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Bittul ha-yesh PRELIMINARI LA TECNICA PRIMA FASE I SAGGI DEL PARDES SECONDA FASE TERZA FASE Il documento che segue è la relazione presentata dal Carissimo Fratello Pignatelli F. al seminario di studi tenutosi a Licenza nell'anno di Vera Luce 5994, sul tema la Meditazione. Lo studio sviluppa una indagine su di una tecnica segreta in uso nelle Pilpul cabalistiche. Il documento ha quindi il carattere dell'originalità, voglia il nostro visitatore considerarlo con benevolenza. Il suo contenuto non esplicita di necessità il punto di vista della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto è riconosciuto al Fratello. © Federico Pignatelli

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Union sexuelle et kabbale

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Bittul ha-yeshPRELIMINARI

LA TECNICA

PRIMA FASE

I SAGGI DEL PARDES

SECONDA FASE

TERZA FASE

Il documento che segue è la relazione presentata dal Carissimo Fratello Pignatelli F. al seminario di studi tenutosi a Licenza nell'anno di Vera Luce 5994, sul tema la Meditazione. Lo studio sviluppa una indagine su di una tecnica segreta in uso nelle Pilpul cabalistiche. Il documento ha quindi il carattere dell'originalità, voglia il nostro visitatore considerarlo con benevolenza.

Il suo contenuto non esplicita di necessità il punto di vista della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto è riconosciuto al Fratello.

© Federico Pignatelli

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Il mio contributo per questo seminario, è una relazione sulla tecnica cabalistica conosciuta con il nome di Bittul ha-Yesch il cui significato letterale è svuotare per riempire, vedremo nella esposizione diffusa di questa relazione cosa è che si svuota e di cosa si riempie.

Sia cosa ben chiara a tutti voi, il mattone che offro, che per la verità non mi gratifica affatto malgrado vi abbia dedicato del bel tempo, è da intendersi relazione e come tale non è riempita da alcuna pretesa propositiva, anche se per necessità di esposizione investirà il personale.

Oggi vi confermo quanto tra il serio e il faceto annunciavo, il mio sarà un mattone di quelli pesanti. Ma non date aspettative particolari al termine pesante, esso è utilizzato nel significato stretto del termine, in quanto la relazione riuscirà di difficile digeribilità per gli immanentisti, i trascendentisti, i teisti i monisti i panteisti e in genere per tutti quei Fratelli che suppongono che la ricerca possa considerarsi esaustiva con il solo nozionismo e da attuarsi il solo giovedì o anche il venerdì.

É bene fissare, immediatamente un concetto di grande contenuto: il processo della reintegrazione dell’essere, che poi è anche il percorso della Bittul ha-Yesch, che per inciso fa riferimento all’asse centrale dell’albero Sephirotico, non è lastricato di dialettica, di mentalismi o di erudizione edonistica; è, al contrario, pavimentato di distacchi, di solitudine è un sentiero disseminato di abissi, che non conduce su palcoscenici e non accetta uditori, è via strettamente sperimentale ed operativa, e la meta si raggiunge per via negationis e non diversamente.

Ma chi persegue veramente l’integrale soluzione della propria incompiutezza? Vi sono, senza dubbio, molti esoteristi, molti occultisti, eruditi di Qabalah… ma sono pochi quelli che nel silenzio del proprio cuore sanno sferrare il colpo fatale all’ignoranza metafisica.

Da sempre rivendico per l’uomo… il ricercatore…. Il Massone la possibilità diritto, di uno stato coscienziale che lo collochi fuori dai limiti del quaternario, in altre parole, avoco il diritto e l’esistenza di uno status interiore, eterno ed immutabile, fondato sulla libertà dalla legge Binaria e sulla libertà dalla dualità spazio temporale. 

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Della Bittul ha-Yesch, della tecnica dello svuotare per riempire, che poi è lo spirituale annullamento dell’esistenza nel Nulla divino, Aïn, poco se ne è parlato e ancora meno divulgato, la stessa loquacità di Abulafia si interrompe deferente a proposito di tale soggetto, limitandosi soltanto ad accenni laconici, fornendoci, comunque come ora vedremo, indizi nodali.

É a tutti noi noto che le istruzioni sulle metodiche in uso nella meditazione della Qabalah ed in quella ebraica in generale, formavano parte degli insegnamenti occulti e segreti, e se si escludono alcune regole generali, non venivano mai resi pubblici, la trasmissione avveniva bocca orecchio.

Abulafia fu, in un certo senso, il maestro di cabala demitizzante, al diritto di non dare sostituì il coraggio di dire e a proposito dell’Itbodenut, cioè della tecnica meditativa incentrata sull’isolamento di se, così si esprime: si deve osservare ciò che è dentro la testa, la lunga osservazione, continua, conduce il cabalista ad una condizione in cui cessa di essere un semplice cabalista per divenire un profeta. Allora egli conosce Dio non più perché una luce lo illumina dallo esterno, non per via mentale, ma perché il suo spirito lo abbandona, si unisce a Dio e forma un tutt’uno con Lui, conoscendolo per identità.

In un certo senso sono queste delle affermazioni estreme, scioccanti per noi ma ancora di più per i contemporanei del maestro, del resto il personaggio Abulafia non era estraneo a simili stimoli estremi.

L’imbarazzo, attenzione, non emerge però da questa ipotesi di conoscenza per identità, la quale anche se è vero che non fu mai apertamente questionata nelle Pilpul cabaliste, era comunque sussurrata… presente in forma strisciante… è partecipe, infatti, come interiore aspirazione nelle Yihudin (unificazioni), sistema Luriano in uso presso la scuola di Eliezer Azikri nel 1601, e nella Kavvanah, da intendersi come l’attenzione spirituale rivolta alla forma simbolica delle lettere del Tetragramma hwhy, azione in cui lo spirito sovra razionale e iper mentale dello invocante, tutto proiettato sulla realtà divina infinita che si cela nelle lettere, fa si che tutto l’essere dell’uomo si raduni in questo raccoglimento del suo spirito e si unifichi in questa unione con l’Uno.

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Il turbamento emerge proprio dalle modalità operative che introduce il termine osservare, Vaerè.

Fin dagli albori la Hitbonenuth, vale a dire la tecnica meditativa incentrata sulla comprensione di se, da non confondersi con la Hitbodenuth di Abulafia, che riguardava l’isolamento di se, fu intesa soltanto come concentrazione protratta del pensiero, sulle luci superne del mondo divino e dei mondi spirituali in genere. A metà del XIV secolo, negli scritti dei maestri, compaiono i termini Kavvanah e Devequt con il significato di attaccamento prolungato del pensiero ad un distinto soggetto.

Sulla Devequth consulta in questa stessa sezione

La Devequth

 

La Hitboneuth è interpretata, quindi, soprattutto come possibilità di valutazione massima di un dato o situazione, e solo dopo avervi indugiato per un periodo prolungato l’intelletto passava ad un gradino di comprensione più alto, era in altri termini intesa, soprattutto per i circoli esterni, come una sorta di lavorio mentale particolare.

Con la Bittul ya Yesch, la concentrazione protratta è sostituita dal puro Vaerè, dal puro osservare.

Non esistono, a nostra conoscenza, riferimenti documentali su questa tecnica, per cui quanto verrà riferito in questo seminario ha il privilegio dell’originalità.

Questa tecnica poggia su di un assioma abbastanza intuitivo, e su di un postulato che non tenteremo di dimostrare, anche se nella prima stesura di questa relazione tutto questo era contemplato, vi facciamo quindi grazia di una ventina di pagine irte di riferimenti allo Zohar e di citazioni.

 

Postulato

L’essenza originale dell’uomo è in definitiva Aïn il Nulla, che in effetti è la realtà suprema, assoluta; la sua forma originale, il suo archetipo primo, è EHIEH  l’Essere, cioè l’eterna auto conoscenza, auto affermazione e auto rivelazione della Realtà Suprema.

 

Assioma

Tutto ciò che É deve essere Reale, ritenuto che Aïn è tutto ciò che è Reale, esso deve essere tutto ciò che É.

Induzione: Al di fuori di Aïn non esiste niente altro.

 

Come può avvertirsi sono due scritti molto forti, le cui implicanze per l’essere, si differenziano notevolmente da quelle proposte dagli immanentisti, dai monisti dai teisti e trascendentisti e separa nettamente la Qabalah dal Panteismo.

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Qui affermiamo apertamente che nella loro essenza increata ed eterna, tutte le realtà sono Aïn stesso, solo in quanto creature esse manifestano il divino con diverso grado di perfezione, secondo la loro conformità o difformità con il principio supremo.

Per onestà di informazione occorre precisare che nonostante la storia di Israele conosca oltre a Enoch, Mosè ed Elia alcuni altri profeti che realizzarono questo processo, non siamo in grado di presentare ai Fratelli testimonianze dirette, della identità di essenza fra l’uomo e Aïn. Nessuna scuola e nessun maestro ne ha mai espressamente parlato; e come sopra accennavamo, soltanto il maestro Abulafia ne ha tratteggiato, Nacmanide laconicamente l’ha indicata come lo strumento catartico di soluzione radicale, e Luria l’ha segnalata nella sua opera Ghilgul Ghilgulim o Trasmigrazione delle Anime. Se questo è però sufficiente ad ipotizzare che i tre maestri di Qabalah la conoscessero, altrettanto facilmente non si può congetturare sulla paternità o filiazione a scuole specifiche.

Tuttavia, data la natura della stessa, ma soprattutto le finalità operative perseguite, possiamo avanzare l’ipotesi che si tratti di una tecnica super scolae, le cui origini si perdono in un passato remoto, e fondata su esperienze personali caratterizzate dall’assenza dell’elemento esegetico.

Del resto possiamo convenire che non vi è alcuna necessità di utilizzare i versetti della Sacra Scrittura per legittimare un esperienza personale; la pratica vissuta è sufficiente a ratificare i tre gradi della stessa.

La tecnica, vantando una finalità in se stessa, ed essendo, quasi certamente, un insegnamento scaturente da esperienze individuali, pratiche imitabili, esposizione di un percorso diretto, non avverte la necessità della legittimazione Scritturale.

La Bittul ha Yesch è, comunque, ampiamente documentata nel Sepher ha- Zohar e confortata dalla tradizione Aggadica.

Cosa intende con conoscenza per identità? Come è da leggere questo termine, quali gli strumenti idonei ad attuarla. Non può essere certo accettata come una identità fisica. Del resto mi sembra di ricordare che proprio noi della Montesion a proposito del passaggio scritturale ad immagine di Dio lo creò, la prima cosa che facemmo fu il sorridere sull’ipotesi di una lettura fisica.

D’altro canto non possiamo non essere d’accordo sul dato che una identità può essere stabilita soltanto tra elementi della stessa natura, non possiamo ignorare che una reintegrazione, come quella ipotizzata dalla Bittul ha Yesch, è realizzabile soltanto se l’essenza tra gli elementi di relazione è identica… e osservandomi non mi sembra di appartenere alla natura dell’Assoluto, anzi tutto è testimonianza della dualità, la mia stessa esistenza è determinata da una dualità (padre madre), il mio stesso mondo di manifestazione è la dualità relazionale, il tempo e lo spazio, poi, sembrano essere le coordinate assolute sulle quali mi muovo.

Siamo quindi condannati per intero e in una maniera irreversibile, ad essere interamente sottomessi alle condizioni della relatività? Siamo condannati, come qualche Fratello erroneamente sostiene, al solo piacere intellettuale della ricerca? Siamo condannati alla sperimentazione irreversibile della dualità… piacere dolore, vita morte, bene male, amore odio? Si e no. La risposta è si… se la coordinata di riferimento è quella che percorre l’aspetto del particolare, quello del separato, di ciò che sembra essere, la coordinata dell’Emek ha Melek (letteralmente ombra della divinità), la risposta è no… se al contrario seguiamo la coordinata del divino, vale a dire la via centrale dell’Albero.

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Ora secondo l’insegnamento della Qabalah, l’anima umana possiede una natura molteplice, e alla pari degli elementi corporei che rivestono l’uomo, possiede una quintessenza da cui si enuclea la sua quadruplice natura e dove si consacra in unità.

Non è però una quintessenza materiale come per il corpo, ma spirituale, la quale si identifica con lo spirito umano universale, vale a dire con Metradon che a sua volta, forma un tutt’uno con la presenza dell’Uno, in altri termini della Shekhinah.

I quattro aspetti o gradi o proprietà interiori dell’anima, rammentiamolo in modo rapido, sono Nephesh (letteralmente soffio vitale) che è l’anima animale, Ruach (letteralmente aria o vento) che è l’anima pensante, Neschamah (testualmente il respiro) vale a dire l’anima puramente spirituale o sacrale, Chajah o anima vivente eternamente.

Questi quattro aspetti dell’anima umana hanno pertanto in comune un'unica quintessenza, detta appunto l’Unica Jechidah, cioè l’unità in se stessa, e la sua propria essenza consiste, secondo quanto riferito dall’insegnamento tradizionale, nell’unità fondamentale assoluta di tutte le varietà dell’Uno assoluto originario. Essa è analoga alla Shekhinah e con la quale, in quanto realtà di Metradon, vi si identifica concretamente. [L'uomo e l'Assoluto secondo la Cabala, di Leo Schaya. Edizioni Rusconi 1976].

Sull’anima, secondo il pensiero cabalista, consulta in questa stessa sezione

L’anima secondo la Qabalah

 

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 La tecnica si trova descritta in:

 

Ezechiele I,4

Guardavo (osservavo), ed ecco un vento di tempesta che veniva da settentrione, una grande nuvola, un fuoco che si sprigionava…

 

Questo passo di Ezechiele, chiosato ed interpretato in modi e maniere diverse, è lo scrigno che custodisce la Bittul ha Yesch.

In esso sono riportate tutte le istruzioni operative e le tre fasi della tecnica.

É bene ricordare, facendo eco al Kaplan, che lo Zohar insegna che il vento, la nuvola e il fuoco sono le tre barriere che il cabalista deve varcare per entrare nel regno della divinità. Una volta superate accade quanto Abulafia ha descritto e abbiamo ricordato in precedenza: Il cabalista perviene ad una condizione in cui cessa di essere un semplice cabalista per divenire un profeta. Allora egli conosce Dio non più perché una luce lo illumina dall’esterno, non per via mentale, ma perché il suo spirito lo abbandona, si unisce a Dio e forma un tutt’uno con Lui e lo conosce per identità.

Lo strumento operativo è quindi contenuto nel termine Guardavo.

La prima fase della tecnica è contenuta nella locuzione Ruach vento di Tempesta. La seconda nelle parole Una grande Nuvola.

La terza nei lemmi Fuoco che si sprigionava.

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Vaerè, Osservare ecco la chiave, l’uovo di Colombo… Ezechiele ce lo grida Vaerè dice… forse sembrerà incredibilmente semplice ma questo è tutto… La tecnica della Bittul ha Yesch e la conseguente reintegrazione dell’essere… inizia e si esaurisce in questa non azione, Vaerè.

Vi sembra troppo semplice? Bhe! Provate….

Il termine Vaerè (Guardavo) non è ovviamente riconducibile all’azione fisica del guardare, ma piuttosto ad una condizione particolare di costante vigile attenzione di quanto avviene, come appunto raccomanda Abulafia e Nacmanide, nella nostra testa.

Osservare, sia nella dimensione interiore, sia in quella esteriore, vuol dire nella Tradizione Cabalista (e non solo questa), percepire, prendere coscienza di..., avere consapevolezza di...

Ecco che il termine Osservavo ci introduce nei dettami di una Meditazione consistente nell'osservare… osservare senza fare altro, in altre parole senza creare consapevolmente ulteriori pensieri.

É indispensabile essere pura osservazione, pura attenzione.

Si deve percepire, vedere, sentire ogni nostro contenuto psichico senza valutare, giudicare, senza condannare, senza esprimere giudizi su ciò che si osserva; il che equivale a dire, osservare il pensiero involontario-subconscio senza alimentarlo con pensieri volontari aggiuntivi.

Questa condizione non è certamente cosa nuova, anzi e un requisito noto a tutte le accademie e a tutti i maestri, essa è chiamata Visione vigile.

É descritta nel Siphra de-Tzeniutha al capitolo secondo come Vista preveggente di chi non si addormenta mai e sorveglia senza sosta.

 

Il testo letterale del Siphra de-Tzeniutha si trova in questa stessa sezione

Siphra de-Tzeniutha

 

Nell’Idra de-Maschanah come gli occhi di Jechidha che espletano l’indagine di tutto, in alto e in basso.

 

Il testo dell’Idra de-Maschanah si trova tradotto in questa stessa sezione

Idra de-Maschanah

 

In Geremia XXXII, 19 è indicata come gli occhi sempre aperti.

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Al capitolo nono dell’Idra Rabba Qadisha (Maggiore Santa Assemblea), è simboleggiata come occhi che non hanno palpebre ne sopracciglia.

Nell’Idra Zuta Qadischa (Minore Santa Assemblea) è presentata come i due occhi in uno, eguali, sempre vigili e mai dormienti.

É ovvio che per conseguire durevolmente questa posizione di vigile osservazione, occorre comprendere adeguatamente il funzionamento dei processi mentali, la loro natura e il loro reale comportamento.

Questo primo congetturato ci innesta in maniera naturale nel contenuto della locuzione: Vento di tempesta.

Il termine vento, come ha fatto acutamente osservare il Kaplan ha un doppio significato poiché la parola ebraica Ruach significa certamente vento, ma anche spirito.

Pertanto si può anche leggere Ezechiele in questa maniera: vide uno spirito tempestoso. Questo spirito tempestoso è connesso alla prima fase… fase in cui la coscienza, con un movimento centripeto, tende a ritirarsi verso un centro di stabilità, prendendo consapevolezza dei caotici baluginii presenti nella mente, in altri termini la consapevolezza della tempestosità del nostro pensato.

La rappresentazione del vento di tempesta, come raffigurazione della irrequietezza mentale, è stata abbondantemente impiegata dai mistici di tutti i paesi e di tutte le religioni, nel 1459 se ne fece uso persino nel testo Le nozze chimiche di Cristian Rosencrutz, e a proposito del viaggio nel secondo giorno così riporta: Appena mi girai per guardare, vidi venirmi incontro un vento così forte che mi avrebbe facilmente fatto cadere, mentre se non guardavo non mi accorgevo di niente.

Per attuare questa prima fase è necessaria non una passività irrazionale, ma maggiore vigilanza, maggiore volizione, maggiore equilibrio e maggiore centralità coscienziale

É questa la prima barriera che il cabalista deve superare. Distacco dal pensato, ritorno al centro.

In questa prima fase, la Bittul ha Yesch è una tecnica psicologica e neanche tanto inedita considerato che, anche se con diverse finalità, fu adottata nella scuola di Psicosintesi di Roberto Assaggioli… va da se che come ogni tecnica esige impegno e tensione. Poi, con l'esercizio, la lunga applicazione e la consapevolezza del praticato, la tecnica si trasforma in attitudine o stato coscienziale; si muta, in altre parole, in una modalità di essere naturale.

 

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É noto il racconto dei quattro Saggi che entrarono nel Pardès, ma forse altrettanto non è la lezione che ne da lo Zohar.

Ebbene al di la del simbolo contenuto nel Midrasch, la trattazione è la pura descrizione di quanto andiamo esponendo.

La fine del primo è così raccontata (Zohar sezione Bereschit 25b), esso giunse fino al fiume "Pischon (è uno dei quattro capi in cui si divideva il fiume che uscendo dall’Eden irrigava il giardino)… Pischon parola che vuol dire Pi schoné halakoth (la bocca che comunica la Legge). Vogliamo estrarne la lezione? Essa è contenuta nell’introduzione di questa relazione, a dire… Il sentiero della reintegrazione dell’essere, la via proposta dalla Bittul Ya Hesch, che per inciso è il percorso riferito all’asse centrale dell’albero Sephirotico, non è lastricato di ciance, di mentalismi o di nozionismo edonistico; è, al contrario, pavimentato di distacchi, di solitudine… è un sentiero disseminato di abissi, che non conduce su palcoscenici e non accetta uditori.

Il fagocitare eruditivo del nozionista non appartiene alla reintegrazione dell’essere, ma soltanto alla cultura del concetto, la quale può essere anche di contenuto spirituale ma sempre e comunque semplice dialettica.

Quale fu la fine del secondo? Esso penetrò, così ci racconta lo Zohar sempre nello stesso passaggio, al foglio 25b, fin nel canale Ghiohon, che significa il luogo in cui si seppellisce quanto riporta la Scrittura (Levitico XI,42): Tutto ciò che emerge.

In questo capo, continua lo Zohar, si disseta Gabriel, il cui nome è composto da Gheber-el (l’uomo-Dio), e a cui fanno allusione le parole della Scrittura (Giobbe III,23): l’uomo (gheber) che cammina in una via sconosciuta e che Dio ha ricoperto del suo velo.

Non è forse un riferimento tradizione di quanto affermato fino ad ora?

Quale significato può avere la locuzione il luogo in cui si seppellisce ciò che emerge…. Operativamente parlando sarebbe da fuoco eretico ipotizzare che questo luogo sia mente? E sarebbe

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da lapidazione blasfema, leggervi la possibilità di percorrere questa via sconosciuta e che Dio ha ricoperto dal suo velo da un Gheber-el (uomo Dio)?

Il passo non lascia dubbi, in termini di soluzione operativa, il Gheber-el, l’uomo Dio, si disseta in questo fiume, e questo fiume è la mente… non c’è identificazione fra i due… e non è forse possibile leggere Gheber-el l’Uomo Dio con i contenuti che abbiamo riconosciuti a Jechidah, l’unica?

Per ripresentare questa prima fase, in un linguaggio che forse è più vicino ad una modalità di percorso tradizionale cabalista, diciamo che il tragitto della Bittul ha-Yesch, o via del fuoco, si snoda lungo la linea o pilastro centrale dell’Albero. Esso tocca Malcouth, Yesod, Tiphereth Kether e infine Cade in Aïn.

Sono quindi i quattro centri che occorre incenerire entro la propria spazialità psichica, quattro Olim o stati interiori che bisogna conseguire quali condizioni coscienziali individuali.

Sulla linea di risalita bisogna quindi:

Fermare il moto discendente delle energie che scorrono nelle cineroth, nei sentieri. Ciò sottintende organizzarsi come baricentro neutro nell’oscillazione del riflusso energetico. In altri termini è appunto un ritorno al centro.

Successivamente occorre orientare di nuovo verso l’alto il movimento psichico, risolvendo così l’orizzontalità della squadra. In altri termini occorre operare il ribaltamento, e ciò comporta il passaggio da uno stato esteriorizzato ad uno interiorizzato.

Tutto questo appartiene alla prima fase.

 

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Consideriamo ancora il passo di Ezechiele, quale è l’elemento che immediatamente dopo ci si presenta… una grande nube… la seconda barriera che il cabalista deve superare è una nube.

In ebraico la parola nube si scrive da ED.

Ora commentando il passo scritturale una grande nube (Ed) ricoprirà la terra lo Zohar al foglio 22b dei Preliminari così ci informa… "con queste parole la Scrittura vuole intendere che Ed (nuvolada) sarà tolta dal nome Adonaï (ynda) e vi si unirà una vav e la nun (lettera che… non dimentichiamolo indica sempre l’uomo) ottenendo la parola Adon (nwda) che significa maestro di tutta la terra…

Ma cosa si intende con Terra? Se accettiamo l’ipotesi di questo lavoro, e che stiamo trattando di una tecnica realizzativa, con quel termine non possiamo disconoscere l’uomo signore delle proprie attività del pensiero, che ha già trasformato la prima fase della tecnica in attitudine, in modalità di essere naturale.

Vi siete mai chiesti cosa può fare una nuvola?… è semplice! ostacola il guardare (Vaerè), ed essa è usata in questo contesto proprio con questa accezione… opacizza il nostro spirito rappresentando l’ottundimento, la chiusura all’osservazione.

In questa seconda fase non esiste una possibilità di transito, di passaggio, di attraversamento, c’è il fondato rischio di smarrirsi… Ezechiele riferisce, del resto, di una grande nuvola… grande quanto l’intera nostra spazialità psichica, grande quanto lo Shiour Qomah (la misura del corpo), e tanto vasta da non poter non poter essere superata… la nube va disintegrata.

Se nella prima fase era necessaria la pura osservazione senza nulla fare, in questa seconda… allo stato di centralità conseguito va aggiunta l’azione catartica.

Quando è stabilizzato quel famoso nucleo focale di coscienza risolutivo, allora possiamo, essere pronti per questa seconda fase del processo.

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Per attuarla al meglio occorre, come sempre, comprendere ciò che dobbiamo fare e su cosa dobbiamo operare.

Nel tentativo di stabilizzare quel Centro Punto Forza (prima fase) il ricercatore, nella sua sperimentazione, scopre che ci sono molti contenuti conflittuali nel campo della propria spazialità psichica e che il Centro, essendo instabile e debole, viene continuamente trascinato dall'ingorgo pensativo immaginativo.

Per attuare uno stato di quiete o silenzio sonoro mentale occorrono quindi tre cose.

1. Comprendere la natura degli oggetti-eventi psichici, causa di conflitto e di sfaldamento del centro (prima fase).

2. Trovare il mezzo adeguato per risolvere questo dinamismo subconscio e proiettivo imprigionante (fase intermedia).

3. Disintegrare le varie cristallizzazioni subconsce, disintegrare in altri termini la Nube (terza fase).

È concetto accettato che un immagine mentale non è altro che uno stato vibratorio che assume una certa forma. Del resto è innegabile che tutto è vibrazione nella vita, e la nostra sostanza mentale stessa non è altro che movimento, ritmo che può assumere indefiniti accordi formali. Così ogni contenuto psichico, essendo una modalità vibratoria, può essere risolto con altre modalità vibratorie. In altri termini, una vibrazione può essere modificata, trasformata o annullata con un altra vibrazione.

La teoria del Mantra (suono-vibrazione) poggia su questo fatto scientifico.

Se vogliamo dunque rettificare e persino annullare le cristallizzazioni vibratorie, che si trovano nel nostro campo psichico, dobbiamo contrapporre, come mezzo strumento, una combinazione particolare di vibrazione, una rapida ed intensa vibrazione suono, ritmato sul giusto tono.

Qui entriamo in quegli aspetti operativi che investono il personale e di cui accennavo nell’introduzione.

La mia sperimentazione si esplica sull’utilizzo come Mantra della parola shin, che è poi una delle tre lettere madri.

Non starò a tediarvi esponendo quali sono state le motivazioni all’origine della scelta, pellegrine non sono comunque la semplicità di pronuncia, l’armonia sonora, l’eco di propagazione, le analogie con il fuoco e una particolare vibrazione che epidermicamente percepisco durante la tecnica, che mi da la sensazione di un infrangersi su qualcosa di metallico con effetti dirompenti.

Devo riferire che la cosa funziona, ma questo non significa che la scelta sia condizione sine qua non, suppongo, anzi invito alla verifica, che la scelta di una qualsiasi altra parola ebraica che presenti gli stessi requisiti, armonia sonora, eco di propagazione, facilità di pronuncia, ottenga gli stessi risultati.

Del resto è da sottolineare che se la vibrazione suono in sé, è l’elemento portante di questa seconda fase, la condizione interiore dell’operatore, quale campo in cui si combatte questa battaglia, sia di primaria importanza, perché sarà soltanto questa condizione che permetterà il propagarsi al suono con onde vibrazioni concentriche fino alla estrema periferia.

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In questo movimento ritmico e lungo la sua traiettoria ogni contenuto forma cristallizzato si vedrà sgretolare, disintegrare, proprio come avviene a livello oggettivo fisico, quando un ultrasuono disintegra una forma grossolana materiale.

Anche la modalità di pronuncia investe il personale. Il soggettivo è una modalità a livello mentale (suono pensato) molto prolungato, ma credo possa essere ripetuto ad alta voce (suono parlato) o anche realizzato come coscienza, ottenendone gli stessi effetti.

La posizione coscienziale di preparazione, per eseguire tale tecnica ci è fornita da uno scritto di Tommaso Campanella, Estasi Filosofica, che è un testo sulla meditazione; non che il testo dia istruzioni sul come eseguire questa seconda fase della Bittul ha Yesch, ma da istruzione sulla posizione dell’operatore per tutte le forme meditative, dice: L’animo sia spogliato d’ogni minima passione o pensiero, non sia occupato né di mestizia o dolore, o allegrezza o timore, o speranza; non pensieri amorosi, o cure famigliari, o di cose proprie o d’altri; non di memoria di cose passate o di oggetti presenti, et che si resti del tutto insensato interiormente et esteriormente, et diventi immobile come se fussi una pianta o una pietra naturale: et così l’anima, non essendo occupata in alcuna azione, né vegetale, né animale si ritira in se stessa .

Il testo completo si trova nella sezione "Contributi Esterni" Estasi Filosofica

Quindi: è necessario un ritiro al centro, attuando un momento di silenzio mentale, e poi iniziare a risuonare il Mantra. Il suono deve propagarsi, con onde vibrazioni concentriche, fino alla periferia o orizzonte psichico.

Quando, durante la tecnica, si vedono cessare le onde suono, con la loro frequenza, allora si ripete nuovamente il Mantra; e cosi di seguito.

L'attenzione deve essere rivolta esclusivamente all'evento risolutore, diversamente il Mantra perde di potenza e di ritmo.

La tecnica richiede la totale concentrazione sull'evento, per cui la coscienza stessa rimane sempre impegnata nel processo. Non bisogna imprimere volontà al Mantra, ciò che conta è solo di essere compenetrati dell'evento e osservare con quella certezza, che ci viene dalla conoscenza della legge sul ritmo, che il mondo cristallizzato si risolve, rendendo finalmente la mente libera di ogni contenuto imprigionante.

Sapete come fini il terzo saggio che penetrò nel Pardés? Il terzo, ci informa lo Zohar, è giunto fino al fiume chiamato Hideqel, che vuol dire Had qal (suono facile), è forse sconveniente tale maestria per valicare la seconda barriera?

E il quarto infine, raggiunse il fiume chiamato Perath, vi entrò in pace e vi uscì in pace.

Ben inteso, non si supponga che il racconto dello Zohar si discosti da quello ortodosso del Talmud, alla sezione Haggadah 14B si legge: Il loro fatto dimostra che ci troviamo di fronte ad esperienze spirituali raggiunte mediante la contemplazione e l’estasi. Shimon Ben Azzai guardò e morì, Ben Zoma guardò e fu colpito mentalmente, Elischà Ben Avuyah dimenticò, Rabbi Akiba entrò in pace e discese in pace.

Come si intuisce è la stessa cosa.

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L’ultimo elemento nel passo considerato di Ezechiele è il fuoco che si sprigionava il che naturalmente ci porta ad esaminare il terzo grado della tecnica.

Per onestà dobbiamo anticipare che non abbiamo notizie dirette per questa terza condizione, per cui quanto diremo è esclusivamente di origine intuitiva e deduttiva.

Se la finalità della tecnica è quella della conoscenza per identità, dobbiamo supporre che con questa terza fase la cosa sia conseguibile.

Possiamo intuire che, se le due fasi (quella di 1 e di 2 grado) sono state eseguite diligentemente, il terzo stadio della meditazione dovrebbe aversi come conseguenza naturale.

Tale ipotesi poggia sul fatto che una spazialità psichica non più oberata da vecchie cristallizzazioni, e allenata alla posizione della coscienza osservante, non può non acquietarsi e riassorbirsi nel punto al centro.

Conseguenza è che in questo stadio, dovremmo stabilizzare la condizione di silenzio o di unità senza secondo in cui scompaiono completamente le idee, le percezioni e ogni eventuale movimento psichico conformante.

Max Plank, premio nobel per la fisica, nella sua opera Dio e la relatività per le edizioni Vega Parigi, ci informa che per la scienza l'universo è un continuo-discontinuo, e che se l’uomo riuscisse ad inserirsi tra queste due attività vitali, uscirebbe dal quadro tridimensionale, trascenderebbe il divenire universale grossolano, perché in questo iato esistente tra il movimento continuo discontinuo conoscerebbe una condizione di impermanenza.

Se è accettabile che, ciò che è in alto è come ciò che è in basso, dobbiamo supporre che la psiche è un particolare moto energetico, uno stato vibratorio peculiare, un continuo discontinuo e che tra un pensiero e l’altro esista un vuoto, una condizione non manifesta.

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La pura ed eterna Coscienza o Presenza non duale è il punto di arrivo della tecnica del Bittul ha-Yesch.

Questo è tutto quello che posso dire, per via mentale, di questa terza fase, e me ne scuso con tutti voi per l’incompletezza dell’informazione.

Forse quella condizione per noi, uomini del 2000, è perduta, distratti come siamo dall’oggetto esterno, però in umiltà ci è sufficiente sapere che per chi ama la libertà, non certo quella dell’io, che altra strada non v’è se non quella che porta ad Aïn.

Per chi ama la libertà dalla dualità spazio temporale la Qabalah indica un sentiero di fuoco che sa bruciare il desiderio di potenza e di esistenza non solo individuale ma anche universale.

Yesod Tiphereth Kether Aïn questa è la via del fuoco. Le istanze sessuali di Yesod andranno sublimate in amore in Tiphereth, Tiphereth quale umile riflesso deve reintegrarsi in Kether, Kether quale semplice determinazione o Punto di Aïn deve morire a se stesso e ritrovarsi libertà assoluta.

Consentitemi, cari Fratelli, di tediarvi ancora un istante e di chiudere questa mia relazione riferendovi un brevissimo passo estratto dall’Idra Rabba Qadisha al foglio 1a: I giorni sono pochi e il creditore urge, l’araldo grida a gran voce ogni giorno… ma i mietitori sono pochi, coloro che sono alla fine della vigna non osservano e non sanno quale possa essere il giusto posto.

Unitevi o miei fratelli in uno spazio aperto, unitevi forniti di armi e di lance, siate pronti nelle vostre pratiche, nella ponderazione, nel discernimento, nell’equanimità, nell’osservazione, nell’attenzione… siate pronti con mani e piedi!