Biologia e gestione delle specie problematiche: il cinghiale · nella razze domestiche di maiali,...

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Biologia Ambientale, 22 (n. 2, 2008) 73 Informazione&Documentazione Biologia e gestione delle specie problematiche: il cinghiale Riccardo Carradori Biologo Faunista, Pistoia; [email protected] Il cinghiale (Sus scrofa), mam- mifero artiodattilo appartenente alla famiglia dei suidi, é il progeni- tore dei maiali domestici; entrambi hanno corpo robusto, collo corto e zampe sottili. Il cinghiale ha corpo massic- cio e di grandi dimensioni, il treno anteriore più sviluppato del poste- riore; ha lunghezza totale di circa 100-150 cm, di cui 12-20 cm rap- presentati dalla coda; l’altezza al garrese è dai 60 ai 90 cm. Le di- mensioni variano secondo la sotto- specie, l’età e le disponibilità ali- mentari: il peso va dai 45 ai 190 kg nel maschio e dai 30 ai 150 kg nelle femmine. Alcune sottospecie possono raggiungere anche i 350 kg di peso. La pelliccia è folta e setolosa di colore bruno nerastro; la testa è grande, a forma di cuneo culmi- nante con il caratteristico grifo lun- go e conico, mai compresso come nella razze domestiche di maiali, che hanno muso più corto. La pel- le è spessa e poco vascolarizzata; in tale modo è relativamente protetto da ferite e infezioni che potrebbe provocarsi nelle macchie più folte. I maschi adulti hanno zanne prominenti a sezione angolare: quelle della mandibola superiore sono ripiegate verso l’esterno e ver- so l’alto e si inseriscono interna- mente a contatto con quelle infe- riori, più lunghe e massicce, an- ch’esse incurvate verso l’alto. Le femmine hanno canini più ridotti. Le zanne lo aiutano, oltre che nel- lo scavo, anche nei combattimenti. I piccoli hanno una livrea percorsa da evidenti strisce longitudinali marroni e crema. Il cinghiale ha un regime ali- mentare vario, ma preferisce ali- menti ad elevato valore nutritivo. La dieta, sebbene onnivora, è sbi- lanciata verso i vegetali. Studi com- piuti sulle abitudini alimentari han- no dimostrato che semi, tuberi e radici rappresentano il 90% della dieta, mentre la parte proteica rap- presenta solo il 5% (prevalentemen- te anellidi e molluschi). È interes- sante notare come la dieta vari in relazione all’ambiente frequentato e alle disponibilità alimentari: in zona alpina il 61% della dieta è rappresentato da ghiande e casta- gne; in ambienti più mediterranei preferisce ghiande e olive. In tutti i casi, una parte rilevante della dieta è rappresentata dalle colture agra- rie come mais e uva (32%). L’unità fondamentale è costi- tuita dalla scrofa e dai piccoli del- l’anno e il gruppo così costituito ha una solida gerarchia di pascolo. Il maschio (olengo) conduce vita prevalentemente solitaria. All’epo- ca dei calori i maschi si avvicinano ai branchi formati dalle femmine e dai giovani maschi e creano un’area di influenza spartendosi le femmi- ne. Dopo l’accoppiamento segue la gestazione che dura 16-18 settima- ne. In vicinanza del parto la fem- mina scava una tana nel terreno che mimetizza con arbusti e vegeta- li. I piccoli nascono in febbraio- marzo, da 2 a 4, per arrivare fino Fig. 1. Femmina adulta di cinghiale (foto A. Grazzini).

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Biologia Ambientale, 22 (n. 2, 2008) 73

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Biologia e gestione delle specie problematiche: il cinghiale

Riccardo Carradori

Biologo Faunista, Pistoia; [email protected]

Il cinghiale (Sus scrofa), mam-mifero artiodattilo appartenentealla famiglia dei suidi, é il progeni-tore dei maiali domestici; entrambihanno corpo robusto, collo corto ezampe sottili.

Il cinghiale ha corpo massic-cio e di grandi dimensioni, il trenoanteriore più sviluppato del poste-riore; ha lunghezza totale di circa100-150 cm, di cui 12-20 cm rap-presentati dalla coda; l’altezza algarrese è dai 60 ai 90 cm. Le di-mensioni variano secondo la sotto-specie, l’età e le disponibilità ali-mentari: il peso va dai 45 ai 190 kgnel maschio e dai 30 ai 150 kgnelle femmine. Alcune sottospeciepossono raggiungere anche i 350kg di peso.

La pelliccia è folta e setolosadi colore bruno nerastro; la testa ègrande, a forma di cuneo culmi-nante con il caratteristico grifo lun-go e conico, mai compresso comenella razze domestiche di maiali,che hanno muso più corto. La pel-le è spessa e poco vascolarizzata; intale modo è relativamente protettoda ferite e infezioni che potrebbeprovocarsi nelle macchie più folte.

I maschi adulti hanno zanneprominenti a sezione angolare:quelle della mandibola superioresono ripiegate verso l’esterno e ver-so l’alto e si inseriscono interna-mente a contatto con quelle infe-riori, più lunghe e massicce, an-ch’esse incurvate verso l’alto. Lefemmine hanno canini più ridotti.Le zanne lo aiutano, oltre che nel-

lo scavo, anche nei combattimenti.I piccoli hanno una livrea percorsada evidenti strisce longitudinalimarroni e crema.

Il cinghiale ha un regime ali-mentare vario, ma preferisce ali-menti ad elevato valore nutritivo.La dieta, sebbene onnivora, è sbi-lanciata verso i vegetali. Studi com-piuti sulle abitudini alimentari han-no dimostrato che semi, tuberi eradici rappresentano il 90% delladieta, mentre la parte proteica rap-presenta solo il 5% (prevalentemen-te anellidi e molluschi). È interes-sante notare come la dieta vari inrelazione all’ambiente frequentatoe alle disponibilità alimentari: inzona alpina il 61% della dieta èrappresentato da ghiande e casta-gne; in ambienti più mediterranei

preferisce ghiande e olive. In tutti icasi, una parte rilevante della dietaè rappresentata dalle colture agra-rie come mais e uva (32%).

L’unità fondamentale è costi-tuita dalla scrofa e dai piccoli del-l’anno e il gruppo così costituitoha una solida gerarchia di pascolo.Il maschio (olengo) conduce vitaprevalentemente solitaria. All’epo-ca dei calori i maschi si avvicinanoai branchi formati dalle femmine edai giovani maschi e creano un’areadi influenza spartendosi le femmi-ne. Dopo l’accoppiamento segue lagestazione che dura 16-18 settima-ne. In vicinanza del parto la fem-mina scava una tana nel terrenoche mimetizza con arbusti e vegeta-li. I piccoli nascono in febbraio-marzo, da 2 a 4, per arrivare fino

Fig. 1. Femmina adulta di cinghiale (foto A. Grazzini).

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ad 8 negli anni migliori. Per circadue settimane femmina e cucciolirimangono nel covo. L’allattamen-to dura fino ai 3 mesi; superato taleperiodo i cinghialetti perdono ilcaratteristico pelo striato per rag-giungere l’emancipazione comple-ta alla primavera successiva. Lamaturità sessuale è raggiunta dopocirca 10 mesi. Dopo 1-2 anni i ma-schi si allontanano dalle madri eraggiungono l’età adulta; arrivanoalla riproduzione verso i 4 anni. Lavita in natura può durare dai 15 ai20 anni.

Il cinghiale è presente nellaregione mediterranea precedente-mente alla comparsa dell’uomo. Èstato grazie a un lungo processo didomesticazione che sono derivatele varie razze di maiale domestico.Allo stato selvatico vive nei boschidell’Europa centrale, delle regionimediterranee e dell’Asia meridio-nale fino all’Indonesia. È stato im-portato dagli spagnoli nell’Americasettentrionale alla metà del Cin-quecento e si è naturalizzato invaste aree degli Stati Uniti.

La sistematica a livello dellesottospecie è ancora incerta, com-plicata dalle ibridazioni delle po-polazioni selvatiche con specie do-mestiche e dall’incrocio con formeevolutesi in zone geografiche diver-se. Si indicano 16 sottospecie, riu-nite in quattro raggruppamenti subase geografica (occidentale, india-na, orientale, indonesiana).

In Italia la forma autoctonasi è estinta prima che potesse esseretipizzata. I ricercatori ritengono chela popolazione di Sus scrofa meri-dionalis, presente in maremma, siaidentica a quelle presenti nella re-stante parte della penisola. In Sar-degna Sus scrofa majori presentacaratteristiche morfologiche e ge-netiche peculiari, facendo suppor-re un’origine derivata da popola-zioni domestiche anticamente in-selvatichite. Le popolazioni italia-

ne mostrano dimensioni e peso in-feriori rispetto a quelle centro euro-pee e balcaniche.

Il cinghiale frequenta areeintensamente coltivate ed antropiz-zate, pianure, colline; si spinge sta-gionalmente a quote elevate fino araggiungere le praterie. Stagioniparticolarmente fredde con invernicaratterizzati da numerosi giornidi forte innevamento e la totalescomparsa di zone boscate da uti-lizzare come zone di rifugio, sonostate individuate come fattori limi-tanti. L’habitat preferito è rappre-sentato da boschi di querce alter-nati a cespuglieti e prati pascolicaratterizzati da sufficiente presen-za d’acqua.

È attivo all’alba e al tardopomeriggio; in aree caratterizzateda elevato disturbo può avere abi-tudini notturne. Le femmine sonomolto fedeli ad alcune aree com-piendo spostamenti ridotti con rag-gio di circa 1 km. I maschi adulti esub adulti sono più mobili, riu-scendo a percorrere fino a 15 km inuna sola notte. Tuttavia si ritieneche la stragrande maggioranza de-gli spostamenti di una popolazionesia compresa all’interno di un ter-ritorio che non eccede i 70.000 ha.Gli home range degli animali varia-no sulla base del sesso e dell’età:220 ha per le femmine adulte,10.000 ha per i maschi adulti. I subadulti in fase dispersiva dimostra-no di frequentare territori di mag-gior estensione. La pratica dellacaccia può influire su questi com-portamenti spingendo gli animaliad ampliare il territorio frequenta-to. Contrazioni dell’home range siriscontrano nel caso di assenza dipredatori naturali e di pressionevenatoria. In tali, rari, casi le di-mensioni medie sono risultate di-pendere dalla disponibilità alimen-tare e dalla densità della popola-zione.

In Europa si stima una densi-

tà media massima di 5 capi per 100ha. Nell’area mediterranea si puòarrivare fino a 39 capi per 100 ha(tenuta di Castelporziano).

La dinamica delle popolazio-ni è influenzata dai fattori climati-ci e, con essi, dalle disponibilitàalimentari; l’incremento utile an-nuo può variare dal 50% fino al200% della popolazione invernale.

In Italia il cinghiale ha subi-to alcune estinzioni locali tra ilXVII e il XIX a causa della caccia.All’inizio del ’900 ci fu una ricolo-nizzazione di individui provenientidalla Francia in Liguria e Piemon-te. Nel corso della seconda guerramondiale le popolazioni adriatichesi estinsero. Dal secondo dopoguer-ra si è verificata una forte espansio-ne della popolazione che si è stabi-lizzata su un numero di capi stima-to tra 300.000 e 500.000. I motivi ditale affermazione demografica pos-sono essere ricondotti al forte tassodi riproduzione, alle condizioni cli-matiche divenute progressivamentepiù miti e, principalmente, all’atti-vità dell’uomo. Complice l’abban-dono di vaste aree di montagna e lariduzione dell’agricoltura, la spe-cie ha potuto rioccupare vaste por-zioni di territorio dalle quali risul-tava assente. Un’ulteriore spinta èstata rappresentata dalla massiccialiberazione di animali iniziata dal-la seconda metà del ’900. Questoha creato e crea numerosi proble-mi di incrocio e ibridazione frasottospecie diverse e, addirittura,forme domestiche.

Nella metà degli anni settan-ta si fece largo l’idea di sfruttare learee agricole e boscate marginaliper la produzione di selvaggina percarne. Fra le specie più idonee fu-rono individuati gli ungulati. Il cin-ghiale surclassò immediatamentetutte le altre specie grazie alla faci-lità e economicità di allevamento.Rapidamente si è creata una com-plessa rete di interessi con aziende

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faunistiche, cacce specializzate, tu-rismo venatorio, lavorazione e com-mercializzazione di prodotti tipici.Tuttavia quella stessa pubblicità cheha spinto molti agricoltori a tra-sformarsi in allevatori ha raramen-te insistito sui costi delle attività diprevenzione e rifusione dei dannicausati dal cinghiale.

Alla data attuale il cinghialeè assente solo in alcune zone dipianura e di media montagna.

L’Istituto Nazionale per laFauna Selvatica (INFS, oggi ISPRA)lo indica presente in 90 delle 103province italiane; in 7 di esse lapresenza è sporadica e in 18 è di-scontinua, ma in 65 la popolazio-ne è diffusa e costante. Ancora mol-to resta da sapere circa l’ammonta-re dei prelievi annuali, la strutturaper sesso e classi di età. Nel 2000l’Istituto cercò di organizzare unostudio coinvolgendo tutte le provin-ce italiane. I dati ottenuti (purtrop-po si riferiscono solo al 40% delleamministrazioni interpellate) indi-cano che, per le 30 province chehanno fornito i dati di abbattimen-to, si è arrivati a 30.000 capi, 6.000dei quali nel corso di operazioni dicontrollo numerico eseguite in 21province. La pratica più utilizzataè risultata la braccata, in 7 è statautilizzata la girata; l’abbattimentoda altane con carabina è praticatoin 18 province mentre l’utilizzo dichiusini è limitato a 8. L’entitàdegli abbattimenti è stata superioreai cento capi solo in sette province.

Dall’analisi delle cifre eroga-te per il risarcimento dei danni sem-bra che l’esborso complessivo si ag-giri intorno ai 2.500.000 euro. Leattività di prevenzione del dannosono esigue e limitate a poche re-gioni per un importo complessivodi 360.000 euro. In sei provincesono state eseguite immissioni dicinghiali senza attività di preven-zione e/o controllo. Il costo mediodi ogni cinghiale abbattuto, quan-

tificato in somme spese per risarci-mento e prevenzione, è di 99 euro.

Il cinghiale fa parte della fau-na selvatica oggetto di tutela, mane è permesso l’abbattimento ai finidell’esercizio venatorio nel periodocompreso tra il 1° ottobre e il 31gennaio (art. 2 e 18 L. 11/02/92 N.157). Qualora si renda responsabi-le di danni alle coltivazioni o deter-mini problemi di carattere sanita-rio, può essere sottoposto a piani dicontrollo numerico autorizzati dal-le regioni o dalle province (art. 19);i piani di controllo differiscono dal-l’esercizio venatorio, variando se-condo tempi e modalità di prelievoe devono essere attuati da persona-le autorizzato. I piani faunistici ve-natori indicano i criteri da utilizza-re per la determinazione dei dannie attribuiscono agli Ambiti territo-riali di caccia (ATC) le spese per laprevenzione e la rifusione degli stes-si. Alcune regioni hanno provvedu-to a vietare l’allevamento del cin-ghiale a scopo di ripopolamento ela sua immissione sul territorio.

Alla presenza di cinghiali èassociato un rapporto fortementeconflittuale con l’agricoltura, do-vuto al fatto che gli animali utiliz-zano il muso come un aratro perestrarre tuberi e radici dal suolo ein tale modo possono creare gravidanni alle colture agrarie e fore-stali. Attualmente è una delle spe-cie maggiormente problematiche dalpunto di vista sanitario. Questo èdovuto in primo luogo alla suaampia diffusione e, inoltre, perchécinghiale e maiale domestico sonoesposti alle stesse malattie. I proble-mi sanitari gravano non sulle po-polazioni selvatiche, ma sugli effet-ti economici del maiale allevato.Le infezioni alle quali è esposto ilcinghiale sono: la peste suina clas-sica, la peste suina africana, il mor-bo di Aujesky. Secondo il WTO,l’organizzazione mondiale per ilcommercio, le prime due infezioni

rientrano fra quelle ricomprese nel-la lista A, la terza è soggetta a pianidi controllo ed eradicazione proget-tati in vari paesi dell’Unione Euro-pea. Secondo tali regolamenti pos-sono essere stabiliti il blocco, l’ab-battimento e la distruzione deglianimali infetti ed è fatto divieto difar circolare quelli sani al di fuoridel territorio regionale. In tale modosi potrebbe evitare un ingente dan-no agli allevamenti suini presentiin molte regioni dell’alto Adriatico.

Per prevenire la diffusionedella peste suina classica il D.M.427/81 obbliga gli allevatori di cin-ghiale a munire i capi di contrasse-gno individuale e a dotarsi di unregistro di carico e scarico deglianimali. Nel 2001 un’ordinanzaministeriale indica nell’INFS, nel-le regioni e nel centro di referenzadella peste suina i responsabili delmonitoraggio sui cinghiali selvaticie definisce le modalità di attuazio-ne del piano di eradicazione e sor-veglianza della malattia vescicola-re e della peste suina classica.

Le condizioni ambientali esocio-economiche che caratterizza-no oggi il nostro paese fanno rite-nere del tutto irrealistica l’ipotesiche si possa ricreare una condizio-ne faunistica che veda gli Ungula-ti, ed in particolare il cinghiale,assenti o limitati a poche popola-zioni di piccole dimensioni. Occor-re, allora, puntare ad una riduzio-ne della popolazione ad un livellosocialmente accettabile.

LO STUDIO DELLAPOPOLAZIONE

La conoscenza della popola-zione è indispensabile quando oc-corre programmarne la gestione.Allo studio e alla conoscenza delterritorio e delle esigenze biologi-che di una specie occorre affianca-re altre informazioni relative alladistribuzione, consistenza, struttu-ra, dinamica, stato sanitario. Le

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modalità per ottenere tali dati sonomolteplici; per esempio l’analisi deidati provenienti dalle attività di cat-tura, oppure i censimenti. È impor-tante dedicare grande attenzionealla qualità del dato. Troppo spessosi utilizzano dati raccolti secondomodalità e tecniche non adeguate,non omogenei per periodi o aree diraccolta, con differenze notevoli fragli operatori per capacità di ricono-scimento delle classi di età o dellecondizioni sanitarie dell’animale.Per tali motivi è necessario partiredalla formazione degli operatorifacendo in modo che tutti acquisi-scano capacità di individuazione ericonoscimento secondo un gradodi accuratezza e precisione il piùpossibile omogeneo. Sono richiestidati comparabili sia spazialmenteche temporalmente e, di questi, sideve essere in grado di valutarel’errore medio. Per tale motivo èopportuno ripetere, periodicamen-te, incontri di formazione durante iquali eseguire test circolari appli-cando un modello di validazionedei dati usato regolarmente nei la-boratori.

Si è soliti partire dalla stimadella consistenza della popolazio-ne. Le notizie fornite dall’attivitàvenatoria tal quale non sono moltoutili perché dovrebbero essere col-legate al territorio, all’impegno pro-fuso, alle capacità dei cacciatori. Ilsapere, infatti, che in un dato am-bito sono stati abbattuti 1000 capisenza poterlo riferire ad aree terri-toriali precise, collegarlo alla tipo-logia vegetazionale o all’uso delsuolo, al numero di giornate di cac-cia e di operatori coinvolti, nonfornisce informazioni molto utiliper la gestione. L’ideale sarebbe rea-lizzare, prima dell’apertura dellastagione venatoria, una serie di cen-simenti su aree di estensione suffi-ciente e con un uso del suolo rap-presentativo del territorio. I dati rac-colti nelle aree campione moltipli-

cati per il territorio totale forniran-no una buona stima delle consi-stenze numeriche della popolazio-ne. L’ATC Bologna 3 propone uninteressante metodo di stima che sibasa sull’analisi dei dati provenien-ti dalla prima braccata effettuatada ciascuna delle squadre di cac-cia. In tale modo si riduce la possi-bilità dei doppi conteggi (general-mente tutte le squadre effettuanola prima caccia all’apertura), le con-sistenze sono messe in parallelo conl’uso del suolo e i dati ottenutisono estesi a tutto l’ambito territo-riale. Le informazioni registrate de-vono comprendere, oltre agli ani-mali abbattuti, quelli feriti e quelliavvistati. Questi dati, giova ripeter-lo, forniscono una stima a posterio-ri delle consistenze; per questo ènecessario farli seguire da una se-rie di calcoli che tengano contodella fertilità della popolazione perottenere una stima degli esemplariprevisti per la successiva stagione.

La conoscenza della suddivi-sione fra i sessi e per classi di età èdi fondamentale importanza. Nelcaso di una popolazione ben equi-librata e non cacciata, il rapportofra i sessi è paritario (1:1); primadei parti gli individui nel primoanno di vita rappresentano circa il50% della popolazione, gli animalifra 1 e 14 anni costituiscono larestante parte. L’attività venatoriainfluenza pesantemente la struttu-ra stravolgendo il naturale rappor-to fra le età. In relazione al sesso eall’età alcuni animali possono es-sere più facilmente contattabili dialtri; l’operatore può scegliere dinon eseguire tiri su femmine gravi-de o sui piccoli, preferendo indivi-dui adulti maschi. In tale modo lepopolazioni cacciate assumono unastruttura con individui la cui etàmedia non supera i due anni e conpochi animali che superano i cin-que.

L’ideale sarebbe ottenere una

struttura della popolazione piùmatura. A parità di consistenza, in-fatti, questa dimostra una maggio-re produttività di una giovane earreca un minore impatto alle col-ture agrarie.

Lo stato della tavola dentariapuò essere utilizzato per stimarel’età degli esemplari. Poiché la den-tatura completa si sviluppa a 36mesi è relativamente facile stimarel’età di un individuo. A dentaturacompleta si può ancora tentare unastima valutandone il grado di usu-ra. Tuttavia, poiché tale dato è for-temente influenzato dalla dieta edalla resistenza dello smalto di quel-l’individuo, si possono ottenere ri-sultati poco attendibili. Alcuni stu-di si sono indirizzati sulla valuta-zione del peso del cristallino. Sa-pendo che il cristallino aumenta dipeso durante tutta la vita dell’indi-viduo, dovrebbe essere facile calco-larne l’età. Tuttavia osservazioniaccurate hanno rilevato che, tra-scorsi i due anni dalla nascita, l’au-mento di peso cala sensibilmenterendendo difficile la stima. Si con-siglia quindi di ricorrere, quandopossibile, all’analisi delle mandi-bole. Quest’ultimo metodo non èscevro da difficoltà: da individuo aindividuo, infatti, può esserci unavariazione di tempo nel cambio del-la dentatura da latte a quella defi-nitiva. La differenza può andare daun minimo di tre mesi (per il Imolare) fino a nove mesi (III mola-re); per tale motivo si preferisce sud-dividere gli esemplari in classi dietà che comprendano più mesi.

Per quanto riguarda la natu-rale tendenza degli animali al no-madismo è prassi comune ugua-gliare il numero degli individuiemigrati con quelli immigrati. Oc-corre valutare le immigrazioni solose il territorio è adiacente ad areecon divieto di caccia. L’attività ve-natoria è la maggior causa di mor-talità nella popolazione di cinghia-

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le; i predatori naturali ed eventualiinverni rigidi agiscono solo in mi-sura limitata nel contenimento del-la specie.

Dall’esame delle ovaie e del-l’utero è possibile conoscere il tas-so di fertilità; mettendo in relazio-ne l’età, il peso e le condizionifisiche della scrofa si può calcolarela fecondità (numero di feti perfemmina) in relazione all’età. Intale modo si arriva a stimare l’ac-crescimento potenziale della popo-lazione. Poiché il periodo riprodut-tivo del cinghiale si estende prati-camente a tutto l’anno, con unastasi fra ottobre e novembre, sareb-be un errore grave affidarsi ai datiprovenienti esclusivamente dall’at-tività venatoria; occorre quindi pro-seguire la campagna di campiona-mento anche su esemplari abbattu-ti al di fuori della stagione di cac-cia.

Acquisire conoscenze sullo sta-to di salute e fisico della popolazio-ne riveste grande importanza. Pertale motivo è opportuno registrareuna serie di parametri fisici e an-notare eventuali patologie. Di soli-to si raccomanda di misurare ilpeso pieno o il peso eviscerato (sen-za organi interni), la lunghezza to-tale (dalla punta del grifo alla basedella coda), la lunghezza del gar-retto (dallo zoccolo al calcagno).

I piani di prelievo devono ser-vire a condizionare la dinamicadella popolazione verso un equili-brio che soddisfi le esigenze di con-servazione della specie e quelle ve-natorie e minimizzi, nel frattempo,i danni arrecati all’agricoltura ealle altre componenti dell’ecosiste-ma. La già citata esperienza emilia-na ha previsto la suddivisione delterritorio in unità territoriali piùpiccole affidate a un gruppo di per-sone che divengono gli attori dellagestione della popolazione. Nontutte le aree oggetto di gestione sonorisultate vocate. Si passa da zone

dove la densità ottimale è 0 capi(non vocate) a aree vocate, nellequali si ipotizzano 5 capi per etta-ro. Perciò le aree affidate alle squa-dre non saranno tutte della medesi-ma estensione né le squadre saran-no tutte uguali. Per tentare di uni-formare i potenziali carnieri dellesquadre, le aree di maggior esten-sione saranno individuate nellezone dove la densità attesa è mino-re, mentre le aree di minor dimen-sione saranno individuate dove lapopolazione di cinghiale è maggio-re. Dove occorra l’eliminazione del-la specie opereranno controlloriappositamente scelti e coordinati.

Quando si pianificano le den-sità ottimali della popolazione dicinghiale non si deve dimenticarel’effetto che tale programmazionepuò avere su una specie degna diparticolare tutela quale il lupo; glistudi, infatti, hanno individuato nelcinghiale la preda che compare conmaggior frequenza nella dieta dellupo. La relazione esistente tra den-sità dell’ungulato e idoneità terri-toriale alla presenza del lupo obbli-ga perciò a far entrare nei calcoligestionali del cinghiale anche illupo.

LA GESTIONEIl piano di gestione di una

popolazione di cinghiale deve com-prendere un’area (unità gestiona-le) tale da interessare individui chehanno tra loro rapporti demografi-ci e sociali e vivono in una stessaarea, di ampiezza sufficiente a sod-disfare le necessità di spostamento,fisiologiche e comportamentali. Cia-scuna unità gestionale deve coinci-dere con l’ambito geografico occu-pato da un’unità di popolazione.Di ogni unità occorre acquisireun’ottima conoscenza delle carat-teristiche morfologiche e ambienta-li, della distribuzione reale e poten-ziale e della vocazionalità del terri-torio. È interessante notare come

può essere valutata l’area di occu-pazione di una popolazione: nel1999 all’ATC Bologna3 furono cat-turati e marcati 100 esemplari dicinghiale. I successivi abbattimentifecero registrare 51 individui mar-cati. Di questi fu possibile determi-nare le distanze e le direzioni dirinvenimento. La distanza massi-ma delle ricatture fu di 11 km.Tuttavia il 60% degli individui fuabbattuto entro un raggio di 3 km.Considerando un’area di raggio di11 km si ottiene una superficie del-l’area occupata dalla popolazionedi circa 38.000 ha. Confrontandoquesti dati con quelli di altri lavoriottenuti mediante l’utilizzo di ra-diocollari si ottiene che per soddi-sfare le esigenze di una popolazio-ne di cinghiale è sufficiente un’areacon un’ampiezza fra i 30.000 e i70.000 ha.

Individuata l’unità gestiona-le, è indispensabile acquisire le in-formazioni del territorio: è impor-tante valutare la carta delle esposi-zioni, delle pendenze, del reticoloidrografico, dell’uso del suolo; oc-corre confrontare viabilità e inse-diamenti umani con i confini am-ministrativi e gli istituti di gestioneterritoriali. Interfacciando tutte leinformazioni è possibile valutare lepotenzialità del territorio e ottene-re un modello di valutazione am-bientale. Così come nel caso di al-tri ungulati, occorre valutare le po-tenzialità ecologiche di un ambien-te insieme al grado di accettazionedella società per quella specie: nonè detto, infatti, che gli abitanti sia-no entusiasti di sostenere una po-polazione di cinghiale sul proprioterritorio. Nel caso di un elevatonumero di coltivazioni agricole su-scettibili di danneggiamento, spe-cialmente se ad alto reddito, la co-munità sarà poco disposta a tolle-rare numeri elevati di animali. Èin seguito ad un’azione politica dimediazione e valutazione delle ri-

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sorse ambientali, delle esigenze del-le specie selvatiche e delle necessitàdella popolazione umana che siindividuano le aree non vocate equelle vocate.

La fase successiva prevede ladivisione in sotto aree operative: idistretti e le zone di caccia. Si cercadi legare il cacciatore al territorioper responsabilizzare le squadre allagestione, ricomprendendovi nonsolo l’attività venatoria ma ancheil controllo della popolazione, laprevenzione e il pagamento dei dan-ni.

Un lavoro considerevole deveessere svolto nell’abituare i caccia-tori a svolgere la loro attività secon-do tempi e modi idonei alla gestio-ne ambientale. I metodi utilizzatiper eseguire i controlli diretti sonomolteplici: alcuni prevedono il tirosu animali messi in movimento,altri su animali quasi fermi.

La spinta degli animali conbattitori senza cani si chiama “bat-tuta” o “cacciarella”; quella con icani si dice “braccata”. Se si riescea smuovere gli ungulati senza di-sturbarli troppo questi arrivano conpoco impeto alle poste, facilitandoi tiri. L’utilizzo dei cani si rendeindispensabile quando le caratteri-stiche del territorio sono tali che ilsolo uso dei battitori non permette-rebbe di spingere un numero suffi-ciente di esemplari.

Si raccomanda l’utilizzo dicani appositamente addestrati eimpiegati esclusivamente per que-sto tipo di caccia. I cani devonoessere di un’unica razza affinchésiano omogenei per tipo di lavoro,velocità e resistenza. Quando si uti-lizzano cani di scarso valore, tal-volta poco addestrati, mirando piùal frastuono provocato che al lavo-ro svolto, si ottiene la fuga di specienon bersaglio, i cani lanciati all’in-seguimento possono perdersi o, serimangono isolati dal resto dellamuta, possono essere più facilmen-

te attaccati dal cinghiale. Il nume-ro degli ausiliari da utilizzare puòvariare dai 3 ai 12. Prima di libe-rarli è preferibile localizzare la pre-senza dei selvatici tramite l’utilizzodi un unico cane detto “limiere”per evitare sciolte nei luoghi dovenon ci sono animali. In Toscana èconsuetudine che il capocaccia“ormi”, cioè percorra il perimetrodella zona per individuare le traccefresche che entrano e escono dallazona di battuta.

La “girata” è un antico siste-ma di caccia non molto diffuso inItalia; ha un impatto meno fortesul territorio e sulla fauna e forni-sce ottimi risultati se valutata intermini di rapporto tra sforzo prati-cato e risultati ottenuti. Il condut-tore di un unico cane traccia lerecenti vie di entrata dei cinghialinella zona di rimessa. In tale modosi stabiliscono le poste utili ponen-dole nei punti di passaggio deglianimali. In seguito, se il terreno loconsente, il cane tenuto a cordalunga segue la traccia per spingerei selvatici verso le poste. Di solito icinghiali escono vicino alle posteal passo o al piccolo trotto seguen-do i sentieri abituali

Nel caso della “cerca” il cac-ciatore singolo cerca gli animaliper eseguire il tiro o è fermo al-l’“aspetto” eseguendo tiri da posta-zioni elevate situate in prossimitàdei luoghi di alimentazione.

Nelle aree protette si preferi-sce utilizzare trappole mobili o re-cinti di cattura. I sistemi sono forte-mente selettivi catturando in nu-mero maggiore giovani, piccoli efemmine (le classi sociali che i pia-ni di gestione vogliono controlla-re). L’efficacia è solitamente alta,anche se il numero di animali cat-turati dipende dalle disponibilitàalimentari. Le risorse trofiche va-riano da una stagione all’altra conpicchi di maggiore abbondanza intarda estate per gli ambienti medi-

terranei e a metà inverno nelle re-gioni a clima continentale; in taliperiodi è naturale aspettarsi resebasse.

All’interno di un piano di ge-stione deve essere indicata, fra lealtre informazioni, la densità otti-male; per avere una misura delladensità della popolazione è possibi-le utilizzare il numero di capi ab-battuti per km2. Tali dati sono rela-tivamente attendibili se si ha l’ac-cortezza di paragonare sforzi di cac-cia simili, ovvero svolti da operato-ri con esperienza e capacità con-frontabili utilizzati per lo stessonumero di azioni di caccia.

La densità può essere stabili-ta anche sulla base dei danni che ilcinghiale causa alle colture agra-rie, calcolando anche la messa inopera degli interventi di prevenzio-ne. È opportuno creare mappe delrischio di danneggiamento corre-lando i danni con i parametri am-bientali, lo sforzo di caccia e leattività di prevenzione.

Fra i metodi di prevenzionerientrano i foraggiamenti dissuasi-vi, eseguiti con lo scopo di distoglie-re l’attenzione degli animali dallecolture inducendoli a frequentareun ambiente che offre anche prote-zione e rifugio. Col foraggiamentoil bosco diventa un habitat frequen-tato anche nelle stagioni in cui lasua offerta alimentare naturale sa-rebbe scarsa. È importante sceglie-re accuratamente sia il periodo, inmodo da sincronizzarsi con i tempidi maturazione delle colture da pro-teggere, sia le modalità di distribu-zione dell’alimento, cercando dievitare concentrazioni di animalitali da causare problematiche dialtra natura (bracconaggio, dannial bosco, trasmissione di patologieecc.). Un’altra possibilità è quelladella destinazione di piccoli appez-zamenti di terreno agricolo alla col-tivazione di colture a perdere. Inquesto tipo di interventi è essenzia-

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le individuare correttamente le areeda coltivare, che devono essere lo-calizzate ai margini del bosco, oaddirittura al suo interno, ed inprossimità delle aree in cui gli ani-mali si nascondono o trascorronola notte (zone di rimessa) . È neces-sario lavorare e fertilizzare adegua-tamente i terreni e, secondo le nor-mali pratiche agricole, attuare unarotazione delle colture, avendo curadi utilizzare le varietà precoci perle parcelle poste in mezzo al bosco,dove la scarsa qualità del suolo e laridotta insolazione tendono a ritar-dare lo sviluppo della vegetazione.

Per prevenire i danni da cin-ghiale alle coltivazioni agricole eforestali sono stati sperimentatimetodi di diversa natura (olfattiva,acustica, meccanica, elettrica); i piùefficienti sono le recinzioni mecca-niche o elettriche di porzioni diterritorio. I dissuasori di tipo chi-mico sono sostanze repellenti cheagiscono sul sistema olfattivo o gu-stativo del cinghiale; sono applicatiestensivamente sulle colture annua-li e individualmente nel caso dellepiante da frutto o dei vigneti. Sonocaratterizzati da una buona effica-cia limitatamente ai giorni succes-sivi all’applicazione, trascorsi i qua-li l’effetto repulsivo diminuisce sen-sibilmente, sia per l’insorgere di unacerta assuefazione da parte deglianimali, sia per il dilavamento delprodotto operato dagli agenti atmo-sferici. La prevenzione di tipo acu-stico ha lo scopo di creare unasituazione di insicurezza per glianimali e viene realizzata secondodifferenti modalità: cannoncini adaria compressa, detonatori a salve,apparecchi radio a frequenza pro-grammabile o registratori che dif-fondono il segnale d’allarme cheemettono i cinghiali quando si tro-vano in situazioni di pericolo. An-che in questo caso, l’efficacia delmetodo si dimostra limitata nel tem-po: dopo pochi giorni si osservano i

primi fenomeni di assuefazione e,in breve tempo, gli animali finisco-no per ignorare del tutto il rumore.

Motivazioni di carattere tec-nico, economico ed ecologico ren-dono svantaggiosa la protezione divaste superfici mediante recinzioniche, a causa del notevole sviluppo,diverrebbero economicamente trop-po onerose e praticamente difficilida gestire. Solitamente, quando sidecide di mettere in opera un recin-to si preservano le colture di mag-giore pregio, quasi sempre distri-buite su appezzamenti poco estesi,anziché proteggere grosse estensio-ni di colture a bassa redditività. Irecinti permanenti costruiti con palie rete metallica comportano costidi impianto molto elevati e posso-no risultare di ostacolo alle lavora-zioni agricole. Sebbene risultinoidonei per la protezione di ridottiappezzamenti di particolare pregio(vivai, orti), gli elementi che ne ren-dono sconsigliabile l’uso diffuso esu ampie superfici, oltre al costo,sono l’impatto paesaggistico e, so-prattutto, quello ecologico poichérappresentano una limitazione ar-

tificiale agli spostamenti degli ani-mali selvatici. I recinti elettrici sonocostituiti da due o tre fili elettrifica-ti posti ad un’altezza fra i 10 e i 60cm da terra, fissati ad una serie dipaletti di sostegno con isolatori. Leapparecchiature emettono impulsibrevi e ad alto voltaggio, che con-sentono di conservare l’efficacia deirecinti anche nel caso di corto cir-cuiti. Il sistema di elettrificazioneè costituito da batterie a 12 V oppu-re da pannelli solari o può esserecollegato direttamente con una li-nea elettrica. L’efficienza dei recin-ti elettrificati, potenzialmente ele-vata, è legata ad una scrupolosa eregolare opera di ispezione e ma-nutenzione. I costi di acquisto edinstallazione delle strutture sonopiuttosto elevati, ma in compensola loro durata nel tempo è conside-revole.

Troppo spesso si applicanometodi senza prevederne la verificae la convalida dell’efficacia. Inmateria di caccia, sovente ci si affi-da più alle sensazioni di soddisfa-zione di chi pratica l’attività vena-toria, piuttosto che ricercare un cri-

Fig. 2. Branco di cinghiali in terreni a vocazione agro-silvo-pastorale in areaappenninica. Sullo sfondo si osservano i danni arrecati al cotico erboso dall’atti-vità di grufolamento (foto A. Grazzini).

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terio oggettivo. In tale modo le ope-re possono essere fortemente in-fluenzate dalle stagioni e dai ciclibiologici degli animali. Per le atti-vità di gestione del cinghiale si rac-comanda l’utilizzo di indicatoriquali la variazione dei danni el’analisi dei carnieri. È fondamen-tale che i dati raccolti siano con-

sultabili mediante un Sistema In-formatico Territoriale che permettadi poter scorporare i dati riferendo-li alle aree. L’efficacia delle operedi gestione faunistica dipende stret-tamente dalla collaborazione dellapopolazione. Più di una volta ope-razioni di liberazione di lepre orecinti di ambientamento non han-

no dato i risultati sperati perchéqualcuno ha liberato i cani o spa-rato quando e dove non era oppor-tuno. Il “segreto” di molte attivitàgestionali, infatti, risiede proprionella capacità di instaurare rappor-ti interpersonali stabili e di recipro-ca fiducia fra i gestori faunisitici iconduttori dei fondi e i cittadini.

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