Bollettino - Diocesi Di Rimini · • Lettere e Messaggi Lettera per il mercoledì delle Ceneri ......

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Bollettino Gennaio - Aprile 2014 1

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BollettinoGennaio - Aprile

2014

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Indice

Bollettino Diocesano 2013 - n. 4

Atti del Vescovo .......................................................................................................................5

Omelie ......................................................................................................................................... 7

Lettere e messaggi .................................................................................................................49

Decreti e Nomine ................................................................................................................... 59

Diario del Vescovo ................................................................................................................65

Attività del Presbiterio ....................................................................................................... 75

Avvenimenti Diocesani .................................................................................................... 891

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Atti del Vescovo

• Omelie Ogni uomo è mio fratello - Per la Giornata Mondiale della Pace ............................ 7L'hanno cercato e l'hanno trovato - Per la Messa dei popoli ..................................11Più vita più futuro - Per la Giornata per la Vita ............................................................14La vita consacrata nella Chiesa - Per la giornata della Vita consacrata .............16Questa parola è la vostra vita - Per Comunione e Liberazione .............................20Digiunare con il pane della Parola - Per la Quaresima ............................................23Per un'A.C. viva, forte e bella - S. Messa per l'Azione Cattolica Diocesana ........25Nel deserto con il pane della Parola - Per il conferimento dei ministeri istituiti ...

..................................................................................................................................28Un amore scandaloso fino alla follia - per la Domenica delle Palme .................31La gioia di essere cristiani e preti - Per la Messa Crismale ......................................33Prese il Pane e rese grazie - Per la celebrazione in "coena Domini" ...................36Si è offerto in espiazione - Per l'azione liturgica del Venerdì Santo .....................39Se Cristo non fosse risorto - per la Veglia Pasquale ...................................................42Ha liberato la nostra libertà - Per la Messa del giorno di Pasqua .........................45

• Lettere e Messaggi Lettera per il mercoledì delle Ceneri ...............................................................................50Lettera alla Missione Diocesana in Albania .................................................................51Nomina del presidente Azione Cattolica Diocesana ..................................................54Lettera per la Pasqua 2014 .................................................................................................55

• Decreti e nomine............................................................................................59

• Diario del Vescovo ........................................................................................65

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Omelie

Bollettino Diocesano 2014 - n.1

Parola maiuscola e fragile, fraternità è tra le parole più facili da capire, tra le più difficili da attuare. E papa Francesco quest'anno l'abbina a un'altra parola, anch'essa essenziale, preziosa, ma troppo spesso amara e drammatica: pace. Fraternità e pace: un binomio inscindibile, esigente e coinvolgente, che attra-versa tutta la storia dell'umanità. Già nella Genesi, la fratellanza è considerata una realtà costitutiva dell'umano, ma è realtà povera, contraddetta dall'istinto del male, dipinto come un cane rognoso, "accovacciato alla porta" di ciascuno di noi, e di cui Abele è la prima vittima innocente. Qualche decennio fa, l'o-pinione pubblica fu colpita dall'accorato richiamo di Paolo VI: "Ogni uomo è mio fratello" (1971). Vi si coglieva l'eco della Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo: "Tutti gli uomini nascono liberi e uguali nella dignità e nei diritti; essi sono dotati di ragione e di coscienza, e devono comportarsi gli uni gli altri come fratelli". Più vicino a noi, in occasione della sua morte, è stato rilanciato il grido pressante di Nelson Mandela: "Tutti siamo nati per essere fratelli". Fratelli, dunque, si nasce, ma la fraternità non è un semplice dato anagrafico: è una vocazione. Fratelli si diventa.

1. Dov'è tuo fratello?Dovrei ora proporre una sintesi del messaggio di Francesco, per la Giornata

della Pace. Mi piacerebbe seguire il papa nei sentieri invitanti e impegnativi da lui tracciati per mostrare come la fraternità riesca a sconfiggere efficacemente la povertà (nn. 5-6), come ci ottenga finalmente l'ambizioso risultato di spegne-re ogni guerra (n. 7), come contrasti drasticamente la corruzione e il crimine organizzato (n. 8). Ma con il poco tempo disponibile rischierei di compilare un riassuntino talmente schematico e scontato da risultare superfluo e, forse, per-fino banale. Non farei così un buon servizio né al papa né a voi.

Preferisco invece effettuare una sorta di 'ingrandimento' di un passaggio decisivo nel messaggio papale, quello in cui Francesco ci prende per mano e ci guida nella rilettura di una pagina biblica fondamentale "per comprendere me-glio la vocazione dell'uomo alla fraternità, per riconoscere più adeguatamente gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione e individuare le vie per il

Ogni uomo è mio fratello

La fraternità via della paceOmelia dal Vescovo nel corso della Messa per la Giornata Mondiale della PaceRimini, Basilica Cattedrale, 1 gennaio 2014

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Atti del Vescovo

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loro superamento". E' la pagina di Caino e Abele, a cui il papa dedica un intero paragrafo (n. 2).

Il racconto di Caino e Abele è di una incredibile densità emotiva. Narra la comparsa della fraternità sulla faccia della terra - in effetti è la prima volta, in assoluto, che nella Bibbia appare la parola 'fratello' - ma quella 'saga' vuole rispondere a una delle domande cruciali della storia umana: da dove viene la violenza? come mai un fratello diventa lupo per l'altro fratello? Lo sappiamo: Caino e Abele, come Adamo ed Eva, non sono personaggi storici, necessaria-mente esistiti. Sono degli archetipi, delle figure simboliche, in cui l'autore sacro retroproietta alle origini ciò che si presenta come esperienza generale della vita umana. Noi occidentali, quando vogliamo rendere ragione delle cause profon-de di certi fenomeni, ricorriamo a simboli spaziali. Diciamo, per esempio: "alla base di questo fenomeno", oppure: "alla radice di questo malanno", o ancora: "al fondo di questa situazione". Gli orientali invece adottano simboli temporali: "in principio", "all'inizio", "nei tempi primordiali".

Nella pagina di Caino e Abele, in forma narrativa, in chiave simbolica, con la rappresentazione di personaggi prototipici, si tenta una spiegazione del perché si scatena la violenza, questa tragica esperienza dell'umanità di ieri, di oggi, di sempre. Dopo la narrazione - anch'essa simbolica - della 'avventura sventurata' della prima coppia umana - l'Adamo e la Eva, ossia l'Uomo e la Donna - si passa alla rappresentazione emblematica della prima coppia di fratelli: Caino e Abele. I due sono ugualmente uomini, ugualmente figli, e sono pure reciprocamente fratelli. Ma tra i due fratelli si instaurano tre differenze. La prima è di ordine naturale: Caino è il primo, il maggiore, il figlio primogenito, con tutta la dignità che in antico rivestiva la primogenitura e con la sua conseguente superiorità sui fratelli minori. La seconda differenza è di tipo culturale: Caino è agricoltore, Abele è pastore. In verità noi sappiamo che i primi uomini non sono stati né pa-stori né contadini, ma cacciatori. Perciò la distinzione sta a dire che il racconto non ha pretese di storia obiettiva. La terza differenza tra i due fratelli è cultuale: "Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta".

Qui non immaginate quanti fiumi di inchiostro sono corsi per assolvere il Padreterno da ogni accusa di favoritismo e di arbitrarietà. Ad esempio, secondo sant'Ambrogio - sulla scorta di 1Gv 3,12 - Caino, a differenza di Abele, avrebbe offerto in ritardo ("trascorso del tempo") i frutti della terra e non le primizie, e quindi non sarebbe stato né sollecito con Dio, né generoso nelle offerte. La ri-sposta più giusta, accreditata dai commentatori più autorevoli, è semplicemen-te la seguente: Dio preferisce Abele, perché è il minore. Infatti Dio è così: parte sempre dagli ultimi. Preferisce Giacobbe ad Esaù, Isacco ad Ismaele, Giuseppe ai fratelli più grandi. Anche Davide fu scelto, proprio perché era il più piccolo. E' la logica del Magnificat: Dio rovescia i potenti, innalza gli umili; retrocede i primi in classifica, e gli ultimi li promuove in "serie A".

Ma a Caino questa logica non va giù. Non accetta la differenza. Si arrabbia con Dio, prova un rancore sordo e mostra livore in volto, fino ad uccidere il fra-tello e ad occultarne il cadavere sotto terra. Ecco perché la violenza è entrata

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Omelie

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nel mondo: perché non si sono accolte le differenze. Succede sempre così, e quando succede, allora, invece della convivialità delle differenze basata sulla comune identità filiale, si arriva ineluttabilmente al conflitto delle diversità. Al posto della collaborazione possibile, subentra la concorrenza fatale, si registra la più spietata competizione, fino alla più disumana, crudele contrapposizione.

2. "E voi siete tutti fratelli"Dopo Caino, la violenza ha registrato una escalation paurosa, tanto da toc-

care il tetto massimo con l'impennata di Lamech, il quale ha teorizzato la ven-detta non fino a sette volte come per Caino, ma fino a settantasette volte.

Gesù non solo ha azzerato la legge del taglione, ma ha detto a Pietro che bisogna perdonare non sette e neanche settantasette volte, ma fino a settanta volte sette. E ha insegnato pure ai suoi discepoli: "Uno solo è il Padre vostro, e voi siete tutti fratelli" (cfr Mt 23,8s).

Ora veniamo a Maria, di cui oggi celebriamo il titolo più importante, quello di Madre di Dio, in concomitanza con la Giornata della pace. Nella prospettiva di una autentica liturgia, che esce dal tempio ed entra nel tempo per sfociare nella storia, anche se non si può propriamente sostenere che la Giornata della pace abbia le sue origini nella festa della Madre di Dio, tuttavia occorre cogliere lo stretto rapporto tra le due ricorrenze. Un rapporto che potremmo sintetica-mente fissare così: se Cristo porta la pace, sua Madre non può essere assente da questo dono del Figlio. Infatti tutte le svolte della vita della santa madre di Dio, sono state le tappe di un cammino, in cui Maria fatto "scuola di pace".

Dall'annuncio di Gabriele e dal concepimento di Gesù, Maria ha imparato - e perciò ci può insegnare - che di Dio, di un Dio che si fa bambino, non c'è da aver paura. E' piuttosto del nostro io possessivo, vorace, aggressivo che c'è da aver paura. Perché Dio è Amore e vuole solo la pace e la piena felicità dei suoi figli.

Dalla nascita di Gesù, Maria ha imparato - e perciò ci può insegnare - che c'è modo e modo di annunciare la pace. C'è il modo di Augusto: quello di imporre la nostra pace agli altri. E c'è il modo di Cristo: quello di lasciarci imporre la pace da Dio, di imporla a noi stessi, di farla regnare nel nostro cuore, vincendo la cattiva radice da cui sprizza la scintilla di ogni discordia, si accende la fiamma di ogni conflitto, divampa l'incendio di ogni guerra: l'egoismo. Perché, se l'uomo vecchio non muore, l'uomo nuovo non nasce, non nasce l'uomo figlio della pace.

Dalla crescita di Gesù e dal suo ritrovamento al tempio, Maria ha impara-to e perciò ci può insegnare - che alla pace si viene educati se si cresce nella convinzione di dover obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, e che quando si curano gli interessi di Dio, tutto il resto ci viene dato in aggiunta. Perché la brama insaziabile delle ricchezze è la radice velenosa di tutti i mali.

Dall'attività pubblica di Gesù, Maria ha imparato - e perciò ci può insegnare - che non si può separare la verità su Dio che salva dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili. Perché i primi saranno ultimi, e gli ultimi primi.

Dal processo a Gesù e dalla sua passione, Maria ha imparato - e perciò

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Atti del Vescovo

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ci può insegnare - che il cristiano non è uno che si arrende all'ingiustizia, ma segue un'altra via per fare giustizia, sia nel privato che nel pubblico: la via della non-violenza. Perché chi di spada ferisce, di spada perisce.

Dalla morte in croce di Gesù, Maria ha imparato - e perciò ci può insegna-re - che "Cristo è la nostra pace, colui che ha fatto dei due popoli antagonisti irriducibili, ebrei e greci, un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l'inimicizia. Solo se si sbriciolano i muri della contrapposizione, con le loro macerie si possono costruiscono i ponti della comunione. Perciò ogni apartheid è escluso alla radice.

Dalla risurrezione di Gesù e dalla Pentecoste, Maria ha imparato - e perciò ci può insegnare - che il lievito di pace immesso da suo Figlio nella pasta della storia sostiene la speranza di una famiglia umana non più formata da popoli dominatori e popoli dominati, da oppressori e oppressi, ma composta da una umanità riconciliata in modo che tutti siano una cosa sola. Perciò non c'è più il vicino e il lontano, l'ebreo e il pagano, il privilegiato e l'escluso.

Benedetta Maria, tra tutte le donne! Benedetto il frutto del suo grembo, Cri-sto nostra pace! Benedetto il Signore che, mediante Maria, guida i nostri passi sulla via della fraternità e della pace!

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Omelie

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C'è un proverbio cinese che dice: "Se vuoi tracciare dritto il tuo solco, lega il tuo aratro ad una stella". I Magi non erano agricoltori: non lavoravano la terra, studiavano il cielo, ma non erano astronomi nel senso moderno del termine. Perciò non usavano né aratri né telescopi. Forse, in prima approssimazione, si potrebbero definire astrologi: ce ne parla san Matteo, in una pagina che però è un brano di teologia, non di astrologia. E' un vangelo, non diverso dal vangelo di Natale, ma è l'esplosione del lieto messaggio trasmesso nella Notte santa. In due parole, questa è la grande, bella notizia dell'Epifania: Dio ci ama e ci vuole felici: tutti. Fratello, Sorella, se cerchi Dio, stai contento: certamente lo incontre-rai; non devi romperti la testa né fasciartela prima di rompertela, perché Dio ha mandato suo Figlio a cercare proprio te. Se ti senti lontano da lui, non aver pau-ra: lui è venuto proprio per te e per quelli come te. I Magi lo hanno incontrato, perché lo hanno cercato. E lo hanno cercato perché si sono lasciati intercettare dalla "sua stella". E a quella stella hanno legato carri e cavalli. Ma, se leggiamo bene, il verbo cercare non è solo il titolo del primo episodio della loro storia; è il filo rosso di tutte le puntate della loro stupefacente avventura.

1. Cercare è rischiareMa cosa ha significato per i Magi cercare la Verità? e che cosa significa per

noi? Cercare la Verità significa interrogarsi e mettersi in questione. I Magi ve-

nivano da lontano, non appartenevano al popolo ebreo; molto probabilmente credevano a divinità astrali. Per essi quella piccola stella non era il simbolo della fede nel Dio unico, ma rappresentava una traccia del Mistero. E si sono messi in ricerca. Oggi, dopo la reazione dovuta alla illusione della dea-ragione e delle grandi ideologie, si respira un clima di vero e proprio scetticismo che porta il nome di "pensiero debole": la nostra ragione - si pensa e si dice - accusa una sostanziale impotenza ad accettare la fluidità e l'inafferrabile complessità del reale. E, a livello di mentalità diffusa, si registra una forma di tolleranza, fondata su questo ragionamento: ognuno ha il diritto di credere nella propria verità, dato che questa va bene per lui, ma nessuno può permettersi il lusso di dare in merito un giudizio sulle verità credute rispettivamente da ognuno di tutti quanti

L'hanno cercato e l'hanno trovato

II Magi hanno seguito la stella, ma non hanno incontrato una starOmelia dal Vescovo per la "Messa dei Popoli"Rimini, Basilica Cattedrale, Epifania 2014

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gli altri. Insomma non c'è niente di oggettivo, tutto è relativo, e la sola verità universalmente valida è la necessità di rispettarsi a vicenda. Solo che in questa prospettiva tutto si equivale. Se è la mia adesione a rendere valida una idea, come faccio a decidere a quale idea aderire? La scelta, a questo punto, diventa arbitraria. Ma così si abortisce sul nascere ogni tentativo di ricerca, si finisce per spegnere le domande di fondo, si arriva ad esorcizzare la crisi di senso, ci si ritrova schiavi della "dittatura del relativismo". Se fossero vissuti oggi i Magi e avessero tranquillamente aderito a questi teoremi, non si sarebbero certamen-te messi in cammino, e oggi noi non staremmo qui a celebrarne la memoria.

Cercare Dio significa uscir fuori. L'evangelista Matteo ci attesta che i Magi venivano "da lontano". Seguendo una tenue traccia nel cielo, hanno avuto il coraggio di lasciare la loro terra, di congedarsi dalle loro case, di salutare le loro comode abitudini, per rintracciare una risposta alle domande più impervie della mente e del cuore. Hanno avuto la libertà di 'uscir fuori' dal cerchio caldo di rassicuranti legami affettivi, ma anche da schemi mentali cristallizzati, da certezze ormai acquisite, dai facili slogan in circolazione. Cercare significa met-tersi in cammino, percorrere strade ignote e sentieri pericolosi, con intelligenza d'amore.

Cercare Dio significa rischiare: rischiare di sbagliare strada, tempi, soste, informazioni, equipaggiamento, e alla fine rischiare di fallire la meta. I magi non hanno avuto paura di sbagliare. In effetti hanno sbagliato città: sono andati a finire a Gerusalemme, anziché a Betlemme; hanno sbagliato consiglieri: si sono fidati del soggetto meno affidabile di tutti, come Erode; a un certo punto hanno anche smarrito l'unica guida sicura, la stella.

Cercare Dio significa lasciarsi sorprendere: i Magi hanno seguito la stella, ma alla fine non hanno trovato una star, un v.i.p., un divo della politica, delle finanze, dello spettacolo. Forse si aspettavano di bussare a una reggia e si tro-vano davanti a una misera baracca sgangherata; forse si illudevano di vedere un re-fanciullo con tanto di scettro e di corona, di forzieri sfavillanti e di impettite guardie d'onore. Uno che tenesse in mano tutti. Invece si ritrovano un bambino che si mette nelle mani di tutti. Un bambino del tutto normale, con qualche straccetto addosso, forse anche maleodorante di latte e di puerizia.

Cercare Dio significa fidarsi e affidarsi: significa seguire i ripidi sentieri dell'audacia e della fiducia. Perché di Dio ci si può fidare: lui non fa il latitante, non si rende irreperibile, non gioca mai a nascondino, ma si lascia sempre tro-vare da chi lo cerca con cuore sincero. Anzi quando lo si incontra, ci si rende conto che era stato lui il primo a cercarci e a metterci in cuore il segreto desi-derio di poterlo abbracciare.

2. Una Chiesa per quelli di fuoriMa noi, che ci autodefiniamo credenti, a chi rassomigliamo? Non penso,

certamente, ad Erode: il suo ghigno è talmente beffardo e ripugnante che lo respingiamo al mittente, anche al solo sentirne parlare. Ma ci dovremmo since-ramente interrogare se per caso non rassomigliamo alla casta degli scribi e dei sadducei di Gerusalemme: gente che sa a memoria la risposta esatta, che può anche conoscere i passi biblici sul Messia, ma non si scomoda per andarlo a ri-

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Omelie

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conoscere. Gente che muove gli occhi sulle Scritture, ma non muove i piedi per andare incontro alla Parola incarnata nelle Scritture. Oh, per carità, noi, certo, veniamo incontro a questa Parola, se è vero che siamo usciti di casa e siamo venuti a messa per ascoltare la Parola incarnata. E tra poco ci muoveremo in processione per venire qui a fare la comunione. Ma se facciamo la comunione con il Pane eucaristico e poi non condividiamo il pane quotidiano con chi non ce l'ha, questa comunione è veramente un mangiare la cena del Signore oppure è un ingoiare la nostra condanna?

Se poi con questi fratelli condividiamo le preghiere ma non le pene, se poi spartiamo la liturgia ma non la vita, se poi non facciamo nostro l'impegno per rivendicare i loro sacrosanti diritti, se poi apriamo loro le porte della chiesa ma non le porte di casa, allora a chi lo andiamo a dire che noi siamo tutti fratelli?

Riconosciamolo: abbiamo comunità chiuse, che scoprono la loro missio-narietà verso i 'lontani' di tanto in tanto. E quando diciamo 'lontani', in genere pensiamo a quelli che si sono allontanati, mentre dovremmo pensare anche a quelli che sono stati da noi allontanati. Comunque, cosa stiamo facendo per "quelli di fuori" (cfr Col 4,5) che pure ci si fanno vicini, in occasione di richieste di funerali, di battesimi, di iscrizione dei figli al catechismo...? Ecco, sappiamo valorizzare "ogni occasione" (ivi) per aiutare questi fratelli e sorelle a riscoprire la bellezza della fede cristiana con la proposta del primo o secondo annuncio del vangelo? Ci ricordiamo che noi cristiani siamo solo di Cristo, ma Cristo non è solo di noi cristiani?

Forse, a questo punto, ci conviene sostare e affidare pensieri e domande ai versi di questa stupenda preghiera: Magi, voi siete i santi più nostri, /naufraghi sempre in questo infinito, /eppure sempre a tentare, a chiedere, / a fissare gli abissi del cielo, / fino a bruciarsi gli occhi del cuore (Turoldo).

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La speranza è una medaglia a due facce. Da un lato porta scritto: Finché c'è vita, c'è speranza. Dall'altro: Finché c'è speranza, c'è vita. Il vecchio Simeone non solo spera perché è ancora al mondo, ma soprattutto è ancora al mondo perché spera. La speranza, che questo "uomo giusto e pio" si porta in cuore, è figlia della promessa preannunciatagli dallo Spirito Santo: "che non avrebbe vi-sto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore". Oltre che figlia della promessa, la speranza di Simeone, è anche sorella della memoria: la memoria di una salvezza già sperimentata da Israele, perché il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Signore di Mosè, di Davide e Isaia non è mai rimasto insensibile al grido di dolore che di volta in volta gli è salito dal suo popolo. Questo vegliardo dagli occhi ardenti è una palpitante icona della tenace speranza dell'umanità, perché si porta dentro un cuore forte e giovane: alla sua età nutre ancora l'in-vincibile audacia di "aspettare la consolazione di Israele".

1. Oggi, Giornata per la Vita. La celebriamo sullo sfondo di un quadro che è un autentico inno alla vita. Quello pennellato da Luca, è un quadro suggestivo, carico di messaggi. La vita sta al centro: nel piccolo Bambino presentato da Maria e Giuseppe, in quel fazzoletto di carne che scalcia e sussulta tra le braccia di Simeone si concentra in germe il futuro di un mondo nuovo. Ma per vivere, la vita ha bisogno di essere accolta nel cerchio caldo di una solidarietà intensa, un amore vibrante di grato stupore. Come nella scena del tempio, immagine tipo di ogni nostra famiglia.

Alla Federazione internazionale dei medici cattolici, lo scorso 20 settembre 2013, papa Francesco ha detto che "ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù". Nell'esortazione aposto-lica Evangelii gaudium, il papa riconosce che taluni ridicolizzano la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri presentando la sua posizione come qualco-sa di oscurantista e conservatore. Francesco ribadisce che "la difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano" e che un essere umano "è un fine a se stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficol-tà". I bambini nascituri, che sono i più indifesi, fanno parte di quella cerchia di deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, perché si cerca di negare loro la dignità umana per poterne fare ciò che si vuole (cfr n. 213).

Forti le due affermazioni nel documento del vescovo di Roma: egli sotto-linea che "non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando

Più vita più futuro

Omelia del Vescovo nel corso della Messa per la Giornata per la vitaRimini, Basilica Cattedrale, 1 febbraio 2014

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Omelie

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una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l'aborto si presenta come una rapida soluzione alle loro profonde angustie, partico-larmente quando la vita che cresce in loro è sorta come conseguenza di una violenza o in un contesto di estrema povertà" (n. 214).

In questi ultimi decenni, l'uomo ha messo le mani sulla vita, ma ha perso di vista il senso e il valore irrinunciabile dell'esistenza umana. Scriveva don Primo Mazzolari nella sua opera Il compagno Cristo: "Manovali, inesperti e supponen-ti, pretendiamo di saper manovrare il delicatissimo congegno della vita, senza tener conto di Colui che l'ha messa insieme dal nulla, e nelle nostre mani si spezzano i nostri più alti destini. Non Dio, ma l'uomo fa paura; non il comanda-mento di Dio, ma il comandamento dell'uomo".

Un cantautore recentemente scomparso ha dichiarato che la vita "è sempre importante, non soltanto quando è attraente ed emozionante, ma anche quan-do si presenta inerme e indifesa. L'esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e dovunque. Salvare una vita è come salvare il mondo. Ci vorrebbe una carezza del Nazareno" (Enzo Iannacci).

Oggi è urgente superare la "cultura dello scarto", che schiavizza il cuore e l'intelligenza di tanti: essa richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente più deboli. La risposta quindi è un deciso sì alla vita, un sì senza se e senza ma. Il primo diritto di una persona umana è quello alla vita, che è un bene fondamentale, alla base di ogni altro diritto.

2. Ma è indispensabile andare alla radice di questa "peste che vaga nelle tenebre" di un mondo, il nostro europeo, sempre più obeso e depresso. E' la pandemia dell'individualismo: si privilegiano i diritti individuali e si scartano quelli comunitari. Si finisce così per sbilanciarsi sulla inarrestabile china di un baratro spaventoso e disperante: diritti per ciascuno e futuro per nessuno.

Ancora una volta la Chiesa, ben lungi dal rimanere ancorata a un passato remoto e rimosso, ben lungi dal restare "fissata" su valori che alcuni ritengono superati e ormai archiviabili, la comunità cristiana guarda avanti e ricorda che i figli sono il futuro. Una verità che, però, si deve tradurre in impegni concreti. Le strade per farlo sono molteplici. Da quella, sul piano pubblico e politico, dell'iniziativa Uno di Noi intrapresa dai cittadini di 28 Paesi europei - con circa 2 milioni di firme raccolte a favore della tutela dell'embrione - a quelle più sociali e familiari del sostegno e dell'aiuto perché "la nostra società ha bisogno, oggi, di solidarietà rinnovata, di uomini e donne che la abitino con responsabilità. E siano messi in condizione di svolgere il loro compito di madri e padri, impegnati a superare l'attuale crisi demografica e, con essa, tutte le forme di esclusione". Un'esclusione che tocca, in particolare, chi è ammalato e anziano, magari con il ricorso a forme mascherate di eutanasia" (dal Messaggio dei Vescovi italiani).

Un popolo che non si prende cura degli anziani, dei bambini e dei giovani è una società senza futuro, un popolo condannato ad attraversare un freddo, triste inverno, senza poter vedere i germogli di una primavera che un giorno dovrà pur fiorire. Che l'alba di quel giorno non tardi ad arrivare!

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Quale impareggiabile fortuna, quel giorno, per il povero, vecchio Simeone! Aveva passato la vita a sognare il Messia. Per anni e anni avrà accarezzato il desiderio di poter assistere al suo ingresso trionfale nel tempio di Gerusalem-me. Ma poi il sogno aveva assunto i contorni della promessa più affidabile, da quando lo Spirito Santo in persona gli aveva garantito che non sarebbe morto senza aver prima visto l'Unto del Signore. E chissà come se lo sarà immagi-nato, Simeone, il Messia d'Israele: come un re devoto e fedele quale il santo re Davide? o paludato della sfavillante armatura di un eroe guerriero roccioso e imbattibile? oppure come un sommo sacerdote, dal portamento ieratico e impeccabile? Ma forse, vista la sua indole umile e pacifica, se lo sarà rappre-sentato semplicemente come un pastore, con addosso il buon odore acre, ma gradevole, delle pecore. Passano giorni, mesi, anni, e Simeone non si stanca di aspettare. E' un vero figlio di Abramo, capace di sperare contro ogni speranza, disponibile a lasciarsi sorprendere da un Dio abituato a superare se stesso. Ed ecco, scocca l'ora dell'appuntamento: "mosso dallo Spirito" Simeone si reca al tempio. La promessa si compie come una imprevedibile sorpresa: il Messia è proprio lui, quel piccolo bambino portato in braccio dalla sua povera, giovane Madre. Così, l'incontenibile desiderio del vegliardo si realizza in una cornice di stupefacente umiltà, fino a liberare la vita dalla faticosa speranza che l'ha tenuta accesa, fino a invocare il sonno pacificato di sorella morte dopo l'inter-minabile attesa. In quel bambino, che gli scalcia tra le braccia come tanti, che piange e dorme e si succhia il dito come tutti, gli occhi di Simeone vedono e riconoscono la "salvezza fatta carne". Anche Anna, la profetessa, esce dall'om-bra e appare come la figura di Israele, la sposa del Signore, che attende il suo Cristo, il re-Messia.

1. Simeone e Anna, icone di speranza, modelli di attesa. Non sono forse proprio l'attesa e la speranza i parametri della vostra vita, sorelle e fratelli con-sacrati? Oggi però sembra che non sia più il tempo della speranza, ma della frustrazione; non più l'ora dell'attesa, ma della più amara delusione.

Quelli di noi più avanti negli anni erano arrivati alla professione con il vento alle spalle: era il vento impetuoso del post-Concilio che ci aveva fatto sognare in grande. Il futuro veniva da noi guardato con ottimismo. Ci si batteva per una Chiesa più povera e carismatica, più incarnata e fraterna, libera dal trionfalismo, dall'autoritarismo, dal clericalismo. I giovani che ci hanno seguito

La vita consacrata nella Chiesa

Una riforma per via di santitàOmelia tenuta dal Vescovo nella messa per la Giornata della Vita consacrataRimini, Basilica Cattedrale, 2 febbraio 2014

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si sono progressivamente ridotti di numero, fino agli attuali che ci pongono e con i quali ci poniamo domande brucianti: i nostri carismi sono attuali? la vita consacrata cosa rappresenta nella Chiesa? ha ancora qualcosa da dire? avrà un futuro? i nostri giovani reggeranno al nostro genere di vita?

Ma poi l'anno scorso "venne un uomo mandato da Dio", J.M. Bergoglio, chiamato Francesco, il nuovo vescovo di Roma. Penso che sia determinante per il rinnovamento della vita religiosa lasciarci percuotere dal vento riforma-tore che, con l'avvento del nuovo papa, ha fortemente investito la Chiesa e che - non possiamo dubitarne - è il vento del Concilio e proviene dallo Spirito Santo. Nella sua prima esortazione apostolica, Evangelii gaudium - non ho tro-vato riferimenti diretti ed espliciti alla vita consacrata, ma tenendo presente lo spirito di fondo che la ispira, penso che la vita consacrata possa e debba assi-curare alla Chiesa quella riforma che si potrebbe chiamare "per via di santità". L'espressione risale a un classico della teologia cristiana, un libro pubblicato negli anni '50, quindi prima del Concilio, a firma di Y. Congar, intitolato "Vera e falsa riforma della Chiesa".

2. Come modello della vera riforma della Chiesa "per via di santità", vi si addita Francesco d'Assisi. E, visto che papa Francesco, proprio dal Poverello ha voluto prendere il nome, per intraprendere il sentiero della "riforma della Chiesa in uscita missionaria", anche noi vogliamo ripartire da Francesco. Ma per capire qualcosa dell’avventura di questo santo, bisogna ricominciare dalla sua conversione. Di tale evento esistono, nelle fonti, diverse descrizioni con notevoli differenze tra di loro. Per fortuna abbiamo una fonte assolutamente affidabile che ci dispensa dallo scegliere tra le varie versioni. Abbiamo la testi-monianza di Francesco stesso nel suo Testamento. Scrive:

Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quan-do ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.

Gli storici insistono giustamente sul fatto che Francesco, all’inizio, non ha scelto la povertà e tanto meno il pauperismo; ha scelto i poveri! Il cambiamen-to avvenuto in Francesco sarebbe motivato più dal comandamento: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, che non dal consiglio: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Era la com-passione per la povera gente, più che la ricerca della propria perfezione che lo muoveva, la carità più che la povertà.

Tutto questo è vero, ma non tocca ancora il fondo del problema. È l’effetto del cambiamento, non la sua causa. La scelta vera di san Francesco fu molto più radicale: non si trattò di scegliere tra ricchezza e povertà, né tra ricchi e poveri, tra l’appartenenza a una classe piuttosto che a un’altra, ma di scegliere tra se stesso e Dio, tra salvare la propria vita o perderla per il Vangelo.

Il motivo profondo della sua conversione non è di natura sociale, ma evan-gelica. Gesù ne aveva formulato la legge una volta per tutte con una delle frasi

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più solenni e più sicuramente autentiche del Vangelo:

“Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi se-gua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà” (Mt 14, 24-25).

Francesco, baciando il lebbroso, ha rinnegato se stesso in quello che era più “amaro” e ripugnante alla sua natura. Ha fatto violenza a se stesso. Il parti-colare non è sfuggito al suo primo biografo che descrive così l’episodio:

“Un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò. Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la mi-sericordia del Redentore ottenne piena vittoria”.

Francesco non andò di sua spontanea volontà dai lebbrosi, mosso da uma-na e religiosa compassione. “Il Signore, scrive, mi condusse tra loro”. È su questo piccolo dettaglio che gli storici non sanno – né potrebbero – dare un giudizio, ed è invece all’origine di tutto. Gesù aveva preparato il suo cuore in modo che la sua libertà, al momento giusto, rispondesse alla grazia. Pur senza pensare che si trattasse di Gesù in persona sotto le sembianze di un lebbroso, in quel momento il lebbroso per Francesco rappresentava a tutti gli effetti Gesù. Non aveva egli detto: “L’avete fatto a me”? In quel momento ha scelto tra sé e Gesù.

Tutto questo ci obbliga a correggere una certa immagine di Francesco resa po-polare dalla letteratura posteriore e accolta da Dante nella Divina Commedia. La famosa metafora delle nozze di Francesco con Madonna Povertà che ha lasciato tracce profonde nell’arte e nella poesia francescane può essere deviante. Non ci si innamora di una virtù, fosse pure la povertà; ci si innamora di una persona. Le nozze di Francesco sono state, come quelle di altri mistici, uno sposalizio con Cristo (R. Cantalamessa).

3. Ai compagni che gli chiedevano se intendeva prendere moglie, veden-dolo una sera stranamente assente e luminoso in volto, il giovane Francesco rispose: “Prenderò la sposa più nobile e bella che abbiate mai vista”. Questa risposta viene di solito male interpretata. Dal contesto appare chiaro che la sposa non è la povertà, ma il tesoro nascosto e la perla preziosa, cioè Cristo. “Sposa, commenta il Celano che riferisce l’episodio, è la vera religione che egli abbracciò; e il regno dei cieli è il tesoro nascosto che egli cercò”. Francesco non sposò la povertà e neppure i poveri; sposò Cristo e fu per amor suo che sposò, per così dire “in seconde nozze” Madonna povertà. Così sarà sempre nella san-tità cristiana. Alla base dell’amore per la povertà e per i poveri, o vi è l’amore per Cristo, oppure i poveri saranno in un modo o nell’altro strumentalizzati e la povertà diventerà facilmente un fatto polemico contro la Chiesa, o una osten-tazione di maggiore perfezione rispetto ad altri nella Chiesa, come avvenne, purtroppo, anche tra alcuni dei seguaci del Poverello. Nell’uno e nell’altro caso, si fa della povertà la peggiore forma di ricchezza, quella della propria giustizia.

Yves Congar vede in ciò una delle condizioni essenziali della “vera riforma” nella Chiesa, la riforma, cioè, che rimane tale e non si trasforma in scisma: vale a dire la capacità di non assolutizzare la propria intuizione, ma rimanere solidale con il tutto che è la Chiesa. La convinzione, dice papa Francesco, nella

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sua recente esortazione apostolica Evangelii gaudium, che “il tutto è superiore alla parte”.

Quello additato da Francesco d'Assisi è un traguardo difficile - chi vi parla è lontano dall’esservi giunto - ma la vicenda di Francesco, ci mostra cosa può nascere da un rinnegamento di sé fatto in risposta alla grazia. Il premio è la gioia di poter dire con Paolo e con Francesco: “Non sono più io che vivo, Cristo vive in me”. E sarà l’inizio della gioia e della pace, già su questa terra. France-sco, con la sua “perfetta letizia”, è l’esempio vivente della “gioia che viene dal Vangelo”, l’Evangelii gaudium.

Preghiamo ed operiamo perché il profumo della vostra "perfetta letizia" continui a farsi respirare a pieni polmoni nella nostra Chiesa, carissime Sorelle e cari Fratelli!

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Il vangelo della croce è "il" vangelo: punto. E' il baricentro insostituibile di tutto il vangelo, la sorgente sempre fresca e zampillante dell'acqua della vita, il nucleo dinamico e generatore di quel "quinto evangelo" che deve essere riscrit-to a puntate, brano a brano, da ogni generazione cristiana. E il centro del centro del vangelo della croce è rappresentato da quel versetto inesorabile, che ci met-te in presa diretta con il Maestro e spiazza anche gli uditori meglio schermati: "Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mc 8,34). Se si riuscisse a cancellare dal vangelo questa parola dura quanto una pietra, ma di quelle pietre da cui si cava il fuoco, di colpo il volto di Gesù risulterebbe annebbiato e indecifrabile.

1. Il mondo pensa: "Quanto sarebbe bella la vita senza la croce". E anche i cristiani più patentati tirano un sospiro tra il sottomesso e il rassegnato: "Ma non si potrebbe proprio fare a meno della croce?!". In effetti solo quei discepoli di Cristo che puntano sulla misura alta della vita cristiana, la santità, hanno il coraggio - e sperimentano la gioia! - di sfidare il giudizio della sapienza umana che li vorrebbe far passare per folli e "fissati", per gente malsana e malata di inguaribile masochismo.

Ma non è tanto sulla parola della croce che vorrei riflettere con voi stasera, sorelle, fratelli, amici di CL, quanto più in generale proprio sulla Parola: sull'in-calcolabile tesoro e sulla indescrivibile importanza della parola di Dio, in questo anno dedicato dalla nostra diocesi alla Parola scritta e proclamata con la voce e con la vita: "Affamati .

Domandiamoci: cosa è questa Parola? Formulata così, la domanda è scor-retta. La parola di Dio non è un che, è piuttosto un chi. Ce lo dice proprio la liturgia della Parola. All'inizio della Messa si è snodata la processione d'ingresso, con particolare solennità. I segni liturgici - lo sappiamo - sono molto espressivi. A cominciare dal libro in cui è contenuta la parola di Dio che ogni volta viene proclamata. La Chiesa in tutta la sua tradizione ha sempre avuto una particolare venerazione e ha costantemente tributato grande onore al libro che contiene la Parola di Dio. Non ne ha mai fatto un foglietto che si stropiccia e poi si butta nel cassonetto della carta straccia, o un libretto instant-book, usa e getta, ma ha custodito con gelosa premura un libro degnamente e talora artisticamente con-fezionato, qualche volta racchiuso entro copertine preziosissime. Perché? Per-ché questo libro è come un tabernacolo, che contiene la parola di Dio scritta,

Questa parola è la vostra vita

Omelia tenuta dal Vescovo nella Messa per C.L.Rimini, Basilica Cattedrale, 21 febbrai 2014

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attraverso la quale Dio stesso ci parla. Ecco perché, nel monumentale scrigno di pietra qual è la nostra splendida, inimitabile cattedrale, la messa del Vescovo si apre normalmente con una processione regale: il diacono, scortato dalle luci accese dei due candelieri, porta l'evangeliario che tiene elevato, presentandolo alla vista di tutti. Perché tanto scialo di onore e venerazione? Perché questo libro contiene il cuore delle sante Scritture che ci tramandano la parola di Dio. Il libro poi non viene parcheggiato sopra un qualche sgabello: viene invece collo-cato sull'altare, che è il cuore della Chiesa e, al momento del canto al vangelo, viene intronizzato sull'ambone, perché rappresenta il Cristo re e signore dell'as-semblea liturgica. Un teologo importante del XII secolo scriveva: "Tutta la divina Scrittura è un solo libro e quel libro è Cristo stesso" (Ugo di san Vittore), perché tutte le Scritture parlano di lui e trovano in lui il loro eccedente compimento. Ecco perché la proclamazione del vangelo sarebbe bene concluderla non con un frettoloso e biascicato "Lode a te, o Cristo", ma con un'acclamazione can-tata, preferibilmente ripetendo l'Alleluja. Perché se all'inizio la proclamazione si è aperta con la formula di rito: "In quel tempo Gesù disse...", l'acclamazione conclusiva dell'assemblea sta a dire: "Viva il Signore che ora, in questo nostro tempo, ci ha detto...". In altre parole, è come dire: Oggi abbiamo udito la voce del Signore. Oggi, si è ri-presentato a noi l'avvenimento che si è realizzato in quel tempo...

2. Ma, per penetrare ancora di più l'importanza "extra large" della Bibbia nella Chiesa e nella vita, ripercorriamo quel trittico di immagini policrome, mi-niate proprio dalla Bibbia per parlare di se stessa: una lampada su un sentiero buio, la pioggia che scende dal cielo su un terreno arido e stepposo, una spada tagliente che penetra a fondo nella carne viva. Sono tre immagini scintillanti con cui la parola di Dio si autodefinisce nella Bibbia. Il Salmo 119, monumen-tale cantico della legge-parola del Signore, vede l'esistenza dell'uomo come una strada inghiottita dal buio. Ma a un certo punto, ecco una luce che sfavilla: "Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino". Nel rotolo del profeta Isaia - è la seconda immagine - si disegna il panorama di una terra bruciata dal sole. Ma poi, nella stagione delle piogge, questa distesa secca e screpolata viene abbeverata da abbondanti piovaschi e da fitti manti di neve, e così la terra è come percorsa da un fremito di vita:

"Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata" (Is 55,10s).

Quella solenne e raffinata omelia della Chiesa delle origini qual è la Lettera agli Ebrei contempla - è la terza immagine - la comunità cristiana esposta alla pericolosa tentazione di scivolare nelle sabbie mobili dello scoraggiamento, del pessimismo sterile, di una amara, infeconda nostalgia. Ecco allora la provoca-zione violenta di una spada che penetra e sconvolge:

"La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore" (Eb 4,12).

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La Bibbia, quando l'apriamo, deve quindi trasformarsi per noi in lampada che arde, in acqua viva che feconda la terra, in spada affilata e penetrante. Ma perché questo avvenga, è necessario che si realizzi il motto caro all'Associazio-ne Biblica Universale, di cui fanno parte cattolici, ortodossi ed evangelici: "Non basta possedere la Bibbia, bisogna anche leggerla. Non basta leggere la Bibbia, bisogna anche pregarla. Non basta pregare la Bibbia, bisogna anche viverla".

3. In conclusione, permettetemi di invitare me e voi, cari fratelli e sorelle di CL, a lasciarci percuotere dalle parole infuocate di papa Francesco che ormai conosciamo, stimiamo e tanto amiamo. Ne "La gioia del vangelo" Francesco ha scritto che nella predicazione si verifica spesso una vistosa sproporzione "quan-do si parla più della Chiesa che di Gesù Cristo, e più del Papa che della Parola di Dio" (EG 38). E per farci capire che Dio non ha ispirato la Bibbia per farla stu-diare dai biblisti, ma perché tutti noi suoi figli possiamo ascoltare, comprendere e vivere la sua parola, Francesco ha affermato pari pari: "Lo studio della Sacra Scrittura deve essere una porta aperta a tutti" e tutti devono acquisire una assi-dua "familiarità con la Parola di Dio", ricordando però che questo esige che "le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria" (EG 175).

Cari amici di CL, voi lo sapete: il vescovo si fida di voi e affida alla vostra con-vinta, appassionata fedeltà al vescovo di Roma e al vescovo di Rimini - in questo anno dedicato dalla nostra diocesi alla parola di Dio - l'impegno di accogliere l'appello incalzante di papa Francesco, perché la parola di Dio venga accolta con generosa disponibilità, venga annunciata con mitezza e franchezza evangelica, venga vissuta con coerente trasparenza, nella certezza che ci fa ardere il cuore: "Questa parola è la vostra vita", dice Mosè a Israele, l'antico popolo di Dio (Dt 32,47).

"Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata", dice Francesco al nuovo Israele di Dio (EG 175).

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La Quaresima non è un pedaggio che noi paghiamo a Dio, ma un regalo che Dio fa a noi. E che regalo! Dio Padre ci convoca nella sua Chiesa e ci invita a seguire Gesù nel deserto. Se avesse ceduto alle seduzioni del grande Tentatore, Gesù non sarebbe andato a finire sulla croce: sarebbe morto di vecchiaia e noi saremmo morti senza speranza. Ma Gesù ha vinto la tentazione soprattutto con due armi: il digiuno ("Non mangiò nulla in quei giorni") e il ricorso alla parola di Dio ("Sta scritto"). Il digiuno quaresimale - sappiamo bene non è tanto il digiuno corporale (l'astinenza dal cibo), quanto quello spirituale: digiunare dal mondo, ossia dalla mentalità individualista e consumista di questo mondo. Ma soprattutto digiunare da se stessi, dal proprio io: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso" (Lc 9,23). Ecco il vero digiuno ed ecco la vera dieta quaresimale: rinnegare il proprio io - l'io dell'uomo vecchio, egoista e peccatore - per nutrirsi di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. In questo anno dedicato nella nostra Diocesi alla parola di Dio, è proprio su questo fattore irrinunciabile del cammino quaresimale che vorrei attirare la vostra attenzione.

1. Il nostro Dio non è un presente... assente. Non è come gli idoli dei pagani, che rassomigliano tanto ai tabelloni della pubblicità: "hanno bocca e non parlano". E' vero: il nostro Dio non ha bocca e lingua come noi, eppure parla e ci interpella, comunica e si rivela. Siamo noi che, pur avendo orecchi sempre aperti, pur disponendo di sofisticati apparecchi auricolari e di potenti antenne paraboliche, non ci poniamo in ascolto della sua voce. Una voce lieve come il fruscio di una soffice brezza, e forte come lo scoppio di un irresistibile uragano.

Facciamoci ora aiutare da un'altra pagina del vangelo: la parabola del Seminatore, in cui il Maestro ci disegna l'avventura della Parola nel nostro cuore. E' la vicenda del seme: se cade su un cuore indurito, non attecchisce; se attecchisce, per colpa dei sassi non cresce; se cresce, è soffocato dai rovi; ma se trova un terreno umile e fertile come il cuore di Maria di Nazaret, si sviluppa e porta frutto. Sono dunque quattro le possibilità della Parola segnalate dalla parabola del seminatore e che sinteticamente possiamo siglare con altrettante espressioni qualificative: la Parola rubata; la Parola perseguitata; la Parola soffocata; la Parola abbracciata.

La prima situazione - simboleggiata nella strada - è quella della Parola rubata: quando il cuore diventa duro come la terra battuta, come una via lastricata dal buon senso, dalle ideologie alla moda, dal "così fan tutti" e dai tanti luoghi

Digiunare con il pane della Parola

Messaggio del Vescovo per la QuaresimaRimini, Basilica Cattedrale, 5 marzoo 2014

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comuni in circolazione, allora piomba Satana, ci scippa il seme della Parola, e fa ostruzionismo alla sua potenziale fecondità. Fin dall'Eden delle origini, il Maligno è il tenebroso maestro del sospetto. Ci inocula il dubbio che Dio con la sua Parola voglia incastrarci, imponendoci il peso di leggi soffocanti e di doveri insostenibili. Ci seduce con astuzia maliarda e ci induce a pensare che quella di Dio è una Parola troppo alta per arrivare ad incarnarla nella nostra storia, meschina e melmosa. Il principe del mondo è il ladro matricolato della Parola: ce la sottrae anche facendoci semplicemente ritenere che, in fondo, l'abbiamo ascoltata tante volte, ma non è cambiato niente. Del resto, abbiamo già troppe cose a cui badare, troppa fame di pane da spegnere, troppe preoccupazioni e affanni da sostenere.

2. La seconda situazione - raffigurata nel terreno sassoso - indica la Parola perseguitata. Dopo un primo ascolto entusiasta ma superficiale, al sopraggiungere dell'avversità o della persecuzione, la debole fiammella della fede comincia a tremolare e finisce per spegnersi del tutto. In effetti, se nell'ascoltare la Parola subito ci si accende, ma poi non si offre un terreno fertile al seme del Vangelo, inevitabilmente si inciampa nei sassi delle contrarietà e non si ha la forza di affrontare la fatica che le dure esigenze della sequela comportano.

Il terzo tipo di terreno - pieno di erbacce e di rovi - designa quella che si potrebbe chiamare la Parola soffocata. Ciò che qualifica questo terzo tipo di ascoltatori non è tanto la fragilità di carattere, l'entusiasmo e lo scoraggiamento facile, ma l'eccesso di interessi ingombranti e di corrispondenti preoccupazioni. Nel loro cuore e nella loro vita la Parola "soffoca", perché non trova spazio e manca di aria. Le allettanti seduzioni mondane o le passioni esorbitanti - il proprio comodo, il proprio successo, la propria immagine - si insinuano in questi credenti con subdola prepotenza e inducono al compromesso: salvare capra e cavoli, conciliare le esigenze della conversione con gli idoli del proprio avere, godere, potere.

Infine, ecco il quarto tipo di ascoltatori, quelli che potremmo racchiudere nell'immagine della Parola abbracciata. Il verbo greco che indica l'accoglienza della Parola non è quello per i terreni precedenti, un verbo comune, un po' scialbo (lambanein, prendere, ricevere), ma paradechomai, accogliere: ospitare con amicizia, a cuore aperto, abbracciare senza condizioni e senza riserve, come lo sposo abbraccia la sposa. Sono i credenti che ascoltano, accolgono e portano frutto. Come Maria, la perfetta credente, che ha accolto il Figlio di Dio, la Parola in persona, ha offerto il grembo in cui "si raccese l'amore" e il Verbo si è fatto carne.

Preghiamo: "Padre misericordioso, il tuo Figlio si è fatto parola ispirata nelle sante Scritture e parola incarnata nel grembo di Maria. Tu hai bisogno degli uomini per rivelarti, e resti muto senza la nostra voce. Donaci il tuo Spirito perché ci renda docili ascoltatori della tua Parola, gioiosi annunciatori e testimoni credibili del Vangelo che salva".

Che Maria, l'umile serva della Parola, ci tenga buona compagnia nel cammino verso la Pasqua.

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Gesù di Nazaret è un vero uomo, non un super-uomo. No, non è un Superman, che “non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa, come noi, escluso il peccato” (Ebr 2,18). La sua umanità non è uno scafandro impermeabile che avvolge e nasconde la sua divinità. Anzi ne è la più limpida trasparenza. Gesù non è morto come un eroe senza macchia e senza paura, ma, piuttosto, come l’anti-eroe, che ha letteralmente sperimentato su di sé l’angoscia, la paura e il turbamento di fronte alla croce. L'antifona di questa liturgia canta con squilli di vittoria: “Per noi ha sofferto tentazione e morte”. La prova, la tentazione, la morte è il test più attendibile dell'umanità verace del Figlio di Dio, un uomo 'umano-umano', non nonostante sia, ma proprio perché è, la sua, l'umanità di Dio.

1. L’episodio delle tentazioni nel deserto è molto di più che un... episodio. Il triplice racconto dei sinottici è fondato su un dato storico, assolutamente ininventabile: mai la comunità cristiana si sarebbe permessa di "creare" una serie di episodi in cui Cristo appare sottoposto alla tentazione di Satana. Un avvenimento, dunque, è la dura prova giocata nel deserto, e più che un avveni-mento. E’ un "vangelo": un evento che contiene un messaggio di salvezza per noi, un'autentica buona notizia: Gesù è stato tentato da Satana come noi ed è risultato vincitore per noi. La sua tentazione è stata una seduzione da parte del Maligno, ma, poiché l’iniziativa e la ‘regia’ della prova è stata diretta dallo Spirito Santo – è lui che ha ‘condotto’ o addirittura ‘sospinto’ Gesù nel deserto (Mt 4,1; Mc 1,12) - quella prova è risultata una chance per Gesù di ribadire la sua ade-sione al disegno del Padre sulla propria vita. In questa assemblea liturgica che si celebra in coincidenza con l'assemblea elettiva dell'AC diocesana, vorrei accen-nare ad alcune chances che oggi l'AC ha di rinnovarsi nel suo cammino di fede.

La prima è la chance religiosa. Dopo la desertificazione di senso ad opera della secolarizzazione, ora noi assistiamo a un promettente risveglio religioso. Nel momento in cui la società secolarizzata appare sempre più asfittica e soffo-cante, in cui, soprattutto i giovani, sentendosi traditi e delusi, cercano con tutti i mezzi di uscirne, sarebbe strano che la Chiesa perdesse tempo con una pa-storale al ribasso. Oggi è morto il cristianesimo dell'abitudine, della tradizione, della convenzione sociale, e sta rinascendo il cristianesimo dell'innamoramen-to, della convinzione e della responsabilità.

Ma non per questo siamo esenti da una tentazione sottile e pervasiva: quel-

Per un'AC viva, forte e bella

Omelia tenuta dal Vescovo nel corso della Messa celebrata per l'A.C.Rimini, Basilica Cattedrale, 9 marzo 2014

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la di ridurre la fede a una emozione religiosa, a un brivido a pelle. Oggi siamo chiamati alla nuova evangelizzazione. Dobbiamo tornare alle origini, e alle origi-ni della nostra fede c'è sempre la parola di Dio, il puro e santo vangelo. La con-versione di Francesco d'Assisi inizia dall’incontro con Cristo, da lui contemplato nel Crocifisso di san Damiano, identificato poi nel lebbroso e nei poveri. Papa Francesco non si stanca di ripetere le parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva” (DCE 1).

Ecco come si supera la tentazione di ridurre il cristianesimo a una vaga emozione religiosa, che poi fatalmente svapora e spesso ‘precipita’ in una tri-ste, monotona litania di riti, di formule, di leggi e leggine. La tentazione si vince con l’esperienza dell’incontro con il Gesù vivo nella Chiesa e nei poveri. Allora si prova “la dolce e confortante gioia di evangelizzare” (EG n. 13) e non si cade nell’errore di intendere (l’evangelizzazione) “come un eroico compito perso-nale, poiché l'opera è prima di tutto sua, al di là di quanto possiamo scoprire e intendere" (EG 12). E si viene sorpresi dalla gioia del Vangelo che “riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'i-solamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia" (EG 1).

Non facciamoci rubare la gioia del Vangelo!

2. La seconda chance è quella popolare. La domanda ricorrente, che attra-versa tutta la storia della Chiesa, è: dobbiamo formare comunità cristiane di élite o di popolo? di militanti duri e puri o di peccatori umili e festanti? Dob-biamo ricordare che noi siamo sempre e solo dei poveri dis-graziati che sono stati super-graziati. Non ci siamo riconciliati noi, di nostra iniziativa, con Dio, ma è Dio Padre che si è riconciliato con noi e ci ha usato misericordia (cfr 2Cor 5,18). Possiamo, allora, e vogliamo gustare "il piacere di essere popolo": "Per essere evangelizzatori autentici occorre sviluppare il gusto spirituale di rimane-re vicini alla vita della gente, fino al punto di scoprire che ciò diventa fonte di una gioia superiore" (EG 268). Perciò "vogliamo inserirci a fondo nella società, condividiamo la vita con tutti, ascoltiamo le loro preoccupazioni, collaboriamo materialmente e spiritualmente nelle loro necessità, ci rallegriamo con quelli che sono nella gioia, piangiamo con quelli che piangono e ci impegniamo nella costruzione di un mondo nuovo, gomito a gomito con gli altri. Ma non come un obbligo, non come un peso che ci esaurisce, ma come una scelta personale che ci riempie di gioia e ci conferisce identità". Sono parole di papa Francesco che, a tal proposito, parla di "rivoluzione della tenerezza".

L'AC conserva nel suo DNA questa nota della popolarità. Che la nostra asso-ciazione diocesana di AC ricordi ai suoi membri e a tutti una verità fondamenta-le: prima ancora che per la fedeltà di noi a Cristo, la Chiesa esiste per la fedeltà di Cristo a noi.

Non lasciamoci scippare la gioia di essere popolo di Dio!

3. La terza chance per la nostra AC è quella comunitaria. In una società ad

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alto tasso di individualismo, viviamo in un arcipelago di isolotti. Siamo con-tinuamente tentati di ripiegarci nel nostro guscio, di isolarci e di rinchiuderci nella nostra nicchia calda e dorata. Anche la Chiesa è ad alto rischio di fram-mentazione, come la comunità di Corinto, spezzettata tra quelli che erano di Paolo, quelli di Apollo, di Cefa, addirittura di Cristo. Anche le nostre comunità sono attraversate da forze centrifughe; registrano l'urto di tensioni disgreganti. E poi ci sono i cristiani 'migranti', che si allontanano dalla Chiesa quando essa trema d'inverno, per rientrare quando rifiorisce a primavera. Un laico di AC vive le quattro stagioni che, nel calendario della Chiesa, si susseguono nel tempo e nello spazio. Una associazione di AC è viva, se verifica continuamente la sua esistenza all'interno della comunità cristiana. E un'AC viva, bella, attraente scri-ve la parola Chiesa tante volte quante scrive la parola Cristo.

Non lasciamoci trafugare la gioia della comunità!

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Nel deserto con il pane della Parola

Quaranta giorni per imparare a vincere SatanaOmelia tenuta dal Vescovo nel corso della Messa per il conferimento del lettorato, accolitato e del ministero della comunione eucaristicaRimini, Basilica Cattedrale, 9 marzo 2014

Esperienza di miseria e di misericordia, la Quaresima è il tempo della scon-finata, tenerissima misericordia di Dio che si china con generosa condiscenden-za sulla nostra penosa, umanamente invincibile, miseria. La quale ci induce a cercare istintivamente tutto ciò che può darci l'impressione di invulnerabilità. Ma in questo modo ci fa chiudere in noi stessi. Così rifiutiamo il vero rapporto con il mondo, con i fratelli e con Dio, subordinando a noi l'Altro, con l'A ma-iuscola, e ogni altro, visto come antagonista e concorrente. Ecco la tentazione profonda che mina tutta la nostra vita.

1. Tuttavia c'è stato chi ha vinto questa micidiale tentazione: Gesù di Na-zaret. Guidato dallo Spirito Santo nel deserto, Gesù affronta Satana, il tenebro-so tentatore, che gli prospetta una strategia di stampo trionfalistico, un falso messianismo fatto di miracoli clamorosi, come: trasformare le pietre in pane, gettarsi dall'alto del tempio con la certezza di essere salvato, conquistare il dominio politico di tutte le nazioni. Gesù respinge al mittente la tentazione del benessere e della facile prosperità materiale; rintuzza la seduzione del successo e dell'ambigua popolarità ottenuta con miracoli spettacolari; ricusa come inde-cente e del tutto irricevibile la suggestione del dominio e del potere temporale, optando per una scelta decisamente controcorrente.

Se voi siete qui, cari candidati al lettorato, all'accolitato, al ministero straor-dinario della comunione eucaristica, è segno che volete camminare sulle orme di Gesù, rimanendo fedeli alle promesse battesimali, con cui siamo tutti impe-gnati a respingere le medesime tentazioni dell'avere, dell'apparire, del potere. Ma il battesimo - voi ne siete consapevoli - non ci rende immuni da ogni ten-tazione. Il Papa, nel suo recente documento - La gioia del Vangelo - richiama la nostra attenzione su alcune tentazioni che specialmente oggi colpiscono gli "operatori pastorali", dai "vescovi fino al più umile e nascosto dei servizi eccle-siali" (EG 76). Ecco, pensando a voi, permettetemi di elencare alcune di queste tentazioni.

La prima è quella del ritualismo. Si ha l'impressione che oggi un nuovo formalismo, forse meno appariscente che in passato, ma ugualmente sterile e illusorio, stia rimpiazzando l'antico. La mancata assimilazione dello spirito della liturgia e la distorta comprensione dei fini della riforma liturgica, da parte dei fe-

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deli e di non pochi operatori pastorali, ha portato fatalmente alla dissociazione tra liturgia e vita, che invece devono rimanere intimamente interconnesse, per cui al ministero liturgico dovrebbe corrispondere un adeguato impegno nelle diverse attività in favore della comunità ecclesiale e civile. Inoltre, per risultare significativi, i riti da una parte devono conservare la loro autenticità senza ve-nire banalizzati con un cerimonialismo che ne estenui l'originale senso umano; dall'altra devono risultare trasparenti ed evocativi di ciò che Dio ha fatto per la salvezza del suo popolo e ancora oggi opera nella celebrazione liturgica. In effetti non sempre l'osservanza letterale e meticolosa delle norme liturgiche, che eludesse la possibilità di scelta e di adattamento che esse offrono, è segno di fedeltà meritoria, ma piuttosto sarebbe frutto di pigrizia e di inescusabile negligenza.

2. La seconda tentazione è quella del protagonismo, che riduce l'assemblea ad un ruolo passivo e puramente esecutivo. Capita così di vedere fedeli che spesso appaiono relegati o attestati nella posizione del tutto inerte di ascol-tatori-spettatori-fruitori di un atto che altri - presidente e/o ministri - svolgono per loro e davanti a loro. Mentre il vero soggetto della celebrazione è e deve essere sempre l'assemblea del popolo di Dio. I ministri esercitano il loro mini-stero a servizio - e non al di sopra o a prescindere - dalla comunità ecclesiale. Non si sottolineerà mai abbastanza la centralità dell'assemblea liturgica: infatti la comunità non è solo destinataria, ma innanzitutto protagonista di ogni cele-brazione.

Una terza tentazione, alla quale tutti noi operatori pastorali siamo inesorabilmente esposti e dalla quale non siete esentati neanche voi, è quella dell'attivismo, che si potrebbe efficacemente chiamare “eresia dell’azione”. E’ l’azione per l’azione, sia pure partendo dai migliori propositi; il fare, l’agire, l’organizzare, il moltiplicare iniziative - assillati solo dalla necessità di un successo visibile delle cose che si fanno - e quindi il considerare inutili o per lo meno accessorie la liturgia, la formazione, la riflessione culturale. Il mezzo per superare questa tentazione è la contemplazione. Nei grandi momenti di svolta della civiltà o di riforma della Chiesa, quando le carte di navigazione costruite dall’esperienza non servono un gran che per un cammino del tutto nuovo, è più ancora necessario orientarsi facendo riferimento alla stella polare della parola di Dio. Senza la contemplazione rischiamo di cadere in un grosso abbaglio: confondere Dio con le opere per Dio. Il cristiano è uno che si adopera per Dio e per il suo regno, per la Chiesa e per la grande causa dell’evangelizzazione, ma rimane uno che ha scelto Dio, non le attività - sia pure le attività intraprese per Dio – non le opere, sia pure quelle che vengono chiamate le “opere di Dio”. Del resto ci ricorda san Giovanni della Croce, "giova più alla Chiesa un solo atto di amore che non tutte le sue opere messe insieme".

3. L'antidoto contro le patologie su diagnosticate - ritualismo, protagoni-smo, attivismo - è lo stesso di quello usato da Gesù nella sua controffensiva nei riguardi di Satana e della triplice tentazione: il ricorso alla parola di Dio. In questa Giornata diocesana della Parola, ci torna particolarmente utile - anche

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se, forse, ci potrà risultare alquanto duro - lasciarci percuotere dai richiami pres-santi di papa Francesco sulla parola di Dio:

"La Sacra Scrittura è fonte dell'evangelizzazione quotidiana. Pertanto bisogna formarsi continuamente all'ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. E' indispensabile che la parola di Dio 'di-venti sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale' (Benedetto XVI). La parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell'eucaristia, alimenta e rafforza interior-mente i cristiani e li rende capaci di un'autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana. (...) Lo studio della Sacra Scrittura deve essere una porta aperta a tutti i credenti. E' fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L'evangelizzazione richiede la familiarità con la parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria" (EG 174-175).

In conclusione, permettetemi di ripetere con il linguaggio diretto e sempre sorprendente di papa Francesco: "Non lasciamoci scippare il tesoro inestimabi-le della parola di Dio!".

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Un amore scandaloso fino alla follia

Omelia tenuta dal Vescovo per la Domenica delle PalmeRimini, Basilica Cattedrale, 13 aprile 2013

Orrore, sconcerto, stupore: sono le emozioni registrate ai piedi della croce, ma anche provate a qualche decina d'anni dai fatti, come testimonia san Paolo, a Corinto e in ogni città e borgata dell'impero dove si predicava il vangelo del Messia crocefisso. Secondo l'Apostolo, la croce provocava immancabilmente il fremito dell'orrore nei Giudei, scandalizzati per una fine tanto infamante, e produceva il sussulto dello sconcerto nei pagani, irritati per un messaggio total-mente assurdo e irricevibile, fino ad apparire inquinato dalla idiozia più pazze-sca (1Cor 1,18). Per i Giudei era del tutto inconcepibile un Messia che non aveva potuto salvare se stesso, scendendo dalla croce. Il santo servo di Dio, Giovanni Battista, aveva preannunciato un Messia inflessibile e lo aveva dipinto come un giustiziere implacabile, che avrebbe fatto piazza pulita nell'aia della casa di Dio. Invece questo Gesù di Nazaret se l'era fatta con pubblicani e peccatrici e, dall'alto della croce, avrebbe invocato da Dio non una legione di angeli per ince-nerire i suoi avversari, ma perdono e misericordia per mandanti e carnefici. Alla vista di Greci e Romani, poi, la storia della croce non poteva risultare che follia e stoltezza: non la stoltezza audace e ardimentosa dell'eroismo più temerario, ma quella della balordaggine più insensata, della stupidità più insulsa. Che razza di Figlio di Dio può essere un povero straccione, che non può disporre neanche di una guardia del corpo che lo difenda da attentati, da stragi e carneficine? Rim-balzava anche a Corinto, come ad Alessandria e perfino a Roma, lo sconcerto già sperimentato dai soldati crocifissori e che si era espresso nello scherno più impietoso: come può salvare gli altri uno che non può salvare se stesso?

Ma per i credenti, sia Giudei che Greci, proprio quel capo d'accusa lanciato con crudele sarcasmo contro il Crocefisso - "non ha potuto salvare se stesso" - dimostrava che "la stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1Cor 1,25). La fede si prendeva la rivincita sull'or-rore degli Ebrei e sullo sconcerto dei pagani, e suscitava uno stupore inconte-nibile. Gesù non era morto come il grande Socrate e neanche come Giovanni il Battezzatore. Socrate era morto con l'olimpica imperturbabilità del saggio che domina, intrepido, la paura della morte fino a fare dell'ironia su di sé e sui propri giudici e carcerieri. "Tutto d'un fiato, senza dar segno di disgusto - racconta Pla-tone nel Fedone, "uno di quei pochi libri che provocano gli uomini a indagare se sono degni del loro nome" (Guardini) - piacevolmente vuotò la coppa (della cicuta, il veleno mortale) fino in fondo". Giovanni, d'altro canto, era morto come

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un santo, come un fiero testimone della verità, con la gloriosa aureola del mar-tirio. Socrate era morto scherzando amabilmente con i suoi discepoli fino all'ul-timo; Giovanni aveva finito i suoi giorni, senza arretrare di un millimetro nella sua impavida testimonianza alla verità. Socrate e Giovanni concludono una vita compiuta, una missione riuscita. Invece "Gesù, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (Eb 5,7-9).

Socrate è l'eroe, Giovanni è il martire: sia l'uno che l'altro sono l'eccezione, non ogni uomo. Gesù sulla croce, invece, è ogni uomo. Socrate muore come forse vorremmo morire. Gesù muore come veramente si muore. Ma se Gesù muore perché non scende dalla croce e non salva se stesso, tutto questo è per un atto di smisurato amore: come potrebbe scendere dalla croce se i suoi fratelli non ne possono discendere? La sera prima, nel cenacolo aveva solenne-mente proclamato: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". San Paolo ai Romani ha l'ardire di affermare: "A stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5,6-8). Ecco la verità: gli eravamo nemici e lui, morendo, ci ha resi suoi amici (cfr Rm 5,10). Gesù infatti ha rinunciato a stravincere sui suoi nemici, ma ha stravinto l'inimicizia, e non l'ha stravinta fuori di sé, ma in se stesso (cfr Ef 2,14-16).

Dopo duemila anni che si è diffusa la fede nel Crocifisso-Risorto, dopo anni e anni che ricordiamo nella nostra vita i giorni della sua Passione, c'è un nemico che congiura contro l'insorgere di un sia pur appena accennato sentimento di stupore: non è l'incredulità; è l'assuefazione. Ci abbiamo fatto il callo con riti e devozioni e rischiamo di non vibrare più di fronte all'evento che ha cambiato la storia e ha trasformato il mondo. Ma come possiamo andare in automatico con la croce di Gesù? Lo sappiamo, l'assuefazione è inesorabile, asfalta tutto: sentimenti, sorprese, sbalordimenti.

Ci sono tre vie che ci aiutano efficacemente a non cadere in questo rischio. La prima è quella degli affetti e delle devozioni, come ad esempio la Via Crucis. Ma ce n'è un'altra ancora più importante: quella dei sacramenti e della santa liturgia, in particolare della liturgia eucaristica. Qui raggiungiamo il massimo di partecipazione, perché non solo ricordiamo, ma riviviamo la morte e la risurre-zione del Signore. Poi c'è la via della conversione, quando ci lasciamo incontrare da Gesù nella nostra esistenza e sperimentiamo la salvezza della nostra vita.

In questi santi giorni contempliamo, adoriamo, ringraziamo.

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La gioia di essere cristiani e preti

Omelia tenuta dal Vescovo nel corso della Messa CrismaleRimini, Basilica Cattedrale, 16 aprile 2014

E’ festa. Oggi è la festa regale del nostro sacerdozio battesimale, carissimi fratelli e sorelle, qui convocati in segno della comune dignità di popolo fatto tutto di re, di profeti e sacerdoti, "stirpe eletta, nazione santa, popolo scelto da Dio per annunciare le sue meraviglie" (1Pt 2,9). Ma è anche la splendida festa del nostro sacerdozio ministeriale, carissimi fratelli presbiteri: oggi la Chiesa ce-lebra la memoria annuale del giorno in cui Cristo Signore partecipò agli apostoli e, attraverso di loro, a noi presbiteri il suo sacerdozio santo e santificante. Ricor-re il nostro compleanno: che lo Spirito del Crocifisso risorto ci aiuti a festeggiare e a vivere questa messa come il giorno della nostra ordinazione sacerdotale, "tenendo fisso lo sguardo su Gesù (...) il sommo sacerdote misericordioso e degno di fede" (Eb 12,2; 2,17).

1. La gioia di essere cristianiSono anni e anni che ascoltiamo i brani della liturgia in corso, e ormai li

conosciamo quasi a memoria. Rischiamo l’assuefazione, il narcotico soporifero che anestetizza ogni brivido di innocente stupore. Per non cadere nella sensa-zione di annoiata sazietà dovuta alle cose troppe volte ascoltate, non ci basta rileggere le letture bibliche: ci occorre scrutare le Scritture, esplorarle tra le righe e le pieghe della pagina sacra, quasi spremendo ogni parola, lasciandoci sorprendere da ogni sprazzo di luce. Ho provato a fare così, e ho incrociato quel versetto che ritorna per ben due volte in questa liturgia: prima nel rotolo del profeta Isaia come promessa, poi, come compimento, nel racconto di Luca. "(Lo Spirito del Signore) mi ha mandato ad evangelizzare i poveri". In quel verbo - evangelizzare, lett. "annunciare un messaggio di gioia" - ho rivisto occhieggiare, come fosse la prima volta, le lettere fragranti della parola ‘gioia’, voce bilingue che sa di cielo e di terra, una di quelle parole maiuscole che appartengono al dizionario divino-umano, umano-divino. "Al solo sentirla nominare, tutti si driz-zano e ti guardano, per così dire, nelle mani, per vedere se mai tu sia in grado di dare qualcosa al loro struggente bisogno” (s. Agostino).

La parola gioia veicola due domande: si può essere felici senza Dio? si può essere felici con Dio? Quasi in risposta alla prima domanda, degli atei inglesi qualche anno fa hanno promosso una campagna pubblicitaria, facendo appari-re sugli autobus la scritta: “Probabilmente Dio non esiste. Smettila di preoccu-parti e goditi la vita”. Ma le cose stanno davvero così? A guardare bene, bisogna onestamente riconoscere che la tristezza aleggia nelle case, l’ansia e la paura vanno a braccetto per le nostre strade, la depressione e l’angoscia mietono

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Atti del Vescovo

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sempre più vittime nella nostra società, impietosamente autodefinitasi "sciapa e infelice" (Censis, 2013).

Quanto alla seconda domanda – si può essere felici con Dio? – possiamo francamente ammettere che, pur dovendo attraversare nebbie e controllare ipertensioni, pur dovendo registrare fatiche, slanci e ricadute, siamo al corrente di numerose testimonianze che autorizzano una risposta positiva.

Sì, si può essere felici con Dio, ci insegna Gesù. Il Dio secondo Gesù di Na-zaret è Padre: non padre-padrone, ma Padre-Abbà. La ricaduta di questa verità è che, se "io-sono", allora è segno che io-sono pensato da Lui e che da Lui io-sono immensamente amato. "Amor, ergo sum" (Sono amato, dunque sono), si potrebbe dire parafrasando Cartesio. Non c’è gioia più grande di questa: sentirsi amati dall'Amore. Non esiste felicità più solida e infrangibile della stupefacente meraviglia di piacere all'Artista che ci ha sognati e plasmati e di potergli gridare stupiti e commossi: "Tu mi hai fatto, mio Dio, come un prodigio. Sono stupende le tue opere!". Fratello, sorella, per quello che sei, per quello che hai, per quello che puoi e che vali, tu sei opera delle sue mani, tutto hai ricevuto da Lui: tu puoi stimarti in quanto sei amato da Lui, in modo unico, singolare e irripetibile. Nessuno di noi è uno scarabocchio, destinato al cestino della carta straccia. Nessuno di noi è uno qualunque, ma è un tipo speciale, un fuori-serie, non duplicato né duplicabile da alcun clone, perché Dio Padre ci conta perfino i ca-pelli del capo, uno ad uno, e ci ama come non è stato amato, non è e non sarà amato nessun altro nella sterminata storia dei viventi. Non puoi avere dubbi: per il tuo Signore tu sei importante; sei prezioso ai suoi occhi. Del resto basta che ti soffermi a rileggere la storia ingarbugliata della tua vita, e la vedrai come una storia di salvezza: quante volte Dio Padre ha mandato suo Figlio a ripescarti da naufragi e tracolli, a recuperarti da sbandate e paurosi infortuni...

Scrive papa Francesco: "La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia" (EG 1). Popolo di Dio che è in Rimini, canta il Magnificat per il tuo sa-cerdozio battesimale e respingi la tentazione della tristezza come la tentazione più subdola e impura.

2. La gioia di essere pretiAnche noi pastori ci portiamo dentro un desiderio sconfinato di felicità, e

anche a noi è stata promessa una gioia straripante, corrisposta con un tasso di interesse centuplicato, versata in caparra con una misura pigiata, scossa e traboccante.

La gioia di essere preti è la gioia di essere scelti. Lui, Gesù, è fatto così. Un giorno è passato per la mia strada, ha gettato gli occhi su un mucchio di pietre scartate, ha scelto quel ciottolo sporco e opaco che ero io, e mi ha reso il gran-de onore di potergli servire nella costruzione della sua casa. Non mi ha scelto perché ero - di mio - utile e prezioso, ma mi ha reso prezioso e utile perché mi ha guardato con commovente tenerezza.

E' la gioia di essere peccatori perdonati e messaggeri di perdono. Lui, il buon Pastore, è fatto così. Non affida il ministero della misericordia ad esseri angelici e immacolati che si possono permettere il lusso di sentirsi perfetti.

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Consegna la sua tenerezza alle mani di poveri peccatori, per far loro provare la gioia di poter dire ad altri peccatori, anch'essi assetati di felicità, dove insieme potranno dissetarsi: alla fontana della divina misericordia.

E' la gioia di servire alla gioia dei fratelli. Lui, il grande sacerdote, è fatto così: guarda dei poveretti come noi e ci sceglie per una missione da compiere nella vita: quella di un intera esistenza donata per amore. E' la gioia di spendersi a fondo perduto, che non si lascia incrinare dall'ingratitudine, né si lascia frenare dagli scarsi risultati, né spegnere dal gelido vento dell'indifferenza.

E' la gioia di una vita vissuta nella povertà, abbracciata per amore di Cristo povero e dei suoi vicari, i piccoli e i poveri, nella certezza che ogni bene e per-fino i beni di Dio non possono mai oscurare Dio come unico bene della nostra povera vita. Nella castità di un cuore indiviso, che ha smesso di pensare a se stesso, che non offre corsie preferenziali per qualcuno - se non per i poveri - e non pianta cartelli con "divieto di accesso" per nessuno. Nell'obbedienza alla volontà di Dio, manifestata dal vescovo e serenamente abbracciata, senza condizioni e senza riserve. Senza programmarsi il futuro, senza puntare sulla propria realizzazione, senza monopolizzare la propria libertà, sapendo che per ardere senza bruciarsi, non basta spendersi: occorre donarsi.

E’ la gioia della Pasqua, la perfetta letizia, la gioia non 'nonostante' ma 'at-traverso' il dolore, vissuto con un po' di fede e con un pieno di amore. La fede che dà la forza di fidarsi più dell'Amore invisibile ma eterno che della sofferenza tangibile ma temporanea.

Per mantenere viva la fiamma della gioia, vale la pena ricordare alcune 'perle' della sapienza tradizionale, che hanno aiutato molti in passato e posso-no tornarci utili ancora oggi. La prima: a noi è offerta la gioia di seminare, ma non è sempre garantita la gioia di raccogliere. La seconda: è il vangelo della vita fraterna che permette all'acqua viva della gioia di zampillare e rinfrescare anche il deserto spesso arido e torrido della quotidianità. Un'ultima perla: solo chi coltiva la rara pianta della gioia dentro di sé, ne può condividere i frutti con gli altri; solo chi ha imparato a ridere umilmente di sé, è in grado di far sorridere anche gli altri.

Fratelli presbiteri, siamo chiamati ad essere preti in un mondo che non riesce più a trovare l'indirizzo di casa della gioia. D'altro canto è la gioia l'unico segnale di vangelo che anche i non credenti sono ancora in grado di decodi-ficare e che può metterli seriamente in crisi. Papa Francesco ci scuote: "Non lasciamoci rubare la gioia! Un cristiano non può mai essere triste".

E a voi fedeli tutti, noi, presbiterio di Rimini, oggi qui convocato in seduta plenaria, diciamo forte, con la solennità di un giuramento e con tutta la grinta che lo Spirito del Risorto ci mette in corpo: "Noi non intendiamo fare da padroni della vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2Cor 1,24).

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"Prese il pane e rese grazie"

Il sacrificio di Cristo come "benedizione"Omelia tenuta dal Vescovo durante la celebrazione "in coena Domini"Rimini, Basilica Cattedrale, 17 aprile 2014

1. Gerusalemme, una sera dei primi di aprile dell'anno 30. Era il primo gior-no della grande festa degli Azzimi. Gesù di Nazaret aveva radunato i suoi disce-poli nella sala superiore di una casa messagli a disposizione, tutta addobbata a festa per la cena pasquale. Sarebbe stata l'ultima volta che il Maestro sedeva a mensa con il gruppo dei Dodici. Ad un tratto sulla tavola si allungò l'ombra del traditore. Gesù, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine. Prima volle ostinata-mente lavare loro i piedi. Poi, dopo aver consegnato il suo testamento - "Ama-tevi gli uni gli altri, come io ho amato voi" - raccontano Marco e Matteo, "prese il pane, benedisse, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli...". Occhio al verbo 'be-nedire': era la preghiera di benedizione (la beraqah) che il capofamiglia recitava sul pane azzimo prima di distribuirlo ai commensali: "Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo. Dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane", ma in quel pane quella sera Gesù consegnò il suo corpo, offerto in sacrificio per noi.

Antiochia, anno 40 circa. Da qualche tempo il vangelo è arrivato in questa grande città e per la prima volta nella comunità cristiana sono entrati anche dei pagani di lingua greca. Quando si celebra l'eucaristia, si riprendono i quattro verbi sul pane - prendere, benedire, spezzare, dare - solo che il vocabolo 'be-nedire' viene reso in greco con il verbo eucharistein, che letteralmente significa "rendere grazie". La liturgia latina, sia nel canone romano che nella III preghiera eucaristica III fonde i due verbi - benedire e rendere grazie - con questi termini: "(Gesù) rese grazie con la preghiera di benedizione".

Occhio ora a questa espressione: "rendere grazie con la preghiera di bene-dizione". Che cosa significa? Gesù sa bene che è giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre. E' l'ora dell'addio ai discepoli. E' l'ora della catastrofe. Gesù ha obbedito alla missione che il Padre gli ha affidato. Ma ora questa missione sta per registrare il fallimento totale: la morte in croce. Nell'ultima cena Gesù affronta consapevolmente questa situazione estremamente avversa. Il suo ministero di dedizione a Dio e ai fratelli, esercitato con la generosità più completa, sta per essere brutalmente interrotto da un tradimento: la colpa più odiosa e più contraria al dinamismo di alleanza. Qual è la sua reazione? Quale sarebbe la reazione da aspettarsi in una situazione così ingiusta e drammatica?

2. Una situazione analoga l'aveva già vissuta Geremia: avvisato dal Signore di un complotto tramato contro di lui, Geremia non compie la propria vendetta ricorrendo alla violenza, ma affida la sua vendetta a Dio. Il cuore del giovane

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Omelie

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profeta di Anatot è colmo di livore e Geremia scaglia invettive implacabili con-tro i suoi nemici: chiede a Dio di sterminarli, di rendere le loro donne vedove e senza figli: "Ora, Signore degli eserciti, giusto giudice, che scruti il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa" (Ger 11,20).

La vittoria di Gesù è incomparabilmente più radicale e positiva. Nonostante sia infinitamente più innocente di Geremia e la sua sorte sia drammaticamente peggiore, il cuore di Gesù non conosce la minima traccia di odio, non brama al-cuna spietata rivalsa, ma è stracolmo di gratitudine, di tenerissima misericordia e di gratuito perdono. Gesù supera lo sconforto e spinge il suo amore oblativo fino al massimo: al posto della spirale perversa della violenza che produce vio-lenza, Gesù percorre la strada dell'amore. Anticipa la propria morte, rendendola presente nel pane spezzato che trasforma nel suo corpo, nel vino che diventa il suo sangue versato, e così tramuta la propria morte in sacrificio di alleanza per il bene di tutti. Davvero non c'è amore più grande di questo: dare la vita per le persone che si amano. Così l'amore stravince sull'odio e il perdono disarma la vendetta.

Ritorniamo all'espressione: "rese grazie con la preghiera di benedizione". E' come se Gesù dicesse: "Padre buono e santo, Abbà dolce e caro, ti rendo grazie per questo pane, che mi dai in segno della tua bontà, e per questo vino, sim-bolo del tuo amore, che rallegra il cuore dei miei fratelli. Ti lodo e ti benedico, ti rendo grazie perché per mezzo di questo pane e di questo vino, posso fare dono della mia vita e della mia morte, il dono di tutto me stesso, per comunica-re agli uomini la tua vita e stabilire così la nuova alleanza". Quindi Gesù pren-dendo il pane, prende la sua vita tra le mani, la vita che il Padre gli ha donato. Questo significa "prendere rendendo grazie". Gesù si prende tra le mani, ma non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, non considera la sua natura divina come una preda, non si ripiega morbosamente su di sé, non si chiude in un mutismo amaro e risentito, ma si offre gratuitamente al Padre e si dona generosamente ai fratelli. Adamo invece aveva preso, rubandolo, il frutto della vita, l'aveva mangiato con avidità vorace e con livida invidia, senza ricono-scere il dono e senza benedire colui che dona ogni bene. Impadronirsi del dono significa distruggerlo nella sua natura e separarsi dal donatore. Prendere bene-dicendo, invece, significa ricevere con gratitudine ed entrare in comunione con il donatore. Nella benedizione ogni goccia di vita ritrova la sua sorgente; ogni briciola di realtà rintraccia la sua matrice e ridiventa segno di uno sconfinato amore. Gesù si comporta da Figlio fino alla fine: riceve tutto dal Padre, a comin-ciare dal suo essere Figlio. Cosa è per Gesù essere Figlio, se non un continuo ricevere tutto dall'amore del Padre? L'amore filiale è necessariamente un amore riconoscente. Gesù si accoglie con gratitudine dal Padre, si lascia dividere, ac-cettando, con umiltà e mitezza, di farsi spezzare come un pane fragrante, e si lascia condividere con i fratelli.

3. Ma vivere l'economia del dono in un mondo inquinato dalla logica del possesso esige il sacrificio di sé. L'amore non corrisposto comporta la morte del donatore, il quale prima che i nemici gli rapiscano la vita, ne fa una consegna

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libera e generosa. "Il corpo donato (di Gesù), portando su di sé tutta la male-dizione del nostro rifiuto, diventa pane spezzato per noi, fonte perenne di ogni benedizione" (S. Fausti).

Capiamo allora perché noi diciamo - sulla scorta delle Scritture - che la passione di Gesù è stata un sacrificio o che l'eucaristia è un sacrificio. Quando pensiamo a un sacrificio offerto a Dio, noi pensiamo a una rinuncia e a una per-dita penosa: ci priviamo di qualcosa per poterla offrire a Dio, pensando così di meritare la sua benevolenza. Ma come 'purificare' significa 'rendere puro', così 'sacrificare' significa 'rendere sacro', e non c'è niente di più sacro che l'amore. E' l'amore, solo l'amore che può rendere sacro anche il dolore, non il ripiegamento autoreferenziale, morboso e ostile, e tantomeno la ricerca masochistica della sofferenza, della croce per la croce. E' Gesù che dà senso alla croce, non la croce che dà senso a Gesù.

Il nostro individualismo borghese e narcisista ha dato origine a questo no-stro mondo egoista, possessivo e violento, in cui la spinta oblativa nell'orizzonte del dono viene ostinatamente neutralizzata dal mito dell'autorealizzazione, per il quale si vale non per ciò che gratuitamente riceviamo e per ciò che gene-rosamente doniamo, ma solo per quello che riusciamo a realizzare a nostro esclusivo profitto. Ma se io non sono il padre del mio io, se la 'filialità' mi sottrae alla presunzione di una illusoria autosufficienza e mi strappa al mito disperante della possessività più rapace, e mi riconsegna alla terra santa della gratuità, allora in ogni occasione - anche nel deserto più arido e riarso - può germogliare il fiore benedetto della gratitudine.

Allora fare Pasqua significa "offrire se stessi a Dio, come vivi tornati dai morti" (Rm 6,13), e fare eucaristia equivale ad agire come Gesù, il quale "ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore" (Ef 5,2). Insomma fare Pasqua e fare eucaristia è vivere come Gesù: come il chicco di grano che dona la vita marcendo.

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"Si è offerto in espiazione"

Il sacrificio di Cristo come purificazioneOmelia tenuta dal Vescovo nell'azione liturgica del Venerdì santo.Rimini, Basilica Cattedrale, 18 aprile 2014

Il nostro vocabolario cristiano - biblico, liturgico, ascetico - contiene non poche parole sulle quali si è depositata una spessa patina di equivoci e di do-lorose incomprensioni. Sono parole che si trascinano immagini distorte e che pertanto hanno urgente bisogno di una energica 'raschiatura' e di una delicata opera di restauro, per comunicare il loro significato genuino e tornare a brillare nel loro originario splendore. Due di queste parole sono quelle classiche, usate - e purtroppo abusate - in passato per veicolare il messaggio del venerdì santo: sacrificio ed espiazione. Con la sua passione e morte - si dice - Gesù ha com-piuto un sacrificio di espiazione. Eppure, anche se destano una diffusa allergia e per questo risultano esiliate dal linguaggio corrente, queste parole continuano ad essere tuttora "in corso" nella liturgia odierna.

1. Per quanto riguarda la parola sacrificio, basterà ricordare che, mentre nell'accezione comune questo termine ha assunto un senso negativo in quanto evoca l'immagine di una dolorosa privazione, di per sé è un vocabolo positivo del linguaggio religioso, così come indica la sua etimologia. Infatti sacrificare è un verbo di azione, che significa "rendere sacro", così come "semplificare" significa "rendere semplice" e "purificare", "rendere puro".

Pieghiamoci ora sull'altra parola: espiazione. Nel linguaggio corrente, anche il verbo "espiare" ha acquisito una accezione negativa, nel senso di "subire una pena", e poco importa se il reo accetti o meno la sentenza di condanna: se su-bisce la pena, espia. Invece l'idea biblica di 'espiare' è quella di "portare rimedio al male". Nella prima lettera di Giovanni si legge: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma Dio ha amato noi e ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1Gv 4,10), ma sarebbe più esat-to rendere "vittima di espiazione" con “strumento di perdono”. Ecco, espiazione è da intendere come purificazione, non come castigo sostitutivo e sacrificio "in risarcimento" del dolo e del danno arrecato con il peccato. Gesù non è stato condannato da Dio al posto nostro, anche se ha sofferto al posto nostro e a vantaggio nostro. L'amore del Padre ha fatto del Figlio in croce lo strumento di purificazione dei nostri peccati, il ponte di riconciliazione con noi peccatori.

La morte del Crocifisso è stata un vero radicale gesto di purificazione: quan-do nell’Antico Testamento il popolo offriva un sacrificio di riconciliazione, ve-niva prima asperso con il sangue della vittima per essere purificato dai peccati e riabilitato a rendere culto a Dio. Quindi il sacrificio non agiva su Dio, ma sul

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peccatore; è Dio che purifica dal peccato, ristabilendo la comunione e la pace con il suo popolo. Il sangue era considerato sede della vita e perciò simbolo divino, atto a produrre qualcosa di sacro e di sovrumano: non è un dono fatto dal popolo a Dio, ma un dono fatto da Dio al popolo. Questo significato veniva espresso dal rito dell’aspersione: la vita di Dio torna a circolare in quella co-munità con cui Dio stesso ristabilisce l’alleanza. Certo, nella Bibbia si sviluppa anche il tema dell'ira di Dio, ma la collera di Dio è solo la tristezza del Padre nel constatare il male che i suoi figli si sono fatti con il peccato. Afferma s. Tomma-so: “Si dice che Dio si placa non nel senso che egli riprenderebbe di nuovo ad amare, ma nel senso che dall’uomo viene allontanata la causa dell’odio, cioè il peccato”. E’ chiaro quindi che non è stato l’uomo a riconciliarsi con Dio, ma “Dio ha riconciliato a sé il mondo”: non è il peccatore che si propizia Dio offrendogli un rimborso per il peccato commesso, ma è Dio che si rende propizio l’uomo donandogli un sangue nuovo, cioè la sua stessa vita divina.

2. In questo senso, è da rigettare energicamente l'idea del Crocifisso come il capro espiatorio del nostro peccato. Quando nell'antico Israele si celebrava la liturgia del grande giorno dell’espiazione, descritta nel cap. 16 del libro del Le-vitico, due erano i capri che venivano presentati al sommo sacerdote: uno era il “capro per Azazel” (il capo dei demoni), sul quale il sacerdote imponeva le mani per scaricarvi i peccati del popolo, e che poi veniva mandato a morire nel de-serto, il luogo dei demoni. L’altro era il “capro per JHWH” che veniva immolato come vittima sacrificale a Dio. Nel Nuovo Testamento, quando si parla del sacri-ficio di Cristo, non si fa mai allusione al rito del capro espiatorio, ma sempre e solo all’agnello pasquale (cfr 1Cor 5,7). Cristo non è il parafulmine sul quale un Dio indignato scaricherebbe la sua incontenibile ira. Il sangue dell’agnello non serviva a “placare Dio”, ma a segnare i suoi eletti. Inoltre l’immolazione della vittima non va intesa come punizione che l’uomo ha meritato col peccato e che in qualche modo subisce nella vittima, uccisa al suo posto. L’immolazione è piuttosto oblazione a Dio per esprimere l’offerta di sé; significa che per il pec-catore non si dà ritorno a Dio se egli prima non muore a se stesso.

La croce perciò non è un sacrificio offerto a una divinità vendicativa, quasi Dio vedesse nel proprio Figlio il colpevole del peccato del mondo e il maledetto su cui esercitare il rigore spietato di una inflessibile giustizia. Nella sua carne martoriata, nel suo volto straziato, Cristo è l’immagine plastica del peccato de-gli uomini: solidale con un mondo incancrenito dal peccato, egli cade vittima dell’epidemia che cura a proprio rischio e pericolo. Si verifica così lo scambio meraviglioso: tra la sua ricchezza e la nostra povertà; tra la sua forza e la nostra debolezza; addirittura tra la sua giustizia e il nostro peccato.

Morendo in croce, per solidarietà con i peccatori, Gesù condivide la male-dizione comminata ai trasgressori della Legge ebraica, perché questa era l’in-famia che colpiva chi veniva appeso alla forca. Nella prospettiva della Legge, Gesù, confitto al patibolo, appare maledetto, ma nella prospettiva della fede, egli è l’origine della benedizione di Dio ai credenti. L’amore di Cristo per noi è stato tale da indurlo ad accettare di essere maledetto agli occhi della Legge; in cambio egli ci comunica la benedizione stessa di Dio. Una retta comprensione

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di questo messaggio farà evitare la lettura in “cortocircuito” della relazione tra il Figlio e il Padre, e susciterà uno scoppio di ammirazione: “Dolce scambio, opera imperscrutabile, benefici insospettati! L’ingiustizia di molti viene riparata da un solo giusto e la giustizia di uno solo rende giusti molti criminali!”.

La redenzione è stata resa possibile non tanto dal dolore sofferto da Gesù, quanto dal suo amore offerto al Padre per noi peccatori. Gesù ama soffrendo e soffre amando. Il suo sacrificio non è consistito tanto nella morte, ma nella "morte della morte", attraverso il fuoco dell’amore. E’ la trasfigurazione di una morte da scomunicato in mezzo di comunione; è la trasformazione del suo san-gue innocente, criminalmente versato, in sangue di alleanza e di riconciliazione. “L’offesa è cancellata solo dall’amore” (s. Tommaso d'Aquino).

3. Davanti a Gesù crocifisso, oggi noi vogliamo contemplare l'incredibile amore del Padre, che mentre il Figlio patisce, egli 'con-patisce'. "Come avrebbe potuto il Figlio patire, senza che il Padre compatisse?" (Tertulliano). Non pos-siamo allora più ripetere la frase che "l'uomo soffre, e Dio no"! A noi che oggi passiamo davanti alla croce, la liturgia ci permette di ascoltare il lamento di Dio Padre: "O tu che passi per la via della croce, fermati almeno un istante e domandati se c'è un dolore simile al dolore di Dio".

E noi possiamo rivolgerci al Padre di ogni bontà e di sconfinata misericor-dia, e dirgli con cuore stupito e commosso: "Quanto ci hai amato, Padre buono, che non ti sei risparmiato il tuo unico Figlio, ma lo hai consegnato per noi empi! Quanto ci hai amato!".

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Se Cristo non fosse risorto

Omelia tenuta dal Vescovo durante la Veglia PasqualeRimini, Basilica Cattedrale, 19 aprile 2014

1. Gesù è risorto! Questa è la notizia più straordinaria e sorprendente di tutti i tempi. Gesù è vivo, è realmente, personalmente, integralmente vivo. E' realmente vivo: non come talvolta si dice dei cari defunti che vivono nel nostro affettuoso, indelebile ricordo. O come, con una buona dose di patetica retorica, si definiscono immortali i grandi della storia. Gesù è personalmente vivo: lo è nella consistenza della sua umano-divina soggettività, e non nel senso che la sua memoria continuerebbe a rimanere desta e viva nella sua opera, prose-guita dai suoi seguaci. Gesù è integralmente vivo, non per il fatto che l'anima non muore mai, ma perché l'intera sua natura di uomo - e dunque anche il suo corpo - con tanto di organi e di apparati, e con un vero, pulsante cuore di carne - è soggetto vivo e attivo di esperienza, di movimento, di operazioni e di azioni varie. Gesù non è vivo come era vivo Lazzaro, al quale da Gesù stesso era stata semplicemente prorogata la data della definitiva sepoltura. Lazzaro era risorto "all'indietro", tornando alla vita di prima; Gesù è risorto "in avanti", come uno che ha definitivamente sconfitto la morte. Lo precisa san Paolo: "Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui" (Rm 6,9).

Gesù è risorto e vive. Da quel mattino di una domenica dei primi di aprile dell'anno 30, ancora una volta in queste ore la notizia vertiginosa e strabiliante della sua risurrezione sta facendo il giro del mondo. Ma a forza di risentirla e di ripeterla, non si rischia di ridurla a una sorta di chewing-gum, che più si mastica e più perde sapore? Ma allora che notizia può essere mai un annuncio che finisce per non accendere più alcun brivido di stupore? Permettetemi per-ciò di provare a rilanciare questa notizia formulandola "per assurdo": che cosa sarebbe successo o succederebbe se Cristo non fosse risorto? E', questo, il filo di ragionamento che segue san Paolo ai cristiani di Corinto: "Se Cristo non è risorto, la nostra predicazione è insensata e la vostra fede risulta infondata. Se Cristo non è risorto, allora neanche noi risorgeremo. Se Cristo non è risorto, allora noi siamo ancora impantanati nella palude dei nostri peccati. Se Cristo non è risorto e neanche i morti risorgono, allora mangiamo e beviamo, tanto domani moriremo" (cfr 1Cor 15, 14-32) .

2. Ecco, cosa sarebbe successo se Cristo non fosse risorto... Primo, la vicen-da di Gesù di Nazaret sarebbe stata una bella storia finita male, anzi una delle storie più esaltanti finita nel peggiore dei modi. Gesù aveva percorso in lungo e in largo la sua patria, la Palestina, facendo del bene a tutti e risanando quanti

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erano prigionieri del male. Aveva amato appassionatamente la vita, quella dei fiori e degli animali, ma soprattutto la vita degli uomini, a partire dagli ultimi e i poveri, ai quali diceva: "Vostro è il regno di Dio". Di questo regno mostrava i segni: alle folle affamate offriva il pane della vita; ai malati e ai sofferenti rido-nava la salute e il sorriso; ai peccatori e alle peccatrici assicurava la misericordia e il consolante perdono di Dio. Ma ben presto incontrò il rifiuto degli uomini e conobbe il dolore e l'ingiustizia. Alcuni lo avversarono per tutto il tempo della sua missione, e, alla fine, con ingiusta sentenza, lo uccisero appendendolo alla croce. I suoi nemici gridarono allo scandalo: come poteva chiamarsi Messia se non era riuscito a salvare se stesso? Come poteva chiamare Dio suo Padre se non lo aveva salvato dalla croce?

Secondo, se Cristo non fosse risorto, noi non potremmo credere in un Dio che è Padre. Gesù era rimasto fedele a Dio sino a dare la vita per lui, ma aveva predicato un Dio 'diverso' e lo aveva onorato con una prassi di vita 'diversa'. Questa diversità è stata la ragione della sua condanna a morte, ma lui ha so-stenuto che era, al contrario, la trascrizione più fedele del volto di Dio, nel cui nome osava correggere la Legge ebraica che Dio stesso aveva dato a Mosè. La risurrezione è il test più attendibile che in quella diversità Dio si è riconosciuto. La risurrezione non ha mutato la diversità di quell'immagine: ne ha mostrato la verità. Il Crocifisso è un uomo che ha sostenuto di avere un rapporto filiale con questo Dio che egli chiamava affettuosamente Abbà, un rapporto diverso da quello di ogni altro uomo. La risurrezione è il segno che questa pretesa era vera.

Terzo, se Cristo non fosse risorto, noi non potremmo ricevere il suo Spirito. Se io vedo un uomo, che per salvare la mia vita, ha rinunciato alla sua, potrò dire: "Ha dato la sua vita per me". In effetti Gesù è morto per l'amicizia che mi ha donato, per le parole che mi ha insegnato, per il mondo nuovo che mi ha promesso. Ma se poi lo incontro anche 'risorto', di nuovo inspiegabilmente vivo, e mi sento per di più riempire di una vita che non è la mia, dirò ancora: "Ha dato per me la sua vita". Ma ora questa espressione afferma una ulteriore cer-tezza: che la sostanza della sua vita è passata nella mia, tanto che io ne faccio esperienza. Questo è il 'regalo' di Pasqua, il dono del Risorto: lo Spirito Santo. Ora io non posso più concepire la vita, la morte e la risurrezione di Gesù, come qualcosa di esteriore alla mia persona, ma come una esperienza che mi sor-prende - nel senso letterale del termine: mi rigira sottosopra - che mi coinvolge e mi trasforma, che trascina con sé il mio stesso essere e agire. Ormai nella vita e nella morte, totalmente e irreversibilmente, io appartengo a lui.

Quarto, se Cristo non fosse risorto, non ci sarebbe la sua Chiesa. Tutt'al più i sarebbe qualche congrega di gente che si rifà al suo modo di vestire, di parlare e di agire. O qualche accademia che cita le sue sentenze e ricorda i suoi fioretti. O un qualche museo dove si custodiscono i cimeli legati alla sua memoria, oppure dove si conserva gelosamente qualche sua rarissima reliquia, come il lenzuolo che ne avrebbe avvolto il cadavere. O, tutt'al più, ci sarebbe da qualche parte un mausoleo, forse imponente ma freddo e vuoto, senza neanche i suoi resti mortali. Ma non è questa la sua Chiesa. La Chiesa di Gesù Cristo è la comunità storicamente legata a doppio giro di corda al Risorto. Non è mai esistita una Chiesa slegata dalla fede nella risurrezione del Crocifisso; essa anzi ha preso

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forma proprio perché ha potuto fare esperienza di un particolare incontro con lui dopo la sua morte. La Chiesa è la comunità dei fedeli che credono ferma-mente che Cristo è vivo e continua a vivere e ad operare in ogni comunità cristiana. La Chiesa crede che è Cristo che battezza quando si celebra il batte-simo, è Cristo che -non si commemora - ma si rende presente e vivo quando si celebra l'eucaristia.

Quinto, se Cristo non fosse risorto, la storia sarebbe "la favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla" (Shakespea-re). Ma "se davvero Cristo è risorto, allora tutto è possibile", come afferma un filosofo non credente (M. Ferraris). Infatti il Risorto è lui il Signore della storia. Pertanto la fede dei cristiani presenta sempre un carattere di sfida a tutto quello che può apparire ineluttabile, già deciso e definitivo, privo di prospettive e di speranza. Da qui deriva quel timbro di audacia che spetta al messaggio cristia-no. Il credente sa che appunto "tutto è possibile" e si impegna generosamente a difendere le ragioni del bene rispetto ad ogni propaganda dell'inevitabilità di questo o di quel male. Questo carattere di 'resistenza' è oggi particolarmente importante, in quanto la cultura, la politica, l'economia sembrano non riuscire più a trovare risorse, modelli, indicazioni in grado di contrastare le spinte egoi-stiche che dominano ciò che papa Francesco chiama la "globalizzazione dell'in-differenza" e la "cultura dello scarto", che lasciano fuori della porta della storia milioni di esseri umani e li continuano a sfruttare senza troppe preoccupazioni per il futuro del pianeta.

Infine, se Cristo non fosse risorto, la nostra vita sarebbe come un pacco postale, spedito dall'ostetricia all'obitorio, e non invece un pellegrinaggio verso la casa del Padre, come ci ricorda la fede in Cristo risorto. Una fede che non si può mostrare con una faccia da funerale, ma solo con una vita da risorti e con fatti di vita nuova: bella, buona, beata.

E' il regalo di Pasqua, la grazia di questa santa veglia, la gioia e l'impegno del nostro cammino.

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Ha liberato la nostra libertà

Il sacrificio di Cristo come liberazioneOmelia tenuta dal Vescovo nella Messa del Giorno di PasquaRimini, Basilica Cattedrale, 20 aprile 2014

Noi umani siamo fatti così: siamo fatti di carne e sangue, ma non possiamo vivere solo di aria e di pane, di sonno e di sforzi, di fughe e rincorse. Non possia-mo vivere costantemente bloccati da mille e una paura, e sempre in affanno per qualche raro piacere. Noi umani abbiamo fame di futuro, e sappiamo di averla. Anche gli altri animali bipedi e implumi hanno un ieri e un domani, ma, oltre a non saperlo, il loro domani non è veramente un nuovo giorno: è la ripetizione necessaria, inesorabile e prevedibile di ciò che è stato ieri. Un po' come un robot perfettamente programmato, che va avanti, con precisione automatica, per conto suo.

1. Ogni essere umano, invece, non può non aprirsi a cose nuove, non anco-ra successe: sono le cose che potranno avvenire, quelle che i romani chiamava-no le ad-venturae, da cui il nostro 'avventure'. Ogni figlio d'Eva può spingere la mente sempre oltre, può gettare il cuore più in là, sempre più in là; può sognare una immagine di sé e porla davanti a sé (pro-getto). La persona umana è tale perché può camminare verso il progetto di sé. Questa capacità di futuro prende il nome di libertà: la vita umana non è la pura e semplice riproduzione di ciò che si è sempre verificato, ma la libera apertura a ciò che non è ancora avvenuto.

Poi, prima o poi, si sperimenta lo scacco matto della morte: si scopre che non bastiamo a noi stessi, si sperimenta che la nostra libertà è fragile e crepu-scolare, non ci bastano le nostre piccole abitudini, cadiamo vittime di voglie e miraggi, ci fabbrichiamo idoli a cui affidare la soddisfazione dei nostri bisogni immediati. E' stata l'esperienza del popolo d'Israele nel deserto. Alla fatica del futuro libero, ma misterioso e inafferrabile, il popolo preferisce lo squallore di un passato schiavo ma chiaro e sicuro.

Nella storia di Israele si specchia la storia di noi, nuovo Israele. Ma è nel Nuovo Testamento che si smaschera la perversa strategia di Satana, il quale ci tiene schiavi con la madre di tutte le paure: la morte. E, all'opposto, si profila la strategia di Gesù. Eccola, concentrata in due righe: "Gli uomini sono fatti di carne e sangue. Per questo anche Gesù è diventato come loro, ha partecipato alla loro natura umana. Così, mediante la propria morte, ha potuto distruggere il demonio, che ha il potere della morte; e ha potuto liberare quelli che vivevano sempre come schiavi, per paura della morte" (Eb 2,14-15).

2. La vita di Gesù è stata l'esigente, affascinante avventura di una libertà

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sempre più grande. Gesù non si è atteggiato ad asceta duro, alla maniera di Giovanni Battista, ma non è neppure mai stato schiavo della bramosia di pos-sedere. Ha insegnato con parole e con atteggiamenti coerenti che la ricchezza diventa padrona, quando uno ripone in essa la misura del proprio valore e la sicurezza della propria vita.

Oltre che dalla ricchezza, Gesù è stato anche libero dalla suggestione del potere e dalla tentazione di dominare gli altri. Si è presentato come "colui che serve" (Lc 22,27) e ha insegnato che l'autorità deve essere esercitata come un servizio, e non come un dominio oppressivo: "Chi vuol essere il primo, sarà il servo di tutti" (Mc 10,44). .

La liberazione dal possesso egoistico e dall'ambizione, però, non è suffi-ciente. Il regno di Dio - ha insegnato Gesù - trasforma anche gli affetti e li apre a valori più alti e universali. Gesù riconosce il valore della famiglia, eppure non esita a dichiarare che la sua famiglia più vera è quella formata dai discepoli che compiono la volontà del Padre.

Ma come fa Gesù a liberarci dall'incubo della morte, dall'ansia ossessiva di trovare sicurezze e piaceri per sentirsi vivi? Come ha fatto Gesù a vincere in se stesso la paura della morte? Abbandonandosi con fiducia nelle mani del Padre. Gesù stesso spiega così la sua scelta di andare incontro alla morte in croce:"Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita" (Gv 10,17). Ecco il segreto della libertà che Gesù ha svelato e realizzato anche per noi: fare sempre e to-talmente la volontà del Padre genera e tiene in vita la libertà capace di amare e servire fino all'estremo! L'incomprensione degli amici, l'odio degli avversari, la minaccia sempre pendente sul suo onore, sui beni a cui avrebbe avuto diritto, sulla sua stessa vita - minaccia tradotta poi in atto nella morte in croce - non sono stati per lui un incitamento a difendere rabbiosamente questi beni, conti-nuando la spirale di odio, di egoismo, di vendetta da cui gli uomini non riesco-no, da soli, a liberarsi. Gesù ha spezzato la catena soffocante del passato: ha visto nell'odio e nella morte preparatagli dagli oppositori, un motivo per amare di più coloro che gli erano nemici.

In base a che cosa, dunque, ha potuto compiere questa trasformazione? Ha potuto perdere la vita perché si è fidato del Padre, che crea e ricrea la vita. Gesù non ha voluto mettere le mani sul proprio futuro, prolungando la sua vita fisica con tutti i beni che le fanno corona. Ha consegnato il suo domani nelle mani tenere e forti di Dio Padre e l'ha ricevuto dalle sue mani come un dono: quel dono che il Nuovo Testamento chiama "risurrezione dai morti" per indicare non la semplice restituzione della vita, ma il dono di una vita nuova, definitiva, diversa rispetto a quella fragile e mortale che noi conduciamo sulla terra.

3. Così la storia di Gesù non è solo la commovente vicenda dell'innocente che vince il male, con il suo disarmato amore, ma è vittoria divina sul male, vera distruzione del passato malvagio e condizionante, vero e pieno perdono del peccato. L'evento-Gesù non è solo un nobile buon esempio lasciato ai po-steri, ma è forza di rinnovamento che Gesù, vivente per sempre presso il Padre, comunica a coloro che si lasciano raggiungere da lui, entrano in comunione con la sua persona. Dalla storia di Cristo nasce così la storia cristiana. Dalla vita

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Omelie

Bollettino Diocesano 2014 - n.1

di Cristo scaturisce la vita nuova dei cristiani. Dalla libertà di Cristo si accende l'avventura della nostra libertà. E' il carattere pasquale dell'esistenza cristiana.

Sepolti con Cristo al momento del battesimo, noi siamo pure risorti con lui, perché abbiamo creduto alla forza di Dio che lo ha risuscitato. La nuova vita in cui siamo entrati non è altro che la partecipazione reale alla vita di Cristo risor-to. Questa certezza infrangibile comanda e ispira tutto il nostro cammino. San Paolo ci ha appena ricordato: "Se siete risorti insieme con Cristo, cercate le cose del cielo, dove Cristo regna accanto a Dio" (Col 3,1). La partecipazione alla sua risurrezione è pure la fontana a cui appagare la sete ardente di speranza che ci brucia in cuore. Se il cristiano attende con impazienza la trasformazione del suo corpo di miseria in corpo di gloria, è perché già possiede il pegno di questa vita futura. La nostra risurrezione finale non farà che manifestare chiaramente ciò che noi siamo già nella realtà segreta del mistero: ora la nostra vera vita è nascosta con il Risorto nel cuore di Dio.

Questo può fare di noi la Pasqua di Cristo. Alleluja!

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Lettere e Messaggi

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Atti del Vescovo

Bollettino Diocesano 2013 - n.4

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Ai Reverendi Parrocidelle Parrocchie del Vicariato Urbano

Carissimi,esattamente fra un mese inizierà la Quaresima, il grande periodo peniten-

ziale, che - mediante “l'ascolto più frequente della parola di Dio e la dedizione alla preghiera” (S.C.109) - dispone i fedeli alla celebrazione della Santa Pasqua. Molto opportunamente, nella nostra Diocesi, è dal Giubileo del Duemila che la sera del Mercoledì delle Ceneri si svolge una solenne liturgia penitenziale, con la proclamazione della Parola di Dio, con l'imposizione delle ceneri e un congruo tempo per le confessioni individuali.

Purtroppo, negli ultimi anni, la presenza delle comunità parrocchiali si è alquanto indebolita, e ne ha risentito sia lo spirito della celebrazione sia la parte-cipazione “consapevole, attiva e fruttuosa” dei fedeli. Vengo perciò a raccoman-dare ai parroci, agli operatori pastorali e ai fedeli tutti, di programmare in tempo la partecipazione più larga possibile a tale celebrazione che avrà luogo nella

Basilica Cattedrale il 5 marzo p.v. alle ore 20.30.Faccio presente che, insieme alla solenne processione del Corpus Domini,

questo è l'altro evento in cui la comunità cristiana della Città viene convocata dal Vescovo, perché sia un segno di fede anche per tutti i nostri concittadini. Tenendo poi conto che “la penitenza del tempo quaresimale non sia soltanto interna ed individuale, ma anche esterna e sociale” (S.C.110), e considerato che il Mercoledì delle Ceneri è anche il giorno di digiuno, propongo che l'equivalente del “salta-cena”, o altre offerte libere, vengano in quell'occasione raccolte perché siano devolute per il “Fondo del Lavoro”.

Vi ringrazio dell'ascolto e della vostra generosa disponibilità. Vi saluto e be-nedico di cuore, con san Paolo: “Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi.”

Rimini, 5 febbraio 2014

Lettera per il Mercoledì delle Ceneri

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Lettere e Messaggi

Bollettino Diocesano 2013 - n.4

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Lettera alla Missione Diocesana in Albania dopo la Visita Pastorale

Ai Missionari in AlbaniaAlla Commissione Diocesana per l’Albania

Carissimi,posso finalmente inviarvi alcune riflessioni e indicazioni, dopo la mia visita

alla Missione Diocesana in Albania.

1. Il grande orizzonteContinua a risuonare forte il segnale alto inviatoci da papa Francesco con la

sua esortazione apostolica La gioia del Vangelo: “Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo” (n. 49). Il Vescovo di Roma ci va dicendo e ridicendo in tutti i toni che “l’attività missionaria rappresenta, ancora oggi, la massima sfida per la Chiesa (...), il paradigma della sua opera” (n. 15). Concretamente il Papa ci chiede due sì - alla sfida di una pastorale missionaria (nn. 78-80); alle relazioni nuove generate da Gesù Cristo (87-92) - e tre no: all’accidia egoista (81-83); al pessimismo sterile (nn. 84-86); alla mondanità spirituale (nn. 93-97); alla guerra tra di noi (98-101). Il Papa ci ricorda che “le sfide esistono per essere supera-te. Siamo realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena di speranza! Non lasciamoci rubare la forza missionaria!” (n. 109). Ma il messaggio del Papa è tutto martellato da altri ‘allarmi’ e ci mettono in guardia da altrettanti ‘scippi’ quanto mai nocivi: “Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!” (n. 68); “Non lasciamoci rubare la speranza!” (n. 86); “Non lasciamoci rubare la comunità” (n. 91); Non lasciamoci rubare il Vangelo” (n. 97); “Non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno!” (n. 101).

Il Messaggio del Papa ci aiuta anche ad evitare le trappole ideologiche nelle quali cadiamo quando assolutizziamo certi nostri schemi parziali e riduttivi. Ne segnalo due, che ho visto serpeggiare tra di noi. Il primo, riguarda “l’importanza dell’evangelizzazione intesa come inculturazione. Ciascuna porzione del popolo di Dio, traducendo nella propria vita il dono di Dio secondo il proprio genio, offre testimonianza alla fede ricevuta e la arricchisce con nuove espressioni che sono eloquenti” (n. 122). Il secondo ‘ideologismo’ riguarda il rapporto tra evan-gelizzazione e promozione umana. Qui il Papa sintetizza e rilancia il messaggio già espresso dal Concilio e da tutto il magistero post-conciliare: “Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evan-gelizzatrice” (n. 178). Vi ho già detto che le due strade dell’evangelizzazione e

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Atti del Vescovo

Bollettino Diocesano 2013 - n.4

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della promozione umana non sono alternative, ma convergenti. Una evange-lizzazione senza l’impegno coerente della promozione umana rischierebbe di negare la verità dell’Incarnazione. Una promozione umana senza la luce dell’e-vangelizzazione si ridurrebbe fatalmente a generica filantropia.

Cari fratelli e sorelle missionarie/i, non vi sembra che questi orientamenti ‘ad alta quota’, tradotti in indicazioni limpide e concrete, ci possano e debbano aiutare a stimarci e a rispettarci di più, a sopportarci con più misericordia e te-nerezza, a sostenerci reciprocamente nel rimanere fedeli alla vocazione batte-simale, alla nostra specifica spiritualità, ai rispettivi compiti ed impegni? Non vi sembra che i fratelli che siamo chiamati a servire abbiano il diritto di vederci più uniti a priori nell’essenziale e più capaci di convergere anche nell’opinabile? Ci crediamo, non è vero? che la prima missione è la comunione tra di noi? Doman-diamoci onestamente: chi di noi è senza peccato al punto da poter scagliare la prima pietra? Chi di noi può permettersi di togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello senza prima essersi tolta la trave dal proprio occhio? E’ necessario per-tanto riprendere la strada della riconciliazione, della preghiera comune – almeno una volta alla settimana, tra tutti i missionari – e ricostruire continuamente un rapporto di fiducia reciproca, sulla base dei criteri sopra indicati.

2 – Alcuni passi concreti1. Vorrei ora passare ad alcune valutazioni più mirate al contesto della nostra

missione diocesana. Innanzitutto mi piace sottolineare il grande bene che la presenza dei missionari garantisce nei Centri di Berat, Uznove, Kucova, e come tale presenza articolata e coordinata favorisca la comunione tra i cristiani dei tre Centri. Al riguardo vi raccomando di perseguire con ogni sforzo l’unità della missione, soprattutto tra gli operatori pastorali, fino a comprendere tutti i fratelli e sorelle catecumeni e battezzati.

2. Inoltre vi domando un inserimento diretto e formale di qualche compo-nente della Comunità missionaria nella Fondazione Shen Asti. In seguito sarà da valutare assieme la presenza effettiva nelle attività della Fondazione, e la possi-bilità o meno di ulteriori sviluppi.

3. Ancora, vi chiedo la carità di continuare e, se possibile, migliorare la col-laborazione con l’attività scolastica e culturale delle suore Maestre Pie Filippini e con le attività della Fondazione Sphresa.

4. E’ importante che, pur tenendo distinti i singoli capitoli di spesa, nella richiesta di sostegno economico - alle parrocchie, ai vari enti, al Campolavoro missionario, a privati…- la Missione si presenti in modo unitario e che le offerte vadano a confluire verso un solo destinatario: la Missione Diocesana. A volte potrà essere proficuo, come immagine, proporre il finanziamento di un progetto specifico, ma che la missione realizza all’interno del progetto globale. Inoltre ognuno coglierà le occasioni di sensibilizzazione in base alle proprie conoscenze e amicizie.

5. Per quanto riguarda i vari capitoli di spesa, ritengo opportuno che sia la comunità missionaria, in accordo con il direttore diocesano di Missio, a predi-sporre un piano preventivo di spesa per l’anno, comprendente i vari capitoli e con il criterio del contenimento dei costi.

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Lettere e Messaggi

Bollettino Diocesano 2013 - n.4

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6. Considero urgente un incontro chiarificatore con i responsabili del Cam-polavoro Missionario diocesano. Se vuole essere ‘diocesano’ ed avere tutto il supporto del Vescovo e della Diocesi, di Missio, delle parrocchie, dei volontari ecc., la Missione Diocesana, pur senza esigere una destinazione esclusiva dei contributi, non può non esserne un obiettivo prioritario, e nel senso unitario indicato sopra.

7. A due anni di distanza, si profila l’opportunità di una ricostituzione della Commissione Albania, con lo scopo di fare da ponte tra la Missione, il nostro Presbiterio e la Diocesi di Rimini. La sua opera potrà giovare alla realizzazione di progetti proposti dalla Comunità Missionaria, alla formazione e preparazione dei volontari che periodicamente si recheranno in missione e alla cura dei numerosi Albanesi presenti nelle nostre comunità, diversi dei quali hanno ricevuto o chiedono il battesimo. Tale Commissione risulterà composta da: Don Aldo Fonti, Direttore dell’Ufficio missionario diocesano (Missio); don Giuseppe Vaccarini, primo missionario in Albania e nostro Responsabile per il Catecumenato; don Lanfranco Bellavista e un rappresentante dell’Associazione Famiglia Vogel; don Giovanni Vaccarini, Gualtiero Galassi, della Fondazione Shen Asti, e altri due laici, indicati dal Direttore della Missio diocesana. Durante l’anno terranno alcuni incontri con i componenti delle Fondazioni e con sacerdoti e laici più vicini alla Missione.

Ora vi saluto servendomi delle parole di san Paolo: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù” (Fil 4,4-7).

Vi benedico con grande affetto

Rimini, 12 marzo 2014

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Atti del Vescovo

Bollettino Diocesano 2013 - n.4

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Nomina Presidente Azione Cattolica Diocesana

Gent.ma Sig.raProf.ssa MIRNA AMBROGIANIc/o AZIONE CATTOLICA ITALIANA

Carissima Mirna, ho ricevuto la comunicazione della terna, indicata dal rinnovato Consi-

glio Diocesano di Azione Cattolica, per la nomina del Presidente Diocesano della medesima Associazione.

Ti nomino pertanto molto volentieri, a norma dello Statuto, Presidente Dio-cesano dell’Azione Cattolica confermandoti il mandato per il triennio 2014-2017.

Il Beato Alberto Marvelli sostenga e protegga il tuo servizio all’Azione Catto-lica e alla nostra Chiesa diocesana.

Di cuore ti ringrazio per la tua disponibilità e ti benedico

Rimini, 12 marzo 2014

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Lettere e Messaggi

Bollettino Diocesano 2013 - n.4

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La Bibbia è come una lettera. Mittente: Dio. Destinatari: tutti noi. La Bibbia è come una lettera di famiglia, che Dio ha scritto in particolare alle famiglie cri-stiane. Queste poche righe vorrebbero semplicemente aiutare a non aver paura di aprirla. In questo anno dedicato dalla Diocesi alla Parola di Dio, vi chiedo il permesso di entrare a casa vostra e di parlarne un po’ insieme...

Una storia come parabola

Due anziani coniugi, alla sera del loro 60° di matrimonio. Era stata una gior-nata indimenticabile: dopo la Messa delle nozze di diamante e il pranzo al ri-storante, i due rientrarono in casa, accompagnati dal corteo di figli, nipoti e pronipoti. Furono proprio i più piccoli, che, prima di lasciare i bisnonni da soli, cominciarono ad insistere, in coro: “Fateci vedere qualche foto-ricordo del vo-stro matrimonio”. Gli anziani sposini tirarono giù da un vecchio armadio uno scatolone polveroso: da come lo guardavano, si percepiva a pelle che lì dentro c’era un po’ il loro “tesoro”. E cominciarono a pescare: ne cavarono fuori delle foto, prima fra tutte quella, solenne e radiosa, del giorno delle nozze. Poi l’in-grandimento della foto del primo figlio, poi quella di un paesaggio estivo: la loro prima villeggiatura. Pescarono ancora e vennero fuori delle cartoline che si erano scambiati durante il fidanzamento: qualcuna, un po’ logora, perché lui se l’era tenuta sotto la giubba, durante il militare. Poi venne fuori un albero genealogico: una lista monotona di nomi e di date, che dicevano la fierezza di appartenere a una discendenza. Poi estrassero un pacco di lettere d’amore, capaci ancora di far arrossire lei, e di imbarazzare un po’ anche lui. Pescarono ancora e ritrova-rono delle preghiere scritte per i grandi eventi della loro vita. Venne fuori anche l’omelia della Messa di nozze, che il vecchio parroco aveva voluto lasciare loro come ricordo e che avevano riletto ogni anno nell’anniversario di matrimonio. E ancora: il contratto d’affitto del loro primo appartamento. Via via che li presen-tavano, quei “reperti” in mano a loro sembravano illuminarsi e diventavano dei frammenti, dolorosi o gioiosi, di qualche tratto del loro lungo cammino...

Proviamo ad aprire la Bibbia

Applicata alla Bibbia, questa ‘parabola’ pecca certamente per difetto. Tuttavia ci aiuta a cogliere delle dimensioni importanti della Sacra Scrittura. Innanzitutto ci ricorda che prima si vive, poi si scrive. La Bibbia è una storia divenuta “testo”.

Dio ci ha spedito una lettera. E' la Bibbia

Lettera del Vescovo per la Pasqua 2014

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Atti del Vescovo

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Quegli anziani sposi non mostravano dei “documenti”, ma dei concentrati della loro vita. Attraverso di essi si poteva partecipare alla loro avventura d’amore. Così è per la Bibbia: attraverso i suoi scritti, si può scoprire l’avventura di un popolo di credenti, si può entrare nel loro “mondo”. La Bibbia non è come il Corano: non è piovuta in verticale dal cielo, dettata da un arcangelo dalle ali dorate, ma non è neanche nata a tavolino. Vi sono pagine scritte nella sontuosa corte di un re, altre nel buio di un carcere; alcune riflettono la dolce luce di un plenilunio estivo, altre gridano il trauma desolante dell’esilio; alcune cantano un’ardente passione d’amore, altre tradiscono una scottante situazione politica.

Inoltre la Bibbia non è stata scritta di getto, tutta in una volta. La sua forma-zione progressiva rispecchia il cammino compiuto dal popolo d’Israele e dalla Chiesa primitiva. Gli elementi che la compongono hanno preso forma e sono cresciuti lungo un arco di storia durato quasi due millenni.

Altro elemento importante: la varietà dei generi letterari che caratterizzano le pagine della Scrittura. Come un’omelia non appartiene allo stesso genere di una lezione scolastica o di un contratto d’affitto, così nella Bibbia non si può prendere un racconto epico per un resoconto di cronaca, o una rubrica liturgica per una preghiera, o una parabola per un racconto storico.

Ma ciò che caratterizza in modo specifico la Bibbia è questo: è parola di Dio in linguaggio umano. È stata scritta sotto l’azione dello Spirito Santo: è letteral-mente “ispirata” Pertanto bisogna comprenderla “con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta”. Occorre credere per comprendere. E occorre pregare per viverne il messaggio.

Alcune regole e qualche consiglio

Proviamo ora a declinare alcune indicazioni che possono risultare utili per la lettura della Bibbia.

Prima regola. Occorre leggere la Bibbia con intelligenza, come si fa con ogni libro, ad esempio l’Iliade, la Divina Commedia, una poesia di Montale o della Merini. Perciò non ci si deve fermare al linguaggio (cosa dice il testo), ma occor-re arrivare al messaggio: cosa vuol dire il testo. Per questo è necessario tenere conto dei diversi generi letterari: non si può leggere il libro di Giona come quello di Geremia, oppure l’annunciazione a Maria come i racconti della passione di Gesù. Per individuare la forma o il genere letterario di un brano, ci si può servire di una buona Bibbia, con introduzioni semplici e chiare, e con appropriate note esplicative.

Seconda regola. Bisogna ricordare che il messaggio della Bibbia lo si com-prende nella sua purezza e profondità solo se ci si apre alla luce dello Spirito. Gli occhi della ragione sono necessari, ma anche le lenti della fede sono indispen-sabili per non far dire a Dio ciò che Dio non ha detto e non vuole dire.

Terza regola. Si deve fare attenzione al contesto e all’unità di tutta la Scrittu-ra. L’ispirazione divina che attraversa la Bibbia fa dei libri dell’Antico e del Nuovo

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Lettere e Messaggi

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Testamento un solo libro, un tutt’uno. Ciascun testo va sempre ricollegato all’e-vento centrale della storia della salvezza: la vicenda di Gesù, la sua persona e la sua opera, la sua morte e risurrezione.

Quarta regola. La rivelazione di Dio è avvenuta nella storia e perciò ha re-gistrato tappe successive fino a culminare nell’evento centrale e fondamentale: la Pasqua di Gesù. E ciò spiega la presenza di cose imperfette e temporanee nell’Antico Testamento. Perciò bisogna leggere l’Antico Testamento alla luce del Nuovo, e non viceversa.

Quinta regola. La Bibbia deve essere interpretata nella Chiesa, non senza o contro la Chiesa. Infatti lo Spirito Santo non solo ha ispirato la sacra Scrittura, ma anche anima e guida la Chiesa, per cui si dà una sintonia piena tra la Scrittura e la Chiesa che ne possiede il significato profondo, come per istinto.

Forse queste regole possono sembrare difficili o complicate. Ecco allora alcu-ni consigli per facilitare il percorso di avvicinamento alla Bibbia.

Primo. Non pretendere di poter fare tutto da soli. Per arrivare a leggere in modo corretto la sacra Scrittura, è bene mettersi insieme con altri fratelli nella fede e farsi aiutare da un sacerdote o da un laico preparato. L’aiuto di un gruppo biblico potrebbe risultare molto efficace.

Secondo. Il percorso-base che la Chiesa propone è quello liturgico: lo sape-vate che se si frequenta la Messa la domenica, nel giro di tre anni si leggono i passi fondamentali dei vangeli e dell’Antico e del Nuovo Testamento?

Ci sono buoni sussidi che possono aiutare il percorso sia personale che co-munitario. Ne indico alcuni:

- Don Oreste BENZI, Pane Quotidiano, editrice Sempre: libretto bimestrale con commenti ai brani della liturgia quotidiana, feriale e festiva, (eccellente);

- Sulla tua parola, editrice Shalom, formato e periodicità, come sopra, (di-screto);

- Dall’alba al tramonto, mensile, (buono).

Carissimi, spero che questa mia vi possa aiutare. Non abbiate paura di aprire o di

riaprire la Bibbia. Ve lo assicuro: è un libro onesto.Se la trattiamo bene, ci ripaga. Buona lettura!

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Decreti e nomine

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Diario del Vescovo

GENNAIO

mercoledì 1 PomeriggioCattedrale – S.Messa, con canto del Veni Creator

da venerdì 3 a sabato 4 Convegno Nazionale Ufficio Nazionale Pastorale Vocazioni

domenica 5 Mattinoore 12.00 Seminario – Cenacoli del Vangelo

lunedì 6 Pomeriggioore 17.30 Cattedrale – S.Messa, Epifania-Messa dei Popoli

sabato 11 Mattinoore 11.00 Curia – Consiglio Episcopale

da lunedì 13 fino a venerdì 17 Esercizi Spirituali per il Clero di Padova

venerdì 17 SeraOratorio degli Artisti - Presentazione pubblicazione CEER "Religiosità alternativa, sette, spiritualismo sfida culturale, educativa, religiosa"

martedì 21 MattinoCuria - Consiglio EpiscopaleSeraSeminario di Imola - Conferenza "Senza speranza non si educa"

mercoledì 22 SeraSala Manzoni - serata pro-missione Marilena Pesaresi

giovedì 23 MattinoRavenna - ritiro del clero

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Diario del Vescovo

Bollettino Diocesano 2013 - n.4

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venerdì 24 SeraSan Nicolò - Veglia per l'unità dei cristiani

sabato 25 Mattinoore 10.00 Curia - Collegio Consultori

domenica 26 MattinoSalesiani - S.Messa, festa san Giovanni BoscoPomeriggio Sala Manzoni - Convegno Catechistico Diocesano

da lunedì 26 a giovedì 30 a Roma per il Consiglio Episcopale Permanente della CEI

venerdì 31 MattinoSeminario - incontro del cleroCuria - Consiglio Pastorale Diocesano

FEBBRAIO

sabato 1 MattinoClarisse - S.MessaMonteColombo, Casa Madre del Perdono - incontro pubblico "Perdonare...conviene"Cattedrale - S.Messa, Giornata per la Vita

domenica 2 MattinoSeminario - Cenacoli del VangeloCattedrale - S.Messa, Giornata della Vita Consarata

lunedì 3 MattinoBologna - Conferenza Episcopale dell'Emilia Romagna

martedì 4 Mattinoore 9.00 Roma, Pontificia Università della Santa Croce - relazione alla "III Settimana di studio per formatori di seminari"

sabato 8 MattinoudienzeSeraBellariva - Convegno Nazionale AGESC

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domenica 9 MattinoOnferno - S.MessaGemmano - S.MessaBellaria - S.Messa, festa S.Apollonia

martedì 11 PomeriggioOspedale - Giornata del Malato

martedì 11 e mercoledì 12 in Seminario, Consiglio Presbiterale

venerdì 14 e sabato 15 Roma, Seminario di Studio con i Rettori dei Seminari Maggiori d'Italia

domenica 16 MattinoS.Martino in Riparotta - cresimeSeraincontro Vescovi della Romagna

martedì 18 MattinoCuria - Consiglio Episcopale

venerdì 21 MattinoudienzeSeraCattedrale - S.Messa, riconoscimento Fraternità CL e memoria di don Giussani

domenica 23 MattinoBordonchio - cresimeCuria - ritiro Catecumeni

lunedì 24 MattinoSan Marino - S.Messa, arrivo reliquia di don Bosco

venerdì 28 MattinoSeminario - incontro di Presbiterio

MARZO

sabato 1 Mattinoore 8.00 Clarisse - S.Messa

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Diario del Vescovo

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domenica 2 MattinoSeminario - Cenacoli del VangeloPennabilli - S.Messa, ingresso Vescovo San Marino-Montefeltro

martedì 4 Pomeriggiosede CUD - Commissione Pastorale Universitaria

mercoledì 5 PomeriggioSavignano, parr. S.Lucia - S.Messa, con imposizione delle CeneriSeraCattedrale - Liturgia penitenziale con imposizione delle Ceneri

da venerdì 7 a domenica 9 Esercizi Spirituali dei Diaconi

venerdì 7 MattinoBologna - incontro Vescovi per il Seminario Regionale

da venerdì 7 a domenica 9 Esercizi Spirituali dei Diaconi

domenica 9 MattinoCattedrale - S. Messa, Assemblea Diocesana ACPomeriggio Cattedrale - S.Messa, I domenica di Quaresima e istituzione ministeri consacrati

sabato 15 MattinoudienzePomeriggio Cattedrale - S.Messa, memoria Chiara Lubich

domenica 16 MattinoS.Nicolò - S.Messa, con gli amici di don OresteCattedrale - incontro cresimandi e genitori (Litorale Sud, Morciano, Coriano)SeraS.Martino in Riparotta - Assistenti AGESCI

l Lunedì 17 SeraS. Agostino - Meditazione Quaresimale "Vivere nella Chiesa"

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Atti del Vescovo

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martedì 18 MattinoCuria - Consiglio EpiscopaleS.Gaudenzo - S.Messa, ACLI

venerdì 21 PomeriggioCuria - Consulta per la ScuolaCuria - Consiglio Pastorale Diocesano e Consiglio Presbiterale

domenica 23 PomeriggioCattedrale - incontro cresimandi e genitori (Vicariato Urbano)

da lunedì 24 a mercoledì 26 a Roma per il Consiglio Episcopale Permanente della CEI

venerdì 28 MattinoSeminario - incontro del cleroCattedrale - Veglia per i Missionari Martiri

sabato 29 MattinoMaestre Pie - Ritiro USMI-CISM-CIIS

sabato 29 e domenica 30 Esercizi Spirituali AC diocesana

domenica 30 PomeriggioCattedrale - incontro cresimandi e genitori (Litorale Nord, Savignano-Santarcangelo, Valmarecchia)

lunedì 31 MattinoBologna - Conferenza Episcopale dell'Emilia RomagnaSeraS. Agostino - Meditazione Quaresimale "Vivere nella contemplazione" con Sr. Maria Ignazia Angelini

APRILE

mercoledì 2 PomeriggioCappella Universitaria - S.Messa, Pasqua Universitaria

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Diario del Vescovo

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giovedì 3 MattinoCattedrale - S.Messa, precetto pasquale interforze

venerdì 4 SeraLongiano, Santuario del Crocifisso - S.Messa

sabato 5 MattinoClarisse - S.MessaPomeriggio Bellaria - S.Messa, Pastorale del Turismo

domenica 6 Mattinoore 12.00 Seminario - Cenacoli del Vangelo

lunedì 7 SeraS. Agostino - Meditazione Quaresimale "Vivere nell'ascolto" con Andrea Riccardi

mercoledì 9 in Seminario - Consiglio Presbiterale

venerdì 11 SeraISSR "Marvelli" - Meditazione Pasquale

sabato 12 MattinoCaritas - Presentazione Rapporto annuale sulle Povertàore 21.00 Cattedrale – GMG diocesana

domenica 13 MattinoCattedrale - Processione e S.Messa delle PalmePomeriggio Covignano - via crucis CL

SETTIMANA SANTA

martedì 15 MattinoOfficine FS - S.MessaPomeriggio Ospedale - Via Crucis

mercoledì 16 MattinoSeminario - incontro del presbiterioPomeriggio Cattedrale - S.Messa crismale

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Atti del Vescovo

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giovedì 17 PomeriggioCattedrale - S.Messa "in coena Domini"

venerdì 18 MattinoVia Crucis ACgPomeriggio Cattedrale - Liturgia della Passione

sabato 19 MattinoClarisse - Ora della MadrePomeriggio Casa Circondariale - Visita e momneto di preghieraNotteCattedrale - Veglia Pasquale

domenica 20 MattinoCattedrale - S.Messa solenne nel giorno di Pasqua

da martedì 22 a giovedì 24 Palermo, Seminario di formazione sulla Direzione Spirituale a srvizio dell'orientamento vocazionale

giovedì 24-venerdì 25 Molfetta, Convegno per i formatori dei Seminari Regionali

sabato 26 PomeriggioCattedrale - S.Messa, con i disabiliCasale - S.Messa, festa popolare per il beato Pio Campidelli

domenica 27 MattinoMater Misericordiae - cresimeVillaggio I maggio - cresime

lunedì 28 MattinoFognano (RA) - S.Messa, Capitolo OFM Cappuccini

marted’ 30 PomeriggioSala S.Gaudenzo – iniziativa O.PE.RO.

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Diario del Vescovo

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mercoledì 30 MattinoUdienzeSeraColonnella - Veglia per il lavoro

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Attività del Presbiterio

Consiglio Presbiterale DiocesanoIncontro 11-12 febbraio 2014 ................................................................ pag. 76

Consiglio Presbiterale Diocesano e Consiglio Pastorale DiocesanaIncontro 21 marzo 2014 ...........................................................................pag. 82

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Attività del Presbiterio

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Consiglio Presbiterale Diocesano

Verbale dell'incontro 11-12 febbario 2014

Martedì 11Mancano don Fiorenzo Baldacci, don Giuseppe Bilancioni, don Lanfranco Bellavista, don Giuseppe Maioli, don Stefano Sargolini, don Marcello ZammarchiIl Vescovo introduce offrendo una griglia di lettura sulla Evangelii Gaudium, la gioia del Vangelo. Cita per contrapposizione, il rapporto CENSIS dove si parla di società infelice. A questa società siamo chiamati ad offrire la gioia del vangelo: la dolce e confortante gioia di evangelizzare:Qui il Papa accende alcune luci di posizione: sono delle leggi dell’evangelizzazione:1. La legge del dono (10) La vita si rafforza donandola. La vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo agli altri.2. Legge della gioia (10): non evangelizzatori tristi e scoraggiatiSulla gioia ritorna spesso, es n.21: la gioia è una gioia missionaria. Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. 3. Legge del primato della grazia (12)4. La legge della memoria: memoria deuteronomica (13)5. Legge della proporzione o dell’equilibrio (38): I tre ambiti della evangelizzazione1. Pastorale ordinaria: i vicini che frequentano regolarmente o anche non frequentano ma sono credenti. Qui c’è una fede in crescita. Scopo della pastorale ordinaria far crescere la loro fede.2. Le persone battezzate; possiamo chiamarli i lontani vicini: ad es i genitori dei ragazzi del catechismo. O chi viene in chiesa per un funerale. E ricordo che la parrocchia è la comunità dei battezzati che vivono nel territorio, anche chi non frequenta, e che devono starci maggiormente a cuore.3. Coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. La chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione. Al n° 17 La riforma della chiesa in uscita missionaria. Riprendo un testo di Y. CONGAR, Vera e falsa riforma nella Chiesa. Parla della riforma della chiesa per via di santità. Anche il Papa usa l’espressione riforma della chiesa. “Potremmo parlare di una riforma spirituale, di una riforma pastorale e poi di una riforma istituzionale." A proposito della riforma per via di santità cita l’esempio di Francesco d’Assisi.

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Incontri e ritiri

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Si tratta di non deviare sospinti dal gioco della sola intelligenza. … ma l’opera della intelligenza disgiunta dalla carità porta a misconoscere la realtà stessa della chiesa. In realtà le vere riforme sono state quelle fatte nel clima pastorale. I santi cattolici hanno cercato di migliorare la chiesa mediante la chiesa.”

Capitolo I: LA TRASFORMAZIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA. Cinque verbi: PRENDERE L’INIZIATIVA, COINVOLGERSI, ACCOMPAGNARE, FRUTTIFICARE E FESTEGGIARE.Mi sembra che nessuno come l’attuale papa abbia lodato il cammino neocatecumenale, e poi ha chiarito tre cose:1. Lo Spirito Santo vi ha preceduto2. Lasciate liberi di andare via quelli che non vogliono stare con voi. 3. L’unità è un bene talmente grande che è giusto sacrificare dei dettagli a cui voi siete attaccati.

Capitolo II: PASTORALE IN CONVERSIONESpero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di conversione pastorale. Improrogabile rinnovamento ecclesiale (27 ss)Porsi in dinamismo di uscita.27Parrocchia non è struttura caduca.28Movimenti e associazioni ecc. 29

Capitolo III: DAL CUORE DEL VANGELOL’annuncio si concentra sull’essenziale.(35)Il vescovo ha chiesto poi come questo testo interpellava ciascuno del membri del Consiglio.

Mercoledì 12Sintesi del Vescovo a partire dagli interventi della sera.1. LA GIOIA DEL VANGELO riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni.

Questo testo (Evangelii Gaudium) è programmatico per il rinnovamento pastorale della Chiesa. Ho citato Congar riguardo la conversione spirituale della Chiesa per via di santità.Ci sono accenni anche per la terza riforma: quella istituzionale. Ad esempio quella del papato dove il Papa stesso riconosce che non è stato fatto molto. Dopo questo grande orizzonte il Papa accende delle luci di posizione: mette dei paletti che devono orientare il cammino della Chiesa.Allora: perché dobbiamo ripartire da questa esortazione? Perché la Chiesa vive se si riforma continuamente. Si respira l’aria del concilio. La Chiesa o si riforma o si deforma.

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Attività del Presbiterio

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Anche la frase: ripara la mia chiesa san Francesco l’ha intesa in senso materiale (san Damiano). Francesco non si è mai presentato come riformatore della chiesa. A questo punto farei una proposta: questo testo merita una lettura più approfondita, pacata e più concreta. È un documento che accende pensieri nuovi, ci mette nell’animo la gioia di assumere questo impegno della missione, dobbiamo vigilare su noi stessi per evitare recriminazioni, compromessi ecc.Io farei una proposta: abbiamo incontri di presbiterio già programmati. Perché alla tre giorni non facciamo una revisione del nostro spirito, della vita del nostro presbiterio e della nostra pastorale alla luce della Evangelii Gaudium. Forse anche tutto l’anno prossimo lo possiamo dedicare a una sua ripresa. Non è esagerato parlare di un messaggio ispirato.Proposta: dedicare la tre giorni soprattutto al primo capitolo. Ascolto meditato orante e concreto di questo messaggio.Siete d’accordo?

Don Danilo Manduchi: io penso che è un lavoro che possiamo fare nei ritiri. Useremmo il tempo in maniera impropria vista la natura pastorale della tre giorni.

Don Giuseppe Bilancioni : mi sembra una attenzione più di tipo pastorale quella da tenere. In questo momento vedrei altre urgenze.

Vescovo: io non vedo le cose in alternativa. La tre giorni ha una intonazione pastorale, che però il documento assume ma nel senso nobile. Immagino un bosco che si rigenera. Si rigenera di suo, se ha una vitalità gli alberi malati cadono e i nuovi nascono. La chiesa è il campo di Dio. Qui troviamo materia sufficiente.

don Aldo Amati: il rischio è quello di riferire quello che sta più a cuore a me, quindi soggettività rischiosa. Il Vangelo è Cristo, è questo il Vangelo. È questa la partenza della gioia, dello spendersi ecc. La vita del presbiterio è un conseguenza. Mi sembra che sia lo zelo apostolico ad essere carente. Si ha l’impressione di tanti preti che studiano, che non amano la responsabilità della parrocchia. Ma allora il problema non è tanto il volerci bene, rischiamo di parlarci addosso. Il problema è la gente, il vangelo, Gesù Cristo.

Vescovo: propongo una lettura libera, senza la fretta di concretizzare. Vedo che questo ascolto ci fa bene, ospitare questo messaggio in modo disteso. Questo non è in alternativa alle attenzioni che dobbiamo avere al servizio che stiamo compiendo. A livello di cammino non esclude che tutto questo sia ripreso a livello vicariale e di zona pastorale. Vogliamo che il papa trovi ascolto.

Don Luigi Ricci: importante non dare l’impressione di mettere da parte il lavoro e la progettazione pastorale. Ad es il testo ci parla del rapporto tra parrocchie e movimenti che in realtà non è scontato. Anche il cap IV su chiesa e poveri non ci possiamo esimere dall’esaminare concretamente la vita della nostra chiesa.

Don Roberto Battaglia: il documento esordisce dicendo indicare vie per il cammino della chiesa nei prossimi anni.

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Incontri e ritiri

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Attenzione a non diventare chiesa aggrovigliata su se stessa in groviglio di procedimenti. Del papa mi è piaciuta l’esigenza di toccare la carne di Cristo nei poveri. Per accusare il colpo della Evangelii Gaudium bisogna essere disposti a mettere in discussione tutto.

Vescovo: il guaio della nostra vita non è che rinneghiamo Gesù Cristo per trasgressione, ma è quella apostasia silenziosa di quando andiamo in letargo. Quando il papa dice: quando la vita interiore si chiude nei propri interessi … non si gode più la gioia del dolce amore… scontenti e senza vita….Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, sicuro e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto.(EG2)Quando sono diventato vescovo ho scelto frammento di una cripta di Anagni, vescovo, diacono e fedeli che guardano tutti nella stessa direzione.

Don Biagio Della Pasqua: penso che il testo è un dono che ci viene fatto. La domanda che io farei è: in una tre giorni vogliamo fare un’opera di sensibilizzazione, climatizzando una sensibilità pastorale, lasciando le mediazioni alle singole realtà, oppure possiamo tematizzare alcune linee che siano di orientamento per tutti, per es la linea delle periferie, della cultura in rapporto alla fede (fede cultura), oppure il discorso impellente dei poveri. Oppure uno dei cerchi di cui si parlava dei vicini lontani. Riusciamo a intravvedere delle periferie che oggi ci richiamano? Vedo la necessità di focalizzare delle mediazioni possibili per la nostra comunità.

Don FiorenzoBaldacci: mi ha sorpreso questa proposta, vedendo soprattutto tra noi preti la difficoltà di respirare una apertura missionaria, la difficoltà di uscire da una depressione pastorale. Dobbiamo recuperare questa gioia di incontro con il Signore. Lo crediamo acquisito ma acquisito non lo è. Il rischio è di fare tanti progetti che mancano di cuore. Ritengo che potrebbe essere un bel momento.

Don Andrea Turchini: io sento molto vere tutte e due le istanze. Direi importante è chiarire gli obiettivi da dare in questa 3 giorni Ci vuole un taglio di lettura. Il problema è che nonostante noi ascoltiamo tutti i giorni il vangelo però non lo traduciamo in scelte concrete di vita. Allora ci vorrebbe un ulteriore momento durante l’anno per concretizzare alcune piste. Sul fatto che possa avvenire dopo pongo un’altra questione: quest’anno abbiamo affrontato progetti, e questioni, ma le abbiamo sempre affrontate con approccio clericale. Io credo che sia la lettura sia la fase delle mediazioni, dovrebbe coinvolgere le altre vocazioni della chiesa.

Don Dino Paesani: mi colpiva l’idea del marcare il territorio (don Danilo). Il papa ci dice di mettere ali. Chiedo dalla tre gg quello spirito che metta al centro l’amore per Gesù e la passione di comunicarlo, ma contemporaneamente

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Attività del Presbiterio

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mettere a fuoco degli aspetti sul piano pastorale che siano convergenti con la Evangelii Gaudium

Vescovo: Conclusione. N° 25: Non ignoro che oggi i documenti non destano lo stesso interesse che in altre epoche, e sono rapidamente dimenticati. Ciononostante, sottolineo che ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e delle conseguenze importanti. Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una «semplice amministrazione». Costituiamoci in tutte le regioni della terra in un «stato permanente di missione». La sintesi deve essere sempre nel punto più alto. Il papa ci chiede di attuare una conversione missionaria della nostra pastorale. Questo non è un messaggio nuovo, se prendiamo Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia ritroviamo lo stesso pensiero.

Allora la domanda che ci pone è: come ci interpella questo messaggio. Poniamoci con libertà di fronte a questo. Pensiamo ai risultati come frutti. Fate frutti degni di conversione. I frutti non vengono fuori perché stiriamo i rami ma perché coltiviamo le radici. Da noi cosa significa che il nostro presbiterio e la nostra chiesa riprenda questo cammino di conversione missionaria della nostra chiesa. Io ho fiducia.Tra le malattie c’è l’autoreferenzialità. Il documento ne ha il vaccino. Mi sembra che un ascolto libero gratuito, disponibile, non può non farci riflettere sulla nostra vita. Ricordavo l’intervento di papa Francesco ai neocatecumenali. Mai un Papa li ha lodati così tanto e mai era stato così chiaro su tre punti. Quindi lo Spirito Santo ci precede per cui noi siamo dei discepoli missionari.Concretamente mi impegno che l’ascolto non sia solo accademico, ma anche che non si pregiudichi l’ascolto. Vi chiedo una preghiera perché non siamo soli. La legge della grazia è fondamentale. Condivido che l’ascolto allargato ci fa bene. Ci fa bene allargarci in qualche momento con i laici e con i diaconi. Sono una risorsa di cui lo Spirito Santo ha arricchito la chiesa. Quindi che ci sia un momento plenario. Non escludo che ci dia una bella assemblea pastorale. Perché questo contenuto richiede un ascolto approfondito e ampio perché ne va della riforma della chiesa.

A circa 15 anni della missione del-al popolo come ravvivare il fuoco?Ho chiesto al consiglio presbiterale: vi sembra che sia venuto il momento per un annuncio missionario che aiuti ad andare verso una pastorale più missionaria? Mi è stato detto di aspettare ed è stato provvidenziale. Oggi abbiamo una prima riflessione su questo interrogativo. Però intendo convocare il Consiglio Presbiterale insieme al Consiglio Pastorale per un discernimento più allargato. Sarà in quella sede che noi faremo un esercizio di discernimento comunitario su tempi, modi ecc. tenendo conto del cammino che abbiamo fatto. Mi sembra che ci sia bisogno e che ci siano delle buone premesse. Nel 2010-11 abbiamo dedicato un anno alla missione. Abbiamo condiviso l’impostazione:

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Incontri e ritiri

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Contemplazione-Comunione-Missione. Non abbiamo fatto una missione straordinaria. Ma abbiamo risvegliato una sensibilità missionaria. Come si fa a misurare sociologicamente la riuscita? Come si fa a misurare un raggio di sole con il metro?E per le zone pastorali: siamo di fronte a una scelta obbligata ma anche benedetta, perché ci è suggerita dai Vescovi. Oggi avviamo un discernimento ma non lo finiamo qua. Oggi cominciamo ma poi altri passi. Per es la tre giorni ci aiuterà ad andare avanti. Mi sembra che lo Spirito Santo ci stia aiutando. Mi sembra che possiamo chiedere al Signore la gioia dell’annuncio.Segue il confronto tra i membri nel Consiglio.

Vescovo: mi sembra che tutti condividiamo che quest’anno di pausa sia stato provvidenziale. C’è un atteggiamento meno aggressivo nei confronti della chiesa. Il tempo è cambiato, ci sono dei kairoi che rendono opportuna l’apertura missionaria. Mi sembra che si condivida di ritrovarci in un momento successivo con il consiglio pastorale. Non abbiamo parlato del cammino di preparazione. Potremmo vedere anche la possibilità di raccogliere proposte. Vediamo di fare spazio a convocazione straordinaria dei due consigli. Per prendere la Evangelii Gaudium come la mappa che ci indica la meta. Vi chiedo di dare la precedenza rispetto agli altri impegni.

Conclusioni e comunicazioni del Vescovo :1. Sono 25 zone pastorali. 25 pomeriggi e serate per più di due mesi. Fatte le debite proporzioni mi viene da pensare alla visita delle benedizioni alle famiglie. Mi piace che possa diventare una itineranza ordinaria del Vescovo, che una volta all’anno visita le comunità. I momenti più importanti sono: l’incontro personale con i preti e anche i diaconi. L’incontro con la comunità alla sera. Un vicariato è riuscito a fare una assemblea di preparazione. È un momento importante. La gente gusta questo momento. È un momento breve. Si inizia alle 21,00 e si deve finire massimo entro le 23. Dobbiamo vedere di condividere il possibile, doni, risorse, fatiche. ritorno sul discorso della pastorale integrata: è strada obbligata, benedetta e faticosa. 2. Si è detto giustamente di quella spinta centrifuga che serve ad equilibrare la spinta centripeta. La pastorale integrata non va solo verso l’accorpamento. La sua finalità è missionaria e quindi dovrà salvare la capillarità della presenza ecclesiale, quindi riscoprire le comunità ecclesiali di base, focolari, in cui si incontrano per la preghiera, scrittura, catechesi e realtà della vita ordinaria. Tali comunità decentrano e articolano la comunità parrocchiale. 3. Per i cenacoli del vangelo: è cominciato il cammino mensile, è seguito mensilmente da d Davide Arcangeli e don Luigi Ricci si farà l’incontro con gli accompagnatori dei cenacoli, con un questionario si farà il punto della situazione.L’impressione è che hanno aderito persone motivate; altre sono venute mandate ma senza avere ben chiaro che i cenacoli sono finalizzati per il 3° cerchio, i lontani, cosa quanto mai difficile. Non è detto che il percorso si concluda entro un anno.

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Attività del Presbiterio

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Alle ore 19,00 del giorno 21 marzo 2014, si sono riuniti in seduta congiunta, sotto la presidenza del Vescovo S. E. Mons. Francesco Lambiasi, il CPD ed il Consiglio Presbiterale, con il seguente o.d.g.:

"RIFLESSIONE SULLA EVANGELII GAUDIUM: UNA MISSIONE STRAORDINARIA PER LA MISSIONE PERMANENTE"

Introduce S.E. il Vescovo che, dopo lo scambio del segno della pace, invita all'a-scolto della Parola di Dio, espressa in At. 13, 46-49 e nel Salmo 96.

Si procede alla lettura del primo punto della Esortazione Apostolica "Evangelii Gaudium", della quale S. E. il Vescovo, aveva avuto cura di sottolineare alcuni passaggi nella lettera invito inviata a tutti i membri dei due consigli diocesani.

L'inizio dell'incontro si ha con la preghiera "A Maria" posta alla fine dell'esorta-zione.In sintesi le parole del Vescovo: "Ho voluto fornirvi una breve sintesi della Esor-tazione Apostolica che io stesso ho curato e non certo come strumento so-stitutivo, ma come spunto di riflessione per un lavoro personale. Vi trovate sintetizzati i capitoli 1 - 2 - 3 - 5. Ora, ci rivolgiamo a Maria e mettiamo nelle Sue mani e nel Suo cuore il nostro desiderio: attraverso lei, lo Spirito Santo ci faccia essere un cuor solo e un'anima sola sin da questo momento. A Maria chiediamo anche che la nostra Chiesa possa fare quel balzo in avanti, quello slancio -un soprassalto di grinta, come dice il Papa- perchè possiamo vivere una rinnovata Pentecoste. Questo oltrepassa i nostri sogni, ma dobbiamo osare e sognare insieme. Il nostro incontro si svolgerà in due tempi: nella prima parte farò io stesso una presentazione e poi interverranno Don Luigi per illustrare il cammino missionario fatto e Mirna per la suddivisione del lavoro in gruppi.Insieme a voi, desidero sottolineare il significato di alcuni punti, senza la prete-sa di esaurire tutto il contenuto.Il S. Padre, citando le parole di Papa Benedetto, riferisce che esse ci conducono al centro del Vangelo: 'All'inizio dell'essere cristiani, non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un Avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte ...'. Dio è Amore e questo è l'essenziale, è il no-stro monoteismo cristiano. (cfr. n° 7)L'annuncio cristiano si concentra su ciò che è 'più bello, più grande...più ne-

Consigli Presbiterale e Pastorale Diocesani

Verbale dell'incontro congiunto del 21 marzo 2014

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Incontri e ritiri

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cessario' (cfr n° 35) e quindi l'impressione di smarrimento di fronte al CCC non deve esserci perché, come affermava Giovanni Paolo II, quello è il nostro Catechismo, la bella notizia, è il Kerigma. Quindi il catechismo contiene il fon-damento, la Bella notizia è che Cristo è morto e Risorto.Tutte le verità rivelate procedono dalla stessa fonte e sono credute con la me-desima fede, ma alcune di esse sono più importanti" (n° 39). Non dobbiamo infatti dimenticare che deve esserci una "gerarchia" delle verità, come è af-fermato nel decreto Conciliare "Unitatis Redintegratio", in cui si afferma: "... i teologi cattolici, fedeli alla dottrina della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà. Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o gerarchia nelle verità della dottrina cattolica... " (n°11). L'evangelizzazione non deve essere prevalentemente dottrinale. Si tratta di mettere a fuoco il "comandamento nuovo che è il primo (Gv 15, 12): 'Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi' (161)”.Ora vorrei sottolineare lo stile missionario (cfr. 12 e 112): Lo stile missionario non può essere pelagiano. Il primato è sempre di Dio, ma Dio da solo non por-ta avanti l'evangelizzazione. Dio vuole portare avanti il Suo disegno alleandosi con noi e noi, non possiamo pensare di fare tutto da soli. Semmai tocca a noi fare tutto come se tutto dipendesse da noi, ma con la consapevolezza di lasciar fare tutto a Dio (cfr. S. Ignazio di Loyola).Vorrei sottolineare i cinque verbi riportati al n° 24: - prendere l'iniziativa: la co-munità sperimenta che il Signore l'ha preceduta nell'amore ed è per questo che può fare il primo passo; - coinvolgersi: la comunità imita il Maestro 'fino all'u-miliazione'; - accompagnare nella pazienza e nelle lunghe attese; - fruttificare: il Signore vuole che la Chiesa sia feconda (qui il Papa esprime la sua spiritualità Ignaziana), ma il seminatore non si scandalizza della zizzania e trova il modo di far sì che la Parola si incarni; - festeggiare: la comunità gioisce per ogni piccola vittoria.L'Esortazione Apostolica è una bella sfida e la Missione Straordinaria non nasce dal niente.Interviene Don Luigi Ricci, che illustra i passi compiuti fino ad oggi.La Missione del Popolo al Popolo (1999 - 2000). La Missione fu proclamata in preparazione all'anno giubilare del 2000.

Le caratteristiche:ogni fedele è missionario;capillarità nel territorio;iniziative diverse distinte per età;missione diocesana articolata in base alla Pastorale.18/10/1998 apertura solenne in Duomo con la celebrazione della Parola;20/11/1999 conclusione.20/11/1998 Catechesi del Card. Biffi all'auditorium della Fiera, dal titolo:

"Gesù Cristo vivo nella Chiesa";altre iniziative.

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Alcuni dati interessanti:• la popolazione della Diocesi era di 300.000 abitanti; le parrocchie erano

123, mentre oggi sono 115;• ad ogni iniziativa hanno partecipato in media 1.200 persone;• 800 "Centri di ascolto del Vangelo" con circa 15.000 partecipanti;• è stato distribuito, con il sistema "porta a porta" il Vangelo di S. Luca in un

n° di 15.000 copie;• la spesa sostenuta dalla Diocesi è stata di Lit. 348.000.000 e le entrate pari

a Lit. 195.000.000.Nel settembre 2007 abbiamo vissuto l'ingresso in Diocesi del nostro Vescovo Francesco e il percorso Pastorale, sulla base della Lettera Apostolica "Novo Millennio Ineunte" è stato così declinato:

• Contemplazione. Anno 2008: "Vogliamo vedere Gesù" . Assemblea dio-cesana a Stadium 105 tenuta il 12/10/2008

• Comunione. Anno 2009: "E di me sarete testimoni".• Missione. Anno 2010/11: "E' in te la sorgente della vita".

Segnala che ci sarà il Convegno Ecclesiale a Firenze nel 2015: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.Al termine della relazione del V.G., Mirna divide i partecipanti in 3 gruppi per il lavoro di riflessione e condivisione.La sintesi globale dei lavori di gruppo è allegata al presente documento.Alle ore 22,00 si ritorna in assemblea ed un portavoce per ogni gruppo espone una breve sintesi.S. E. il Vescovo così conclude: “Citando il n° 279 di EG, la missione non è un progetto o un affare aziendale; non è un'organizzazione umanitaria; non è uno spettacolo per contare quanta gente vi ha partecipato, ma è qualcosa di più profondo che sfugge alle nostre misure. Spesso i nostri missionari si sentono scoraggiati, ma quante volte non pensiamo ai frutti sparsi in altri luoghi! Noi dobbiamo donarci, questo sì, perchè se non lo facciamo, possiamo anche spen-derci, ma restiamo delusi e stanchi. Qual è la certezza fondamentale? E' questa: Cristo è Risorto e la Sua azione è contenuta in questo passo del Vangelo che ora vi cito: (Mc 16, 19 - 20) "Il Signo-re Gesù dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la Parola con i segni che l'accompagnavano".Vi invito a riflettere sulle ultime pagine dell'esortazione. Abbiamo bisogno di un anno per metterci in "stato di missione", un anno di conversione pastorale (dei pastori e della pastorale); dobbiamo pregare molto e far pregare; abbiamo biso-gno di ascolto per condividere quello che abbiamo. Se la missione non riparte da noi, a chi la proponiamo? Straordinarietà ed ordinarietà della missione sono in stretto rapporto.Dopo la preghiera e la benedizione del Vescovo, la seduta termina alle ore 22,30.

Documento di sintesi dei gruppi di lavoroIl Consiglio pastorale ed il Consiglio presbiterale, nella seduta comune del 21-3-

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Incontri e ritiri

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2014, hanno commentato così la necessità della missione:Viviamo oggi in una società post-cristiana, che necessita di un nuovo annuncio di fede, realizzato nei tre differenti ambiti che Papa Francesco riconosce al n°14 di EG. Nel rispondere a questa esigenza oggettiva, cogliamo l'occasione propizia di riscoprire la missione come dimensione costitutiva dell'essere Chiesa, nella vita personale e comunitaria (EG 15). Solo in quest'ottica – allo scopo di motivare in senso missionario la pastorale ordinaria- hanno senso le iniziative straordinarie e gli eventi.La Chiesa vive continuamente la tentazione della chiusura e del “si è sempre fatto così” (EG 33), mentre Papa Francesco la esorta ad essere piuttosto“sporca ed accidentata” (EG 46-49), ma “in uscita” e “con le porte aperte”.La proposta è quella di una fede scelta, adulta e convinta, innanzitutto in chi la propone: la fede non si può “insegnare”, ma occorre testimoniare la gioia dell'incontro con Cristo e favorire le condizioni perchè l'altro vi si accosti e la scopra. Diventano in tal senso essenziali ed evangelizzatrici, in primo luogo, le relazioni: “...il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo” (EG 88). Tutti coloro che hanno scoperto la bellezza della fede sentono l'esigenza di co-municarla e condividerla ed il Papa richiama continuamente l'impegno comune del popolo di Dio.“La bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risor-to” (EG 36) è il cuore dell'annuncio. La missione non è, nella sua essenza, un'organizzazione, e protagonista della missione e primo evangelizzatore è il Signore Gesù. La vita della Chiesa non deve costringere o soffocare lo Spirito e, andando verso l'altro, dobbiamo cre-dere che il Signore si serve di noi per operare salvezza.Comunione e missione sono intimamente connesse: una “comunione fraterna che diventi attraente e luminosa” (EG 99) costituisce la forza prima della mis-sione. Nelle occasioni in cui, come Chiesa locale, ci siamo ritrovati in assem-blea, abbiamo fatto esperienza di un popolo convocato e radunato dalla Parola ed inviato in missione. Altra esperienza paradigmatica in questo senso è quella della preparazione degli animatori dei Cenacoli del Vangelo.È vero altresì che dare credito allo slancio missionario aiuta a vivere l'unità, per-chè la passione missionaria accomuna.La contemplazione, l'incontro abituale con la Parola come alimento necessario ed il rapporto con Dio nella preghiera permettono di scoprire relazioni nuove, generate dal Signore e mettersi in gioco con chi ci sta vicino tutti i giorni, cor-rendo “il rischio dell'incontro con l'altro” (EG 88). Occorre partire dal significato dei verbi “prendere l'iniziativa” e “coinvolgersi” (EG 24), che indicano la scansione fondamentale, spirituale e concreta, della missione, poi si deve uscire, fare esodo, abbandonando le sicurezze. In questo modo la Chiesa diventa inclusiva e attenta all'estraneità.La missione straordinaria può essere l'occasione per rimettere in tensione tutta la comunità, cogliendo le potenzialità in essa contenute.

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Attività del Presbiterio

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Hanno elaborato queste attenzioni e proposte:1. E’ necessario in questo cammino rispettare il quadro d’insieme (siamo partiti

dall’anno del Battesimo, poi la Cresima, ora l'Eucaristia; nel 2015 avremo il Convegno di Firenze e viviamo il decennio dedicato all’educazione).

2. Il criterio del doppio binario sembra indispensabile: impegno di preghiera e di concretezza nella missione.

3. Non cercare lo straordinario, ma recuperare la missionarietà nell’ordinarietà della vita pastorale.

4. L'evangelizzazione ha al centro la Persona di Gesù: questa è la misura sulla quale verificare le attività pastorali.

5. Non ci siano “recinti del sacro”, ma si recuperi un rapporto con il reale intero, per vivere il mistero dell'Incarnazione.

6. Mettere in luce tutte le povertà, “le periferie” del nostro tempo; lasciarsi evangelizzare dai poveri.

7. Valorizzare come tali “i fatti di Vangelo” e la testimonianza di chi per la fede ha cambiato la sua vita.

8. Si scoprano gli ambiti di primo annuncio, per accompagnare le persone nelle diverse condizioni di vita.

9. Il soggetto pastorale della missione deve essere la Zona prima ancora della parrocchia; la pastorale integrata è insieme frutto della missione e testimo-nianza di comunione per essa. Occorre far emergere il suo volto missionario.

10. Il lavoro sui metodi e lo stile della missione è necessario (la formazione per andare, saper ascoltare e porsi in relazione, così come saper sollecitare le domande ed i bisogni delle persone).

11. Praticare gesti concreti, anche se piccoli, è un punto di partenza.12. La missione è importante negli ambiti della ferialità di vita: le relazioni con

le persone vicine, i luoghi di lavoro e di incontro sociale. Anche il gesto sem-plice di bussare alla porta del vicino serve ad entrare in situazioni frequenti di isolamento e solitudine.

13. La visita alle famiglie è strumento utile.14. Lo stile del missionario: credibilità, coerenza, sorriso, fiducia, senza nascon-

dere le proprie fragilità.15. Valorizzare la professionalità delle persone può essere una risorsa nell'am-

bito della missione.16. Uno dei grandi poveri del nostro tempo è la famiglia, della quale pochi si

curano e alla quale vengono richieste molte cose: dall'educazione dei figli all'assistenza degli ammalati, dall'affrontare le problematiche di famiglia di-sgregata alla disoccupazione.

17. La Dottrina sociale della Chiesa è un tesoro da impiegare nella missione. 18. L'impegno per la giustizia è necessario; il Fondo per il lavoro è in questa

linea.

Hanno indicato questi rischi:1. Il rischio di sentire la missione come replica di qualcosa già vissuto e ridurlo

ad un gesto pubblico.

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Incontri e ritiri

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2. Perdere l'occasione di ripensare strutture, stili e metodi della vita pastorale nell'ottica dell'evangelizzazione, creando le premesse per un'educazione per-manente alla missionarietà.

3. Farsi prendere dal facile entusiasmo delle iniziative e non saper compiere attento discernimento dei frutti della missione.

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Avvenimenti Diocesani

Settimana per l'unità dei cristiani .....................................................................................90

Visita Pastorale alle Zone e Unità pastorali ...................................................................91

Meditazioni Quaresimali 2014 .........................................................................................53

Giornata della Parola di Dio ...............................................................................................95

Incontri cresimandi 2014 ....................................................................................................96

Giornata in memoria dei Missionari martiri ..................................................................98

Settimana Santa e celebrazioni pasquali .......................................................................99

Apertura Causa di beatificazione di don Oreste Benzi ........................................... 101

Liturgia Eucaristica con le persone disabili ................................................................. 102

Illuminaci ............................................................................................................................... 103

Veglia del 1 Maggio............................................................................................................ 104

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Avvenimenti Diocesani

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Anche Rimini ha alzato la sua preghiera insieme ai fratelli ortodossi e coinvolge per la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”che si è svolta dal 18 al 25 gennaio. Il tema di quest’anno è stato “Cristo non può essere diviso”.

Tre le iniziative a livello diocesano.La prima è stata una conferenza pubblica organizzata dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” (nell’aula magna dell’Istituto), in collaborazione con la Commissione diocesana per l’Ecumenismo, dal titolo “Profezia e dialogo della carità. A 50 anni dall’incontro tra Paolo VI e Athenagoras I”. Relatore il prof. don Basilio Petrà, docente di Teologia Morale presso la Facoltà Teologica dell’I-talia Centrale e docente di Morale ortodossa presso l’Accademia Alfonsiana e il Pontificio Istituto Orientale di Roma.

Gli altri due appuntamenti sono stati di preghiera:Venerdì 24 gennaio una Veglia di Preghiera presieduta da mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini, presso la chiesa di San Nicolò al porto a Rimini.

Sabato 25 gennaio il Vespro Ortodosso guidato da padre Serafino Corallo, Pro-topresbitero Ortodosso presso la Chiesa Cattedrale Ortodossa della Presenta-zione di Maria SS. al Tempio e S. Nicola di Myra a Rimini, via Emilia, 1.

Anche Riccione si è mobilitata. La Commissione Diocesana per l’Ecumenismo in collaborazione con le parrocchie riccionesi ha proposto una serata cittadina di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, presso la vecchia Chiesa San Martino (C.so F.lli Cervi 235), e animata dal “Coro Internazionale San Nicola” composto da persone di fede cattolica e ortodossa.

Oltre a tanti gesti di singoli e parrocchie, giovedì 22 gennaio, la zona pastorale di Savignano ha organizzato una veglia di preghiera presso la chiesa di Santa Lucia, insieme alla comunità ortodossa, per la quale ha partcipato anche padre Serafino Corallo.

Settimana per l'unità dei cristiani

Cristo non può essere diviso

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Avvenimenti diocesani

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Il Vescovo Francesco ha incontrato per la prima volta queste nuove forme di aggregazione comunitaria

Si tratta di 25 realtà, da San Giovanni in Marignano-Pianventena a S. Salvatore-S. Lorenzo in Correggiano-Casalecchio-S. Maria in Cerreto. La Visita Pastorale proseguirà con cadenza serrata fino al prossimo 19 aprile.Sono 25 queste realtà, dalle più numerose a quelle più periferiche, da quelle più strutturate a quelle con maggiori affinità pastorali.

La Zona Pastorale è l’insieme di più parrocchie che insistono su un territorio omogeneo, promuovono gradualmente una collaborazione organica e stabile, a partire da alcuni ambiti, come Iniziazione cristiana, Formazione di catechisti e operatori pastorali, Pastorale familiare e giovanile, Caritas.

Per Unità Pastorale si intende l’insieme di più parrocchie di un’area omogenea, affidate a una cura pastorale unitaria e chiamate a condividere un cammino concordato e coordinato, attraverso la realizzazione di un preciso progetto pa-storale missionario. Le UP potranno conoscere una molteplicità di forme, ma dovranno poter contare su alcuni elementi: un presbitero Moderatore per il coordinamento dell’unità pastorale; un progetto pastorale comune, approvato dal Vescovo; la costituzione di un Consiglio dell’unità pastorale, luogo di comu-nione, discernimento e coordinamento.Zone Pastorali e Unità Pastorali sono una scelta della Diocesi, giunta dopo una lunga riflessione a vari livelli, e in ordine a motivazioni pastorali e spirituali. La realizzazione di ZP e UP sarà graduale ma è un’opportunità per i sacerdoti, le comunità e i laici. Per i sacerdoti, sia sul piano spirituale sia quello pastorale e umano (aiuto per momenti di preghiera, per le scelte pastorali, per la valoriz-zazione di competenze diverse….).Per le comunità, nell’ottica di avere laici formati e capaci di corresponsabili-tà, nell’opera educativa (dai bambini agli adulti), nella gestione economica, nell’impegno missionario.

La Visita Pastorale del Vescovo si è svolta dal pomeriggio alla sera, con modali-tà che ciascuna ZP o UP avrà scelto e indicato. Il Vescovo ha incontrato sempre i sacerdoti, prima singolarmente, poi comunitariamente – e insieme ai diaconi,

Visita Pastorale alle Zone e Unità Pastorali

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dove sono presenti – per Zona o Unità Pastorale. Successivamente ad una cena frugale, è prevista la recita della preghiera dei Vespri, aperta a tutta la comuni-tà, e l’incontro con gli operatori pastorali. Dove c’è già stato un certo cammino, è stata l’occasione per presentare i passi compiuti, con le difficoltà incontrare e gli aspetti positivi riscontrati. Dove il cammino è ancora da intraprendere, la Visita Pastorale è stata anche l’occasione per incontrarsi, conoscersi e fissare qualche passo successivo concreto, da organizzare, realizzare e verificare. In ogni caso, il Vescovo Francesco ha proposto uno sguardo di fede su questo momento storico della Chiesa e richiamerà le motivazioni della scelta pastora-le delle Zone Pastorali e Unità Pastorali.

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Cinque meditazioni, ogni lunedì dal 10 marzo al 7 aprile, con grandi protagoni-sti della vita culturale e pastorale, dall’ex ministro Andrea Riccardi al fondatore del Semirg Ernesto OliveroIl sacramento che da duemila anni i cristiani si ostinano a credere sia tutto: la fonte e la foce, la base e il vertice, il punto di partenza e di pienezza del vissuto cristiano, è al centro delle “Meditazioni Quaresimali 2014.“Eucarestia nostra vita” è infatti il titolo dell’itinerario che la Diocesi di Rimini ha realizzato attraverso cinque appuntamenti (i lunedì dal 10 marzo al 7 aprile) proporrà altrettante meditazioni sul dinamismo pasquale che si attiva nell’Eu-caristia, richiamando la centralità e la bellezza dell’Eucarestia.

“Davanti all’Eucaristia proviamo immancabilmente stupore e tremore. – ha scritto il Vescovo Francesco Lambiasi presentando le Meditazioni 2014 – nel grande sacramento la realtà divina si affaccia al nostro orizzonte come «miste-ro tremendo e affascinante»: tremendo, per la sua incontenibile potenza; affa-scinante, per la sua sconfinata misericordia. Per fare spazio alla nostra libertà, Dio si mostra talmente immenso e illimitato da autolimitarsi in un pezzetto di pane e in un sorso di vino, e si rivela talmente misericordioso e benevolo da offrirsi, disarmato, alla nostra fame e sete di infinito”.

L’Itinerario (giunto alla sesta edizione) prende il via il 10 marzo (ore 21): l’esor-dio è affidato a Ernesto Olivero, il fondatore del Sermig / Arsenale della Pace di Torino: “Il segreto della mia vita (Testimoniare il Dono ricevuto)”. Il secondo appuntamento (17 marzo) è affidato al Vescovo di Rimini. Mons. Francesco Lambiasi “Vivere nella Chiesa. La Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chie-sa”. La terza tappa (24 marzo) “Vivere nelle ’periferie esistenziali’ (La carne di Cristo e lo scandalo della carità)” è affidata a don Giovanni Nicolini, parroco della Dozza a Bologna e fondatore della Comunità “Famiglie della Visitazione”. “Vivere nella contemplazione (Il pane del silenzio e della Parola) è il tema dell’Abbadessa di Viboldone Maria Ignazia Angelini (31 marzo). La conclusione delle Meditazioni Quaresimali è affidata ad Andrea Riccardi, ex ministro, sto-rico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, cittadino onorario di Rimini. Riccardi interverrà sul tema: “Vivere nell’ascolto”. Il sottotitolo è già da sé un programma: “Vita e lettura della Parola di Dio”.

Dopo gli itinerari quaresimali degli ultimi anni, incentrati sul Contemplare il

Meditazioni Quaresimali 2014

Eucaristia nostra vita

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volto di Cristo, sulla testimonianza a Cristo nella Chiesa-Comunione, e sulle certezza che Con Cristo o senza Cristo cambia tutto, alla Chiesa riminese pare ora necessario e urgente interrogarsi sul sacramento dell’Eucaristia: “nel pane consacrato è scolpito il volto inconfondibile di Cristo, e vi si specchia il volto specifico del cristiano, nella sua misura più alta, quella della santità”.

Gli incontri, aperti a tutti, si sono svoltio presso la Chiesa di Sant’Agostino.

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Domenica 9 marzo, si è celebrata la Giornata della Parola di Dio. “Una do-menica all’anno, per vivere tutte le domeniche in ascolto della Parola. E perché non tutti i giorni dell’anno?” domanda il Vescovo di Rimini nel presentare la Giornata.

Dio ha parlato e continua a inviarci i suoi messaggi. E parla “umano”. Però l’uomo spesso non accoglie i messaggi, e li lascia nella “segreteria” del suo smartphone senza scaricarli.

“Ecco la pena di Dio. – aggiunge mons. Francesco Lambiasi – Dio ci ha spedito una lettera - appunto la Bibbia - e continua a supplicarci perché noi suoi figli ci mettiamo in comunicazione con lui, ma per il 90% dei cristiani la sua Parola continua a rimanere una mail ricevuta e dimenticata, senza neanche venire aperta. È tempo di dire basta a questa traumatica incomunicabilità tra Dio e noi”.

Non si tratta di iscriverci tutti al Pontificio Istituto Biblico, perché Dio non ha ispirato la Parola per farla studiare solo da biblisti ma perché i suoi figli la ascoltino, la comprendano e vivano la sua Parola. Papa Francesco ha affermato: “Lo studio della Sacra Scrittura deve essere una porta aperta a tutti”. Il Santo Padre auspica infatti una assidua “familiarità con la Parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria”.

Dopo aver dedicato (parte) della Lettera Pastorale proprio al tema della Parola di Dio, e il libretto Vorrei leggere la Bibbia. Mi aiutate? (edizioni ilPonte), il Vescovo ora rilancia. “Allora sveglia, vescovo, preti, diaconi di Rimini! Sveglia, consacrate/i, associazioni e movimenti, fedeli tutti della diocesi! Domenica 9 marzo sarà la prima domenica di Quaresima. Per la prima volta nella nostra Diocesi celebreremo la Giornata della Parola di Dio”.

In tutta la Diocesi da tempo esistono diversi esperienze di ascolto della parola di Dio: i gruppi di Ascolto del Vangelo, la Settimana Biblica organizzata da Azione Cattolica, i corsi all’Istituto di Scienze religiose “A. Marvelli”, i corsi biblici nelle parrocchie, esperienze periodiche di Bibbia “scrutata”. Ora la Dio-cesi sta approntando i Cenacoli del Vangelo, formando gli accompagnatori per questa nuova esperienza.

In occasione della Giornata della parola di Dio, poi, le parrocchie hanno risposto in diversi modi e con sensibilità differenti.

Giornata della Parola di Dio

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Incontri cresimandi 2014

Una cosa solo so: ora ci vedo!

Il Vescovo Francesco ha recapitato un invito ai ragazzi. Sì, proprio un invito, di quelli che si ricevono per le feste di compleanno di amici, o i dépliants pubbli-citari per i locali. L’invito ad un momento in cui in amicizia e con allegria dire grazie a Gesù per il dono dello Spirito Santo nella Cresima. “Insieme, perché è più bello dire grazie accanto ad amici che già conosciamo e ad altri che possono diventarlo. – scrive il Vescovo – Con allegria, perché i doni di Dio, se capiamo bene come funzionano, sono pensati per la nostra gioia”.

La lettera personale che mons. Lambiasi ha inviato a tutti i cresimati e cresi-mandi della Diocesi di Rimini, si apre con una richiesta, fatta quasi in punta di piedi: “Vi posso fare una domanda che mi sta molto a cuore? – scrive il Vescovo – Vi fermate mai a pensare al dono della vista?”. Gesù ha incontrato un ragazzo cieco, a Gerusalemme, ma che in realtà vedeva molto più dei suoi compaesani, come è raccontato al cap. 9 del Vangelo di Giovanni.

Il Vescovo Francesco prosegue il dialogo con i ragazzi: “Vi è mai capitato di ricredervi su una persona? Magari pensavate che quel ragazzo fosse antipatico e poi, grazie a un incontro positivo, vi siete accorti che non era vera. Sapete che è facile sbagliarsi? Solo Dio ci vede bene e vede il cuore delle persone. Se vogliamo vederci bene – è l’invito – dobbiamo stare molto vicini a Lui”. Come il ragazzo cieco del racconto. Il quale, guarito, incontra di nuovo Gesù, che gli chiede di vedere ciò che veramente conta: “Tu credi in me?”. “E se fossimo noi di fronte a Lui, ora? Se Gesù ci chiedesse: «Ma tu ti fidi di me?»”. Forse vediamo tante cose, alcune volte con la mente, altre con superficialità e perfino con pregiudizio, poche volte vediamo con il cuore. “Cari ragazzi, concludo questa lettera invitandovi a scegliere Gesù come il vostro più grande amico: l’amico più leale, generose, fedele e simpatico! Il giorno della Cresima sarà il giorno del vostro «patto di amicizia» con Lui”.

Gioia, una felicità grande, sfacciatamente incontenibile, è quella che il Vesco-vo di Rimini Francesco Lambiasi ha augurato ai ragazzi e ai loro genitori in occasione di tre incontri programmati dall’Ufficio Catechistico Diocesano per coloro che si apprestano a ricevere (o hanno già ricevuto) il Sacramento della Confermazione durante questo anno pastorale.

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Il Vescovo ha incontrato i ragazzi (circa 2.500) e i loro genitori in tre appunta-menti distinti. Il primo appuntamento è stato domenica 16 marzo e ha riguar-dato i Vicariati Litorale Sud, Coriano e Morciano, il secondo domenica 23 mar-zo per il Vicariato Urbano, Il terzo si è svolto domenica 30 marzo, per i Vicariati Valmarecchia, Litorale Nord, Savignano-Santarcagelo.

Alle ore 15 i genitori dei cresimandi si sono rotrovati in Cattedrale assieme al Vescovo, mentre i ragazzi (accompagnati dai loro catechisti ed educatori) si sono incontrati in Sala Manzoni, seguiti dal direttore dell’Ufficio Catechistico diocesano don Daniele Giunchi, che li ha aiutati a riflettere sull’icona evan-gelica di Gesù che incontra il ragazzo cieco nato e lo guarisce, aiutandolo ad aprire gli occhi per vederlo veramente: nella vita, nei poveri, nelle persone che lo circondano, nei sacramenti, nelle meraviglie del creato.L’incontro dei giovani è stato incentrato sulla visione e dal commento di video e filmati musicali che aiutano a riflettere sulla fede, su ciò che Dio ha fatto per noi e sul dono della “vista”.

Papà e mamme (ai quali a loro volta è stata già recapitata una lettera di mons. Lambiasi) hanno ascoltato alcune testimonianze prima di una breve catechesi del Vescovo. Ssono stati proiettati anche alcune brevi video-interviste che rac-contano le vicende di altri testimoni.

Genitori e figli si sono poi ritrovati insieme con mons. Lambiasi alle ore 16.30 in Cattedrale per la preghiera conclusiva.

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Il 24 marzo 1980, mentre celebrava l’Eucaristia, venne ucciso Mons. Oscar A. Romero, Vescovo di San Salvador nel piccolo stato centroamericano di El Salvador. La celebrazione annuale di una Giornata di preghiera e digiuno in ricordo dei missionari martiri, prende ispirazione da quell’evento sia per fare memoria di quanti lungo i secoli hanno immolato la propria vita proclamando il primato di Cristo e annunciando il Vangelo fino alle estreme conseguenze, sia per ricordare il valore supremo della vita, dono per tutti. Fare memoria dei martiri è acquisire una capacità interiore di interpretare la storia oltre la sem-plice conoscenza.

La Diocesi di Rimini ha celebrato la Giornata con una Veglia, venerdì 28 marzo, in Basilica Cattedrale, alle ore 21, organizzata da Missio e alla presenza del Vescovo mons. Francesco Lambiasi.La celebrazioneha previsto l’ascolto della Parola di Dio, la proclamazione del Martirologio, ricordando tutti i martiri (sacerdoti, laici e consacrati) del 2013, e si è conclusa la recita del Padre Nostro.

Inoltre è stato consegnato a tutti i “Campolavoratori” presenti il mandato mis-sionario quale segno tangibile del proprio impegno.Analogo mandato è statoaffidato dal Vescovo ad Alberto Zamagni, un giovane santarcangiolese di 22 anni, in procinto di partire per una esperienza di un anno nella missione di San Martin de Porres, in Venezuela, dove alla fine degli anni Settanta la Diocesi di Rimini aveva aperto la sua prima missione, allora affidata a don Aldo Fonti, oggi direttore di Missio Diocesana.

Al termine della veglia, è partita l’Adorazione Eucaristica come proposto dal Consiglio Pontificio per la nuova evangelizzazione, e iniziata da Papa Francesco in San Pietro. E' stato esposto il Santissimo, e l’esposizione è proseguita per tutta la notte del 28 e per la giornata di sabato 29. Si è conclusa alle ore 17 con il canto dei Vespri, seguiti dalla Santa Messa, alle 17,30.

Giornata in memoria dei Missionari martiri

Mandato missionario per il Campo Lavoro 2014 e ad Alberto Zamagni, per un anno in Venezuela

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La Settimana Santa 2014 si è aperta la Domenica delle Palme (24 marzo) alleore 10,45 con la commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalem-me e la Processione partita dalla Chiesa di S. Antonio (Paolotti) e seguita dalla S. Messa in Cattedrale.

Lunedì santo si è aperto con il Vescovo di Rimini impegnato prima con la Conferenza Episcopale Italiana, a Roma.

Martedì 15 aprile mons. Francesco Lambiasi ha presieduto la tradizionale S. Messa alle Officine Fs di Rimini, alle 11.15. Alle ore 15.30 il Vescovo ha guidato la Via Crucis all’Ospedale “Infermi” di Rimini.

Mercoledì 16 aprile i sacerdoti della Diocesi si sono ritrovati presso il Se-minario “don Oreste Benzi” insieme al vescovo Francesco Lambiasi per il ritiro per il clero riminese. Alle 15,30 si è svoltae in Basilica Cattedrale la Messa del Crisma. Durante la Messa il Vescovo ha rivolto la sua omelia soprattutto ai sacerdoti, che in tale occasione rinnovano le promesse della loro ordinazione.

Giovedì santo, 17 aprile, alle ore 18 in Basilica Cattedrale si è celebrata la Messa in Coena Domini, nella Cena del Signore, memoriale dell’Ultima Cena e dell’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio. Il Vescovo ha compiuto il gesto di Gesù ai suoi apostoli: la lavanda dei piedi ai recuperandi della Case Madre del Perdono e Casa Madre della Riconciliazione.

Venerdì santo, 18 aprile, è giorno di contemplazione del mistero della pas-sione di Gesù. Non si è celebrata la Messa.

I Giovani dell’Azione Cattolica di tutta la Diocesi hanno svolto la Via Crucis, dal titolo “Non si prega bene che con il silenzio”.

Il percorso, suddiviso in tappe, animate dai giovani e accompagnate dal Vescovo Francesco Lambiasi (e dall'Assistente diocesano dei giovani di Azione Cattolica don Daniele Giunchi, è partito alle ore 9,00 dal Parco Giovanni Paolo II, di Rimini, e con l'arrivo dopo pranzo presso il Tempio Malatestiano, Rimini, dove si è svolta la celebrazione della Passione del Signore.

Alle ore 18 il Vescovo ha presieduto in Basilica Cattedrale la liturgia della Passione del Signore.

Sabato santo 19 aprile nella Chiesa di S. Bernardino, alle 10, si è cantata l’“Ora della Madre”: una preghiera in canto, della tradizione cristiana orientale,

Settimana Santa e celebrazioni pasquali

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in cui si rivive la speranza della Madonna in trepida attesa della risurrezione del Figlio. Parteciperà anche il Vescovo.

Alle ore 17.30 il Vescovo – come tradizione – ha fatto visita ai carcerati presso la Casa Circondariale di Rimini, concluso con un momento di preghiera.

Alle 22,30 di sabato, in Basilica Cattedrale, il Vescovo ha presieduto la so-lenne Veglia Pasquale nella notte santa.

Alla Domenica della Santa Pasqua il Vescovo ha presieduto in Basilica Cat-tedrale la Messa Solenne di Pasqua alle ore 11.

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Il Vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, mercoledì 16 aprile, alle ore 12, di fronte ai sacerdoti della Diocesi di Rimini riuniti in presbiterio presso il Seminario Vescovile “don O. Benzi”, ha annunciato di aver firmato il Decreto per l’introduzione della Causa di Beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio sacerdote don Oreste Benzi, e ha disposto che si apra il Processo diocesano sulla vita, virtù e fama di santità del fondatore della comunità papa Giovanni XXIII e “infaticabile apostolo della carità”, come lo ha definito Papa Benedetto XVI.Tale annuncio è stato ripetuto, a tutti i fedeli, in occasione della Messa del Crisma, in Basilica Cattedrale, a Rimini.Il Vescovo è arrivato a questo passo importante dopo aver ottenuto il nulla osta della Santa Sede (la Congregazione per le Cause dei Santi ha dato il suo avvallo lo scorso 3 gennaio) e sentito il parere positivo dei confratelli nell’Episcopato della regione Emilia-Romagna. È stata così accolta, in tempi piuttosto rapidi, l’istanza avanzata dalla Postulatrice della Causa, la dott.ssa Elisabetta Casadei.Tutti i fedeli sono ora invitati a fornire al Vescovo notizie utili riguardanti la causa, e scritti di don Oreste eventualmente in loro possesso, come lettere, autografi, etc., anche in copia autenticata (da un notaio civile o ecclesiastico).Il Processo Canonico si dividerà in due fasi: il vaglio degli scritti pubblicati di don Oreste e l’ascolto dei testimoni. Il Vescovo Francesco nominerà alcuni Periti teologi, ai quali saranno consegnati i libri e gli articoli raccolti dalla Postulatrice, affinché siano esaminati per verificare se contengano qualcosa contro la fede e la morale cattolica.Contemporaneamente, il Vescovo di Rimini nominerà anche una Commissione di storici: tale Commissione avrà il compito di ricercare gli scritti non pubblicati di don Oreste e ogni altro documento riguardante la Causa. Solo al termine di questa prima fase potranno essere ascoltati i testimoni.Don Oreste Benzi fin d’ora può essere chiamato con il titolo di Servo di Dio. “è un titolo attribuito al fedele cattolico di cui è stata intrapresa la Causa di Beatificazione, e indica che la fama di santità e di segni di cui gode era ed è degna di fiducia: – spiega la dott.ssa Elisabetta Casadei – Ci sono infatti fondati motivi per affermare che abbia vissuto conformandosi a Cristo, praticando le virtù umane e cristiane in modo eroico”.

Apertura Causa di Beatificazione di don Oreste Benzi

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Liturgia Eucaristica con le persone disabili

In occasione della Celebrazione Eucaristica della Domenica in Albis (II Domenica di Pasqua), sabato 26 aprile 2014 nella Basilica Cattedrale di Rimini, il Vescovo di Rimini mons. Francesco Lambiasi ha incontrato le persone diversamente abili, le loro famiglie, le associazioni e gli operatori. L’appuntamento nasce dal desiderio di esprimere vicinanza e testimoniare un segno di accoglienza da parte di tutta la comunità cristiana diocesana, e per valorizzare le ricchezze umane di ciascuna persona.“Con la risurrezione di Cristo tutto ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova, e tutto ritorna alla sua integrità grazie allo Spirito Santo” ha scritto nel libretto della Liturgia il Vescovo Francesco. Sono invitate tutte le persone diversamente abili, le loro famiglie, le associazioni, gli operatori e le comunità cristiane. È la prosecuzione di un percorso iniziato assieme già da qualche anno. “Per toccare il Dio vivo, non serve «fare un corso di aggiornamento» ma entrare nelle piaghe di Gesù e per questo «è sufficiente uscire per la strada». Chiediamo a San Tommaso la grazia di avere il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù con la nostra tenerezza e sicuramente avremo la grazia di adorare il Dio vivo” ha detto Papa Francesco. Ad accompagnare la liturgia ci sarà il Coro dei movimenti diocesani.

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Illuminaci

Un percorso tra arte e fede alla scoperta del Tempio Malatestiano

Il Tempio “illuminato” di nuova luce. L’intento del percorso conoscitivo all’interno del Tempio Malatestiano di Rimini, in programma martedì 29 aprile, è quello di andare alla ricerca dei contenuti artistici, teologici e sapienzali dell’edificio più significativo di Rimini: il simbolo identitario della città e della Chiesa riminese, oggi anche Basilica Cattedrale. L’eloquenza del Tempio sarà dunque indagata e mostrata attraverso differenti “punti di osservazione” che hanno nell’umanesimo cristiano e nel suo sguardo rivolto alla Divina Sapienza il loro filo conduttore.

Questa iniziativa, che prevede l’avvio di una diversa modalità di fruizione culturale del Tempio Malatestiano, si inserisce nella più ampia cornice del progetto Illùminaci, avviato nell’estate del 2013 dall’Opera Pellegrinaggi della Romagna (che vede la stretta sinergia della Diocesi di Rimini insieme alle altre sei diocesi della Romagna), con l’intento di promuovere una più ampia e dinamica valorizzazione e riscoperta del patrimonio di arte sacra dei poli di eccellenza che testimoniano la radice della cristianità in Romagna.

Illùminaci si compone di due parti (entrambe ad ingresso libero). La prima, pomeridiana, in Sala San Gaudenzo (di fianco alla Cattedrale), con introduzione del Vescovo Francesco, alcuni significativi interventi e la presentazione di strategie per un turismo culturale e religioso a Rimini. La seconda, in prima serata, più “spettacolare”, è prevista all’interno del Tempio stesso, attraverso video, intermezzi musicali, letture e interventi di noti studiosi, dal prof. Pier Giorgio Pasini al prof. Alessandro Giovanardi, dall’arch. Jonny Farabegoli al prof. Auro Panzetta.

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Veglia del 1 maggio

La festa del lavoro, il lavoro a Rimini

Si è tenuta mercoledì 30 aprile presso la parrocchia riminese S. Maria Annunziata (meglio conosciuta come Colonnella), la tradizionale Veglia in occasione del 1 Maggio, festa del lavoro e memoria liturgica di San Giuseppe Lavoratore.Organizzata dall’Ufficio Diocesano di Pastorale Sociale, diretto da don Antonio Moro, la Veglia è itinerante: ogni anno è ospitata in un luogo significativo della Diocesi di Rimini, ovvero dove vi è una presenza di realtà lavorative significative. La scelta del luogo 2014, ovvero la parrocchia riminese di S. Maria Annunziata, è motivata dal fatto che questa realtà (circa 5.200 abitanti) negli ultimi due anni è stato intrapreso un lavoro con i giovani (in particolare gli scout, in preparazione alla route nazionale del prossimo agosto), dedicato proprio al tema del futuro che si intreccia con il lavoro.Durante la serata sono state ospitate anche tre testimonianze: un ragazzo scout, una coppia giovane (che vive l’esperienza della Gioc) e un ragazzo che lavora in una cooperativa (aderente a Comunione e Liberazione).Si tratta di un momento di preghiera e di riflessione. La veglia di preghiera ha per titolo “Giovani e Lavoro. Nella precarietà la speranza…” e sarà presieduta dal Vescovo di Rimini, S.E. mons. Francesco Lambiasi. La Veglia è stata preparata dall’Ufficio Diocesano di Pastorale Sociale insieme ai vari gruppi della parrocchia, a partire da una frase di papa Francesco: “Auspico che, nella logica della gratuità e della solidarietà, si possa uscire insieme da questa fase negativa, affinché sia assicurato un lavoro sicuro, dignitoso e stabile”.