Black's Christmas - Elisabetta Bricca
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Transcript of Black's Christmas - Elisabetta Bricca
Black’s Christmas
di Elisabetta Bricca
Questo racconto è per dirvi che, sì, credo ancora a Babbo Natale, alla magia, ai sogni.
Per dirvi che due solitudini possono fare una sola felicità. E che una semplice coperta può a volte
cambiare la vita.
Buon Natale a tutti voi, dal profondo del mio cuore.
C’è una tettoia sgangherata su cui la neve si è posata
formando un piccolo candido monte. Soffici lingue si
allungano, si staccano e cadono a terra. È un
cadenzare ritmato, come il battere delle lancette di un
orologio. Una delle lingue cade giù, si fa pallottola
luminescente, e picchia su una piccola testa nera come
la pece.
Un occhio giallo strabuzza verso il cielo, l’altro
rimane serrato poiché cieco. L’orecchio si drizza,
quello floscio rimane ripiegato sul capino. Un ragazzo
glielo ha spezzato con una sassata.
Ecco, lui è Black. Scheletrico, smangiucchiato, nero
nero. Ha ben presto imparato la legge della
sopravvivenza e quella tettoia è la sua casa.
Black è un randagio, un gattaccio di strada.
La coda spelacchiata, simile a un punto interrogativo
fatto di fil di ferro, si tende. Le zampe si allungano.
Black si stiracchia. Ancora neve
Una bella scocciatura, riflette pigramente.
Dovrà presto trovare un altro riparo, una residenza
invernale che lo difenda dal vento e dal gelo.
Il suo stomaco di gatto denutrito brontola. Un salto al
mercato è quello che ci vuole. Con un po’ di fortuna
potrà rubare qualche lisca e, se gli va di lusso, due o
tre sardine.
- Ehi, Black, hai un aspetto terribile questa mattina -.
Il miagolio effeminato è quello di un siamese che si
rimira in una scheggia di specchio. Si chiama Lula e
tutti sanno nel quartiere che se la fa con il viziato
persiano di un’altolocata signora.
Black soffia, annoiato più che infastidito. Sembra che
la feccia dei rookeries si sia annidata tutta lì, sotto
quella tettoia che, fino all’autunno, era stata di sua
esclusiva proprietà. Bodmil, quel tigrato pettegolo,
aveva dato fiato alle fauci, facendo in modo che i
reietti felini si rifugiassero in quell’angusto spazio,
riempiendolo di umori fetidi e pulci.
- Fottiti, Lula, - miagola di rimando Black, stavolta
davvero innervosito.
Le strade della città sono un reticolato di vene
bianche. Alcuni grossi numeri baluginano di luce
rossa tra le due estremità di un vicolo. 1879, c’è
scritto.
Black è orgoglioso di sé. Essere un randagio non lo ha
trasformato in uno zotico. Sa leggere, lui, e sa anche
fare di conto.
Solo un profumo intenso, riesce a far sparire l’incanto
delle luci rosse. Lo avvolge, lo ammalia. Frittelle e
frattaglie, da qualche parte, in fondo al vicolo.
Black cerca di correre, ma è troppo infreddolito. Le
sue zampe lasciano orme sulla neve fresca. Intorno è
un turbinio di colori, bianco candido, e vociare di
bimbi. Ha ricominciato a nevicare. Le note di una
cornamusa si levano nell’aria.
Il chiosco è un tempio di sensi. Il randagio non nota
nemmeno lo spesso strato di grasso che sporca il
bancone e macchia il grembiule del venditore. Il suo
arguto cervello di gatto è ormai preda dell’istinto. Ha
fame.
S’infila veloce tra le gambe dei clienti, assaporando
già il gusto della carne sotto i denti.
Spicca un balzo, ma non si accorge di essere stato
anticipato. L’altro gatto piomba fulmineo sul bancone,
con una zampata infilza la carne e la strappa dallo
spiedo in mano al venditore. Black cerca di frenare in
aria, poi con una sgusciata di bacino si ritrova ai piedi
dell’uomo.
- Gattaccio ladro! -. Il calcio lo centra in piena pancia.
Viene sbalzato di nuovo in strada, ma ha il tempo di
scorgere il rivale (il ladro del ladro, proprio lui) fermo
all’imbocco del vicolo mentre divora la preda rubata.
Black non molla e fa appena in tempo a spostarsi
prima che lo spiedo gli si conficchi tra le costole. Il
venditore, sempre lui, sembra non voler demordere.
Ecco che si trova braccato, inseguito. Infilzato.
Come mai, allora, riesce ancora a respirare? Sì, è
ancora tutto intero. La fantasia, seppur quella di un
gatto, può provocare, a volte, brutti scherzi.
Dove si trova ora? Cos’è quella canzoncina che gli
vibra nel cervello?
Scuote la testa, si guarda intorno: Il cielo è una
spruzzata di latte. Alcuni bambini, addobbati di rosso
e bianco con strani cappelli in testa, riempiono la
strada di risate e canti. Black non finirà mai di stupirsi
della leggerezza umana. Intanto continua a nevicare e
fa freddo. Sta tremando.
È in quel momento che la scorge: un esserino
infagottato di stracci, con un cesto in mano. Stringe
nel palmo una sfera. Black aguzza la vista: ha sentito
gli umani chiamarla arancia. Segue con lo sguardo la
bambina, ne osserva lo scialle bucato coprire il capo,
le scarpe troppo grandi, le dita rigide che sbucano dai
mezzi guanti.
Ha freddo anche lei.
Anche lei sta tremando.
I loro sguardi s’incontrano al di sopra del baccano,
delle canzoni allegre e urlate al cielo, dei fiocchi che
continuano a cadere sulle loro vite (quella di Black e
della venditrice di arance).
Il nostro randagio continua a guardarla, mentre lei tira
fuori dalla tasca un pezzo di sardina secca e con
gentilezza gliela porge. Zampetta dopo zampetta,
muovendosi con cautela, lui si avvicina. Adocchia,
annusa. Non si fida, ma lei ha occhi così dolci da
ricordargli la sua mamma gatta.
Ah certo, pensavate che non se la ricordasse?
Black ricorda tutto, anche di quando era solo una
matassina di pelo arruffata. Una matassina di pelo
cacciata via, abbandonata, lasciata sola. Ecco, ora
ricorda benissimo quel tipo di sensazione, come
quella di un dolore lasciato da una profonda ferita,
come se tutta l’inettitudine del mondo si fosse
concentrata in pochi attimi.
È questo che prova guardando la venditrice di arance:
c’è uno spazio tra il suo mesto sorriso e il miagolio di
Black; un intermezzo che si chiama solitudine e che
può essere riempito, a volte, da un pezzetto di sardina.
- Buon Natale, micetto -. La bambina gli regala un
grattino sulla testa e si accuccia a terra, stringendosi
nello scialle. Vincendo un po’ la titubanza e
leccandosi ancora i baffi, Black le si acciambella grato
in grembo. Così si addormentano, un po’ per
stanchezza un po’ per inerzia. Il cielo stende sulla città
il suo lenzuolo scuro punteggiato di stelle.
Il vento porta un suono. È quello di un campanellino.
Di due campanellini.
Un grande vecchio panciuto dalla lunga barba e dalla
risata calorosa stende una coperta su di loro. Black è
convinto di star sognando e il suo sogno è proprio
bello. La coperta è così morbida e calda che, quasi
quasi, spera di non svegliarsi più.
Eppure si sveglia ed è di nuovo giorno. La coperta
non se l’è immaginata. Ci è proprio nascosto dentro,
al riparo, accanto alla bimba. Una scia dorata e
luminescente traccia un linea sul bordo e finisce in un
ricciolo a formare una scritta: Buon Natale.
Black non ne conosce il significato, ma è tutto così
incredibile che vuole godersi ogni momento. Si
accoccola di nuovo accanto alla piccola venditrice,
sistemandosi al calduccio, ronfando.
Non si accorge che una stella diurna brilla in cielo e
che un vecchio dalla lunga barba, nascosto tra le
nuvole, se la ride beatamente.
© 2011 by Elisabetta Bricca
Published by agreement with TZLA. Trentin e Zantedeschi Literary Agency