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Biologia molecolare di Domenico Azarnia Tehran Questo approfondito riassunto del manuale dell'esame di Biologia molecolare tratta i principali temi della materia in modo esaustivo: dalla storia delle scoperte sul Dna, alla composizione dell'Acido Desossiribonucleico, ai meccanismi di riproduzione. Le funzioni dell'RNA vengono trattate approfonditamente e spiegati le principali modalità di trasmissione genetica. Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza Facoltà: Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso: Scienze Biologiche Esame: Biologia molecolare Titolo del libro: Il Gene VIII Autore del libro: Benjamin Lewin Editore: Zanichelli Anno pubblicazione: 2007

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Biologia molecolare

di Domenico Azarnia Tehran

Questo approfondito riassunto del manuale dell'esame di Biologia molecolare

tratta i principali temi della materia in modo esaustivo: dalla storia delle

scoperte sul Dna, alla composizione dell'Acido Desossiribonucleico, ai

meccanismi di riproduzione. Le funzioni dell'RNA vengono trattate

approfonditamente e spiegati le principali modalità di trasmissione genetica.

Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza

Facoltà: Scienze Matematiche, Fisiche e NaturaliCorso: Scienze Biologiche

Esame: Biologia molecolareTitolo del libro: Il Gene VIII

Autore del libro: Benjamin LewinEditore: Zanichelli

Anno pubblicazione: 2007

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1. La visione mendeliana del mondoLa teoria dell'evoluzione è una delle scoperte scientifiche che hanno influito più profondamente sulla cultura

moderna e sulla concezione dell'uomo contemporaneo. Questa fu concepita e messa a punto da Charles

Darwin nel corso del 1800. Fino ad allora tutte le costruzioni filosofiche e religiose avevano considerato le

forme di vita costanti e immutabili, con l'unica eccezione della specie umana, che era qualcosa di speciale,

nettamente superiore a qualsiasi altra specie. Grazie, comunque, a Darwin e successivamente a Mendel si

scoprì qualcosa di più sui geni e queste teorie furono scartate con l'avvenire della biologia molecolare. Nella

seconda metà del 1700 scienze nascenti, come la geologia, avevano appunto rilevato strati geologici

formatosi in tempi successivi in cui si trovavano specie antiche con caratteristiche comuni a quelle attuali,

quindi si cominciò a pensare, come fece Jean-Baptiste de Lamarck all'evoluzionismo, secondo il quale

caratteri acquisiti durante la vita dell'individuo possono essere trasmessi ai discendenti (eredità dei caratteri

acquisiti). Secondo Darwin, invece, si ha dapprima lo sviluppo di un abbondante varietà di individui con 

caratteristiche diverse, che vengono selezionate tramite il criterio della sopravvivenza del più adatto, o

selezione naturale. Successivamente questi caratteri vengono trasmessi alla progenie nel corso del tempo.

Dopo iniziali polemiche la teoria dell'evoluzionismo fu scartata dal mondo scientifico e fu accettata la

selezione naturale di Darwin. Inoltre, ci si rese conto che la vita doveva essere apparsa sulla Terra circa 4

miliardi di anni fa ma ancora non si conosceva la materia del materiale ereditario. In questo periodo inoltre,

un altra importante scoperta, che diede lancio alla biologia molecolare fu la teoria cellulare di Schleiden-

Schwann che scoprirono le cellule, l'unità fondamentale della vita. 

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2. La genetica della trasmissioneMendel vide che un gene può esistere in differenti forme chiamate alleli. Per esempio, il pisello può avere

semi gialli oppure verdi. Un allele di un gene responsabile per il colore del seme conferirà ai semi il colore

giallo, l'altro allele il colore verde. Inoltre un allele può essere dominante rispetto all'altro, che quindi

risulterà essere recessivo (bisogna ricordare che non sempre avviene questo in quanto può esistere

codominanza, con la comparsa di un colore intermedio). Mendel poté dimostrare che l'allele per i semi gialli

era dominante dopo aver incrociato due piante di pisello, una con semi di colore verde e l'altra con semi di

colore giallo. Tutta la progenie della prima generazione (F1) mostrava semi di colore giallo. Tuttavia,

incrociando tra loro gli individui della generazione F1 (semi gialli), Mendel osservò la ricomparsa di semi di

colore verde. Il rapporto tra semi di colore giallo e di colore verde nella seconda generazione filiale (F2) era

di 3:1. Mendel concluse che l'allele per il colore verde dei semi doveva essere mantenuto nella generazione

F1, pur non influendo sul colore dei semi di queste piante. La sua spiegazione fu che ogni pianta parentale

porta due copie del gene; in sostanza i genitori esano diploidi per i caratteri che stava studiando. Secondo

questa teoria, gli individui omozigoti presentano due copie dello stesso allele: o due alleli per i semi gialli o

due per i semi verdi. Gli individui eterozigoti, invece, presentano una sola copia per ogni allele. I due

genitori nel primo incrocio erano omozigoti e la progenie risultante F1 era eterozigote. Quindi Mendel

concluse che le cellule sessuali contengono una sola copia del gene, cioè sono aploidi. Di conseguenza, gli

omozigoti possono produrre cellule sessuali o gameti, che hanno un solo allele, ma gli eterozigoti possono

produrre gameti aventi uno o l'altro dei due alleli. Mendel, inoltre, scoprì che i geni per i sette diversi

caratteri che scelse di studiare, operano indipendentemente l'uno sull'altro. Così le combinazioni tra alleli di

due diversi geni (piselli gialli o verdi con semi lisci o rugosi, dove giallo e liscio sono caratteri dominanti,

rispetto a verde e rugoso che sono recessivi) diedero i rapporti 9:3:3:1 per le combinazioni giallo/liscio,

giallo/rugoso, verde/liscio e verde/rugoso rispettivamente. Da questi esperimenti si possono enunciare tre

leggi:

1.Legge della dominanza: gli individui nati dall'incrocio di due individui omozigoti, che differiscono per una

coppia allelica, avranno il fenotipo dato dall'allele dominante;

2.Legge della segregazione: gli alleli di un singolo locus segregano indipendentemente l'uno dall'altro 

(ricomparsa del recessivo nella F1);

3.Legge dell'assortimento indipendente: i diversi alleli si trasmettono indipendentemente l'uno dagli altri,

secondo precise combinazioni.

L'ereditarietà che segue le semplici leggi che Mendel ha scoperto viene comunemente definita ereditarietà

Mendeliana.

Il lavoro di Mendel fu trascurato quasi 40 anni e furono riscoperte solo quando tre scienziati, Vries, Correns

e Von Tschermak arrivarono con esperimenti diversi alle stesse considerazioni che fece Mendel. Comunque,

l'idea che i cromosomi siano a portare i geni fu approfondita da Sutton, Boveri e Morgan ed è nota come

teoria cromosomica dell'ereditarietà. Questo presenta un momento cruciale per lo sviluppo genetico. I geni

non erano più fattori svincolati, ma erano diventati oggetti osservabili nel nucleo della cellula. Alcuni

genetisti, e in particolare, come dicevamo prima, Thomas Hunt Morgan, rimasero scettici riguardo a questa

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idea. L'ironia della sorte stabilì proprio che fosse lo stesso Morgan nel 1910 a fornire la prima definitiva

prova a supporto della teoria cromosomica. Morgan lavorava con il moscerino della frutta (Drosophila

melanogaster) che era, sotto molti aspetti, un organismo molto più comodo da utilizzare per studi genetici in

confronto alla pianta di pisello, grazie alle sue ridotte dimensioni, al breve tempo di riproduzione e

all'elevato numero di figli nella progenie. Quando Morgan incrociò moscerini con occhi rossi (carattere

dominante) con moscerini con occhi bianchi (carattere recessivo), la maggior parte degli individui della

progenie F1, ma non la totalità di essi, aveva gli occhi rossi. Inoltre, quando Morgan incrociò i maschi con

gli occhi rossi della generazione F1 e le loro sorelle sempre con gli occhi rossi, un quarto della progenie era

rappresentato da maschi con gli occhi bianchi, ma non c'era nemmeno una femmina con gli occhi bianchi. In

altre parole il fenotipo del colore degli occhi era legato al sesso e veniva trasmesso, in questi esperimenti,

seguendo la trasmissione del sesso. Noi oggi sappiamo che il sesso e il colore degli occhi vengono trasmessi

insieme perché i geni che controllano queste caratteristiche sono localizzati sullo stesso cromosoma, il

cromosoma X. Comunque, Morgan fu riluttante nel trarre le sue conclusioni fino a quando, nel 1910, non

osservò lo stesso comportamento legato al sesso per altri due fenotipo, ali ridotte e corpo giallo. È facile

comprendere che geni localizzati su cromosomi separati si comportino indipendentemente negli esperimenti

genetici e che geni localizzati sullo stesso cromosoma, come il gene responsabile del fenotipo ali ridotte

(miniature) e quello responsabile del fenotipo occhi bianchi (white), si comportino come se fossero legati.

Comunque, solitamente i geni localizzati sullo stesso cromosoma non mostrano una perfetta concatenazione

genica (linkage). Infatti, Morgan scoprì questo fenomeno quando esaminò il comportamento dei geni legati

al sesso che aveva trovato. Per esempio, sebbene white e miniature si trovino entrambi sul cromosoma X,

essi rimangono concatenati nella progenie solo il 65,5% delle volta. Gli altri individui della progenie

possiedono una nuova combinazione di alleli non riscontrabile nei genitori; per questo si definiscono

individui ricombinanti. Questi individui vengono prodotti dallo scambio tra cromosomi omologhi

(cromosomi che portano gli stessi geni o gli stessi alleli degli stessi geni). Il risultato di questo meccanismo

è lo scambio di geni tra cromosomi omologhi. Nell'esempio precedente, durante la formazione delle uova

nella femmina, un cromosoma X che porta gli alleli white e miniature è andato incontro a crossing over con

un cromosoma che porta gli alleli per gli occhi rossi e per le ali normali. Poiché il fenomeno del crossing

over avvenuto tra questi due geni ha portato gli alleli white e ali normali insieme su un cromosoma e gli

alleli rosso (occhio normale) e miniature sull'altro. Dal momento che è stata creata una nuova combinazione

di alleli, possiamo chiamare questo processo ricombinazione. Morgan assunse che i geni fossero disposti in

maniera lineare lungo il cromosoma, come perle lungo un filo. Questa idea assieme alla consapevolezza

della ricombinazione, lo spinse a suggerire che più lontani si trovano due geni lungo un cromosoma e più

elevata è la probabilità che essi ricombinino. Successivamente, Sturtevant elaborò questa ipotesi per arrivare

ad affermare che esiste una relazione matematica tra la distanza che separa due geni lungo un cromosoma e

la frequenza di ricombinazione tra questi due geni. Sturtevant raccolse dati che supportavano questa tesi,

conducendo esperimenti sulla ricombinazione nei moscerini della frutta. Questo approccio ha rappresentato

il fondamento logico delle tecniche di mappatura genica in uso ancora oggi. Più semplicemente, se due loci

ricombinano con una frequenza dell'1% si dice che i geni sono separati da una distanza, sulla mappa, di un

centimorgan (dal nome dello stesso Morgan).

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3. Miescher: l'acido desossiribonucleicoL'esistenza di molecole speciali in grado di portare l'informazione genetica fu postulata dai genetisti, molto

prima che questo problema fosse preso in considerazione dai chimici. Nel 1869, Friedrich Miescher scoprì

nel nucleo della cellula la presenza di una miscela di componenti che egli chiamò nucleina. Il componente

principale della nucleina è l'acido desossiribonucleico (DNA). Alla fine del XIX secolo, i chimici hanno

compreso quale fosse la struttura del DNA e di un composto a esso simile, l'acido ribonucleico (RNA). Tutti

e due sono lunghi polimeri, catene composte da piccoli composti chiamati nucleotidi. Ogni nucleotide è

composto da uno zucchero, un gruppo fosfato e una base. La catena si forma in seguito al legame tra gli

zuccheri di due basi attigue attraverso i loro gruppi fosfato. Comunque, dal momento che la teoria

cromosomica dell'ereditarietà era ormai stata accettata, i genetisti convennero che il cromosoma dovesse

essere composto di un polimero di un qualche genere.

Sostanzialmente la scelta poteva cadere sulle seguenti tre opzioni: DNA, RNA e proteine. All'inizio si pensò

proprio alle proteine in quanto strutture complesse con  la loro catena è costituita da unità chiamate

amminoacidi. Gli amminoacidi legati tra loro attraverso legami peptidici, formano la catena proteica che è

così definita un polipeptide.

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4. Avery, Griffith e altri: il Dna può portare la specificità geneticaOswald Avery e i suoi collaboratori nel 1944  misero appunto un esperimento, eseguito precedentemente da

Federick Griffith. Quest'ultimo scienziato nel 1928 gettò le basi per determinare, appunto, che il DNA

costituisce il materiale genetico, con il suo esperimento di trasformazione del batterio pneumoccoccus, oggi

chiamato Streptococcus pneumoniae. Questi organismi nella forma selvatica sono costituiti da cellule

sferiche circondate da un involucro mucoso chiamato capsula. Le cellule formano grandi colonie lucide con

aspetto liscio (S). Queste cellule sono virulente, ossia sono in grado di causare infezioni letali se iniettate in

un topo. Un particolare ceppo mutante di S. pneumoniae ha perso la capacità di formare la capsula e forma

colonie piccole e dall'aspetto ruvido (R). Inoltre questa forma è non virulenta, in quanto non avendo la

capsula sono facilmente fagocitati dai globuli bianchi dell'organismo. La scoperta fondamentale di Griffith è

costituita dal fatto che era possibile trasformare colonie di tipo R (non virulente) esponendole a colonie di

tipo S (virulente) uccise tramite esposizione al calore. Sia le colonie S uccise al calore che le colonie R prese

singolarmente non erano in gradi di promuovere un infezione letale. Tuttavia se somministrate insieme

erano mortali. In qualche modo il tratto che conferiva la virulenza era passato dalle cellule virulenti morte a

quelle non virulenti vive. Inoltre fu scoperto che la trasformazione non è un fenomeno passeggero. Infatti,

una volta conferita la capacità a formare la capsula al ceppo non virulento e pertanto uccidere gli organismi

ospiti, questa era passata ai discendenti come carattere ereditario. In altre parole le  cellule non virulente in

qualche modo acquisivano il gene per la virulenza durante la trasformazione. Questo significava che il

principio trasformante presente nei batteri uccisi con il calore era costituito probabilmente dallo stesso gene

per la virulenza.

L'ultimo tassello mancante per completare il mosaico era scoprire la natura chimica della sostanza

trasformante. A questo ci pensarono Oswald Avery, Colin MacLeod e Maclyn McCary che nel 1944

completarono il quadro. Come primo passo estrassero le proteine dall'estratto per mezzo di solventi organici

e determinarono che l'estratto era ancora in grado di trasformare. Successivamente trattarono l'estratto con

diversi enzimi. La tripsina e la chimotripsina, che digeriscono le proteine, non sortirono alcun effetto sulla

capacità trasformane, e neanche il trattamento con ribonucleasi, che degrada l'RNA. Pertanto fu escluso che

il fattore trasformante potesse essere costituito da proteine o RNA. Avery e collaboratori, d'altra parte,

scoprirono che trattando l'estratto di cellule virulenti con la deossiribonucleasi (Dnasi), enzima che degrada

il DNA, questo perdeva la capacità di trasformare i ceppi non virulenti. Questi risultati suggerirono, dunque,

che il principio trasformante fosse proprio il DNA. Per finire, nel 1952, A. D. Hershey e Martha Chase

eseguirono un esperimento che apportò ulteriori prove a favore dell'ipotesi che i geni sono composti da

DNA. Questo esperimento prevedeva l'utilizzo di un batteriofago (virus batterico) chiamato T2 che infetta il

batterio Escherichia coli. Durante l'infezione i geni del fago penetrano nella cellula ospite e inducono la

sintesi di nuove particelle virali. Essendo il fago composto solo da DNA e proteine, questi due scienziati si

chiesero se i geni risiedono nelle proteine o nel DNA. Comunque, dal momento che il DNA era la

componente maggiore che entrava nella cellula ospite era altamente probabile che contenesse i geni.

L'esperimento di Hershey e Chase si basava sulla marcatura radioattiva del DNA e delle proteine, una

marcatura distinta per ciascuna delle due molecole. Usarono infatti fosforo-32 (32P) per marcare DNA e

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zolfo-35 (35S) per marcare le proteine. Questa scelta ha un senso se si considera che il DNA è ricco di

fosforo mentre le proteine del fago non ne contengono ma invece contengono zolfo mentre il DNA ne è

privo. Hershey e Chase permisero ai fagi marcati di infettare i batteri iniettando i loro geni nella cellula

ospite. Successivamente staccarono i capsidi vuoti dei fagi dalle cellule batteriche, per mezzo di una

agitazione vigorosa, tramite un frullatore (nuova invenzione dell'epoca). Poiché sapevano che i geni

dovevano penetrare all'interno delle cellule batteriche, la loro domanda era, cosa è penetrato, il DNA

marcato con 32P o le proteine marcate con 35S? Come hanno potuto vedere si trattava di DNA. In generale,

quindi, i geni sono composti da DNA.

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5. Garrod: l'azione dei geniNel 1902 Archibald Garrod notò che la alcaptonuria (una malattia che colpisce l'uomo) sembrava

comportarsi come un carattere Mendeliano di tipo recessivo. Era possibile, quindi, che la malattia fosse

causata da un gene difettoso, o mutante. Inoltre, il sintomo principale caratteristico di questa malattia era

l'accumulo di pigmenti neri nelle urine del paziente, cosa che Garrod imputò, giustamente, ad un'anormale

produzione di un composto intermedio in una determinata via biosintetica. Quindi si arrivò alla definizione

un gene mutante-un blocco metabolico. Successivamente, nel 1941, Badle e Tatum crearono numerosi

mutanti di Neurospora, nei quali il difetto interessava un singolo passaggio di un determinato pathway

biochimico e di conseguenza riguardava un singolo enzima. Furono in grado di fare questo, aggiungendo

l'intermedio che normalmente sarebbe stato sintetizzato dall'enzima difettivo e dimostrando che questo

ripristinava una crescita normale. Quindi aggirando il blocco scoprirono dove questo fosse localizzato.

Anche in questo caso, i loro esperimenti genetici dimostrarono che era un singolo gene a essere coinvolto.

Così, un gene difettoso dà luogo a un enzima difettoso. In altre parole, un gene sembrò essere responsabile

della produzione di un enzima. Questa è l'ipotesi un gene-un enzima. Negli anni successivi, però, sempre

altri scienziati dimostrarono che numerose proteine enzimatiche e strutturali sono multimeriche, cioè

contengono due o più catene polipeptidiche differenti, in cui ciascun polipeptide è codificato da un gene

differente. Per questo la definizione precedente divenne un gene-un polipeptide che successivamente grazie

agli esperimenti di Ingram diventò un gene-una catena polipeptidica. Infatti, questo scienziato, dopo aver

determinato la sequenza amminoacidica dell'emoglobina normale e di quella dei pazienti affetti da anemia

falciforme si accorse che la mutazione di un singolo gene determina la sostituzione di un singolo

amminoacido e di conseguenza, quindi, affermò che i geni determinano la struttura primaria delle proteine.

Infine, a metà degli anni '40, gli studiosi di biochimica conoscevano le strutture chimiche di DNA e RNA.

Degradando il DNA nelle sue componenti base, scoprirono che queste erano costituite da basi azotate, acido

fosforico e dallo zucchero desossiribosio. In maniera simile scoprirono che l'RNA era costituito da basi

azotate e acido fosforico più uno zucchero diverso, il ribosio. Le quattro basi azotate trovate nel DNA sono

adenina (A), citosina (C), guanina (G) e timina (T). L'RNA contiene le stesse basi, fatta eccezione per

l'uracile (U) che sostituisce la timina. Le strutture di queste basi rilevano che l'adenina e guanina sono simili

in struttura alla purina, pertanto sono dette purine. Mentre, le altre basi sono simili alla struttura delle

pirimidina, e sono dette pirimidine. Queste molecole costituiscono l'alfabeto della genetica.

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6. La struttura del DnaIntorno al 1953, uno degli scienziati interessati alla struttura del DNA era Linus Pauling, un chimico teorico

del California Istitute of Technology. Era già conosciuto per i suoi studi sui legami chimici e per la scoperta

dell'-elica, una caratteristica strutturale importante delle proteine. Pauling, comunque, pubblicò una struttura

a tripla elica del DNA, in cui le basi erano esposte all'esterno e le catene fosfodiesteriche all'interno.

Quest'ultime però essendo cariche negativamente tendono a respingersi.  Un altro gruppo di ricerca

impegnato nella determinazione della struttura del DNA era composto da Maurice Wilkins e Rosalind

Franklin, esperti in cristallografia, del King's College di Londra. Essi stavano, infatti, utilizzando la tecnica

della diffrazione ai raggi X, per analizzare la struttura del DNA. Infine, entrarono in scena James Watson e

Francis Crick che non fecero alcun esperimento ma interpretarono i dati ottenuti dai vari gruppi di ricerca

per determinare un modello della struttura del DNA. Probabilmente il tassello più importante del mosaico fu

costituito da una fotografia del DNA ottenuta da Franklin nel 1952, mediante diffrazione ai raggi-X,

mostrata da Wilkins a James Watson durante un incontro a Londra avvenuto il 30 gennaio del 1953.

Tuttavia, nonostante questa fotografia dicesse molto riguardo la struttura del DNA, metteva in evidenza un

paradosso: il DNA era un'elica con una struttura regolare e ripetuta, ma affinché il DNA potesse assolvere la

funzione di materiale genetico doveva avere una sequenza irregolare di basi. Watson e Crick intravidero un

modo per risolvere questa contraddizione e per soddisfare le regole di Chargaff  (il numero dei residui di  A

deve essere uguale al numero dei residui di T, così come deve essere uguale il numero di residui G e residui

C) allo stesso tempo: il DNA era una doppia elica che presenta i gruppi zucchero-fosfato all'esterno e le basi

all'interno. Inoltre, le basi dovevano essere appaiate in modo tale che a una purina presente su un filamento

corrispondesse una pirimidina sull'altro. In questo modo l'elica risultava uniforme: non avrebbe presentato

rigonfiamenti dove fossero state appaiate due pirimidine (più grandi) e analogamente non avrebbe presentato

costrizioni dove fossero state appaiate due purine (più piccole). Pertanto Watson e Crick osservarono che

una coppia di basi costituita da adenina e timina, tenute insieme da legami idrogeno, aveva quasi la

medesima forma della coppia di basi costituita da citosina e guanina. In questo modo il DNA a doppio

filamento sarebbe risultato regolare, formato da coppie di basi di forma simile, senza tener conto della

sequenza imprevedibile dei due filamenti di DNA. La distanza fra le coppie di basi adiacenti è di 3,4 A

(angstrom) e il passo dell'elica è di circa 34 A; per ogni giro completo di elica ci sono circa 10 coppie di

basi.

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7. Le ipotesi sulla copia del Dna L'articolo di Watson e Crick fu pubblicato molto rapidamente per volere di Watson ma Crick voleva

includere nell'articolo anche le implicazioni biologiche. Allora, essi si accordarono su una frase che

volutamente minimizzava una delle maggiori scoperte scientifiche: “Non è sfuggito alla nostra attenzione

che la specificità nell'accoppiamento delle basi che abbiamo proposto, indica l'esistenza di un possibile

meccanismo di copia del materiale genetico”. Come provocatoriamente indica questa frase, il modello di

Watson e Crick effettivamente suggerisce l'esistenza di un meccanismo di copia del DNA. Dato, infatti, che

i due filamenti oltre ad essere antiparalleli (ciò significa che se uno presenta polarità 5'3', l'altro deve

presentare polarità 3'5') sono anche complementari, questi possono essere separati, e ciascuno può servire da

stampo per la sintesi di un nuovo filamento. Questo modello, quindi prevede, la separazione dei due

filamenti parentali, al fine di agire da stampo per la formazione dei filamenti neosintetizzati. Questo modello

è detto a replicazione semiconservativa perché ogni duplex generato possiede un filamento parentale e un

filamento neosintetizzato. Comunque, questo non è l'unico meccanismo possibile. Un altro potenziale

meccanismo è quello della replicazione conservativa, nel quale i due filamenti parentali, restano insieme, e

in qualche modo producono un'altra doppia elica figlia, con due filamenti figli completi. Un terzo possibile

meccanismo è dettato dal modello della replicazione dispersiva, nel quale il DNA viene frammentato, quindi

il nuovo e il vecchio DNA coesistono nello stesso filamento, dopo la replicazione.

Nel 1958, Matthew Meselson e Franklin Stahl hanno eseguito il noto esperimento necessario per distinguere

quale dei tre modelli fosse quello corretto. I ricercatori hanno marcato il DNA di E. coli con azoto pesante

(15N), crescendo le cellule in un terreno arricchito con questo isotopo dell'azoto. Questo processo rende il

DNA più pesante rispetto alla condizione naturale. Hanno successivamente spostato, le cellule in un terreno

di coltura ordinario, che contiene principalmente 14N, prelevando quindi le cellule in tempi diversi. Infine

hanno sottoposto il DNA a ultracentrifugazione per determinare la densità. A questo punto, se la

replicazione è conservativa, i due filamenti parentali si trovano associati, inoltre apparirà una doppia elica di

nuova sintesi. Poiché quest'ultima elica, è stata generata in presenza di azoto leggero, entrambi i filamenti

che la compongono saranno leggeri. L'elica parentale pesante/pesante (H/H) e la doppia elica figlia

leggera/leggera (L/L) sarebbero quindi separati dall'ultra centrifugazione per via della loro diversa densità.

Se la replicazione è semiconservativa, i due filamenti parentali pesanti sarebbero separati, e quindi entrambi

associati ad un filamento figlio leggero. Questa doppia elica ibrida H/L avrà una densità che è una via di

mezzo tra quella di una doppia elica H/H e di un elica naturale L/L. Questo è proprio quello che avviene:

dopo il primo ciclo di replicazione, si può notare la comparsa di una banda a metà strada tra la doppia elica

H/H e quella L/L. Questo risultato esclude la replicazione conservativa, ma è in accordo sia con l'ipotesi

semiconservativa della replicazione che con quella dispersiva. I risultati di un ulteriore ciclo di replicazione

del DNA escludono anche l'ipotesi della replicazione dispersiva; infatti, l'ipotesi prevede la produzione di un

quarto di DNA con 15N e tre quarti con 14N dopo due cicli di replicazione in terreno di crescita con azoto

leggero. L'ipotesi semiconservativa invece prevede la metà dei prodotti come H/L e l'altra metà come L/L.

In altre parole, gli ibridi H/L prodotti nel primo ciclo di replicazione, si separano ed entrambi si accoppiano

ai filamenti di DNA neosintetizzati, generando una proporzione 1:1 di doppie eliche di DNA H/L e L/L.

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Ancora, ciò è precisamente quello che accade. Quindi i risultati supportano fortemente il meccanismo

semiconservativo.

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8. La sequenza dei componenti nucleotidici del DnaLa scoperta della doppia elica pose fine alla diatriba sul fatto che il DNA fosse la sostanza genetica primaria.

Dal momento che tutte le catene di DNA erano in grado di formare doppie eliche, l'essenza della loro

specificità genetica doveva per forza risiedere nelle sequenze lineari dei loro componenti nucleotidici.

Ovvero, in qualità di entità contenenti informazioni, le molecole di DNA dovevano essere considerate delle

parole molto lunghe, formate da un alfabeto di quattro lettere (A, G, C e T). Nonostante vi siano solo quattro

lettere, il numero di sequenze di DNA possibili (4N dove N è il numero di lettere nella sequenza), è,

comunque, straordinariamente grande, anche per le molecole di DNA più piccole. Sebbene il DNA portasse

l'informazione per disporre gli amminoacidi in sequenza, era abbastanza chiaro che la doppia elica stessa

non potesse svolgere il ruolo di stampo per la sintesi proteica. Esperimenti successivi dimostrarono, infatti,

che la sintesi proteica poteva avvenire anche in assenza di DNA. In tutte le cellule eucariotiche la sintesi

proteica avviene nel citoplasma, che risulta separato dal DNA cromosomico dalla membrana nucleare.

Doveva esistere, quindi, una seconda molecola che contenesse sia l'informazione, sia la specificità genetica

del DNA e che potesse spostarsi nel citoplasma e svolgere il ruolo di stampo per la sintesi proteica. Si

conseguenza si cominciò a considerare con attenzione la seconda classe di acidi nucleici: l'RNA. L'analisi

della struttura dell'RNA dimostra che la sua sintesi può avvenire a partire da uno stampo di DNA. Dal punto

di vista chimica, esso è molto simile al DNA. L'RNA, infatti, è una molecola lunga e non ramificata,

contenente quattro tipi di nucleotidi uniti da legami fosfodiesterici 3'5'. Solo due diversi gruppi chimici lo

distinguono dal DNA. Il primo è una modificazione nella componente glucidica, lo zucchero del DNA è il

desossiribosio mentre nell'RNA troviamo il ribosio che presenta un gruppo ossidrile -OH in più, la seconda

differenza è che l'RNA non contiene timina, ma una pirimidina molto simile: l'uracile. Nonostante queste

differenza, i poliribonucleotidi hanno lo stesso la possibilità di formare doppie eliche complementari come il

DNA, tuttavia l'RNA si trova nella cellula come molecola a singola elica.

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9. Il dogma centrale nello studio del DnaNell'autunno del 1953 venne formulata l'ipotesi che il DNA cromosomico funziona da stampo per le

molecole di RNA che vengono successivamente trasportate nel citoplasma dove determinano l'ordine degli

amminoacidi all'interno delle proteine. Nel 1956, Francis Crick definì questo flusso d'informazione genetica

il dogma centrale:

Duplicazione DNA Trascrizione RNA Traduzione Proteina

Però, per scoprire il modo in cui le proteine vengono sintetizzate si dovette aspettare lo sviluppo di estratti

crudi (cell-free), in grado di eseguire tutti i passaggi necessari per la sintesi. Grazie a questo metodo Paul C.

Zamecnik e collaboratori scoprirono che gli amminoacidi vengono uniti alle molecole che oggi noi

chiamiamo RNA transfer (tRNA) da una classe di enzimi denominati amminoacilsintetasi, prima della loro

incorporazione nelle proteine. L'RNA transfer rappresenta circa il 10% di tutto l'RNA cellulare. Oggi

sappiamo che ogni tRNA si contiene una sequenza di basi adiacenti (l'anticodone) che si lega in maniera

specifica a gruppi di basi contigue (codoni) lungo lo stampo di RNA durante la sintesi proteica. Comunque,

circa l'85% dell'RNA cellulare si trova nei ribosomi e dato che il loro numero aumenta notevolmente nelle

cellule che hanno un'intensa attività di sintesi proteica, si pensò inizialmente che l'RNA ribosomiale (rRNA)

fosse lo stampo per ordinare gli amminoacidi. Tuttavia, grazie all'utilizzo di cellule infettate con il fago T4,

si scoprì che lo stampo per ordinare gli amminoacidi è l'RNA messaggero (mRNA), dato che trasporta

l'informazione del DNA ai siti ribosomiali per la sintesi proteica.

Mentre si scopriva l'RNA messaggero, i biochimici Jerard Hurwitz e Sam B. Weiss isolarono in maniera

indipendente il primo degli enzimi in grado di trascrivere l'RNA a partire da uno stampo di DNA. Questi

enzimi, chiamati RNA polimerasi, funzionano solo in presenza di DNA, che funge da stampo su cui si

formano le catene a singolo filamento di RNA. Nei batteri, lo stesso enzima produce ciascuna delle classi

maggiori di RNA (ribosomiale, transfer e messaggero), usando appropriati segmenti di DNA cromosomico

stampo.

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10. L'importanza dei legami deboli e forti nelle interazioni fra

molecoleLe macromolecole che maggiormente interessano i biologi sono le proteine e gli acidi nucleici. Queste sono

costituite, rispettivamente, da amminoacidi e nucleotidi. In entrambi i casi, i precursori sono uniti da legami

covalenti a formare catene polipeptidiche (le proteine) e polinucleotidiche (gli acidi nucleici). I legami

covalenti sono legami forti, stabili, che nei sistemi biologici difficilmente si rompono spontaneamente.

Esistono, inoltre, legami più deboli, che sono essenziali per la vita della cellula, in parte perché possono

essere formati o eliminati in condizioni fisiologiche. Infatti, i legami deboli mediano le interazioni fra

diverse parti della stessa macromolecola, determinandone così la struttura e, quindi, la loro funzione

biologica. Perciò, sebbene una proteina sia formata da una catena lineare di amminoacidi covalentemente

legati, la sua forma e funzione sono determinate dalla struttura spaziale da essa adottata. Tale struttura è

determinata dal gran numero di legami deboli che si formano fra gli amminoacidi. Analogamente anche per i

legami non covalenti che tengono unite le due catene nucleotidiche del DNA.

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11. Caratteristiche dei legami chimiciUn legame chimico rappresenta una forza d'attrazione che tiene uniti gli atomi. Aggregati atomici di

dimensioni definite vengono chiamati molecole. Originariamente si pensava che soltanto i legami covalenti

potessero tenere uniti gli atomi per formare le molecole; in seguito, è stato visto che le forze attrattive deboli

sono molto importanti per la formazione di complessi costituiti da più macromolecole. Per esempio, le

quattro subunità dell'emoglobina sono tenute insieme dall'azione combinata di alcuni legami deboli.

Comunque, i legami chimici possono essere definiti in modi diversi. Un'evidente caratteristica del legame è

la sua forza. I legami forti non vengono quasi mai distrutti alle temperature fisiologiche. Invece, i legami

deboli vengono rotti facilmente ed hanno una vita molto breve se il loro numero è esiguo. Questi legami

diventano stabili soltanto quando sono numerosi e disposti in gruppi ordinati. La forza di un legame, inoltre,

è inversamente proporzionale alla sua lunghezza, così che due atomi uniti da legami forti sono sempre più

vicini degli stessi atomi tenuti insieme da legami deboli. Un'altra importante caratteristica è il numero

massimo di legami che un dato atomo può formare. Questo numero è chiamato valenza. L'ossigeno, per

esempi, ha una valenza di due e non può formare più di due legami covalenti (questo non vale per i legami

di van der Waals, in cui il fattore limitante è puramente sterico). Altre due importanti caratteristiche dei

legami sono l'angolo di legame, che è l'angolo che si forma fra due legami convergenti su un singolo atomo,

e la libertà di rotazione; i legami covalenti singoli permettono una libera rotazione dei due atomi legati

mentre i legami doppi o tripli sono molto rigidi. Comunque, con l'avvento della meccanica quantistica, si

specificò che la formazione spontanea del legame fra sue atomi implica sempre il rilascio di parte

dell'energia interna, contenuta negli atomi non legati, e la sua conversione in una diversa forma di energia.

Più forte è il legame, maggiore è la quantità di energia ceduta durante la sua formazione. La formazione di

un legame fra i due atomi A e B può essere descritta come: A + B AB + energia, dove AB rappresenta i due

atomi legati. La velocità della reazione è direttamente proporzionale alla frequenza delle collisioni fra A e B.

L'unità più frequentemente utilizzata per misurare l'energia è la caloria, ma siccome questa energia di solito

è molto grande si utilizzano le kilocalorie per mole (Kcal/mol). Malgrado ciò, l'unione di atomi mediante

legami chimici non è permanente. Esistono, infatti, forze capaci di rompere questi legami: l'energia termica

è una fra le più importanti. Infatti, più una molecola si muove velocemente (e ciò può essere ottenuto

aumentando la temperatura), maggiore è la possibilità che, a causa di una collisione, un legame venga rotto.

La rottura di un legame può essere descritta dalla seguente formula: AB + energia A + B. La quantità di

energia che deve essere aggiunta per rompere un legame è esattamente pari a quella dissipata nella

formazione del legame stesso. Questa equivalenza è in accordo con la prima legge della termodinamica, che

afferma che l'energia non può essere né creata né distrutta. Quindi, in conclusione, possiamo dire che

ciascun legame è il risultato di un'azione combinata tra forze che formano e forze che rompono i legami

stessi. Quando, in un sistema chiuso, si crea un equilibrio, il numero dei legami che si formano è uguale a

quello che si rompono nello stesso periodo di tempo. La quantità dei legami che si formano potrà essere

ricavata dalla seguente formula: Keq = [AB]/[A]x[B], dove Keq è la costante di equilibrio, e le altre sono

concentrazioni.

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12. Il concetto di energia liberaOgni qualvolta viene modificata la quantità di atomi legati, in base ala costante di equilibrio, avviene sempre

un cambiamento dei livelli energetici del sistema. Il modo più comunemente usato per esprimere questo

cambiamento, dal punto di vista biologico, è attraverso il concetto chimico-fisico di energia libera,

rappresenta dal simbolo G, che si definisce come quell'energia in grado di compiere lavoro. La seconda

legge della termodinamica asserisce che nelle reazioni spontanee avviene sempre una diminuzione della

quantità di energia libera (il valore di G è negativo). Quando si raggiunge l'equilibrio della reazione non si

osserva più alcuna variazione di tale energia (G=0). In generale, l'energia libera che si perde per il

raggiungimento dell'equilibrio viene trasformata in calore o utilizzata per aumentare l'entropia, ossia la

quantità di disordine del sistema. Chiaramente, comunque, più forti sono i legami, e quindi maggiore è la

variazione in energia libera (G), che accompagna la loro formazione, più grande è la quantità di atomi

presenti in forma legata. Questo concetto è espresso, in modo quantitativo, dalla formula:

G = -RTlnKeq    o    Keq = e-G/RT

dove R è la costante universale dei gas, T è la temperatura assoluta, ln è il logaritmo (di Keq) in base e, e

Keq è la costante di equilibrio ed e è pari a 2,718.

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13. I legami deboli nei sistemi biologiciI legami deboli più rilevanti per i sistemi biologici sono: i legami di van der Waals, i legami idrofobici, i

legami idrogeno e quelli ionici. I primi possiedono un energia (da 1 a 2 kcal/mol) solo leggermente

superiore all'energia cinetica dei movimenti termici, mentre l'energia dei legami ionici e idrogeno è

compresa fra 3 e 7 kcal/mol. Tutte le molecole sono in grado di formare legami di van der Waals, mentre i

legami idrogeno e quelli ionici possono essere formati soltanto fra molecole che sono fornite di una carica

netta (ioni), o sulle quali la carica non è uniformemente distribuita.

Comunque, tutte le interazioni deboli sono basate su attrazioni tra cariche elettriche. La separazione delle

cariche può essere permanente o temporanea. Ciò dipende dalle cariche elettriche coinvolte. Per esempio,

nella molecola di ossigeno (O:O) i due atomi condivisi hanno una distribuzione simmetrica, così che

ciascuno di essi non appare carico. Al contrario, nella molecola d'acqua (H:O:H) non vi è una distribuzione

uniforme di cariche, infatti gli elettroni sono condivisi in modo ineguale. Essi sono attratti più fortemente

dall'atomo di ossigeno, che, di conseguenza, ha una carica negativa piuttosto elevata, mentre la stessa carica

(in questo caso positiva) è posseduta dai due atomi di idrogeno. Questa situazione è definita dipolo elettrico

e le molecole con queste caratteristiche sono definite molecole polari. Le molecole non polari, invece, sono

quelle che non presentano tale caratteristica, come per esempio il metano, in cui gli atomi di carbonio e

idrogeno hanno affinità simili per gli elettroni, quindi non presentano cariche.

In generale, i legami di van der Waals sono determinati da forze di attrazione non specifiche, che si creano

quando due atomi si avvicinano l'uno all'altro. Essi sono basati sulle fluttuazioni di carica indotte dalla

vicinanza reciproca fra molecole diverse, che possono essere sia polari che non polari. Le forze di van der

Waals possono essere anche repulsive e si creano quando due molecole sono troppo vicine, in quanto

abbiamo la sovrapposizione degli elettroni del guscio più esterno.

Un legame idrogeno, invece, si forma tra un atomo di idrogeno donatore, covalentemente legato ad un altro

atomo, avente carica positiva ed un atomo di idrogeno accettore, covalentemente legato ad un altro atomo,

carico negativamente. Per esempio, gli atomi di idrogeno del gruppo amminico (-NH2) sono attratti

dall'ossigeno del gruppo carbonilico (-C=O) carico negativamente. Comunque, il legami idrogeno

biologicamente più importanti sono rappresentati da atomi di idrogeno legati ad atomi di ossigeno (O-H) o

ad atomi di azoto (N-H). In assenza di molecole d'acqua, circostanti, l'energia dei legami idrogeno è

compresa fra 3 e 7 kcal/mol, quindi, pur appartenendo alla categoria dei legami deboli, sono

sufficientemente forti, in quanto vi è una notevole differenza di carica fra atomi donatori e accettori. In ogni

caso, i legami idrogeno sono più deboli dei legami covalenti, anche se considerevolmente più forti di quelli

di van der Waals. In condizioni fisiologiche, le molecole d'acqua esistono come molecole polari H-O-H,

formando legami idrogeno molto forti fra gli atomi di idrogeno di una molecola e l'ossigeno di un'altra. In

ciascuna molecola d'acqua, l'atomo di ossigeno di una molecola può legarsi a due atomi di idrogeno

appartenenti ad altre due molecole, mentre ciascun atomo di idrogeno può legarsi ad un atomo di ossigeno di

una molecola adiacente. Questi legami formano un tetraedro, così che, sia in forma liquida che in quella

solida (ghiaccio), una singola molecola d'acqua tende ad averne altre quattro vicine. Come abbiamo detto

precedentemente, l'energia dei legami idrogeno è molto più elevata di quella delle interazioni di van der

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Waals, così che le molecole formeranno preferenzialmente legami idrogeno. Se, però, proviamo a miscelare

l'acqua con un composto che non forma legami idrogeno, come il benzene, le molecole d'acqua e quelle di

benzene si separeranno immediatamente: le molecole d'acqua formeranno legami idrogeno mentre quelle di

benzene rimarranno associate mediante interazioni di van der Waals. Invece, molecole polari, come il

glucosio, che contengono un gran numero di gruppi in grado di formare legami idrogeno, sono solubili in

acqua. Infatti, quando queste molecole si inseriscono nel reticolo formato dalle molecole d'acqua, si formano

immediatamente legami idrogeno fra le molecole organiche polari e l'acqua stessa. In generale, quindi, la

forte tendenza dell'acqua ad escludere i gruppi non polari è indicata come legame idrofobico, anche se non è

propriamente corretto in quanto viene più che altro enfatizzata l'assenza di un legame. Mentre le molecole

polari si legano all'acqua tramite legami idrofilici.

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14. L'importanza dei legami forti nei sistemi biologiciOgni specifica molecola è caratterizzata da una propria energia libera, che può differire in modo

significativo da quella posseduta da un'altra molecola. Questa disparità è data dal fatto che i legami

covalenti hanno diverse energie di legame. Per esempio, il legame covalente che si forma tra l'ossigeno e

l'idrogeno è significativamente più forte del legame che unisce due atomi di idrogeno e due di ossigeno. Di

conseguenza, la formazione di un legame O–H al posto di un legame O–O o di un legame H–H porta al

rilascio di energia. Quindi, una molecola formata da legami covalenti deboli possiede una maggiore quantità

di energia libera di una costituita dalla presenza di legami forti. Questo ragionamento appare sensato se si

considera che un atomo che ha formato un legame molto forte ha già speso, in questo processo, gran parte

della propria energia libera. Ne deriva che le migliori fonti di energia sono molecole caratterizzate da legami

covalenti deboli termodinamicamente instabili. A questo punto, possiamo definire con il termine energia di

attivazione quella che, durante una trasformazione molecolare, deve essere fornita per rompere il vecchio

legame covalente. La reazione chimica richiede inizialmente una collisione tra le due molecole che

reagiscono, seguita dalla formazione di un complesso molecolare transitorio, che viene definito stato

attivato. Nello stato attivato, l'immediata vicinanza delle due molecole rende i legami di entrambe più labili

e questo fa sì che l'energia necessaria per rompere un legame sia minore di quella necessaria a rompere il

medesimo legame presente su una molecola libera. Di conseguenza, nelle cellule la maggior parte delle

reazioni che coinvolgono i legami covalenti è descritta mediante la seguente equazione:  (A–B) + (C–D)

(A–D) + (C–B)

L'espressione dell'azione di massa di questa reazione è:  Keq = ([A–D]x[C–B ])/([A–B]x[C–D ])

In questa equazione il valore della Keq dipende dal valore di G secondo l'equazione:

G = -RTlnKeq  o  Keq = e-G/RT

Dato che l'energia di attivazione è generalmente tra le 20 e le 30 kcal/mol, gli stati attivati non vengono, in

pratica, mai raggiunti alle normali temperature fisiologiche. Se ne deduce che l'alta energia di attivazione

costituisce una barriera energetica che impedisce qualunque alterazione spontanea dei legami covalenti

presenti nelle cellule. A questo punto, gli enzimi sono molecole assolutamente necessarie per la vita; la loro

funzione consiste nell'accelerare la velocità delle reazioni chimiche essenziali per la cellula. In particolare,

l'energia di attivazione di specifici riarrangiamenti molecolari viene abbassata dagli enzimi a valori che

possono essere raggiunti mediante l'energia cinetica corrispondente al calore prodotto dai movimenti

molecolari. La presenza di uno specifico enzima porta all'eliminazione di questa barriera energetica che,

altrimenti, impedirebbe la rapida formazione di prodotti, caratterizzati da un contenuto minore di energia

libera. Comunque, gli enzimi non influenzano mai l'equilibrio di una reazione; si limitano semplicemente,

ad accelerare la velocità con cui l'equilibrio viene raggiunto.

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15. I legami deboli e forti determinano la struttura delle

macromolecola: le proteineLe proteine rivestono ruoli molto importanti nel funzionamento di una cellula. Tra le diverse classi di

proteine due assumono particolarmente rilievo: una è quella delle proteine catalitiche (enzimi), l'altra è

quella delle proteine strutturali. Gli enzimi sono catalizzatori dell'ampia varietà di reazioni chimiche che

avvengono nelle cellule. Le proteine strutturali, invece, costituiscono parte integrante di strutture cellulari,

quali membrane, pareti o componenti citoplasmatiche. Le proteine, comunque, sono polimeri costituiti da

amminoacidi legati covalentemente grazie a legami peptidici. Due amminoacidi legati tra loro costituiscono

un dipeptide, tre un tripeptide, e così via. Quando una catena peptidica comprende molti amminoacidi si

parla di polipeptide. Una proteina è costituita da uno o più polipeptidi. In generale, nelle proteine naturali si

riscontrano comunemente 20 amminoacidi e il corpo umano può sintetizzarli tutti tranne nove. Quest'ultimi

devono essere ricavati dalle proteine nella dieta e sono detti amminoacidi essenziali. Tutti gli amminoacidi,

comunque, hanno una struttura di base simile: un atomo di carbonio centrale è legato ad un atomo di

idrogeno, un gruppo amminico (-NH2) , un gruppo carbossilico (-COOH) e un gruppo di atomi chiamato

“R” che è differente in ogni amminoacido.  La struttura primaria di un polipeptide si identifica nella

successione lineare degli amminoacidi che lo compongono. L'interazione tra i gruppi R dei singoli

amminoacidi in un polipeptide costringe la molecola a torcersi e a ripiegarsi nello spazio in maniera

specifica. Ciò porta alla formazione di strutture secondarie, come le -eliche e i foglietti . Una volta raggiunto

un livello stabile di struttura secondaria, la catena polipeptidica continua a ripiegarsi, tentando di formare

una molecola ancora più stabile. Questo processo di ripiegamento (folding) conduce alla struttura terziaria.

Le proteine vengono a questo punto raggruppate in due grandi categorie: fibrose e globulari. Le prime sono

insolubili in acqua e formano importanti componenti strutturali di cellule e tessuti (il collagene o la

cheratina), mentre le seconde sono solubili in acqua e agiscono come trasportatrici dei lipidi insolubili nel

sangue legandosi ad essi e rendendoli solubili. Comunque, la struttura terziaria finisce con l'esporre

particolari regioni, e/o formare solchi o tasche nella molecola che assumono importanza per l'interazione

con altre molecole. Bisogna ricordare che quando una proteina è costituita da due o più polipeptidi, e molte

proteine lo sono, si utilizza il termine struttura quaternaria. Così quando una proteine è costituita da subunità

identiche si parla di omodimero altrimenti di eterodimero.

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16. Caratteristiche strutturali del DNALa scoperta che il DNA è la più importante molecola nella quale risiedono tutte le informazioni genetiche,

ha immediatamente richiamato l'attenzione sulla sua struttura, la cui conoscenza poteva rilevare con quale

meccanismo il DNA porta i messaggi genetici che vengono trasmessi nel momento in cui i cromosomi si

dividono per produrre due identiche copie di se stessi.

La caratteristica più importante del DNA è quella di essere normalmente formato da due catene

polinucleotidiche, avvolte l'una all'altra nella forma a doppia elica. Per prima cosa, volendo studiare la

struttura del DNA, consideriamo la struttura del nucleotide, il costituente fondamentale di questa

macromolecola. Un nucleotide consiste di un fosfato legato ad uno zucchero, il 2'-deossiribosio (in quanto in

posizione 2' manca un gruppo ossidrilico e sono presenti due atomi di idrogeno), a cui è attaccata una base.

Lo zucchero unito alla sola base forma un nucleoside. Aggiungendo un fosfato (o più di uno) ad un

nucleoside, invece, si ottene il nucleotide. Questa molecola è prodotta, quindi, mediante la formazione di un

legame glicosidico, fra la base e lo zucchero ed un legame fosfodiesterico fra la base e l'acido fosforico. I

nucleotidi sono, a loro volta, legati l'uno all'altro in catene polinucleotidiche per mezzo dell'ossidrile

presente in posizione 3' del 2'-deossiribosio di un nucleotide ed il fosfato attaccato al carbonio 5' di un altro

nucleotide. Questo è un legame fosfodiestere (o fosfodiesterico) in cui il fosfato fra i due nucleotidi è unito

ad uno zucchero esterificato mediante l'ossidrile al 3' ed un secondo zucchero esterificato mediante

l'ossidrile in posizione 5'. Il legame fosfodiesterico crea un'impalcatura ripetitiva zucchero-fosfato, che è una

caratteristica strutturale del DNA. Al contrario, l'ordine delle basi, lungo la catena polinucleotidica è

casuale. Le basi del DNA, invece, appartengono a due differenti categorie: le purine e le pirimidine. Alle

purine appartengono l'adenina e la guanina mentre le pirimidine sono la citosina e la timina.

Ciascuna base esiste in due conformazioni tautomeriche. Gli atomi di azoto attaccati agli anelli purinici e

pirimidinici sono in forma amminica nella maggior parte dei casi e soltanto raramente assumono la

conformazione imminica. Allo stesso modo, gli atomi di ossigeno attaccati alla guanina e alla timina, sono

nella maggior parte dei casi in forma cheto e solo raramente assumono la configurazione enolica.

Comunque, nell'elica l'adenina di una catena è sempre appaiata con la timina che si trova sull'altra catena e,

parallelamente, la guanina è sempre appaiata con la citosina. I due filamenti hanno la stessa geometria nel

formare l'elica, ma le basi formano le coppie con una polarità opposta. Cioè, la base al terminale 5' di un

filamento è appaiata con la base al terminale 3' dell'altro filamento. Si dice che i due filamenti hanno un

orientazione antiparallela. Questa orientazione è una conseguenza stereochimica dell'accoppiamento A:T e

G:C. In maniera più dettagliata, una coppia G:C possiede tre legami idrogeno, poiché il gruppo esociclico

NH2 del C2 della guanina può formare un legame idrogeno con un gruppo carbonilico in posizione C2 della

citosina. Allo stesso modo, un legame idrogeno si può formare fra N1 della guanina e N3 della citosina e fra

il gruppo carbonilico in C6 della guanina con l'NH2 esociclico in C4 della citosina. I legami idrogeno fra le

basi complementari sono una caratteristica fondamentale della doppia elica, contribuendo alla stabilità

termodinamica dell'elica ed alla specificità delle coppie di basi.

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17. I bordi del DNAApplicando la regola della direzione delle mani, possiamo vedere che ciascuna delle catene

polinucleotidiche della doppia elica gira in senso destrogiro. Immaginiamo la nostra mano destra vicino alla

molecola del DNA, tenendo il pollice verso l'alto, parallelo all'asse longitudinale della doppia elica e le dita

che seguono i solchi dell'elica. Seguite le direzioni, lungo un filamento dell'elica, indicata dal pollice: così

facendo state scorrendo lungo l'elica nella stessa direzione indicata dalla posizione delle dita. Questo non

accade utilizzando la mano sinistra.

Il risultato del fatto che il DNA è formato da due catene che assumono la forma ad elica è che ci troviamo di

fronte ad un lungo polimero che presenta due solchi con dimensioni differenti l'uno rispetto all'altro. Quando

moltissime basi si impilano l'una sull'altra, l'angolo meno ampio che si forma fra gli zuccheri da una parte

della coppia genera il solco minore, mentre l'angolo più grande presente dall'altra parte della coppia crea il

solco maggiore. I bordi di ciascun paio di basi si affacciano nei solchi maggiore e minore creando un

sistema di donatori e accettori di legami idrogeno e superfici di van der Waals che permettono di specificare

la coppia di basi. I bordi della coppia di A:T presentano nell'ordine i seguenti gruppi chimici nel solco

maggiore: un accettore di legami idrogeno (l'N7 dell'adenina), un donatore di legami idrogeno (il gruppo

amminico sul C6 dell'adenina), un accettore di legami idrogeno (il gruppo carbonilico sul C4 della timina) e

una superficie idrofobica (il gruppo metilico sul C5 della timina). Analogamente, i bordi della coppia di basi

G:C mostrano la presenza, nel solco maggiore, dei seguenti gruppi: un accettore di legami idrogeno (l'N7

della guanina), un accettore di legami idrogeno (il gruppo carbonilico sul C6 della guanina), un donatore di

legami idrogeno (il gruppo amminico sul C4 della citosina), un idrogeno non polare (l'idrogeno in C5 della

citosina). Possiamo, quindi, pensare a queste proprietà come un codice in cui A rappresenta un accettore di

legami idrogeno, D un donatore di legami idrogeno, M un gruppo metilico ed H un idrogeno non polare. In

questo codice, ADAM posto nel solco maggiore rappresenta una coppia di basi A:T, e AADH sta per una

coppia G:C; allo stesso modo MADA rappresenta la coppia T:A mentre HDAA quella G:C. Queste

situazioni sono importanti perché permettono alle proteine di riconoscere senza ambiguità specifiche

sequenze di DNA senza che sia necessario aprire o rompere la doppia elica. Il solco minore, invece, non è

così ricco di informazioni e qualsiasi informazione possa fornire è meno utilizzabile per distinguere le

coppie di basi. La piccola dimensione del solco è meno utilizzabile per accogliere i gruppi laterali degli

amminoacidi. Le varie coppie tra le basi sono, viste dal solco minore, simili l'una all'altra. In codice abbiamo

AHA sia per le coppie A:T che per T:A e ADA sia per G:C che per C:G.

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18. Forme A e B del DnaI primi studi di diffrazione ai raggi X, eseguiti su soluzioni concentrate di DNA, rilevarono due tipi

differenti di struttura: le forme B ed A. La forma B, che è osservata quando il DNA si trova in una soluzione

ad altro grado di umidità, è quella che più si avvicina alla struttura fisiologica: contiene 10 paia di basi per

giro d'elica, ha un ampio solco maggiore e un solco minore più chiuso. La forma A, invece, che si ottiene da

una soluzione a più basso contenuto d'acqua, ha 11 paia di basi per giro d'elica; il suo solco maggiore è più

stretto rispetto alla forma B mentre quello minore è più aperto. La maggior parte del DNA presente nelle

cellule è nella forma B mentre la forma A si trova specialmente in corrispondenza di complessi con proteine.

Bisogna ricordare che la forma B, comunque, rappresenta una struttura ideale che differisce per alcune

caratteristiche rispetto a quella esistente in natura come ad esempio le 10,5 paia di basi per giro d'elica, e

non le 10 osservate in vitro, e la torsione delle coppie di basi purine e pirimidine che possono assumere

diverse rotazioni e possono dar luogo a diversi angoli che renderanno irregolare la doppia elica. In DNA

inoltre si riscontra anche in forma levogira. Per considerare questa conformazione bisogna considerare il

legame glicosidico che lega la base sulla posizione 1' del 2'-deossiribosio. Questo legame può presentarsi in

una delle due conformazioni chiamate sin e anti. Nella conformazione destrogira il legame glicosidico è

sempre nella posizione anti, mentre nella forma levogira, vi sono delle fondamentali ripetizioni di

dinucleotidi purine-pirimidine che presentano il legame glicosidico nella forma anti sui residui pirimidinici e

nella forma sin sui residui purinici. È questa forma sin che è responsabile dell'avvolgimento in senso

levogiro dell'elica. La forma sin presente sul residuo purinico alternata ad una forma anti-sin determina la

caratteristica conformazione a zig-zag del DNA levogiro, detto DNA Z.

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19. La replicazione del DNAPoiché i due filamenti della doppia elica sono tenuti assieme mediante legami (non covalenti)  relativamente

deboli, possiamo aspettarci che i due filamenti possano dividersi facilmente. Infatti, la struttura della doppia

elica suggerisce che la replicazione del DNA possa avvenire appunto in questo modo. I filamenti

complementari della doppia elica possono anche essere separati quando una soluzione di DNA viene

scaldata sopra la temperatura fisiologica.(vicino a 100 °C) o posta in condizioni di elevato pH: questo

processo è conosciuto come denaturazione. Comunque la separazione dei filamenti di DNA è un processo

reversibile. Quando la temperatura della soluzione di DNA denaturato viene abbassata lentamente, i singoli

filamenti spesso incontrano quelli complementari e riformano una regolare doppia elica. La possibilità di

rinaturare filamenti di DNA complementari permette la formazione di molecole ibride artificiali

semplicemente abbassando la temperatura di una miscela di DNA denaturato provenienti da forme diverse.

Allo stesso modo possiamo formare ibridi mescolando filamenti complementari di DNA e RNA. La

denaturazione del DNA, comunque, può essere monitorata misurando l'assorbimento di raggi ultravioletti da

parte di una soluzione di DNA. Il DNA ha un massimo di assorbimento alla luce ultravioletta a 260 nm: le

basi sono le principali responsabili di questo assorbimento. Quando la temperatura di una soluzione di DNA

è portata vicino al punto di ebollizione dell'acqua, la densità ottica, assorbanza, misurata a 260 nm, aumenta

in modo considerevole. Questo fenomeno è conosciuto come ipercromicità della molecola del DNA ed è

dovuta all'impilamento delle basi che essendo schermate dagli zuccheri-fosfato dell'impalcatura della doppia

elica sono meno esposte e quindi assorbono meno luce ultravioletta. Se mettiamo in grafico l'assorbanza in

funzione della temperatura, osserviamo che l'aumento della luce assorbita avviene ad una ben determinata

temperatura seguendo un andamento sigmoidale. Il punto di flesso di questa curva è il punto di fusione o Tm

della molecola.

Come il ghiaccio, il DNA fonde e va incontro ad una transizione che lo porta da una struttura a doppia elica

altamente ordinata ad una struttura molto meno ordinata: il singolo filamento. La temperatura di fusione è

caratteristica per ciascun DNA ed è largamente determinata dal contenuto di G:C e dalla forza ionica della

soluzione. Più alta è la percentuale di coppie di basi G:C (e quindi più basso il contenuto in A:T) più alta è la

temperatura di fusione, in quanto le coppie G:C contengono tre legami idrogeno, mentre A:T solo due. Allo

stesso modo, maggiore è la concentrazione salina della soluzione, più alta è la temperatura a cui il DNA

denatura. In quanto ad alta forza ionica, le cariche negative, portate dai gruppi fosforici del DNA, sono

protette dai cationi e ciò permette di stabilizzare la doppia elica. Viceversa a bassa forza ionica le cariche

negative non sono protette e quindi la doppia elica risulta più instabile.

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20. La topologia del DNANelle molecole lineari di DNA, poiché le terminazioni sono libere, il numero di avvolgimenti di un

filamento attorno all'altro filamento può essere variato mediante la rotazione reciproca. Ma se le estremità

della molecola sono legate covalentemente l'una all'altra a formare una struttura circolare, il numero di volte

che un filamento gira attorno all'altro filamento non può cambiare. Questo DNA circolare covalentemente

chiuso viene indicato come una struttura topologicamente definita. Anche le molecole di DNA lineari

presenti nei cromosomi eucariotici sono sottoposte a costrizioni topologiche per via dell'estrema lunghezza

della molecola che viene ridotta attraverso la formazione della cromatina e l'interazione con altri componenti

cellulari. Se torniamo a considerare le proprietà topologiche dei DNA circolari covalentemente chiusi

(cccDNA), possiamo definire con il termine linking number, o numero di legame topologico, il numero di

volte che un filamento deve essere passato attraverso l'altro filamento affinché le due catene possano

separarsi l'una dall'altra. Questo parametro, il linking number è la somma di due componenti geometriche, il

twist (avvolgimento) ed il writhe (superavvolgimento). Il primo è semplicemente il numero di volte che un

filamento gira intorno all'altro filamento. Se consideriamo un cccDNA con struttura planare, cioè che giace

su un piano, il linking number è uguale al twist. In questo caso il numero di twist può essere facilmente

determinato contando il numero di volta che i due filamenti si incrociano su se stessi. Il modo in cui i due

filamenti si incrociano (twist) in una doppia elica destrogira è definito positivo: in questo caso il linking

number avrà un valore positivo. Però i cccDNA normalmente non hanno una conformazione planare, ma

presentano generalmente delle tensioni torsionali che impongono all'asse longitudinale della doppia elica di

incrociarsi su se stessa, a volte anche ripetutamente, determinando così una struttura tridimensionale. Questo

incrocio viene definito writhe. Quest'ultimo può presentarsi in due forme diverse: una, la così detta

interwound o writhe plectonemico, in cui l'asse longitudinale della doppia elica è avvolto su se stesso; l'altra

forma è un toroide o spirale in cui l'asse longitudinale è avvolto come attorno ad un cilindro e normalmente

si ha quando il DNA si avvolge attorno ad una proteina. Quindi, il numero di writhe (Wr) rappresenta il

numero di incroci dell'asse longitudinale su se stesso e/o il numero di spirali nel cccDNA. Esiste una sola

limitazione: la somma del numero di twist (Tw) e del numero di writhe (Wr) deve essere sempre uguale al

linking number (Lk): Lk = Tw + Wr. Ad esempio, se consideriamo un cccDNA privo di superavvolgimenti

(che abbiamo definito rilassato) il suo twist corrisponde a quello del DNA in forma B in condizioni

fisiologiche (circa 10,5 paia di basi per giro d'elica). Il linking number (Lk) di questo DNA è indicato dal

simbolo Lk0. Lk0 per questo DNA è pari al numero delle paia di basi contenute nel DNA diviso 10,5. Per un

cccDNA di 10500 paia di basi Lk sarà uguale a +1000 (il segno è positivo poiché il DNA è avvolto in senso

destrogiro). Gli eventuali superavvolgimenti presenti su un cccDNA non rilassato, invece, possono essere

rimossi con l'enzima Dnasi I, che idrolizza uno, o pochi, legami fosfodiesterici in ciascuna molecola. Una

volta che il DNA è stato interrotto, ovvero si forma un nick (per nick si intende l'interruzione di un legame

fosfodiesterico su un solo filamento della doppia elica) esso non è più topologicamente costretto e i due

filamenti possono liberamente ruotare l'uno rispetto all'altro. Se il nick viene riparato, il cccDNA sarà

rilassato ed avrà un Lk uguale a Lk0. La quantità di superavvolgimenti di un cccDNA è come la differenza

esistente fra Lk e Lk0: questa differenza viene chiamata differenza linking: lk = Lk – Lk0. Se il lk di un

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cccDNA è diverso da zero la molecola è sottoposta a torsione e quindi si presenta superavvolta, se è minore

si zero è superavvolto negativamente se invece è maggiore di zero la molecola è superavvolta positivamente.

Poiché, però, lk e Lk0 sono dipendenti dalla lunghezza del DNA, è più semplice esprimere il

superavvolgimento della molecola come densità di superelica a cui viene assegnato il simbolo ed è definita

come: = lk/Lk0. Le molecole di DNA circolare sia batteriche che eucariotiche sono normalmente

superavvolte negativamente con un valore di di circa -0,06. In questo modo, nei DNA superavvolti la

separazione dei due filamenti è più favorita piuttosto che nel DNA rilassato.

Il DNA nel nucleo delle cellule eucariotiche è compattato in piccole particelle conosciute come nucleosomi

in cui la doppia elica è avvolta per circa due giri attorno ad un nucleo proteico. Questo tipo di avvolgimento

non è altro, dal punto di vista geometrico, che un toroide o spirale che si avvolge con un andamento

levogiro. Il linking number di questi superavvolgimenti può essere cambiato solamente provocando una

interruzione dei legami fosfodiesterici di almeno una delle due catene del DNA. Una categoria di enzimi,

conosciuti come topoisomerasi, sono in grado di introdurre una rottura del singolo o del doppio filamento

del DNA in modo temporaneo. Le topoisomerasi appartengono a due classi principali: le topoisomerasi II

permettono di cambiare il numero di legami di due unità per volta determinando una rottura temporanea dei

due filamenti del DNA attraverso la quale può passare un tratto di elica integra, prima che il taglio venga

risaldato. Le topoisomerasi I, invece, permettono di cambiare il numero di legame di un'unità per volta. Esse

producono una rottura a singolo filamento della doppia elica, permettendo in questo modo al filamento

integro di passare attraverso la rottura dell'altro prima che il nick venga eliminato. Il taglio della molecola di

DNA avviene quando un residuo di tirosina presente nel sito catalitico dell'enzima attacca un legame

fosfodiesterico dell'impalcatura della molecola di DNA bersaglio. Questo attacco causa una rottura del DNA

in seguito alla formazione di un legame covalente tra la topoisomerasi e un terminale fosfato del nick e la

tirosina. L'altra estremità del nick, che termina con un gruppo OH, è tenuta molto saldamente dall'enzima. Il

legame fosfo-tirosina conserva l'energia che viene liberata dall'idrolisi del legame fosfodiesterico. Di

conseguenza, il DNA può essere risaldato semplicemente tornando indietro nella reazione: il gruppo OH

esistente al terminale del nick attacca il legame fosfo-tirosina riformando il legame fosfodiesterico del DNA.

In maniera più dettagliata, dopo aver effettuato il taglio, la topoisomerasi è sottoposta ad un grande

cambiamento strutturale che crea un'apertura sul filamento tagliato, con l'enzima che si pone a ponte

sull'interruzione. Il secondo filamento di DNA non tagliato passa quindi attraverso l'apertura e si lega ad un

sito interno simile ad un incavo della proteina. Avvenuto il passaggio, si ha un secondo cambiamento di

struttura a carico del complesso topoisomerasi-DNA che porta indietro le estremità del filamento interrotto.

La saldatura del filamento avviene, come dicevo prima, con l'intervento del gruppo OH sul legame fosfo-

tirosina. Dopo questa reazione, l'enzima può aprirsi un'ultima volta per rilasciare il DNA.  Comunque, sia i

procarioti che gli eucarioti posseggono topoisomerasi I e II che sono in grado di rimuovere i

superavvolgimenti presenti sulle molecole di DNA. In aggiunta, però, i procarioti posseggono una speciale

topoisomerasi II conosciuta come DNA girasi che introduce, invece di rimuovere, superavvolgimenti

negativi. La DNA girasi è responsabile del superavvolgimento negativo dei cromosomi dei procarioti.

Le molecole di DNA circolari covalentemente chiuso aventi la stessa lunghezza ma linking number

differente sono chiamate topoisomeri. Anche se i topoisomeri hanno la stessa grandezza molecolare possono

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essere separati l'uno dall'altro per elettroforesi su gel di agarosio. La base di questa separazione è che più

elevato è il numero di writhe più compatta è la struttura del cccDNA. Ma più compattata è la molecola, più

veloce è la sua migrazione attraverso la matrice del gel. Di conseguenza, un cccDNA completamente

rilassato migra molto più lentamente di un suo topoisomero fortemente superavvolto. Un altro metodo per

visualizzare il DNA superavvolto è l'utilizzo dell'etidio, un catione formato da più anelli aromatici che

avendo una struttura planare riesce a scivolare e intercalarsi tra le coppie di basi impilate l'una sull'altra del

DNA. Poiché esso è fluorescente quando esposto alla luce ultravioletta, l'etidio viene utilizzato come

colorante per per visualizzare il DNA. Quando, però, lo ione etidio si intercala fra due coppie di basi, causa

al DNA uno srotolamento della doppia elica di 26° riducendo di conseguenza il twist. Quindi, in un DNA

circolare diminuendo il twist automaticamente si aumenterà il writhe, poiché il linking number non cambia

(Lk = Tw + Wr). In altre parole, all'aggiunta dell'intercalante avremo un DNA più rilassato. Se la quantità di

etidio aumenta, il numero di superavvolgimenti potrà raggiungere lo zero; aumentando ancora la quantità di

etidio Wr diventerà maggiore di zero ed il DNA conseguentemente diventerà superavvolto positivamente.

Naturalmente l'etidio modificherà anche, come ben si può capire, la migrazione elettroforetica.

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21. La struttura dell' RNAL'RNA differisce dal DNA per tre caratteristiche: (1) l'impalcatura fondamentale contiene ribosio invece del

2'-deossiribosio. Il ribosio ha un gruppo ossidrilico in posizione 2'; (2) secondo, l'RNA contiene uracile al

posto della timina. L'uracile ha la stessa struttura con un singolo anello aromatico come la timina ma manca

del gruppo metilico in posizione 5; (3) terzo, l'RNA è normalmente una singola catena polinucleotidica ed

eccetto il caso di alcuni virus, esso non rappresenta il materiale genetico e non viene utilizzato come stampo

per la sua propria replicazione, come accade per il DNA: Comunque, nonostante, l'RNA sia un singolo

filamento, spesso può presentare dei tratti a doppia elica. Questo dipende dal fatto che questo polimero

molto spesso si ripiega su se stesso per formare coppie d basi fra sequenze complementari. Se i due tratti di

sequenze complementari si trovano vicine l'una all'altra, l'RNA può assumere una delle varie strutture a

stem-loop in cui la parte di polimero non complementare che si trova in mezzo ai due tratti complementari

sporge fuori dalla zona a doppia elica, formando struttura a “forcina per capelli”, a “gemma”, ad “ansa

semplice” (loop). La stabilità di queste strutture viene in alcuni casi aumentata da speciali proprietà del loop

come, per esempio, la presenza della sequenza UUCG. Inoltre, un'ulteriore caratteristica dell'RNA è la sua

propensione a formare strutture a doppia elica utilizzando un appaiamento delle basi diverso da quello di

Watson e Crick: per esempio, la coppia G:U, tenuta insieme da due legami idrogeno. Questa eccezione

permette all'RNA di formare doppie eliche intramolecolari, anche se normalmente non sono molto lunghe.

Quindi, non dovendo formare lunghe eliche regolari, l'RNA è libero di ripiegarsi nelle più diverse strutture

terziare. Ciò può avvenire poiché l'RNA ha la possibilità di ruotare molto facilmente attorno ai legami

fosfodiesterici dei tratti che non formano doppia elica. Un'ultima caratteristica dell'RNA è la sua attività

enzimatica. Questi RNA sono conosciuti come ribozimi e posseggono molte delle caratteristiche degli

enzimi rappresentati da proteine, come il sito attivo e il sito di legame per il substrato. Uno dei primi

ribozimi ad essere scoperto è stata la RNAsi P, una ribonucleasi coinvolta nella formazione dei tRNA a

partire da precursori di RNA di grandezza superiore rispetto alla molecola matura. La RNAsi P è composta

sia da RNA che da proteine: in questo complesso nucleoproteico, comunque, l'attività catalitica risiede

sull'RNA. Infatti, la parte dell'enzima rappresentata dall'RNA è in grado di catalizzare il taglio del tRNA

precursore anche in assenza della parte proteica. Altri ribozimi possono catalizzare reazioni di trans-

esterificazione coinvolte nella rimozione di sequenza conosciute come introni da alcuni precursori di

mRNA, tRNA e di RNA ribosomiali mediante un processo conosciuto come splicing dell'RNA.

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22. Metodi di solubilizzazioneLa cellula vivente è un'entità straordinariamente complicata, che produce migliaia di macromolecole e che

ospita un genoma che può variare da milioni a miliardi di paia di basi. La comprensione del funzionamento

dei processi genetici della cellula richiede approcci sperimentali potenti ed integrati, incluso l'uso di

organismi modello adatti, in cui sia possibile fare uso dell'analisi genetica. Tali approcci includono anche

metodi per la separazione di singole macromolecole dalle miscele cellulari e la dissezione del genoma in

frammenti sufficientemente piccoli da essere manipolati ed analizzati a livello di sequenze di DNA

specifiche. Comunque, in generale, ogni molecola, sia essa proteina, acido nucleico o carboidrati, può essere

separata dalle altre molecole in base alle differenze di qualche caratteristica fisica. La prima tappa del

procedimento di isolamento di una proteina o di qualsiasi altra molecola biologica è quella di portarla in

soluzione. In alcuni casi, come per le proteine del siero sanguigno, la natura ha già svolto per noi questo

lavoro. La maggior parte delle proteine deve però essere liberata dalle cellule che la contiene. Se la proteina

che ci interessa è localizzata nel citoplasma della cellula, la sua liberazione richiede soltanto l'apertura (lisi)

della cellula. Il metodo più semplice e meno traumatico per ottenere ciò è quello noto come lisi osmotica, in

cui la cellula viene posta in una soluzione ipotonica, cioè in una soluzione in cui la concentrazione totale dei

soluti è più bassa di quella presente nella cellula in condizioni fisiologiche. Sotto l'influenza della forza

osmotica, l'acqua diffonde nella soluzione intracellulare più concentrata, causando il rigonfiamento e

l'esplosione della cellula stessa. Questo metodo è particolarmente idoneo per le cellule di origine animale,

ma è inefficace con le cellule che possiedono parete cellulare come i batteri e le cellule vegetali. In questi

casi è più efficace l'uso di un enzima come il lisozima che degrada chimicamente la parete cellulare dei

batteri. Per altri tipi cellulari, invece, vi è bisogno di una sorta di distruzione meccanica. Questi trattamenti

comprendono la macinazione in presenza di sabbia o di allumina, di una pressa oppure di della sonicazione,

con cui le cellule vengono rotte dalle vibrazioni ultrasoniche. Una volta che le cellule sono state rotte, il

lisato grezzo può essere filtrato o centrifugato per allontanare le parti di cellule ancora intatte, lasciando

quindi la proteina che ci interessa nel sopranatante. Se questa proteina è una componente di struttura

subcellulare come la membrana o i mitocondri, è possibile ottenere un notevole grado di purificazione della

proteina in esame separando per prima cosa la struttura subcellulare da tutto il materiale cellulare. Ciò può

essere effettuato mediante la centrifugazione differenziale, un processo un cui il lisato cellulare viene

centrifugato ad una velocità che determina la sedimentazione soltanto dei componenti cellulari più densi,

seguita da una seconda centrifugazione che sedimenta gli organelli meno densi.  Esistono vari tipi di

centrifughe ma i più comuni sono ad angolo fisso o quelle basculanti. A questo punto nel caso la proteina sia

saldamente legata alla membrana viene solubilizzata, dal componente cellulare purificato mediante

detergenti o con solventi organici, come il butanolo e il glicerolo, che solubilizzano i lipidi. Un altro modo

per separare le macromolecole in base al loro peso molecolare è quello della stratificazione, in cui il

materiale da analizzare viene caricato sopra un gradiente di un sale o di saccarosio. In questo modo, dopo un

ciclo di centrifugazione, il campione par arrivare in fondo alla provetta passerà attraverso un gradiente di

concentrazione e si stratificherà. Quindi le componenti più pesanti si troveranno in basso e quelle più

leggere in alto. Se poi buchiamo il fondo, vedremo uscire prima le componenti con peso molecolare

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maggiore e così via, fino a quelle più leggere. Per esempio, quando vogliamo estrarre del DNA batterico, per

prima cosa facciamo crescere i batteri in un brodo di coltura per poi romperle con una lisi, ad esempio, con

NaOH. A questo punto per prelevare solo il DNA e separarlo dai contaminanti (RNA e proteine) o

utilizziamo molecole come l'RNAsi per degradare l'RNA e altre molecole per le proteine oppure, il metodo

più usato, è l'estrazione con fenolo. Il fenolo è un solvente apolare che non essendo solubile in acqua, in

provetta va a formare, essendo più denso, una fase in cui le proteine, essendo costituite sia da amminoacidi

polari che apolari, si stratificano tra il fenolo e l'acqua, esponendo le parti apolari verso il fenolo e quelle

polari verso l'acqua. In questo modo prelevando solo lo strato acquoso avremo solo l'RNA e il DNA. Se, poi,

aggiungiamo l'etanolo, il DNA precipita sempre dopo centrifugazione. Aspetteremo che l'etanolo evapora,

per avere solo il DNA batterico.

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23. Separazione di proteineNel 1903, il botanico russo Mikhail Tswett ha descritto la separazione dei pigmenti delle foglie delle piante

in soluzione mediante l'uso di assorbenti solidi. Egli chiamo questo processo cromatografia. I moderni

metodi di separazione usano tutti procedimenti cromatografici. In tutti questi sistemi, la miscela di sostanze

che deve essere frazionata viene disciolta in un fluido liquido o gassoso chiamato fase mobile. La soluzione

viene poi percolata attraverso una colonna costituita da una matrice porosa solida che in alcuni tipi di

cromatografia può avere un liquido legato a sé, e che viene chiamata fase stazionaria. Le interazioni che si

generano tra ogni singolo soluto e la fase stazionaria tendono a ritardare il passaggio del soluto attraverso la

matrice solida in un modo che rispecchia le proprietà del soluto stesso. I vari metodi cromatografici vengono

classificati sulla base delle proprietà delle loro fasi mobili e stazionarie. Per esempio, nella cromatografia

gas-liquido, la fase mobile e stazionaria sono rispettivamente un gas e un liquido, mentre nella

cromatografia liquido-liquido esse sono liquidi non-miscibili, uno dei quali è legato ad un supporto solido

inerte. I metodi cromatografici possono essere classificati anche sulla base delle interazioni principali che si

generano tra la fase stazionaria e le sostanze che devono essere separate. Per esempio, se le forze ritardanti

hanno un carattere ionico, la tecnica di separazione viene detta cromatografia a scambio ionico, mentre, se il

ritardo è dovuto ad un assorbimento del soluto sulla fase stazionaria, la tecnica viene detta cromatografia per

assorbimento.

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24. Cromatografia a scambio ionicoNel processo di scambio ionico, gli ioni che sono legati alla matrice insolubile e chimicamente inerti

vengono rimpiazzati reversibilmente dagli ioni presenti nella soluzione:

R+A- + B-             R+B- + A-

R+ rappresenta uno scambiatore di anioni che può legare sia A- che B-, gli anioni in soluzione. Gli

scambiatori cationici hanno un comportamento simile, ma hanno cariche negative e legano reversibilmente

cationi. I polianioni ed i policationi si legano quindi rispettivamente a scambiatori di anioni e a scambiatori

di cationi. Le proteine e altri polielettroliti (polimeri poliionici) che contengono gruppi carichi, sia

positivamente che negativamente, si possono legare a scambiatori di cationi o a scambiatori di anioni a

seconda della loro carica netta. L'affinità con cui un dato polielettrolita si lega ad uno scambiatore ionico

dipende dalle sue caratteristiche e dalle concentrazioni di altri ioni in soluzione che possono competere con i

siti di legame del polielettrolita allo scambiatore. L'affinità di legame del polielettrolita che ha gruppi acidi e

basici dipende anche dal pH in quanto la carica di questi gruppi varia con il pH. In questo modo, le proteine

che non si legano in queste condizioni allo scambiatore, possono essere allontanata lavando lo scambiatore

con il tampone in cui era stata disciolta la miscela di proteine. La proteina da purificare può essere staccata

successivamente dallo scambiatore ionico con un tampone avente un pH o una concentrazione salina che

riduca l'affinità di legame di questa proteina per lo scambiatore. L'efficienza di questo metodo di

purificazione può essere aumentata se lo scambiatore ionico insolubile viene posto in una colonna. Proteine

diverse si legano allo scambiatore ionico con affinità diversa. Quando la colonna viene lavata, un processo

chiamato eluzione, le proteine con un'affinità relativamente bassa per lo scambiatore ionico si muovono

lungo la colonna più velocemente delle proteine che si legano allo scambiatore ionico con un'affinità più

elevata. Questo avviene perché l'avanzare di una data proteina lungo la colonna viene ostacolata rispetto al

passaggio del solvente dalle interazioni che si generano tra la molecola proteica e lo scambiatore di ioni. Più

alta è l'affinità di legame di una proteina per lo scambiatore ionico, più essa viene ritardata sulla colonna.

Comunque i processi di purificazione possono essere migliorati se le proteina vengono staccate dalla

colonna con il metodo della eluzione con gradienti. In questo modo, la concentrazione salina o il pH della

soluzione che attraversa la colonna viene continuamente variata e le diverse proteine che sono legate allo

scambiatore ionico vengono eluite sequenzialmente. Questo procedimento porta a separazioni delle proteine

migliori di quelle che si possono ottenere con altri metodi più semplici.

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25. Cromatografia su cartaLa cromatografia su carta ha avuto un ruolo importantissimo nelle analisi biochimiche. Essa viene usata di

solito per la separazione di piccole molecole come gli amminoacidi e gli oligopeptidi. Nella cromatografia

su carta alcune gocce della soluzione contenente una miscela dei composti che devono essere separati

vengono applicate a circa 2 cm dall'estremità di una striscia di carta da filtro. Dopo aver asciugato,

quell'estremità della carta viene immersa in una miscela di solventi costituita da componenti acquosi e

organici. Il solvente si muove per capillarità lungo la carta per la natura fibrosa della carta stessa. La

direzione della migrazione del solvente può essere verso l'alto (cromatografia ascendente) o verso il basso

(cromatografia discendente). La componente acquosa del solvente si lega alla cellulosa della carta e quindi

forma con essa una fase stazionaria simile ad un gel. La componente organica del solvente continua la sia

migrazione formando la fase mobile. La velocità di migrazione delle varie sostanze che devono essere

separate dipende dalla loro solubilità relative nella fase stazionaria polare e nella fase mobile non polare. In

una singola tappa del processo di separazione, un dato soluto si distribuisce tra la fase mobile e la fase

stazionaria sulla base del suo coefficiente di partizione, una costante di equilibrio definita come:

Kp = concentrazione nella fase stazionaria / concentrazione nella fase mobile  

Le molecole vengono quindi separate sulla base della loro polarità; le molecole non polari si muoveranno

più velocemente di quelle polari. Dopo che il fronte del solvente ha percorso una certa distanza, il

cromatogramma viene tolto dal solvente ed asciugato. A questo punto si analizzano i materiali separati, che

se non sono colorati possono essere individuati attraverso alcuni metodi come il marcamento con

radioisotopi o materiali fluorescenti. Una miscela complessa, che non viene completamente separata da una

singola cromatografia su carta, invece, viene spesso completamente risolta da una cromatografia su carta

bidimensionale. In questa tecnica, il cromatogramma viene eseguito come è stato descritto prima, con

l'eccezione che il campione viene depositato in un angolo del foglio di carta da filtro e il soluto viene fatto

correre parallelamente ad un lato della carta. Dopo aver completato questa fase ed asciugata la carta, il

cromatogramma viene ruotato di 90° e ripetuta la corsa cromatografica parallelamente al secondo lato della

carta usando un altro sistema di solventi. Poiché ogni composto migra ad una velocità caratteristica in un

dato sistema di solventi, la seconda fase cromatografica aumenterà fortemente la separazione della miscela

nei suoi componenti.

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26. Cromatografia per gel filtrazioneNella cromatografia per gel filtrazione, detta anche cromatografia ad esclusione molecolare oppure a

setaccio molecolare, le molecole vengono separate in base alle loro dimensioni ed alla loro forma. In questa

tecnica la fase stazionaria è costituita da sferette di materiale idrato, simile ad una spugna, contente pori che

possono essere attraversati soltanto da molecole con certe dimensioni. In questo modo, le molecole con

dimensioni troppo grandi saranno escluse dal volume di solvente presente all'interno dei pori. Queste

molecole grandi attraverseranno di conseguenza molto rapidamente la colonna, cioè usciranno con un

volume di eluzione minore di quello delle molecole che invece entrano nei pori.

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27. Cromatografia per affinitàMolte proteine hanno la capacità di legarsi saldamente, ma non covalentemente, a specifiche molecole.

Questa proprietà può essere utilizzata per purificare queste proteine mediante la cromatografia per affinità.

In questa tecnica, una molecola detta ligande e che si lega specificamente alla proteina da isolare viene

attaccata covalentemente ad un supporto poroso ed inerte. Quando una soluzione proteica non pura viene

fatta passare attraverso questo materiale cromatografico, la proteina desiderata si lega al ligande

immobilizzato, mentre le altre sostanze vengono lavate via dalla colonna dal tampone. La proteina può

essere poi recuperata in forma altamente purificata variando le condizioni di eluzione in modo che la

proteina venga rilasciata dalla matrice solida. La matrice cromatografica per affinità deve essere

chimicamente inerte, avere un'elevata porosità e un gran numero di gruppi funzionali capaci di formare

legami covalenti con il ligandi. Tra i pochi materiali di cui disponiamo e che si adattano a questi criteri,

l'agarosio, che possiede molti gruppi ossidrilici liberi, è sicuramente il più utilizzato. Anche il ligando deve

avere proprietà specifiche come un'elevata affinità per la proteina in grado da immobilizzarla ma non così

elevata da impedire il rilascio successivo, che avviene con un eluzione in cui si utilizza un composto che

abbia un affinità superiore per il sito di legame che la proteina utilizza per il ligande immobilizzato.

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28. ElettroforesiL'elettroforesi, la migrazione di ioni in un campo elettrico, è largamente usata per la separazione analitica

delle molecole biologiche. La legge dell'elettrostatica stabilisce che la forza elettrica, F elettrica, su uno ione

di carica q in un campo elettrico di forza E è espressa da:

Felettrica = qE

La risultante migrazione elettroforetica dello ione attraverso una soluzione viene rallentata da una forza

frizionale:                                             Ffrizionale = vf

dove v è la velocità di migrazione dello ione ed f è il suo coefficiente frizionale. Quest'ultimo è una misura

del freno che la soluzione esercita sul movimento dello ione e dipende dalle sue dimensioni, dalla sua forma

e dal suo stato di solvatazione. In un campo elettrico costante, le forze sullo ione di

bilanciano:                                                                                                             qE = vf

e quindi ogni ione si muove con una velocità costante caratteristica. La mobilità elettroforetica, , di uno ione

viene definita come:                       = v/E = q/f

Anche la mobilità elettroforetica è caratteristica in ogni ione. In soluzione acquosa, però, i polielettroliti,

come le proteine, sono circondati da una nuvola di ioni con carica opposta, che modifica quindi le

condizioni dell'ultima equazione che diventa al massimo soltanto un'approssimazione della realtà. Però

sempre questa equazione indica che al punto isoelettrico, pI, le molecole hanno una mobilità elettroforetica

pari a zero. Inoltre per le proteine e altri polielettroliti che possiedono proprietà acido-basiche, la carica

ionica, e quindi la mobilità elettroforetica, è una funzione del pH. L'uso dell'elettroforesi per la separazione

delle proteine è stato reso noto nel 1937 dal biochimico svedese Arne Tiselius, che mise a punto

l'elettroforesi a fronte mobile. In questa tecnica una soluzione proteica veniva posta in un tubo a forma di U

e su entrambe le estremità della soluzione proteica veniva stratificata senza rimescolamenti una soluzione

tamponata. Veniva poi applicato un campo elettrico immergendo i suoi elettrodi alle due estremità e facendo

passare corrente: le proteine cariche poste nel tubo erano quindi costrette a migrare verso il polo con carica

opposta. Per questa tecnica è però necessario un apparato molto ingombrante e quantità di campione molto

grandi, per questo l'elettroforesi a fronte mobile è stata soppiantata dall'elettroforesi zonale, una tecnica in

cui il campione viene costretto a muoversi in un supporto solido come carta da filtro, cellulosa oppure gel.

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29. Elettroforesi su cartaNell'elettroforesi su carta, il campione viene applicato in un punto della striscia di carta inumidita con la

soluzione tampone. L'estremità della striscia di carta vengono immerse in due recipienti separati contenenti

il tampone e gli elettrodi. Dopo aver applicato una corrente continua, gli ioni presenti nel tampone migrano

verso l'elettrodo con carica opposta ad una velocità caratteristica, formando alla fine bande separate ed

omogenee. Dopo aver completato l'elettroforetogramma (sono di solito necessarie alcune ore) la striscia

viene asciugata ed i vari componenti del campione vengono rilevati utilizzando gli stessi sistemi di

rivelazione che servono per la cromatografia su carta. Una piccolo inconveniente di questa tecnica è l'elevata

velocità di diffusione delle piccole molecole come gli amminoacidi ed i piccoli peptidi che limita la loro

risoluzione se presenti in miscele complesse. Questa difficoltà può essere superata aumentando il voltaggio

nell'elettroforesi su carta ad alto voltaggio, in cui la carta viene mantenuta tra due piatti raffreddati in modo

da sottrarre continuamente il calore prodotto dalla corrente ad alto voltaggio. L'elettroforesi su carta e la

cromatografia su carta sono in apparenza simili, ma l'elettroforesi su carta separa gli ioni principalmente in

base alla loro carica, mentre la cromatografia su carta separa le molecole in base alla loro polarità. I due

metodi vengono spesso combinati per generare una tecnica bidimensionale chiamata fingerprinting, in cui il

campione viene prima sottoposto ad una separazione cromatografica come la cromatografia bidimensionale

e successivamente ad un elettroforesi. Le molecole, quindi, in queste condizioni vengono separate sia in

base alla loro carica che alla loro polarità.

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30. Gel elettroforesiLa gel elettroforesi è tra i metodi più efficaci e convenienti usati per la separazione di macromolecole. I gel

di uso più comune, la poliacrilammide e l'agarosio, hanno pori di dimensioni molecolari il cui diametro può

essere scelto a priori. Le separazioni in questi casi si basano quindi sulla gel filtrazione oltre che sulla

mobilità elettroforetica delle molecole. I gel in questi tipi di elettroforesi ritardano le molecole di grandi

dimensioni rispetto a quelle piccole, l'inverso di quanto avviene nella gel filtrazione, in quanto non c'è

spazio con solvente tra i granuli del gel per elettroforesi (che invece esiste tra le sferette del gel nella gel

filtrazione). Quindi, mentre le molecole migrano attraverso il gel, il movimento delle molecole più grandi

viene rallentato o impedito, separandole da quelle più piccole. Nell'elettroforesi su gel di poliacrilamide

(PAGE), un tubo lungo da 3 a 10 cm, in cui è stato fatto polimerizzare il gel, viene sospeso verticalmente tra

un recipiente superiore ed uno inferiore contenenti il tampone. Quest'ultimo, che è lo stesso nei recipienti e

nel gel, ha di solito un pH (per le proteine circa 9) tale da conferire alle macromolecole una carica negativa e

quindi da indurre una migrazione verso l'anodo (+) posto nel recipiente inferiore. Invece, per i gel in lastre

(slab gel) i campioni vengono depositati in appositi pozzetti preparati in precedenza sulla sommità del gel.

In alternativa, il campione può essere contenuto in una piccola frazione di gel, il gel del campione, i cui pori

sono sufficientemente grandi da non impedire il movimento alle macromolecole di qualsiasi dimensione.

Viene poi applicata una corrente continua di 300 V per il tempo necessario a separare i componenti

macromolecolari in una serie di bande discrete. Queste bande possono essere meglio risolte e diventare più

nette con una tecnica nota come elettroforesi a pH discontinuo oppure a disco, che richiede due sistemi di

gel e diverse soluzioni tampone. Come sappiamo, quando viene applicata corrente, gli ioni migrano dal

tampone nel recipiente superiore nel gel di accumulo e gli ioni presenti nel tampone di questo gel migrano

anch'essi davanti a loro. Quando ha luogo questo spostamento, gli ioni del tampone nel recipiente superiore

incontrano un pH che è molto più basso del valore della loro pK ed assumono quindi la loro forma scarica

(nel caso della glicina la forma zwitteronica) e diventano elettroforeticamente immobili. Tutto ciò determina

un aumento localizzato del campo elettrico per questo gli anioni macromolecolari migrano rapidamente fino

a che non incontrano gli ioni del tampone del gel di accumulo, dove la loro migrazione tende a rallentare

poiché in questa regione non vi è carenza di ioni. Questo effetto fa sì che le macromolecole ioniche si

avvicinino al gel per la corsa e si accumulino in bande o dischi molto vicini tra loro, ordinati secondo la loro

mobilità. Infine queste bande possono essere evidenziate con vari metodi come diversi coloranti.

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31. Sds-PageI saponi ed i detergenti sono molecole anfipatiche in grado di denaturare le proteine. Il sodio dodecil solfato

(SDS), un detergente molto spesso usato nelle preparazioni biochimiche, si lega abbastanza tenacemente alle

proteine forzandole ad assumere una forma a bastoncino. La carica negativa che l'SDS porta con sé sulle

proteine maschera la loro carica intrinseca e quindi le proteine trattate con SDS tendono ad avere lo stesso

rapporto carica/massa e la stessa forma. Di conseguenza, l'elettroforesi di proteine in un gel contenente SDS

agisce sulla base delle loro masse per le proprietà di gel filtrazione che esse esprimono. Con la SDS-PAGE è

possibile anche stabilire la massa molecolare delle proteine con un accuratezza del 5-10%. La mobilità

elettroforetica delle proteine in questo tipo di gel varia in modo lineare con il logaritmo della loro massa

molecolare. In pratica, la massa molecolare viene determinata sottoponendo la proteina ad elettroforesi

insieme ad alcune proteine standard di cui è noto il peso molecolare. Però, come sappiamo molte proteine

possiedono più di una catena polipeptidica. Il trattamento con SDS distrugge le interazioni non covalenti che

tengono unite queste subunità. Quindi la SDS-PAGE determina la massa molecolare delle subunità e non

quella della proteina intatta, a meno che le subunità non siano unita da ponti disolfuro.

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32. Gli enzimi di restrizioneLa maggior parte delle molecole di DNA sono molto grandi per essere manipolate, o analizzate, in

laboratorio. Per questo, se dobbiamo studiare singoli geni o siti specifici del DNA, le grandi molecole che si

trovano nelle cellule devono essere rotte in frammenti gestibili. Ciò si ottiene mediante l'uso di endonucleasi

di restrizione. Esse sono nucleasi che tagliano il DNA in siti particolari, riconoscendo sequenze specifiche.

Gli enzimi di restrizione usati in biologia molecolare riconoscono brevi sequenze bersaglio (4-8 bp),

normalmente palindromiche (ad esempio GAATTC-CTTAAG), e tagliano in posizioni definite all'interno di

esse. Prendiamo, ad esempio, in considerazione uno degli enzimi più comunemente usati, EcoRI, così

chiamato perché venne scoperto in alcuni ceppi di Escherichia coli, e fu il primo ad essere scoperto in questa

specie. Esso riconosce e taglia la sequenza 5'-GAATTC-3'. Questa sequenza esomerica si ritrova

mediamente ogni 4 kb. Si consideri, ora, una molecola di DNA lineare con sei copie della sequenza

riconosciuta dall'enzima: EcoRI la taglierebbe in sette frammenti, le cui dimensioni dipendono dalla

distribuzione dei siti nella sequenza. Si supponga che il DNA tagliato da EcoRI venga sottoposto a

elettroforesi su gel: i sette frammenti si separerebbero sulla base delle loro dimensioni. Pertanto, l'enzima di

restrizione ha tagliato il DNA in frammenti specifici, ciascuno corrispondente ad una regione particolare

della molecola. Se la stessa molecola di DNA venisse tagliata da un enzima di restrizione diverso, che

riconosce anch'esso un bersaglio di 6 bp, ma di sequenza differente, la molecola darebbe tagliata in posizioni

diverse, generando frammenti di dimensioni differenti. Comunque, gli enzimi di restrizione non si

differenziano solo per la specificità e la lunghezza delle sequenze di riconoscimento, ma anche per il tipo di

estremità del DNA che essi generano. Alcuni enzimi generano estremità piatte, altri invece, come lo stesso

EcoRI, generano estremità sfalsate. Quest'ultime risultano essere complementari tra di loro e vengono dette

“appiccicose” (sticky), perché si riuniscono prontamente mediante l'appaiamento delle basi, tra loro, sulla

stessa molecola, o su molecole diverse tagliate con lo steso enzima. Questa è una proprietà importante per il

clonaggio del DNA. Comunque, gli enzimi di restrizione vengono classificati comunemente in tre classi: 1)

gli enzimi di restrizione di tipo I: attività di riconoscimento, metilazione e taglio contenute

in un singolo enzima. Taglio anche a 1000 bp di distanza; 2) gli enzimi di restrizione di tipo II: due enzimi

distinti per le attività di metilazione e taglio, riconoscono la stessa sequenza palindromica; e 3) gli enzimi di

restrizione di tipo III: singolo enzima con due subunità di metilazione e taglio, taglio effettuato a 24-26 bp di

distanza.

Per capire meglio come funzionano gli enzimi di restrizione basta capire come funziona il loro meccanismo

ad esempio nei batteri e nei fagi. Come sappiamo, i batteri hanno un singolo cromosoma, e possono avere

diversi plasmidi, in cui si trovano un origine di replicazione e geni utili per la resistenza a qualche

antibiotico. I fagi, invece, sono dei parassiti del batterio che sfruttano il meccanismo biosintetico del batterio

stesso, per potersi replicare e quindi per produrre progenie fagica. Se costruiamo una colonia batterica di E.

coli e successivamente la iniettiamo con particolari fagi, come il fago , otterremo delle placche di lisi, in cui

i batteri sono stati uccisi per la produzione della progenie fagica. Gli enzimi di restrizione sono stati scoperti

grazie a due ceppi di Escherichia coli: il ceppo B e quello K. Il primo, infettato dal fago , presentava

numerose placche di lisi e il fago produceva senza nessun problema la sua progenie. Se però fagi prodotti sul

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ceppo B, venivano utilizzati per infettare il ceppo K, quest'ultimo mostrava una resistenza all'infezione (1

colonia su 10000). A questo punto isolando i fagi sul ceppo K, si vide che era in grado di formare un gran

numero di colonie sul ceppo K ma non su quello B. Quindi si pensò che la crescita su un particolare ceppo

restringe la sua capacità di infettare. Infatti, se il fago inietta il suo DNA nel batterio, il macchinario

biosintetico e gli enzimi di restrizione lo riconoscono tagliandolo, facendo sì che il fago non sia più in grado

di riprodursi. Questi enzimi tagliano solo il DNA fagico poiché il DNA batterico è metilato e non può essere

riconosciuto. A volte però può risultare metilato anche il DNA fagico (1 colonia su 10000). Comunque, oltre

agli enzimi di restrizione, in biologia molecolare vengono utilizzati molti altri enzimi come: le nucleasi,

enzimi che tagliano o degradano gli acidi nucleici, le ligasi, enzimi che uniscono molecole di acidi nucleici

utilizzando ATP (la reazione opposta degli enzimi di restrizione), le polimerasi, che sintetizzano DNA (o

RNA) su stampo di DNA (o RNA) in presenza di un gruppo 3'-OH, le fosfatasi, che rimuovono il gruppo

fosfato all’estremità 5' del DNA e le polynucleotide kinase, enzima che inserisce un gruppo fosfato

all’estremità 5'-OH di un acido nucleico e viene spesso utilizzato per marcare radioattivamente un'estremità

del DNA. I sistemi di marcatura e tutte queste tecniche hanno permesso di analizzare ma anche di creare

nuove molecole di DNA. Ad esempio, se tagliamo con EcoRI possiamo unire la molecola originale di DNA

(che mancherà di un segmento), oppure due molecole diverse attraverso l'uso di ligasi. Inoltre, se tagliamo

un plasmide e una molecola di DNA circolare batterico con lo stesso enzima di restrizione possiamo inserire

il gene all'interno del plasmide. A questo punto, per creare grandi quantità del plasmide da noi creato

possiamo mettere i batteri in coltura con diversi antibiotici, per far sì che crescano solo i microrganismi

contenenti il nostro plasmide, che porterà la resistenza per qualche antibiotico.

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33. Clonaggio del DNALa capacità di costruire molecole di DNA ricombinante e di mantenerle nelle cellule viene detta clonaggio

del DNA. Il processo coinvolge un vettore, che fornisce l'informazione per propagare il DNA clonato nella

cellula, ed un inserto di DNA, che viene inserito nel vettore e contiene il DNA di interesse. Per costruire

molecole di DNA ricombinante sono fondamentali gli enzimi di restrizione, che tagliano il DNA in siti

specifici, ed altri enzimi che consentono di unire gli uni agli altri i frammenti di DNA tagliati. Però, una

volta che il DNA è tagliato in frammenti dagli enzimi di restrizione deve essere inserito in un vettore per la

propagazione. Cioè, il frammento di DNA deve essere inserito in una seconda molecola di DNA (il vettore)

per essere replicato in un organismo ospite. I vettori per DNA hanno tre caratteristiche: 1) contengono

un'origine di replicazione che permette loro di replicarsi indipendentemente dal cromosoma dell'ospite; 2)

contengono un marcatore di selezione che permette alla cellula che contiene in vettore di essere facilmente

identificate; e 3) possiedono singoli siti di taglio per enzimi di restrizione. Ciò consente di inserire i

frammenti di DNA in posizioni definite all'interno di un vettore altrimenti intatto. I vettori più comuni, che

soddisfano le prime due caratteristiche, sono piccole molecole di DNA circolare (circa 3 kb) dette plasmidi.

Infatti, queste molecole, associate al cromosoma batterico hanno un'origine di replicazione e possiedono

geni marcatori, come ad esempio quelli per la resistenza a particolari antibiotici. Inoltre, in alcuni casi,

questi plasmidi possiedono siti unici di restrizione. Però, dopo la loro scoperta, i plasmidi sono stati

semplificati e modificati in modo che un tipico vettore plasmidico ora possieda più di 20 siti unici di

restrizione in una regione relativamente piccola. Ciò consente di utilizzare una varietà maggiore di enzimi di

restrizione per tagliare il DNA bersaglio. Anche i virus e i fagi sono stati modificati in modo da poter essere

usati come vettori di clonaggio. A questo punto, e con queste informazioni, supponiamo che un vettore

plasmidico contenga un singolo sito di riconoscimento per EcoRI. Il plasmide digerito con l'enzima di

restrizione sarà linearizzato. Dato che EcoRI genera estremità che protrudono al 5' e che sono

complementari tra loro, le estremità sono in grado di riassociarsi e di dare origine ad una forma circolare del

plasmide con due tagli. A questo punto il DNA bersaglio, che vogliamo clonare, viene digerito con lo stesso

enzima di restrizione per far sì che abbia le estremità complementari al taglio del plasmide. In seguito, il

trattamento del plasmide stesso con l'enzima DNA ligasi, in presenza di ATP, chiude i tagli, rigenerando un

plasmide covalentemente chiuso, in cui però troviamo incorporato l'inserto di DNA da noi preso in

considerazione. Per procedere con quest'ultimo passaggio, abbiamo bisogno di un eccesso di DNA

dell'inserto rispetto al DNA plasmidico, per far sì che la maggior parte dei vettori incorpori l'inserto e venga

richiusa. Bisogna ricordare, inoltre, che alcuni vettori non solo permettono l'isolamento e la purificazione di

specifici DNA, ma sono anche in grado di dirigere l'espressione di geni all'interno del DNA inserito. Tali

plasmidi vengono detti vettori d'espressione e possiedono promotori trascrizionali immediatamente adiacenti

al sito di inserzione. In questo modo possiamo vedere l'espressione del tratto di DNA da noi inserito oppure

ottenere grandi quantità della proteina prodotta dalla sequenza genica presa in considerazione.

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34. I fagi per lo studio del DNAAltri vettori molto utilizzati per clonare brevi tratti di DNA sono i fagi, in quanto avendo la capacità di

duplicarsi tramite i batteri, riescono ad ottenere una progenie fagica molto numerosa che conterrà il tratto di

DNA da noi considerato. Inoltre, i batteriofagi si possono purificare in maniera semplice, in quanto dopo

centrifugazione rimangono nel sopranatante e le cellule batteriche distrutte nel sedimento. Il DNA fagico

all'interno del capside del fago , preso come esempio, è lineare e termina con due estremità coesive, quindi

all'interno del batterio facilmente circolarizza. In questo modo il DNA fagico riorganizza l'apparato

trascrizionale dei batteri in modo che comincino a produrre DNA a singolo filamento (con il meccanismo

del cerchio rotante) che andrà a costituire l'informazione genetica per la nuova progenie fagica. I ricercatori,

studiando in maniera dettagliata il genoma del fago hanno visto che è costituito da 49 kb. La testa del fago

può contenere fino a 51 kb e per avere una particella fagica vitale il genoma deve essere almeno di 37 kb.

Esiste, però, una regione centrale non essenziale per la replicazione e la lisi. Questa regione serve per il ciclo

lisogeno in cui il fago non produce molte particelle ma inserisce il proprio genoma nel cromosoma del

batterio, e quindi si replica insieme ad esso. Per cui, come si può ben capire, questa regione, detta

frammento Stuffer (riempimento), può facilmente essere rimossa e rimpiazzata con il nostro inserto. Alla

fine, dunque, avremo un DNA che conterrà in nostro inserto centralmente, mentre al braccio destro e sinistro

tutti i geni necessari per la replicazione completa del fago. A questo punto, per far sì che il DNA costruito in

questo modo possa inserirsi nella cellula batterica possiamo utilizzare diverse tecniche. Infatti, la

trasformazione batterica, ossia l'inserimento di DNA esterno all'interno della cellula batterica, può essere

ottenuta mediante shock termico, in cui l'entrata di DNA nelle cellule di E. coli è stimolata da alte

concentrazioni di CaCl2, seguite da una breve incubazione a 42 °C, oppure per elettroporazione, un breve

impulso elettrico che causa l'apertura temporanea di pori nelle membrane cellulari. In generale, l'efficienza

della trasformazione rimane molto bassa, per questo si utilizzano in questi anni dei sistemi di packaging, per

impacchettare in vitro il DNA da clonare, in cui di producono tutte le componenti fagiche necessarie per

infettare e replicarsi nei batteri.

Una volta giunti a questa fase, bisogna trovare e selezionare il clone che ha acquisito il DNA ricombinante.

Infatti, siccome l'efficienza di trasformazione è molto bassa, la maggior parte delle colonie non contiene il

plasmide, quindi non è ricombinante. Però come abbiamo visto, tra le caratteristiche più comuni dei

plasmidi vi è la resistenza agli antibiotici. Quindi, crescendo la progenie fagica in un terreno contenente un

particolare antibiotico, sopravviveranno solo i fagi ricombinanti, che quindi mostreranno la resistenza. Però,

quando noi leghiamo il plasmide al DNA avremo delle molecole di plasmide che si sono richiuse che non

hanno la nostra sequenza oppure altre ricombinanti che, invece, la possiedono. Comunque, entrambe,

possiedono la resistenza all'antibiotico. Per questo occorre un ulteriore selezione. A tale scopo si ricorre

all'uso della cosiddetta selezione per -complementazione, un particolare fenomeno che riguarda la -

galattosidasi (-gal) di E. coli e che fu studiato negli anni ’60 da J.Monod. Analizzando dei mutanti che

esprimevano forme tronche nella porzione N o C-terminale della -gal, Monod scoprì che due regioni del

polipeptide, un dominio N-terminale detto -peptide e la restante parte detta -fragment, anche se espresse

separatamente, erano in grado nella cellula di complementare in trans dando luogo all’enzima funzionale. In

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biologia molecolare si sfrutta questo fenomeno molecolare utilizzando un plasmide che dirige la sintesi

dell’-peptide e un ceppo ospite di E. coli che è mutato nel gene lacZ ed esprime solo l’-fragment (mutazione

lazM15). L’ospite da solo non è quindi in grado di produrre -gal attiva, ma se in esso viene introdotto il

plasmide, che produce l’-peptide, avviene l’-complementazione. Utilizzando un particolare analogo del

lattosio, l’X-gal, che funge da substrato, è possibile identificare i cloni che esprimono -gal poiché le colonie

diventano BLU su un terreno contenente tale substrato. Infatti, quando la molecola dell’X-gal è idrolizzata

dalla -gal, viene prodotto 5-bromo-4-cloro-indaco di colore blu. Nei vettori di clonaggio plasmidici la

sequenza codificante l’-peptide è stata ingegnerizzata in modo da introdurre dei siti per enzimi di restrizione

(MCS) che, pur codificando per amminoacidi aggiuntivi, non perturbano il funzionamento dell’ -peptide

stesso. La sequenza s’interrompe e l’-peptide non viene più espresso impedendo che avvenga l’-

complementazione se in questi siti viene clonato un frammento di DNA estraneo. In questo caso la

colorazione dei cloni, su terreno contenente X-gal, è bianca.

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35. Mediante clonaggio si creano librerie di molecole di DnaUna libreria di DNA è una popolazione di vettori identici, ciascuno contenente un inserto diverso di DNA.

Per costruire una libreria, il DNA bersaglio (per esempio il DNA genomico umano) viene digerito con un

enzima di restrizione che dà inserti della lunghezza media desiderata. Le dimensioni dell'inserto possono

variare da meno di 100 paia di basi a più di una megabase. Il DNA tagliato viene quindi mischiato con il

vettore appropriato tagliato a sua volta con lo stesso enzima di restrizione, in presenza di ligasi. Ciò produce

un'ampia collezione di vettori con diversi inserti di DNA. Quindi, usando DNA da fonti diverse si possono

generare vari tipi di librerie. Le più semplici originano da DNA genomico totale tagliato con un enzima di

restrizione; queste si chiamano librerie genomiche. Questo tipo di libreria è utile principalmente per

generare DNA per il sequenziamento di un genoma. Per arricchire la libreria di sequenze codificanti, si usa

una libreria di cDNA. In quest'ultima, invece di usare DNA genomico come materiale di partenza, si usa

mRNA che viene convertito in DNA. Il processo che consente questo passaggio è chiamato trascrizione

inversa ed è svolta da una DNA polimerasi speciale (la trascrittasi inversa) che può generare DNA da uno

stampo di RNA. Le sequenze di mRNA possono essere convertite in DNA copia a doppia elica, detti cDNA

(ovvero DNA copia), quando vengono trattate con la trascrittasi inversa. Questi frammenti vengono, quindi,

inseriti con la ligasi nei vettori.

Come abbiamo detto in precedenza, comunque, esistono vari vettori che possono contenere diverse paia di

basi fino ad arrivare a 2000 kb nel caso del vettore YAC. Nel caso di quest'ultimo, però, non abbiamo

enzimi che riescono a tagliare porzioni così grandi di DNA, per questo motivo, invece, di effettuare una

digestione completa procediamo con una digestione incompleta. In questo modo avremo numerosi

frammenti di poche coppie di basi (20 Kb nel caso di Sau3A) ma sovrapposti, che andranno a coprire tutta la

regione di DNA che vogliamo clonare. A questo punto, con le metodologie precedentemente illustrate,

cloniamo tutti i frammenti tramite il fago e otterremo la nostra genoteca.

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36. L'ibridazione - southern, northern e western blotIl fenomeno dell'ibridazione, ossia la capacità di una molecola di acido nucleico a singolo filamento di

formare una doppia elica con un'altra sequenza composta di basi a essa complementari, rappresenta uno dei

punti di partenza fondamentali della moderna biologia molecolare. Molti dei geni eucariotici fanno parte di

famiglie geniche strettamente correlate. In che modo potremmo determinare il numero dei membri di una

particolare famiglia genica? Si comincia utilizzando un enzima di restrizione per tagliare il DNA genomico

isolato da un organismo. È meglio utilizzare un enzima di restrizione come EcoRI che riconosce una

sequenza di 6 bp come sito di taglio. Questo enzima produrrà migliaia di frammenti di DNA genomico, di

dimensioni medie di 4000 bp circa. Successivamente, questi frammenti vengono sottoposti a elettroforesi su

gel di agarosio. Il risultato, se le bande vengono visualizzate per colorazione, sarà una striscia composta da

migliaia di bande, indistinguibili l'una dall'altra. Eventualmente, si potrà, per questo motivo, far avvenire

l'ibridazione tra una sonda radioattiva e queste bande per scoprire quante di queste contengono la sequenza

codificante il gene d'interesse. Edward Southern è stato un pioniere di questa tecnica; egli trasferì i

frammenti di DNA da un gel di agarosio a un filtro di nitrocellulosa per diffusione. Questo procedimento è

stato quindi da allora chiamato Southern blotting. Oggi, il blotting viene frequentemente ottenuto

sottoponendo a elettroforesi le bande di DNA fino a farle uscire dal gel per farle approdare al blot. Prima di

essere trasferiti, i frammenti di DNA vengono denaturati con una soluzione basica in modo che il risultante

DNA a singolo filamento possa legarsi alla nitrocellulosa, dando così il Southern blot. In seguito, il DNA

clonato viene marcato aggiungendo DNA polimerasi in presenza di precursori di DNA marcati. Quindi,

questa sonda radioattiva viene denaturata e fatta ibridare con il Southern blot. Ovunque la sonda incontrerà

sul filtro una sequenza di DNA complementare, si appaierà a essa formando una banda marcata

corrispondente al frammento di DNA che contiene il gene d'interesse. Infine, queste bande vengono

visualizzate per autoradiografia con una pellicola a raggi X. A questo punto, se dovesse essere visibile una

sola banda, l'interpretazione sarebbe relativamente semplice; probabilmente solo un gene possiede una

sequenza complementare a quella utilizzata come sonda di cDNA. Se invece, sono presenti più bande, sono

probabilmente presenti più geni che contengono la sequenza di interesse, ma potrebbe risultare difficile dire

quanti. Per minimizzare questo problema spesso si utilizza una sonda corta ottenuta sempre per restrizione

del cDNA.

Se, invece, supponiamo di aver clonato un cDNA (un DNA copia di un RNA)  di voler sapere quanto

attivamente il gene corrispondente (un gene X) sia espresso in un numero differente di tessuti in un

organismo Y, si può cominciare raccogliendo RNA da vari tessuti dell'organismo in questione. Poi, si

sottopongono questi RNA a una elettroforesi su gel di agarosio e si trasferiscono su un supporto opportuno.

Poiché il procedimento simile per il DNA è denominato Southern blot, è venuto naturale chiamare un blot di

RNA con il nome di Northern blot (per analogia, un blot di proteine è chiamato Western blot, e si utilizzano

anticorpi per legare le proteine ). Successivamente si può ibridare il Northern blot con una sonda di cDNA

marcata radioattivamente. Ovunque sul blot esista un mRNA complementare alla sonda avverrà l'ibridazione

risultando in bande che si possono visualizzare con una pellicola ai raggi X. Se, accanto agli RNA estratti si

fanno correre per elettroforesi anche dei marcatori di RNA di dimensioni note, è possibile determinare le

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dimensioni delle bande di RNA che compaiono in seguito all'ibridazione con sonda radioattiva. Inoltre, il

Northern blot fornisce informazioni riguardanti l'abbondanza del trascritto del gene X. Maggiore è la

quantità di RNA contenuta nella banda, maggiore sarà la quantità di sonda radioattiva che si appaierà a essa,

tanto più scura diventerà la banda ai raggi X.

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37. Cromosomi, cromatina e nucleosomaAll'interno della cellula, il DNA è associato con proteine in un complesso chiamato cromosoma. Questa

organizzazione generale si ha sia nelle cellule procariotiche che eucariotiche ed anche nei virus. Il

compattamento del DNA nei cromosomi è essenziale per alcune importanti funzioni. Il cromosoma è un

sistema di condensazione per il DNA che deve essere contenuto nella cellula e che permette di proteggere il

DNA stesso da possibili danni. Molecole di DNA completamente nude sono, nella cellula, relativamente

instabili. Al contrario, il DNA organizzato nel cromosoma è molto stabile è ciò permette all'informazione

contenuta nella molecola di essere correttamente espressa; inoltre soltanto il DNA compattato nel

cromosoma può essere trasmesso efficacemente a entrambe le cellule figlie ad ogni evento di divisione

cellulare. Comunque, un cromosoma eucariotico è costituito per metà anche da proteine. Nelle cellule

eucariotiche, l'associazione del DNA con alcune di queste proteine forma una struttura chiamata cromatina.

La maggior parte di queste proteine, gli istoni, sono di piccole dimensioni ed hanno caratteristiche basiche.

Sebbene, non sono così abbondanti come gli istoni, esistono altre proteine associate al cromosoma: le

proteine non istoniche. Molte di queste proteine legano il DNA e regolano le reazioni di trascrizione,

replicazione, riparazione e ricombinazione del DNA. Quindi, la gran parte del compattamento del DNA

nelle cellule umane (e in tutte le altre cellule eucariotiche) è il risultato di una regolare associazione del

polimero con gli istoni a formare una struttura che viene chiamata nucleosoma. La formazione dei

nucleosomi è il primo stadio di un processo che permette al DNA di essere ripiegato in una struttura più

compatta che ne riduce la lunghezza lineare di circa 10000 volte. Inoltre, anche se le cellule procariotiche

possiedono di norma un genoma più piccolo rispetto a quello degli eucarioti, la necessità di compattare il

loro DNA è sostanzialmente la stessa. Come il cromosoma procariotico venga condensato, però, è ancora

poco chiaro: i batteri non contengono istoni o nucleosomi, ma piccole proteine basiche che possono avere

funzione similare.

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38. La sequenza del cromosoma e la diversitàLe cellule procariotiche posseggono un'unica copia completa del/dei cromosoma/i che è organizzato in una

struttura chiamata nucleoide. Inoltre i microorganismi frequentemente possono possedere anche uno o più

DNA circolari di piccole dimensioni indipendenti chiamati plasmidi. A differenza del DNA cromosomico, i

plasmidi non sono normalmente essenziali per la crescita batterica. Normalmente essi portano geni che

conferiscono determinate caratteristiche al batterio, come ad esempio la resistenza ad un antibiotico. La

maggior parte delle cellule eucariotiche, invece, è diploide, il che vuol dire che contengono due copie di

ciascun cromosoma: i cromosomi omologhi. Ogni copia deriva da ciascun genitore. Ma non tutte le cellule

negli organismi eucariotici sono diploidi. Una certa quantità di cellule possono essere aploidi o poliploidi.

Le cellule aploidi contengono un'unica copia per ciascun cromosoma e sono coinvolte nella riproduzione

sessuale (per esempio le uova e gli spermatozoi). Le cellule poliploidi contengono, invece, più di due copie

di ogni cromosoma e questo permette la sintesi di una grande quantità di RNA, quindi di proteine.

Comunque, la grandezza del genoma (la lunghezza del DNA in un assetto cromosomico aploide) varia

sostanzialmente nei diversi organismi modello. Poiché sono necessari un numero molto elevato di geni per

dirigere la formazioni di organismi sempre più complessi, non è sorprendente che la grandezza del genoma

sia strettamente correlata con la complessità dell'organismo. Quindi avremo che le cellule procariotiche

hanno un genoma inferiore alle 10 Mb mentre per gli eucarioti potremmo arrivare alle 100000 Mb. Sebbene

vi sia una certa correlazione fra la grandezza del genoma e la complessità dell'organismo ciò non è sempre

vero, basti pensare che il genoma del riso è circa 40 volte più piccolo di quello del grano. Queste differenze

sono correlate con la densità genica. Una semplice misura della densità genica è la quantità di geni contenuti

in una megabase di DNA genomico. Per cui se un organismo contiene 5000 geni ed un genoma di 50 Mb, la

densità genica presente in questo organismo è di 100 geni/Mb. Esiste una correlazione inversa fra la

complessità dell'organismo e la densità genica; gli organismi meno complessi hanno una più alta densità

genica. Per esempio, le densità geniche più alte si riscontrano nei virus che utilizzano addirittura entrambi i

filamenti del DNA per codificare geni che in alcuni casi possono essere sovrapposti. Mentre, fra gli

eucarioti, c'è una tendenza generale per cui la densità genica diminuisce con l'aumentare della complessità

dell'organismo.

Esistono due fattori che contribuiscono alla diminuzione della densità genica osservate nelle cellule

eucariotiche: l'aumento delle dimensioni dei geni e l'aumento della quantità di DNA esistente fra i geni,

ovvero le sequenze intergeniche. I geni sono più lunghi sostanzialmente per due ragioni. Primo, visto il

progressivo aumento della complessità degli organismi si verifica un necessario e significativo aumento

delle regioni di DNA utilizzate per dirigere e regolare la trascrizione, chiamate sequenze regolative.

Secondo, i geni, negli eucarioti, frequentemente sono costituiti da regioni discontinue. Le regioni non

codificanti, intersperse all'interno delle sequenze codificanti, chiamate introni, sono rimosse dall'RNA dopo

la trascrizione con un processo chiamato splicing dell'RNA. Si è visto, infatti, che la grandezza media di un

gene umano è di circa 27 kb mentre la dimensione media di una sequenza codificante (esoni) per una

proteina è di circa 1,3 kb. Un semplice calcolo rileva che soltanto i 5% del DNA di un gene è

rappresentativo della parte codificante la proteina, il rimanente 95% è fatto da introni. Quindi, come ben si

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può capire, il considerevole aumento della quantità delle sequenze intergeniche negli organismi più

complessi è responsabile della diminuzione della densità genica. Più del 60% del genoma umano è formato

da sequenze intergeniche e la maggior parte di questo DNA non ha funzioni conosciute. Vi sono due tipi di

DNA intergenici: sequenze uniche e sequenze ripetute. Circa un quarto del DNA intergenico è a sequenza

unica. Queste regioni comprendono molti relitti apparentemente non funzionali e includono geni mutati,

frammenti di geni e pseudogeni. Mentre quasi la metà del genoma umano è composto di sequenze di DNA

che sono ripetute molte volte. Ci sono generalmente due classi di DNA ripetuto: DNA microsatellite e DNA

altamente ripetuto. Il DNA microsatellite è formato da sequenze molto corte (meno di 13 paia di basi)

ripetute in tandem. Le sequenze altamente ripetute, invece, sono molto più grandi rispetto ai microsatelliti.

Ciascuna unità di ripetizione è maggiore di 100 paia di basi e in molti casi anche più grande di 1 kb. Inoltre,

nei casi più comuni essi formano elementi trasponibili. Questi sono sequenze che possono spostarsi da una

parte all'altra del genoma e a volte, lasciare una propria copia nel punto precedente, in modo tale da

accumularsi e moltiplicarsi nel genoma. Comunque, sebbene si tende a considerare il DNA ripetuto come un

DNA di scarto, il mantenimento nel tempo di queste sequenze per centinaia o migliaia di generazioni

suggerisce che il DNA intergenico ha un significato positivo (o conferisce un vantaggio selettivo) per

l'organismo ospite. In ogni cromosoma troviamo molte di queste sequenze ripetute. Ad esempio nel

centromero troviamo sequenze ripetute fondamentali per l'attacco al fuso mitotico durante la mitosi, come

anche nel telomero (TTAGGG), dove queste regioni proteggono le estremità dei cromosomi dalla

degradazione.

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39. La mitosiDopo l'enunciazione delle leggi di Mendel e prima della loro riscoperta furono fatti degli studi per

identificare la sede del materiale ereditario all'interno della cellula. Si cominciò, allora, ad ipotizzare che il

materiale ereditario risiedesse nel nucleo, infatti si vedeva che le dimensioni del nucleo spermatico e quello

della cellula uovo era identico. Dopo successivi studi allora si confermò che nel nucleo sono presenti i

cromosomi il cui numero è identico in ciascuna cellula dell'organismo, è una caratteristica di ciascuna specie

e rimane costante dopo ciascuna divisione cellulare. Ogni cromosoma, oggi si sa, essere costituito da una

molecola di DNA a doppio filamento e da un insieme di proteine. Molte delle cellule eucariotiche

contengono due copie di ciascun cromosoma e sono quindi diploidi (caratteristica delle cellule somatiche,

ossia delle cellule del corpo di un eucariote), mentre le cellule sessuali, o gameti, contengono una sola copia

di ciascun cromosoma e quindi sono detti aploidi. Il numero dei cromosomi si mantiene costante grazie alla

mitosi e alla meiosi. La mitosi è un processo di divisione nucleare in cui si producono due nuclei figli che

contengono assetti cromosomici geneticamente identici tra di loro ed al nucleo delle cellule che gli ha

generati. La mitosi avviene principalmente in cinque fasi:

1. Prima che inizi ciascuna mitosi i cromosomi della cellula madre si sono duplicati nella fase S del ciclo

cellulare dove avviene la sintesi del DNA e appunto la duplicazione dei cromosomi (G1, crescita e

metabolismoS, detto primaG2, preparazione alla mitosiM, mitosi vera e propria). Il periodo successivo alla

fase S corrisponde all'inizio della mitosi e dell'interfase, dove i cromosomi non sono visibili perché troppo

lunghi e troppo sottili e in forma rilassata. Come ho detto, però, essi sono già duplicati e questi sono detti

cromatidi fratelli e sono uniti all'altezza del centromero. La distribuzione di questi cromatidi viene

organizzata e svolta dai microtubuli che fanno parte del citoscheletro. Inoltre, se presenti in copie multiple, i

centromeri potrebbero essere tirati in entrambe le direzioni, verso le cellule figlie, provocando una possibile

rottura del cromosoma stesso.

2. Nella profase, il secondo stadio della mitosi, i microtubuli si assemblano a formare una struttura

complessa detta fuso e i cromosomi iniziano ad accorciarsi e ad ispessirsi, ossia si condensano. Inoltre, molti

organelli intracellulari, come il reticolo endoplasmatico e il complesso di Golgi, si frammentano e la

membrana nucleare si scompone in numerose piccole vescicole e lo spazio nucleare viene invaso dai

microtubuli. Alcuni di questi, si attaccano ai cinetocori, strutture proteiche associate ai centromeri dei

cromosomi duplicati.

3. Durante la metafase, i cromosomi duplicati raggiungono una posizione a metà strada tra i poli del fuso.

Questo movimento è determinato da cambiamenti della lunghezza dei microtubuli del fuso e dall'azione di

proteine motrici generanti forza che funzionano nelle vicinanze dei cinetocori. Grazie a questa attività i

cromosomi si dispongono in un singolo piano al centro della cellula detta piastra metafasica e sono visibili al

microscopio.

4. Nel successivo stadio, detto anafase, i cromatidi fratelli dei cromosomi duplicati si separano l'uno all'altro

grazie all'accorciamento dei microtubuli e alla degradazione delle sostanze che tengono uniti i cromatidi

fratelli. Quest'ultimi allora vengono spinti verso i poli opposti della cellula.

5. Nell'ultima fase, detta telofase, i cromosomi di decondensano, si riformano gli organelli e ciascun gruppo

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di cromosomi viene racchiuso in una membrana nucleare.

Quando la mitosi è completa le due cellule figlie sono separate dalla formazione di membrane. Questa

separazione fisica delle cellule figlie è detta citocinesi. In conclusione possiamo dire quindi che le cellule

figlie prodotte dalla divisione di una cellula madre sono geneticamente identiche. Occasionalmente, tuttavia,

possono accadere degli errori. Ad esempio, un cromatidio può staccarsi dal fuso mitotico e non essere

incorporato in una delle due cellule figlie. Questi eventi causano differenze genetiche tra le cellule figlie.

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40. La meiosiLa meiosi è un processo di divisione nucleare in cui si producono quattro gameti aploidi il cui materiale

genetico è la metà di quello della cellula che li ha generati. Il processo di meiosi implica due divisioni

cellulari e la successione degli eventi è: duplicazione cromosomicaI divisione meioticaII divisione meiotica.

I DIVISIONE MEIOTICA

Nel momento in cui ha inizio la I divisione meiotica i cromosomi si sono già duplicati, di conseguenza

ciascuno di essi è costituito da due cromatidi fratelli. Questa divisione implica 4 fasi:

1. La prima fase è la profase I che a sua volta si divide in cinque stadi ciascuno indicato con una parola

greca che sta ad indicare l'aspetto o il comportamento dei cromosomi: la prima fase è il (1) leptodema

(“filamento sottile”) durante la quale i cromosomi duplicati si condensano e diventano molto sottili tanto che

sono scarsamente visibili al microscopio ottico ma non al microscopio elettronico. La seconda fase è lo (2)

zigonema (“filamenti appaiati”) nel quale i cromosomi omologhi entrano in stretto contatto. Questo processo

di appaiamento degli omologhi è definito sinapsi. Quest'ultima è accompagnata dalla formazione di una

struttura proteica tra i cromosomi appaiati detta complesso sinaptinemale. La terza fase detta (3) pachinema

nel quale con il progredire delle sinapsi i cromosomi duplicati continuano a condensarsi riducendo il loro

volume e quindi facilmente visibili al microscopio ottico. Ogni coppia è costituita da due omologhi

duplicati, ciascuno dei quali è formato da due cromatidi fratelli. Se prendiamo in considerazione questi

omologhi, la coppia viene definita di cromosomi bivalenti, mentre se contiamo i filamenti viene definito una

tetrade di cromatidi. Durante il pachinema, i cromosomi appaiati possono scambiarsi materiale genetico in

un processo detto crossing over. La fase successiva è il (4) diploema (“due filamenti”) durante la quale i

cromosomi appaiati si separano lentamente, tuttavia rimangono in stretto contatto nei punti dove è avvenuto

il crossing over. Questi punti di contatto sono definiti chiasmi (singolare chiasma, dal greco incrocio).

L'attento esame dei chiasmi evidenza che ciascuno di essi coinvolge solo due dei quattro cromatidi della

tetrade. Nell'ultima fase della profase I, ossia la (5) diacinesi (“movimento attraverso”) i cromosomi si

condensano ulteriormente, la membrana nucleare si frammenta e si forma la struttura del fuso. I microtubuli

del fuso si attaccano ai cinetocori dei cromosomi, e quest'ultimi si dispongono in un piano perpendicolare

all'asse del fuso e centrale alla cellula.

2. Durante la metafase I, i cromosomi appaiati si orientano verso i poli opposti del fuso. Questa orientazione

assicura, che quando la cellula si divide, un membro di ciascuna coppia migrerà verso il polo.

3. Nella fase successiva fase ossia l'anafase I, i cromosomi appaiati si separano definitivamente l'uno

dall'altro. Questa separazione è detta disgiunzione cromosomica ed è mediata dal fuso. Quindi i cromosomi

non più appaiati ma separati raggiungono i poli opposti.

4. Nell'ultima fase ossia la telofase I, il fuso si disassembla, le cellule figlie sono separate da membrana, i

cromosomi si decondensano e si forma un nucleo intorno ai cromosomi in ciascuna delle cellule figlie.

II DIVISIONE MEIOTICA

Durante la meiosi II, i cromosomi si condensano e si attaccano ad un nuovo fuso (profase II). In seguito,

raggiungono la posizione sulla piastra equatoriale della cellula (metafase II) ed i loro centromeri si dividono

per consentire ai cromatidi fratelli di migrare verso i poli opposti (anafase II) fenomeno definito

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disgiunzione cromatidica. Durante la telofase II, i cromatidi separati, definiti ora cromosomi, raggiungono i

poli ed intorno ad essi si formano i nuclei. Quindi ciascun nucleo figlio contiene un corredo aploide di

cromosomi. La meiosi II è quindi molto simile alla mitosi, tuttavia le cellule figlie nella meiosi sono aploidi

e il corredo cromosomico non è geneticamente identico a quello della cellula madre.

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41. Il nucleosomaLa maggior parte del DNA nelle cellule eucariotiche è impacchettato nei nucleosomi. Il nucleosoma è

composto di un core di otto proteine istoniche ed il DNA è avvolto attorno ad esse. Il DNA fra ciascun

nucleosoma (il filo fra le perle della collana) è chiamato DNA linker. Mediante assemblaggio in nucleosomi,

il DNA viene compattato approssimativamente 6 volte. Ciò è ben lontano dalle 1000-10000 volte (in termini

di compattazione) che deve raggiungere il DNA nelle cellule eucariotiche. Ciononostante, questo primo

stadio è essenziale per tutti i successivi livelli strutturali necessari per compattare adeguatamente il DNA.

Comunque, il DNA più intimamente legato al nucleosoma, il DNA core, è avvolto approssimativamente

1,65 volte attorno all'ottamero istonico (quasi due giri d'elica) in maniera sinistrorsa. Essendo sinistrorso

l'avvolgimento è toroidale quindi corrisponde a giri di superelica negativa. Comunque, il DNA del core ha

una lunghezza di circa 147 paia di basi ed è una quantità invariabile di tutte le cellule eucariotiche. Invece, la

lunghezza del DNA linker esistente fra i nucleosomi è variabile. Tipicamente questa distanza è di 20-60 paia

di basi. L'organizzazione in unità nucleosomali è stata evidenziata mediante dei saggi di digestione con

endonucleasi (nucleasi micrococcica). Questo enzima digerisce il DNA tagliando preferenzialmente il DNA

linker. In questo modo si ottengono si ottengono i singoli nucleosomi. Con una digestione parziale, invece,

potremmo ottenere non solo il monomero di nucleosoma ma anche i dimeri e i trimeri. A questo punto,

quest'ultimi potranno essere separati su un gradiente di saccarosio ed identificare le varie parti che gli

compongono. Se andiamo sempre più avanti con la digestione otterremo, infine, frammenti sempre più

piccoli arrivando ad identificare il singolo monomero di DNA con 147 bp. Inoltre, in tutte le cellule esistono

zone del DNA che non sono organizzate in nucleosomi (eucromatina). Di norma queste sono regioni di

DNA impegnate nell'espressione genica, nella replicazione o nella ricombinazione.

Gli istoni sono di gran lunga le proteine più abbondanti associate con il DNA eucariotico. Le celle

eucariotiche contengono cinque tipi di istoni: H1, H2A, H2B, H3 e H4. Gli istoni H2A, H2B, H3 e H4 sono

gli istoni del core e formano il complesso proteico (core) attorno a cui il DNA si avvolge. L'istone H1,

invece, non fa parte del core nucleosomico, ma lega il DNA linker che unisce due nucleosomi adiacenti ed è

indicato come l'istone linker. In accordo con il fatto di essere strettamente associati ad una molecola di DNA

che è carica negativamente, gli istoni contengono un gran numero di amminoacidi carichi positivamente. Più

del 20% dei residui amminoacidici contenuti negli istoni sono di lisina o arginina. Comunque, gli istoni sono

formati da una regione conservata che viene chiamata dominio histone-fold. Quest'ultimo è formato da tre

regioni elica separati da due tratti curvi non strutturati. In ogni caso l'histone-fold media la formazione

testa-coda di specifiche coppie eterodimiche. Gli istoni H3 e H4 formano degli eterodimeri che poi si

associano dando origine ad un tetramero in cui sono presenti due H3 e due H4. H2A e H2B invece formano

eterodimeri che però non tetramerizzano. L'assemblaggio di un nucleosoma prevede l'associazione ordinata

di questi complessi proteici con il DNA. Prima il tetramero H3-H4 lega il DNA, successivamente due dimeri

H2A-H2B si uniscono al tetramero per formare il nucleosoma completo.

Ciascun istone del core possiede un estensione N-terminale chiamata “coda”. Essa manca di una struttura

definita e sporge all'esterno del nucleosoma rendendosi accessibile. Tale accessibilità può essere verificata

mediante trattamento del nucleosoma con la proteasi tripsina che digerisce queste estensioni mentre non

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digerisce la regione altamente impacchettata degli histone-fold. Comunque, le code N-terminali esposte non

sono richieste per l'associazione del DNA con l'ottamero istonico, infatti il DNA rimane saldamente

associato al nucleosoma anche dopo trattamento con proteasi. Invece, le code sono sito di consistenti

modificazioni che sono in grado di cambiare la funzione del singolo nucleosoma. Queste modificazioni

includono la fosforilazione, l'acetilazione e la metilazione dei residui si serina e lisina. Inoltre, sebbene non

perfettamente simmetrico, il nucleosoma ha due assi di simmetria che vengono chiamati diadi. In questa

organizzazione, il tetramero H3-H4 e i dimeri H2A-H2B interagiscono con una particolare regione del

DNA. Delle 147 bp di DNA nucleosomico, le regioni dell'histone-fold del tetramero H3-H4 interagiscono

con le 60 paia di basi centrali. La regione N-terminale di H3, più vicina all'histone-fold, forma una quarta -

elica che interagisce con le ultime 13 paia di basi di ciascun terminale del DNA. Da sottolineare, anche, che

il tetramero H3-H4 occupa una posizione chiave nel nucleosoma legando la parte centrale ad entrambe le

estremità del DNA. Invece, ciascuno dei due dimeri H2A-H2B lega circa 30 bp da entrambe le parti delle 60

centrali legate da H3 e H4. Ad una più attenta osservazione ci si rende conto che le basi strutturale e la

particolare curvatura nel nucleosoma, sono dovuti principalmente a quattordici distinti siti di contatto, uno

per ciascuna volta che il solco minore del DNA fronteggia l'ottamero istonico. L'associazione del DNA con

il nucleosoma è mediata da un grande numero di legami idrogeno. La maggior parte di questi legami si

instaura fra le proteine e gli atomi di ossigeno dei legami fosfodiesterici, vicino al solco minore del DNA.

Inoltre, la struttura del nucleosoma risolta a livello anatomico ha fornito informazioni anche riguardo  le

code N-terminali degli istoni. Le quattro code degli istoni H2B e H3 emergono fra e dalle due eliche. La loro

via d'uscita è formata dai due solchi minori adiacenti, che creano uno spazio fra le due eliche del DNA

giusto sufficiente per far passare la catena polipeptidica. In modo analogo emergono dall'altra parte le code

di H2B e H3.

Un ulteriore caratteristica relativa alla formazione dei nucleosomi è la distorsione che subisce il DNA in

queste particolari strutture che è di circa 4,53° per ogni dinucleotide. Per studiare questa caratteristica e

quindi il DNA attorno all'ottamero istonico si è utilizzata la tecnica del footprinting con DNasi I. Questo

enzima taglia il DNA in maniera differente, in quanto, se è nudo la digestione procede normalmente, invece,

in presenza di proteine legate al DNA, questo enzima lo digerisce difficilmente. Si è visto, comunque, che se

digeriamo i nucleosomi, la DNasi I riesce a tagliare i solchi minori esposti verso il solvente, in modo tale da

poter studiare la periodicità del DNA sul cromosoma. Il profilo che si ottiene sono bande che distano 10,2

bp ( invece delle 10,5 bp di Watson e Crick). Per definire le regioni del nucleosoma, invece, si parla di

posizionamento traslazionale per indicare i confini del nucleosoma mentre di posizionamento rotazionale

per indicare le basi a contatto con il DNA e quelle esposte al solvente. Il primo parametro ci indica quindi

quali sono le parti a contatto con l'istone e quelle invece che non lo sono (DNA linker), quindi questo sta ad

indicare anche l'accessibilità che hanno le proteine. Il posizionamento rotazionale, invece, ci fa capire quale

faccia del DNA è esposta, ossia quali coppie di basi si trovano all'esterno verso il solvente. Comunque, tutta

questa organizzazione è importante per capire che il DNA più accessibile alle proteine è quello non

vincolato agli istoni ed esposto al solvente. Il tassello mancante a questo punto era relativo alla disposizione

delle coppie di basi sul DNA. Un esperimento effettuato da Satchwell, Drew e Travers sugli eritrociti di

pollo, che sono nucleati, a permesso di definire questa caratteristica. In laboratorio i nuclei vennero trattati

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con MNasi per ottenere singoli nucleosomi di 147 bp. Questo DNA successivamente venne clonato

all'interno di plasmidi e sequenziato. Grazie all'utilizzo di 177 diverse sequenze, si è visto che vi era una

sequenza non casuale. L'andamento delle coppie di basi risulta essere sinusoidale, le coppie di basi AT si

trovano a contatto con gli istoni mentre GC all'esterno, esposte al solvente. Quindi il punto in cui il DNA

agisce con gli istoni è ricco in AT mentre nella parte esterna in GC. Altre caratteristiche trovate sono che

alcune sequenze tendono ad essere escluse dai nucleosomi, come cinque adenine consecutive, che vanno

quindi a formare il DNA linker. Quindi, in generale, possiamo dire che l'ottamero degli istoni riconosce

caratteristiche conformazionali del DNA, ovvero la capacità di una data sequenza di DNA di distorcersi

attorno all'ottamero a formare 1,65 giri di superelica. Questa proprietà del DNA, che possiamo chiamare

flessibilità, è dipendente dalla sequenza in quanto le coppie di basi nelle loro interazioni non sono

perfettamente planari ma formano spesso degli angoli, energicamente più favoriti (curvandosi).

Nel 1995, Polach e Windom ipotizzarono che il nucleosoma fosse una struttura dinamica, in cui il DNA si

svolge e si riavvolge consentendo alle proteine di riconoscere il proprio sito di legame, Questa ipotesi venne

saggiata mediante digestione con enzimi di restrizione. Questi scienziati, quindi, si resero conto che il DNA

si apre e si richiude permettendo il legame degli enzimi (nucleosome breathing: respirazione nucleosomale).

Questo meccanismo è stato definitivamente approvato con un altro esperimento, applicando una tecnica

detta FRET (trasferimento di energia di risonanza tramite fluorescenza) e con l'utilizzo di due molecole

fluorescenti A e D. La molecola fluorescente A viene eccitata alla lunghezza d’onda dei fotoni emessi da D.

Se D e A sono vicini, A intercetterà l’emissione di D ed emetterà fluorescenza a una diversa lunghezza

d’onda, inibendo l’emissione di P. Se la distanza tra D e A supera R (in genere tra 3 e 7 nm), A non verrà

eccitato e si avrà emissione da P. Quindi, come ben si può capire, questa metodologia viene utilizzata per

capire se due punti di una molecola sono vicini o lontani. Per il nucleosoma, il donatore (D) fu posizionato

all'inizio del DNA e A in un altro punto. Quindi se il cromosoma non si apre, questi due punti risulteranno

vicini altrimenti no. Si vide, che effettivamente il DNA si srotola per permettere l'accesso alle proteine.

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42. Strutture di ordine superiore della cromatinaUna volta che i nucleosomi si sono formati, il passaggio successivo che permette di determinare un ulteriore

impacchettamento del DNA è il legame dell'istone H1. Come gli istoni del core, H1 è una piccola proteina

con carica netta positiva. Esso interagisce con il DNA linker costringendo il DNA ad una maggiore adesione

all'ottamero istonico. Comunque, l'istone H1 ha la non comune proprietà di legare due distinte regioni del

DNA duplex: la prima è il DNA linker che fiancheggia il nucleosoma, il secondo sito è nella parte mediana

delle 147 bp associate all'ottamero istonico. Tenendo queste due regioni del DNA riavvicinate, il legame di

H1 aumenta la lunghezza del DNA arrotolato strettamente attorno all'ottamero istonico. Il legame di H1

stabilizza, quindi, una struttura cromatinica di ordine superiore. In vitro, ad alta concentrazione salina,

l'aggiunta dell'istone H1 determina una struttura avente una sezione trasversale di 30 nm: la fibra da 30 nm.

Questa struttura, visibile anche in vivo, rappresenta il successivo livello strutturale necessario per

condensare il DNA. Esistono due modelli strutturali che possono spiegare la fibra di 30 nm: nel primo, detto

a solenoide, il DNA è organizzato in nucleosomi a formare una superelica contenente approssimativamente

sei nucleosomi per giro; nel secondo, invece, detto a zig-zag, i nucleosomi si dispongono appunto a zig-zag,

sempre in aggiunta dell'istone H1. Bisogna, inoltre, ricordare che gli istoni del core mancanti delle code N-

terminali sono incapaci di formare la fibra da 30 nm, in quanto le code stabilizzano l'ottamero e quindi i

successivi livelli di compattamento.

La condensazione del DNA nei nucleosomi e la formazione della fibra da 30 nm permettono una

compattazione del DNA approssimativamente di 40 volte. Questo grado di compattazione è, però, ancora

insufficiente per alloggiare 1-2 metri di DNA dentro un nucleo avente approssimativamente un diametro di

10-5 metri. Si rendono quindi necessarie altre strutture. Sebbene la natura di quest'ultime non sia ancora ben

chiarita è stato proposto un modello molto condiviso: cioè quello in cui la fibra da 30 nm forma delle anse

contenenti 40-90 kb di DNA. Queste anse sono bloccate alla loro base da una struttura proteica indicata

come scafflod nucleare. Le proteine che fanno parte di quest'ultima struttura proteica sono principalmente la

topoisomerasi II e le proteine SMC che sono componenti chiave del meccanismo di condensazione che porta

alla formazione dei cromosomi dopo la replicazione del DNA. Infine, bisogna dire, che gli istoni del core

sono fra le proteine eucariotiche più conservate nell'evoluzione per cui i nucleosomi formati da queste

proteine sono molto simili a tutti gli eucariotici. Ma ci sono alcune varianti istoniche che possono

rimpiazzare uno dei quattro istoni standard. Ad esempio, CENP-A, è associata ai nucleosomi che includono

il DNA centromerico. In questa regione del cromosoma, CENP-A sostituisce l'istone H3. In questa sede la

coda più lunga di CENP-A, in confronto ad H3, permette di generare nuovi siti di legame per altre

componenti proteiche del cinetocore.

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43. Regolazione della struttura della cromatinaLa natura dinamica del legame del DNA al core ottamerico è importante, poiché molte proteine che legano il

DNA preferiscono di gran lunga farlo sul DNA nudo. Queste proteine, infatti, possono riconoscere il sito

specifico di legame solamente quando viene lasciato libero dagli istoni, cioè quando tale sito è contenuto nel

DNA linker o comunque privo di nucleosomi. Si è visto, che di solito, l'accessibilità al DNA decresce

andando verso il diad axis (diadi). La stabilità dell'interazione dell'ottamero istonico con il DNA è

influenzata da grossi complessi proteici chiamati complessi di rimodellamento nucleosomico. Questi

complessi multiproteici facilitano i cambiamenti della posizione dei nucleosomi o dell'interazione fra il

DNA e l'ottamero utilizzando l'energia proveniente dall'idrolisi di ATP. Questi cambiamenti possono

avvenire in tre modi: 1) per scivolamento dell'ottamero istonico lungo il DNA, 2) per trasferimento

dell'ottamero istonico da un tratto del DNA ad un altro, o 3) per rimodellamento del nucleosoma in modo

tale da permettere un maggiore accesso al DNA. In dettaglio, lo scivolamento è già una caratteristica

intrinseca del nucleosoma, mentre durante il rimodellamento vi sono dei veri e propri complessi ATP-

dipendenti. Questi complessi agiscono come delle leve, legandosi e trascinando, per 10-15 bp, il DNA in

una direzione rendendolo più accessibile. Naturalmente lo spostamento si propaga in tutto il DNA.

Sempre per quanto riguarda la regolazione, dobbiamo dire che quando gli istoni vengono isolati dalle

cellule, le loro code N-terminali (come anche le teste C-terminali) si presentano modificate per l'aggiunta di

una varietà di piccole molecole. Le lisine sono frequentemente modificate con l'aggiunta di gruppi acetilici o

metilici e le serine sono soggette a modificazioni per l'aggiunta di gruppi fosforici. Tipicamente, i

nucleosomi acetilati sono associati con regioni dei nucleosomi che sono trascrizionalmente attivi, mentre

nucleosomi deacetilati sono associati a zone del cromosoma trascrizionalmente represse. A differenza

dell'acetilazione, la metilazione della coda N-terminale degli istoni è associata sia a fenomeni di repressione

che di attivazione della cromatina in funzione dell'amminoacido che viene modificato. La fosforilazione

della coda N-terminale dell'istone H3, invece, è comunemente osservata nella cromatina altamente

condensata dei cromosomi mitotici. Per questi motivi, è stato proposto che queste modificazioni formino un

codice che può essere letto dalle proteine coinvolte nell'espressione genica. Come possono le modificazione

degli istoni alterare la funzione cromosomica? Un ovvio cambiamento è che l'acetilazione e la fosforilazione

determinano la riduzione delle cariche positive delle code istoniche; l'acetilazione della lisina neutralizza le

sue cariche positive. Questa perdita di cariche positive riduce l'affinità delle code per l'impalcatura

longitudinale del DNA che si presenta carico negativamente per la presenza dei residui fosforici. Inoltre, la

modificazione delle code istoniche ha, anche, un effetto diretto sulla funzione del nucleosoma permettendo

la formazione di siti di legame per proteine regolative. Specifici domini strutturali chiamati bromodomini e

cromodomini mediano queste interazioni. Il bromodominio è presente in proteine che interagiscono con le

code acetilate degli istoni, mentre proteine contenenti il cromodominio interagiscono con le code metilate

degli istoni. Molte delle proteine che contengono il bromodominio posseggono attività acetil trasferasica e

agiscono specificatamente sulle code istoniche. Questi complessi possono facilitare il mantenimento e la

creazione di cromatina acetilata. L'associazione delle proteine contenenti il cromodominio con enzimi in

grado di metilare specificatamente le code degli istoni suggerisce, invece, una loro funzione nel

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mantenimento della metilazione dei nucleosomi.

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44. La replicazione del DNAQuando fu scoperta la struttura della doppia elica del DNA, la caratteristica che colpì i biologi fu la

complementarietà delle basi fra le catene polinucleotidiche. Apparve immediatamente chiaro che questa

struttura potesse essere utilizzata come base per la replicazione. Infatti, fu la natura complementare dei due

filamenti che portò molti biologi ad accettare le conclusioni di Oswald T. Avery che sosteneva che il

depositario dell'informazione genetica fosse il DNA e non le proteine. Tuttavia, tutt'oggi, la replicazione

anche della più semplice molecola di DNA, è una reazione molto complessa che coinvolge molti enzimi:

tanto complessa da non essere stata ancora del tutto chiarita. Inoltre, la replicazione deve essere un

meccanismo particolarmente fine per permettere il minor numero di mutazioni, ma anche regolato, per far si

che il genoma di una determinata cellula si duplichi una sola volta per divisione cellulare.

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45. La chimica della sintesi del DNAPerché la sintesi del DNA possa avvenire sono necessari due substrati. Primo, sono richiesti i quattro

deossinucleosidi trifosfati: dGTP, dCTP, dATP e dTTP. I nucleosidi trifosfati hanno tre gruppi fosforici che

sono attaccati al 2'-deossiribosio tramite un legame ossidrilico al 5'-C dello zucchero. Il gruppo fosforico più

interno (cioè più prossimale al deossiribosio) viene indicato come fosfato mentre quello intermedio ed il più

distale sono rispettivamente i fosfati e . Il secondo importante substrato necessario per la sintesi del DNA è

un particolare complesso formato da DNA a singolo e a doppio filamento chiamato complesso

innesco:stampo (primer-template). Come suggerisce il nome stesso, questo complesso è formato da due

componenti: lo stampo è costituito da DNA a singolo filamento che dirige l'aggiunta, alla catena

neosintetizzata, dei deossinucleotidi complementari. L'innesco, invece, è complementare allo stampo, ma

molto più corto e deve presentare, alla sua terminazione, un gruppo 3'-OH. Questo terminale verrà allungato

man mano che i nucleotidi verranno aggiunti, quindi in direzione 5'3'.

Comunque, la chimica della sintesi del DNA richiede che la nuova catena cresca allungando il terminale 3'

dell'innesco. Questa è una caratteristica universale che riguarda sia la sintesi del DNA che quella dell'RNA.

Il legame fosfodiesterico, per aggiungere nucleotidi, si forma mediante una reazione di sostituzione

nucleofila (SN2) in cui il gruppo ossidrilico al terminale 3' dell'innesco si attacca al gruppo -fosfato del

nucleoside trifosfato che deve essere polimerizzato. La molecola che viene rilasciata durante la reazione è

un gruppo pirofosfato formato dai fosfati e del nucleotide. Il filamento stampo, in questa reazione,

determina quale dei quattro nucleosidi trifosfati debba essere aggiunto alla catena di neosintesi. Il nucleoside

trifosfato che risulta complementare a quello del filamento stampo è altamente favorito e quindi legato

all'innesco.

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46. Il meccanismo d'azione della DNA polimerasiLa sintesi del DNA è catalizzata da un enzima chiamato DNA polimerasi. A differenza della maggior parte

degli enzimi, che posseggono un sito dedicato per ogni singola reazione, la DNA polimerasi utilizza un

unico sito attivo per catalizzare l'aggiunta di tutti e quattro i deossinucleosidi trifosfati. La DNA polimerasi

possiede questa flessibilità catalitica che permette di tener conto della identica geometria che caratterizza le

coppie di basi A:T e G:C. Quindi, questo enzima, controlla la capacità de nucleotide che deve essere

polimerizzato di formare le coppie aventi un ingombro sterico identico come lo sono quelle A:T o G:C

piuttosto che verificare la correttezza del nucleotide che entra nel sito attivo. Soltanto quando si forma una

corretta coppia di basi il 3'-OH dell'innesco ed il fosfato in del nucleotide che deve essere polimerizzato si

trovano in una posizione ottimale per la formazione del legame fosfodiesterico. Le DNA polimerasi, inoltre,

mostrano un'impressionante abilità nel distinguere fra ribo- e deossinucleotidi trifosfati. Nonostante i

ribonucleotidi siano, nella cellula, approssimativamente dieci volte più concentrati dei deossi-, essi sono

incorporati ad una velocità che è 1000 volte più bassa. Questa discriminazione è mediata da un esclusione di

carattere sterico che coinvolge il sito attivo della polimerasi. Infatti, nella DNA polimerasi, il sito di legame

al nucleotide è troppo piccolo per permettere la presenza di un 2'-OH sul nucleotide che deve essere

polimerizzato.

Una spiegazione molecolare di come la DNA polimerasi catalizzi la sintesi del DNA emerge dagli studi

della struttura atomica di varie DNA polimerasi mentre legano il complesso innesco:stampo. Queste

strutture rilevano che il DNA substrato si pone in un grande spazio che assomiglia ad una mano destra

parzialmente chiusa. Per analogia i tre domini che formano la polimerasi vengono chiamati: pollice, dita e

palmo. Il palmo è composto da un foglietto e contiene gli elementi principali del sito catalitico. In

particolare, questa regione della DNA polimerasi lega due ioni bivalenti (di norma Mg2+ o Zn2+) che

modificano dal punto di vista chimico l'ambiente attorno alle basi appaiate e il 2'-OH dell'innesco. Infatti,

uno ione metallico riduce l'affinità del 3'-OH per il suo idrogeno, generando un 3'-O- necessario per l'attacco

nucleofilico del fosfato in del nucleotide che deve essere polimerizzato. Il secondo ione stabilizza, invece, il

pirofosfato prodotto durante la reazione, schermando anche le cariche negative del dNTP . In aggiunta del

suo ruolo catalitico, il palmo controlla anche l'accuratezza dell'appaiamento delle basi che sono appena state

polimerizzate. Infatti, questa regione della polimerasi forma con le coppie di basi numerosi legami idrogeno.

Appaiamenti scorretti abbassano drasticamente la velocità di polimerizzazione. La ridotta velocità di

catalisi, unita ad una ridotta affinità per il DNA neosintetizzato, permette il rilascio dell'innesco:stampo da

parte del sito attivo polimerizzante della DNA polimerasi ed il legame ad un sito con attività nucleasica con

funzioni di lettore e correttore di bozze. Le dita sono anch'esse importanti per la catalisi. Infatti, alcuni

residui amminoacidici localizzati all'interno delle dita legano i dNTP (deossinucleotiditrifosfato) che devono

essere polimerizzati. Inoltre, una volta che si è formato un corretto appaiamento, le dita si muovono per

racchiudere e trattenere il dNTP. Le dita entrano in contatto anche con la regione dello stampo piegando di

circa 90° il legame fosfodiesterico che si trova immediatamente dopo il sito catalitico. Questa curvatura,

permette di esporre, al sito attivo, soltanto la prima base dello stampo che si trova dopo l'innesco. Questa

conformazione dello stampo elimina qualsiasi confusione nella scelta del nucleotide che deve essere

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polimerizzato. Al contrario delle dita e del palmo, il pollice, invece, non è direttamente coinvolto nella

catalisi. Questo serve a due scopi: primo, mantiene in corretta posizione l'innesco ed il sito attivo; secondo,

stabilizza il complesso fra la DNA polimerasi ed il substrato. Questa associazione contribuisce ad aumentare

la capacità della DNA polimerasi nell'aggiungere molti nucleotidi tutte le volte che si lega al complesso

innesco:stampo.

Comunque, la catalisi mediata dalla DNA polimerasi è un evento rapido. Le DNA polimerasi sono capaci di

polimerizzare circa 1000 nucleotidi al secondo. La velocità di sintesi è principalmente dovuta alla natura

processiva dell'enzima. La processività è una caratteristica degli enzimi che hanno come substrato dei

polimeri. Nel caso della DNA polimerasi, il grado di processività viene definito come il numero medio di

nucleotidi polimerizzati dall'enzima nell'unità di tempo. Ogni DNA polimerasi è caratterizzata da una

propria processività che può variare da pochi nucleotidi a più di 50000 basi aggiunte ogni volta che l'enzima

di poggia sullo stampo. La polimerizzazione viene di molto aumentata una volta che l'enzima è riuscito a

legarsi al complesso innesco:stampo, di fatto questo è l'evento che può limitare l'efficienza della DNA

polimerasi. Un ulteriore aumento della processività è reso possibile dall'interazione della polimerasi con una

proteina sliding clamp che ha funzione di trascinare la polimerasi stessa. Questa proteina ha una struttura ad

anello e, quando legata, circonda il DNA.

Una certa limitazione della precisione della DNA polimerasi è data dalla occasionale (1 volta ogni 105)

trasformazioni di una base in una forma tautomerica errata (iminica o enolica). Queste forme alternative

delle basi determinano degli errori che necessariamente devono essere rimossi. La possibilità di correzione

del DNA neosintetizzato è mediata dalla presenza di nucleasi che rimuovono le basi scorrette. Questo tipo di

nucleasi è stato inizialmente identificato come attività associata alla stessa DNA polimerasi ed è conosciuto

con il nome di esonucleasi correttore di bozze (proofreading exonuclease). Questo tipo di esonucleasi è

capace di demolire il DNA a partire dal terminale 3' OH, cioè dal punto in cui la nuova catena di DNA si sta

allungando. (Le nucleasi che idrolizzano il DNA a partire da un'estremità della molecola vengono dette

esonucleasi; le nucleasi che invece tagliano all'interno il filamento di DNA sono chiamate endonucleasi). La

rimozione dei nucleotidi errati è facilitata dalla ridotta capacità dell'enzima stesso di aggiungere successivi

nucleotidi ad una coppia di basi che non rispetta il principio di complementarietà, in quanto gli errori

alterano la geometria del 3'-OH che serve per continuare la sintesi. Quindi quando viene aggiunto un

nucleotide non corretto diminuisce la velocità di polimerizzazione, mentre aumenta quella di correzione

dell'errore da parte dell'attività esonucleasica. Comunque, la correzione degli errori non richiede

l'allontanamento del DNA dalla tasca catalitica, in quanto la coppia di basi errata scivola dal sito attivo della

DNA polimerasi e si avvicina al sito che contiene l'attività esonucleasica. Bisogna, inoltre ricordare che

l'esonucleasi correttore di bozze agisce in direzione 5'3', la stessa della replicazione, in quanto, la direzione

opposta porterebbe, dopo l'eliminazione del nucleotide errato ad un terminale che possiede un solo fosfato e

quindi non ha energia necessaria per legare successivamente il nucleotide corretto. Comunque, questo

meccanismo di correzione abbassa la presenza di errori a uno ogni 107. Ulteriori processi di riparazione

faranno abbassare questo numero.

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47. La forca replicativaNella cellula, entrambi i filamenti della doppia elica vengono replicati contemporaneamente. Perché

avvenga ciò è necessaria la separazione dei due filamenti della doppia elica in modo tale da creare due

catene di DNA stampo a singolo filamento, grazie a enzimi denominati DNA elicasi. Questi enzimi si

legano e si spostano lungo il singolo filamento di DNA utilizzando l'energia fornita dall'idrolisi di nucleotidi

trifosfato: di solito ATP. Di solito le DNA elicasi che agiscono a questo livello sono proteine esameriche

che assumono una conformazione ad anello circondando uno dei due filamenti. Ciascuna elicasi si sposta

lungo il DNA in una direzione definita e possono avere una polarità sia 5'3' che 3'5'. Dopo il passaggio della

DNA elicasi, il singolo filamento generato non può riappaiarsi con il filamento complementare in quanto

deve essere usato come stampo per la sintesi della nuova catena di DNA. Per stabilizzare le catene separate

esistono delle proteine: le SSB (single stranded binding protein), che rapidamente si legano ad un singolo

filamento. La presenza di una SSB facilita il legame di un'altra SSB sul tratto di DNA adiacente, agendo in

maniera cooperativa.  Questo legame cooperativo assicura che il singolo filamento, una volta creato dal

passaggio dell'elicasi, venga rapidamente ricoperto dalle SSB. Bisogna, inoltre, specificare che nel momento

in cui i due filamenti vengono separati, a valle della forca replicativa si formano dei superavvolgimenti

positivi. Questo accumulo di superavvolgimenti è il risultato dell'attività della DNA elicasi che elimina i

legami idrogeno fra le catene complementari. Queste supereliche vengono rimosse dalle DNA topoisomerasi

che agiscono sul DNA a valle del sito di replicazione. Questi enzimi riescono a compiere questa attività

tagliando o uno o entrambi i filamenti del DNA senza distaccarsi dal substrato e passando l'altro filamento

attraverso la rottura e successivamente richiudendo il filamento interrotto. Comunque, man mano che

avviene la sintesi, il punto che si trova tra i due filamenti separati e la doppia elica che ancora non ha subito

il processo di divisione è conosciuto come forca replicativa ed è il punto dove vengono sintetizzate le nuove

catene di DNA. Però, la natura antiparallela della doppia elica crea una complicanza per la replicazione

simultanea dei due stampi alla forca replicativa. Poiché il DNA è sintetizzato aggiungendo nucleotidi al

terminale 3', soltanto uno dei filamenti stampo può essere replicato seguendo in modo continuo la

progressione della forca replicativa. Su questo filamento stampo, la polimerasi semplicemente segue la forca

replicativa e il DNA neosintetizzato è conosciuto con il nome di leading strand (filamento continuo). La

sintesi del DNA, che ha come stampo l'altro filamento, è più problematica. Questo stampo impone alla DNA

polimerasi di muoversi in direzione opposta rispetto alla direzione di espansione della forca replicativa. Il

DNA neosintetizzato su questo stampo è conosciuto come lagging strand (filamento ritardato). In

quest'ultimo filamento, ogni qual volta si crea dello stampo di lunghezza adeguata, inizia la sintesi di DNA

fino a raggiungere il terminale 5' del precedente tratto di DNA già sintetizzato. I risultanti frammenti di

nuova sintesi vengono chiamati frammenti di Okazaki e possono variare in lunghezza dai 1000 ai 2000

nucleotidi nei batteri e dai 100 ai 400 nucleotidi negli eucarioti. Subito dopo essere stati sintetizzati questi

frammenti vengono uniti covalentemente l'uno all'altro per creare un filamento continuo di DNA.

Comunque, in entrambi i filamenti, tutte le DNA polimerasi richiedono un innesco che presenti un OH sul 3'

dello zucchero, infatti questi enzimi non possono iniziare la sintesi di DNA de novo. Per questo la cellula

utilizza la primasi, un RNA polimerasi specializzata che permette la formazione di corti (5-10 nucleotidi)

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RNA primer (innesco) che vengono sintetizzati utilizzando come stampo DNA a singolo filamento. Questi

RNA primer sono successivamente allungati dalla DNA polimerasi e utilizzati per la sintesi in quanto le

DNA polimerasi sono in grado di iniziale la sintesi usando sia inneschi di RNA che di DNA. Bisogna, però,

ricordare che mentre il filamento continuo richiede un unico RNA primer, la sintesi discontinua sul

filamento discontinuo è possibile a patto che venga sintetizzato un RNA primer ogni frammento di Okazaki.

In generale, oltre che con la primasi, l'innesco può essere fornito da un nick, ossia un taglio su un filamento

del DNA che rilascia un'estremità 3'-OH, oppure da alcune proteine che possono fornire la stessa estremità

libera.

Affinché la replicazione del DNA sia completa, gli RNA primer utilizzati per la sintesi devono essere

eliminati e rimpiazzati con deossiribonucleotidi. Per questo motivo interviene un enzima chiamato RNAsi H

che riconosce e rimuove la maggior parte di ciascun primer. Questo enzima idrolizza specificatamente

l'RNA appaiato con catene di DNA (l'H sta a significate ibrido, Hybrid RNA:DNA). La rimozione dell'RNA

primer lascia nel DNA uno spazio a singolo filamento (gap) che è un substrato ideale per la DNA

polimerasi: un complesso innesco:stampo. La DNA polimerasi riempie questi gap fino a che non si

ricostruisce un doppio filamento, formando così un DNA completo eccetto per l'interruzione di un legame

fosfodiesterico fra il terminale 3'-OH e quello 5' del fosfato sul filamento riparato. Questa interruzione (nick)

può essere eliminata da un enzima: la DNA ligasi, che utilizza ATP per creare il legame fosfodiesterico.

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48. La specializzazione delle DNA polimerasiPer un efficiente e accurata reazione di replicazione del DNA bisogna che nella cellula vi siano DNA

polimerasi diverse e specializzate. Per esempio, E. coli ha almeno cinque DNA polimerasi diverse che sono

distinguibili per le loro attività enzimatiche, composizione in subunità, e numero di molecole per cellule. La

DNA polimerasi III (DNA pol III) è il principale enzima coinvolto nella replicazione del DNA mentre la

DNA polimerasi I (DNA pol I) è specializzata nella rimozione degli RNA primer che vengono utilizzati per

iniziare la sintesi di DNA. Comunque, entrambi gli enzimi, per essere molto precisi durante il processo,

portano associata un'attività esonucleasica che permette la correzione di eventuali errori. Le tre restanti

DNA polimerasi di E. coli sono specializzate per la riparazione del DNA e mancano di questa attività

esonucleasica. Anche gli eucarioti posseggono più DNA polimerasi: una tipica cellula eucariotica ne

possiede più di 15. Di queste, tre sono essenziali per la duplicazione del genoma: DNA pol , DNA pol e

DNA pol /primasi. Quest'ultima è specificatamente coinvolta nell'iniziare le nuove catene e consiste di una

proteina formata da quattro subunità: a due di queste è associata l'attività polimerasica, mentre le altre due

hanno attività primasica. A causa della relativa lentezza di questo enzima, esso è rapidamente rimpiazzato

dalle polimerasi altamente processive e . Il processo che porta a questo rimpiazzo è detto switching delle

polimerasi. In generale, l'aumento di processività della DNA polimerasi alla forca replicativa dipende dalla

sua associazione con proteine chiamate DNA sliding clamp (“pinza scorrevole”). Queste proteine sono

composte da più subunità uguali fra loro che determinano, nel loro complesso, una forma a “ciambella” o

“pinza”. Questa proteina scivola lungo il DNA senza mai dissociarsi da esso, mantenendo fortemente la

DNA polimerasi posizionata alla forca replicativa. In questo modo la proteina circonda il doppio filamento

neosintetizzato e tiene in posizione la polimerasi associata con il substrato innesco:stampo.

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49. La sintesi del DNA a livello della forca replicativaA livello della forca replicativa i filamenti leading e lagging sono sintetizzati simultaneamente. Questo porta

all'importante vantaggio di limitare la quantità di DNA a singolo filamento presente nelle cellule durante la

replicazione. Quindi, per coordinare la replicazione di entrambi i filamenti, molte DNA polimerasi lavorano

in corrispondenza della forca replicativa. Per esempio, in E. coli, l'azione coordinate di queste polimerasi è

facilitata dal legame fisico che le tiene unite in un grande complesso multiproteico chiamato DNA pol III

oloenzima. Oloenzima è un nome generico per indicare un complesso multiproteico in cui una proteina che

possiede attività catalitica (core) è associata a componenti addizionali che aumentano e regolano la sua

funzione. La DNA pol III oloenzima include due copie dell'enzima DNA pol III core ed una copia di un

complesso formato da cinque proteine , che si lega ad entrambi le copie della DNA pol III core. Esiste il

cosiddetto modello a trombone che ci spiega come tutti gli enzimi e le proteine agiscono a livello della forca

replicativa. La DNA elicasi si muove, alla forca replicativa di E. coli, sullo stampo del filamento lagging, in

direzione 5'3'. La DNA pol III oloenzima interagisce con la DNA elicasi grazie al fattore , che interagisce

con entrambi le polimerasi. Una DNA pol III core sintetizza il filamento leading mentre l'altra sintetizza la

catena lagging. Le SSB coprono le regioni di DNA a singolo filamento. Periodicamente, la DNA primasi si

associa con la elicasi e sintetizza un nuovo innesco sulla catena discontinua. Quando la DNA polimerasi sul

filamento lagging completa un frammento di Okazaki viene rilasciata dalla proteina sliding clamp e dal

DNA. Quindi, il filamento lagging su cui si è appena formato un innesco diventa un punto di attrazione per

il posizionatore della sliding clamp sul complesso innesco:stampo. Quest'ultimo con associata la proteina

sliding clamp lega la DNA polimerasi che inizia la polimerizzazione di un nuovo frammento di Okazaki.

Comunque, tutto il complesso delle proteine che lavorano nella forca replicativa viene chiamato replisoma.

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50. La fase di inizio della replicazioneLa fase iniziale della formazione della forca replicativa richiede la separazione dei due filamenti del DNA in

modo tale che possano fornire uno stampo per la sintesi dei primer e del DNA. Sebbene questa separazione

sia semplice all'estremità terminali dei cromosomi, la sintesi del DNA generalmente inizia in una o più

regioni interne, questo vale anche per i cromosomi circolari dei batteri che non hanno estremità. Gli specifici

siti dove il DNA si apre e dove inizia la sintesi vengono chiamati origini di replicazione. A seconda degli

organismi ci possono essere da una a migliaia di queste origini. Nel 1963, Francois Jacob, Sydney Brenner e

Jacques Cuzin proposero un modello per spiegare gli eventi che permettono l'inizio della replicazione nei

batteri. Essi definirono tutto il DNA sintetizzato, a partire da un'unica origine, come replicone. Per esempio,

poiché l'unico cromosoma di E. coli ha un'unica origine di replicazione, l'intero cromosoma è un replicone.

Al contrario, multiple origini di replicazione frazionano il singolo cromosoma eucariotico, in altrettanti

repliconi: uno per origine. Il modello del replicone contempla due componenti che controllano l'inizio della

replicazione: il replicatore e l'iniziatore. Il replicatore è definito come l'intero set di sequenze nucleotidiche

agenti in cis sufficiente per dirigere l'inizio della replicazione. L'iniziatore, invece, è una proteina che

riconosce in modo specifico un elemento del DNA che si trova nel replicatore, e attiva l'inizio della

replicazione. Comunque, le sequenze di DNA che rappresentano il replicatore condividono due

caratteristiche comuni. In primo luogo, esse includono un sito di legame per la proteina iniziatrice, per

secondo, esse includono tratti ricchi di AT che si aprono molto facilmente anche se non spontaneamente. In

E. coli il replicatore necessario per la replicazione del cromosoma è chiamato oriC. Una sequenza di 9 paia

di basi, ripetuta cinque volte, è il sito di legame per l'iniziatore: la proteina DnaA. Un'altra sequenza di 13

bp, ripetuta tre volte è il sito dove la doppia elica inizia a dividersi per formare il singolo filamento. I

replicatori trovati negli eucarioti multicellulari, invece, non sono stati ancora identificati con certezza.

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51. Selezione delle origini e attivazione operata dell'iniziatoreLe proteine iniziatore svolgono la loro funzione durante la fase di inizio della replicazione. In primo luogo,

queste proteine legano specifiche sequenze di DNA all'interno del replicatore; secondo, una volta legate al

DNA, esse deformano o aprono la doppia elica in una regione del DNA adiacente al loro sito di legame;

terzo, queste proteine interagiscono con fattori addizionali richiesti per l'inizio della replicazione. Per

esempio in E. coli, la proteina DnaA, lega gli elementi di 9 bp ripetuti presenti in oriC, e la sua funzione

viene regolata dalla presenza di ATP. Nelle cellule eucariotiche, invece, l'iniziatore è una proteina

complessa esamerica chiamata ORC, origin recognition complex. La funzione di ORC è stata ben studiata

nelle cellule di lievito, dove si è visto che riconosce una sequenza chiamata elemento-A e successivamente,

tramite sempre idrolisi dell'ATP, riesce a richiamate tutto il macchinario necessario per la replicazione. Una

volta che l'iniziatore si è legato al replicatore, gli altri processi coinvolti nell'inizio della replicazione sono

largamente guidati da interazioni proteina-proteina e proteina-DNA, eventi che sono sequenza indipendenti.

Infatti, dopo che l'iniziatore (DnaA) si è legato a oriC ed ha separato la doppia elica, la combinazione di

DNA a singolo filamento con la proteina DnaA richiama un complesso formato da due fattori: la DNA

elicasi (DnaB), ed il posizionatore della elicasi (DnaC). La DNA elicasi è mantenuta, inizialmente, in uno

stato inattivo per poi attivarsi quando viene rilasciato il suo posizionatore e procede scorrendo in direzione

5'3'. Le interazioni proteina-proteina fra la elicasi e gli altri componenti della forca replicativa, permettono

l'assemblaggio del resto del complesso replicativo. La elicasi, infatti, richiama la DNA primasi verso

l'origine di replicazione: ciò permette la sintesi di un RNA primer su ciascun filamento stampo. La DNA pol

III oloenzima è reclutata all'origine mediante interazioni con la giunzione innesco:stampo e la elicasi. Una

volta che l'oloenzima si è posizionato le sliding clamp sono assemblate sul primer e le DNA polimerasi che

sintetizzano le catene leading iniziano a lavorare. Man mano che, per opera della elicasi, si crea del nuovo

singolo filamento, esso viene ricoperto dalle SSB e la DNA primasi può sintetizzare sul filamento lagging, il

primo primer.

L'inizio della replicazione negli eucarioti, invece, richiede due eventi che devono avvenire in tempi

prestabiliti durante il ciclo cellulare: la selezione del replicatore e l'attivazione dell'origine. La selezione del

replicatore è il processo che permette di identificare le sequenze che dirigeranno l'inizio della replicazione

ed avviene nella fase G1 (e precede la fase S, dove deve avvenire la replicazione). Questo processo porta

all'assemblaggio di un complesso multiproteico su ciascun replicatore del genoma. (Di solito i replicatori

risultano essere metilati). L'attivazione dell'origine avviene solamente dopo che le cellule sono entrate in

fase S e quando il complesso proteico associato al replicatore inizia a separare i due filamenti di DNA, e ad

avviare il reclutamento della DNA polimerasi. La selezione del replicatore è mediata dalla formazione di un

complesso pre-replicativo (pre-RC). Quest'ultimo è formato da quattro proteine separate che si assemblano

su ciascun replicatore. Il primo stadio nella formazione del pre-RC è il riconoscimento del replicatore da

parte dell'iniziatore ORC. Una volta che avviene questo si legano due posizionatori delle elicasi (Cdc6 e

Cdt1). Questo complesso recluta infine l'elicasi. Il pre-RC viene definitivamente attivato da due proteine

chinasi (Cdk e Ddk) nella fase S. Queste proteine fosforilano pre-RC e permettono l'avvio della replicazione

e quindi il reclutamento di tutte le DNA polimerasi. Le proteine chinasi sono molto importanti in quanto

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controllano l'attività di migliaia di origini di replicazione per far si che vengano attivate una sola volta in

ciascun ciclo. Infatti, si è visto, che Cdk gioca un doppio ruolo, grazie alla presenza di diverse

concentrazioni nelle varie fasi del ciclo cellulare: da una parte attiva il pre-RC fosforilandolo, dall'altra

inibisce la formazione dei nuovi pre-RC.

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52. La terminazione della replicazioneIl completamento della replicazione del DNA richiede una specifica serie di eventi. Questi sono diversi a

seconda se i cromosomi sono circolari o lineari. Infatti, dopo la replicazione di un cromosoma circolare, le

risultanti molecole figlie rimangono legate assieme come due anelli di una catena. Per segregare quindi

questi due cromosomi nelle cellule figlie, troviamo l'attività della topoisomerasi II. Questi enzimi hanno la

capacità di tagliare una doppia elica e far passare un secondo doppio filamento attraverso l'interruzione fatta

precedentemente. Questa reazione permetta la decatenazione dei due cromosomi neosintetizzati. Per quanto

riguarda invece i cromosomi lineari,  una volta avvenuta la replicazione si riscontrano problemi nella

replicazione delle parti terminali dei cromosomi lineari nella catena lagging. Infatti, in questa catena

discontinua non appena il complesso raggiunge la parte terminale del cromosoma, la primasi non ha più

spazio sufficiente per sintetizzare un nuovo innesco. Ciò determina una replicazione incompleta ed una

regione, al terminale 3', a singolo filamento. Quando questo tratto di DNA viene ad essere replicato nel ciclo

successivo, uno dei due filamenti sarà accorciato e quindi verrà a mancare tutta quella parte di DNA che non

era stata replicata nel ciclo precedente. Comunque, le cellule risolvono il problema della replicazione dei

terminali in una varietà di modi. Una prima soluzione è quella di usare come primer, una proteina al posto di

un RNA almeno per l'ultimo frammento di Okazaki su ciascun estremità del cromosoma. In questo caso la

proteina fornisce un OH che possa rimpiazzare il 3'-OH normalmente fornito dall'RNA primer. La maggior

parte delle cellule eucariotiche, però, si avvale di una soluzione completamente diversa. Come abbiamo

visto in precedenza, le estremità dei cromosomi eucariotici vengono denominate telomeri e sono

generalmente formate da sequenze ripetute ricche di TG (5'-TTAGGG-3'). Sebbene molte di queste

ripetizioni siano a doppio filamento, il 3' di ciascun cromosoma si estende oltre il 5' formano un tratto di

DNA a singolo filamento che può essere utilizzato come origine di replicazione per risolvere il problema.

Questa regione recluta un particolare enzima chiamato telomerasi, formato da una parte proteica e una parte

di RNA. Come tutte le altre polimerasi, la telomerasi agisce allungando il terminale 3' del suo substrato. Ma

a differenza della maggior parte delle DNA polimerasi, la telomerasi non necessita di uno stampo esogeno

che indirizzi la polimerizzazione dei nuovi nucleotidi, in quanto la componente ad RNA funziona come

stampo endogeno.

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53. La mutabilità e la riparazione del DNAUn basso tasso di mutazione è requisito essenziale perché il materiale genetico venga trasmesso in maniera

corretta da una generazione all'altra. Infatti, un'alta frequenza di mutazione a livello della linea germinale

distruggerebbe la specie, mentre, a livello delle cellule somatiche, annienterebbe il singolo individuo. D'altro

canto, se il materiale genetico venisse ad essere trasmesso con assoluta fedeltà, verrebbe a mancare quella

variabilità genetica necessaria all'evoluzione; una situazione incompatibile con la comparsa di nuove specie,

inclusa quella umana. La vita e la biodiversità dipendono, quindi, da un giusto equilibrio tra l'insorgenza di

nuove mutazioni e la capacità di ripararle. Comunque, l'inaccuratezza della replicazione del DNA e il danno

chimico rappresentano le due principali fonti di danno al genoma. Per quel che concerne gli errori di

replicazione, essi derivano principalmente dalla tautomerizzazione, fenomeno che rappresenta un limite

nell'accuratezza dell'appaiamento delle vasi durante la sintesi del DNA. Il macchinario enzimatico deputato

alla replicazione tenta di correggere l'incorporazione di nucleotidi sbagliati attraverso un meccanismo di

correzione di bozze, ma a volta alcuni di essi sfuggono al controllo. Riguardo al danno chimico, il DNA è

una molecola organica complessa e fragile, dotata di una limitata flessibilità, che non solo va incontro a

danni spontanei, quali per esempio la perdita di basi, ma viene anche aggredita da sostanze chimiche naturali

e non, o da radiazioni, capaci di rompere lo scheletro della molecola o di alterarne le basi. L'inserzione di

elementi a DNA, noti come trasposoni, rappresenta la terza importante fonte di mutazioni. Tutte queste

mutazioni potrebbero alterare la sequenza codificante o le regioni regolative di un gene.

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54. Gli errori di replicazione e la loro riparazioneCon mutazioni di intende praticamente ogni possibile cambiamento nella sequenza del DNA. Le più

semplici mutazioni sono date dal cambiamento di una base con un'altra e ne esistono di due tipi. Le

transizioni consistono in sostituzioni di pirimidine con pirimidine, o purine con purine, quali per esempio un

cambiamento da T a G o A e da A a C o T. Altre mutazioni semplici consistono nell'inserimento o nella

delezione di un singolo nucleotide o di un piccolo gruppo di nucleotidi. Le mutazioni a carico di un solo

nucleotide sono dette mutazioni puntiformi. Altre mutazioni, quali lunghe inserzioni o delezioni e grossi

riarrangiamenti della struttura cromosomica, causano dei cambiamenti più drastici del DNA. In media la

frequenza con cui una nuova mutazione insorge spontaneamente in un qualunque sito del cromosoma ha un

valore compreso tra 10-6 e 10-11, per ciclo di replicazione, anche se vi sono alcuni siti del cromosoma detti

“punti caldi” caratterizzati da una più elevata frequenza di mutazione. Uno di questi siti sono le sequenza

note come DNA satellite, costituite da brevi ripetizioni del dinucleotide CA. Il macchinario replicativo ha

delle difficoltà nel copiare in modo accurato queste ripetizioni, e spesso va incontro a fenomeni che causano

l'allungamento o la riduzione del numero di ripetizioni (polimorfismo nella popolazione, usato come

marcatore fisico). Comunque, come abbiamo già visto, l'apparato replicativo è caratterizzato da un'elevata

accuratezza, grazie ad un sistema di correzione di bozze, dato dall'attività esonucleasica 3'5' del replisoma,

capace di rimuovere i nucleotidi incorporati in maniera scorretta. Questa attività di correzione di bozze

aumenta la fedeltà della replicazione di un fattore 100. L'esonucleasi non è, comunque, infallibile ed alcuni

nucleotidi, erroneamente incorporati, sfuggono al controllo portando ad un errore di appaiamento tra il

filamento neosintetizzato e lo stampo. A questo punto, in un secondo ciclo di replicazione, il nucleotide

scorrettamente incorporato, farà parte del filamento stampo e porterà all'incorporazione nel filamento di

nuova sintesi di un nucleotide complementare, fissando quindi la mutazione.

Per fortuna esiste un sistema capace di riconoscere i mismatch e di ripararli. Il sistema di riparazione dei

mismatch o mismatch repair (MMR), che aumenta la correttezza della sintesi del DNA di due o tre fattori di

grandezza, è il principale responsabile della replicazione del DNA. Questo sistema di riparazione deve

affrontare due problemi: deve analizzare l'intero genoma alla ricerca di errori nell'appaiamento delle basi e

ripararli velocemente. Inoltre, lo stesso sistema deve sostituire il nucleotide sbagliato, nel nucleotide di

neosintesi, e non quello corretto, presente sull'elica parentale. Si è visto, che i E. coli, la prima fase

dell'MMR è costituita dal riconoscimento dei substrati da parte della proteina MutS, in forma di omodimero,

grazie alla lieve distorsione che provocano gli appaiamenti errati. Il legame di MutS al substrato è stimolato

da un secondo omodimero MutL, la cui funzione è probabilmente quella di molecular matchmaker in grado

di accoppiare il riconoscimento del danno da parte di MutS con la tappa successiva in cui interviene

l'endonucleasi MutH, un enzima che taglia il filamento nelle immediate vicinanze dell'appaiamento errato. A

partire dal punto di incisione, l'elica di DNA viene srotolata dalla DNA elicasi II fino al punto dov'è situato

il mismatch, e il filamento che lo contiene viene quindi degradato da esonucleasi a singolo filamento in

grado di agire sia con direzionalità 5'3' (RecJ e ExoVII), quindi dal taglio in 5' fino all'errore verso il 3', che

3'5' (ExoI e ExoX, esonucleasi I e X), quindi dal taglio in 3' all'errore che si trova al 5'.. Infine la DNA

polimerasi III, in presenza delle proteine SSB (Single Strand Binding), colma la discontinuità formatasi e la

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DNA ligasi salda definitivamente il filamento riparato. Ma come fa il sistema di riparazione di E. coli a

riconoscere quali dei due nucleotidi scorrettamente appaiati deve sostituire? La Dam metilasi metila i residui

di A su entrambi i filamento della sequenza 5'-GATC-3'. Questa sequenza è ampiamente rappresentata lungo

l'intero genoma e quando una forca di replicazione passa sulla sequenza GATC, metilata su entrambi i

filamenti, le molecole DNA figlie, a doppio filamento, risultano emimetilate. Perciò per alcuni minuti, fino a

quando la Dam metilasi raggiunge e modifica il filamento di neosintesi, la doppia elica di DNA figlia è

metilata solamente sul filamento che funge da stampo. Il filamento di nuova sintesi risulta quindi marcato

(in quanto privo di gruppo metilico) e riconoscibile come filamento da riparare. Nelle cellule eucariotiche,

invece, sono stati identificati due complessi in grado di riconoscere gli errori della replicazione, MutS e

MutS. Sia l'uno che l'altro contengono MSH2, che interagisce con MSH6 in MutS e con MSH3 in MutS.

Dati in vitro indicano che MutS, il complesso più abbondante nelle cellule umane, riconosce

preferenzialmente gli appaiamenti errati delle basi, mentre MutS sembra specificamente coinvolto nel

riconoscimento di anse extra-elica maggiori di due nucleotidi. È stato ipotizzato inoltre che l'interazione di

hMutS e di altre proteine permetta di utilizzare i frammenti di Okazaki quale segnale di discriminazione tra

l'elica parentale ed elica di nuova sintesi. Le interazioni potrebbero quindi favorire il distacco del complesso

replicativo del filamento neosintetizzato, la degradazione nucleotidica a partire dall'estremità 3'-OH libera e

il reclutamento dei fattori necessari per la sintesi riparativa. Comunque, nell'uomo l'inattivazione del MMR è

associata con il cancro ereditario del colon di tipo non poliposico (Hereditary Non Polyposis Colon Cancer,

HNPCC), i cui affetti sviluppano tumori ad un età relativamente giovane (40-50 anni). In famiglie affette da

questo tumore si osserva anche un eccesso di tumori dell'ovaio, dello stomaco e della vescicola e si è visto

che la maggior parte dei pazienti presenta mutazioni germinali in eterozigosi nei geni hMLH1 e hMSH2.

Questi dati suggeriscono che l'inattivazione di questi due geni abolisca completamente il MMR, mentre

difetti nelle altre proteine del MMR ne causino un difetto parziale. 

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55. I danni al DNALe mutazioni insorgono non solo in seguito ad errori nella replicazione ma anche in seguito a fenomeni di

danno al DNA. Alcuni di questi danni sono causati da fattori ambientali, quali le radiazioni e le così dette

sostanze mutagene, ovvero da quei componenti chimici che aumentano la frequenza d'insorgenza delle

mutazioni. D'altro canto anche l'acqua può provocare delle mutazioni spontanee al DNA. Il danno idrolitico

più frequente e più importante consiste nella deamminazione della citosina portando alla formazione di

uracile, una base che normalmente si ritrova nel DNA. L'uracile si appaia con l'adenina, e quindi durante la

replicazione, nel filamento di neosintesi è introdotta questa base, al posto della G che si sarebbe appaiata con

la C. Anche l'adenina e la guanina vanno incontro a questo processo, la prima viene convertita in ipoxantina,

che forma legami idrogeno con la citosina e non con la timina, mentre la seconda è trasformata, invece, in

xantina, che continua ad appaiarsi con la citosina, anche se mediante la formazione di due soli legami

idrogeno. La guanina va anche incontro a depurinazione, in seguito all'idrolisi spontanea del legame N-

glicosidico; questa trasformazione porta nel DNA ad un sito senza base. Inoltre, nel DNA dei vertebrati,

abbonda al posto della citosina, la 5-metil citosina, il prodotto dell'attività di un enzima, noto come DNA-

metiltransferasi. Questa base modificata è di importanza fondamentale nei processi di silenziamento

dell'espressione genica. La deamminazione della 5-metilcitosina genera la timina che, ovviamente, non

viene riconosciuta come una base anormale e, di conseguenza, in seguito a replicazione del DNA, viene

fissata come transizione da C a T. In accordo con ciò, nel DNA dei vertebrati, le C metilate rappresentano

dei punti suscettibili a frequenti mutazioni. Comunque, il DNA può essere danneggiato anche

dall'alchilazione, l'ossidazione e l'irradiazione. Nell'alchilazione, gruppi metilici o etilici vengono trasferiti

sui siti reattivi delle basi e sui fosfati dello scheletro del DNA. Ad esempio, uno dei siti suscettibili

all'alchilazione è l'ossigeno dell'atomo di carbonio 6 della guanina. Il prodotto di questa metilazione, l'O6-

metilguanina, spesso si appaia con la timina, portando, quando il DNA danneggiato viene replicato, alla

sostituzione della coppia di basi G:C con la coppia A:T. Il DNA viene attaccato anche da forme di ossigeno

reattive, come per esempio l'O2-, l'H2O2 e l'OH. Questi potenti agenti ossidanti sono generati dalle

radiazioni ionizzanti e dagli agenti chimici che generano radicali liberi. L'ossidazione della guanina, per

esempio, porta alla formazione di oxoG. Quest'ultimo addotto è altamente mutageno perché si può appaiare

sia con l'adenina che con la citosina. Un altro tipo di danno delle basi è dato dalla luce ultravioletta. Le

radiazioni con una lunghezza d'onda di circa 260 nm sono fortemente assorbite dalle basi; ne deriva la

fusione fotochimica di due pirimidine che occupano posizioni adiacenti sulla stessa catena polinucleotidica.

Nel caso di due timine, questa fusione è detta dimero di timina, una forma molecolare che consiste in un

anello ciclobutanico generato dai legami tra gli atomi di carbonio 5 e 6 delle timine adiacenti. Queste basi

dimerizzate sono incapaci di formare legami idrogeno con le basi complementari e portano la DNA

polimerasi ad arrestarsi durante la replicazione. Infine, le radiazioni gamma ed i raggi X (radiazioni

ionizzanti) sono particolarmente pericolose perché producono nel DNA delle rotture a doppio filamento,

difficili da riparare.

Le mutazioni sono dovute anche all'azione di composti che sostituiscono le basi normali (analoghi delle

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basi) o che si infilano tra le basi (agenti intercalanti) portando ad errori replicativi. Gli analoghi delle basi

sono abbastanza simili alle basi da essere assunti dalla cellula e incorporati nel DNA durante la replicazione,

ma, a causa delle differenze strutturali, gli analoghi si appaiano in modo non accurato e portano a frequenti

errori di replicazioni. Ad esempio il 5-bromouracile, un analogo della timina, può appaiarsi con la guanina.

Gli agenti intercalanti, invece, sono delle molecole piatte capaci di legarsi alla struttura egualmente piatta

delle basi puriniche o pirimidiniche del DNA nello stesso modo con cui le basi si legano o s'impilano l'una

sull'altra nella doppia elica. Gli agenti intercalanti, come la proflavina, l'acridina e l'etidio, sono di solito

associati a delezioni o inserzioni di una coppia di basi, o perfino di qualche coppia di basi.

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56. La riparazione del DNA danneggiatoPer evitare gli effetti avversi del permanere di un danno nel DNA le cellule hanno sviluppato nel corso

dell'evoluzione un intricato sistema di risposte atte a salvaguardare l'integrità del genoma. I meccanismi di

riparazione propriamente detti ripristinano la corretta sequenza del DNA senza introdurre errori (error-free).

Altri sistemi, definiti meccanismi di tolleranza, non rimuovono il danno ma assicurano la sopravvivenza

cellulare anche se talvolta introducono nuovi errori (error-prone). I principali meccanismi di riparazione

sono: la riparazione per excisione di nucleotidi, la riparazione per excisione di basi, la riparazione per

ricombinazione, che viene utilizzata quando entrambi i filamenti di DNA sono danneggiati o quando il DNA

è rotto, e la riparazione degli appaiamenti errati delle basi del DNA. Alcuni danni, invece, possono essere

rimossi direttamente per reversione della modificazione chimica che li ha generati. Tra i sistemi di

reversione diretta del danno troviamo la fotoriattivazione dei dimeri di pirimidina (CPD), uno dei principali

danni indotti sul DNA dai raggi ultravioletti (UV), e la trasmetilazione, un processo che attua la rimozione

diretta del danno indotto dagli agenti alchilanti a livello delle guanine presenti nel DNA e che ha un ruolo

importante nella prevenzione della cancerogenesi.

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57. Riparazione diretta del danno al DNAI dimeri di pirimidina (CPD), uno dei danni principali indotti sul DNA dai raggi UV, possono fotorevertire

spontaneamente a lunghezze d'onda comprese tra i 200 e i 300 nm (fotoriattivazione non enzimatica) o

essere monomerizzati ad opera della DNA fotoliasi (fotoriattivazione enzimatica), un enzima che si lega al

dimero, e in presenza di energia luminosa con lunghezze d'onda comprese tra 300 e 500 nm, catalizza una

reazione che rompe l'anello di ciclobutano che unisce le due pirimidine. La fotoriattivazione enzimatica è un

sistema efficiente e accurato che è stato descritto sia nei procarioti che negli eucarioti ma è assente nei

mammiferi placentati.  Per questo, è attualmente considerata un meccanismo di riparazione che non ha alcun

significato biologico nelle cellule umane. Comunque tutte le fotoliasi sono associate a due cromofori: il

flavina adenina dinucleotide ridotto (FADH2) e una pterina. La DNA fotoliasi è in grado di legare il DNA

interagendo con una regione di 6-7 nucleotidi attorno al dimero. La formazione del complesso enzima-

substrato avviene anche in assenza di luce, che è invece necessaria per innescare la reazione enzimatica: la

luce viene infatti assorbita dalla pterina, che si eccita e trasferisce energia al cromoforo flavinico che,

eccitandosi a sua volta, torna stabile cedendo un elettrone al dimero. Si forma così un anione del dimero che

è instabile e monomerizza rompendo l'anello del ciclobutano che unisce le due pirimidine.

La transmetilazione, invece, è un processo che rimuove l'O6-metilG, una lesione altamente citotossica e

mutagena indotta dall'esposizione a cancerogeni metilanti e a farmaci chemioterapici. L'O6-metilG permette

alla guanina di appaiarsi sia con la citosina che con la timina. Nell'uomo l'attività che rimuove l'O6-metilG è

codificata dal gene O6-metil-guanina-DNA metiltrasferasi (MGMT). MGMT ripara la O6-metilG attraverso

un processo molto veloce e error-free che coinvolge una singola reazione (il trasferimento del gruppo

metilico della O6-metilguanina a un residuo di cisteina della proteina stessa) durante la quale la MGMT si

inattiva. La MGMT non è quindi un enzima catalitico nel senso usuale del termine e viene definito enzima

suicida, dal momento che la proteina è consumata dal suo stesso substrato. Ciò implica che la riparazione si

esaurisce quando la proteina MGMT disponibile viene consumata.

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58. La riparazione per escissione di basiIl BER (Base Excision Repair) è un processo deputato alla rimozione delle basi del DNA modificate in

seguito ad eventi di deamminazione idrolitica, ossidazione e alchilazione. Questo tipo di danno può derivare

da meccanismi endogeni quali il normale metabolismo cellulare o formarsi in seguito ad esposizione a

cancerogeni ambientali o farmaci chemioterapici. Il BER interviene inoltre nella riparazione dei siti

apurinici/apimiridinici (siti AP), che si formano per perdita spontanea delle basi. Infine, il BER è in grado di

operare a livello delle rotture a singola elica del DNA causate dall'esposizione ai raggi X. L'evento chiave

del meccanismo molecolare del BER è l'idrolisi del legame N-glicosidico tra la base alterata e il

desossiribosio che determina il rilascio della base stessa. Questa reazione è caratterizzata da una classe di

enzimi detti DNA glicosilasi, con diversa specificità di substrato. Nell'uomo sono state sino ad oggi

identificate otto DNA glicosilasi, di cui quattro coinvolte nella correzione della citosina deamminata

(uracile) e dei prodotti di deamminazione della 5-metilcitosina. La presenza nel genoma di uracile derivato

da citosina deamminata crea dei mismatch U:G che, in assenza di riparazione, alla successiva replicazione

originano transizioni G:CA:T. Comunque il meccanismo catalitico è molto simile nelle varie DNA

glicosilasi eucariotiche e consiste nella diffusione facilitata dell'enzima lungo il solco minore del DNA fino

al riconoscimento di una base sospetta. L'enzima a questo punto si lega al DNA e lo distorce comprimendo

lo scheletro del filamento contenente la lesione; estroflette quindi la base per inserirla in una propria tasca

specifica per il riconoscimento ed opera il taglio del legami glicosidico tra la base alterata e il desossiribosio.

La glicosilasi può quindi rimanere legata al sito AP fino a quando non interviene una AP endonucleasi (AP

endo), l'enzima che opera la tappa successiva del BER. Nella tappa successiva, infatti, i siti AP generati

vengono riconosciuti da una AP endo. La HAP1 è la AP endo più abbondante che incide il sito AP al 5' del

fosfodeossiribosio e genera un gruppo 3'-OH che verrà utilizzato dalla polimerasi per inserire il nucleotide

corretto. La riparazione via BER, a questo punto, è completata attraverso due diverse modalità, definite

short-patch e long-patch. Il BER short-patch sostituisce la base danneggiata con risintesi di un solo

nucleotide, mentre il BER long-patch porta alla rimozione (grazie ad una proteina con attività sia endo- che

esonucleasica, FEN1) e risintesi di un frammento di lunghezza variabile dai 2 ai 10  nucleotidi. La

polimerasi nel BER short-pach è la DNA polimerasi , che tramite il suo dominio C-terminale interagisce con

l'estremità 3'-OH e inserisce un solo nucleotide, mentre nel BER long-patch troviamo le polimerasi e .

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59. La riparazione per escissione di nucleotidiIl NER (Nucleotide Excision Repair) è un sistema di riparazione del DNA generale e versatile in quanto è

stato identificato sia nei procarioti che negli eucarioti ed è in grado di rimuovere un'ampia gamma di danni,

correlati alla capacità di determinare una distorsione notevole della molecola di DNA: I substrati

biologicamente più rilevanti del NER sono i dimeri di pirimidina (CPD) e i (6-4) fotoprodotti, ossia le

lesioni principali indotte sul DNA dai raggi UV. Altre lesioni rimosse dal NER sono gli addotti ingombranti,

indotti dall'esposizione ad idrocarburi aromatici e i legami crociati inter- e intra-elica indotti da agenti

antitumorali. Comunque in tutti gli organismi il NER si atta attraverso cinque tappe fondamentali: 1)

riconoscimento del danno; 2) denaturazione locale del DNA e incisione del tratto danneggiato ad entrambi i

lati della lesione; 3) excisione dell'oligonucleotide contenente il danno; 4) sintesi riparativa; 5) legame del

tratto neosintetizzato alla molecola di DNA. Esistono, inoltre, due diverse modalità di intervento definite

rispettivamente: riparazione accoppiata alla trascrizione ( Transcription Coupled Repair, TCR) e riparazione

del genoma globale (Global Genome Repair, GGR), che differiscono sostanzialmente per le modalità e le

attività coinvolte nella prima tappa del processo, ossia il riconoscimento del danno. In E. coli, la riparazione

delle regioni silenti del genoma attuata dal GGR richiede l'intervento di quattro proteine. Le prime tappe del

processo, durante le quali il danno viene riconosciuto ed inciso, sono attuate da un unico complesso

enzimatico, detto complesso excinucleasico UvrABC, composto da tre distinte subunità. In presenza di ATP,

due molecole di UvrA dimerizzano e interagiscono con una molecola di UvrB. Il complesso UvrA2B è in

grado di legarsi al DNA e di riconoscere cambiamenti strutturali dovuti alla presenza di un danno. A questo

punto, UvrB apre un tratto di cinque coppie di basi attorno alla lesione, favorendo il rilascio di A2. Da qui,

la proteina UvrC si lega al complesso di preincisione e insieme al UvrB-DNA attua due incisioni sul

filamento danneggiato. Si ha, in questo modo, il rilascio di un frammento contenente 12-13 basi a singolo

filamento, che contiene anche il danno, ad opera della proteina UvrD o DNA elicasi II, che si lega in 5'

vicino al sito di incisione e precede in direzione 5'3' separando i due filamenti di DNA. La discontinuità

risultante è contemporaneamente colmata dalla DNA polimerasi I che risintetizza il tratto mancante usando

come stampo l'elica integra. Infine la DNA ligasi salda il tratto di nuova sintesi alla molecola di DNA. Nel

TCR di E.coli, invece, è coinvolta una proteina detta Transcription Repair Coupling Factor (TRCF) che si

lega al complesso della RNA polimerasi, bloccata dalla presenza di un danno sull'elica trascritta, e

determina il rilascio del complesso stesso e del trascritto incompleto del DNA. Contemporaneamente TRCF,

grazie alla sua affinità di legame per UvrA, richiama al sito danneggiato il complesso UrvA2B da cui tutto

procede come nel caso precedentemente descritto della GGR sempre in E.coli. Il NER negli eucarioti,

invece, opera attraverso le stesse tappe descritte per i procarioti, ma è caratterizzato da una maggiore

complessità sia a livello biochimico che molecolare. Uno strumento di indagine sui meccanismi di questo

sistema di riparazione sono stati i mutanti difettivi nel NER rappresentati dalle cellule di pazienti affetti da

xeroderma pigmentosum (XP), della sindrome di Cockayne (CS) e dalla tricotiodistrofia (TTD). Il quadro

che ne risulta è quello di un sistema estremamente complesso: sono infatti almeno trenta le proteine la cui

azione coordinata è necessaria per portare a termine l'intero processo. Il primo fattore a intervenire nel GGR

è l'eterodimero formato dai prodotti del gene XPC (mutato nei pazienti affetti da XP) e hHR23B. Il

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complesso XPC-hHR23B si lega al DNA danneggiato e, denaturando localmente un tratto di 8-10

nucleotidi, ne determina una modificazione conformazionale che richiama gli altri fattori dell'apparato

riparativo. Una volta attuato il riconoscimento del danno, grazie all'attività coordinata di molteplici proteine

che vanno sotto il nome di Replication Protein A, si forma una struttura definita complesso aperto. Quindi si

apre una regione di circa 10-20 nucleotidi attorno al danno grazie alle attività DNA elicasiche, di due

subunità XPB e XPD, in direzione 3'5' e 5'3'. A questo punto, la proteina XPG si posiziona al 3' del danno

interagendo con TFIIH, una delle Replication Protein A. L'apertura del tratto è stabilizzata da XPA e RPA

che aumentano l'affinità di legame col DNA e verificano la specificità del substrato. A questo punto XPG

attua la prima incisione al 3' del danno e successivamente il complesso ERCC1-XPF, opera la seconda

incisione al 5' della lesione. Si forma così un oligonucleotide di 25-30 nucleotidi che viene rimosso

presumibilmente ancora legato ad uno o più componenti del complesso riparativo, mentre la regione a

singola elica viene protetta da RPA. Successivamente la DNA polimerasi o risintetizza la sequenza excisa a

partire da sito di incisione 5' della lesione, utilizzando come stampo l'elica complementare integra.  Nella

riparazione accoppiata alla trascrizione (TCR), invece, abbiamo la presenza di tutte le proteine implicate

nella GGR, ad eccezione del complesso  XPC-hHR23B. In questo contesto infatti è l'RNA polimerasi

bloccata a livello del danno che determina nella struttura del DNA un'alterazione sufficiente per il

reclutamento delle attività che operano nelle fasi successive al riconoscimento del danno. Nel TCR sono

inoltre coinvolte in modo specifico le proteine CSA e CSB, la cui inattivazione è responsabile della

sindrome di Cockayne.

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60. Riparazione del DNA tramite ricombinazioneNelle cellule eucariotiche sono presenti due sistemi di ricombinazione deputati alla riparazione delle rottura

a doppia elica (Double Strand Breaks, DSB), un danno indotto da radiazioni ionizzanti, radicali liberi e

mutageni chimici. La presenza di una rottura a doppia elica innesca una complessa cascata di eventi

finalizzati al blocco del ciclo cellulare e al reclutamento di fattori di riparazione. Uno degli iniziatori del

processo è il prodotto del gene ATM, una chinasi che mediante p53 riesce ad arrestare il ciclo cellulare  in

G1 e causa la fosforilazione dell'istone H2AX nel dominio di DNA vicino alla rottura a doppia elica. La

riparazione quindi può avvenire con due diverse modalità: la ricombinazione omologa (Homologous

Recombination, HR) e la ricombinazione non omologa (Non Homologous End Joining, giunzioni delle

estremità non omologhe, NHEJ). Questi due meccanismi competono l'uno con l'altro, ma si è visto che nelle

fasi S e G2 del ciclo cellulare prevale in genere la ricombinazione omologa mentre nella fase G1 la

ricombinazione non omologa. Nell'ambito della HR si ha prima il processamento delle estremità generate

dalla rottura a doppia elica ad opera del complesso RAD50-MRE11-NBS1, la cui attività esonucleasica

porta alla comparsa di estremità 3' a singolo filamento. A questo punto, la proteina RPA promuove il

reclutamento a livello di questi tratti di altre proteine che polimerizzano sul filamento di DNA formando

strutture nucleoproteiche capaci di ricercare le regioni omologhe con cui appaiarsi. Una volta accaduto

questo, RAD51 catalizza lo scambio tra il filamento di DNA e la stessa sequenza presente nella molecola

omologa di DNA a doppia elica che viene usata come stampo per ripristinare l'integrità del DNA tramite

sintesi della regione mancante. Il tratto neosintetizzato può svolgersi dall'elica omologa e tornare ad

appaiarsi con il filamento che conteneva l'altra rottura generata dal DSB. Comunque, mentre l'HR è una

modalità di riparazione che sostanzialmente non introduce errori in quanto usa l'informazione genetica

contenuta nel cromatidio fratello o nel cromosoma omologo a quello danneggiato, il NHEJ è un processo

che può causare delezioni più o meno estese, e quindi indurre mutazioni nel genoma, in quanto lega

direttamente le estremità dei due filamenti, talvolta dopo parziale degradazione. Nell'ambito del HHEJ, i

DSB sono riconosciuti dall'eterodimero Ku80-Ku70 che reclutando la proteina DNA-PKcs favoriscono la

segnalazione del danno. Le estremità generate dal danno vengono infine saldate dal complesso

XRCC4/DNA ligasi IV. La mancata o errata riparazione dei DSB può causare perdita di cromosomi,

traslocazioni, delezioni e in genere favorire la cancerogenesi. Tra le diverse patologie ad eredità autosomica

recessiva sono associate a difetti nella riparazione dei DSB: l'atassia telangiectasia (AT), l'atassia

telangiectasia-like (AT-LD) e la sindrome di Nijemegen, che sono rispettivamente dovute a mutazioni nei

geni ATM, MRE11 e NBS1. Queste malattie sono tutte caratterizzate da predisposizione allo sviluppo di

tumori, in particolare linfomi, elevata sensibilità alle radiazioni ionizzanti, immunodeficienza e instabilità

cromosomica.

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61. La ricombinazione omologa a livello molecolareTutto il DNA è ricombinante. Lo scopo generale dello scambio genetico è quello di mescolare e riarrangiare

continuamente i cromosomi ma soprattutto durante la meiosi, quando i cromosomi omologhi si appaiano

prima della prima divisione nucleare. Infatti, è proprio durante questo appaiamento che avviene lo scambio

di materiale genetico tra i cromosomi. Questo scambio, classicamente chiamato crossing over, è uno dei

risultati della ricombinazione omologa, che porta allo scambio fisico di sequenze di DNA tra i cromosomi.

La frequenza di crossing over tra due geni sullo stesso cromosoma dipende dalla distanza fisica fra questi

due geni; maggiore è la distanza, maggiore è la frequenza di scambio. A volte però l'ordine dei geni cambia:

per esempio, segmenti di DNA mobili, detti trasposoni, occasionalmente “saltano” tra i cromosomi e

promuovono dei riarrangiamenti del DNA, cambiando in questo modo l'organizzazione dei cromosomi.

Comunque, la ricombinazione omologa è un processo cellulare di fondamentale importanza, catalizzato da

enzimi la cui sintesi ed attività è finemente regolata. Oltre che a fornire una fonte di variabilità genetica, la

ricombinazione permette alle cellule di recuperare sequenze perse in seguito a danni al DNA, rimpiazzando

la regione danneggiata con un filamento integro ottenuto dal cromosoma omologo. La ricombinazione

fornisce anche un meccanismo per far ripartire le forche replicative bloccate o danneggiate e altri tipi

speciali di ricombinazione regolano l'espressione di alcuni geni, per esempio, cambiando specifici segmenti

cromosomici, geni altrimenti silenti si vengono a trovare in regioni dove sono espressi.

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62. I diversi modelli per la ricombinazione omologaParecchi anni fa, eleganti esperimenti, condotti utilizzando l'incorporazione di isotopi pesanti nel DNA,

permisero di avere la prima visione molecolare del processo della ricombinazione omologa. Infatti, lo stesso

approccio che utilizzarono Meselson e Stahl per dimostrare la semiconservatività della replicazione del

DNA, portò a scoprire che, al contrario, la ricombinazione è conservativa ed è caratterizzata dalla diretta

rottura e riunione di molecole di DNA. Con il passare degli anni sono stati proposti diversi modelli per

spiegare questo meccanismo e tutti condividono i seguenti passaggi chiave:

1.Allineamento di due molecole di DNA omologhe. Per omologhe intendiamo due sequenze di DNA

identiche, o quasi identiche, per una regione di almeno un centinaio di basi;

2.Introduzione di rotture nel DNA. Le rotture possono coinvolgere un solo filamento o entrambi i filamenti

della doppia elica;

3.Formazione, tra le due molecole di DNA che ricombinano, di una corta regione di appaiamento tra le basi.

Questo appaiamento si verifica quando una regione di DNA a singolo filamento, che deriva da una molecola

parentale, si appaia con il filamento complementare, appartenente alla molecola omologa. In questo caso si

parla d'invasione del filamento. A questo punto, le due molecole di DNA sono connesse tra di loro in una

struttura a croce detta giunzione di Holliday;

4.Movimento della giunzione di Holliday, che può scorrere lungo il DNA mediante la continua fusione e

formazione di appaiamenti tra le basi. Questo processo è chiamato migrazione del chiasma;

5.Taglio della giunzione di Holliday che porta alla formazione di due molecole di DNA separate che hanno

terminato lo scambio genetico. Questo processo è noto come risoluzione.

Il modello di Holliday rappresenta un modello per la ricombinazione omologa semplice e storicamente

importante, sebbene oggi sappiamo che la ricombinazione prevede neosintesi del DNA, evento del tutto

assente in questo modello. Comunque nel rappresentare questo processo è utile allineare le due molecole di

DNA omologhe che sebbene pressoché identiche, presentano diversi alleli dello stesso gene (A/a, B/b, C/c),

particolarmente utili per comprendere questo processo. La ricombinazione inizia con l'introduzione di una

rottura a singolo filamento (nick) su ogni molecola di DNA, in un'identica posizione. I filamenti di DNA

vicini al sito dell'incisione possono quindi venire staccati dai loro filamenti complementari, rendendo questi

filamenti liberi di invadere ed appaiarsi con la doppia elica omologa. L'invasione del filamento porta alla

giunzione di Holliday, l'intermedio chiave della ricombinazione. Quest'ultima può ora scorrere lungo il

DNA per migrazione del chiasma ed è proprio questa migrazione ad aumentare la lunghezza del DNA che

viene scambiata. Se le due molecole di DNA non sono identiche ma, per esempio, hanno alcune piccole

differenze di sequenza, come per due alleli dello stesso gene, la migrazione del chiasma attraverso queste

regioni di non perfetta complementarietà conduce alla formazione di molecole di DNA che presentano uno o

più mismatch. Queste regioni del DNA vengono dette eteroduplex e la riparazione di questi errati

appaiamenti può avere importanti conseguenze. Per terminare l'evento di ricombinazione è necessario

risolvere la giunzione di Holliday e questo avviene tagliando i filamenti di DNA vicino al chiasma. La

risoluzione può avvenire in due diversi orientamenti e, quindi, originare due tipi diversi di prodotti. Infatti,

un taglio può essere fatto sui due filamenti di DNA che non sono stati rotti all'inizio della reazione. Se questi

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sono i due filamenti che vengono tagliati e poi uniti covalentemente, le molecole di DNA che derivano da

questo evento vengono chiamati prodotti di ricombinazione “uniti” (splice) e questo perché le due doppie

eliche originali sono ora unite in maniera tale che porzioni appartenenti a molecole di DNA parentale

diverse sono covalentemente unita da una regione a doppio filamento ibrida. Quindi, la formazione di questi

prodotti d'unione porta al riassortimento dei geni adiacenti al sito di ricombinazione. Perciò questo tipo di

molecola ricombinante viene anche detta prodotto del crossing over. Al contrario, il secondo tipo di taglio

possibile per risolvere la giunzione di Holliday avviene sui due filamenti di DNA che erano stati rotti per

iniziare la ricombinazione. Dopo la risoluzione e l'unione covalente dei filamenti a livello di questi siti, le

molecole di DNA prodotte contengono una regione o “patch” di DNA ibrido. Per questo motivo queste

molecole sono chiamate prodotti patch. In essi la ricombinazione non porta al riassortimento dei geni che

fiancheggiano il punto del taglio e, pertanto, queste molecole vengono anche chiamate prodotti del non

incrocio (non crossing-over).

La ricombinazione omologa spesso ,però, può iniziare da delle rotture a doppio filamento presenti nel DNA,

che possono essere anche letali per i batteri. Un modello comune che descrive questo tipo di scambio

genetico è il sistema di riparazione delle rotture a doppio filamento. Anche questo modello parte

dall'allineamento dei cromosomi omologhi ma l'evento scatenante è l'introduzione di una rottura a doppio

filamento in una delle due molecole di DNA. L'altra doppia elica rimane intatta. Questo modello risulta

essere più promettente rispetto a quello di Holliday, in quanto le rotture a doppio filamento avvengono

piuttosto frequentemente. Comunque, una volta introdotta la rottura a doppio filamento, una nucleasi

degrada progressivamente la molecola di DNA rotta producendo delle regioni a singolo filamento, note

come code di DNA a singolo filamento, che terminano con l'estremità 3'. Il passaggio successivo consiste

nell'invasione del DNA omologo ed intatto da parte delle code di DNA a singolo filamento. A questo punti,

il filamento che invade si appaia con il proprio filamento complementare sull'altra molecola di DNA.

Inoltre, dal momento che i filamenti che invadono terminano con un estremità 3', possono servire da primer

per la sintesi di nuovo DNA. L'allungamento di queste estremità, compiuto utilizzando come stampo il

filamento complementare della doppia elica omologa, riforma quelle regioni di DNA che erano state

distrutte dalla nucleasi. A questo punto, le due giunzioni di Holliday che si ritrovano negli intermedi di

ricombinazione e che sono state generate con questo modello si muovono per migrazione del chiasma e,

infine, vengono risolte per terminare la ricombinazione. Ancora una volta, a seconda di quali filamenti

vengono tagliati nella risoluzione, i prodotti finali contengono o non contengono i geni riassortiti nelle

regioni fiancheggianti il sito di ricombinazione.

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63. Gli apparati proteici per la ricombinazione omologaTutti gli organismi viventi codificano per degli enzimi che catalizzano i passaggi biochimici della

ricombinazione. Per alcuni di questi passaggi i membri di famiglie di proteine omologhe adempiono alla

stessa funzione in tutti gli essere viventi; per altri, nei diversi organismi intervengono distinte classi di

proteine che, comunque, portano allo stesso prodotto finale. La maggior parte delle nostre conoscenze sul

meccanismo della ricombinazione deriva dagli studi effettuati su E. coli ed il suo fago, in cui il principale

sistema di riparazione delle rotture a doppio filamento (DSB) è noto come il sistema RecBCD. Come

abbiamo visto, le molecole di DNA con delle estensioni o code a singolo filamento sono il substrato

preferenziale per iniziare lo scambio dei filamenti tra regioni omologhe. L'enzima RecBCD è composto da

tre subunità e possiede sia un'attività DNA elicasica che una nucleasica, tutte queste funzioni sono

controllate da specifici elementi di sequenza noti come siti chi. Si lega alle molecole di DNA sulle rotture a

doppio filamento e scorre lungo il DNA usando l'energia dell'idrolisi dell'ATP. Come risultato della sua

attività il DNA è svolto. In dettaglio, RecBCD entra sul DNA a livello della rottura a doppio filamento e si

muove lungo il DNA, svolgendo le eliche. Le subunità RecB e RecD sono entrambi due DNA elicasi,

ovvero, degli enzimi che usano l'idrolisi dell'ATP per fondere gli appaiamenti tra le basi. Spesso, mentre

svolge il DNA, l'attività nucleasica di RecBCD taglia entrambi i filamenti, distruggendo la doppia elica.

Quando incontra la sequenza chi, l'attività nucleasica viene modificata. Infatti, RecBCD non idrolizza più il

DNA con polarità 3'5' mentre viene digerito più velocemente l'altro filamento di DNA, quello con polarità

5'3'. Come risultato di questo cambiamento di attività, una molecola di DNA a doppio filamento viene

trasformata in una con una coda al 3' a singolo filamento, terminante con la sequenza chi. Questa struttura è

ideale per l'associazione immediata di RecA. Infatti, l'interazione diretta di RecBCD con RecA promuove

l'assemblaggio di quest'ultima sull'estremità a singolo filamento assicurandone il legame al posto delle SSB

(le proteine che legano il DNA a singolo filamento). Comunque, i siti chi aumentano la frequenza di

ricombinazione di circa dieci volte e questo aumento è più pronunciato proprio nelle regioni adiacenti al sito

mentre diminuisce gradualmente con la distanza. Inoltre, la capacità dei siti chi di regolare l'attività

nucleasica di RecBCD aiuta anche le cellule batteriche a proteggersi dal DNA estraneo, che può entrare

attraverso un infezione fagica o un evento di coniugazione. La sequenza chi di otto nucleotidi

(GCTGGTGG) è altamente rappresentata nel genoma di E. coli, per questo se un DNA di E. coli entra nello

stesso batterio verrà immediatamente processato da RecBCD, così da formare un estremità 3' a singolo

filamento. Viceversa, il DNA di un'altra specie non avrà un'alta frequenza di siti chi e l'azione di RecBCD,

su questo DNA, porterà ad un estesa degradazione, invece che all'attivazione per ricombinazione.

RecA è la proteina centrale delle ricombinazione omologa. È il membro fondatore di una famiglia di enzimi

chiamati proteine che scambiano il filamento. Queste proteine catalizzano l'appaiamento tra le molecole di

DNA omologhe; un'attività che implica sia la ricerca di sequenze equivalenti tra due molecole, che la

formazione su di esse di regioni di appaiamento. La forma attiva di RecA è un filamento nucleoproteico

enorme e di dimensioni variabili: sono piuttosto frequenti filamenti che contengono approssimativamente

100 subunità di RecA e 300 nucleotidi di DNA. In seguito al legame con RecA, la lunghezza di una

molecola di DNA aumenta di circa 1,5 volte. Infatti, per formare un filamento, le subunità di RecA si legano

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in modo cooperativo al DNA. Il legame di RecA ed il suo assemblaggio avvengono molto più rapidamente

su un DNA a singolo filamento che su di una doppia elica, a dimostrazione della necessità di regioni di

DNA a singola elica come substrati per lo scambio dei filamenti. Questo complesso RecA-ssDNA è la forma

attiva che partecipa alla ricerca della regione di omologia, nella quale RecA deve “cercare” una

complementarietà tra le coppie di basi del DNA nel filamento e una nuova molecola di DNA. Questa ricerca

di omologia è promossa da RecA perché la sua struttura nucleoproteica è caratterizzata da due distinti siti di

legame al DNA: un sito primario (legato alla prima molecola di DNA) ed un sito secondario. Quest'ultimo

può essere occupato da una molecola a doppio filamento, il cui legame è veloce, debole, transitorio e

indipendente dalla sequenza. In questo modo il filamento RecA può legare enormi pezzi di DNA ed

analizzare rapidamente se in essi siano presenti delle sequenze omologhe. Come fa il filamento RecA ad

avvertire la presenza di omologia di sequenza è ancora un meccanismo non conosciuto ma si è visto che il

DNA legato al sito secondario viene temporaneamente aperto e valutato per la complementarietà con il

DNA a singolo filamento presente nel sito primario. Inoltre, un'identità di sequenza di solamente 15 paia di

basi fornisce al filamento RecA il segnale che l'omologia è stata trovata, e, quindi si attiva lo scambio del

filamento. A questo punto, RecA promuove la formazione di un complesso stabile tra queste due molecole

di DNA. Questa struttura a tre filamenti, legata da RecA, è detta molecola giunta ed, in genere, contiene

parecchie centinaia di paia di basi del DNA ibrido. Quindi, il filamento di DNA nel sito di legame primario

si appaia con il suo complementare appartenente al duplex legato al sito secondario. Lo scambio del

filamento richiede quindi la rottura di una serie di appaiamenti e la formazione di una nuova serie del tutto

identica. Bisogna ricordare che proteine che effettuano lo scambio del filamento della stessa famiglia di

RecA sono presenti in tutte le forme vivente. Tra queste le più caratterizzate sono Rad51 e Dmc1 negli

eucarioti.

Una volta terminato il passaggio dell'invasione del filamento, le due molecole di DNA, coinvolte nella

ricombinazione, sono unite da un punto di incrocio, noto come giunzione di Holliday. A questo punto, una

proteina detta RuvA riconosce la struttura della giunzione a prescindere dalla sequenza e recluta la proteine

RuvB, un'ATPasi esamerica simile alle elicasi coinvolte nella replicazione del DNA. Quest'ultima fornisce

l'energia necessaria a scambiare gli appaiamenti tra le basi così da permettere il movimento del chiasma. I

modelli strutturali dei complessi RuvAB sulla giunzione di Holliday mostrano come un tetramero di RuvA

cooperi con due esameri di RuvB per rafforzare questo processo di scambio. Nell'ultima parte del processo

di ricombinazione, ossia la risoluzione delle giunzione di Holliday, interviene, nei batteri, RuvC, un

endonucleasi capace di tagliare le giunzioni di DNA formate da RecA interagendo con altre due proteine

RuvA e RuvB. La risoluzione mediata da RuvC avviene quando quest'ultima riconosce la giunzione di

Holliday ed incide specificatamente due dei filamenti di DNA omologo, con la stessa polarità. Questo taglio

porta a delle molecole di DNA che terminano con i gruppi 5' P e 3' OH, che possono essere unite da una

DNA ligasi. A seconda di quale coppia di filamenti sia stata tagliata da RuvC, i prodotti di ricombinazione,

una volta uniti dalla ligasi, saranno del tipo “splice” (scambio) o del tipo “patch” (del non scambio).

Comunque, nonostante RuvC riconosca una struttura, piuttosto che una specifica sequenza, essa taglia il

DNA solamente dopo la seconda T dei siti caratterizzati dalla sequenza consenso 5'A/T-T-T-G/C. Nel DNA

queste sequenze ricorrono una volta ogni 64 nucleotidi.

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64. La ricombinazione omologa negli eucariotiCome per i batteri, anche negli eucarioti la ricombinazione omologa serve a riparare il DNA e a recuperare

delle forche di replicazione bloccate, tuttavia ha anche delle funzioni aggiuntive. Innanzitutto, la

ricombinazione omologa è fondamentale per la meiosi, in quanto è necessaria per un corretto appaiamento

dei cromosomi e, quindi, per il mantenimento dell'integrità genomica. Inoltre, proprio questa ricombinazione

ridistribuisce i geni tra i cromosomi parentali, garantendo una certa variabilità nella composizione genica

tramandata alla generazione successiva. Come sappiamo, la meiosi è caratterizzata da due eventi di

divisione nucleare, che portano ad una riduzione della quantità di DNA cellulare, dal normale contenuto

diploide (2N) a quello presente nei gameti (1N). Prima della divisione, le cellule contengono due copie di

ogni cromosoma (gli omologhi), ciascuna delle quali è stata ereditata dai due genitori. Durante la fase S, i

cromosomi vengono replicati dando un contenuto totale in DNA pari a 4N. I prodotti della replicazione, i

cromatidi fratelli, restano uniti. In seguito per prepararsi alla prima divisione nucleare, questi cromosomi

omologhi duplicati si devono appaiare ed allineare nel centro della cellula. La ricombinazione omologa è

richiesta proprio per l'appaiamento degli omologhi. In assenza di ricombinazione, molto spesso i cromosomi

non si allineano in maniera corretta per la prima divisione meiotica, e questo porta ad un'elevata frequenza

di perdita dei cromosomi (non-disgiunzione). Comunque si definisce ricombinazione meiotica la

ricombinazione omologa che avviene durante la meiosi, precisamente nella prima profase meiotica.

Il programma di sviluppo che permette alle cellule di completare con successo la meiosi prevede

l'attivazione dell'espressione di molti geni che nelle normali condizioni di crescita non sono richiesti. Uno di

questi è SPO11 che codifica per una proteina che, per iniziale la ricombinazione meiotica, introduce nel

DNA cromosomico delle rotture a doppio filamento. La proteina Spo11, infatti, taglia in DNA in molti punti

con poca selettività di sequenza ma con grande specificità temporale. Infatti questi tagli avvengono proprio

nel momento in cui i cromosomi omologhi duplicati iniziano ad appaiarsi. In generale, i tagli effettuati da

Spo11 si trovano in prossimità di regioni cromosomiche non strettamente associate ai nucleosomi che quindi

vengono usati come siti chi. A questo punto, per effettuare il taglio, la catena laterale di una specifica

tirosina della proteina Spo11 attacca la catena fosfodiesterica, quindi si viene a formare un complesso

Spo11-DNA. Successivamente due subunità della proteina tagliano il DNA a distanza di due nucleotidi per

formare una rottura a doppio filamento sfalsata. Le estremità 5' del DNA a livello del sito di taglio di Spo11

rimangono legate covalentemente all'enzima e costituiscono i siti iniziali di processamento del DNA,

necessari per formare le code di DNA a singolo filamento, richieste per assemblare le proteine simili a RecA

e per iniziare l'invasione del filamento. A questo punto interviene il complesso enzimatico MRX, che svolge

le stesse funzioni di RecBCD dei batteri. Infatti, anche questo complesso è una DNA nucleasi formata da più

subunità: Mre11, Rad50 e Xrs2. Il processamento del DNA sulla rottura avviene, dunque, esclusivamente

sul filamento che termina con un'estremità 5'. I filamenti che terminano con l'estremità 3' non vengono

degradati. Questa reazione di processamento del DNA è detta accorciamento dal 5' al 3'. Tale accorciamento

dipende da MRX e porta alla formazione di lunghe code, spesso di una o più kilobasi, a singolo filamento

con l'estremità 3'. Si pensa che il complesso MRX rimuova anche il DNA legato a Spo11.

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Gli eucarioti codificano per due omologhi ben caratterizzati della proteina batterica RecA: Rad51 e Dmc1.

Entrambe le proteine svolgono una funzione nella ricombinazione meiotica. Mentre Rad51 è largamente

espressa nelle cellule che si dividono sia meioticamente che mitoticamente, Dmc1 è espressa solo nelle

cellule che entrano in meiosi. Inoltre, la ricombinazione mediata da Dmc1 avviene preferenzialmente tra

cromatidi omologhi non fratelli, piuttosto che tra fratelli.

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65. Il cambio del gruppo di compatibilitàOltre a promuovere l'appaiamento del DNA, la sua riparazione e lo scambio genetico, la ricombinazione

omologa può anche servire a scambiare sequenze di DNA, in specifici punti del cromosoma. Questo tipo di

ricombinazione, a volte, viene usata per regolare l'espressione genica. Per esempio, la ricombinazione

controlla il gruppo di compatibilità (mating type) del lievito S. cerevisiae, scambiando i geni del mating type

in una posizione precisa del genoma trascrizionalmente attiva. S. cerevisiae, è un eucariote unicellulare, che

può trovarsi sotto forma di tre diversi tipi cellulari. Le cellule di S. cerevisiae, aploidi possono essere di due

gruppi di compatibilità diversi, a o . Quando una cellula a ed una si incontrano, possono incrociarsi

producendo una cellula diploide a/. Questa cellula può quindi andare in meiosi producendo due cellule

aploidi a e due cellule aploidi . I geni dei gruppi di compatibilità codificano per dei fattori trascrizionali che

controllano l'espressione di specifici geni bersaglio, i cui prodotti definiscono ogni tipo cellulare. In ogni

tipo cellulare i geni del gruppo di compatibilità espressi sono quelli presenti nella cellula a livello del locus

del mating type (il locus MAT). Di conseguenza nelle cellule a, il gene a1 si trova nel locus MAT, mentre

nelle cellule , cono presenti 1 e 2. Nelle cellule diploidi, invece, sono espressi entrambi i geni che

controllano il gruppo di compatibilità. Però, oltre ai geni a e presenti, in ogni cellula, a livello del locus

MAT, altrove nel genoma, c'è un'altra copia (non espressa) di questi geni. Queste copie, aggiuntive e silenti,

si trovano in corrispondenza dei loci detti HMR e HML. Questi loci sono perciò noti come cassette silenti.

La loro funzione è quella di rappresentare un “magazzino” d'informazione genetica, che può essere usata per

cambiare ad una cellula il gruppo di compatibilità, attraverso la ricombinazione omologa.

Il cambio del gruppo di compatibilità inizia con l'introduzione di una rottura a doppio filamento a livello del

locus MAT. Una nucleasi speciale, detta endonucleasi HO, compie questa reazione riconoscendo sequenze

specifiche presenti solo nel locus MAT. Il taglio di HO introduce una rottura sfalsata nel cromosoma e non

rimane legato ai filamenti tagliati, come succedeva per Spo11. L'accorciamento 5'3' del DNA, a livello del

sito di taglio di HO, avviene con lo stesso meccanismo usato nella ricombinazione meiotica. Di

conseguenza, questa idrolisi dipende dal complesso della proteina MRX ed è specifica per questi filamenti

che terminano con un'estremità 5'. Comunque, lo scambio del gruppo di compatibilità è unidirezionale;

l'informazione di sequenza (e non il segmento di DNA) viene spostata sul locus MAT, da HMR e HML, ma

l'informazione non “va” mai nell'altra direzione. Comunque, sebbene il meccanismo di riparazione dei DSB

possa rendere ragione della ricombinazione che scambia il gruppo di compatibilità, non si assiste mai alla

formazione dei prodotti della ricombinazione del tipo “crossover”. Per spiegare la conversione genica, senza

il crossing over, è stato proposto un nuovo modello detto ibridazione del filamento dipendente dalla sintesi

(synthesis-dependent strand annealing, SDSA). L'evento iniziale, come descritto precedentemente, è dato

dall'introduzione di una rottura a doppio filamento sul sito di ricombinazione. Dopo l'invasione del

filamento, l'estremità 3' che ha invaso, funge da innesco per iniziare la nuova sintesi del DNA. Quindi, al

contrario di quanto accade nel meccanismo di riparazione dei DSB, su questo sito viene assemblata una

forca replicativa completa. A differenza della normale replicazione, tuttavia i filamenti di nuova sintesi sono

allontanati dallo stampo. Ne consegue che un nuovo segmento di DNA a doppio filamento viene

sintetizzato, unito al sito che era stato originariamente tagliato da HO, e accorciato da MRX. Questo nuovo

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segmento di DNA ha la stessa sequenza del segmento usato come stampo (HMRa nella figura). Per porre

fine alla ricombinazione è necessario che l'altro “vecchio” filamento presente sul sito MAT (l'estremità 3'

non tagliata da MRX) sia rimosso. Quindi il DNA di neosintesi sostituisce l'informazione originariamente

presente. Questo meccanismo spiega, quindi, come un evento di conversione genica possa avvenire in

assenza di una giunzione di Holliday.

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66. La ricombinazione sito-specifica e la trasposizione Il DNA è una molecola molto stabile e la sua replicazione, riparazione e ricombinazione omologa

avvengono con grande fedeltà. Questi processi servono a garantire che il genoma sia mantenuto pressoché

identico attraverso le generazioni. D'altro canto è anche importante che esistano meccanismi genetici capaci

di riarrangiare la sequenza di DNA, portando, in questo modo, ad una struttura genomica più dinamica.

Esistono due classi di ricombinazione genetica: la ricombinazione conservativa sito-specifica (conservative

site-specific recombination, CSSR) e la ricombinazione per trasposizione (in genere detta trasposizione) che

nel loro insieme sono responsabili di molti riarrangiamenti del DNA. La prima avviene tra due definiti

elementi di DNA, mentre la trasposizione è un evento di ricombinazione tra sequenze specifiche e siti del

DNA non specifici e rappresenta la principale fonte di mutazione spontanea. I due tipi di ricombinazione

genetica, comunque, hanno in comune alcune fondamentali caratteristiche molecolare. Delle proteine, note

come ricombinasi, riconoscono le specifiche sequenze di DNA dove deve avvenire la ricombinazione. Le

ricombinasi avvicinano ed uniscono questi specifici siti in un complesso nucleoproteico, detto complesso

sinaptico. All'interno di quest'ultimo, la ricombinasi catalizza il taglio e la riunione delle molecole dell'acido

nucleico provocando o un'inversione del tratto di DNA o il suo movimento verso un nuovo sito.

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67. La ricombinazione conservativa sito-specificaNella ricombinazione conservativa sito-specifica (CSSR), il segmento di DNA che viene spostato porta sul

sito dello scambio genico degli specifici elementi, costituiti da corte sequenze, detti siti di ricombinazione.

Un tipico esempio di questo tipo di ricombinazione è dato dall'integrazione del genoma del fago nel

cromosoma batterico. Durante l'integrazione di questo fago, la ricombinazione avviene sempre esattamente

sulla stessa sequenza nucleotidica all'interno di due siti di ricombinazione, uno sul DNA fagico e l'altro su

quello batterico. I siti di ricombinazione portano due tipi di elementi di sequenza: quelli specificamente

legati dalla ricombinasi e le sequenze dove avviene il taglio del DNA e la riunione. Comunque, la CSSR può

dare origine a tre diversi tipi di riarrangiamento del DNA: (1) l'inserzione di un segmento di DNA in un sito

specifico (come avviene durante l'integrazione del fago ); (2) la delezione di un tratto di DNA; (3)

l'inversione di un pezzo di doppia elica. Se la ricombinasi porta ad un'inserzione, a una delezione o a una

inversione dipende dall'organizzazione dei siti di riconoscimento per la ricombinazione sulla molecola o le

molecole di DNA che partecipano all'evento, per questo è utile analizzarli in dettaglio.  Ciascun sito di

ricombinazione è costituito da un paio di sequenze di riconoscimento della ricombinasi, organizzate in modo

simmetrico. Queste sequenze di riconoscimento fiancheggiano una corta sequenza centrale asimmetrica,

nota come regione di scambio, dove avviene il taglio e la riunione del DNA. Dal momento che la regione del

crossing over è asimmetrica, un sito di ricombinazione ha sempre una polarità definita. L'orientamento dei

due siti presenti su una sola molecola di DNA può essere del tipo ripetizione invertita o ripetizione diretta.

La ricombinazione tra un paio di siti invertiti inverte il pezzo di DNA tra di essi compreso; al contrario, la

ricombinazione che avviene con il medesimo meccanismo tra due siti organizzati in modo diretto (non

invertiti) provoca la delezione del tratto di DNA incluso. Infine, si ha un inserzione quando due siti di

ricombinazione presenti su due molecole diverse sono uniti per lo scambio.

Ci sono due famiglie di ricombinasi per le reazioni conservative sito-specifiche: le ricombinasi in serina e le

ricombinasi in tirosina. Per entrambe le famiglie, il meccanismo fondamentale consiste nella formazione,

durante il taglio del DNA, di un intermedio covalente proteina-DNA. Per la ricombinasi in serina è la catena

laterale di un residuo di serina situata nel sito attivo della proteina attacca uno specifico legame

fosfodiesterico presente sul sito di ricombinazione, mentre per la ricombinasi in tirosina è la catena laterale

di una tirosina, presente nel sito attivo, che attacca e poi unisce covalentemente il DNA. Comunque, in

entrambi i casi, l'intermedio covalente proteina-DNA conserva l'energia del legame fosfodiesterico

idrolizzato per far sì che i filamenti di DNA possono essere riuniti, invertendo il processo di taglio. In questa

reazione inversa, un gruppo OH del DNA interrotto attacca il legame covalente che unisce la proteina al

DNA. Questo processo richiude covalentemente la rottura della doppia elica e libera una molecola di

ricombinasi.

La CSSR avviene sempre tra due siti di ricombinazione. Come abbiamo visto precedentemente, questi siti

possono essere sulla stessa molecola di DNA (per l'inversione e la delezione), o su due molecole diverse

(per l'integrazione). Ogni sito di ricombinazione è costituito da una doppia elica di DNA, per questo per dare

origine al DNA riarrangiato, si deve avere la rottura di quattro singoli filamenti di DNA (due per ogni

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duplex) e, quindi, la riunione con un diverso filamento partner. Una molecola di ricombinasi attua tutte

queste reazioni di taglio formando un tetramero (quattro subunità, una per ogni filamento. La differenza tra

le due famiglie di ricombinasi sta nel fatto che mentre quelle in serina tagliano ed uniscono tutti e quattro i

filamenti di DNA, quelle in tirosina, dapprima tagliano ed uniscono due filamenti di DNA e, solo dopo,

tagliano ed uniscono gli altri due filamenti. Il meccanismo della ricombinazione sito-specifica è meglio

compreso per le ricombinasi in tirosina. Un ottimo esempio è fornito dalla struttura della ricombinasi Cre.

Questa è un enzima codificato dal fago P1, che serve a linearizzare il genoma virale durante l'infezione. I siti

di ricombinazione del DNA, su cui Cre agisce, sono detti siti lox. Le strutture Cre-lox mostrano che la

ricombinazione richiede quattro subunità di Cre, ciascuna delle quali è legata ad un sito di legame sulla

molecole di DNA substrato. Generalmente la conformazione del DNA è una struttura planare cruciforme

con ogni “braccio” di questa giunzione legato da una subunità Cre. Cre esiste in due diverse conformazioni,

1 e 2, con due subunità ciascuna. Solo una di queste conformazioni può tagliare e riunire il DNA. Quindi,

solo una coppia di subunità ala volta è in una conformazione attiva. Con il procedere della reazione cambia

la coppia di subunità nella conformazione attiva. Questo scambio è critico per il controllo della progressione

della ricombinazione e garantisce che il meccanismo di scambio avvenga in modo sequenziale, “un

filamento alla volta”.

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68. Funzioni biologiche della ricombinazione sito-specificaLe cellule e i virus fanno uso della ricombinazione conservativa sito-specifica per una grande varietà di

funzioni biologiche. In alcuni casi inseriscono il proprio DNA nel cromosoma ospite. In altri casi, la

ricombinazione sito-specifica è usata per alterare l'espressione genica o per aiutare a mantenere l'integrità

strutturale di molecole di DNA circolare durante la replicazione del DNA, la ricombinazione omologa e la

divisione cellulare. Comunque, il confronto di diversi sistemi di ricombinazione sito-specifica mostra alcune

caratteristiche generali. Tutte le reazioni dipendono strettamente dall'assemblaggio delle ricombinasi sul

DNA e dall'avvicinamento dei due siti di ricombinazione. Per alcune reazioni questo assemblaggio è

estremamente facile in quanto richiede solamente la ricombinasi e le sue sequenze di riconoscimento sul

DNA, mentre altre reazioni richiedono proteine accessorie. Quest'ultime, dette proteine architettoniche,

legano specifiche sequenze di DNA, curvando la doppia elica, quindi stimolando la ricombinazione. Le

stesse proteine possono anche controllare la direzione della ricombinazione, per esempio assicurando che

avvenga l'integrazione di un segmento di DNA e non la reazione inversa, ossia la sua escissione.

Quando il batteriofago infetta un batterio, una serie di eventi regolativi porta o all'instaurarsi di uno stato

lisogenico quiescente o alla moltiplicazione fagica, in un processo detto crescita litica. Nel primo stato si

deve avere l'integrazione del DNA fagico nel cromosoma ospite, e allo stesso modo, nella crescita litica, pre

replicarsi il fago deve escindere il proprio DNA dal cromosoma ospite. In dettaglio, per l'integrazione,

l'integrasi di (Int) catalizza la ricombinazione tra due siti specifici, noti come siti di attacco, o att. Il sito attP

si trova sul DNA fagico ed il sito attB sul cromosoma batterico. int è una ricombinasi in tirosina, e il

meccanismo di scambio del filamento è analogo a quello descritto per la proteina Cre. Al contrario però di

quest'ultima, l'integrazione di richiede l'utilizzo di proteine accessorie che aiutano ad assemblare il

complesso proteina-DNA. Importante, inoltre, per la regolazione dell'integrazione di è l'organizzazione

altamente simmetrica dei siti attP e attB. Entrambi sono caratterizzati da un core centrale (lungo circa 30

bp), che consiste in due siti di legame per Int e dalla regione del crossing over dove avviene lo scambio.

Mentre attB consiste solo di questo core centrale, attP è molto più lungo (240 bp) ed è caratterizzato da

molti altri siti di legame per proteine che si estendono in entrambi i “bracci”. Int è, invece, una proteina

anomala, perché contiene due domini responsabili del legame sequenza-specifico al DNA: uno di questi si

lega ai siti di riconoscimento presenti sulle braccia e l'altro a quelli presenti sulle regioni core. Comunque,

l'integrazione richiede attB, attP e Int e una proteina architettonica chiamata fattore d'integrazione dell'ospite

(integration host factor, IHF). Quest'ultimo è una proteina che lega il DNA del fago in maniera sequenza

specifica, capace di determinare sulla doppia elica una curvatura. La funzione del fattore di integrazione

dell'ospite è di avvicinare i siti per Int, presenti sulle braccia, a quelli presenti sul core centrale. Quando la

ricombinazione ha termina, il genoma fagico circolare è stabilmente integrato nel cromosoma ospite. Come

risultato, sulle giunzioni tra le sequenze del fago e quelle dell'ospite si sono formati due nuovi siti ibridi.

Questi siti sono detti attL (left, sinistra) e attR (right, destra). Entrambi i siti contengono la regione core, ma

le due braccia sono ora separati. Per la ricombinazione di escissione, invece, è essenziale un'altra proteina

architettonica detta Xis (da excise) che si lega a specifiche sequenze di DNA e introduce una curvatura nella

doppia elica, proprio come IHF. Xis riconosce due motivi di sequenza presenti su di un braccio di attR. Il

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legame a questi siti introduce una grande curvatura e insieme, Xis, Int e IHF stimolano l'escissione

attraverso la formazione di un complesso nucleoproteico attivo su attR. Questo complesso può ora interagire

produttivamente con le proteine assemblate su attL, permettendo la ricombinazione. Bisogna infine ricordare

che, oltre a stimolare l'escissione (la ricombinazione tra attL e attR), il legame di Xis al DNA inibisce anche

l'integrazione (la ricombinazione tra attP e attB). La doppia attività di Xis, come cofattore di stimolazione

dell'escissione e inibitore dell'integrazione, assicura che il genoma del fago sia separato, e resti separato, dal

cromosoma batterico quando Xis è presente.

Nella Salmonella, invece, la ricombinasi Hin inverte un segmento di cromosoma batterico per permettere

l'espressione di due set di geni alternativi. Queste reazioni in genere servono a “pre-adattare” una parte della

popolazione ad un rapido cambiamento ambientale, nel caso dell'inversione Hin, la ricombinazione permette

al batterio di evitare il sistema immunitario dell'ospite. I geni controllati dal processo d'inversione codificano

per due forme diverse di flagellina (dette H1 e H2) che è la componente proteica del filamento flagellare. I

flagelli come sappiamo sono strutture utili alla mobilità ma anche, molto spesso, motivi riconosciuti dal

sistema immunitario. La regione cromosomica invertita d Hin è di circa 1000 bp ed è fiancheggiata da

specifici siti per la ricombinazione detti hixL (sulla sinistra) e hixR (sulla destra). Queste sequenze hanno un

orientamento invertito una rispetto all'altra. Hin è una ricombinasi in serina che induce l'inversione usando

lo stesso meccanismo di base precedentemente descritto per gli enzimi di questa famiglia. Il segmento

invertibile contiene il gene che codifica per Hin, così come il promotore, che in un orientamento è posto in

modo tale da permettere l'espressione dei geni posizionati al di fuori del segmento invertibile. Quindi,

quando il segmento invertibile è nell'orientamento “acceso”, questi geni, adiacenti, sono espressi; al

contrario, quando il segmento è girato nell'orientamento “spento”, i geni non possono essere trascritti perché

privi del promotore. I due geni sotto il controllo del promotore “che gira” sono fljB, che codifica per la

flagellina H2, e fljA, che codifica per un repressore trascrizionale del gene per la flagellina H1. Perciò,

nell'orientamento “acceso” sono espressi la flagellina H2 ed il repressore di H1. Queste cellule hanno sulla

loro superficie esclusivamente flagelli del tipo H2. Nell'orientamento “spento”, invece, sono sono

sintetizzati né H2 né il repressore di H1 e, quindi, si ha la presenza di flagelli del tipo H1. Hin per

ricombinare richiede, oltre ai siti hix, una sequenza aggiuntiva. Questa corta sequenza è un enhancer che

aumenta la frequenza di ricombinazione. Come gli enhancer che amplificano i livelli trascrizionali, tale

sequenza può funzionare anche quando si trova piuttosto lontana dai siti di ricombinazione, ma comunque,

necessita sempre di una proteina batterica detta Fis (da factor for inversion stimulation). Come l'IHS, anche

Fis è una proteina che curva il DNA in una posizione specifica e media delle interazioni proteina-proteina

con Hin, importanti per attuare la ricombinazione. Quando Fis attiva Hin, i tre siti di DNA (hixL, hixR e

l'enhancer) vengono avvicinati grazie al superavvolgimento negativo del DNA, che stabilizza l'associazione

di questi tre siti lontani (complesso dell'invertosoma). In questo modo può avvenire la ricombinazione

solamente tra i siti hix che si trovano sulla stessa molecola di DNA.

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69. La trasposizione di DNALa trasposizione è una forma specifica di ricombinazione genetica che sposta alcuni elementi genetici da un

sito ad un altro. Questi elementi genetici mobili sono detti elementi trasponibili o trasposoni. Lo

spostamento avviene mediante un evento di ricombinazione tra sequenze di DNA poste alle estremità

dell'elemento trasponibile ed una presente sul DNA della cellula ospite. Questo spostamento può avvenire

con o senza la duplicazione dell'elemento, e talvolta, la reazione di ricombinazione passa attraverso un

intermedio transitorio ad RNA. Generalmente, quando gli elementi trasponibili si muovono, mostrano una

scarsa selettività nella scelta di sequenza del sito d'inserzione. Il risultato è che i trasposoni si possono

inserire all'interno dei geni, spesso distruggendone completamente la funzione. Si possono anche inserire

nelle regioni regolative di un gene; in questo caso, la loro presenza può cambiare la modalità di espressione

del gene stesso. Per questo motivo gli elementi trasponibili rappresentano, per alcuni organismi, come

l'uomo e il mais (in cui sequenze simili ali trasposoni rappresentano quasi il 50% del genoma), la principale

fonte di mutazione.

Comunque, i trasposoni, in funzione della loro generale organizzazione e del meccanismo di trasposizione,

possono essere classificati in tre famiglie: 1) Trasposoni a DNA, che rimangono a DNA per tutto il ciclo

ricombinativo e si muovono usando i meccanismi di taglio e riunione dei filamenti di DNA in maniera

analoga agli elementi che si muovono per ricombinazione conservativa sito-specifica; 2) Retrotrasposoni

simili ai virus, detti anche LTR (long terminal repeat, lunghe sequenze terminali ripetute); 3)

Retrotrasposoni poli-A, detti anche retrotrasposoni non virali. Entrambi i tipi di retrotrasposoni si spostano

in una nuova posizione sul DNA mediante un intermedio a RNA. Inoltre, bisogna dire che i trasposoni a

DNA si trovano soprattutto nei batteri mentre i retrotrasposoni negli organismi eucarioti.

LA TRASPOSIZIONE A DNA AVVIENE CON UN MECCANISMO TAGLIA E INCOLLA

I trasposoni a DNA portano sia delle sequenze di DNA che servono come siti per la ricombinazione, sia i

geni che codificano per proteine che partecipano alla ricombinazione. I siti per la ricombinazione si trovano

alle due estremità dell'elemento e sono organizzati come sequenze ripetute e invertite, che variano in

lunghezza da 25 al alcune centinaia di paia di basi; questi tratti portano, anche, le sequenze di

riconoscimento della ricombinasi. In genere, le ricombinasi responsabili della trasposizione sono dette

trasposasi (o, talvolta, integrasi). Le sequenze di DNA immediatamente fiancheggianti il trasposone hanno

un breve segmento (lungo da 2 a 20 bp) di sequenza duplicata. Questi segmenti sono organizzati come

ripetizioni dirette, dette duplicazioni del sito bersaglio, e si formano nel processo di ricombinazione.

Comunque, i trasposoni a DNA che hanno un paio di estremità invertite e ripetute e un gene per la trasposasi

hanno tutto ciò che serge per promuovere la propria trasposizione. Questi elementi sono detti trasposoni

autonomi. Ma i genomi contengono anche segmenti di DNA mobili molto più semplici, detti trasposoni non

autonomi, che contengono solo le estremità ripetute e invertite, quindi possono solo trasporsi in una cellula.

Se questa però è dotata di un trasposone autonomo, codificante per una trasposasi, possono integrarsi nel

genoma. La più semplice reazione di trasposizione è il movimento di un trasposone a DNA mediante un

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meccanismo non replicativo. Questo modo di ricombinare prevede l'escissione del trasposone dalla sua

posizione iniziale, nel DNA ospite, seguita dall'integrazione del trasposone escisso in un nuovo dito di

DNA. Per questo motivo si parla di trasposizione taglia e incolla. Per iniziare la ricombinazione, la

trasposasi si lega all'estremità ripetute ed invertite del trasposone. L'enzima, una volta che ha riconosciuto

queste sequenze, avvicina le due estremità del trasposone dando luogo ad un complesso nucleoproteico

stabile, detto complesso sinaptico o traspososoma. Il compito di quest'ultimo è quello di assicurare che le

reazioni di taglio e di riunione del DNA, necessarie allo spostamento del trasposone, avvengano

contemporaneamente alle due estremità dell'elemento a DNA. Inoltre, durante la ricombinazione, protegge

le estremità del DNA dagli enzimi cellulari. Il passaggio successivo consiste nell'escissione del trasposone

dalla sua originaria posizione del genoma. Per fare ciò, le subunità della trasposasi all'interno del

traspososoma iniziano con il tagliare un filamento ad ogni estremità del trasposone. L'enzima tagli il DNA

in modo che la sequenza del trasposone termini, ad ogni estremità dell'elemento, con dei gruppi 3' OH liberi.

Per terminare la reazione di escissione, anche il secondo filamento ad ogni estremità dell'elemento a DNA

deve essere tagliato. I diversi trasposoni usano diversi meccanismi per tagliare questi secondi filamenti.

Dopo l'escissione, l'estremità 3' OH del trasposone a DNA, attaccano i legami fosfodiesterici sulla doppia

elica, nel sito di nuova inserzione. Questo segmento di DNA è chiamato DNA bersaglio. Il risultato di

questo attacco consiste nel legame covalente tra il trasposone e il DNA nel sito bersaglio. In ogni reazione di

unione, nel DNA bersaglio viene anche prodotta un'incisione (nick). Mentre la reazione di saldatura avviene

mediante un unico passaggio di transesterificazione, noto come trasferimento del filamento di DNA. Vale la

pena osservare che in quest'ultimo passaggio il DNA bersaglio è tagliato, originando delle estremità 3' OH,

che fungono da primer nella sintesi di riparazione. Il riempimento di queste interruzioni porta alla

duplicazione del sito bersaglio che fiancheggia i trasposoni. Quindi, la lunghezza della duplicazione indica

quanto fossero distanti i due siti attaccati sui due filamenti del DNA bersaglio durante il trasferimento del

secondo filamento. Una volta avvenuta la sintesi di riparazione delle interruzioni, è necessaria una DNA

ligasi che saldi i filamenti di DNA. Nel sito della “vecchia” inserzione, invece, si viene a creare una rottura a

doppio filamento che è riparata per mezzo della ricombinazione omologa.

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70. La trasposizione a DNA mediante meccanismo replicativo e

Tn10Alcuni trasposoni a DNA, però, su muovono con un meccanismo noto come trasposizione replicativa, i cui

l'elemento di DNA viene replicato ogni ciclo di trasposizione. Il primo passaggio di questa trasposizione

consiste nell'assemblaggio della trasposasi su entrambe le estremità del trasposone a costituire un

traspososoma. Il passaggio successivo consiste nel tagliare le estremità del trasposone, in una reazione

catalizzata dalla trasposasi all'interno del traspososoma. Questo taglio libera le due estremità 3' OH sulla

sequenza del trasposone. Al contrario della trasposizione del tipo taglia e incolla, in questo passaggio, non si

ha l'escissione del trasposone dalle sequenze dell'ospite. Le estremità 3' OH del trasposone vengono quindi

unite al sito bersaglio dalla reazione di trasferimento del filamento. In questo meccanismo, però,

l'intermedio che si viene a formare con il trasferimento del filamento è una molecola di DNA con una

doppia ramificazione. In questo intermedio le estremità 3' del trasposone sono unite covalentemente al

nuovo sito bersaglio, mentre le estremità 5' del trasposone restano unite al vecchio DNA fiancheggiante. Le

due braccia di DNA sull'intermedio hanno una struttura di una forca replicativa. Dopo il trasferimento del

filamento, le proteine replicative della cellula ospite si possono assemblare su queste forche e l'estremità 3'

OH sul sito bersaglio di DNA tagliato serve da innesco per la sintesi di DNA. Questa reazione di

replicazione genera due copie del trasposone, ciascuna delle quali è fiancheggiata da una breve ripetizione

diretta del sito bersaglio. Un esempio, più dettagliato per la trasposizione replicativa ci è dato dal trasposone

batterico Tn10. Questo è un elemento compatto di 9 kb che contiene un gene per la propria trasposasi ed i

geni che conferiscono la resistenza all'antibiotico tetraciclina. Tn10 è organizzato in tre moduli funzionali

(questa struttura è comune ad alti trasposoni detti trasposoni compositi). I due elementi più esterni detti

IS10L e IS10R sono dei minitrasposoni (IS sta per sequence insertion, inserzione di sequenza). IS10R

codifica per il gene della trasposasi. Tn10 limita il proprio numero di copie all'interno di una cellula con

delle strategie che riducono la frequenza di trasposizione. Un meccanismo consiste nell'usare un RNA

antisenso per controllare l'espressione del gene della trasposasi. Vicino all'estremità IS10R si trovano due

promotori che dirigono la sintesi dell'RNA da parte della RNA polimerasi della cellula ospite. Il promotore

che dirige la sintesi dell'RNA verso l'interno (detto PIN) è responsabile dell'espressione del gene della

trasposasi, mentre il promotore che dirige la trascrizione verso l'esterno (POUT) serve a regolare

l'espressione della trasposasi, mediante un RNA antisenso. Gli RNA sintetizzati da entrambi i promotori si

sovrappongono e quindi possono formare dei legami idrogeno tra queste regioni di sovrapposizione. Questo

appaiamento impedisce ai ribosomi di legarsi al trascritto che deriva dal promotore PIN, impedendo, quindi,

la sintesi della trasposasi. In questo modo, le cellule con un numero di copie più alto di Tn10 trascriveranno

per una maggiore quantità di RNA antisenso, che, quindi, limiterà l'espressione del gene della trasposasi.

Bisogna, infine, ricordare che la trasposizione di Tn10 è accoppiata alla replicazione del DNA cellulare.

Come sappiamo che i batteri, come E. coli, metilano il proprio DNA sui siti GATC. Questa metilazione

avviene dopo la replicazione del DNA, in modo tale che i siti GATC siano emimetilati per pochi minuti fra

il passaggio della forca replicativa e il riconoscimento di queste sequenze da parte della metilasi. E proprio

durante questo breve periodo, quando il DNA di Tn10 è emimetilato, che ha luogo la trasposizione. Questo

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accoppiamento della trascrizione è dovuto alla presenza di due siti GATC nella sequenza del trasposone che

aumentano l'affinità di legame per l'RNA polimerasi che esprime efficacemente il gene per la trasposasi.

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71. I retrotrasposoni simili ai virusAnche i retrotrasposoni simili ai virus e i retrovirus contengono, come siti per il legame e l'azione della

ricombinasi, delle sequenze terminali ripetute e invertite. Le ripetizioni terminali invertite sono immerse

all'interno di sequenze ripetute lunghe; L’RNA retrovirale ha alle estremità delle ripetizioni dirette di 10-80

nt, dette R. All’estremità 5’, a valle di R, c’è la regione U5 di 80-100 nt, il cui nome indica che è unica per

l’estremità 5’. All’estremità 3’, a monte di R, c’è la regione U3 di 170-1350 nt, il cui nome indica che è

unica per l’estremità 3’Nella forma a DNA del virus le 3 regioni U3, R, U5 sono presenti come ripetizioni

dirette a entrambe le estremità, e prendono il nome di LTR (lunghe sequenze terminali ripetute, long

terminal repeat). I retrotrasposoni simili ai virus codificano per due proteine necessarie per la loro mobilità:

l'integrasi (la trasposasi) e la trascrittasi inversa. La trascrittasi inversa (reverse transcriptase, RT) è un tipo

speciale di DNA polimerasi capace di usare uno stampo ad RNA per sintetizzare DNA. Questo enzima è

necessario perché per la reazione di trasposizione è richiesto un intermedio a RNA. La differenza tra i

retrotrasposoni e i retrovirus sta nel fatto che i primi possono solo spostarsi in nuove posizioni nella cellula,

ma non possono mai lasciare quella cellula, mentre i retrovirus ospita ed infetta una nuova cellula. Un ciclo

di trasposizione inizia con la trascrizione della sequenza di DNA di un retrotrasposone in RNA da parte di

una RNA polimerasi cellulare. La sintesi inizia dal primo nucleotide della sequenza R di sinistra e termina

oltre la LTR di destra. L’RNA viene poi modificato mediante degradazione fino al termine della sequenza R

di destra e aggiunta di poli(A). Quindi, la trascrizione inizia su un promotore posto su un LTR e prosegue

attraverso l'elemento per portare alla formazione di una copia ad RNA, quasi completa, dall'elemento a

DNA. L'RNA viene quasi retrotrascritto, portando ad una molecola di DNA a doppio filamento, detta cDNA

(per DNA copiato), libera da ogni sequenza fiancheggiante dell'ospite. L’innesco per la trascrittasi inversa è

dato da un tRNA della cellula. Un tratto di 18 basi al 3’ del tRNA si appaia a un sito a circa 100-200 basi

dall’estremità 5’ dell’RNA virale (PBS, primer binding site). La sintesi produce un breve tratto di DNA

comprendente le regioni U5 e R. L’RNasi H collegata all’enzima degrada il tratto a RNA dell’ibrido RNA-

DNA. Il DNA U5-R si appaia alla estremità R rimasta dell’RNA e viene esteso dalla trascrittasi inversa.

L’RNasi H degrada l’RNA. Resta un tratto polipurinico (PPT) a monte di U3 che funge da primer per la

sintesi di U3, R, U5, e PBS. Il tRNA dell’ibrido RNA-DNA viene degradato e le due sequenze PBS si

appaiano. Le due estremità 3’ vengono estese e si ha come risultato un DNA retrovirale fiancheggiato da

due LTR. L’integrazione richiede l’intervento dell’enzima integrasi, che genera estremità 5’-protruding sia

nel DNA retrovirale sia nel sito bersaglio. Quindi, per la ricombinazione in un nuovo sito di DNA, è proprio

il cDNA che viene riconosciuto da un'integrasi. Quest'ultima si assembla all'estremità del cDNA per poi

eliminare alcuni nucleotidi da ciascuna estremità 3'. A questo punto, con una reazione di trasferimento del

filamento, l'integrasi stessa catalizza l'inserimento delle estremità 3' tagliata nel sito bersaglio del genoma

della cellula ospite. Il sito bersaglio, come già detto, può avere praticamente qualsiasi sequenza e per portare

a termine la ricombinazione le proteine della riparazione della cellula ospite riempiono l'interruzione che si è

venuta a formare sul sito bersaglio.

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72. I retrotrasposoni poli-a assomigliano ai geniI retrotrasposoni poli-A non hanno le ripetizioni terminali invertite presenti in tutti gli altri tipi di trasposoni.

Al contrario, le due estremità dell'elemento sono caratterizzate da sequenze diverse. Un'estremità è detta 5'

URT (per untraslated region, regione non tradotta), mentre l'altra ha una zona chiamata 3' UTR, seguita da

una serie di paia di basi del tipo A-T, la così detta sequenza poli-A. Questi elementi sono anche

fiancheggiati da corte duplicazioni del sito bersaglio. I retrotrasposoni portano due geni, noti come ORF1 e

ORF2. Il primo codifica per una proteina che lega l'RNA, mentre ORF2 per un fattore caratterizzato da

un'attività sia di trascrittasi inversa che endonucleasica. Comunque, i retrotrasposoni poli-A, quali, per

esempio, gli elementi LINE (circa il 20% del genoma) e SINE umani, si muovono per mezzo di un

intermedio a RNA ma usano un meccanismo diverso da quello usato dagli elementi simili ai virus. Questo

meccanismo è chiamato trascrizione inversa innescata dal sito bersaglio. Il primo passaggio consiste nella

trascrizione da parte di una RNA polimerasi cellulare dell'elemento a DNA integrato. In questo caso anche

se il promotore è nascosto nel 5' UTR, la sintesi dell'RNA può partire dal primo nucleotide del trasposone.

L'RNA neosintetizzato viene trasportato nel citoplasma e tradotto producendo le due proteine ORF1 e ORF2

che rimangono associate al trascritto che le ha codificate. Il complesso ribonucleico, quindi, rientra nel

nucleo dove si associa al DNA cellulare. A questo punto, l'endonucleasi inizia la reazione di integrazione

introducendo un taglio nel DNA cromosomico. Le sequenze ricche di T costituiscono dei siti preferenziali di

taglio. La presenza di queste T sul sito di taglio permette al DNA di appaiarsi con la coda poli-A

dell'elemento a RNA. L'estremità 3'-OH che si è venuta a formare nella reazione d'incisione del DNA, serve

come innesco per la retrotrascrizione dell'elemento a RNA. I passaggi finali della trasposizione, anche se

non ancora ben compresi, includono la sintesi del secondo filamento di cDNA, la riparazione della rottura

nel sito d'inserzione ed una reazione di ligasi utile a saldare i filamenti di DNA.

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73. Footprinting con la DNasi IIl footprinting con la DNasi permette di identificare quale porzione di una sequenza, per esempio di un

promotore, contiene elementi di controllo legati da fattori di trascrizione o più in generale da proteine. Se un

frammento di DNA è legato da una proteina, la regione  di legame è protetta dal trattamento con la nucleasi

DNasi I, che taglia tutti i legami fosfodiesterici tranne quelli protetti dalla proteina legata. Quindi, per

iniziare, il frammento di DNA da saggiare è marcato ad una estremità. A questo punto, viene mescolato alla

proteina da saggiare (o a un estratto nucleare se la proteina non è stata ancora purificata). Si effettua un

trattamento con la DNasi I in condizioni limitanti (bassa quantità di enzima) in modo che ciascuna molecola

del frammento di DNA venga tagliata una sola volta. Successivamente, viene rimossa la proteina, si esegue

una elettroforesi su gel di poliacrilammide ad alta risoluzione (bisogna separare frammenti che differiscono

per una sola base) e si visualizzano i frammenti marcati. Come controllo si carica lo stesso frammento

sottoposto a digestione con DNasi, in assenza dell’estratto nucleare (o della proteina). Si ottengono tante

bande quante sono le basi del frammento. La regione protetta dalla proteina alla DNasi I appare come un

“gap” nel pattern di bande, ossia si ha la scomparsa graduale delle bande nella regione del footprint, dove è

avvenuta la protezione del DNA dipendente dalla concentrazione della proteina aggiunta. Un metodo per

amplificare particolari frammenti di DNA, diverso dal clonaggio e dalla propagazione nell'organismo ospite,

invece, è la reazione a catena della polimerasi (polymerase chain reaction, PCR). La PCR sfrutta la reazione

di sintesi in vitro del DNA, reazione catalizzata dalla DNA polimerasi. Questo enzima richiede per il suo

funzionamento uno stampo (template), rappresentato da un filamento di DNA a cui deve trovarsi appaiato

un primer (corto oligodeossinucleotide), che funge da innesco fornendo un 3' OH libero, e la presenza di

deossinucleosidi 5’-trifosfato (dNTPs). La reazione di PCR si basa sull’uso di due primer di lunghezza pari a

18-20 nucleotidi, che sono disegnati in modo da essere esattamente complementari alle corrispondenti

sequenze fiancheggianti il tratto di DNA da amplificare. I due primer sono diretti in direzione opposta ma

convergente e definiscono le estremità del futuro prodotto dell’amplificazione. L’attività della DNA

polimerasi determinerà la sintesi di nuovi filamenti a partire da ciascun primer. La reazione è divisa in tre

stadi, ciascuno condotto ad una temperatura diversa. La prima tappa è la denaturazione che viene effettuata a

temperatura di 94°C per separare i due filamenti della molecola stampo. Sono infatti i primer che, nella

seconda tappa della PCR (annealing) appaiandosi ai filamenti denaturati, determinano il punto di innesco

della sintesi di DNA. La reazione di annealing avviene a temperatura inferiore a quella di denaturazione in

modo da consentire ai primer di appaiarsi alle sequenze complementari. La temperatura di annealing è un

parametro variabile e critico nel determinare la specificità della PCR (vedi disegno dei primer e scelta della

temperatura di annealing). Di norma questa temperatura è compresa tra 50-60°C. La tappa successiva

(polimerizzazione o estensione) è condotta a 72°C, temperatura ottimale per la DNA polimerasi del batterio

termofilo Thermus aquaticus (Taq DNA polimerasi), enzima che viene usato nella maggior parte delle

applicazioni. Questa tappa dura in funzione della lunghezza del tratto da sintetizzare (la Taq DNA

polimerasi in media sintetizza 1kb/min). Prima dell’isolamento delle DNA polimerasi termostabili si usava

la DNA polimerasi I di E.coli che però si inattivava ad ogni tappa di denaturazione e doveva quindi essere

aggiunta alla miscela di reazione ad ogni ciclo. L’isolamento delle DNA polimerasi da batteri termofili ha

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consentito di automatizzare la reazione che adesso viene effettuata tramite speciali strumenti detti termo-

ciclatori (thermo-cyclers). Il ciclo di denaturazione-appaiamento-estensione è ripetuto 20-30 volte in modo

tale da ottenere una grande amplificazione del DNA compreso nella regione di appaiamento dei due primer.

I primi prodotti discreti di PCR si formano a partire dal terzo ciclo e si accumulano con un andamento di

tipo esponenziale. Comunque, i fattori più importanti per la riuscita della PCR sono la scelta dei primers e la

temperatura di annealing, se quest'ultima è troppo alta i primers non si appaiano, se invece, è troppo bassa si

avranno degli appaiamenti indesiderati. I primers, invece, dovrebbero avere la stessa Tm, non essere

complementari tra loro e non dare luogo a strutture secondarie stabili.

Il saggio di ritardo di mobilità elettroforetica, detto anche EMSA (Electrophoretic Mobility Shift Assay), si

basa sulla diversa mobilità elettroforetica che un frammento di DNA presenta quando è complessato con una

proteina. Infatti, un frammento di DNA migra in un campo elettrico, con una velocità che dipende dalla sua

lunghezza. Se al frammento di DNA è legata una proteina, la sua mobilità elettroforetica diminuisce. Questo

può essere facilmente identificato comparando la mobilità con quella del campione di controllo a cui non è

stata aggiunta la proteina. Per questo, all'inizio della tecnica, il frammento da analizzare è marcato

terminalmente ed è incubato con un estratto di proteine nucleari. Si procede, quindi, all'elettroforesi su

poliacrilammide mentre nel pozzetto adiacente è caricato lo stesso frammento a cui non è stato aggiunto

l’estratto nucleare. Dopo la corsa il gel viene essiccato e poi sottoposto ad autoradiografia. Se una proteina

presente nell’estratto nucleare lega il frammento, il complesso DNA-proteina ha una mobilità elettroforetica

ritardata rispetto a campione di controllo. L'immunoprecipitazione della cromatina (ChIP), infine, è un

metodo ampiamente usato per identificare le proteine specifiche connesse con una regione del genoma, o al

contrario, per identificare le regioni del genoma connesso con le proteine specifiche. Queste proteine

possono essere isoforme degli istoni modificati ad un amminoacido particolare o ad altre proteine associate

alla cromatina. Quando viene utilizzato con gli anticorpi che riconoscono le modifiche dell'istone, il ChIP

può essere usato "per misurare" la quantità della modifica. Un esempio è la misura della quantità di

acetilazione dell'istone H3 connessa con una regione specifica del promotore del gene nelle varie circostanze

che potrebbero alterare l'espressione del gene. Gli istoni non sono le uniche  che possano essere studiate

usando questa tecnica. Gran parte dell'interesse recente è focalizzato anche nell'analisi della distribuzione

dei fattori di trascrizione.  L'utilizzo del ChIP prevede che le cellule siano inizialmente fissate con

formaldeide per effettuare il cross-linking del DNA e poi la cromatina viene raccolta dalle cellule e

sottoposta ad un processo di immunoselezione, che richiede l'uso degli anticorpi specifici (il cross-linking in

vivo con formaldeide lega covalentemente le proteine al DNA con cui interagiscono. Le cellule vengono

lisate e il DNA viene rotto in frammenti di 200-300 bp mediante sonicazione. L'immunoprecipitazione (IP)

con un anticorpo (AB) specifico per la proteina di interesse consente la separazione del DNA legato dal

resto del genoma. Il cross-linking può essere rimosso mediante riscaldamento, e il DNA identificato

mediante PCR). Tutte le sequenze del DNA unite con cross-linking alla proteina di interesse

coprecipiteranno come componente del complesso della cromatina. Dopo l' immunoselezione dei frammenti

di cromatina e purificazione di quelli associati a DNA, la rivelazione delle sequenze di DNA specifiche

viene svolta. Se il DNA che sarà rilevato è associato alla modifica dell'istone o della proteina che è

esaminata, la rappresentazione relativa di quella sequenza del DNA sarà aumentata (o sarà arricchita)

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tramite il processo di immunoprecipitazione. Solitamente una PCR standard è effettuata per identificare la

sequenza del DNA (il gene o la regione del genoma) connessa con la proteina di interesse.

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74. I meccanismi della trascrizione del DNAFino a questo punto, abbiamo considerato il mantenimento del genoma, cioè, come il materiale genetico è

organizzato, protetto e replicato. Ora ci occupiamo invece di come il materiale genetico è espressi, cioè, di

come la sequenza di basi del DNA dirige la produzione degli RNA e delle proteine attraverso: la trascrizione

(produce un RNA a singolo filamento identico a uno dei filamenti del DNA duplex. Le tre principali classi

di RNA sono RNA messaggero - mRNA, RNA transfer - tRNA, RNA ribosomale - rRNA), la maturazione

dell'RNA e la traduzione (converte la sequenza nucleotidica di un mRNA nella sequenza di amminoacidi

che costituisce una proteina). La trascrizione è, sia chimicamente che enzimaticamente, molto simile alla

replicazione del DNA, infatti entrambi i processi utilizzano enzimi che sintetizzano una nuova catena di

acidi nucleici complementare al filamento stampo di DNA, ma vi sono rilevanti differenze: 1) la nuova

catena è costituita da ribonucleotidi anziché deossiribonucleotidi; 2) l'RNA polimerasi (l'enzima che

catalizza la sintesi dell'RNA) non ha bisogno di un primer, difatti può iniziare la trascrizione ex novo; 3)

l'RNA prodotto non rimane accoppiato alle basi dello stampo di DNA bensì, l'enzima stacca la catena

ribonucleotidica per far sì che l'RNA sintetizzato possa essere tradotto nel suo prodotto proteico; 4) la

trascrizione è meno precisa della replicazione (viene commesso un errore ogni 10000 nucleotidi aggiunti,

rispetto a uno ogni 10000000 della replicazione), in quanto non vi sono meccanismi di correzione.

Comunque, la scelta della regione da trascrivere non è casuale: ciascuna regione contiene uno o più geni e ci

sono delle sequenze di DNA che dirigono l'avvio della trascrizione all'inizio di ciascuna regione ed altre alla

fine che la fanno terminare.

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75. Le RNA polimerasi e il ciclo della trascrizioneL'RNA polimerasi svolge essenzialmente la stessa funzione in tutte le cellule dai batteri all'uomo. In

dettaglio, i batteri hanno una sola RNA polimerasi, mentre le cellule eucariotiche ne hanno tre: la RNA

polimerasi I, II e III. La Pol II è l'enzima più studiato ed è anche la polimerasi responsabile della trascrizione

nella maggior parte dei geni che codificano per proteine. La Pol I e la Pol III sono, invece, coinvolte nella

trascrizione di geni che codificano rispettivamente per rRNA, la Pol I, e tRNA, alcuni piccoli RNA nucleari

(small nuclear RNA) e gli rRNA 5S, la Pol II. Comunque, il nucleo enzimatico o enzima core della RNA

polimerasi batterica è da solo in grado di sintetizzare l'RNA ed è composto da due copie della subunità , e da

una copia delle subunità , ' e . In generale, la forma di ciascun enzima assomiglia alla chela di un granchio.

Le due pinze della chela sono costituite principalmente dalle subunità maggiori di ciascun enzima ( e ' per

quello batterico, RPB1 e RPB2 per quello eucariotico). Il sito attivo è costituito da alcune regioni di

entrambe queste subunità, si trova alla base delle pinze, all'interno di una regione chiamata “solco centrale

attivo”. Questo sito è in grado di legare due ioni Mg2+, e questo ben si adatta con il meccanismo catalitico a

cationi bivalenti per l'aggiunta dei nucleotidi, proposto per tutti i tipi di polimerasi. Comunque, la

trascrizione inizia quando l'RNA polimerasi si lega ad una regione speciale, il promotore, all'inizio del gene.

Il promotore circonda la prima coppia di basi che è trascritta in RNA, il punto di inizio, da cui l'RNA

polimerasi si sposta lungo lo stampo, sintetizzando RNA, fino a raggiungere un terminatore. Questa azione

definisce un'unità di trascrizione che si estende dal promotore al terminatore. Le sequenze che precedono il

punto d'inizio dono descritte come sequenze a monte, mentre quelle che lo seguono (all'interno della

sequenza trascritta) sono sequenze a valle. Le sequenze sono scritte convenzionalmente in modo che la

trascrizione proceda da sinistra a destra, il che corrisponde a scrivere l'mRNA nella solita direzione 5'3'.

Inoltre, le posizioni delle basi sono numerate in entrambe le direzioni a partire dal punto d'inizio, a cui si

assegna il valore +1; i numeri positivi crescono andando verso valle. Alla base che si trova prima del punto

d'inizio viene assegnato il valore -1 e i numeri negativi aumentano verso monte (a nessuna base si assegna

0). Il prodotto immediato della trascrizione si chiama trascritto primario e consiste di un RNA che si estende

dal promotore al terminatore ma è molto instabile. Nei procarioti viene degradato rapidamente (mRNA) o

tagliato per formare prodotti maturi (rRNA e tRNA), mentre negli eucarioti è modificato alle estremità

(mRNA) e/o tagliato per formare prodotti maturi (tutti gli RNA).

Per trascrivere un gene, l'RNA polimerasi procede attraverso una serie di passaggi ben definiti che sono

raggruppati in tre fasi: inizio, allungamento e terminazione. Nella prima fase l'RNA polimerasi si lega ad

una sequenza di DNA, il promotore, quindi comincia la trascrizione in direzione 5'3', le basi si disappaiano e

si produce una “bolla” di DNA a singolo filamento. Diversamente dalla replicazione, però, solo uno dei due

filamenti di DNA funge da stampo. Durante l'allungamento, invece, si ha un cambio conformazionale che

porta l'RNA polimerasi ad ancorarsi ancora più saldamente allo stampo del DNA, dopo aver sintetizzato un

piccolo frammento di RNA. Inoltre, questo enzima, svolge il DNA di fronte a se stesso e lo riavvolge dietro,

stacca la catena di RNA dallo stampo di DNA mentre si muove lungo il filamento, e in più funziona da

correttore di bozze. Una volta che la polimerasi ha trascritto il gene, o i geni, in tuta la sua lunghezza, deve

fermarsi e rilasciare l'RNA prodotto. Questo passaggio è chiamato terminazione. In alcune cellule vi sono

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sequenze specifiche e ben caratterizzate che innescano la terminazione. In maniera più dettagliata, la prima

fase, ossia l'inizio può essere divisa in una serie di passaggi definiti. Il primo passaggio è il legame iniziale

della polimerasi al promotore per formare quello che viene chiamato complesso chiuso. In questa forma, il

DNA rimane a doppia elica e l'enzima è legato ad una sola faccia dell'elica. Nel secondo passaggio

dell'inizio, il complesso chiuso subisce una transizione verso un complesso aperto, in cui le catene di DNA

si separano per circa 14 basi attorno al punto di inizio formando la bolla di trascrizione. Bisogna ricordare,

che l'incorporazione dei primi dieci ribonucleotidi è un processo piuttosto inefficiente e in questo stadio

l'enzima spesso rilascia dei piccoli trascritti e poi inizia di nuovo la sintesi (inizio abortivo). Una volta che

l'enzima ha superato i dieci nucleotidi si dice che è evaso dal promotore. A questo punto si è formato un

complesso ternario stabile, contenente l'enzima, il DNA e l'RNA.

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76. Il ciclo della trascrizione nei batteriIl core della RNA polimerasi batterica è in grado, in linea di principio, di iniziare la trascrizione in qualsiasi

punto della molecola di DNA. Nelle cellule, però, la polimerasi inizia la trascrizione solo dai promotori. È

l'aggiunta di un fattore d'inizio, chiamato , che converte l'enzima core nella forma che è in grado di iniziare

solo dai promotori. Questa forma completa dell'enzima è chiamata RNA polimerasi oloenzima. Nel caso di

E.coli, il fattore predominante è chiamato 70 che riconosce promotori con le seguenti caratteristiche: due

sequenze conservate, ciascuna di sei nucleotidi, separate da un frammento non specifico di 17-19 nucleotidi.

Le due sequenze specifiche sono centrate rispettivamente a circa 10 e 35 paia di basi a monte del sito in cui

inizia la sintesi dell'RNA. Queste sequenze sono chiamate regioni o elementi -35 (minus 35) e -10 (minus

10). La funzione della sequenza -35 è quella di fornire il segnale per il riconoscimento da parte della RNA

polimerasi, mentre la sequenza -10 permette al complesso di convertirsi dalla forma chiusa a quella aperta.

Potremmo quindi considerare la sequenza -35 come un “dominio di riconoscimento” e la sequenza -10 come

un “dominio di svolgimento” del promotore. Sebbene la maggior parte dei promotori 70 contengano le

regioni -35 e -10, le sequenze non sono identiche.  Infatti, confrontando i diversi promotori, è possibile

derivare una sequenza consenso che rappresenta le regioni -10 e -35 più comuni, separate dallo spaziatore

ottimale (17 paia di basi). Comunque, i promotori con la sequenza più vicina a quella consenso sono

generalmente più “forti” di quelli con sequenze divergenti. Inoltre, in alcuni promotori forti, ad esempio

quelli che dirigono l'espressione dei geni per gli rRNA, si trova un elemento addizionale di DNA che lega la

RNA polimerasi. Si chiama UP-element (elemento UP) ed aumenta il legame della polimerasi, in quanto

fornisce un'ulteriore interazione specifica tra l'enzima e il DNA. Un'altra classe di promotori 70 non ha la

regione -35, però possiede il così detto elemento -10 esteso. Il fattore 70 può essere suddiviso in quattro

regioni denominate 1-4. Le regioni che riconoscono gli elementi -10 e -35 del promotore sono

rispettivamente la regione 2 e 4. Due eliche all'interno della regione 4 formano un dominio comune di

legame al DNA, chiamato elica-giro-elica. Una di queste eliche si inserisce nel solco maggiore e interagisce

con le basi della regione -35; l'altra elica si posiziona sulla sommità del solco ed entra in contatto con

l'ossatura del DNA. Anche la regione -10 è riconosciuta da un' elica. In questo caso però, l'interazione è

molto meno caratterizzata e più complessa in quanto è proprio su questo elemento che avviene l'inizio della

separazione del DNA durante la transizione tra complesso chiuso a quello aperto. Per questo motivo l'elica

che è coinvolta nel riconoscimento della regione -10 contiene parecchi amminoacidi aromatici essenziali,

che possono stabilizzare il DNA aperto. Contrariamente, agli altri elementi del promotore, l'elemento UP

non viene riconosciuto da , ma da un dominio carbossiterminale della subunità , chiamato CTD, che è unito

all'NTD tramite una connessione flessibile.  Bisogna ricordare che oltre al fattore sigma, per rispondere a

cambiamenti generali dell'ambiente, E.coli usa fattori sigma alternativi che prendono il nome o dal peso

molecolare del prodotto o dal gene. Il fattore generale responsabile della trascrizione della maggior parte dei

geni in condizioni normali è 70, mentre i fattori alternativi S, 32, E e 54 sono attivi in risposta a

cambiamenti ambientali.

Il legame iniziale tra l'RNA polimerasi e il promotore nel complesso chiuso lascia il DNA nella forma a

doppia elica. Lo stadio successivo dell'inizio richiede che l'enzima sia legato in maniera più salda con il

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promotore, nel complesso aperto. La transizione dal complesso chiuso a quello aperto comporta dei cambi

strutturali nell'enzima e l'apertura della doppia elica del DNA per liberare il filamento stampo da quello non

stampo. Questa separazione avviene tra la posizione -11 e +3 rispetto al sito di inizio della trascrizione. Nel

caso della polimerasi batterica non vi è bisogno dell'idrolisi dell'ATP ma è un cambio conformazionale

spontaneo (isomerizzazione). Per avere un'idea dei cambi strutturali che accompagnano l'isomerizzazione,

dobbiamo esaminare la struttura dell'oloenzima più in dettaglio. Come abbiamo detto, un canale corre tra le

pinze dell'enzima a forma di chela di granchio. Il sito attivo dell'enzima, che è composto da regioni in

entrambe le subunità e ', si trova alla base delle pinze, all'interno del “solco centrale attivo”. Ci sono cinque

canali nell'enzima. Il canale d'ingresso NTP-uptake, permette l'entrata dei ribonucleotidi verso il centro

attivo. Il canale di uscita dell'RNA (RNA-exit) consente alla catena di RNA di lasciare l'enzima mentre è

sintetizzato durante l'allungamento. I tre canali rimanenti permettono l'ingresso e l'uscita del DNA

dall'enzima: il DNA a valle (ossia quello che si trova davanti l'enzima e che deve essere trascritto) entra nel

solco centrale attivo nella forma a doppia elica, attraverso il canale del DNA a valle (DNA downstream).

All'interno del solco centrale attivo, le catene di DNA si separano dalla posizione +3. Il filamento non

stampo esce dal solco centrale attivo attraverso il canale NT (non template) e si sposta lungo la superficie

dell'enzima. Il filamento stampo, invece, segue un cammino lungo il solco centrale attivo ed esce tramite il

canale T (template). La doppia elica si riforma in posizione -11 nel DNA a monte, cioè dietro l'enzima. In

seguito all'isomerizzazione dal complesso chiuso a quello aperto, si possono osservare due importanti

cambiamenti strutturali dell'enzima: 1) le pinze anteriori si chiudono fermamente sul DNA a valle e 2) c'è

uno spostamento consistente della regione N-terminale di che permette l'accesso del DNA nel sito attivo.

Come abbiamo detto precedentemente, inoltre, il fattore sigma è coinvolto soltanto nell'inizio della

trascrizione e non è presente quando si conclude l'inizio abortivo e la sintesi di RNA è iniziata con successo.

Quando viene rilasciato dal nucleo dell'enzima, il fattore sigma diventa immediatamente disponibile per

essere usato da un altro nucleo dell'enzima. Quest'ultimo ha un elevata affinità intrinseca per il DNA, che è

aumentata dalla presenza di RNA nascente, ma la sua affinità per i siti di legame debole è troppo alta per

permettere all'enzima di distinguere in modo efficiente i promotori dalle altre sequenze. Riducendo la

stabilità dei complessi deboli, sigma permette al processo di avvenire molto più rapidamente e, stabilizzando

l'associazione a livello dei siti di legame forte, il fattore spinge irreversibilmente la reazione verso la

formazione di complessi aperti. Quando l'enzima rilascia sigma, ritorna ad un'affinità generale per tutto il

DNA, indipendentemente dalla sequenza, adatta a continuare la trascrizione. Bisogna ricordare, che tutte le

RNA polimerasi sono comunque debolmente al DNA.

L'importanza della separazione dei filamenti del DNA nella reazione di inizio è evidenziata dagli effetti sul

superavvolgimento. Infatti, sia le RNA polimerasi procariotiche che eucariotiche possono iniziare la

trascrizione in vitro quando lo stampo è superavvolto, presumibilmente perché la struttura superavvolta

richiede meno energia per la fusione iniziale del DNA nel complesso d'inizio. Inoltre il superavvolgimento

viene anche continuamente coinvolto nella trascrizione. Man mano che la RNA polimerasi trascrive il DNA

si ha avvolgimento e svolgimento. Infatti, man mano che si spinge in avanti lungo la doppia elica, la RNA

polimerasi genera superavvolgimento positivi (DNA avvolto più strettamente) davanti a sé e lascia

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superavvolgimenti negativi (DNA parzialmente svolto) dietro di sé. La trascrizione ha perciò un effetto

significativo sulla struttura locale del DNA. Come risultato, gli enzimi girasi (che introduce

superavvolgimenti negativi) e topoisomerasi I (che rimuove superavvolgimenti negativi) sono necessari per

rettificare la situazione rispettivamente davanti e dietro la polimerasi. 

La trascrizione vera e propria, comunque, dall'RNA polimerasi che può iniziare una nuova catena di RNA su

uno stampo di DNA e perciò non ha bisogno di un primer. Questa non facile impresa richiede che il

ribonucleotide d'inizio venga portato nel sito attivo e tenuto saldamente legato allo stampo, mentre l'NTP

successivo venga presentato nel corretto assetto affinché avvenga la reazione di polimerizzazione. Una volta

che il ribonucleotide di inizio è entrato nel solco centrale attivo e comincia la sintesi di RNA, segue un

periodo chiamato inizio abortivo. In questa fase, l'enzima sintetizza delle molecole di RNA corte, lunghe

circa 10 nucleotidi o meno. Anziché essere allungati ulteriormente, questi trascritti vengono rilasciati dalla

polimerasi e l'enzima, senza dissociarsi dallo stampo, inizia di nuovo la sintesi. Non è ancora chiaro il

motivo di questo inizio abortivo ma si pensa che affinché si possa generare un RNA più lungo di 10

nucleotidi, una regione di che si trova all'inizio ad occupare il canale di uscita dell'RNA deve essere

spostata per permettere successivamente l'allungamento. A questo punto, all'apertura del solco centrale

attivo, le due catene di DNA si separano e seguono diversi cammini passando dall'enzima, prima di uscire

lungo i rispettivi canali e si riassociano in doppia elica dietro la polimerasi che sta allungando. I

ribonucleotidi entrano nel sito attivo per i loro canali e vengono aggiunti alla catena di RNA sotto la giuda

del filamento stampo di DNA. Solamente otto o nove nucleotidi della catena di RNA rimangono accoppiati

allo stampo in ogni determinato momento: il resto della catena di RNA si stacca e viene portata fuori

dall'enzima attraverso il canale di uscita dell'RNA. La formazione del legame fosfodiesterico avviene per

attacco idrofilico del gruppo 3' OH dell’ultimo nucleotide della catena sul gruppo fosfato a del NTP in

entrata, con rilascio di una molecola di pirofosfato. Inoltre, l'RNA polimerasi svolge due funzioni specifiche

di correzione. La prima è chiamata editing pirofosfolitico, in cui l'enzima usa il suo sito attivo per

catalizzare la rimozione di un ribonucleotide errato tramite la reincorporazione di PPi, e quindi incorporare

un altro ribonucleotide corretto al suo posto, e l'editing idrolitico, in cui la polimerasi torna indietro di uno o

più nucleotidi e taglia l'RNA prodotto, rimuovendo le sequenze che contengono errori, per poi ripartire

(quindi può fare una pausa).

Una volta che l'RNA polimerasi a iniziato la trascrizione, l'enzima si muove lungo lo stampo, sintetizzando

RNA, fino a incontrare la sequenza di un terminatore. A questo punto l'enzima smette di aggiungere

nucleotidi alla catena di RNA in crescita, rilascia il prodotto completato e si dissocia dallo stampo di DNA.

Nei batteri i terminatori sono di due tipi: Rho-indipendenti e Rho-dipendenti. Il primo tipo fa terminare la

polimerasi senza il coinvolgimento di altri fattori. Il secondo tipo, invece, ha bisogno di una proteina

addizionale, chiamata Rho, per indurre la terminazione. Comunque, i terminatori Rho-indipendenti, detti

anche terminatori intrinseci, sono costituiti di due elementi: una sequenza invertita (palindromica) corta

(circa 20 nt), cui segue un piccolo segmento di circa otto coppie di basi A-T. Quando la polimerasi trascrive

questo elemento invertito, l'RNA risultante può formare una struttura a cappio (stem-loop), detta anche

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“forcina”, grazie all'appaiamento intramolecolare di basi. Si pensa che la forcina provochi la terminazione

attraverso la rottura del complesso di allungamento. Questa rottura avviene perché viene aperto a forza il

canale di uscita dell'RNA nell'RNA polimerasi, oppure, secondo un altro modello, perché si interrompono le

interazioni tra l'RNA e lo stampo. La forcina funziona da terminatore in maniera efficiente solo quando è

seguita da un segmento di coppie di basi A:U. I terminatori Rho-dipendenti, invece, hanno degli elementi di

RNA molto meno caratterizzati e perciò hanno bisogno dell'aiuto fornito dal fattore Rho. Quest'ultimo, è una

proteina a forma di anello, costituita da sei subunità identiche, si lega all'RNA a singola elica appena questo

esce dalla polimerasi. La proteina, oltre ad un attività elicasica, ha anche una attività ATPasica: una volte

legata al trascritto, usa l'energia derivata dall'idrolisi dell'ATP per staccare l'RNA dallo stampo e dalla

polimerasi. Inoltre, Rho ha una certa specificità nella sequenza a cui si lega. Questi siti ottimali consistono

in una serie di 40 nucleotidi che non formano una struttura secondaria (cioè rimangono a singola elica) e

contengono anche un buon numero di residui in C.

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77. La trascrizione negli eucarioti Gli eucarioti, al contrario dei batteri in cui troviamo una sola polimerasi, durante la trascrizione utilizzano

tre diverse polimerasi, che trascrivono ciascuna una classe diversa di geni:

• La RNA polimerasi I trascrive l'rRNA. Essa è localizzata nel nucleolo ed è responsabile della sintesi del

50-70% dell’RNA totale;

• La RNA polimerasi II trascrive l'mRNA. Essa è localizzata nel nucleoplasma e sintetizza il 20-40%

dell’RNA totale;

• La RNA polimerasi III trascrive il tRNA e altri piccoli RNA. Essa è localizzata nel nucleoplasma e

sintetizza il 10% circa dell’RNA totale.

Inoltre, mentre i batteri hanno bisogno di un solo fattore addizionale d'inizio (), nelle cellule eucariotiche

sono richiesti numerosi fattori d'inizio addizionali. Questi fattori sono chiamati fattori generali di

trascrizione (GTF). In vitro per una trascrizione efficiente basano questi fattori generali assieme alla Pol II,

mentre, in vivo, essendo il DNA organizzato in nucleosomi, sono richiesti altri fattori, incluso il complesso

così detto mediatore, proteine regolatrici che legano il DNA e spesso, anche degli enzimi che modificano la

cromatina. In dettaglio, un promotore base eucariotico è lungo in genere circa 40 coppie di basi e si estende

a monte o a valle del sito d'inizio della trascrizione. Il promotore, di norma, è costituito da quattro elementi:

l'elemento riconosciuto da TFIIB (BRE), l'elemento TATA (TATA box), l'iniziatore (Inr) e l'elemento a

valle (DPE, downstream promoter element). Di fatto, un promotore contiene solo due o tre di questi quattro

elementi. Oltre (e principalmente a monte) al promotore prossimale, ci sono altre sequenze importanti per

una trascrizione efficiente in vivo. Questi elementi costituiscono le sequenze regolatrici e sono raggruppate

in diverse categorie. Queste sequenze includono: elementi del promotore prossimale, sequenze attivatrici a

monte (UAS, upstream activating sequences), enhancer e una serie di elementi repressori chiamati

silenziatori (silencer), elementi di confine ed isolatori. Tutte queste sequenze di DNA legano delle proteine

regolatrici (attivatori e repressori) che aiutano o inibiscono la trascrizione del promotore base.

I fattori generali di trascrizione hanno, tutti insieme, la stessa funzione di , quindi aiutano la polimerasi a

legarsi al promotore e a separare il DNA, nonché a lasciare il promotore e a passare alla fase di

allungamento. Il gruppo completo dei fattori di trascrizione e della polimerasi, legati assieme al promotore e

pronti per l'inizio, viene chiamato complesso pre-inizio. La formazione di questo complesso inizia

dall'elemento TATA box (circa 30 bp a monte del sito di inizio della trascrizione), riconosciuto dal fattore

generale di trascrizione chiamato TFIID (la nomenclatura “TFII” caratterizza il fattore di trascrizione per la

Pol II, distinguendo i diversi fattori con lettere A, B, etc.). Come molti dei fattori generali di trascrizione,

anche TFIID è, di fatto, un complesso di molte subunità. Il componente di TFIID che lega la TATA box del

DNA è chiamato TBP (TATA binding protein). Le altre subunità del complesso sono dette TAF, per TBD

associated factors, e si legano agli elementi del promotore, come ad esempio, l'elemento iniziatore (Inr) e

l'elemento a valle del promotore (DPE). In seguito al legame con il DNA, TBP distorce, con un angolo di

circa 80°, la sequenza TATA in maniera molto marcata, riconoscendo una regione estesa del foglietto per il

riconoscimento del solco minore della TATA box. Questo fornisce una piattaforma piatta per il reclutamento

degli altri fattori e della polimerasi stessa sul promotore. In vitro, queste proteine si associano al promotore

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nel seguente ordine: TFIIA, TFIIB, TFIIF assieme alla polimerasi, e in seguito, TFIIE e TFIIH, che si

legano a monte della Pol II. La formazione del  complesso pre-inizio, contenente questi componenti, è

seguita dalla dissociazione dei due filamenti del promotore. Contrariamente a ciò che succede nei batteri, la

dissociazione dei filamenti del promotore negli eucarioti, richiede l'idrolisi dell'ATP ed è mediata da TFIIH,

che agisce nel dominio C-terminale della Pol II, quello più grande, detto CTD, costituito nell'uomo da una

serie di ripetizioni della sequenza Tyr-Ser-Pro-Thr-Ser-Pro-Ser. È infatti l'attività elicasica di questo fattore

che stimola l'apertura del DNA del promotore. Successivamente, proprio come abbiamo visto nei batteri,

segue un periodo di inizio abortivo, prima che la polimerasi lasci il promotore ed entri nella fase di

allungamento. Infine, negli eucarioti, l'evasione del promotore, prevede un passaggio che non avviene nei

batteri, e cioè la fosforilazione della polimerasi nella sua coda. L'aggiunta di questi fosfati aiuta la

polimerasi a liberarsi dei fattori generali di trascrizione utilizzati per l'inizio e che l'enzima lascia indietro

appena evade il promotore. Inoltre, la regolazione dello stato di fosforilazione del CTD controlla anche i

passaggi successivi, quelli che riguardano la maturazione dell'RNA.

Per avere dei livelli di trascrizione elevati e regolati, in vivo, come abbaiamo già detto, occorrono il

complesso mediatore, proteine trascrizionali regolatrici e, in molti casi, enzimi che modificano i nucleosomi.

Le proteine trascrizionali regolatrici, chiamate attivatori, aiutano il reclutamento della polimerasi al

promotore e ne stabilizzano il legame. Spesso, l'interazione avviene con il complesso mediatore. Il

mediatore è associato con la coda CTD della subunità maggiore della polimerasi attraverso una superficie di

legame, mentre presenta altre superfici per l'interazione con gli attivatori legati al DNA. In dettaglio, diversi

attivatori interagiscono con diverse subunità del mediatore per portare la polimerasi su geni differenti.

Inoltre, il mediatore favorisce l'inizio tramite la regolazione della CTD chinasi di TFIIH. Comunque, sia il

mediatore di lievito, sia quello umano, contengono più di 20 subunità, delle quali almeno 7 hanno una

omologia di sequenza significativa tra i due organismi.

Una volta che la polimerasi ha iniziato la trascrizione, si passa alla fase di allungamento. Questa transizione

prevede che la Pol II si liberi della maggior parte dei suoi fattori di inizio, quali, ad esempio, i fattori

generali di trascrizione e il mediatore. Al loro posto viene reclutato un altro gruppo di fattori. Alcuni di

questi (tipo TFIIS e hSPT5) sono fattori di allungamento. Così come per i fattori di inizio, gli enzimi

coinvolti in tutti questi processi sono reclutati dalla coda C-terminale  della subunità maggiore della Pol II, il

CTD. In questo caso, però, questi nuovi fattori preferiscono la forma fosforilata del CTD. Quindi, la

fosforilazione del CTD provoca uno scambio tra i fattori di inizio e quelli necessari per l'allungamento e la

maturazione dell'RNA. Si crede che vi siano diverse proteine in grado di stimolare l'allungamento della Pol

II. Una di queste, la chinasi P-TEFb, viene reclutata sulla polimerasi dagli attivatori trascrizionali, e fosforila

la serina in posizione 2 sul CTD. Questo porta all'attivazione di altre proteine, hSPT5 e TFIIS, due fattori di

allungamento.  Quest'ultimo stimola il decorso generale dell'allungamento riducendo il tempo di fermata

della polimerasi, in quanto quest'ultima è spesso rallentata, e, inoltre, contribuisce alla correzione da pare

della polimerasi, aiutandola a rimuovere le basi errate.

Una volta trascritto, l'RNA eucariotico deve subire una maturazione prima di essere esportato dal nucleo e

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poi tradotto. Gli eventi di maturazione sono i seguenti: rivestimento (capping) dell'estremità 5' dell'RNA,

splicing e poliadenilazione dell'estremità 3' dell'RNA. Quello più complesso è lo splicing, il processo

mediante il quale gli introni non codificanti vengono rimossi dall'RNA per generare l'mRNA maturo. Il

capping, invece, prevede l'aggiunta di una base guanina modificata all'estremità 5' dell'RNA. Di fatto è una

guanina metilata e viene aggiunta al trascritto di RNA attraverso un legame 5'-5' insolito che coinvolge tre

fosfati. Abbiano tre passaggi: nel primo passaggio, un gruppo fosfato viene rimosso dal 5' del trascritto. Poi

viene aggiunto il GTP. Nel passaggio finale, il nucleotide viene modificato tramite l'aggiunta di un gruppo

metile. L'RNA subisce il capping quando è lungo 20-40 nucleotidi, quando, cioè, il ciclo di trascrizione è al

punto di transizione tra la fase di inizio e quella di allungamento. Dopo il capping, la defosforilazione della

serina 5 all'interno del CTD della Pol II provoca la dissociazione del macchinario del capping, e un'ulteriore

fosforilazione (della serina 2) porta al reclutamento del macchinario necessario per lo splicing dell'RNA.

Successivamente, una volta che la polimerasi ha raggiunto la fine di un gene, incontra delle sequenze

specifiche che, dopo essere trascritte nell'RNA, innescano il trasferimento degli enzimi di poliadenilazione

sull'RNA, provocando tre eventi: il taglio del messaggero, l'aggiunta di molti residui adeninici alla sua

estremità 3' (poli-A) e, conseguentemente, il termine della trascrizione da parte della polimerasi. Il processo

avviene in questo modo, due complessi proteici sono portati dal CTD appena la polimerasi si avvicina alla

fine del gene: CPSF (cleavage and polyadenylation specificity factor) e CstF (cleavage stimulation factor).

Una volta che quest'ultimi sono legati all'RNA, vengono reclutate altre proteine che, di fatto, provocano il

taglio dell'RNA e poi la poliadenilazione. Quest'ultima è mediata da un enzima chiamato poli-A polimerasi,

e aggiunge circa 200 adenine all'estremità 3' dell'RNA, prodotto dopo il taglio. Questo enzima utilizza l'ATP

come precursore e aggiunge i nucleotidi usando la stessa chimica dell'RNA polimerasi, però lo fa senza uno

stampo.

L'RNA polimerasi I, come abbiamo detto, invece, trascrive soltanto i geni per l'RNA ribosomiale a partire

da un singolo tipo di promotore. Quest'ultimo consiste di due regioni separate. Il nucleo del promotore

circonda il punto di inizio, da -45 a +20, ed è sufficiente per l'inizio della trascrizione. L'efficienza del

promotore è però aumentata di molto dall'elemento a monte del promotore (UPE) che si estende da -180 a -

107. Queste due regioni sono ricche di G:C e identiche per l'85%. Il fattore UBF1 si lega su UPE e recluta

SL1. Quest'ultima consiste di 4 proteine, tra cui TBP, comune per l'inizio della trascrizione anche per le Pol

II e III.

Per quanto riguarda la RNA polimerasi III, invece, i suoi promotori si dividono in due classi generali che

sono riconosciuti in modo diverso da gruppi diversi di fattori. I promotori per i geni dell'RNA 5S e dei

tRNA sono interni e si trovano a valle dal punto di inizio. Mentre, i promotori per i geni degli snRNA (small

nuclear RNA) si trovano a monte del punto di inizio, nella posizione più convenzionale degli altri promotori.

Per l'RNA polimerasi III esistono due tipi di promotori interni, ciascuno dei quali contiene una struttura

bipartita, in cui due brevi elementi di sequenza sono separati da una sequenza variabile. Il tipo I consiste di

una sequenza boxA separata una una sequenza boxC e il tipo 2 consiste di una sequenza boxA separata da

una sequenza boxB. I promotori di tipo 3, invece, hanno tre elementi di sequenza posti tutti a monte del

punto d'inizio. Comunque, i promotori interni di tipo II richiedono il legame del fattore di assemblaggio

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TFIIIC, che recluta il fattore TFIIIB. Quindi TFIIIC si stacca, mentre TFIIIB rimane legato vicino alla

sequenza d’inizio ed è necessario e sufficiente per permettere il legame della RNA polimerasi III. TFIIIB

contiene TBP. Mentre, i promotori interni di tipo 1 richiedono il legame dei fattori di assemblaggio TFIIIA e

TFIIIC, che reclutano il fattore TFIIIB.

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78. Lo splicing DELL'RNALa sequenza codificante di un gene è una serie di codoni a tre nucleotidi che specificano a sequenza lineare

degli amminoacidi del suo prodotto polipeptidico. Per le maggior parte dei batteri e dei fagi, la sequenza

codificante è continua: il codone per un amminoacido è immediatamente adiacente al codone per

l'amminoacido successivo. Ma non è sempre così per i geni degli eucarioti in cui la sequenza codificante è

interrotta periodicamente da sequenze non codificanti. Le sequenze codificanti sono chiamate esoni, mentre

quelle interposte sono dette introni. Le dimensioni e il numero di queste sequenza varia enormemente.

Comunque, spesso gli introni (possono arrivare fino a 800 kb) sono più lunghi degli esoni (150 nt) che

separano. Sia per i procarioti che per gli eucarioti, i geni sono trascritti in una singola copia di RNA, quindi

il trascritto primario contiene sia esoni che introni. Il macchinario della sintesi proteica, però, è in grado di

tradurre solo gli RNA messaggeri che contengono segmenti continui di codoni, quindi non ha modo di

identificare ed evitare un blocco di sequenze non codificanti; per questo, gli introni vengono rimossi dai pre-

mRNA attraverso un processo chiamato splicing dell'RNA. Questo processo converte il pre-mRNA in un

messaggero maturo e deve essere molto preciso per evitare la perdita o l'aggiunta anche di un singolo

nucleotide nei punti in cui gli esoni vengono uniti. Inoltre, alcuni pre-mRNA possono essere tagliati

(spliced) in modi diversi, generando così degli mRNA alternativi. Ad esempio, possono essere escisse

diverse combinazioni di introni. Questo fenomeno è detto splicing alternativo e, grazie a questa strategia, un

gene può generare più di un prodotto polipeptidico.

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79. La chimica dello splicing dell'RNAI confini tra gli esoni e gli introni sono marcati da sequenze nucleotidiche specifiche all'interno del pre-

mRNA. Queste sequenze specificano dove avverrà lo splicing e sono dette sito di splicing 5', in quanto sono

posizionate al limite all'estremità 5' dell'introne. Il confine introne-esone all'estremità 3' dell'introne è

marcato, invece, dal sito di splicing 3'. Comunque, per lo splicing è richiesta una terza sequenza chiamata

punto di ramificazione, che si trova all'interno dell'introne, di solito vicino alla sua estremità 3' ed è seguita

da un segmento di polipirimidine. Chimicamente, il meccanismo di splicing avviene tramite due reazioni

successive di transesterificazione, in cui alcuni legami fosfodiesterici all'interno del pre-mRNA vengono

rotti ed altri nuovi vengono formati. La prima reazione è iniziata dal 2' OH della A conservata al punto di

ramificazione. Questo gruppo agisce attraverso un attacco nucleofilo del gruppo fosfato della G conservata

nel sito di splicing 5'. Conseguentemente, il legame fosfodiesterico tra lo zucchero e il fosfato alla giunzione

tra l'introne e l'esone viene tagliato e l'estremità 5' libera dell'introne viene unita alla A del punto di

ramificazione. Da notare che l'esone 5' viene rilasciato nella prima reazione di transesterificazione. Nella

seconda reazione, l'esone 5' (o più precisamente l'OH al 3' appena liberato dall'esone 5') cambia ruolo e

diventa un nucleofilo che attacca il gruppo fosfato al sito di splicing 3'. Questa seconda reazione ha due

conseguenze: unisce gli esoni 5' e 3' e libera l'introne che funge da gruppo uscente ed ha forma di un cappio.

In generale, si è visto che vi è la rottura e la formazione di due legami fosfodiesterici, quindi non vi è

bisogno di energia per la chimica di questo processo. Tuttavia è necessaria una grande quantità di ATP per il

corretto assemblaggio e funzionamento del macchinario di splicing. Infine, bisogna dire che la reazione

procede sempre in avanti per due motivi: 1) si aumenta l'entropia dividendo la singola molecola di pre-

mRNA in due molecole, ovvero l'mRNA e l'esone a cappio, e 2) l'introne liberato viene subito degradato e

perciò non è più disponibile per la reazione inversa. Comunque, nella descrizione della chimica dello

splicing abbiamo visto come il sito di splicing 5' venga unito al sito di splicing al 3' dell'esone

immediatamente successivo. Questo però non sempre accade. In quanto, nello splicing alternativo, alcuni

esoni possono essere saltati e un dato esone può essere unito ad un altro esone molto più a valle. In altri casi,

due esoni provenienti da due molecole di RNA distinte possono essere uniti tramite un processo chiamato

splicing in trans (molto comune nei nematodi).

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80. Il macchinario dello spliceosoma e le vie dello splicingLe reazioni di transesterificazione appena descritte sono mediate da un'enorme “macchina” molecolare

chiamata spliceosoma. Questo complesso è costituito da circa 150 proteine e 5 RNA e ha dimensioni simili a

quelle di un ribosoma. Gli RNA riconoscono le sequenze ai confini introne-esone e molto probabilmente

partecipano essi stessi alla catalisi della reazione di splicing. I cinque RNA (U1, U2, U4, U5 e U6) sono nel

loro insieme chiamati piccoli RNA nucleari (snRNA, small nuclear RNA). Ciascuno di questi RNA è lungo

dai 100 ai 300 nucleotidi e si complessa con diverse proteine. Questi complessi RNA-proteine sono detti

piccoli ribonucleoproteine nucleari (snRNP, small nuclear ribonuclear protein). Le snRNP rivestono tre ruoli

nello splicing: riconoscono il sito di splicing 5' e il punto di ramificazione; portano questi siti vicini quando

occorre e catalizzano il taglio e la giunzione dell'RNA. All'inizio del processo di splicing, il sito di splicing

5' viene riconosciuto dalla snRNP U1 (attraverso l'appaiamento delle basi del suo snRNA e del pre-mRNA).

Una delle subunità di U2AF si lega al segmento polipirimidinico, mentre l'altra si lega al sito di splicing 3'.

La prima subunità interagisce con BBP e aiuta questa proteina a legarsi al punto di ramificazione. A questo

punto, la snRNP U2 si lega al punto di ramificazione, con l'aiuto di U2AF, e spiazza BBP. Questo

arrangiamento è chiamato complessa A. L'appaiamento di basi tra l'snRNA U2 e il punto di ramificazione è

tale che il residuo di A dal punto di ramificazione venga spinto fuori dal segmento risultante a doppia elica

di RNA e formi una protuberanza a singolo nucleotide. Questa A diventa così non accoppiata e disponibile

per la reazione con il sito di splicing 5'. Successivamente, le snRNP U4 e U6, assieme alla snRNP U5, si

uniscono al complesso. Queste tre snRNP assieme sono dette tripla snRNP U4/U6*U5, in cui le snRNP U4 e

U6 sono tenute assieme dall'accoppiamento complementare delle basi dei loro corrispettivi snRNA, mentre

la snRNP U5 è legata in maniera più lassa attraverso interazioni proteina-proteina. Con l'ingresso della tripla

snRNP il complesso A diventa complesso B. Nel passaggio successivo, U1 lascia il complesso e U6 lo

rimpiazza al sito di splicing 5'. Il riarrangiamento successivo innesca la catalisi ed avviene nel modo

seguente: U4 viene rilasciato dal complesso permettendo a U6 di interagire con U2. Questo riarrangiamento

chiamato complesso C produce il sito attivo, permettendo all'RNA substrato di posizionarsi correttamente.

Infatti, la formazione del sito attivo mette in prossimità il sito di splicing 5' del pre-mRNA e il punto di

ramificazione, facilitando la prima reazione di transesterificazione. La seconda reazione, tra i siti splicing 5'

e 3', è supportata dalla snRNP U5, che aiuta ad avvicinare i due esoni.

Finora abbiamo considerato solo lo splicing del pre-mRNA nucleare, mediato dallo spliceosoma, comune in

tutti  gli eucarioti. Me vi sono anche gli introni self-splicing del gruppo I e gruppo II, introni in grado di

autorimuoversi dagli RNA, in una provetta, in assenza di proteine o di altre molecole di RNA. Nel caso

degli introni del gruppo II, la chimica dello splicing, quindi le due reazioni di transesterificazione, e gli

intermedi di RNA prodotti sono gli stessi di quelli per i pre-mRNA nucleari. Gli introni del gruppo I, invece,

subiscono uno splicing secondo un percorso diverso. Anziché un residuo di A nel punto di ramificazione,

utilizzano un nucleotide o nucleoside G libero. Questa G è legata dall'RNA e il suo gruppo 3' OH viene

presentato al sito di splicing 5'. Lo stesso tipo di transesterificazione che porta alla formazione del cappio

negli esempi precedenti, qui unisce la G all'estremità 5' dell'introne. La seconda reazione ora procede come

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negli esempi precedenti: l'estremità 3' libera dell'esone attacca il sito di splicing 3'. Questo unisce i due esoni

e rilascia l'introne, questa volta in forma libera invece che a cappio.

Un gene umano medio contiene otto o nove esoni e può essere tagliato in tre forme alternative, vi sono però

altri geni di altri organismi, come ad esempio Drosophila, in cui abbiamo 38000 modi alternativi (ma anche

nell'uomo vi sono geni contenenti 363 esoni). Inoltre l'esone medio è lungo solo 150 nucleotidi, mentre la

lunghezza media degli introni è di circa 3000 nucleotidi, di conseguenza, gli esoni devono essere identificati

all'interno di un oceano di sequenze introniche. Per questi e altri motivi, il riconoscimento del sito di

splicing prevede due tipi di errori: 1) in primo luogo, il sito di splicing può essere saltato, ad esempio un

dato sito di splicing 5' può appaiarsi con quelli al 3' al di là di quello corretto, o 2) in secondo luogo, altri siti

con una sequenza simile a quella di splicing corretta possono essere riconosciuti erroneamente. Per questo

motivo vi sono due modi con cui l'accuratezza della selezione di siti di splicing può essere mantenuta. Per

primo, l'RNA polimerasi II, mentre trascrive, trasporta diverse proteine che sono coinvolte nello splicing.

Quando si incontra un sito di splicing 5', lungo la molecola di RNA appena sintetizzata, queste proteine

vengono trasferite dalla coda C-terminale della polimerasi sull'RNA stesso. Una volta posizionati, i

componenti sul sito 5' aspettano di interagire con i componenti che si legano al sito di splicing 3' successivo,

pronto per essere trascritto. In questo modo, il sito corretto di splicing 3' può essere riconosciuto prima che

gli altri siti competitori a valle vengano trascritti. Il secondo meccanismo di protezione contro l'utilizzo di

siti non corretti è il fatto che vengono riconosciuti preferenzialmente i siti di splicing vicini agli esoni

(quindi quelli che sono probabilmente i più legittimi). Le proteine chiamate SR si legano alle sequenze

collocate all'interno degli esoni dette enhancer di splicing esonico (exonic splicing enhancer, ESE). Le

proteine SR, legate a questi siti, interagiscono con alcuni componenti del macchinario di splicing,

reclutandoli nei siti di splicing vicini. In questo modo, il macchinario di splicing si lega in maniera più

efficiente in questi siti di splicing rispetto a quando non faccia in quelli non corretti, lontano dagli esoni.

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81. Lo splicing alternativoMolti geni negli eucarioti superiori codificano per RNA che possono essere tagliati in modi diversi (persino

migliaia come in Drosophila) per generare due o più RNA differenti e, di conseguenza, diversi prodotti

proteici in un processo detto appunto splicing alternativo. Difatti, oltre alla scelta di esoni alternativi, alcuni

esoni possono essere estesi ed altri addirittura saltati (di proposito). Inoltre, alcuni introni possono essere

mantenuti, anziché eliminati, e dar luogo perciò a prodotti proteici ancora differenti. Di conseguenza, si può

dire che lo splicing alternativo può essere sia costitutivo, sia regolato. Nel primo caso, più di un prodotto

viene sempre generato dal gene trascritto. Nel caso dello splicing regolato, forme diverse vengono generate

in momenti diversi, in diverse condizioni o in diversi tipi cellulari o tessuti. Comunque, le proteine che

regolano lo splicing si legano a dei siti specifici chiamati enhancer o silenziatori di splicing esonici o

intronici (exonic – intronic – splicing enhancers o silencers, ESE o ISE – ESS o ISS). I primi incrementano

mentre i secondi reprimono lo splicing sui siti di splicing vicini. Abbiamo già incontrato gli enhancer e le

proteine SR che si legano ad essi, portando il macchinario di splicing su diversi siti. Perciò, la presenza o

l'attività di una data proteina SR può determinare quale sito particolare di splicing venga utilizzato in un

determinato tipo cellulare o in un particolare momento dello sviluppo. La maggior parte dei silenziatori,

invece, vengono riconosciuti dai membri della famiglia delle ribonucleoproteine nucleari eterogenee

(hnRNP, heterogeneous nuclear ribonucleoprotein). Quest'ultime legano l'RNA ma non hanno nessun

dominio che riesca a far reclutare il macchinario di splicing e quindi impediscono l'utilizzo di siti specifici di

splicing. Un altro repressore dell' splicing di mammifero è la proteina hnRNP, che blocca il legame del

macchinario di splicing attraverso il suo legame con la regione polipirimidinica. In generale, si considera lo

splicing alternativo come un modo per produrre proteine diverse da un singolo gene. Queste proteine diverse

sono chiamate isoforme. Possono avere funzioni simili, funzioni distinte e persino funzioni antagoniste. Ma

anche alcuni geni che codificano per una sola proteina funzionante subiscono uno splicing alternativo. In

questi casi, questo meccanismo viene usato semplicemente per spegnere o accendere l'espressione del gene.

Infatti, lo splicing alternativo, in quest'ultimo caso determina se l'esone con il codone di stop venga

incorporato nell'mRNA e, di conseguenza, se il gene venga espresso o no. La seconda maniera in cui lo

splicing alternativo viene usato per l'accensione o lo spegnimento di un gene è attraverso la regolazione

dell'utilizzo di un introne, il quale, se mantenuto nell'mRNA, impedisce all'mRNA stesso di essere esportato

dal nucleo e perciò tradotto.

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82. Il rimescolamento degli esoniCome abbiamo già visto, tutti gli eucarioti hanno gli introni, ma nei batteri, questi elementi sono

estremamente rari, quasi inesistenti. Vi sono due possibili spiegazioni per questa situazione. La prima, nel

modello chiamato il modello degli introni precoci, è che gli introni esistevano in tutti gli organismi, ma nei

batteri sono andati perduti per ottimizzare i loro genomi in risposta alla pressione selettiva di aumentare la

velocità di replicazione cromosomica e della divisione cellulare. La seconda spiegazione è che gli introni

non siano mai esistiti nei batteri, ma siano comparsi più avanti nell'evoluzione. Secondo questo modello,

chiamato il modello degli introni tardivi, gli introni furono inseriti nei geni che non ne avevano, forse

attraverso un meccanismo simile a quello dei trasposoni. Un chiaro vantaggio nella presenza di introni, è che

la loro presenta e la necessità di rimuoverli, consente lo splicing alternativo e, perciò, la possibilità di

generare prodotti proteici multipli da un singolo gene. Ma su scala più grande, un altro vantaggio sta nel

fatto di avere la sequenza codificante dei geni divisa su più esoni permette la creazione di nuovi geni

attraverso il rimescolamento degli esoni.

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83. L'editing dell'RNAL'editing dell'RNA, come lo splicing, può cambiare la sequenza di un RNA dopo che è stato trascritto.

Perciò, la proteina prodotta dalla traduzione è diversa da quella predetta dalla sequenza del gene. Vi sono

due meccanismi che mediano l'editing: la deamminazione sito-specifica e l'inserzione o delezione di

un'uridina diretta dagli RNA guida. In una forma di deamminazione sito-specifica, un determinato residuo di

cisteina all'interno di un mRNA viene convertito in un'uridina attraverso una deamminazione. Di fatto, per

una data specie di mRNA, questo processo avviene solo in certi tessuti o in certi tipi cellulari in maniera

regolata. In un altra forma di deamminazione è la deamminazione dell'adenosina. Questa reazione,

catalizzata dall'enzima ADAR (adenosina deamminasi che agisce sull'RNA) produce inosina che si appaia

con la citosina alterando la sequenza della proteina codificata dall'mRNA. Quindi, un evento singolo di

editing provoca il cambio di un singolo amminoacido della proteina che può alterare diverse funzioni, come

la permeabilità a particolari ioni. Un'altra forma di editing è l'aggiunta di U in regioni specifiche dell'RNA.

Queste regioni poli-U sono aggiunte dagli RNA guida (gRNA) che presentano regioni àncora per legarsi agli

mRNA e regioni specifiche che riconoscono le sequenze di mRNA dove aggiungere le U.

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84. Sintesi proteica: la traduzioneIl processo noto con il termine traduzione indica il meccanismo con il quale l'informazione genetica

contenuta nella sequenza nucleotidica dell'RNA messaggero (mRNA) venga usata per generare le sequenze

amminoacidiche delle proteine. Questo processo è uno dei più conservati tra tutti gli organismi e uno di

quelli che richiede il maggior dispendio energetico da parte della cellula. Nelle cellule batteriche in rapida

crescita circa l'80% del bilancio energetico della cellula ed il 50% del suo peso secco sono dedicati alla

sintesi proteica. Infatti l sintesi di una singola proteina richiede l'azione coordinata di oltre 100 proteine ed

RNA. Un pioniere in questo ambito fu Francis H. Crick che nel 1955 postulò che gli amminoacidi si

dovessero associare ad una molecola adattatrice particolare, che fosse in grado di interagire e riconoscere le

unità codificanti di tre nucleotidi dell'mRNA (triplette), prima di essere incorporati nei polipeptidi. Crick

immaginò che l'adattatore fosse una molecola di RNA, dato che doveva riconoscere il codice mediante le

regole di appaiamento di Watson e Crick. Solo più tardi si scoprì, una classe di molecole di RNA, che

rappresentavano il 15% di tutto l'RNA cellulare, l'RNA transfer (tRNA) e  definitivamente che il

macchinario responsabile della traduzione del linguaggio dell'RNA messaggero nel linguaggio delle

proteine è composto da quattro componenti principali: mRNA, tRNA, amminoacil-tRNA sintetasi e

ribosoma. Insieme, queste componenti svolgono il compito di tradurre un codice scritto in un alfabeto di

quattro basi in un secondo codice scritto nel linguaggio dei 20 amminoacidi. L'mRNA fornisce

l'informazione che deve essere interpretata dal macchinario traduzionale e costituisce lo stampo per la

traduzione. La regione dell'mRNA che codifica per la proteina è formata da una serie ordinata di elementi

composti da tre nucleotidi l'uno chiamati codoni che specificano l'ordine degli amminoacidi. Il tRNA,

invece, costituisce l'interfaccia fisica tra gli amminoacidi che vengono aggiunti alla catena polipeptidica

nascente e i codoni dell'mRNA. Enzimi denominati amminoacil-tRNA sintetasi accoppiano gli amminoacidi

con specifici tRNA che riconoscono il codone appropriato. E, infine, il ribosoma, un notevole apparato

composto sia da RNA che da proteine, che coordina il corretto riconoscimento dell'mRNA da parte di

ciascun tRNA e catalizza la formazione le legame peptidico tra la catena nascente e gli amminoacidi

associati agli specifici tRNA.

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85. Funzioni dell'RNA messaggeroCome abbiamo detto, l'informazione per la sintesi delle proteine si trova sotto forma di codoni formati da tre

nucleotidi e ciascun codone codifica per un singolo amminoacido specifico. La regione (o le regioni) di

ciascun mRNA che codifica per la proteina è costituita da una fila di codoni contigui, che non si

sovrappongono, detta open-reading frame (fase di lettura aperta), comunemente nota come ORF. Ciascun

ORF specifica una singola proteina e ha inizio e termine in prossimità di siti interni all'mRNA. La

traduzione inizia all'estremità 5' dell'open-reading frame e procede, un codone alla volta, verso l'estremità 3'.

Il primo e l'ultimo codone di un ORF sono noti come codoni di inizio (start) e di termine (stop)

rispettivamente. Nei batteri, il codone di inizio, normalmente, è 5'-AUG-3', ma vengono anche usati il

codone GUG e, talvolta, UUG. Le cellule eucariotiche, invece, usano sempre il codone 5'-AUG-3' come

codone d'inizio. Esso ha due importanti funzioni: la prima è quella di codificare per il primo amminoacido

incorporato nella catena polipeptidica nascente, la seconda, invece, è quella di definire il reading frame dei

codoni successivi. I tre codoni di termine ( 5'-UAG-3', UGA e UAA) specificano la fine dell'open-reading

frame e segnano la fine della sintesi del polipeptide. In generale, comunque, il numero di ORF per ciascun

mRNA è diverso tra eucarioti e procarioti. Gli mRNA eucariotici contengono quasi sempre un solo ORF q

pertanto sono detti mRNA monocistronici, mentre gli mRNA degli eucarioti contengono spesso due o più

ORF, e pertanto possono codificare per più catene polipeptidiche e sono detti mRNA policistronici.

Comunque, affinché avvenga la traduzione, è necessario che il ribosoma venga reclutato sull'mRNA. Per

facilitare il legame da parte di un ribosoma, molte ORF procariotici contengono una breve sequenza, a

monte (dalla parte 5') del codone d'inizio, detta sito di legame per il ribosoma (RBS, ribosome binding site).

Questo elemento è anche detto sequenza di Shine-Dalgarno, dal nome degli scienziati che lo scoprirono. Il

sito di legame per il ribosoma, normalmente localizzato da tre a nove basi al 5' del codone di inizio, è

complementare ad una sequenza localizzata vicino alla regione 3' di uno degli RNA componenti del

ribosoma, l'RNA ribosomiale (rRNA) 16S. Il sito di legame del ribosoma si associa base per base con questo

RNA, determinando l'allineamento del ribosoma con l'inizio dell'open-reading frame. La parte centrale di

questa regione dell'RNA 16 S contene la sequenza 5'-CCUCCU-3'.

Gli mRNA eucariotici, invece, reclutano i ribosomi mediante una modificazione chimica specifica, detta 5'

cap, localizzata all'estremità 5' del messaggero. Il 5' cap, come abbiamo visto nel capitolo della trascrizione,

è costituito da una guanina metilata e una volta legato all'mRNA, il ribosoma si sposta in direzione 5'3' con

un processo detto scanning (ispezione della sequenza) fino ad incontrare il codone d'inizio 5'-AUG-3'.  Altre

due caratteristiche dell'mRNA eucariotico dei mammiferi, che favoriscono la traduzione e ne aumentano

l'efficienza, sono: 1) la presenza di una base purinica a monte del codone di inizio e di una guanina

immediatamente a valle (5'-G/ANNAUGG-3') e 2) la presenza di una coda di poli-A all'estremità 3'

dell'mRNA, che promuove un riciclaggio efficiente dei ribosomi.

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86. RNA transferLa “traduzione” dell'informazione contenuta nella sequenza di nucleotidi (sotto forma di codoni) in

amminoacidi è l'essenza della sintesi proteica. Questa operazione viene svolta da molecole di tRNA che

agiscono da adattatori tra i codoni e gli amminoacidi che essi stessi individuano. Esistono molte varianti di

molecole di tRNA, ma a ciascuna è legato un amminoacido specifico e ciascuna riconosce un particolare

codone, o codoni, dell'mRNA. I tRNA sono lunghi da 75 a 95 ribonucleotidi e tutti hanno caratteristiche in

comune. In primo luogo, tutti i tRNA hanno un'estremità 3' che termina con la sequenza 5'-CCA-3', in cui

viene legato lo specifico amminoacido dall'enzima amminoacil-tRNA sintetasi. Un altro aspetto dei tRNA è

la presenza di numerosi basi insolite nella struttura primaria che derivano da modificazioni enzimatiche

post-trascrizionali, come per esempio la pseudouridina (U), la diidrouridina (D), l'ipoxantina, la timina e la

metilguanina. Tali basi non sono essenziali per la funzione del tRNA, ma le cellule che non le possiedono

hanno una velocità di crescita ridotta. Ciò suggerisce che le basi modificate migliorano la funzione del

tRNA. Comunque, tutte le molecole di tRNA mostrano una tipica alternanza di regioni a singola e a doppia

elica (struttura secondaria) che può essere assimilata alla struttura di un trifoglio. Le caratteristiche principali

di questa struttura sono: uno stelo accettore, tre strutture stelo-ansa, denominate ansa U, ansa D ed ansa

dell'anticodone, e una quarta ansa variabile. Lo stelo accettore è così denominato perché è il sito di aggancio

dell'amminoacido ed è formato dall'accoppiamento della regione 5' terminale e di quella 3' terminale (5'-

CCA-3') della molecola di tRNA. L'ansa U è definita tale per la presenza della base U nell'ansa. La base

modificata fa spesso parte della sequenza 5'-TUCG-3'. L'ansa D deve il suo nome alla tipica presenza di

diidrouridine nella struttura. L'ansa dell'anticodone che contiene l'anticodone, un elemento “decodificante”

di tre nucleotidi, in grado di riconoscere il codone mediante l'appaiamento di basi con l'mRNA e, infine,

l'ansa variabile che ha una lunghezza tra le 3 alle 21 basi e quindi si parla di tRNA di classe 1, se

quest'ultima ansa è lunga solo 3-5 basi, mentre di tRNA di classe 2, se è composta da 13-21 basi. La

cristallografia ai raggi X mostra una struttura terziaria dei tRNA a forma di “L”, in cui, l'estremità dello stelo

accettore si trova a capo della molecola, mentre l'ansa dell'anticodone al capo opposto. Questa struttura

tridimensionale è stabilizzata da legami idrogeno tra le basi, che sono generalmente non convenzionali (non

del tipo Watson-Crik), e da interazioni tra le basi e lo scheletro zucchero-fosfato.

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87. Il legame degli amminoacidi al tRNALe molecole di tRNA cui è attaccato un amminoacido sono dette cariche, mentre i tRNA privi di

amminoacido sono detti scarichi. Il caricamento richiede la formazione di un legame acilico tra il gruppo

carbossile dell'amminoacido ed il gruppo 2' o 3' dell'adenosina che protrude dallo stelo accettore. Questo

legame acilico è considerato ad alta energia, perché la sua idrolisi, quindi la rottura del legame, causa una

variazione elevata di energia libera che viene, successivamente, utilizzata nella formazione del legame

peptidico, che lega tra loro gli amminoacidi. Comunque, tutte le amminoacil-tRNA sintetasi attaccano un

amminoacido ad un tRNA in due passaggi. Il primo è l'adenililazione, in cui l'amminoacido reagisce con

l'ATP e diventa adenilato, con il contemporaneo rilascio di pirofosfato. Il secondo passaggio è il

caricamento del tRNA, in cui l'amminoacido adenilato, che rimane strettamente legato alla sintetasi, reagisce

con il tRNA. Il risultato netto di questa reazione è il trasferimento dell'amminoacido all'estremità 3' del

tRNA attraverso il gruppo idrossilico in posizione 2' (se agisce una tRNA sintetasi della classe I) o 3' (se

agisce una tRNA sintetasi della classe II) ed il simultaneo rilascio di AMP. In questo modo, ciascuno dei 20

amminoacidi viene legato all'appropriato tRNA da una singola tRNA sintetasi specifica. Dato che la

maggior parte degli amminoacidi è specificata da più di un codone, non è infrequente che una sintetasi

riconosca e carichi più di un tRNA (noti come tRNA isoaccettori). I determinanti della specificità sono

raggruppati sul tRNA in due siti distanti tra loro: lo stelo accettore e l'ansa dell'anticodone. Entrambe queste

parti vengono spesso riconosciute dalle amminoacil-tRNA sintetasi, per contribuire a discriminare i diversi

amminoacidi, anche se lo stelo accettore è sicuramente quello con la maggiore importante anche perché,

come sappiamo, un singolo amminoacido può essere prodotto dal riconoscimento di diversi codoni.

Quindi, il compito che le amminoacil-tRNA sintetasi devono affrontare nel selezionare l'amminoacido

appropriato è forse ancora più impegnativo del riconoscere il tRNA corretto. Il motivo è dato dalle piccole

dimensioni degli amminoacidi e, talvolta, dalla loro somiglianza. Nonostante ciò la frequenza di errori nel

caricamento è molto bassa; generalmente soltanto 1 su 1000 tRNA viene caricato con un amminoacido

errato. In alcuni casi è facile capire come tale accuratezza venga ottenuta, come nel caso della cisteina e del

triptofano che hanno dimensioni, forme e gruppi chimici sostanzialmente diversi. In altri casi, invece come

per l'isoleucina e la valina, che differiscono solo per un gruppo metilico, è più difficile. La valil-tRNA

sintetasi è in grado di escludere, a causa dell'ingombro sterico, l'isoleucina dal suo sito catalitico, perché

quest'ultima è più grande. Per contro, la valina dovrebbe facilmente inserirsi nel sito catalitico dell'isoleucil-

tRNA sintetasi. Per questo motivo, l'isoleucil-tRNA sintetasi possiede, in prossimità del sito catalitico (per

l'adenililazione), un sito di “correzione” (costituito da un profondo solco dell'enzima), che permette di

rettificare il prodotto della reazione di adenililazione. L'AMP-valina può essere contenuta in questo sito, nel

quale viene idrolizzata e rilasciata in forma di valina e AMP liberi. La molecola di AMP-isoleucina, invece,

è troppo grande per entrare nel sito di correzione e, pertanto, non è soggetta ad idrolisi. Tutti questi controlli

sono dovuti al fatto che una volta che il tRNA è stato caricato non viene fatto nessun controllo ulteriore. In

altre parole, il ribosoma accetta “a scatola chiusa” qualsiasi tRNA carico che sia in grado di formare

un'appropriata interazione codone-anticodone, che esso porti o meno l'amminoacido corretto. Un

esperimento biochimico dimostra il fatto che il ribosoma riconosce il tRNA, ma non l'amminoacido che esso

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porta. Consideriamo, per esempio, il tRNA carico cistenil-tRNACys (si ricordi che il prefisso indica

l'amminoacido, mentre l'apice identifica il tRNA). La cisteina legata al cistenil-tRNACys può essere

convertita in alanina per riduzione chimica, a dare alanil-tRNACys. Quando viene aggiunto ad un estratto

crudo in grado di compiere la sintesi proteica, la molecola di alanil-tRNACys introdurrà un'alanina in

corrispondenza dei codoni che specificano la cisteina.

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88. Il ribosomaIl ribosoma è l'apparato macromolecolare che dirige la sintesi proteica. Esso è composto da almeno tre

molecole di RNA, lunghe fino a tre kilobasi, e da più di 50 proteine diverse, per una massa totale di oltre 2,5

megadalton. Paragonandola alla velocità di replicazione del DNA, che è di circa 200-1000 nucleotidi al

secondo, la traduzione avviene ad una velocità di circa 2-20 amminoacidi al secondo. Nei procarioti, i

macchinari per la trascrizione e la traduzione sono localizzati nello stesso compartimento cellulare. Il

ribosoma, quindi, può iniziare la traduzione non appena l'RNA spunta dall'RNA polimerasi. Malgrado sia

lento rispetto alla sintesi di DNA nei procarioti, il ribosoma è in grado di reggere la velocità dell'apparato

trascrizionale. Infatti, la velocità tipica di 20 amminoacidi al secondo della traduzione procariotica

corrisponde alla traduzione di 60 nucleotidi (20 codoni) di mRNA al secondo. La degradazione degli mRNA

batterici, invece, comincia entro 1 minuto dall'inizio della trascrizione e i tre processi, trascrizione,

traduzione e degradazione avvengono tutti in direzione 5'3'. Negli eucarioti, invece, la traduzione è

completamente separata dalla trascrizione. Infatti, questi eventi si verificano in compartimenti separati della

cellula: la trascrizione avviene nel nucleo, mentre la traduzione nel citoplasma. Non essendo accoppiata alla

trascrizione, quindi, la traduzione eucariotica procede in maniera meno frenetica alla velocità di 2-4

amminoacidi. Comunque, come dicevamo, il ribosoma è composto da RNA e proteine, assemblati a formare

due subunità distinte: una grande ed una piccola. La subunità maggiore contiene il centro peptidil-

transferasico, responsabile della formazione dei legami peptidici. Mentre, la subunità minore contiene il

centro di decifrazione, in cui i tRNA carichi leggono i codoni dell'mRNA. Per convenzione queste due

subunità sono state denominate utilizzando un numero, in base alla velocità di sedimentazione, quando sono

sottoposte alla forza centrifuga. L'unità usata per misurare la velocità di sedimentazione è lo Svendberg (più

alto è il valore di S maggiore è la velocità di sedimentazione), dal nome dell'inventore dell'ultracentrifuga. In

questo modo, nei batteri la subunità maggiore ha una velocità di sedimentazione di 50 unità Svedberg ed è

quindi nota come la subunità 50S (che contiene rRNA 5S, rRNA 23S e 34 proteine), mentre la subunità

minore è chiamata subunità 30S (che contiene rRNA 16S e 21 proteine). Ci si riferisce al ribosoma

procariotico intatto come 70S, che non è la somma delle due subunità, in quanto la velocità di

sedimentazione non dipende solo dal peso molecolare ma anche dalla forma. Il ribosoma eucariotico è un

po' più grande ed è composto da subunità 60S (che contiene rRNA che contiene rRNA 5,8S, rRNA 5S e

rRNA28S e 49 proteine) e 40S (che contiene rRNA 18 S e 33 proteine) che, insieme, formano un ribosoma

80S. Come per il caricamento dei tRNA, anche il ribosoma durante la sintesi proteica può fare due tipi di

errori. Può causare un frameshift saltando una base quando legge l'mRNA (circa 10-5), oppure, potrebbe

permettere ad un amminoacil-tRNA non corretto di appaiarsi con un codone, portando all'incorporazione di

un amminoacido sbagliato. Questo è probabilmente l'errore più comune nella sintesi delle proteine, circa

5x10-4.

Il ciclo in cui le subunità del ribosoma si associano tra loro e con l'mRNA, traducono l'mRNA bersaglio e,

quindi, si dissociano dopo la sintesi proteica è noto come ciclo ribosomiale. In breve, la traduzione inizia

quando l'mRNA e il tRNA iniziatore si legano ad una subunità minore ribosomiale libera. Questo complesso

recluta, in seguito, la subunità maggiore a formare un ribosoma intatto, con l'mRNA inserito tra le due

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subunità. La sintesi proteica inizia al passo successivo, partendo dal codone di inizio all'estremità 5' del

messaggio e procedendo verso l'estremità 3' dell'mRNA. A man mano che il ribosoma si sposta di codone in

codone, i tRNA carichi si inseriscono uno dopo l'altro, e ciascun nuovo amminoacido viene aggiunto

all'estremità C-terminale della catena polipeptidica nascente (spesso detta sintesi in direzione da N-terminale

a C-terminale). Quando il ribosoma incontra un codone di termine, la catena polipeptidica completa viene

rilasciata, e la subunità maggiore e minore si separano dall'mRNA e sono disponibili per legare una nuova

molecola di RNA messaggero. Comunque, nonostante il ribosoma sia in grado di sintetizzare un singolo

polipeptide alla volta, ciascun mRNA può essere tradotto simultaneamente da più ribosomi. Un mRNA

associato a più ribosomi è detto poliribosoma o polisoma. Questa capacità di più ribosomi di tradurre un

singolo mRNA spiega la limitata quantità di mRNA nella cellula, circa dall'1 al 5% dell'RNA totale. Come

detto in precedenza, il ribosoma catalizza una sola reazione chimica: la formazione del legame peptidico.

Questa reazione avviene tra il residuo amminoacidico all'estremità carbossi-terminale del polipeptide

nascente e l'amminoacido che deve essere aggiunto alla catena. Sia il polipeptide nascente che il nuovo

amminoacido sono associati al tRNA, quindi i due substrati sono denominati amminoacil-tRNA, che porta

l'amminoacido da aggiungere, e un peptidil-tRNA che porta la catena polipeptidica nascente. Questo

posizionamento permette al gruppo amminico dell'amminoacil-tRNA di attaccare il gruppo carbonilico

dell'amminoacido all'estremità C-terminale del peptidil-tRNA, formando un nuovo legame peptidico. Per

questo motivo, la reazione di formazione di un nuovo legame peptidico viene detta reazione peptidil-

transferasica. È interessante notare che la formazione del legame peptidico avviene senza la contemporanea

idrolisi di un nucleoside trifosfato, questo perché la formazione di questo legame è accompagnata dalla

rottura del legame acilico ad alta energia che unisce la catena polipeptidica nascente al tRNA. Per portare a

termine la reazione peptidil-transferasica, il ribosoma deve essere in grado di legare almeno due tRNA

contemporaneamente. Infatti il ribosoma contiene tre siti di legame per il tRNA, chiamati siti A, P ed E. Il

sito A è il sito di legame per il tRNA amminoacilato (l'amminoacil-tRNA), il sito P è quello di legame del

peptidil-tRNA, mentre il sito E è il sito di legame per il tRNA che viene rilasciato in seguito al trasferimento

della catena polipeptidica nascente all'amminoacil-tRNA. Ciascun sito di legame per il tRNA si forma

all'interfaccia tra la subunità maggiore e quella minore del ribosoma. In tal modo, i tRNA legati possono

coprire la distanza tra il sito della peptidil-transferasi della subunità maggiore ed il sito di decifrazione della

subunità minore.

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89. Sintesi proteica: inizio della traduzioneLa sintesi delle proteine si divide in tre stadi: 1) l'inizio comprende le reazioni che precedono la formazione

del legame peptidico fra i primi due amminoacidi della proteina e richiede che il ribosoma si leghi

all'mRNA formando un complesso d'inizio che contiene il primo ammionoacil-tRNA, questo è un passaggio

piuttosto lento e di solito determina la velocità con cui è tradotto l'mRNA; 2) l'allungamento che comprende

tutte le reazioni che vanno dalla sintesi del primo legame peptidico all'aggiunta dell'ultimo amminoacido; 3)

la terminazione che comprende i passaggi necessari per il rilascio della catena polipeptidica completata e la

concomitante dissociazione del ribosoma dall'mRNA. Comunque, affinché la sintesi abbia inizio devono

accadere tre cose: 1) il ribosoma si deve associare all'mRNA, 2) un tRNA carico si deve posizionare nel sito

P del ribosoma e 3) il ribosoma si deve posizionare correttamente sul codone d'inizio. Nei procarioti

l'associazione della subunità minore con l'mRNA è mediata dall'accoppiamento di basi tra il sito di legame

al ribosoma e l'rRNA 16S. Per i siti di legame al ribosoma posizionati in modo ideale, la subunità minore si

localizza sull'mRNA in modo tale che il codone di inizio si trovi nel sito P al momento dell'associazione

della subunità maggiore. A questo punto, un tRNA carico entra direttamente nel sito P. Questo evento

necessita di un tRNA speciale, noto come tRNA iniziatore che accoppia le proprie basi con quelle del

codone di inizio, di solito AUG o GUG che vengono letti rispettivamente dai tRNA per la metionina

(tRNAMet) e per la valina (tRNAVal). Né la metionina né la valina si attaccano al tRNA iniziatore. Esso è

caricato, però, con una forma modificata della metionina (N-formil metionina) che possiede un gruppo

formilico attaccato alla porzione ammino-terminale. Il tRNA iniziatore carico viene perciò detto fMet-

tRNAifMet (questo avviene anche negli eucarioti).

Sebbene la subunità minore (30S) sia coinvolta nell'inizio, no è di per sé competente per svolgere le reazioni

di attacco dell'mRNA e del tRNA, ma richiede ulteriori proteine chiamate fattori di inizio (initiation factors,

IF). Questi fattori si trovano soltanto nelle subunità 30S e vengono rilasciati quando si assembla con la

subunità 50S. I batteri usano tre fattori di inizio chiamati IF-1, IF-2 e IF-3, necessari per l'ingresso sia di

mRNA che di tRNA nel complesso di inizio. IF-3 è necessario perché la subunità 30S si leghi in modo

specifico ai siti di inizio sull'mRNA e impedisce l'assemblaggio con la subunità maggiore, quindi controlla

l'equilibrio fra i diversi stadi dei ribosomi. IF-2 lega un tRNA iniziatore speciale e ne controlla l'ingresso nel

ribosoma, mentre, IF-1 si lega alle subunità 30S soltanto come parte del complesso di inizio completo. Si

lega al sito A e impedisce l'ingresso dell'amminoacil-tRNA e la sua posizione può anche impedire alla

subunità 50S di legarsi per costituite il ribosoma completo. Quando tutti e tre i fattori di inizio sono legati, la

subunità minore è pronta a legare sia l'mRNA che il tRNA iniziatore. Questi due RNA si legano

indipendentemente l'uno dall'altro e in ordine casuale. L'ultimo passaggio del processo d'inizio prevede

l'associazione della subunità maggiore con la formazione del complesso d'inizio 70S. Quando le basi del

codone di inizio e quelle dell'fMet-tRNAifMet si accoppiano, la subunità minore cambia conformazione

portando al rilascio di IF3, quindi la subunità maggiore è libera di legarsi. Questo legame stimola l'attività

GTPasica di IF2 che provoca il rilascio degli altri due fattori di inizio, ossia lo stesso IF2 e IF1. Quindi

avremo soltanto il ribosoma legato all'mRNA e il tRNAi.

L'inizio della traduzione negli eucarioti è molto simile a quella dei procarioti. Entrambi usano un codone

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d'inizio ed un tRNA specifico e i fattori d'inizio formano un complesso con la subunità minore, ma adottano

un metodo di riconoscimento dell'mRNA e del codone d'inizio sostanzialmente diverso. Infatti, negli

eucarioti al momento del reclutamento all'estremità 5' dell'mRNA dotata di cap, la subunità minore è già

associata al tRNa iniziatore. Essa può “leggere in sequenza” l'mRNA in direzione 5'3', fino a raggiungere il

primo 5'-AUG-3', che viene riconosciuto come codone d'inizio. In tal modo, nella maggior parte dei casi,

solo il primo AUG, negli eucarioti, può essere usato come sito d'inizio della traduzione. Infatti, la maggior

parte degli mRNA eucariotico è monocistronico, quindi il riconoscimento di un codone di inizio interno non

è possibile o necessario. Comunque, al termine di un ciclo di traduzione, il ribosoma eucariotico si dissocia

nelle subunità maggiore e minore, mediante l'opera di fattori, chiamati eIF3 ed eIF1A, analoghi ai fattori di

inizio procariotici IF3 ed IF1. Due proteine in grado di legare GTP, eIF2 ed eIF5B, mediano il reclutamento

del tRNA iniziatore carico. Negli eucarioti, questo tRNA è caricato con metionina, non N-formil metionina,

ed è noto come Met-tRNAiMet. Successivamente, il fattore eIF5B-GTP, analogo a IF2-GTP, si lega alla

subunità minore e serve a reclutare un complesso formato da eIF2-GTP e il tRNA iniziatore alla subunità

minore. Insieme queste due proteine in grado di legare GTP posizionano il tRNA iniziatore nel futuro sito P

della subunità minore, dando origine alla formazione del complesso di pre-inizio 43S. A questo punto, il

riconoscimento dell'mRNA avviene mediante l'individuazione del cap al 5'. Questo riconoscimento è

mediato da una proteina formata da tre subunità, chiamata eIF4F. Questo complesso viene legato, a sua

volta, da eIF4B che attiva una RNA elicasi in una delle subunità di eIF4F. L'elicasi disfa tutte le strutture

secondarie che si possono essere formate all'estremità dell'mRNA, in modo tale che la struttura risulti lineare

per poter legare la subunità minore. A questo punto, l'mRNA è legato da eIF4FB e recluta il complesso di

pre-inizio 43S dove si posiziona. Successivamente, la subunità minore ed i fattori ad essa associati, una volta

assemblati all'estremità 5'dell'mRNA si spostano lungo quest'ultimo in direzione 5'3' per cercare il primo

codone di inizio. Quest'ultimo viene riconosciuto mediante l'accoppiamento delle basi tra l'anticodone del

tRNA iniziatore e il codone d'inizio (ecco perché è essenziale che la subunità minore si leghi prima al tRNA

iniziatore e poi all'mRNA). Il corretto appaiamento delle basi promuove il rilascio di eIF2 ed eIF3,

permettendo alla subunità maggiore di legarsi a quella minore. A questo punto, come avviene nei procarioti,

la costituzione di un ribosoma completo porta al rilascio dei fattori rimanenti. Il risultato di questi eventi è il

posizionamento del Met-tRNAiMet nel sito P del risultante complesso di inizio 80S. Bisogna, comunque,

ricordare che oltre a legarsi all'estremità 5' dell'mRNA, i fattori di inizio sono associati all'estremità 3'

dell'mRNA per mezzo della coda poli-A. Questa associazione è mediata dall'interazione tra eIF4F e la

proteina di legame al poli-A che riveste la coda di poli-A. Il risultato di tutto questo è il mantenimento

dell'mRNA in una configurazione circolare.

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90. Sintesi proteica: allungamento durante la traduzioneLa sintesi dei polipeptidi può iniziare quando il ribosoma è assemblato con il tRNA iniziatore carico nel sito

P. Ci sono tre eventi chiave che devono avvenire affinché ogni amminoacido venga aggiunto correttamente:

1) l'amminoacil-tRNA corretto deve essere caricato nel sito A, come determinato dal codone presente nel

sito, 2) si deve formare un legame peptidico tra l'amminoacil-tRNA nel sito P e 3) il risultante peptidil-

tRNA, presente nel sito A, ed il codone a esso associato devono essere traslocati al sito P, in modo tale che il

ribosoma sia pronto per un altro ciclo di riconoscimento di codoni e di formazione del legame peptidico.

Due proteine ausiliare, note come fattori di allungamento, controllano questi eventi. Questo meccanismo di

allungamento è altamente conservato tra le cellule procariotiche ed eucariotiche. All'inizio di questa fase, gli

amminoacil-tRNA non si legano al ribosoma da soli. Essi vengono “scortati” sul ribosoma dal fattore di

allungamento (elongation factor) EF-Tu. Una volta che il tRNA è caricato con un amminoacido, questo

fattore si lega all'estremità 3' del tRNA, mascherando l'amminoacido associato evitando la formazione del

legame peptidico. A questo punto EF-Tu lega e idrolizza il GTP e l'amminoacil-tRNA viene rilasciato.

Bisogna ricordare che l'attività GTPasica di EF-Tu è attivata da un dominio posto nella subunità maggiore,

noto come centro di legame del fattore. Successivamente, un altro fattore, EF-Ts, media la rigenerazione

della forma usata, EF-Tu-GDP, nella forma attiva, EF-Tu-GTP, costituendo una sorta di continuo riciclo.

Il fattore di errore della traduzione è compreso tra 10-3 e 10-4. Cioè, solo 1 su 1000 amminoacidi

incorporati nella proteina è sbagliato. Il meccanismo base per la selezione dell'amminoacil-tRNA corretto è

l'appaiamento tra il tRNA carico e il codone presente nel sito A del ribosoma. Malgrado ciò potrebbero

avvenire degli appaiamenti errati. A questo punto vi sono tre diversi meccanismi che contribuiscono

all'incorporazione dell'amminoacil-tRNA corretto: 1) un primo meccanismo che contribuisce alla fedeltà di

riconoscimento del codone coinvolge due residui di adenina adiacenti che si trovano nella componente

dell'rRNA 16S della subunità minore e che formano un interazione forte con l'ansa minore di ciascuna

coppia di basi, che si è formata in modo corretto tra l'anticodone e le prime due basi del codone; 2) un

secondo meccanismo coinvolge l'attività GTPasica di EF-Tu. Infatti il rilascio di EF-Tu dal tRNA richiede

l'idrolisi di GTP, la quale è molto sensibile al corretto accoppiamento codone-anticodone; 3) un terzo

meccanismo è una specie di correzione di bozze che avviene dopo il rilascio di EF-Tu. Infatti per partecipare

in modo produttivo alla reazione della peptidil-transferasi, il tRNA deve ruotare all'interno del sito della

peptidil-transferasi della subunità maggiore, in un processo detto accomodamento. I tRNA che non sono

appaiati correttamente spessi si dissociano dal ribosoma durante questo processo, poiché non vi è abbastanza

tensione per sostenere questo sforzo.

Comunque, una volta che il corretto tRNA carico è posizionato nel sito A ed è ruotato nel sito della peptidil-

transferasi, avviene la formazione del legame peptidico. Questa reazione è catalizzata dall'RNA,

specificatamente dall'rRNA 23S della subunità maggiore. Quindi la peptidil-transferasi è completamente

formata da RNA, ossia è un ribozima, cioè un enzima composto da RNA (vedi sopra per meccanismo di

formazione del legame peptidico). A questo punto, una volta che è avvenuta la reazione della peptidil-

transferasi, il tRNA nel sito P (non più attaccato ad un amminoacido) viene deacetilato e la catena

polipeptidica nascente viene agganciata al tRNA nel sito A. Affinché avvenga un nuovo ciclo di

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allungamento della catena polipeptidica, il tRNA nel sito P deve spostarsi nel sito E ed il tRNA nel sito A

deve spostarsi nel sito P. Contemporaneamente, l'mRNA deve spostarsi di tre nucleotidi per esporre il

codone successivo. Questi movimenti all'interno del ribosoma avvengono in maniera coordinata in un

processo definito traslocazione. Una volta che la catena peptidica nascente è stata trasferita al tRNA nel sito

A, l'estremità 3' di questo tRNA si sposta nel sito P della subunità maggiore. Al contrario, l'estremità

dell'anticodone del tRNA nel sito A rimane in questa posizione. Analogamente il tRNA nel sito P, ora

deacetilato, viene spostato nel sito E della subunità maggiore, ma rimane nel sito P di quella minore. Il

completamento della traslocazione necessita dell'intervento di un secondo fattore di allungamento, detto EF-

G, che può legarsi al ribosoma solamente quando è associato al GTP e imita la struttura tridimensionale

dell'amminoacil-tRNA. Dopo la reazione della peptidil-transferasi, il cambio di posizione del tRNA del sito

A espone un sito di legame per EF-G nella zona del sito A sulla subunità maggiore. Nel legarsi, il complesso

EF-G-GTP crea dei contatti con il centro di legame del fattore sulla subunità maggiore, che, a sua volta,

stimola l'idrolisi dl GTP. Questa causa una variazione conformazionale del complesso EF-G-GDP,

permettendogli di insinuarsi nella subunità minore e provocare la traslocazione del tRNA nel sito A. Quando

la traslocazione è completata, la risultate struttura ribosomiale ha una bassa affinità per EF-G-GDP e quindi

viene rilasciato. Insieme, questi eventi portano alla traslocazione del tRNA dal sito A al sito P, di quello nel

sito P al sito E e al movimento dell'mRNA di esattamente tre paia di basi.

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91. Sintesi proteica: conclusione della traduzioneIl ciclo del ribosoma continua fino a quando uno dei tre codoni di stop entra nel sito A. Questi codoni

vengono riconosciuti da proteine dette fattori di rilascio (release factors, RF), che attivano l'idrolisi del

polipeptide dal peptidil-tRNA. Esistono due classi di fattori di rilascio. I fattori della classe I riconoscono i

codoni di stop e innescano l'idrolisi della catena peptidica dal tRNA nel sito P. I procarioti possiedono due

fattori di rilascio di classi I, detti RF1, che riconosce il codone di stop UAG, e RF2 che riconosce UGA.

Mentre il terzo codone di stop, UAA, viene riconosciuto da entrambi. Negli eucarioti, invece, è presente un

solo fattore di rilascio di classe I detto eRF1, che riconosce tutti e tre i codoni di stop e presenta una

molecola d'acqua per idrolizzare il peptidil-tRNA. I fattori di rilascio di classe II stimolano la dissociazione

dei fattori di classe I dai ribosomi, in seguito al rilascio della catena polipeptidica. I procarioti e gli eucarioti

possiedono solamente un fattore di classe II, chiamato RF3 ed eRF3. Anche questi fattori, come EF-G ed

EF-Tu, sono regolati da GTP. Comunque, tutti i fattori di classe I hanno in comune una sequenza di tre

amminoacidi (glicina, glicina, glutammina, GGQ), situate in prossimità del centro peptidil-transferasico, che

è essenziale per il rilascio del polipeptide. Inoltre, sempre questi fattori simulano un tRNA dal punto di vista

funzionale, ma non strutturale, essendo anche dotati di un peptide anticodone che interagisce con il codone

di stop e, come dicevamo prima, di un motivo GGQ che si inserisce nel sito della peptidil-transferasi.

Comunque, una volta che il fattore di rilascio di classe I ha innescato l'idrolisi del legame del peptidil-tRNA,

esso deve essere rimosso dal ribosoma. Ciò si ottiene per mezzo del fattore di rilascio di classe II, RF3

(oppure eRF3). Questa proteina ha una maggiore affinità per GDP che per GTP. Quindi in prevalenza

troviamo la forma RF3-GDP. Quando abbiamo la liberazione del polipeptide attuata dal fattore di rilascio di

classe I, si stimola lo scambio tra GDP e GTP su RF3. Questo porta ad un interazione di RF3-GTP ad alta

affinità con il ribosoma, che induce l'allontanamento del fattore di classe I. Alla fine del ciclo di traduzione,

abbiamo un processo noto come riciclaggio del ribosoma. Nelle cellule procariotiche, un fattore noto come

fattore di riciclaggio del ribosoma (ribosome recycling factor, RRF), che simula un tRNA posizionandosi al

sito A, agisce insieme ad EF-G e IF3 per riciclare il ribosoma.

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Page 138: biologia-molecolare

92. Il codice geneticoLa sequenza di un filamento codificante di DNA, letta nella direzione da 5' a 3', consiste di triplette di

nucleotidi (codoni) che corrispondono alla sequenza degli amminoacidi di una proteina letta dall'N-

terminale al C-terminale. Esistono 64 codoni (ognuno dei 4 nucleotidi possibili può occupare una qualunque

delle tre posizioni del codone, producendo 43 = 64 possibili sequenze tri- nucleotidiche). Ognuno di questi

codoni ha un significato specifico nella sintesi proteica: 61 codoni rappresentano amminoacidi, mentre 3

codoni provocano la terminazione della sintesi proteica. Quindi, poiché vi sono più codoni (61) che

amminoacidi (20), quasi tutti gli amminoacidi sono rappresentati da più di un codone (un fenomeno detto

degenerazione), con l'unica eccezione della metionina e del triptofano. I codoni che hanno lo stesso

significato sono chiamati sinonimi. Poiché il codice genetico è in realtà letto sull'mRNA, di solito è descritto

in termini delle quattro basi presenti sull'RNA: U, C, A e G. I codoni che rappresentano lo stesso

amminoacido o amminoacidi correlati tendono ad avere una sequenza simile e spesso la base della terza

posizione di un codone non è significativa perché i quattro codoni che differiscono soltanto nella terza base

rappresentano lo stesso amminoacido. Questa ridotta specificità a livello dell'ultima posizione è nota come

degenerazione della terza base. Lo schema di degenerazione della terza base mostra che in quasi tutti i casi o

la terza base è irrilevante o viene fatta una distinzione soltanto fra purine e pirimidine. Ci sono otto famiglie

di codoni in cui tutti e quattro i codoni che hanno in comune le prime due basi hanno lo stesso significato,

così che la terza base non ha alcun ruolo nella specificazione dell'amminoacido. Ci sono sette coppie di

codoni in cui il significato è lo stesso purché la terza base sia occupata da una pirimidina e ci sono cinque

coppie di codoni in cui una purina qualunque può essere presente senza modificare l'amminoacido

codificato. Inoltre, esistono solo tre casi in cui la base in terza posizione conferisce un unico significato:

AUG (metionina), UGG (triptofano), UGA (terminazione). Spesso un singolo tRNA può riconoscere più di

un codone, il che significa che la base nella prima posizione dell'anticodone deve essere capace di appaiarsi

a basi alternative nella terza posizione corrispondente del codone. L'appaiamento delle basi a questa

posizione non può essere limitata dalla solita regola G-C e A-U. Le regole che governano gli schemi di

riconoscimento sono compendiate nell'ipotesi del tentennamento (o vacillamento, wobbling), che prevede

appaiamenti normali (A-U, G-C) per le prime due posizioni del codone, e possibilità di appaiamenti di altro

tipo per la terza posizione. Infine, bisogna aggiungere, che gli amminoacidi più utilizzati nella sintesi

proteica non sono necessariamente quelli con maggior numero di codoni e perciò non sembra che il codice

genetico sia stato ottimizzato per quanto riguarda l'utilizzo degli amminoacidi.

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Page 139: biologia-molecolare

93. I tRNA contengono basi modificateL'RNA transfer è l'unico fra gli acidi nucleici a contenere basi “insolite”. Una base insolita è una purina o

una pirimidina diverse dalle solite A, G, C e U usate per sintetizzare gli RNA ed è prodotta per

modificazione di una delle quattro basi dopo l'incorporazione nella catena poliribonucleotidica. Nel tRNA si

osserva una vasta gamma di queste modificazioni, che vanno dalla semplice metilazione ad un'estesa

ristrutturazione dell'anello purinico, che possono riguardare tutte le parti della molecola di tRNA. Si è visto

che esistono più di 50 tipi diversi di base modificate catalizzate da moltissimi enzimi differenti. L'effetto più

diretto di queste modificazioni si osserva nell'anticodone, in cui il cambiamento di sequenza influenza la

capacità di appaiarsi con il codone, determinando così il significato del tRNA. Infatti, quando le basi

dell'anticodone sono modificate, diventano possibili ulteriori schemi di appaiamento oltre a quelli predetti

dall'appaiamento regolare e da quello tentennante. Ad esempio, la inosina (I) che è spesso presente nella

prima posizione dell'anticodone può appaiarsi con tre basi U, C e A, invece, la 2-tiouridina permette alla

base di continuare ad appaiarsi con A, ma le impedisce l'appaiamento tentennante con G. Queste ed altre

relazioni di appaiamento portano al concetto generale che vi sono più modi di costruire una serie di tRNA

capace di riconoscere tutti i 61 codoni che rappresentano amminoacidi.

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Page 140: biologia-molecolare

94. Esistono alterazioni sporadiche del codice universaleL'universalità del codice genetico è sorprendente, ma esistono alcune eccezioni che tendono ad interessare i

codoni coinvolti nell'inizio o nella terminazione e sono dovute alla produzione (o all'assenza) di tRNA che

rappresentano certi codoni. Quasi tutti i cambiamenti che permettono ad un codone di rappresentare un

amminoacido interessano i codoni di termine. Ad esempio alcuni protozoi leggono UAA e UAG come

glutammina invece che come segnali di termine, in altri UAA è usato come codone di termine e UAG non è

presente. Comunque, l'acquisizione di una funzione codificante da parte di un codone di termine richiede

due tipi di cambiamenti: un tRNA deve maturare in modo da riconoscere il codone e il fattore di rilascio di

classe I deve mutare in modo da non provocare terminazione a livello di questo codone. L'altro tipo comune

di cambiamento è la perdita del tRNA che risponde ad un codone, così che il codone non specifica più

nessun amminoacido. Eccezioni al codice genetico universale si trovano anche nei mitocondri di parecchie

specie. Il cambiamento più antico è stato l'impiego di UGA per codificare triptofano, che è comune a tutti i

mitocondri (non vegetali). Alcuni di questi cambiamenti rendono il codice più semplice sostituendo due

codoni che avevano significati diversi con una coppia che ha un solo significato. Coppie di questo tipo

comprendono, ad esempio, UGG e UGA, entrambi per il triptofano invece che uno per il triptofano e l'altro

di termine. Tutto questi cambiamenti sono potuti avvenire nei mitocondri in quanto sintetizzano soltanto un

piccolo numero di proteine (circa 10), e quindi il problema dell'effetto distruttivo dovuto ai cambiamenti di

significato è molto meno grave. Per questo motivo il numero minimo di tRNA secondo la ipotesi del

vacillamento è 31 ma nei mitocondri di mammifero se ne trovano solo 22, in seguito a una

ipersemplificazione dell’appaiamento codone-anticodone, e ad alcuni cambiamenti di codice di lettura.

Inoltre, bisogna aggiungere, che in singoli geni si verificano cambiamenti specifici nella lettura del codice.

La specificità di questi cambiamenti implica che la lettura di un codone particolare sia influenzata dalle basi

circostanti, quindi che il riconoscimento di un codone dipenda dal contesto. Un esempio notevole è

l'incorporazione dell'amminoacido modificato selenocisteina, a livello di certi codoni UGA all'interno di

geni che codificano selenoproteine, che catalizzano reazioni di ossido-riduzione, sia nei procarioti che negli

eucarioti. Il codone UGA interno è letto da un seleno-Cys-tRNA. Questa reazione insolita è determinata

dalla struttura secondaria locale dell'mRNA, in particolare dalla presenza di un'ansa a forcina a valle

dell'UGA (questo è il contesto particolare).

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95. Mutazioni soppressore possono trovarsi nello stesso gene o in

geni diversiUn'alterazione che cambia un codone specifico per un amminoacido in un codone specifico per un altro

amminoacido viene detta mutazione missenso. La conseguenza è che un gene che porta questo tipo di

mutazione produrrà una proteina in cui un singolo amminoacido è stato sostituito da un altro (anemia

falciforme). Un effetto più drastico si ha quando l'alterazione causa la comparsa di un codone di stop, e

viene detta mutazione nonsenso o mutazione di stop. Quindi in seguito a questo tipo di mutazione, verrà

rilasciato un polipeptide incompleto, dovuto alla terminazione prematura della traduzione. Il terzo tipo di

mutazione è la mutazione frameshift. Queste mutazioni sono inserzioni o delezioni di una o di un numero

ridotto di coppie di basi che alterano il frame di lettura non solo nel sito di inserzione o di delezione ma

dell'intero messaggio a valle. Comunque, spesso gli effetti di una mutazione dannosa possono essere

invertiti da una seconda mutazione. Alcune di queste mutazioni aggiuntive sono facili da comprendere, dato

che si tratta di semplici mutazioni di reversione (o all'indietro), che riportano una sequenza nucleotidica

alterata alla sua forma originale. Più difficili da capire sono le mutazioni che avvengono in diverse posizioni

del cromosoma e che sopprimono un cambiamento, dovuto ad una mutazione nel sito A, producendo

un'ulteriore mutazione nel sito B. Queste mutazioni soppressore (suppressor) si dividono in due categorie:

quelle che avvengono nello stesso gene della mutazione originale, ma in un sito diverso del gene

(soppressione intragenica), e quelle che avvengono in un altro gene (soppressione intergenica). Prendiamo in

considerazione una soppressione intragenica per un caso di mutazione frameshift. Una delezione nella

sequenza nucleotidica codificante può dare come risultato una catena polipeptidica incompleta e/o inattiva.

L'effetto di questa delezione può essere annullato da una seconda mutazione, un'inserzione nella sequenza

codificante. Questa inserzione ha come risultato la produzione di una catena polipeptidica completa, che,

però, contiene la sostituzione di due amminoacidi. A seconda del cambio nella sequenza, la proteina potrà

avere attività parziale o completa. I geni soppressori, dunque, non agiscono cambiando la sequenza

nucleotidica di un gene mutato. Invece, essi cambiano il modo in cui viene letto l'mRNA. Uno degli esempi

più conosciuti di mutazione soppressore è rappresentato dalla mutazione dei geni per i tRNA, che

sopprimono gli effetti di mutazioni nonsenso nei geni che codificano per proteine. In E. coli sono noti geni

soppressori per ciascuno dei tre codoni di stop. Essi riconoscono un codone di stop come se fosse il segnale

per un amminoacido specifico. Esistono, per esempio, tre geni ben caratterizzati che sopprimono il codone

UAG. Un gene soppressore inserisce una serina, un altro una glutammina ed un terzo una tirosina nella

posizione nonsenso. In ciascuno dei tre mutanti soppressori di UAG, l'anticodone di una specie di tRNA,

specifico per uno di questi amminoacidi, è stato alterato.

In generale, in una cellula normale una mutazione nonsenso è riconosciuta soltanto da un fattore di rilascio

che termina la sintesi della proteina, ma la mutazione soppressore crea un amminoacil-tRNA che può

riconoscere il codone di termine e inserire un amminoacido, permettendo alla sintesi proteica di continuare

oltre al sito della mutazione nonsenso. Le mutazioni missenso ,invece, può essere soppressa dall'inserzione

dell'amminoacido originale o di qualche altro amminoacido che è accettabile per la proteina.

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Page 142: biologia-molecolare

96. I principi della regolazione genica trascrizionaleEsistono meccanismi che regolano l'espressione genica, ovvero, meccanismi che aumentano o diminuiscono

l'espressione di uno specifico gene una volta che viene a cambiare la richiesta del suo prodotto. Ci sono due

stadi in cui l'espressione di un gene può essere regolata. Il più comune è l'inizio di trascrizione ma vi sono

anche passaggi successivi a quest'ultimo come l'antiterminazione della trascrizione e la regolazione della

traduzione.

I geni sono spesso controllati da segnali extracellulari: nel caso dei batteri, si tratta tipicamente delle

molecole presenti nel mezzo di crescita. Questi segnali vengono comunicati ai geni da proteine regolative,

che possono essere di due tipi: i regolatori positivi, o attivatori e quelli negativi, o repressori. In genere

questi regolatori sono delle proteine che legano il DNA, capaci di riconoscere specifiche sequenze sui geni

che controllano, o nelle loro vicinanze. Un attivatore aumenta la trascrizione del gene regolato; mentre, i

repressori diminuiscono o aboliscono quella trascrizione. Come abbiamo visto, inizialmente, la RNA

polimerasi si lega al promotore in un complesso chiuso (in cui i due filamenti di DNA restano appaiati). Il

complesso promotore-polimerasi, quindi, subisce una transizione a complesso aperto in cui il DNA a livello

del sito d'inizio di trascrizione è svolto e la polimerasi è posizionata in maniera tale da iniziare la

trascrizione. A questo passaggio segue quello di rilascio del promotore in cui l'enzima lascia il promotore ed

inizia a trascrivere. In assenza di proteine regolatrici, l'RNA polimerasi si lega debolmente a molti

promotori. Questo porta ad un basso livello di espressione costitutiva, detto livello basale. In questo caso è il

legame dell'RNA polimerasi a costituire il passaggio limitante. Per controllare l'espressione di un simile

promotore, un repressore ha solo bisogno di legarsi ad un sito che si sovrappone alla regione legata dalla

polimerasi. In questo modo il repressore blocca il legame dell'RNA polimerasi al promotore, impedendo la

trascrizione. Il sito sul DNA su cui si lega un repressore è detto operatore. Per attivare la trascrizione a

partire da questo promotore, invece, un attivatore deve soltanto aiutare la polimerasi a legarvisi. Per questo,

l'attivatore usa una regione per legare un sito sul DNA vicino al promotore; con una diversa superficie,

contemporaneamente, interagisce con l'RNA polimerasi, portando l'enzima sul promotore. Questo

meccanismo spesso definito come reclutamento è un esempio del legame cooperativo delle proteine al DNA.

Una volta posizionato, l'enzima isomerizza spontaneamente nel complesso aperto, e la trascrizione inizia.

Non tutti i promotori però sono caratterizzati dallo stesso passaggio limitante. Se prendiamo in

considerazione, ad esempio, un promotore opposto al precedente, ovvero un promotore su di cui si lega

stabilmente l'RNA polimerasi senza bisogno di alcun aiuto che però non riesce a trasformarsi

spontaneamente in un complesso aperto, su questo promotore un attivatore deve stimolare la transizione tra

complesso chiuso ad aperto, perché proprio in questa transizione risiede il passaggio limitante.  Gli attivatori

che stimolano questo tipo di promotore lavorano inducendo un cambiamento conformazionale o nell'RNA

polimerasi o sul DNA. Questo meccanismo è un esempio di allosteria.

Fino ad ora abbiamo visto proteine, sia soppressori che attivatori che agiscono su siti vicini. D'altro canto

alcune proteine interagiscono tra loro anche quando sono legate a siti piuttosto lontani sul DNA. Per

permettere questa interazione, il DNA compreso tra questi siti di interazione si estroflette formando un'ansa

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Page 143: biologia-molecolare

e portando i suddetti siti uno vicino all'altro. Un modo per aiutare due siti distanti di avvicinarsi (e quindi

permettere la formazione di un'ansa) consiste nel legame di altre proteine a sequenze comprese tra i due siti

in questione. Nei batteri esistono dei casi in cui una proteina si lega tra il sito di legame di un attivatore ed il

promotore, aiutando l'attivatore ad interagire con l'RNA polimerasi, mediante l'induzione di una curvatura

sul DNA, per questi sono detti fattori “architettonici”, utili anche nella ricombinazione sito-specifica, come

abbiamo visto.

Inoltre, le sequenze coinvolte nella regolazione trascrizionale sono distinguibili in trans-agenti e cis-agenti.

Una sequenza genica il cui prodotto diffonde e va ad agire in un’altra regione genica viene definita trans-

agente. Una sequenza che, invece, non viene convertita in altra forma, ma agisce esclusivamente come

sequenza di DNA e influenza solo il DNA fisicamente contiguo è detta cis-agente. Comunque, i sistemi di

controllo possono essere suddivisi in positivo e negativo e sono definiti dalla risposta dell'operone quando

non è presente una proteina regolatrice. Le caratteristiche dei due sistemi sono speculari. I geni sotto

controllo negativo sono espressi a meno che non siano spenti da un repressone. Di solito un repressore

proteico si lega al DNA per impedire all'RNA polimerasi d iniziare la trascrizione o si lega all'mRNA per

impedire a un ribosoma di iniziare la traduzione. L'espressione dei geni sotto controllo positivo, invece, è

possibile soltanto quando è presente una proteina regolatrice attiva. In questo controllo, la proteina

interagisce con il DNA e la RNA polimerasi per facilitare l'evento di inizio (come ad esempio l'uso dei

fattori sigma). Un regolatore positivo che corrisponde ad una piccola molecola si chiama di solito

attivatore.  

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97. La regolazione dell'inizio di trascrizione: alcuni esempi nei

batteriI tre geni lac, lacZ, lacY e lacA sono adiacenti uno all'altro nel genoma di E.coli, sono implicati nel

metabolismo del lattosio e nel loro insieme sono definiti operone lac (operone: è un'unità di regolazione ed

espressione genica composta da geni strutturali e da elementi di controllo nel DNA, che vengono

riconosciuti dal prodotto di un gene regolatore). Il promotore lac, posizionato all'estremità 5' di lacZ, dirige

la trascrizione di tutti e tre i geni in un unico mRNA (detto messaggio policistronico perché comprende più

di un gene).

Questo mRNA viene tradotto in tre prodotti proteici. Il gene lacZ codifica per l'enzima -galattosidasi che

scinde lo zucchero lattosio in galattosio e glucosio, usati dalle cellule come fonte di energia. Il gene lacY

codifica per la permeasi del lattosio, una proteina che si inserisce nella membrana cellulare e trasporta il

lattosio nella cellula. Il gene lacA, invece, codifica per la tiogalattoside transacetilasi, che libera la cellula

dai tiogalattosidi tossici che vengono anch'essi importati da lacY. Questi geni sono espressi ad un livello

elevato solo quando il lattosio è disponibile, mentre non è presente il glucosio, che rappresenta la fonte

energetica preferenziale. I batteri devono rispondere rapidamente ai cambiamenti del loro ambiente. Infatti,

fluttuazioni nel rifornimento di sostanze nutrienti possono verificarsi in ogni momento e la sopravvivenza

dipende dalla capacità di passare dal metabolismo di un substrato ad un altro. La sintesi si enzimi in risposta

alla comparsa di un substrato specifico si chiama induzione. Questo tipo di regolazione è molto diffuso nei

batteri e si trova anche negli eucarioti unicellulari, come i lieviti. Ad esempio, quando si fanno crescere

cellule di E. coli in assenza di un -galattoside, non c'è bisogno di -galattosidasi e i batteri contengono

pochissime molecole dell'enzima, diciamo 5. Quando si aggiunge un substrato adatto, l'attività enzimatica

compare molto rapidamente e nel giro di 2-3 minuti è presente una certa quantità di enzima che sale

rapidamente a circa 5000 molecole per batterio. Se il substrato viene rimosso dal mezzo, la sintesi

dell'enzima si blocca con la stessa rapidità con cui era stata indotta. Il controllo della trascrizione di lac

risponde molto rapidamente all'induttore. Infatti, in assenza di induttore, l'operone è trascritto, come

dicevamo, ad un livello basale molto basso, ma la trascrizione è stimolata non appena si aggiunge l'induttore

e la quantità di mRNA lac aumenta rapidamente ad un livello indotto che riflette un equilibrio fra sintesi e

degradazione dell'mRNA.  Comunque, due proteine regolative sono coinvolte in questo processo: una è un

attivatore detto CAP, l'altra un repressore chiamato repressore Lac. Quest'ultimo è codificato dal gene lacI,

posizionato vicino agli altri geni lac, ma trascritto a partire da un proprio promotore, invece, CAP viene

codificato da un altro gene che si trova altrove sul cromosoma batterico, dunque non associato ai geni lac.

Comunque, entrambi queste proteine si legano al DNA ad uno specifico sito o al promotore lac o nelle sue

vicinanze, e rispondono a segnali ambientali. In particolare CAP trasmette la presenza di glucosio, mentre il

repressore Lac trasmette il segnale del lattosio. Questo sistema regolativo lavora nel seguente modo: il

repressore Lac può legare il DNA e reprimere la trascrizione solo in assenza del lattosio; in presenza di

questo zucchero, invece, il repressore è inattivo ed i geni de-repressi (espressi). CAP può legare il DNA e

inattivare i geni lac solo in assenza di glucosio. L'effetto combinato di questi due regolatori, quindi, è che i

geni siano espressi a livelli elevati solo quando il lattosio è presente e il glucosio assente.

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Page 145: biologia-molecolare

Il sito legato dal repressore Lac si chiama operatore lac, è una sequenza di 21 bp ed ha un doppio asse di

simmetria ed è riconosciuta da due subunità del repressore Lac, ciascuna delle quali si lega ad una delle

metà. L'operatore lac si sovrappone al promotore e, quindi, il repressore legato all'operatore impedisce

fisicamente all'RNA polimerasi di legarsi al promotore ed iniziare la sintesi di RNA. La proteina CAP,

invece, si lega come dimero ad un sito di lunghezza simile a quella dell'operatore lac, ma con sequenza

diversa. Questo sito si trova a circa 60 bp a monte dell'inizio della trascrizione. Quando l'attivatore CAP si

lega a questo sito, favorisce il legame della polimerasi al promotore sia interagendo con essa che

reclutandola sul promotore. Questo legame cooperativo stabilizza il legame dell'enzima al promotore.

Diversi esperimenti supportano questo modello secondo cui CAP attiva i geni lac mediante un semplice

reclutamento della RNA polimerasi. Sono state isolate delle versioni mutanti di CAP che legano il DNA ma

non attivano la trascrizione. Questi mutanti sono caratterizzati da sostituzioni amminoacidiche nel dominio

C-terminale (CTD) della subunità dell'RNA polimerasi. Come abbiamo visto, questo dominio è unito al

dominio N-terminale (NTD) di mediante una giunzione flessibile. L'NTD risiede nella porzione interna

dell'enzima, mentre l'CTD si estende all'esterno e lega (quando presente) l'elemento UP del promotore. Sul

promotore lac, dove non c'è un elemento UP, CTD si lega invece al CAP ed al DNA adiacente.

La proteina CAP e il repressore Lac legano il DNA per mezzo di un comune motivo strutturale. In un tipico

caso, la proteina si lega come omodimero ad un sito che corrisponde (o è simile) ad una ripetizione invertita.

Ogni monomero lega una metà del sito, con l'asse di simmetria del dimero che giace sopa a quella del sito di

legame. Il riconoscimento delle specifiche sequenze di DNA è mediato da una struttura secondaria

conservata, nota come elica-giro-elica. Questo dominio consta di due -eliche, una delle quali, l'elica di

riconoscimento, s'insinua nel solco maggiore del DNA. I contatti presi tra le catene laterali degli

amminoacidi che protrudono dall'elica di riconoscimento e le parti più esterne delle basi possono essere

mediati da legami idrogeno diretti, legami idrogeno indiretti o forze di van der Waals. La seconda elica del

dominio elica-giro-elica, invece, attraversa il solco maggiore e prende contatto con lo scheletro del DNA,

assicurando, in questo modo, una corretta presentazione dell'elica di riconoscimento e, nello stesso tempo,

aggiungendo energia di legame all'interazione proteina-DNA nel suo complesso. Questa descrizione è di

fatto valida non solo per CAP e il repressore Lac, ma anche per molti altri regolatori batterici, tra i quali il

repressore del fago e le proteine Cro. Comunque, il repressore Lac si lega come tetramero e non come

dimero. Ciò nonostante ogni operatore è contattato da solo due di queste subunità- Infatti, gli altri due

monomeri del tetramero possono legare uno degli altri due operatori lac, posizionati, rispettivamente, 400 bp

a valle e 90 bp a monte dell'operatore principali. In questi casi, il DNA compreso tra i due siti forma un loop

per consentire la reazione.

Come abbiamo detto, il componente che risponde all'induttore nel sistema lacZYA è il repressore codificato

da lacI, repressore Lac. Lo stato di questo repressore determina se il promotore deve essere acceso o spento.

Infatti, in assenza di un induttore, i geni non sono trascritti, perché il repressore è in forma attiva legata

all'operatore. Mentre, quando si aggiunge un induttore, il repressore è convertito in una forma inattiva che si

stacca dall'operatore. Quindi la trascrizione inizia a livello del promotore e procede attraverso i geni  fino ad

un terminatore posto oltre l'estremità 3' di lacA. Le caratteristiche cruciali del circuito di controllo si trovano

nella duplice proprietà del repressore: può impedire a trascrizione e può riconoscere il piccolo induttore. Il

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repressore ha due siti di legame, uno per l'operatore e uno per l'induttore. Quando l'induttore si lega al suo

sito, modifica la conformazione della proteina in modo tale da influenzare l'attività del sito di legame

all'operatore. Questa induzione svolge una regolazione coordinata: tutti i geni sono espressi (o non espressi)

all'unisono. In dettaglio, l’induttore agisce legandosi al repressore e causando il suo distacco dall’operatore.

L’induttore può essere il substrato stesso o un suo derivato (nel caso dell’operone lac un induttore è

l’allolattosio, un isomero del lattosio), ma anche altre molecole possono funzionare da induttore. Infatti,

quando il lattosio entra nelle cellule, viene convertito in allolattosio. Ed è proprio questo che controlla il

repressore Lac. L'allolattosio si lega al repressore Lac e induce un cambiamento nella conformazione della

proteina. In assenza di allolattosio, il repressore è presente in una forma capace di legare il proprio sito di

riconoscimento sul DNA, e quindi di mantenere i geni lac spenti. Una volta che l'allolattosio ha cambiato la

forma del repressore, la proteina non può più legare il DNA e quindi i geni lac non sono più repressi. Un

meccanismo simile regola l'attività della proteina CAP (detta anche CRP). Il glucosio abbassa la

concentrazione intracellulare di una piccola molecola, il cAMP. Quest'ultimo è l'effettore allosterico del

CAP: la proteina CAP solo quando è complessata con il cAMP adotta una conformazione in grado di legare

il DNA. Quindi, CAP lega il DNA e attiva i geni lac solo quando i livelli di glucosio sono bassi (e quelli di

cAMP alti). La porzione del CAP che lega l'effettore, il cAMP, è diversa da quella che lega il DNA. Infatti,

il CAP si lega ad una regione del DNA di circa 22 bp con due pentameri di riconoscimento non ugualmente

conservati. Comunque, CAP influenza l’espressione di più di 100 geni in E. coli. Il sito di legame di CAP si

trova in punti diversi rispetto al sito d’inizio della trascrizione. In gal è a -41, mentre in lac è a -61. La

dipendenza da CAP è correlata all’efficienza intrinseca del promotore. Nessun promotore CAP dipendente

ha una buona sequenza -35 e spesso neanche una buona sequenza -10.

Infine, bisogna dire che, i componenti del circuito regolatore dell'operone si dividono in due classi e possono

essere identificati in base a mutazioni che influenzano l'espressione di tutti i geni strutturale e mappano al di

fuori di essi. Il promotore e l'operatore sono identificati come bersagli delle proteine regolatrici

(rispettivamente RNA polimerasi e repressore) in base a mutazioni cis-agenti e il locus lacI è identificato

come il gene che codifica per il repressore proteico in base a mutazioni che eliminano il prodotto trans-

agente. L'operatore è stato identificato in origine in base a mutazioni costitutive (che non rispondono più alla

regolazione), denotate Oc, le cui proprietà distintive hanno fornito la prima prova di un elemento che

funziona senza essere rappresentato in un prodotto diffusibile. I geni strutturali contigui a una mutazione Oc

sono espressi costitutivamente perché la mutazione cambia l'operatore in modo che il repressore non può più

legarvisi e non può, quindi, impedire alla RNA polimerasi di iniziare la trascrizione. Quindi i mutanti Oc

sono cis-agenti perché controllano un sito fisicamente continuo. Una trascrizione costitutiva è causata anche

da mutazioni del tipo lacI-, che sono causate da perdita di funzione. Quando il repressore è inattivo o

assente, la trascrizione può iniziare a livello del promotore. Quindi i mutanti lacI- esprimono i geni

strutturali in continuazione (costitutivamente), indipendentemente dalla presenza o dall'assenza

dell'induttore, perché il repressore è inattivo.

Bisogna ricordarsi che è la subunità della RNA polimerasi che riconosce le sequenze di un promotore.

L'RNA polimerasi contenente la subunità 70 riconosce il promotore lac, precedentemente discusso, così

come la maggior parte degli altri promotori di E.coli. Questo batterio però codifica per molte altre subunità

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che, in alcune circostanze, si possono sostituire a  70, dirigendo la RNA polimerasi su promotori alternativi.

Uno di questi fattori alternativi è dato dal fattore inducibile al calore, 32, che aumenta quando le cellule di

E. coli vengono sottoposte ad uno shock termico e permette la trascrizione di geni che proteggono la cellula

da questo cambiamento ambientale. Talvolta una serie di alternativi permette un particolare programma di

espressione genica. Nel batterio B. subtilis ne troviamo due tipici esempi. Il batteriofago SPO1 infetta

questo batterio e lì cresce secondo il ciclo litico a dare la progenie fagica. Questo processo richiede che il

fago esprima i propri geni in modo estremamente controllato. Tale controllo è imposto dalla polimerasi per

mezzo di una serie di fattori alternativi. In seguito all'infezione, la RNA polimerasi batterica, contenente 70,

riconosce i così detti promotori fagici precoci che codificano per delle proteine necessarie nei primi

momenti dell'infezione. Uno di questi geni, chiamato gene 28, codifica per un fattore alternativo.

Quest'ultimo prende il posto del fattore batterico e dirige la polimerasi su una seconda serie di promotori del

genoma fagico, quelli associati ai geni chiamati “intermedi”. A sua volta uno di questi codifica il fattore

necessario ai geni virali “tardivi”.

Sebbene la maggior parte degli attivatori lavori per reclutamento, vi sono alcune eccezioni. NtrC e MerR

rappresentano due esempi di attivatori che non funzionano tramite reclutamento, ma per mezzo di

meccanismi di allosteria. Gli attivatori che lavorano per mezzo di reclutamento non fanno altro che portare

una forma attiva di RNA polimerasi sul promotore. Nel caso degli attivatori che funzionano per mezzo di

meccanismi allosterici, la polimerasi inizialmente lega il promotore in un complesso inattivo. Per stimolare

la trascrizione, l'attivatore induce nel complesso un cambiamento conformazionale. NtrC controlla

l'espressione di geni coinvolti nel metabolismo dell'azoto, come il gene glnA. Su questo gene, l'RNA

polimerasi è pre-legata al promotore, in un complesso chiuso stabile. L'attivatore NtrC induce un

cambiamento conformazionale nell'enzima, inducendo la transizione a complesso aperto. Come per il CAP,

NtrC possiede due domini distinti per l'attivazione e il legame al DNA e lega il DNA solo in presenza di uno

specifico segnale, in questo caso bassi livelli di azoto. NtrC viene fosforilato da una chinasi subendo un

cambiamento conformazionale che espone il dominio di legame al DNA dell'attivatore. Una volta attivo,

NtrC lega quattro siti a monte del promotore e interagisce direttamente con il fattore 54 presente nella RNA

polimerasi. Per permettere questa interazione è necessaria la formazione di un loop del DNA compreso tra i

siti di legame dell'attivatore ed il promotore. Lo stesso NtrC, a questo punto, dotato di un'attività ATPasica,

fornisce l'energia necessaria per il cambiamento conformazionale dell'RNA polimerasi in complesso attivo

ed aperto, che porta l'enzima a trascrivere.

MerR, invece, controlla un gene denominato merT, che codifica per un enzima che rende le cellule resistenti

agli effetti tossici del mercurio. Come NtrC, MerR induce un cambiamento conformazionale che porta alla

formazione del complesso aperto. In questo caso, però, l'effetto allosterico dell'attivatore viene esercitato sul

DNA invece che sull'RNA polimerasi. In dettaglio, MerR attiva il gene merT quando, in presenza di

mercurio, si lega ad una sola sequenza di riconoscimento situata tra le regioni -10 e -35 del promotore merT,

e opposta al sito di legame per l'RNA polimerasi che quindi può legarsi. Siccome gli elementi -10 e -35 sono

sono caratterizzati da un'ottimale distanza e non sono allineati vengono ruotati e si ritrovano esposti su facce

diverse della doppia elica. Inoltre, il legame di MerR (in assenza di mercurio) blocca il promotore nella

conformazione sfavorevole: la polimerasi si può legare, ma non in modo da poter iniziare la trascrizione.

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Quando, invece, la proteina MerR lega il mercurio, subisce un cambiamento conformazionale che induce il

DNA del centro del promotore a ruotare. Questa distorsione riporta le regioni -10 e -35 in una disposizione

in qualche modo simile a quella trovata nei promotori riconosciuti da 70 e induce la trascrizione.

Un altro operone molto importante in E. coli è l'operone araBAD, il cui promotore è attivato in presenza di

arabinosio e in assenza di glucosio, e dirige l'espressione dei geni che codificano per gli enzimi necessari al

metabolismo dell'arabinosio. In questo caso due attivatori lavorano insieme: AraC e CAP. Quando

l'arabinosio è presente, AraC si lega a questo zucchero e adotta una configurazione che gli permette di

legarsi come dimero sul DNA, su due mezzi siti adiacenti, araI1 e araI2. Subito a monte di questi siti c'è un

sito CAP: quando il glucosio non è presente, CAP si lega in questa posizione e aiuta l'attivazione. In assenza

di arabinosio, i geni araBAD non sono espressi. Questo avviene perché quando non è legato all'arabinosio

AraC assume una diversa conformazione e lega il DNA in modo diverso: un monomero lega ancora il sito

araI1, mentre l'altro monomero lega un mezzo sito più distante, detto araO2. Dal momento che questi due

mezzi siti sono distanti 149 bp, il DNA compreso forma un ansa, e quindi non si verifica alcuna attivazione.

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98. Esempi di regolazione genica in passaggi successivi all'inizio di

trascrizioneAlcuni fagi hanno soltanto una strategia di sopravvivenza e, quando infettano un ospite suscettibile, ne

sovvertono le funzioni allo scopo di produrre un grande numero di particelle fagiche figlie. Come risultato di

questa infezione litica, il batterio ospite muore. Nel tipico ciclo litico, il DNA del fago (o l'RNA) entra

nell'ospite batterico, i suoi geni sono trascritti in ordine stabilito, il materiale genetico del fago viene

replicato e si producono i componenti proteici della particella fagica.  Alla fine l'ospite batterico viene

distrutto (lisato) per rilasciare le particelle figlie. Altri fagi hanno, invece, una doppia vita e sono capaci di

perpetuarsi usando lo stesso tipo di ciclo litico come strategia per produrre il numero più alto di copie del

fago nel minor tempo possibile, ma hanno anche una forma alternativa di esistenza, in cui il genoma del

fago è presente nel batterio in una forma latente nota come profago. Questa forma di propagazione si chiama

lisogenia. In un batterio lisogeno, il profago è inserito (integrato) nel genoma batterico e viene ereditato

nello stesso modo dei geni batterici. In virtù della presenza di un profago, un batterio lisogeno ha

un'immunità contro l'infezione di ulteriori particelle fagiche dello stesso tipo. Fra il modo litico e quello

lisogeno avvengono transizioni che dipendono dalle condizioni di infezione e dai genotipi del fago e del

batterio. Infatti, un profago può essere liberato dalle restrizioni della lisogenia dal processo chiamato

induzione. Per prima cosa il fago è rilasciato dal cromosoma batterico per escissione e quindi il DNA libero

procede attraverso la via litica. Comunque, la lisogenia è mantenuta dall'interazione di un repressore fagico

con un operatore, mentre il ciclo litico richiede una cascata di controlli trascrizionali. La transizione fra i due

stili di vita è compiuta stabilendo una repressione (da ciclo litico a lisogenia) o rilasciando un repressore

(induzione da fago lisogeno a fago litico). Un altro tipo di esistenza all'interno dei batteri è rappresentato dai

plasmidi, che sono unità autonome che esistono nella cellula come genomi extracromosomici. I plasmidi

sono molecole circolari di DNA che si autoreplicano e sono mantenute nella cellula in un numero stabile e

caratteristico. Alcuni plasmidi hanno anch'essi stili di vita alternativi e possono esistere nello stato autonomo

o possono inserirsi nel cromosoma batterico e diventare dunque episomi.

In generale, il fago comprende geni la cui funzione è quella di assicurare la replicazione del suo DNA

all'interno dell'ospite. Lo sviluppo litico si svolge in una via in cui i geni del fago sono espressi in un ordine

particolare, che assicura che la quantità appropriata di ogni componente sia presente nel numero giusto. Il

ciclo si si può dividere in due parti generali: 1) l'infezione precoce descrive il periodo dell'ingresso del DNA

all'inizio della sua replicazione e 2) l'infezione tardiva che definisce il periodo dall'inizio della replicazione

al passaggio finale della lisi della cellula batterica per rilasciare le particelle fagiche figlie. Quindi, la fase

precoce è dedicata alla produzione di enzimi coinvolti nella riproduzione del DNA, che comprendono quelli

che riguardano la sintesi, la ricombinazione e talvolta la modificazione del DNA. Mentre, durante la fase

tardiva vengono sintetizzati i componenti proteici della particella fagica. Comunque, il ciclo litico è sotto

controllo positivo e ciascun gruppo di geni del fago può essere espresso soltanto quando viene dato un

segnale appropriato dando luogo ad una cascata trascrizionale. Il primo stadio di espressione genica

comporta l''espressione, grazie alla RNA polimerasi dell'ospite, di pochi geni i cui promotori sono

indistinguibili da quelli dei geni dell'ospite. Il nome di questa classe di geni dipende dal fago, ma nella

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maggior parte dei casi sono noti come geni precoci. Nel fago lambda, hanno il nome di precoci immediati.

Indipendentemente dal nome, uno di questi geni codifica sempre per una proteina necessaria per la

trascrizione della classe successiva di geni (questa è la loro funzione principale). Questa seconda classe di

geni prende nomi diversi come precoce ritardata o intermedia e la sua espressione inizia di solito non appena

diventa disponibile la proteina regolatrice codificata dai geni precoci, e codificano per enzimi necessari per

la replicazione del DNA fagico. Quando inizia la replicazione del DNA del fago, è giunto, invece, il

momento di esprimere i geni tardivi, la cui trascrizione a questo stadio è di solito regolata dalla presenza di

un ulteriore gene regolatore nella serie precedente di geni, e codificano per le componenti proteiche del

fago. Questo fattore può essere un fattore antiterminazione (come nel fago lambda) o può essere un fattore

sigma.

Come abbiamo visto, a tutti gli stadi di espressione del fago, uno o più geni attivi sono regolatori necessari

per lo stadio successivo. Il regolatore può prendere la forma di una nuova RNA polimerasi, di un fattore

sigma che modifica la specificità dell'RNA polimerasi dell'ospite, o di un fattore antiterminazione che

permette alla polimerasi di leggere un nuovo gruppo di geni. Nei primi due casi, quindi di una nuova

polimerasi e odi un fattore sigma, la caratteristica critica che distingue la nuova serie di geni è il loro

possesso di promotori diversi da quelli riconosciuti in origine dall'RNA polimerasi dell'ospite.

L'antiterminazione, invece, fornisce ai fagi un meccanismo alternativo per controllare il passaggio dei geni

precoci allo stadio successivo di espressione genica. L'uso dell'antiterminazione dipende da una disposizione

particolare dei geni. I geni precoci, infatti, si trovano adiacenti ai geni che devono essere espressi nello

stadio successivo, ma ne sono separati da siti terminatori. Se viene impedita la terminazione a livello di

questi siti, la polimerasi legge attraverso i terminatori continuando nei geni che si trovano sull'altro lato.

Quindi nell'antiterminazione, gli stessi promotori continuano a essere riconosciuti dalla RNA polimerasi e i

nuovi geni sono espressi semplicemente estendendo la catena di RNA per formare molecole che contengono

all'estremità 5' le sequenze dei geni precoci e all'estremità 3' le sequenze dei nuovi geni.

Uno dei circuiti a cascata più intricati è utilizzato dal fago lambda. In realtà, la cascata per lo sviluppo litico

è di per sé lineare, con due regolatori, ma il circuito per il ciclo litico è intrecciato con il circuito che

stabilisce la lisogenia. Il DNA del fago è caratterizzato da un genoma di 50 kb, quindi circa 50 geni, e

quando entra in una cellula ospite, la via litica e quella lisogena iniziano nello stesso modo. Entrambe

richiedono l'espressione dei geni precoci immediati e precoci ritardati, ma poi divergono: lo sviluppo litico

prosegue se vengono espressi i geni tardivi, mentre si instaura lisogenia se si stabilisce la sintesi del

repressore. In fago ha soltanto due geni precoci immediati, trascritti dall'RNA polimerasi dell'ospite: 1) N

codifica per un fattore antiterminazione la cui azione a livello di particolari siti permetta alla trascrizione di

procedere nei geni precoci ritardati, mentre, 2) cro ha due funzioni: impedisce la sintesi del repressore

(un'azione necessaria se deve procedere il ciclo litico) e spegne l'espressione dei geni precoci immediati (che

non sono necessari successivamente nel ciclo litico). I geni precoci ritardati, invece, comprendono due geni

di replicazione, sette geni di ricombinazione e tre regolatori. I regolatori hanno funzioni opposte. La coppia

cII-cIII di regolatori è necessaria per stabilire la sintesi del repressore, mentre, il regolatore Q è un fattore

antiterminazione che permette alla RNA polimerasi dell'ospite di trascrivere i geni tardivi. Quindi, possiamo

dire, che alcuni geni precoci ritardati sono responsabili della lisogenia e altri del ciclo litico. In dettaglio,

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dobbiamo dire che, la regione interessata quindi contiene due geni (cI e cro) e tre promotori (PR, PL e

PRM). Tutti gli altri geni fagici si trovano all'esterno di questa regione e sono trascritti direttamente da PR e

PL (rispettivamente, il promotore di destra e quello di sinistra). PRM (il promotore per il mantenimento del

repressore) trascrive soltanto il gene cI. I promotori PR e PL sono forti e costitutivi, ovvero legano con

efficienza l'RNA polimerasi e permettono la trascrizione senza l'ausilio di un attivatore. PRM, invece, è un

promotore debole che permette un'efficiente trascrizione solamente quando un attivatore è legato subito a

monte. Quindi possiamo dire che si ha crescita litica quando i promotori PR e PL rimangono accesi, mentre

quello PRM è spento. Al contrario, la crescita lisogenica è dovuta allo spegnimento di PR e PL e

l'accensione di PRM.

Come abbiamo detto, il gene cI codifica il repressore di , una proteina con due domini uniti da una regione

flessibile. Il dominio N-terminale contiene la regione di legame al DNA (il dominio elica-giro-elica). Come

per la maggior parte delle proteine che legano il DNA, il repressore di si lega come dimero; i siti principali

per la dimerizzazione si trovano nei domini C-terminali. Un singolo dominio riconosce una sequenza di

DNA di 17 bp ed ogni monomero riconosce mezzo-sito, esattamente come per il sistema lac. Comunque,

nonostante il suo nome, il repressore di può sia attivare che reprimere la trascrizione. Quando funziona da

repressore si lega ai siti che si sovrappongono al promotore escludendo l'RNA polimerasi. Invece, come

attivatore funziona, come CAP, per reclutamento. Sia il repressore di che Cro (comunque anch'essa un

repressore), quindi le due proteine regolatrici che abbiamo incontrato, possono legarsi a uno di sei diversi

operatori. Ciascuna di queste proteine riconosce tali siti con diversa affinità. Tre siti si trovano nella regione

di controllo di sinistra e gli altri tre in quella di destra. In maniera analoga a quelli di sinistra, i tre siti di

legame sull'operatore di destra sono chiamati OR1, OR2 e OR3; questi siti sono tra di loro simili in quanto a

sequenza ma non identici, e ciascuno di questi, può legare dia un dimero di repressore che uno di Cro.

Queste interazioni sono dotate però di diversa affinità. In particolare, è necessaria una concentrazione  di

repressore dieci volte maggiore per legare OR2 rispetto a OR1. OR3 lega il repressore con la stessa affinità

di OR2. Questo legame cooperativo delle proteine regolative viene usato per assicurare che i cambiamenti

nei livelli di espressione di un dato gene possano essere notevoli anche in risposta a piccoli cambiamenti nei

livelli del segnale che controlla quel gene. Quindi per capire come avviene la crescita litica e quella lisogena

possiamo dire che: per la crescita litica un solo dimero di Cro è legato ad OR3; questo sito si sovrappone a

PRM e quindi Cro reprime quel promotore. Quindi dal momento che né il repressore né Cro sono legati ad

OR1 e OR2, PR lega l'RNA polimerasi e dirige la trascrizione dei geni litici; PL funziona nello stesso modo.

Nella lisogenia, PRM è acceso mentre PR e PL sono spenti. Il repressore legato in modo cooperativo ad

OR1 e OR2 blocca il legame dell'RNA polimerasi a PR, inibendo la trascrizione di quel promotore. Ma il

repressore legato ad OR2 attiva la trascrizione da PRM.

Finora abbiamo visto come il repressore e Cro regolano la crescita litica e quella lisogena e come si passi sa

una all'altra in seguito ad induzione. Ora ci interesseremo degli eventi immediatamente successivi

all'infezione, quelli che principalmente determinano quale strada imbocchi il fago. In questa scelta sono

determinanti i prodotti di due altri geni, cII e cIII. Il primo si trova sulla destra di cI ed è trascritto da PR;

cIII, mentre, è a sinistra di cI e la sua trascrizione deriva da PL. In dettaglio, CII è un attivatore

trascrizionale, si lega ad un sito a monte di un promotore detto PRE (per repressor estabilishment,

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mantenimento del repressore) e stimola la trascrizione del gene cI (il repressore) da quel promotore. Quindi

il gene che codifica per il repressore può essere trascritto da due diversi promotori (PR e PRE). Soltanto

quando PRE ha portato alla produzione di una sufficiente quantità di repressore, quest'ultimo si può legare

ad OR1 e OR2 e promuovere la propria sintesi da PRM. Quindi vediamo come la sintesi del repressore sia

iniziata da un promotore (stimolato da un attivatore) per poi essere mantenuta da un altro promotore

(controllato dal repressore stesso). Riassumendo, possiamo ora considerare come CII diriga la scelta tra

sviluppo litico e lisogeno. In seguito all'infezione, la trascrizione parte immediatamente dai due promotori

costitutivi PR e PL. PR guida la sintesi sia di Cro che di CII. L'espressione di Cro favorisce lo sviluppo

litico: una volta che la quantità di Cro avrà raggiunto un certo livello, esso legherà OR3 e bloccherà PRM.

Dall'altro lato, l'espressione di CII favorisce la crescita lisogenica, promuovendo la trascrizione del gene del

repressore. Per l'instaurarsi della lisogenia, il repressore deve, quindi legarsi ad OR1 e OR2 ed attivare PRM

prima che Cro possa inibire quel promotore.

Ricapitolando, quando il fago infetta una popolazione di cellule batteriche sane ed in crescita vigorosa tende

a propagarsi in modo litico, rilasciando la progenie in un ambiente in cui abbondano nuove cellule ospiti.

Invece, quando le condizioni di crescita per i batteri sono povere, è più probabile che il fago dia origine a dei

lisogeni che si inserisca nell'ospite stabilmente; infatti, probabilmente nelle vicinanze della progenie fagica

vi saranno poche cellule da infettare. Queste diverse condizioni di crescita influenzano CII. In E. coli, CII è

una proteina molto instabile e viene degradata da una specifica proteasi detta FtsH (HflB), codificata dal

gene hfl. Le cellule prive di quest'ultimo gene, in seguito all'infezione di , danno quasi sempre origine a

lisogeni: in assenza della proteasi, CII è stabile e dirige la sintesi di una grande quantità di repressore.

Invece, se la crescita è buona, FtsH è molto attivo, CII subisce un'efficiente proteolisi, il repressore non

viene sintetizzato e il fago tende a crescere in modo litico. In condizioni di scarsa crescita avviene l'opposto:

una bassa attività di FtsH, una lenta degradazione di CII, l'accumulo del repressore e la tendenza

all'instaurarsi della lisogenia.

Nello sviluppo di troviamo altri esempi di regolazione che iniziano con un meccanismo di regolazione

trascrizionale positivo chiamato antiterminazione. I due geni precoci immediati N e cro, sono trascritti

dall'RNA polimerasi dell'ospite. N è trascritto verso sinistra e cro verso destra ed entrambi i trascritti

terminano alla fine del gene. pN è il regolatore che permette di continuare la trascrizione nei geni precoci

ritardati ed è un fattore antiterminazione che sopprime l'uso dei terminatori tL e tR. In presenza di pN, la

trascrizione continua alla sinistra di N nei geni di ricombinazione e alla destra di cro nei geni di replicazione.

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99. La terminazione dei geni trp di b. subtilis e' controllata dal

triptofano e dal tRNATrpIl circuito che controlla la trascrizione attraverso la terminazione può usare mezzi sia diretti che indiretti per

rispondere al livello di piccoli prodotti o substrati. In B. subtilis, una proteina chiamata TRAP è attivata dal

triptofano a legarsi a una sequenza nel leader del trascritto nascente. TRAP forma un multidimero di 11

subunità, ciascuna delle quali si lega ad un singolo triptofano e a un trinucleotide (GAG o UAG) sull'RNA

che è avvolto in un cerchio attorno alla proteina. Il risultato è quello di assicurare la disponibilità delle

regioni che sono necessarie per formare la forcina del terminatore. La terminazione della trascrizione

impedisce quindi la produzione degli enzimi biosintetici del triptofano. In effetti, TRAP è un terminatore

che risponde al livello del triptofano e in assenza di TRAP una struttura secondaria alternativa impedisce la

formazione della forcina del terminatore. Ma la proteina TRAP è a sua volta controllata da tRNATrp.

Quest'ultimo scarico si lega all'mRNA di una proteina chiamata anti-TRAP, sopprimendo la formazione di

una forcina di terminazione nell'mRNA. Il risultato è la sintesi di anti-TRAP, che si lega a TRAP e le

impedisce di reprimere l'operatore del triptofano. In seguito a questa serie complessa di eventi, l'assenza di

triptofano genera il tRNA scarico, che provoca la sintesi di anti-TRAP, che impedisce la funzione di TRAP,

che provoca a sua volta l'espressione dei geni del triptofano. L'espressione dei geni trp di B. subtilis è perciò

controllata sia dal triptofano che da tRNATrp. Quando il triptofano è presente, non c'è bisogno che venga

sintetizzato e la sintesi degli enzimi della via del triptofano è repressa dall'attivazione di TRAP da parte del

triptofano. La presenza di tRNATrp scarico indica che c'è scarsità di triptofano e attiva quindi anti-TRAP

accendendo la trascrizione dei geni trp.

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100. L'operone del tTRP di e- coli e' controllato da attenuazioneIn E. coli si usa un complesso sistema di regolazione, in cui i cambiamenti di struttura secondaria che

controllano l'attenuazione sono determinati dalla posizione del ribosoma sull'mRNA. La terminazione

richiede che il ribosoma possa tradurre un segmento leader che precede i geni trp nell'mRNA. Quando il

ribosoma traduce questa regione leader a livello del terminatore 1 si forma una forcina di terminazione, ma

quando il ribosoma non può tradurre il leader la forcina di terminazione non si forma e l'RNA polimerasi

trascrive la regione codificante. Questo meccanismo di antiterminazione dipende perciò dall'influenza di

circostanze esterne sul movimento del ribosoma nella regione leader. L'operone trp consiste di cinque geni

strutturali disposti in una serie contigua, che codificano per i tre enzimi che convertono l'acido corismico in

triptofano. La trascrizione inizia in corrispondenza di un promotore all'estremità sinistra del gruppo. Un

attenuatore (terminatore intrinseco) si trova fra il promotore e il gene trpE e fornisce una barriera alla

terminazione dei geni strutturali. La RNA polimerasi termina a livello dell'attenuatore sia in vivo che in

vitro producendo un trascritto di 140 basi. La terminazione a livello dell'attenuatore risponde al livello del

triptofano. In presenza di quantità adeguate di questo amminoacido, la terminazione è efficiente, ma in

assenza di triptofano l'RNA polimerasi può continuare a trascrivere i geni strutturali. Il meccanismo

regolatore è il seguente: quando la cellula esaurisce il triptofano, i ribosomi iniziano la traduzione del

peptide leader, ma si fermano quando raggiungono i codoni Trp. La sequenza dell'mRNA indica che questo

blocco del ribosoma influenza la terminazione a livello dell'attenuatore. La sequenza leader può essere

scritta in strutture appaiate alternative. La capacità del ribosoma di procedere attraverso la regione leader

controlla la transizione fra queste struttura, che determinano se l'mRNA può fornire le caratteristiche

necessarie per la terminazione. Quando il triptofano è presente, i ribosomi sono in grado di sintetizzare il

peptide leader e continuano lungo la sezione del leader dell'mRNA fino al codone UGA che si trova fra le

regioni 1 e 2. Procedendo fino a questo punto, i ribosomi si estendono sopra la regione 2 e le impediscono di

appaiarsi. Il risultato è che la regione 3 è disponibile a formare coppie di basi con la regione 4 e a generare la

forcina del terminatore. In queste condizioni, l'RNA polimerasi termina perciò a livello dell'attenuatore.

Quando, invece, non c'è triptofano, i ribosomi si bloccano a livello dei codoni Trp, che fanno parte della

regione 1, e quindi questa regione resta sequestrata all'interno del ribosoma e non può appaiarsi con la

regione 2. Ciò significa che le regioni 2 e 3 si possono appaiare prima che venga trascritta la regione 4, che è

quindi obbligata a restare nella forma a singolo filamento. In assenza della forcina del terminatore, l'RNA

polimerasi continua a trascrivere al di là dell'attenuatore.

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101. La regolazione genica negli eucariotiLe differenze fenotipiche che distinguono i vari tipi di cellule negli eucarioti superiori sono dovute in gran

parte a differenze dell'espressione di geni che codificano per proteine, cioè quelli trascritti dalla RNA

polimerasi II. In linea di principio, l'espressione di questi geni potrebbe essere regolata a livello di parecchi

stadi e si possono distinguere almeno cinque punti potenziali di controllo, che formano la serie: 1)

attivazione della struttura del gene, 2) inizio della trascrizione, 3) modificazione del trascritto, 4) trasporto

nel citoplasma e 5) traduzione dell'mRNA. L'espressione genica negli eucarioti è controllata in gran parte a

livello dell'inizio della trascrizione. Per la maggior parte dei geni, questo è il punto principale di controllo

della loro espressione e comporta cambiamenti della struttura della cromatina, quindi dei nucleosomi, a

livello del promotore, che permettono l'attacco dell'apparato basale di trascrizione (compresa la RNA

polimerasi II) al promotore. Come nei batteri, i fattori regolativi che controllano un dato gene si legano a

corte sequenze specifiche, ma negli eucarioti questi siti di legame sono molto più numerosi e posizionati

anche molto distalmente dal punto di inizio della trascrizione. La zona del genoma dove l'apparato

trascrizionale si lega viene indicata con il nome di promotore, mentre i siti di legame specifici sono i siti di

legame regolativi. L'intero tratto di DNA dove risiedono i vari siti regolativi è indicato come sequenza

regolativa. L'espansione di questa sequenza regolativa è sorprendentemente ampia negli organismi

multicellulari, quindi inclusi i mammiferi. Infatti, in questi organismi, le sequenze regolative possono essere

localizzate a distanza di migliaia di nucleotidi dal promotore, sia a monte che a valle, e possono essere

formate da decine di siti, spesso raggruppati in una categoria di regolatori chiamati enhancer (amplificatori).

Quest'ultimi legano i regolatori responsabili dell'attivazione di un gene in un determinato momento e nelle

cellule appropriate. Enhancer diversi legano differenti gruppi di regolatori e controllano lo stesso gene a

seconda dei segnali che arrivano agli stessi regolatori. Comunque, fra gli enhancer ed il gene regolato ci

possono essere altri geni la cui espressione non viene influenzata da quell'enhancer. Inoltre, esistono altre

sequenze regolative chiamate insulator (isolatori) che si interpongono fra gli enhancer ed il promotore,

bloccando l'attivazione dei promotori da parte dei fattori legati agli enhancer.

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102. Diverse tipologie di fattori di trascrizioneL'inizio della trascrizione coinvolge molte interazioni proteina-proteina tra fattori di trascrizione legati al

promotore o a un enhancer oltre che tra fattori ed RNA polimerasi. Possiamo dividere i fattori necessari per

la trascrizione in parecchie classi: 1) i fattori basali insieme alla RNA polimerasi, si legano al punto di inizio

e alla TATA box; 2) gli attivatori sono fattori di trascrizione che riconoscono brevi elementi consenso

specifici e si legano a siti sul promotore o sugli enhancer, facendo aumentare l'efficienza con cui l'apparato

basale si lega al promotore e quindi la frequenza della trascrizione; 3) i coattivatori, non legano direttamente

il DNA, ma forniscono una connessione fra gli attivatori  l'apparato basale e funzionano mediante

interazioni proteina-proteina, formando ponti fra gli attivatori e l'apparato di trascrizione; 4) alcuni

regolatori, come le acetilasi, agiscono producendo cambiamenti alla cromatina. Comunque, gli attivatori e le

altre proteine regolatrici richiedono due capacità: riconoscono sequenze bersaglio specifiche poste negli

enhancer, nei promotori o in altri elementi regolatori che influenzano un particolare gene bersaglio e  dopo

essersi legato al DNA, un attivatore esercita la sua funzione legandosi ad altri componenti dell'apparato

trascrizionale. Spesso un attivatore ha domini separati che legano il DNA e attivano la trascrizione e ciascun

dominio si comporta da modulo separato che funziona in modo indipendente quando è unito a un dominio

dell'altro tipo. La geometria dell'intero complesso di trascrizione deve permettere al dominio attivatore di

contattare l'apparato basale indipendentemente dalla posizione esatta e dall'orientamento del dominio che

lega il DNA. Ad esempio, abbiamo visto che in un tipico attivatore batterico, come CAP, la funzione di

legame al DNA e quella di attivazione sono separate. Un esempio per gli eucarioti, invece, ci è dato da Gal4.

Questa proteina attiva la trascrizione del gene del galattosio nel lievito S. cerevisiae. Questi geni codificano

enzimi che servono per il metabolismo del galattosio. Uno di questi è chiamato GAL1. Gal4 si lega a quattro

siti disposti a 275 bp a monte di GAL1, e in presenza di galattosio, la trascrizione di GAL1 viene attivata di

1000 volte. I domini di legame e di attivazione di Gal4 furono individuati mediante due esperimenti. In un

primo esperimento, l'espressione di un frammento N-terminale del gene GAL4 (codificante un terzo della

proteina) produceva un polipeptide che legava normalmente il DNA ma non attivava la trascrizione, quindi

presentava solo il dominio legante il DNA ma non quello attivatore. In un secondo esperimento, venne

prodotto un gene ibrido codificante per i tre quarti della regione N-terminale di Gal4 fusa al dominio di

legame al DNA del repressore batterico LexA. In questo grado caso la proteina di fusione era in grado di

attivare la trascrizione dei geni per il galattosio. Questo esperimento dimostra che l'attivazione non è

mediata solamente nella presenza del sito di legame al DNA. Di fatto, questo dominio è necessario per

guidare il dominio di attivazione sul promotore. Altri esperimenti furono fatti in diversi organismi modello,

ma in tutti questi si dedusse che il dominio del legame al DNA e quello di attivazione sono fisicamente

separati.

Come abbiamo già visto nella regolazione procariotica, i regolatori si legano come dimeri al DNA bersaglio

che normalmente presenta una sequenza simmetrica invertita. Ciascun monomero della proteina inserisce

un' elica nel solco maggiore del DNA in corrispondenza di una metà del sito di riconoscimento. Il legame, di

norma, non richiede significative alterazioni strutturali sia della proteina che del DNA. La maggior parte

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delle proteine batteriche utilizzavano, per legarsi al DNA, un motivo strutturale noto con il nome di elica-

giro-elica (helix-turn-helix). Una delle due eliche (l'elica di riconoscimento) combacia col solco maggiore

del DNA e riconosce la specifica sequenza nucleotidica. L'altra elica, invece, prende contatto con gli

zuccheri-fosfato del DNA, posizionando l'elica di riconoscimento in modo corretto e aumentando la forza di

legame. Le stesse modalità di riconoscimento sono utilizzate nella maggior parte degli eucarioti, seppure

con alcune variazioni. Una classe di proteine regolative degli eucarioti presenta l'elica di riconoscimento

come parte di una struttura molto simile a un dominio elica-giro-elica; in altre proteine invece il sito di

riconoscimento si presenta con una struttura non riscontrabile nei procarioti, quella degli eterodimeri, o

anche come monomeri. L'omeodominio consiste di tre eliche, di cui due formano la struttura elica-giro-

elica. L'elica 3 è quella di riconoscimento al DNA, infatti si inserisce nel solco maggiore. I residui

amminoacidici presenti sul lato esterno, invece, prendono contatto specifico con le coppie di basi. Quindi le

regioni N-terminali e C-terminali dell'omeodominio sono le principali responsabili del contatto al DNA.

È comune che un attivatore abbia una struttura modulare in cui domini diversi sono responsabili dell'attacco

al DNA e dell'attivazione della trascrizione e i fattori sono spesso classificati secondo il tipo di dominio che

lega il DNA. Di solito un motivo relativamente breve presente in questo dominio è responsabile dell'attacco

al DNA.

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103. Vari motivi di legami del DNA1)Il motivo a dita di zinco (zinc finger) costituisce un dominio che lega il DNA che è stato riconosciuto per

la prima volta nel fattore TFIIIA, necessario per la trascrizione dei geni dell'rRNA 5S da parte della RNA

polimerasi III. In questi casi, l'atomo di Zn interagisce con i residui di Cys e di His e permette il

mantenimento di una struttura contenente un' elica, deputata al legame con il DNA. Anche in questo caso,

quindi, il DNA è riconosciuto, nel solco maggiore, da un' elica tenuta in posizione dallo zinc finger. Il dito

vero e proprio contiene circa 23 amminoacidici e la regione che collega le dita è di solito di 7-8

amminoacidici. Alcune proteine contengono uno o più di questi domini che possono essere collegati l'uno

all'altro testa-coda: ciò permette di aumentare la lunghezza del DNA riconosciuto e conseguentemente

aumentare la forza di legame. Nella struttura cristallina del DNA legato ad una proteina con tre dita si vede:

la parte C-terminale di ciascun dito forma -eliche che legano il DNA, mentre la parte N-terminale forma un

foglietto . I tre tratti di elica si adattano in un giro della scanalatura principale e ognuno di essi (quindi ogni

dito) prende due contatti sequenza-specifici con il DNA;

2)I recettori degli steroidi sono definiti come un gruppo da una relazione funzionale: ogni recettore è attivato

dal legame di un particolare steroide, o meglio, il fattore proteico è inattivo fino a che non lega un piccolo

ligando; in generale, gli ormoni steroidei sono sintetizzati in risposta a una varietà di attività neuroendocrine

ed esercitano effetti importanti sulla crescita, sullo sviluppo dei tessuti e sull'omeostasi corporea. Questi

composti hanno un meccanismo comune: sono tutte piccole molecole che si legano a un recettore specifico

che attiva la trascrizione genica.  I recettori steroidei, tiroidei, e per l’acido retinoico hanno

un’organizzazione simile. Le regioni N-terminali non sono molto conservate e sono importanti per

l’attivazione genica. La regione centrale è coinvolta e nel legame al DNA ed è la più conservata. La regione

C-terminale lega l’ormone. La rimozione del dominio C-terminale rende le proteine costituzionalmente

attive. I recettori steroidei hanno due dita, con un atomo di zinco che coordina un tetraedro di cisteine. Il dito

N-terminale controlla la specificità del legame al DNA; il secondo dito controlla la distanza tra i siti di

legame. Una prova diretta che il primo dito lega il DNA è stata ottenuta in un esperimento di “scambio di

specificità”, in cui il dito del recettore degli estrogeni è stato deleto e sostituito dalla sequenza del recettore

dei glucocorticoidi. La nuova sequenza riconosceva la sequenza GRE (il bersaglio usuale del recettore dei

glucocorticoidi) invece di ERE (il bersaglio usuale del recettore di estrogeno), dimostrando che questa

regione stabilisce la specificità con cui è riconosciuto il DNA;

3)Il motivo elica-giro-elica classico, di cui abbiamo discusso precedentemente;

4) il motivo anfipatico elica-ansa-elica (HLH, helix-loop-helix) che è stato identificato in alcuni regolatori

dello sviluppo e in geni che codificano proteine eucariotiche che legano il DNA. Questo motivo è costituito

da un tratto di 40-50 amminoacidi contenente due -eliche anfipatiche separate da una regione di

collegamento (l'ansa) di lunghezza variabile. Un'elica anfipatica forma due facce, una che presenta

amminoacidi idrofobici e l'altra che presenta amminoacidi carichi. Le proteine di questo gruppo formano sia

omodimeri che eterodimeri per mezzo di interazioni tra le facce corrispondenti delle due eliche. La maggior

parte delle proteine HLH contiene una regione adiacente al motivo HLH altamente basica e necessaria per

l'attacco al DNA (le proteine che non contengono questa regione non possono legare il DNA);

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5) le cerniere di leucina consistono in un tratto di amminoacidi con un residuo di leucina ogni 7 posizioni.

Una cerniera di leucina in un polipeptide interagisce con una cerniera di un altro polipeptide per formare un

dimero (pinza). Vicino a ciascuna cerniera si trova un tratto di residui carichi positivamente che è coinvolto

nell'attacco al DNA.

Comunque, l'attività di un attivatore inducibile può essere a sua volta regolata in parecchi modi: 1) un fattore

è tessuto-specifico perché è sintetizzato soltanto in un tipo particolare di cellula (questa situazione è tipica di

fattori che regolano lo sviluppo); 2) l'attività di un fattore può essere controllata direttamente da una

modificazione (come HSTF che è convertito nella forma attiva dalla fosforilazione); 3) un fattore è attivato

o inattivato dall'attacco di un ligando; 4) un fattore dimerico può avere partner alternativi, un patner può

provocare l'inattività e la sintesi del patner attivo può spostare il patner inattivo; 4) e altri.

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104. Reclutamento di complessi proteici indotto dagli attivatori

trascrizionali eucarioticiAbbiamo visto che nei batteri, nella maggior parte dei casi, un fattore stimola la trascrizione di un gene

legandosi al DNA mediante un dominio strutturale specifico mentre con un altro, appartenente alla stessa

proteina, interagisce direttamente con l'RNA polimerasi, posizionando così l'enzima sul gene. Anche gli

attivatori eucariotici lavorano in questo modo, ma raramente, se non mai, attraverso un interazione diretta

fra l'attivatore e la RNA polimerasi, piuttosto è l'attivatore che recluta la polimerasi indirettamente in due

modi. Per prima cosa l'attivatore può interagire con componenti del complesso trascrizionale diverse dalla

RNA polimerasi e soltanto successivamente richiamare l'enzima (come nel caso dell'utilizzo di un

coattivatore). In secondo luogo gli attivatori possono richiamare proteine che modificano i nucleosomi e

che, alternando la struttura della cromatina in vicinanza dei geni, aiutano la polimerasi a legarsi al DNA. Nel

primo caso, come abbiamo già visto, il complesso trascrizionale eucariotico contiene, oltre alla RNA

polimerasi, numerose altre proteine. Molte di queste sono dei complessi preformati come il Mediatore e il

complesso TFIID. Gli attivatori interagiscono con uno o più di questi complessi e li posizionano sui geni. In

verità la maggior parte del complesso trascrizionale arriva sul gene come un unico grande complesso detto

oloenzima, che contene il Mediatore, l'RNA polimerasi ed alcuni dei fattori generali della trascrizione. Oltre

all'attivazione, però bisogna ricordare, che esiste anche la repressione che agisce generalmente a livello della

struttura della cromatina. In un caso specifico, la sequenza CAAT, è un bersaglio di regolazione. Due copie

di questo elemento si trovano nel promotore di un gene per l'istone H2B che è espresso soltanto durante la

spermatogenesi nel ricco di mare. Nelle gonadi di questo organismo, il promotore è legato dai fattori di

trascrizione alla TATA box, alle CAAT box e a sequenze ottamero, ma nei tessuti embrionali, l'esclusione

del fattore che lega CAAT dal promotore impedisce l'assemblaggio di un complesso di trascrizione. Oltre ai

fattori generali di trascrizione, l’espressione genica può essere regolata da fattori che rispondono a stimoli

specifici, come possono essere segnali di tessuto-specificità o di risposta agli ormoni. Queste proteine

vengono chiamate fattori inducibili, e le loro sequenze di legame sul promotore o sull’enhancer sono detti

elementi di risposta. Gli elementi di risposta per un dato fattore possono essere trovati su diversi geni, e un

singolo gene può contenere più elementi di regolazione, come è il caso del gene umano per la

metallotioneina (MT). Quest'ultimo gene rappresenta un esempio del modo in cui un singolo gene può

essere regolato da molti circuiti diversi.  La proteina metallotioneina protegge la cellula da concentrazione

eccessive di metalli pesanti, legando il metallo e rimuovendolo dalla cellula. L'organizzazione del promotore

di un gene MT contiene la TATA box e la GC box, che si trovano come al solito piuttosto vicine al punto di

inizio e per il livello basale di espressione sono necessarie anche due elementi di livello basale (BLE, basal

level element). TRE, invece, è una sequenza consenso presente in parecchi enhancer, ed è attivata da un

attivatore, AP1, e questa interazione è parte dell'espressione costitutiva. La risposta induttiva ai metalli è

conferita dalle sequenze multiple MRE che funzionano da elementi del promotore. La presenza di MRE

conferisce la capacità di rispondere ai metalli pesanti.

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105. Il controllo della struttura della cromatina: attivazione

trascrizionaleOltre al reclutamento diretto dell'apparato trascrizionale, la presenza di proteine che modificano i

nucleosomi può essere fondamentale per l'attivazione di geni che sono impacchettati all'interno della

cromatina. L'accessibilità al DNA (e quindi la trascrizione) è regolata da tre processi, interconnessi tra di

loro, a livello della cromatina: 1) il rimodellamento della cromatina (il nucleosoma cambia conformazione

rendendo delle sequenze accessibili), 2) le modificazioni post-traduzionali degli istoni (metilazione,

acetilazione, fosforilazione, etc.) e 3) le varianti istoniche. Per quanto riguarda le modificazioni post-

traduzionali degli istoni, come sappiamo le code N-terminali degli istoni si presentano modificate per

l'aggiunta di una varietà di piccole molecole. Le lisine sono frequentemente modificate con l'aggiunta di

gruppi acetilici o metilici e le serine sono soggette a modificazioni per l'aggiunta di gruppi fosforici.

Tipicamente, i nucleosomi acetilati sono associati con regioni dei nucleosomi che sono trascrizionalmente

attivi, mentre nucleosomi deacetilati sono associati a zone del cromosoma trascrizionalmente represse. A

differenza dell'acetilazione, la metilazione della coda N-terminale degli istoni è associata sia con fenomeni

di repressione che di attivazione della cromatina in funzione dell'amminoacido che viene modificato. È stato

proposto che queste modificazioni formino un codice che può essere letto dalle proteine coinvolte

nell'espressione genica; un ovvio cambiamento nelle code istoniche è che l'acetilazione e la fosforilazione

determinano la riduzione delle cariche positive delle code istoniche; l'acetilazione della lisina neutralizza le

sue cariche positive. Questa perdita di cariche riduce l'affinità delle code per l'impalcatura longitudinale del

DNA che si presenta carico negativamente per la presenza dei residui fosforici. Le modificazioni delle code

istoniche hanno, anche, un effetto diretto sulla funzione del nucleosoma permettendo la formazione di siti di

legame per proteine regolative. Specifici domini strutturali chiamati bromodomini e cromodomini mediano

queste interazioni. Il bromodominio è presente in proteine che interagiscono con le code acetilate degli

istoni, mentre proteine contenenti il cromodominio interagiscono con le code metilate degli istoni. Molte

delle proteine che contengono il bromodominio, inoltre, posseggono attività acetil trasferasica e agiscono

specificatamente sulle code istoniche, facilitando il mantenimento e la creazione di cromatina acetilata. In

generale, i modificatori dei nucleosomi possono essere di due tipi: quelli che aggiungono gruppi chimici alle

code degli istoni, come le istone acetiltransferasi (HAT) o le istone metiltrasferasi, che aggiungono

rispettivamente acetili e metili, oppure quelli che rimodellano i nucleosomi, come l'SWI/SNF ATP-

dipendenti. Alcune HATs coincidono con fattori proteici classificati come attivatori della trascrizione. Ad

esempio CPB/p300, noto come coattivatore che interagisce con diversi fattori di trascrizione (recettori per

gli ormoni, AP-1 e MyoD), acetila H4. PCAF invece acetila H3. Altre HAT coincidono con alcune TAFs

della DNA polimerasi I. Oppure possiamo trovare degli enzimi che catalizzano la reazione inversa, come

eliminare i gruppi acetilici, istone deacetilasi (HADC) e che quindi sono coinvolti in molti fenomeni di

repressione genica.

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106. Tecniche di studio dei geni e della conformazione della

cromatinaPer lo studio dei geni e della conformazione della cromatina si usano diverse tecniche. Una di queste è

l'immunoprecipitazione della cromatina (ChIP) che ci permette di stabilire quale sequenza del genoma è

legata ad una particolare proteina. Le proteine possono essere isoforme degli istoni modificati ad un

amminoacido particolare o ad altre proteine associate alla cromatina. Quando viene utilizzato con gli

anticorpi che riconoscono le modifiche dell'istone, il ChIP può essere usato "per misurare" la quantità della

modifica. Un esempio è la misura della quantità di acetilazione dell'istone H3 connessa con una regione

specifica del promotore del gene nelle varie circostanze che potrebbero alterare l'espressione del gene. Gli

istoni non sono le uniche  che possano essere studiate usando questa tecnica. Gran parte dell'interesse

recente è focalizzato anche nell'analisi della distribuzione dei fattori di trascrizione.  L'utilizzo del ChIP

prevede che le cellule siano inizialmente fissate con formaldeide per effettuare il cross-linking del DNA e

poi la cromatina viene raccolta dalle cellule e sottoposta ad un processo di immunoselezione, che richiede

l'uso degli anticorpi specifici (il cross-linking in vivo con formaldeide lega covalentemente le proteine al

DNA con cui interagiscono). Le cellule vengono lisate e il DNA viene rotto in frammenti di 500-1000 bp

mediante sonicazione. L'immunoprecipitazione (IP) con un anticorpo (AB) specifico per la proteina di

interesse consente la separazione del DNA legato dal resto del genoma. Il cross-linking può essere rimosso

mediante riscaldamento, e il DNA identificato mediante PCR. Tutte le sequenze del DNA unite con cross-

linking alla proteina di interesse coprecipiteranno come componente del complesso della cromatina. Dopo l'

immunoselezione dei frammenti di cromatina e purificazione di quelli associati a DNA, la rivelazione delle

sequenze di DNA specifiche viene svolta. Se il DNA che sarà rilevato è associato alla modifica dell'istone o

della proteina che è esaminata, la rappresentazione relativa di quella sequenza del DNA sarà aumentata (o

sarà arricchita) tramite il processo di immunoprecipitazione. Solitamente una PCR standard è effettuata per

identificare la sequenza del DNA (il gene o la regione del genoma) connessa con la proteina di interesse. Un

altra tecnica è quella dei Microarray. Mentre la ChIP ci permette di studiare una sola sequenza che lega una

proteina, quest'ultima ci permette di analizzare un gran numero di sequenza. La tecnica dei microarray nasce

negli anni 90 al fine di indagare i livelli di espressione dei geni in una cellula. Essa è in grado di stabilire se

un certo gene è attivo in quella cellula, cioè se la proteina corrispondente viene effettivamente prodotta e in

quale misura. Oggi è possibile stabilire l’espressione per migliaia di geni contemporaneamente,

confrontando allo stesso tempo due diversi

tessuti, ad esempio campioni provenienti da pazienti diversi (uno sano e uno ammalato) o dallo stesso

paziente (prima e dopo la cura). Un microarray, o DNA-chip, è un sistema miniaturizzato in cui su un

apposito supporto di pochi cm2 vengono immobilizzati acidi nucleici a sequenza nota, detti sonde o probes,

corrispondenti ai geni che si vogliono studiare. Da un campione biologico si preleva un’opportuna quantità

di RNA, che è il prodotto intermedio del processo che dai geni conduce le proteine e che ha la caratteristica

di riconoscere le sonde complementari alle quali si lega chimicamente. L’RNA viene sottoposto ad un

processo di etichettatura con marker radioattivi o fluorescenti in modo da poterlo rilevare in fase successiva.

Infine si procede alla ibridazione, dove la miscela di RNA viene messa in contatto con il microarray in modo

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che le sue molecole si leghino alle rispettive sonde. Il microarray viene poi letto da uno scanner, rendendo

un’immagine in cui la luminosità o il colore di ogni punto è proporzionale alla quantità di RNA legatosi alla

sonda in quel punto. L’immagine è acquisita ed elaborata al computer per produrre dati “raw image”, una

misura dell’espressione genica per ogni gene presente sul chip. Comunque, entrambi le tecniche, la ChIP e i

microarray, vangono combinate. Ad esempio se vogliamo vedere in quale regione del genoma è presente

l'istone H3 acetilato sulla lisina 4, ci prepariamo un anticorpo specifico e con la ChIP isoliamo tutto il DNA.

Quest'ultimo viene utilizzato per sondare un chip di microarray. Dopo una PCR lo marchiamo con

fluorescenti e lo ibridizziamo, vedendo sul genoma quali sequenze portano la modificazione. Con questo

processo costoso e complicato si è visto che l'acetilazione delle lisine H4K5, K8, K12 e K16 è correlata con

l’attivazione genica. H4K16 sembra avere un ruolo più importante rispetto agli altri residui. Inoltre, si è

visto che per l'attivazione della trascrizione è importante la metilazione delle lisine H3/K4, K36 e K79. Altri

ricercatori hanno utilizzato diversi anticorpi per altrettante modificazioni  e hanno visto come le

modificazioni degli istoni variano durante la trascrizione di particolari geni (tanto più è alto il segnale, tanto

più è presente la modificazione). Grazie a questi esperimenti si è visto che: H3K4me3 (trimetilato: me3) si

accumula al 5' dei geni e si associa con la forma di inizio della RNA polII (fosforilata sulla S5); H3K36me3

si accumula, invece, al 3' dei geni e si associa con la forma di allungamento della RNA polII (fosforilata

sulla S2) e, infine, H3K79me3 è correlato con l’attivazione genica ma il suo ruolo non è ancora ben definito.

Quindi, possiamo dire, che esistono diverse modificazioni correlate con le varie fasi della trascrizione.

Infatti, alcuni residui risultano metilati all'inizio ed altri nella fase di allungamento.

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107. L'eterocromatina, inattivazione trascrizionale, dipende da

interazioni con gli istoniL'inattivazione della cromatina avviene per aggiunta di proteine alla fibra di nucleosomi e può essere dovuta

a una varietà di effetti, fra cui la condensazione della cromatina che la rende inaccessibile all'apparato

necessario all'espressione genica, l'aggiunta di proteine che bloccano direttamente l'accesso ai siti regolatori

o a proteine che inibiscono direttamente la trascrizione. Due sistemi caratterizzati a livello molecolare

coinvolgono HP1 nei mammiferi e il complesso SIR nel lievito. Il meccanismo generale di queste due

proteine è molto simile. H3 metilato sulla lisina 9 lega la proteina HP1 tramite il cromodominio, il che

indica il modello per l'inizio dell'eterocromatina. Prima la deacetilasi agisce per rimuovere la modificazione

sulla lisina 14 e quindi la metilasi SUV39H1 agisce sulla coda dell'istone H3 per creare il segnale metilato a

cui si legherà HP1. La regione inattiva può allora essere estesa dall'attacco di ulteriori molecole HP1 che

interagiscono fra loro; possiamo quindi dire che HP1 agisce con un legame cooperativo per estendere la

regione non attiva trascrizionalmente.

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108. Il rimodellamento della cromatinaI fattori di rimodellamento, di cui ne esistono molte famiglie, cambiano la conformazione della cromatina.

Alcuni complessi portano ad attivazione genica mentre altri a repressione. Tutti, comunque, richiedono

l'utilizzo di ATP in quanto il nucleosoma è in un complesso molto stabile. In generale i fattori di

rimodellamento catalizzano diverse reazioni: sliding, abbimo lo scivolamento del DNA senza il distacco dal

nucleosoma, ejection, il DNA si dissocia dal nucleosoma, H2A-H2B dimer ejection, il complesso che è

meno stabile si distacca e quindi viene tolto, mentre nel replacment, troviamo delle varianti di H2A e H2B.

Sicuramente, le famiglie più importanti dei fattori di rimodellamento sono: SWI/SNF e ISWI. Nelle prime

c'è sempre un bromodominio che riconosce i residui acetilati quindi i due sono correlati nel senso che un

acetilazione può richiamare un fattore i rimodellamento. In ISWI, invece, troviamo due domini: SANT e

SLIDE, che si legano rispettivamente presso le code istoniche e sul DNA linker; in quest'ultimo caso SLIDE

occupa 10-20 bp sul DNA linker spaziando i nucleosomi in maniera regolare.

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109. Varianti degli istoniNon tutte le varianti istoniche possono essere trattate, ma le principali sono: la deposizione di H3.1 è

strettamente legata alla replicazione del DNA, ma può essere si accoppiata alla replicazione che

indipendente. È presente preferenzialmente a siti trascrizionalmente attivi; H3.3 è arricchito in modificazioni

post-traduzionali tipiche delle regioni trascrizionalmente attive: K4 è trimetilata, K79 metilata, K9, K18 e

K23 acetilate. Inoltre, H3.3 è presente a bassi livelli durante la divisione cellulare. Il suo livello aumenta

nelle cellule differenziate fino a rappresentare il 50% del totale;  H2A.Z (Htz1 in lievito) ha un ruolo

nell’espressione genica, nel silenziamento genico e nella segregazione dei cromosomi. Ha il 60% di

omologia con H2A; H2A.X è l’istone principale in lievito. La fosforilazione del residuo S139 è uno dei

primi eventi della risposta ai Double Strand Breaks (DSB); MacroH2A è una variante specifica dei

vertebrati con un grande dominio C-terminale non-istonico(Macro domain). Il cromosoma X inattivo (Xi)

delle femmine dei mammiferi è arricchito della variante MacroH2A;

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110. I siti ipersensibili alla dnasi i cambiano la struttura della

cromatina, la metodologia frap e gli histone chaperonesOltre alle modificazioni generali che si verificano nelle regioni attive o potenzialmente attive, avvengono

anche cambiamenti strutturali a livello di siti specifici associati all'inizio delle trascrizione o a certe

caratteristiche strutturali del DNA, che sono stati rilevati per la prima volta dagli effetti della digestione con

concentrazioni molto basse dell'enzima DNasi I. Quando si digerisce la cromatina con questo enzima, il

primo effetto è l'introduzione di rotture nel duplex in siti ipersensibili specifici. Poiché la suscettibilità alla

DNasi I riflette la disponibilità del DNA nella cromatina, si assume che questi siti rappresentino regioni

della cromatina in cui il DNA è particolarmente esposto perché non è organizzato nella solita struttura

nucleosomica. Le posizioni di questi siti ipersensibili possono essere determinate mediante la tecnica della

marcatura terminale indiretta. In questo caso, il taglio a livello di questi siti da parte della DNasi I è usato

per generare un'estremità del frammento di cui si misura la distanza dall'altra estremità generata dal taglio

con un enzima di restrizione. Comunque, molti siti ipersensibili sono correlati  all'espressione genica. Ogni

gene attivo possiede un sito, o talvolta più di un sito, nella regione del promotore. La maggior parte dei siti

ipersensibili si trova soltanto nella cromatina di cellule in cui il gene associato è espresso e non si trova

quando il gene è inattivo. Quindi possiamo dire che in generale, la regione del promotore dei geni attivi è

priva di nucleosomi (ne mancano 1-2). Ad esempio, nel gene della -globina, nelle cellule emapoietiche, è

molto attiva la regione collegata al promotore e quindi è ipersensibile alla DNasi I.

Se vogliamo invece analizzare la dinamica di una proteina con il suo sito dobbiamo fare affidamento ad una

metodologia denominata FRAP (Fluorescence Recovery After Photobleaching) che appunto consente di

studiare in vivo la cinetica di legame di specifiche proteine. Prima di tutto, si introduce, nella nostra coltura

cellulare un transgene, ossia un gene che produce una proteina unita a un TAG fluorescente (GFP) che ne

permette l’identificazione. Il transgene viene espresso e quindi si illumina una piccola area del nucleo. A

questo punto con un raggio laser inattiviamo irreversibilmente il probe fluorescente (photobleaching). La

proteina non viene modificata ma viene modificata solo la GPF che non emette più fluorescenza. L’area

irradiata viene monitorata nel tempo e ne viene misurata la fluorescenza. Il tempo di recupero del segnale

fluorescente dipenderà dalla dinamica di scambio della proteina. Se il recupero della fluorescenza è rapido

vuol dire che c'è uno scambio veloce tra la proteina che era nell'area iniziale e le altre proteine; mentre, se

non c'è recupero della fluorescenza vuol dire che la proteina è immobile. Il t50 (tempo necessario per

recuperare il 50% della fluorescenza originaria) della maggior parte delle proteine esaminate è tra 3 e 8

secondi, mentre per arrivare al plateau il tempo richiesto varia tra 35 a 45 secondi. Se misuriamo H2A, H3 d

H4 con questa tecnica osserveremo che spesso il t50 è molto lungo, a significare che i nucleosomi sono

molto stabili.

Lo scambio degli istoni avviene grazie agli histone chaperones, fattori che si associano con gli istoni per

facilitare e controllare le loro interazioni con altre molecole, senza però fare parte del prodotto finale. Essi

intervengono anche nel trasporto dal citoplasma al nucleo, nel deposito, nell’assemblaggio del nucleosoma,

nella degradazione Un chaperones molto importante è Asf1 specifico per H3 e H4, che interagisce con dei

fattori di assemblaggio come CAF1, per assemblare questi due istoni, ma può anche attuare la reazione

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inversa, ossia quella di dissociazione. Asf1 interagisce anche con altri fattori, come HIRA che è coinvolto

nell'assemblaggio replicazione indipendente. HIRA scambia l'istone H3.1 canonico e inserisce la variante

H3.3 che si trova più frequentemente nei geni trascritti. Un esperimento, per vedere se vi è scambio istonico

a livello di un gene trascritto e se questo processo avviene dopo che il gene è stato attivato,  è stato verificato

da alcuni ricercatori in lievito. Questi hanno tolto i geni per l'istone H3 e gli hanno sostituiti con un gene H3

con Myc controllato dal promotore pHHT2 e un altro con a monte Flag e il promotore pGal, del galattosio.

Al t=0, senza l'aggiunta di galattosio, abbiamo sempre l'espressione della proteina Myc. Se, invece,

induciamo la sintesi del galattosio avremo l'istone H3 taggato con Flag.  Attraverso immunoprecipitazione

della cromatina possiamo osservare a diversi tempi la presenza di H3 taggato o con Myc o con Flag e

quindi, come vengono a sostituirsi nel tempo. In questo modo, e con l'utilizzo di una mappa da microarray,

vedremo il colore rosso dove vi è stato un alto scambio istonico. Questo colore ricorre infatti nella regione

del promotore dove vi è un alto turnover, scambio, istonico.  

In vitro, la trascrizione e quindi la polimerasi parte ma quando arriva ai nucleosomi si blocca. Il complesso

più importante, che permette la trascrizione, è FACT (Facilitates Chromatin Trascription). Questo fattore

presenta due subunità: una è una rimodellatore della cromatina mentre l'altra è un chaperon che si lega al

nucleosoma e provoca una parziale dissociazione dello stesso tagliando un dimero H2A/H2B. Quindi, il

modello che si può considerare comprende: la cromatina che si dissocia e riassocia durante la trascrizione; 

FACT e altri chaperones e fattori di rimodellamento mediano la dissociazione/riassociazione e, infine,

modificazioni specifiche sono collegate al processo di dissociazione/riassociazione della cromatina. Quindi

ricapitolando tutto il processo di trascrizione avremo: una prima fase in cui abbiamo un complesso di pre-

inizio dove tutte le proteine sono legate a una sequenza di DNA priva di nucleosomi ma ancora non si ha la

trascrizione; per procedere la polimerasi deve uscire dal promotore e si è visto che in questa seconda fase vi

sono vari prodotti abortivi di 50 nt, proprio come nei procarioti. A questo punto, la regione C-terminale

dell'RNA polimerasi II (CTD) che contiene numerose serine, viene fosforilata per procedere nella sintesi.

Una fosforilazione molto importante è quella della serina 5 grazie a CDK7 che è una chinasi.

Successivamente la polII lega molteplici fattori: NELR, che non permette l'allungamento ma favorisce la

formazione del complesso aperto, DSIF e PAF1, che reclutano diverse istone metiltransferasi, tra cui Set1

che metila H3K4 e Rad6 che ubiquitina H2B. Nella parte finale dell'inizio della trascrizione interviene

pTEFb che fosforila la serina 2 della polimerasi II, in maniera tale da fornire il segnale per il distacco di

DSIF e NELR dalla stessa polimerasi II, in maniera tale che possa iniziare la fase di elongazione.

Recentemente è stato scoperto che la maggior parte dei promotori nell'uomo sono divergenti, ossia vi sono

due RNA polimerasi II che vanno in direzione opposta, quindi una anche antisenso. Si pensa che questo

servi per generare riavvolgimenti negativi a valle che possono aiutare il processo di trascrizione del gene

vero e proprio. Comunque, i trascritti della RNA polimerasi II antisenso sono piccoli e vengono degradati.

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111. Eterocromatina, eucromatina ed eredità epigeneticaI geni attivi spesso mostrano una elevata sensibilità al taglio con la DNasi I, indicativa di una regione non

protetta dalla presenza di nucleosomi, o comunque più accessibile. Come regola generale si può affermare

che le regioni di eterocromatina sono trascrizionalmente inattive, e che le regioni attivamente trascritte

mostrano una organizzazione della cromatina modificata e meno compattata detta eucromatina.

L’eterocromatina viene distinta in due tipi. L’eterocromatina costitutiva contiene sequenze specifiche che

non hanno funzione codificante. Un esempio tipico sono i DNA satelliti che si trovano nelle regioni

centromeriche. L’eterocromatina facoltativa, invece, si forma su regioni che possono differire da una linea

cellulare a un’altra. Un esempio riguarda l’inattivazione di uno dei cromosomi X nel sesso femminile dei

mammiferi. L’inattivazione genica legata alla formazione di eterocromatina è ereditabile dalle cellule figlie.

Questo fenomeno prende il nome di eredità epigenetica, in quanto non coinvolge mutazioni nel DNA.

Quindi, ad esempio, quando un gene viene trasferito, o per traslocazione cromosomica o per integrazione, in

una posizione adiacente a eterocromatina, può diventare inattivo come risultato della nuova posizione, il che

implica che è diventato eterocromatico. Questa inattivazione è il risultato, appunto, di un effetto epigenetico

e può essere diversa nelle singole cellule di un animale e portare al fenomeno della variegatura da effetto di

posizione, in cui cellule geneticamente identiche hanno fenotipi diversi. Ad esempio in Drosophila, si

osserva variegatura da effetto di posizione nell'occhio, in cui alcune regioni sono prive di colore mentre altre

sono rosse, in quanto il gene white è inattivo dall'eterocormatina adiacente in alcune cellule, mentre resta

attivo in altre cellule. La spiegazione di questo effetto sta nell'inattivazione genica, che si diffonde

dall'eterocromatina nella regione adiacente per una distanza variabile. In alcune cellule procede per una

distanza sufficiente a inattivare un gene circostante ma in altre non lo fa. Una volta inattivata  viene ad

essere trasmessa alle generazioni successive.

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112. Silenziamento genico Come abbiamo detto, la più comune forma di silenziamento è associata ad una conformazione della

cromatina che la rende più densa, detta eterocromatina. Quest'ultima è frequentemente associata a particolari

regioni del cromosoma come i telomeri e i centromeri. Si è visto, infatti, che se un gene viene

sperimentalmente spostato all'interno di queste regioni, questo gene viene generalmente spento. Nelle cellule

di mammifero è stimato che circa il 50% del genoma è in uno stato eterocromatico. Inoltre, abbiamo detto

che la regione eterocromatica può espandersi, ma questa sua espansione, come anche l’azione a distanza di

un enhancer, può essere bloccata dall’azione di una regione detta isolatore. Non è ancora ben chiaro il suo

modo d’azione.  In lievito, invece,  il silenziamento genico è tipico delle regioni telomeriche. La proteina

Rap1 si lega sulle sequenze telomeriche e recluta il complesso Sir (Sir2, Sir3, Sir4). Sir2 è una HDAC

(deacetilasi degli istoni) e il complesso Sir si lega preferenzialmente a nucleosomi ipoacetilati. In questo

modo la regione silenziata si espande nella regione subtelomerica, grazie appunto alla deacetilazione che è

un segnale di repressione della trascrizione.

Oltre a modificazioni degli istoni (come la trimetilazione del residuo H3K9) anche la metilazione del DNA è

correlata con l’inattivazione genica, probabilmente per il legame di proteine che riconoscono il DNA

metilato (MeCP1, MeCP2). Dal 2 al 7% delle citosine del DNA di cellule animali è metilato, specialmente

sul dinucleotide 5' meCG 3'. Si è visto che le regioni di eterocromatina sono ipermetilate, mentre le regioni

attivamente trascritte sono demetilate. Lo stato di metilazione può essere perpetuato da un enzima che

riconosca come substrato solo i siti emimetilati. In organismi come Drosophila il DNA non è metilato. Lo

stato di metilazione è controllato da tre tipi di enzimi: de novo metilasi è richiesta per metilare nuovi siti, la

metilasi di mantenimento per la perpetuazione , e la demetilasi per rimuovere gruppi metile in siti specifici.

Metilazione e demetilazione sono fenomeni tipici dell’embriogenesi. I gameti sono sostanzialmente

ipermetilati, ma spermatociti e oociti presentano patterns di metilazione differenti. Durante l’embriogenesi si

ha una sostanziale demetilazione, seguita da metilazione di regioni specifiche in correlazione con il

differenziamento cellulare. Per studiare la distribuzione dei gruppi metile si possono usare gli enzimi di

restrizione MspI e HpaII. Questi enzimi riconoscono la stessa sequenza (CCGG), ma MspI non taglia la

sequenza metilata. La metilazione del gene, in particolare della regione del promotore, porta

all’inattivazione. Nei mammiferi, invece, la regione al 5' di molti geni (circa il 60% nell’uomo) è

caratterizzata dalla presenza di una frequenza di dinucleotidi CG superiore alla media. Sono le isole CG,

lunghe 1-2 kb e con un contenuto G+C superiore al 60%. Tutti i geni espressi costitutivamente

(housekeeping) hanno isole CG demetilate (metà del totale delle isole).

Il fenomeno dell'imprinting genomico, porta all’espressione soltanto dell’allele materno oppure paterno. E’

un tipo di regolazione presente nei mammiferi (circa 80 geni) e nelle piante ed è collegato con i pattern di

metilazione specifici delle cellule germinali. L’imprinting è riprogrammato nella linea germinale ossia, lee

marcature di metilazione del DNA vengono cancellate nelle cellule germinali. I geni coinvolti sono poi

metilati de novo in uno dei gameti. Nell’uomo i geni H19 e Igf2 sono controllati dall’imprinting. Nel

cromosoma materno H19 è espresso, mentre Igf2 è inibito dal legame delle proteine CTFC all’isolatore. Nel

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cromosoma paterno Igf2 è espresso e H19 è represso a causa della metilazione dell’isolatore e del promotore

di H19. Un altro esempio di eredità epigenetica è l'inattivazione del cromosoma X nelle femmine di

mammifero, in cui è un intero cromosoma a venir inattivato in seguito alla formazione di una struttura di

eterocromatina. L’inattivazione del cromosoma X è regolata dall’attività di una regione, situata sullo stesso

cromosoma X, chiamata Xic (X-inactivation center). Vari passaggi sono implicati (conteggio degli X, scelta,

inizio del silenziamento, formazione e mantenimento della struttura repressa) e coinvolgono diversi prodotti

genici e l’instaurazione di diverse caratteristiche tipiche dell’eterocromatina. Il prodotto più importante della

regione Xic è Xist, un lungo RNA non codificante di 17 kb. Prima dell’inizio dell’inattivazione Xist è

codificato a bassi livelli da entrambi gli X. Quindi la trascrizione di Xist del cromosoma che verrà inattivato

aumenta molto, mentre viene represso il gene del cromosoma X che rimarrà attivo. Aumenta anche la

stabilità dello Xist espresso, che forma una copertura del cromosoma inattivato. La struttura complessiva di

Xist è ben conservata tra le varie specie. In particolare, l’esone 4 forma una caratteristica struttura a forcina.

La stabilità e l’espressione di Xist è regolata dal gene Tsix, che produce un RNA antisenso rispetto a Xist.

Tsix è represso sul cromosoma X inattivato e espresso sul cromosoma X attivo, in maniera inversa rispetto a

Xist. La sintesi di Xist non è necessaria per il mantenimento della struttura repressa, che prevede la

deacetilazione degli istoni, la metilazione del DNA e la presenza massiccia di macroH2A, una variante

dell’istone H2A. Il reclutamento delle altre componenti che contribuiscono alla formazione della struttura

eterocromatica è probabilmente mediato da Xist. Oltre a deacetilazione degli istoni e metilazione del DNA,

in una fase precoce avviene la metilazione della Lisina K9 dell’istone H3.

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113. Silenziamento genico post trascrizionale - interferenza

dell'RNA - e miRNAPer anni i biologi molecolari hanno usato RNA antisenso per inibire selettivamente l'espressione genica in

cellule viventi. All'inizio, la logica era che l'RNA antisenso, complementare all'mRNA, si appaiasse all'RNA

per inibire la traduzione. La strategia solitamente funziona, ma la logica era fallace. Nel 1995, infatti, alcuni

scienziati stabilirono che l'iniezione di RNA di senso nelle cellule funzionava altrettanto bene di quella di

RNA antisenso nel bloccare l'espressione di un particolare gene. Poi nel 1998, Andrew Fire e i suoi colleghi

mostrarono che RNA a doppio filamento (dsRNA) funzionava ancora meglio sia dell'RNA di senso che di

quello antisenso. Infatti, la ragione principale per cui gli RNA di senso e di antisenso funzionavano sembra

essere che essi erano contaminati da (o producessero) piccole quantità di dsRNA, e che fosse il dsRNA, in

realtà, a bloccare l'espressione genica. In più, i biologi molecolari cominciarono a notare che l'inserzione di

transgeni in vari organismi induceva, a volte, effetti contrari a quelli desiderati. Invece di attivare il

transgene, gli organismi spesso disattivavano non solo il transgene, ma anche la copia cellulare normale del

gene. Questo fenomeno fu chiamato con diversi nomi: cosoppressione e silenziamento genico post

trascrizionale (PTGS) nelle piante, interferenza dell'RNA (RNA interference, RNAi)  negli animali. Come

sappiamo gli RNA eucariotici si dividono in: coding RNAs, che vanno ad essere processati per la

produzione di proteine (2% degli RNA totali) e da non-coding RNAs, che invece non codificano per

proteine ma sono coinvolti in molti processi come lo splicing (98% degli RNA totali).  Quest'ultima classe

può essere ulteriormente suddivisa in large e small RNA che si differenziano a seconda del numero di basi.

Nella classe degli small RNA fanno parte due RNA importanti definiti: siRNA e miRNA, che riescono a

riconoscere la loro sequenza bersaglio attraverso complementarietà. Tutti gli siRNA e i miRNA delle piante,

essendo molto piccoli 20-25 nt, vengono associati ad un complesso proteico detto RISC  che ne evita la

degradazione. Successivamente riconoscono l'mRNA bersaglio e grazie a complementarietà si appaiano. A

questo punto si ha il taglio dell'mRNA stesso che risulterà instabile e quindi verrà degradato. In questo modo

i siRNA e miRNA, delle piante, impediscono l'espressione di un particolare gene grazie alla degradazione

dell'mRNA prodotto.  I miRNa nell'uomo, invece, che sono protetti dalla degradazione dalla proteine

miRNP, non si appaiano in maniera perfettamente complementare con l'mRNA bersaglio e quindi non si ha

il taglio e la degradazione dell'mRNA stesso ma solo il suo silenziamento, bloccando la traduzione. Quindi i

due meccanismi saranno distinguibili a seconda se la degradazione dell'mRNA è avvenuta oppure no.

Invece, i rasiRNA, appartenenti sempre al gruppo degli small RNA, risultano complementari a regioni del

promotore e permettono il reclutamento di enzimi che modificano la cromatina in maniera tale da silenziare

il gene.  Come dicevamo, l'RNA interference è un novo meccanismo di regolazione dell’espressione genica

che regola i livelli di un trascritto mediante : soppressione trascrizionale (trascriptional gene silencing, TGS)

o degradazione dell’RNA mediante un processo sequenza specifico (post trascriptional gene silencing

PTGS/RNA interference (RNAi).  Le osservazioni sperimentali furono primariamente riportate per il mondo

vegetale e successivamente eventi di RNAi furono descritti in quasi tutti gli organismi eucariotici (protozoi,

Drosophyla, nematodi, topi e linee cellulari umane). Intorno agli anni '80, alcuni scienziati volendo generare

begonie con colori vivaci diversi inniettarono più copie geniche di pigmento. Essi videro, però, che

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Page 173: biologia-molecolare

all'aumentare dei geni che inserivano, le begonie reagivano diventando o sempre più bianche o sempre più

viola o bianche e viola. All'inizio pensarono ad un errore nelle metodologie utilizzate ma successivamente

scoprirono che l'RNA del transgene da loro iniettato non corrispondeva all'mRNA ricavato dalle piante ma

era una “banda” molto corta, quindi pensarono fosse avvenuta degradazione. Quest'ultima ipotesi della

degradazione però venne subito accantonata in quanto gli RNA trovati erano sì molto corti, circa 25 nt, ma

nello stesso tempo molto stabili. Allora estrassero questo nuovo RNA e lo sequenziarono e notarono che

questo particolare RNA era in grado di inibire sia il transgene che il gene endogeno. Contemporaneamente,

a questo esperimento si vide anche che piante transgeniche che avevano incorporato il genoma del virus

PVY, se sottoposta a nuova infezione non morivano. Successivamente si scoprì che questo virus a RNA

produceva RNA capace di appaiarsi con l'RNA prodotto dalla stessa pianta.

Inoltre, Fire e i suoi colleghi mostrarono che iniettando le gonadi di C. elegans con dsRNA (il dsRNA

iniziatore, o trigger) si causavano RNAi negli embrioni risultanti. Inoltre, essi rilevarono la perdita

dell'mRNA (l'mRNa bersaglio) negli embrioni sottoposti a RNAi. La stessa cosa si osservò negli anni

successivi sempre in C. elegans, dove quando veniva introdotto un dsRNA la proteina GFP non si

esprimeva, e in Neurospora Crassa  dove si notava un fenomeno detto quelling (cambia solo il nome ma il

meccanismo è lo stesso), dove l’introduzione di un transgene causa il silenziamento del gene omologo

endogeno albino-1 (al-1), codificante per una proteina della via biosintetica dei carotenoidi. Quindi, il

transgene causa la soppressione di entrambi i geni esogeno ed

endogeno. Comunque, in maniera più dettagliata, possiamo dire che i siRNA sono elementi a doppio

filamento di circa 19 nt e non appaiati per tutta la loro lunghezza in quanto presentano il filamento 3'

sporgente. Il meccanismo dell'RNAi, inizia con il taglio da parte dell'enzima Dicer del dsRNA, che come

sappiamo può derivare da un genoma virale oppure da un transgene, in piccoli frammenti di 22 nt. Il taglio

operato rilascia piccoli frammenti di siRNA che hanno estremità sfalsate. Una volta prodotti, questi pezzi di

RNA vengono accorpati nel complesso RISC, in cui soltanto uno dei due filamenti viene conservato, mentre

l'altro degradato. A questo punto, il filamento che trova complementarietà con l'mRNA indurrà la

degradazione dello stesso mRNA.

La proteina Dicer presenta un dominio PAZ che riconosce l'estremità del dsRNA che si posiziona in

sequenze ben precise dove avviene il taglio catalitico. Il dominio PAZ è stato riscontrato anche nelle

proteine AGO che formano un complesso stabile per proteggere il dsRNA dalla degradazione. Quindi questo

dominio è utile sia per il taglio che per il rivestimento. Nelle piante è presente anche la proteina RdRP, una

polimerasi RNA dipendente che riconosce RNA e trascrive RNA. Nei mammiferi, invece, non abbiamo il

silenziamento dovuto a dsRNA, in quanto le cellule sono in grado di riconoscerlo e considerarlo estraneo

inducendo la via dell'apoptosi. Se questi dsRNA, però, risultano molto piccoli, su sequenze specifiche

nell'uomo può avvenire il silenziamento di un solo mRNA senza indurre morte cellulare.

Il primo microRNA fu scoperto nel 1993 in C. elegans e solo nel 2003 si scoprirono anche nei mammiferi.

In elegans si vide che questi miRNA erano coinvolti nella regolazione dello sviluppo. Infatti, furono trovati

degli stadi larvali mutanti che non erano in grado di andare aventi nello sviluppo. Per questo, attraverso un

test di complementazione, trovarono che vi era appunto complementazione nel gene lin-4 ma non riuscirono

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Page 174: biologia-molecolare

a trovare la proteina codificata. Pensarono dunque come intermediario, non più ad una proteina ma ad un

RNA, per questo con effettuarono un Northen blot, trovando corte sequenze di RNA. Successivamente, si

scoprì che questo RNA estratto faceva si che l'mRNA di lin-14 e lin-28 non venisse degradato e che quindi

lo sviluppo non potesse procedere. Quindi si scopri che i miRNA si legano a mRNA specifici in maniera

parziale, inducendo silenziamento genico. L'espressione dei miRNA nell'uomo, invece, è sito-specifica

quindi non tutti gli stessi tessuti esprimono gli stessi miRNA. Comunque, tutti i microRNA che vengono

prodotti, vengono trascritti dalla RNA polimerasi II nel nucleo formando uno stem-loop. Questo viene

riconosciuto da due proteine: DROSHA e DGCR8. La prima funziona come Dicer, però non essendoci le

estremità sfalsate, vi è bisogno di DGCR8 per crearle. Questo pre-miRNA viene quindi esportato nel

citoplasma con le estremità 3' sfalsate e quindi viene tagliato da DROSHA ogni 22 nt. Successivamente

come per il siRNA un filamento si lega al complesso RISC proteggendolo. A questo punto il miRNA, al

contrario del siRNA, si lega parzialmente all'mRNA producendo solo silenziamento genico, ma non

degradazione. Comunque, di solito i miRNA si legano al 3' ed esistono quattro modelli per il silenziamento:

1) inibendo l'attacco del ribosoma; 2) l'inizio può avvenire ma non l'allungamento; 3) il miRNA favorisce

l'assemblaggio di enzimi di degradazione dell'mRNA; 4) il mRNA favorisce la degradazione del polipeptide

nascente.

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Page 175: biologia-molecolare

Indice

1. La visione mendeliana del mondo 1

2. La genetica della trasmissione 2

3. Miescher: l'acido desossiribonucleico 5

4. Avery, Griffith e altri: il Dna può portare la specificità genetica 6

5. Garrod: l'azione dei geni 8

6. La struttura del Dna 9

7. Le ipotesi sulla copia del Dna 10

8. La sequenza dei componenti nucleotidici del Dna 12

9. Il dogma centrale nello studio del Dna 13

10. L'importanza dei legami deboli e forti nelle interazioni fra molecole 14

11. Caratteristiche dei legami chimici 15

12. Il concetto di energia libera 16

13. I legami deboli nei sistemi biologici 17

14. L'importanza dei legami forti nei sistemi biologici 19

15. I legami deboli e forti determinano la struttura delle macromolecola: le proteine 20

16. Caratteristiche strutturali del DNA 21

17. I bordi del DNA 22

18. Forme A e B del Dna 23

19. La replicazione del DNA 24

20. La topologia del DNA 25

21. La struttura dell' RNA 28

22. Metodi di solubilizzazione 29

23. Separazione di proteine 31

24. Cromatografia a scambio ionico 32

25. Cromatografia su carta 33

26. Cromatografia per gel filtrazione 34

27. Cromatografia per affinità 35

28. Elettroforesi 36

29. Elettroforesi su carta 37

30. Gel elettroforesi 38

31. Sds-Page 39

32. Gli enzimi di restrizione 40

33. Clonaggio del DNA 42

Page 176: biologia-molecolare

34. I fagi per lo studio del DNA 43

35. Mediante clonaggio si creano librerie di molecole di Dna 45

36. L'ibridazione - southern, northern e western blot 46

37. Cromosomi, cromatina e nucleosoma 48

38. La sequenza del cromosoma e la diversità 49

39. La mitosi 51

40. La meiosi 53

41. Il nucleosoma 55

42. Strutture di ordine superiore della cromatina 58

43. Regolazione della struttura della cromatina 59

44. La replicazione del DNA 61

45. La chimica della sintesi del DNA 62

46. Il meccanismo d'azione della DNA polimerasi 63

47. La forca replicativa 65

48. La specializzazione delle DNA polimerasi 67

49. La sintesi del DNA a livello della forca replicativa 68

50. La fase di inizio della replicazione 69

51. Selezione delle origini e attivazione operata dell'iniziatore 70

52. La terminazione della replicazione 72

53. La mutabilità e la riparazione del DNA 73

54. Gli errori di replicazione e la loro riparazione 74

55. I danni al DNA 76

56. La riparazione del DNA danneggiato 78

57. Riparazione diretta del danno al DNA 79

58. La riparazione per escissione di basi 80

59. La riparazione per escissione di nucleotidi 81

60. Riparazione del DNA tramite ricombinazione 83

61. La ricombinazione omologa a livello molecolare 84

62. I diversi modelli per la ricombinazione omologa 85

63. Gli apparati proteici per la ricombinazione omologa 87

64. La ricombinazione omologa negli eucarioti 89

65. Il cambio del gruppo di compatibilità 91

66. La ricombinazione sito-specifica e la trasposizione 93

67. La ricombinazione conservativa sito-specifica 94

68. Funzioni biologiche della ricombinazione sito-specifica 96

69. La trasposizione di DNA 98

Page 177: biologia-molecolare

70. La trasposizione a DNA mediante meccanismo replicativo e Tn10 100

71. I retrotrasposoni simili ai virus 102

72. I retrotrasposoni poli-a assomigliano ai geni 103

73. Footprinting con la DNasi I 104

74. I meccanismi della trascrizione del DNA 107

75. Le RNA polimerasi e il ciclo della trascrizione 108

76. Il ciclo della trascrizione nei batteri 110

77. La trascrizione negli eucarioti 114

78. Lo splicing DELL'RNA 118

79. La chimica dello splicing dell'RNA 119

80. Il macchinario dello spliceosoma e le vie dello splicing 120

81. Lo splicing alternativo 122

82. Il rimescolamento degli esoni 123

83. L'editing dell'RNA 124

84. Sintesi proteica: la traduzione 125

85. Funzioni dell'RNA messaggero 126

86. RNA transfer 127

87. Il legame degli amminoacidi al tRNA 128

88. Il ribosoma 130

89. Sintesi proteica: inizio della traduzione 132

90. Sintesi proteica: allungamento durante la traduzione 134

91. Sintesi proteica: conclusione della traduzione 136

92. Il codice genetico 137

93. I tRNA contengono basi modificate 138

94. Esistono alterazioni sporadiche del codice universale 139

95. Mutazioni soppressore possono trovarsi nello stesso gene o in geni diversi 140

96. I principi della regolazione genica trascrizionale 141

97. La regolazione dell'inizio di trascrizione: alcuni esempi nei batteri 143

98. Esempi di regolazione genica in passaggi successivi all'inizio di trascrizione 148

99. La terminazione dei geni trp di b. subtilis e' controllata dal triptofano e dal tRNATrp 152

100. L'operone del tTRP di e- coli e' controllato da attenuazione 153

101. La regolazione genica negli eucarioti 154

102. Diverse tipologie di fattori di trascrizione 155

103. Vari motivi di legami del DNA 157

104. Reclutamento di complessi proteici indotto dagli attivatori trascrizionali eucariotici 159

105. Il controllo della struttura della cromatina: attivazione trascrizionale 160

Page 178: biologia-molecolare

106. Tecniche di studio dei geni e della conformazione della cromatina 161

107. L'eterocromatina, inattivazione trascrizionale, dipende da interazioni con gli istoni 163

108. Il rimodellamento della cromatina 164

109. Varianti degli istoni 165

110. I siti ipersensibili alla dnasi i cambiano la struttura della cromatina, la metodologia 166

111. Eterocromatina, eucromatina ed eredità epigenetica 168

112. Silenziamento genico 169

113. Silenziamento genico post trascrizionale - interferenza dell'RNA - e miRNA 171