana e familiare al docente, ma questa volta con un
chiaro obiettivo di realizzare ricerca. Dovrebbe essere realizzata in aula con tutta naturalezza, ma senza dimenticare
che questa volta tutto dovrà essere registrato e, poi, analizzato.
Osservare l’andamento dei lavori. Sempre con l’aiuto di un
collega osservatore che conosca il nostro progetto e sia stato allenato come osservatore etnografico. L’aiuto delle registrazioni audio e video sono insostituibili, così come il
diario del docente, le interviste, la triangolazione, ecc. Le
osservazioni riguardano “la cultura della classe” e producono chiari risultati chiamati “categorie di analisi”.
Definire le categorie osservate e analizzarle: azioni,
attività, indicatori verbali, gli accordi, i vincoli, le situazioni. Il tutto nei termini già indicati nel titolo “La cultura della nostra classe”. Questa fase significa solo un primo avvicinamento al
tema.
Reimpostare i lavori se fosse necessario. Ecco il momento che fa veramente diversa la ricerca con un approccio
positivista e uno etnografico. La prima non potrebbe cambiare niente nel piano di ricerca; la nostra sì. Dalle osservazioni ed interviste effettuate il docente deve decidere se cambiare
(arricchire, eliminare, ri-ordinare, ecc.) i materiali, i tempi, le attività e perfino l’approccio procedurale. La cornice teorica
scritta all’inizio del progetto potrebbe essere arricchita, riorientata o addirittura cambiata.
Ordinare le informazioni ottenute in categorie e
analizzarle. Costituisce un secondo e definitivo avvicinamento alla cultura della classe, ma praticamente dopo l’applicazione del nostro progetto. Le domande di partenza
potrebbero essere: quali categorie di analisi sono variate (arricchite, aumentate, diminuite, ecc.)? Come si rapportano
fra di esse tali categorie (dipendenza, giustapposizione, opposizione, contiguità, complementarietà, causa/effetto, ecc.) Ci sono delle sottocategorie? Quali?
Teorizzare sui risultati ottenuti. È il momento di richiamare
alle teorie presenti nella cornice teorica del progetto oppure di creare teorie nuove (per analogia, metafora o modelli).
Comunicazione dei risultati. Ecco la fase la cui realizzazione
distingue fra un docente qualsiasi (anche se “buono e bravo”) e un docente ricercatore.
Scrivere il resoconto finale. Anche se durante tutto lo
svolgimento di questa esperienza il docente ha scritto (la cornice teorica, le sue osservazioni, il suo diario, ecc.), questo è il momento di riordinare e riorganizzare tutti i documenti
ottenuti per scrivere il resoconto finale (la sua ricerca!). Alle volte diventa un momento difficile, soprattutto quando il
nostro docente-ricercatore è alle prime armi, ma ci si riesce. Aiuta il disegno di una scaletta, curare che il resoconto costituisca un testo (unito, completo, coerente e coeso), l’uso
di Internet, l’uso di dizionari e vocabolari generali e specializzati, la presenza del tutor, la lettura del documento da
parte dei colleghi, la lettura a voce alta, ecc. Il linguaggio dovrà essere chiaro e esplicito per i lettori (i colleghi vicini e
lontani, gli specialisti).
Condividere i risultati in primo luogo con i colleghi che hanno partecipato con noi di questa esperienza e con le autorità locali. In un secondo momento in congressi e
convegni di importanza diversa; il documento scritto potrebbe essere eventualmente pubblicato. Un docente-ricercatore non
si tiene per sé i risultati delle sue esperienze di ricerca, ma li condivide con i colleghi.
6. CONCLUSIONI
La creazione dell’approccio metodologico etnografico ci acconsente (a noi docenti di lingue) di fare ricerca nelle nostre aule senza
“forzare” altri approcci: il linguista, il letterato, il traduttore e l’interprete hanno ognuno il proprio metodo per fare ricerca. Sono
terreni diversi che si toccano (nel campo della lingua e la cultura), e si complementano e si arricchiscono, ma che sono diversi.
Fare ricerca non è una moda o un obbligo istituzionale: fa ricerca il docente che vuole migliorare la sua pratica docente e che è convinto
dell’importanza del suo lavoro. Infatti, educarsi in una lingua (materna e straniera) è una vera necessità dei cittadini del mondo di
questo secolo e l’opportunità di partecipare nel progetto di vita dei nostri studenti è un’opportunità per realizzarci.
Un docente ricercatore convive direttamente con i suoi studenti, li
conosce, sa come reagiranno, conosce la loro cultura: questa è la base per diventare ricercatore. Un docente che si auto-percepisca come “possessore del sapere” e non sia disposto a scendere dal
piedistallo “accademico” per conoscere la realtà/cultura dei suoi studenti per migliorarla, è condannato alla banalità e all’oblio.
Un docente che fa il suo lavoro partendo dai bisogni dei suoi
studenti, pianificando, organizzando, controllando e valutando è, nella pratica, un ricercatore. Bisogna solamente aggiustare, precisare, sistematizzare alcune aree del suo lavoro e, ovviamente,
scrivere e condividere i risultati per formalizzare le ricerche. Non è una cosa né riduttiva né magica: c’è bisogno di pazienza, di
tolleranza, di convivenza, di collaborazione, di studio, di formazione, di aggiornamento, ecc., per diventarlo, ma non è una questione impossibile o di solo alcuni privilegiati.
Gli schemi di lavoro che fanno parte di questa proposta sono solo
quello: “una proposta”. Sicuramente altri colleghi interessati a questo tema stanno lavorando e creando altri percorsi teorici/pratici
ed altre proposte. Il sottoscritto lo sa ed è sempre disposto alla collaborazione e all’aggiornamento.
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Laboratorio Itals
http://venus.unive.it/italslab
20 Mar , 2013 - 03:15 AM