BIMESTRALEDI LETTEREE CULTURADEL GRUPPO SCRITTORI FERRARESI

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IPPOGRIFO GENNAIO-FEBBRAIO 2012 - Numero Ventotto - Periodico in distribuzione gratuita B IMESTRALE DI L ETTERE E C ULTURA DEL G RUPPO S CRITTORI F ERRARESI GIANNI (JOHN)DESERRI, ATLANTE: PER SCUOLA DI LINGUE (BASSORILIEVO TERRACOTTA BIANCA) l

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’IPPOGRIFOGENNAIO-FEBBRAIO 2012 - Numero Ventotto - Periodico in distribuzione gratuita

B IMESTRALE DI L ETTERE E C ULTURA DEL G RUPPO S CRITTORI F ERRARESI

GIANNI (JOHN) DESERRI, ATLANTE: PER SCUOLA DI LINGUE(BASSORILIEVO TERRACOTTA BIANCA)

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CARIFE p. 2

EDITORIALE di Gianna Vancini p. 3

ATTESTATO p. 4

RECENSIONIDANIELEVECCHI -MARIO DE SISTI. TUTTO COMINCIÒ CON UN GIOCO di Grazia Ferrari p. 5LUIGI BOSI - LE STAGIONI DELLA MEMORIA di Gianna Vancini p. 6RITAMONTANARI -UN TIMIDO TRALCIO D’EDERA... di Eleonora Rossi p. 7AUTORI VARI - JULIANEO di Riccardo Roversi p. 8CARLABARONI -ROSA DI LUCE di Nazario Pardini p. 9LILIANABOSCHETTI - SCORRONO LE VITE LUNGO IL FIUME di Amina Bongiovanni p. 10

NARRATIVARAGAZZI IN GAMBA di Nicola Lombardi p. 11GLI OSPITI DEL CASTELLO di Giuseppina Muraca p. 12

FIABAC’ERA UNA VOLTA di Maria Tesera Mentrelli p. 14

DIARIO DI VIAGGIOUNA VISITA A SAN PIETRO AL MONTE di Fausta Boldrini p. 15

DA POETA A POETAPARTENZE DA... di Edoardo Penoncini p. 17

STORIASTORIA DEL MONASTERO DI SAN BARTOLOMEO... di Antonio Pandolfi p. 19

POESIADALLA FINESTRA di Claudio GamberoniIRIS – TEMPO di Antonio Breveglieri p. 21C’ERA UN SOLE – DISPREGIO di Raoul RimessiNEBBIA di Rita Marconi p. 22A. P. di Matteo Pazzi

IL SOLE – ANCHE LA NOTTE di Uta RegoliSOSPESO di Alessandro Moretti p. 23LA FOCE DEL PO – C’ERA UNA VOLTA di Emilia ManzoliFILANTE ODE di Alberto Canetto p. 24

EVENTIPORTE D’AMORE di Riccardo Roversi p. 25

AL DIALÈTVÒT AD MARS (OTTO DI MARZO) di Enrica Pedrazzi p. 26DU FRANCÌŚ AL MARCÀ – UN SUNET DAL PARADÍŚ di Luciano Montanari

MEMORANDUMAPPUNTAMENTI CON LA CULTURA p. 27

l’IPPOGRIFOBimestrale di Lettere e Cultura dell’Associazione GRUPPO SCRITTORI FERRARESIRegistrato al n. 3 del 2000 nel Registro Stampa di Ferrara - Numero Ventotto

ASSOCIAZIONEGRUPPO SCRITTORI FERRARESIvia Mazzini, 47 - 44121 Ferrara

Segreteria:martedì 10,30-12,00 - venerdì 15,30-17,00

[email protected]

PRESIDENTEGianna Vancini

DIRETTORE RESPONSABILERiccardo Roversi

COORDINAMENTO E CURA EDITORIALEEmilio Diedo

Luciano MontanariGianna Vancini

COMITATO EDITORIALENicola LombardiAlessandro Moretti

Gina NaliniAlberto RidolfiEleonora Rossi

PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE GRAFICAPiera Pregrasso

([email protected])

TIPOGRAFIA & STAMPATipolitografia SIVIERI

- Ferrara -

L’IPPOGRIFO È DISEGNATO DAVito Tumiati

Le opere fotografate in questo numerosono di Gianni (John) Deserri

EDITORIALE

Il n. 28 dell’Ippogrifo, il primo del2012, augura serenità ai suoi lettori epropone, nell’apparato iconografico,interessanti immagini dello scultoreGianni (John ) Deserri.L’inizio dell’anno nuovo prende lemosse dal consuntivo 2011 che, per il“G.S.F.”, registra positive affermazionidalle quali partire fiduciosi. L’impegnoprofuso, con sei manifestazioni in occa-sione del 150° Anniversario dell’Unitàd’Italia e con la prestigiosa V EdizioneNazionale del “Premio Gianfranco Rossiper la giovane letteratura”, ci ha regala-to la significativa lettera giunta dalQuirinale (cfr. n. 27), la splendida meda-glia di C. Muratore firmata da GiorgioNapolitano e, alla vigilia di Natale, lagraditissima comunicazione che, surichiesta della sottoscritta, il Presidentedella Repubblica ha conferito il titolo di“Cavaliere al Merito della RepubblicaItaliana” al dott. Gian Pietro Testa, no-stro socio onorario e ideatore del PremioRossi. Sempre per l’impegno profusodal “G.S.F.” nel 150° dell’Unità d’Italia,la nostra Associazione ha ricevuto dalPrefetto di Ferrara, dott.ssa ProvvidenzaRaimondo, il significativo attestato ri-prodotto nella rivista.Tra le tante affermazioni dei nostri sociin concorsi letterari nazionali, piacericordare i premi assoluti conseguiti daDario Deserri (Laurentum 2011, Roma,Tempio di Adriano) e da Carla Baroni(Libero de Libero, Fondi - LT, CastelloCaetani). Con orgoglio va ricordatopure che dal “vivaio” del “G.S.F.” esceMarcello Simoni, il giovane romanzie-re comacchiese affermatosi nel 2011con il best-seller Il mercante di libri male-detti, per mesi il libro più venduto inItalia.

Gianna Vancini

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10 dicembre, Palestra 4Torri al Barco, è stato presen-tato il libro MARIO DE SISTI – Tutto Cominciò con unGioco, un doveroso omaggio reso dall’autore DanieleVecchi ad un mito della palla al cesto, il ferrareseMario De Sisti.Ne nasce un incontro molto interessante tra due per-sonaggi che sembrano moltiplicare l’un l’altro un’e-nergia pura, palpabile, incalzante.Daniele da sempre ammalato di basket e che ama ilgioco con la gioia e la saggezza di un bambino sipone all’ascolto con atteggiamento reverenziale,mentre prende corpo il racconto di Mario.Un cammino denso, faticoso, entusiasmante, e paral-lelamente una inevitabile crescita interiore che sem-bra stemperarsi, ma senza mai annullarsi, in ognigiocatore che lo affianca, quasi una comunione dispirito e di anime, senza la quale ogni cosa, anche lapiù esaltante, si svuota di significato.Sui trionfi, tanti, e qualche inevitabile amarezza,sembra prevalere una commozione intensa. Restanosospese le parole di Mario, seduto tra gli amici suuna semplice sedia di plastica, con alle spalle unapalestra vuota. Trasmette a tutti noi una dolcemelanconia, per quello che è passato e non torneràpiù, o per i ricordi che ancora non si è avuto la forzadi esplorare, e una voglia nuova di felicità, e donar-si con intelligenza, cuore e grandissima esperienza aigiovani, più giovani e bambini.

Mario ritorna così più che mai con noi, protagonistaassoluto e solo, grande e fragile come ogni verouomo riesce ad essere.Daniele Vecchi dal canto suo scrive di getto, certa-mente assieme alle mille cose che riesce a fare in unagiornata, ed è nel suo carattere non ritornarci sopraper rivedere, o aggiustare se fosse necessario, quelloche non necessita di aggiustamenti, né di voler fareparticolar sfoggio di cultura, che certamente non glimanca. Ma vuole solo trasmettere ritmo vitale, incal-zante, inarrestabile del gioco, come se tenesse in unamano una palla da tirare a canestro e nell’altra lapenna per rendere più diretto il tiro a canestro.Un libro che piacerà a coloro che amano il basket.Apprezzeranno la puntuale e meticolosa descrizionecon la quale Daniele Vecchi traccia il profilo dellegrandi squadre di Mario De Sisti che hanno fatto lastoria della pallacanestro in Italia e all’estero.Ma piacerà anche a chi, come me, non ha grandedimestichezza con il basket ma è nato a Ferrara conMario De Sisti, intorno agli anni quaranta, e ritrove-rà personaggi, emozioni, momenti, avvenimenti eprofumi di una città dove vorremmo per sempre eda sempre tornare.

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DANIELE VECCHI

MARIO DE SISTITUTTO COMINCIÒ CON UN GIOCO

di Grazia Ferrari

Gianni (John) Deserri, Comunicazione interculturale (bassorilievo terracotta bianca).

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LUIGI BOSI

LE STAGIONI DELLA MEMORIAdi Gianna Vancini

La più recente pubblicazione di LuigiBosi, Le stagioni della memoria (EsteEdition 2011), è un accattivante roman-zo che conduce il lettore in un mondoche non c’è più, la campagna ferraresedei primi cinquant’anni del Novecen-to, in cui si assiste ad un cambiamentoepocale, nella pratica delle colture maanche nella vita degli uomini.In Luigi Bosi c’è l’ermeneutica che èinsita in ogni narratore che, nell’esplo-rare, ambisce a lasciare memoria di unmondo, vissuto conosciuto e scompar-so. L’autore infatti vuole lasciare memoria di quantoha guardato e visto: la realtà romanzata che ci pro-pone è una realtà ripercorsa a ritroso, rivista, ram-memorata. Come Marcel Proust in Recherche, chepropone un racconto che procede a ritroso, così faLuigi Bosi perché il romanziere è in fondo colui chesi guarda indietro, oltre che dentro e attorno, e ciòper tracciare un percorso dell’esistenza che appartie-ne a sé ma anche ad altri, un percorso che diviene“memoria” e, ben si sa, che senza memoria non c’èfuturo.La terra è la vera protagonista della complessa vicen-da umana narrata e le stagioni scandiscono il tempodella terra: così pensa Olindo Marchetti, pater fami-lias, padre padrone, protagonista del romanzo.Fermamente radicato nelle consuetudini ataviche adesse egli non vuole rinunciare e, con intima sofferen-za, accetterà solo qualche concessione a nuove coltu-re ma non al piantare alberi da frutta, come avvienea San Bartolomeo in Bosco.Il mondo di Olindo è legato a rituali che furono disuo padre e di suo nonno, che Luigi Bosi descrivecon maestria: l’aratura, la mietitura, la battitura delgrano, la raccolta delle barbabietole, la vendemmia,la pigiatura, la macerazione della canapa, la panifi-cazione, il bucato con la liscivia, l’uccisione del maia-le… La stalla è il salotto in cui grandi e piccini siritrovano per parlare e lavorare, il “cuore” dellaSterpata, la tenuta del conte Antonio Frova, in cuiOlindo da manovale, poi affittuario e mezzadro,diviene padrone appagato.È l’acquisto della Sterpata – dieci chilogrammi dimarenghi d’oro – che porta sulla scena del romanzoun coprotagonista, Aldo Marchetti, fratello diOlindo. E quella è tutta un’altra storia. E’ una micro-storia che si innesta nella grande storia delVentennio Fascista.Aldo, giovane irrequieto, che non ama la terra, trovauna affermazione personale divenendo protagonistadi tragici episodi dello squadrismo ferrarese di que-gli anni benché, in fondo, mostri talora di non avereun cuore di sasso. Camerata della “Celibano”, milite

scelto presso la Casa del Fascio di Fer-rara, dopo una pur fallimentare “mar-cia su Roma”, verrà inserito nellaMilizia Volontaria per la SicurezzaNazionale, anche con una discreta gra-tificazione economica. Non comparedirettamente nel romanzo che ha inizionel 1946, a guerra da poco finita, per-ché in quell’anno Aldo risultava “dis-perso nell’adempimento del dovere”nella lontana Russia, dove si era recatovolontario.Con gli inizi degli anni Cinquanta la

vita cambia alla Sterpata e, mentre Olindo è relegatosu una sedia a rotelle, la generazione dei figli –Dante, Viler e Benito – rappresentano il futuro conuna diversa concezione di vita.Il romanzo di Luigi Bosi, scritto con scorrevolezza ericchezza di linguaggio, è al tempo stesso un impor-tante documento storico e un libro il cui valoredidattico potrebbe e dovrebbe aprirsi alle scuole perarricchire di conoscenze inedite i giovani d’oggi. E’un romanzo che può impreziosire la libreria di chiama la narrativa, non solo per l’interesse che suscitail contenuto ma anche per la scrittura la cui cifra è daritenersi “alta”.

Gianni (John) Deserri, Pie donne (scagliola patinata).

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“[…] non abbiamo nessun diritto ditacere i nostri pensieri alla nostraanima”. Citando le parole di NataliaGinzburg come preludio, Rita Monta-nari ci affida Le piume del tempo (EsteEdition 2011), l’ultima sua preziosaopera poetica.Ma non inganni la levità del titolo, néla leggiadria delle parole che ricamanoil bianco delle pagine: Le piume deltempo è libro sapienziale, compendio diuna saggezza vissuta, da leggere emeditare, per poi tornare a rileggere,daccapo. Cinque ‘sezioni’, ognuna con la sua pecu-liarità, ma tutte annodate da un “io” femminile allospecchio: l’esile figura di donna che in copertina – inun raffinato disegno di don Franco Patruno – con-templa la luna e cerca di decifrarne gli enigmaticisegni.Ogni verso è luce strappata al buio. Perché la parolapoetica di Rita Montanari racchiude in sé i dubbidella verità, la verità dei dubbi: “Silice di luna, o Dio,/ il tuo silenzio per noi / nel buio della verità”; “[…]appena il tempo di guardarti e sei già cambiato. /Ma cerchi nello specchio l’immagine di ieri”: Hic etnunc è la prima rosa di poesie.“Chiedo scusa se la mia Musa / oggi è la vita di ognigiorno: / ombre di ieri e attesa del domani”, si scher-misce fin dall’esordio, dolcemente autoironica, l’au-trice. “Hic et nunc” è parabola del “tempo”. Se perFoscolo era inesorabile (“il tempo con sue fredde alespazza”), per la poetessa ferrarese il tempo è unosguardo – mobile ansioso attento incantato vivo –, iltempo è un respiro.Un oscillare tra le immagini del passato “ignaro fata-to e senza un perché” (“l’alba primigenia / del solenegli anni bambini”; “era il tempo delle bolle disapone”; “sono bambina / e sto saltando la corda ingiardino”) e un futuro scrigno di nuove parole. “Stosospesa tra il prima l’ora e il dopo / e già un nuovodomani / sospinge nel baratro il silenzio”. Chi scri-ve si muove in un presente inquieto che non si rac-conta se non in un’altalena, un movimento dialetticonel tempo.“Ringrazio Rita Montanari per avermi offerto l’op-portunità di meditare ancora una volta sul tempo,dopo i miei primi passi con p. Teilhard de Chardin.Appresi da lui la ‘preghiera nella durata’ – osservadon Andrea Zerbini nella sua acuta prefazione –.Pregare nella durata, quando questa si caratterizzacome un invecchiare, un aspettare, un distaccarsi,

significa affidare il tempo ad un sensoche è ancora oltre”.“Occhio” e “specchio” sono terminiche ricorrono quasi in ogni componi-mento (“devo acquistare nuovi occhia-li”; “e non vedo la direzione”). Parole“chiave” che dischiudono porte, mache poi nuovamente le serrano, inter-rompendo il sentiero: “Perché mi guidispesso sul ciglio / e poi là mi abbando-ni? / Se così non è, se sono cieca io /rinfrancami la vista”. Dilemma cheriflette una fede autentica, sofferta; ma

anche sull’orlo del precipizio non c’è mai cupa ras-segnazione, aleggia invece la fiducia: “nel rosario deiminuti il giorno / si allontana grano a grano / conla promessa di un nuovo domani”.Vista e cecità si confrontano di continuo, eppure laluce si riafferma sempre. Perché l’autrice ama i colo-ri, e nei suoi versi rifulge non di rado l’arcobaleno:“È raro questo orizzonte in pianura: / combatte conl’arcobaleno / il suo duello di lampi / nel tramontoancora bagnato”.Se la vista sembra dominare sugli altri sensi, anchel’orecchio della poetessa è teso a cogliere i bisbigli di“un’eco” che rimbomba nelle liriche. “Eco” metafisi-ca e simbolica che lascia intuire un’altra antinomiaessenziale, quella tra leggerezza e gravità; in essa sicoglie l’affinità fraterna tra “Hic et nunc” e “Piume”,il secondo capitolo del volume.Le piume del tempo infatti sono attraversate da innu-merevoli “ali”, “farfalle”, “ventagli”, “mongolfiere”,“soffi”, “veli”, “fiocchi di neve”, “petali”… ma quan-ti “bauli”, “fagotti” e valigie nel “viaggio” di chi scri-ve. Che in questo contrappunto fa sentire la meravi-gliosa complessità dell’esistenza (“volerà l’anima conla sua soma / di pensieri e li lascerà cadere”).Sono pesanti anche i “fardelli” che si ritrovano nellaquarta raccolta, “Memorie”. Qui l’inventario scrupo-loso di numeri civici, “arredi pavimenti stufe” nonirretisce la sensazione e il ricordo, ma li ridona niti-di, con il loro carico emozionale: “i cari oggetti ripe-scano la vita / dal fondo di un vecchio cappelloinfeltrito”. Le case hanno una voce e una storia. Daraccontare in poesia.Nella terza sezione “… un senso?…” un interrogativoin un sipario di puntini di sospensione sembra intro-durre un discorso più tagliente, ove si fa palpabile ildisincanto. Ma la silloge si chiude ancora una voltacon versi pacificanti: “ventagli di sole / nel buio piùnero / ventagli di specchi / in ogni sentiero”.

RITA MONTANARI

UN TIMIDO TRALCIO D’EDERA:LA LEZIONE DELL’ETERNO NE

LE PIUME DEL TEMPOdi Eleonora Rossi

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L’ultima parte del volume, “Dal niente che resta”, è lascelta antologica da un libro che l’autrice ha “amatomolto”, edito nel 1995 ed ormai esaurito. La metafo-ra dominante qui è quella del gioco: una “giostra”,una partita “a carte coperte”, una “mosca cieca”.“Testa e croce”. Ma in questa “sfida” la scrittrice infi-ne si “affida”, con una resa incondizionata: “nonstancarti tu di giocare / con me e di prendermi lamano. / Sarà tua anche l’ultima parola”.“Dal niente che resta – ha commentato sapientemen-

te don Patruno – è opera matura dove ciò che restaha sconfitto il niente ed il nulla del vuoto di parole”.Donna, insegnante, madre, nonna, scrittrice: RitaMontanari crede nei valori che si tramandano e nellaparola che rimane, che svela, che salva. “Le nostreparole più vere […] si salvano dalla banalità e dallogoramento – scrive ancora don Zerbini – la paroladella poesia è capace di dire l’infinito nel finito”.Non c’è nulla di scontato nella vita che nasce, nel“trono del sole”, nelle stelle, nel palpito dell’univer-so. C’è piuttosto la lezione di ogni giorno, la lezionedella natura. E dell’Eterno.Si firma in minuscolo, Rita Montanari, e non ci sonotitoli nelle poesie. Le liriche sono frasi di un unicodiscorso, parole di un’intimità che lascia intravvede-re l’infinito.Briciole di pane nel bosco per rintracciare la strada:“La strada di tutta una vita”.

Quanto vi è di perduto, tanto vi è di ritrovato. Perché“il tempo a venire è ancora speranza”.L’io della poetessa si sofferma sull’infinitamenteminuscolo (“Una coccinella planata sul selciato / siposa e si riposa. / Sta lì fino allo sfinimento”), perpoi dilatare lo sguardo.“L’orizzontalità senza soluzione, che distende gli

‘alberi desolati’ accanto all’argine dove s’immaginauna ‘nebbia di preghiere’, mi ha sempre suggeritol’illimite”, aggiungeva don Patruno.La poesia di Rita Montanari punta verso l’alto (verso“l’illimite”) ambisce al volo: essa ha un corpo fragiledi farfalla ma un “battito d’ali caparbio”. E “capar-bio” è aggettivo che ritorna in un’immagine illumi-nata che la scrittrice ha fermato sul foglio bianco:“Una domenica mattina / si è affacciato dalla casaaccanto / un timido tralcio d’edera. / Strimpellaallegro sui mattoni, / ammicca curioso e reclama /almeno una carezza da qua giù. / La mano com-mossa lambisce / le tenere verdi radici / rampicatecon caparbia tenacia. / Regalami Signore, soloun’ombra / di quella forza di aggrapparmi / allafine al muro del confine”.Sembra non chiedere altro, colei che scrive: “un’om-bra di quella forza”.La “caparbia tenacia” di un “timido tralcio”.

Affinché il teatro sia tale, deve pos-sedere tre requisiti: un autore, unattore e almeno uno spettatore. Ilteatro inteso sia come forma d’arteche come struttura architettonica.Deroga a questa norma il teatroJulianeo: lo si connoti luogo artisti-co e/o spazio fisico. Poiché Julianeoè un teatro virtuale, ideato perdurare nel tempo (forse per sem-pre), alla memoria di Giuliano Baroni (1975-2001):giovane creativo prematuramente scomparso.Inoltre Julianeo è anche e soprattutto un libro (pub-blicato da Liberty house e distribuito da EsteEdition), un volume illustrato d’ambienti eterei,sparso di musiche impercettibili e compilato daprose di artisti e intellettuali, che avvalora il magicoasserto di Democrito: «nulla è più reale del nulla».Infatti nel libro è riprodotto un nuovissimo teatro aFerrara, Julianeo appunto, che in realtà fisicamentenon c’è, poiché elaborato da avanzati strumenti digrafica informatica, posizionato geograficamente (evirtualmente) alla prima periferia sud di Ferrara eriprodotto in questo volume.L’architetto Flavio Baroni ne è il mirabile progettista

e artefice, in questa pubblicazionedavvero unica e che si rivela unasorpresa pagina dopo pagina, im-preziosita da testi e contributi di (inordine alfabetico): Andrea Barra,Vito Favara, Marta Garimberti, Ni-cola Giuliano Leone, Letizia Mon-talbano, Roberto Pazzi, Marino Pe-droni, Marco Pilati, Eleonora Rossi,Lucio Scardino, Enrico Stabellini,

Carola Susani. I loro interventi sono tutti di grandeinteresse: si cita a mero titolo di esempio quello diLucio Scardino: Il fantasma del teatro, nel quale il cri-tico d’arte, editore e poeta ferrarese riporta suggesti-vamente e competentemente la storia di tutti i teatricittadini, compresi quelli oggi scomparsi o trasfor-mati e adibiti ad altra funzione.Julianeo è dunque un teatro dedicato ad un nostrogiovane, promettente ma sfortunato concittadino:Giuliano Baroni, così come gli è dedicato questosplendido libro: una magnifica testimonianza chel’“esistenza” del futuro può anche vincere l’“ine-sistenza” del presente. E che nessuna vita, per quan-to labile, accade mai invano.

AUTORI VARI

JULIANEOdi Riccardo Roversi

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Teme ogni uomo, fragile creatura,molto di più le cose che non vede:il buio, il buio, ancestrale pauraassorbita nell’utero maternosegreto anfratto che gli diede vita.

Il poemetto che la Baroni dipana inendecasillabi fluenti, scorrevoli in tuttele loro variazioni, è musicalmenteavvincente quanto una romanza pucci-niana (o l’intermezzo composto dalMaestro sul lago di Torre del Lago,mentre i barcaioli, muniti di torce, cer-cano il corpo della serva affogatasi peramore). Si nutre di morte e di vita, di vita e di morte.Ed è proprio nella coscienza di tale percorso, nellacoscienza della brevità dell’esistere, della sua fragili-tà e precarietà, che sta tutto il nerbo di questopoema, immensamente largo di motivazioni etico-esistenziali e umanamente fragili. Il dialogo tragico erisolutivo tra il vecchio alla fine degli anni e la morteumanizzata si conclude con una esplosione di lucepiù che divina, o metafisica, direi estremamenteumana nell’idea di un tramonto vitale, che tantosimboleggia, con valore ossimorico, l’ultimo respiro.Quasi la poetessa voglia alleggerire l’idea di un tra-passo con ciò che di più bello e poetico si lascia sullaterra; o voglia che ci portiamo dietro, come ultimavisione, quella bellezza effimera che più si avvicinaal cielo. E la morte è cosa umana. E la Baroni ha que-sta grande virtù poetico-intimistica di saper tradurreun grande dolore, l’ineguagliabile, quello dellamorte della madre, in una prova universalmentevalida, in una prova che nella sua drammaticità,chiede a tutti, al suo epilogo, che cosa sia poi questanostra esistenza. La morte stessa assume propriocontorni benevoli, contraddicendo il senso che tra-spariva dall’incipit, figura ostica, nemica, o orribil-mente avversa nella sua funzione di sottrazione, diazzeramento, di rapina delle nostre cose più prezio-se e insostituibili. Un addolcimento in cui il trapassosi fa più naturale, come appuntamento inderogabile,giustificato dalla vita in quanto vita, finitamentecreata per essere terrena; ed i contorni e le parole egli atteggiamenti ed il dialogo tutto sembra che sirassereni con contorni naturali che si predispongonoall’evento. E si fa avanti la memoria a dare degnaentità all’esistenza. In fin dei conti le cose che riman-gono sono quelle degne di restare, degne di esserestoricizzate. E sarà la memoria ad assumere il suogrande compito di mantenere in vita, di protrarreoltre la morte avvenimenti, fatti e immagini delnostro percorso terreno. E sarà la memoria, nella suafunzione catartica, a sensibilizzarci e a creare quelpatrimonio di affetti, metabolizzati e traslati, da tra-mandare per sconfiggere il nulla. Mettere insieme

tutti i tasselli rimasti, significa ritessereun filo estremamente sottile, e altret-tanto breve quanto la vita ricostruita.Poche sono le cose che rimangono edenorme è il potere dell’oblio: Dumloquimur fugerit invida aetas. È un reso-conto umano, è una poesia forte, e tal-mente potente e concentrata, questadella Baroni, che si innerva nel lettorefino a riempirgli il cuore di sanguenuovo, caldo e pulsante. La linearità ela compattezza del poema sono esem-plari. Il dialogo si fa sempre più eccita-to ed umanamente eccitante. L’uno

attaccato alla terra, alla sua storia, l’altra alle sueragioni, al suo compito irrevocabile, naturale, inquanto vita, in quanto sommativa di tanti piccoli ograndi atti che si susseguono nell’arco dell’esistenza.Carla Baroni sa rendere tutto questo con estremanaturalezza, senza mai cadere nel sentimentalismodecadente, né nel discorso tragicamente eccessivo.Ed il suo poetare ampio e nutrito di un verbo ricco eappassionato ci giunge con immediatezza. Lo stessospartito fatto di note cucite fra loro da continuienjambement, ripetuti in maniera quasi ossessiva,denota la necessità di raccontare, di dare sfogo eapertura ad un’anima rigonfia che vuole liberarsi,gettando sul foglio i suoi ingorghi. Ma è sempre larobustezza del metro, la stabilità degli argini a con-tenere quel fiume in piena nel suo alveo, impeden-dogli esondazioni a sommergere campi ricchi dihumus. La poesia della Baroni si fa sempre più poe-sia/arte, quanto più la realtà si trasforma in immagi-ne, in sentimenti rivisitati. Quanto più gli avveni-menti della vita si spogliano della loro cruda realtà,e si alimentano di un terriccio fertile a far crescerefiori unici ed intensi per colori e profumi. E i colori ei profumi sono dovuti anche a quelle figure stilisti-che impiegate con spontanea generosità in un’amal-gama di accorgimenti etimo-fonici e guizzi poetico-intuitivi. Un mio vecchio professore diceva: “Sesventuratamente vi avventurate nella poesia, visconsiglio di registrare la realtà; prima vivetela, poiimmaginatela, e se riaffiora, lavorate e provate afarne poesia “. E la Baroni ha covato la sua tragediain un’anima disposta a raffinarne e a smussarne lesporgenze graffianti, tanto che il suo dolore si ètradotto in monito per tutti noi: vivere la vita come ilbene più grande che ci è dato. Un bene grande, forse,proprio perché contiene la morte.

CARLA BARONI

ROSE DI LUCEdi Nazario Pardini

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Liliana Boschetti vive a Castelmassadove è nata il 22 novembre 1933. Hasempre amato la grande ricchezza deipoeti e degli artisti della letteratura.Scrive poesie e racconti da più decenni.Una necessità di scrivere che ha sempresentito. Un’esigenza interiore alimen-tata da un seme, un qualcosa che fre-meva e che in seguito si è liberato.La sua è una poesia colta frutto nonsolo d’ispirazione, ma di studio conuna ricerca di parole che traducono iversi in sonorità. Attraverso immagini,metafore pervase, a volte, da sottile malinconia, inun intrecciarsi continuo di rimandi descrittivi,emerge un mondo interiore talora leopardiano, talo-ra contemporaneo ed originale.Le rime in dialetto, nostra seconda lingua familiare,di non facile scrittura, dipingono personaggi, ricordi,stati d’animo con l’immediatezza dell’espressivitàcolorata, tipica di ogni vernacolo.I racconti sia in italiano che in dialetto delineano per-sonaggi, situazioni, vicende or tristemente vere, orgustosamente umoristiche recuperando espressioni,termini dialettali tipici del dialetto altopolesano.Nell’opera Scorrono le vite lungo il fiume emergonousi e costumi di un tempo che lascia, a chi legge,

scoprire la natura dei personaggi ed illoro mondo sia esso piccolo borghese orurale, a poco a poco, or con l’umori-smo sottile del dialetto, or con l’inquie-ta malinconia dell’autrice…Nello sfondola bellezza: il fiume, gli affetti… le StorieMinime del territorio Altopolesano dellaTraspadana Ferrarese… Storie di paese, Lestorie vere… i luoghi familiari inalteratinella loro bellezza nello scorrere dellavita: il fiume, la campagna, l’adolescen-za, l’amore nei suoi ampi significati, isogni, le delusioni.

Racconti e poesie da leggere passo passo, per entra-re nel piccolo mondo rivierasco e non disperderne letradizioni in un tempo caratterizzato dalla velociz-zazione.Liliana Boschetti ha pubblicato poesie e racconti siain italiano che in dialetto che sono presenti in anto-logie, ha vinto numerosi premi. Collabora a rivistedel rodigino, del mantovano, del ferrarese. Ha pub-blicato raccolte di poesie: Canzoni sulla riva, 1995;Cumela Nona, 1996 (in vernacolo); Tu Cantami, 2000;Nel Dialogo, 2007.

* Presidente della Biblioteca Comunale di Castelmassa.

LILIANA BOSCHETTI

SCORRONO LE VITE LUNGO IL FIUMEdi Amina Bongiovanni*

Gianni (John) Deserri, Rapace (terracotta).

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RAGAZZI IN GAMBAdi Nicola Lombardi

Come dite? Se mi va di scambiare quattro chiacchierecon voi? Be’, non vedo perché no… Accomodatevipure, di sedie vuote in questo bar ce ne sono fin trop-pe! E poi, vedete bene che il mio bicchiere di birra nonè messo granché bene. Se potesse parlare, direbbe: Ehi,amico, che ci sto a fare qui impalato e pieno d’aria? E se cosìdicesse, sapete che gli risponderei, io? Gli risponderei:Hai ragione da vendere, e per questo ti presento dei nuoviamici, pronti a ridarti fiducia nell’avvenire! Dico bene?Ah, grazie, amici, grazie davvero! Non dovevate…Giornalisti, vero? No, non fate finta di non esserlo,sarebbe un’offesa alla mia intelligenza. Sapete, hoimparato a riconoscervi a colpo d’occhio, e vi chiariscosubito un concetto: non ho davvero nessun problemaa raccontarvi ancora quella vecchia storia, soprattuttose vorrete dimostrarvi comprensivi nei confronti dellamia gola secca...È trascorso ormai più di un anno, e ancora vi interes-sa? Non ci avete già ricamato su abbastanza, a suotempo? Ah, capisco… Volete cavarci un libro… Okay,allora, lasciatemi intingere i baffi in questa schiumabianca… Questa è roba di prima qualità. Non badatea spese, voi, vero? D’accordo, d’accordo, vi acconten-to. Cosa volete sapere?Sì, c’era anche mio figlio Alex, su quella dannata barcaa vela. Immagino sappiate in quali condizioni si trova,ancora oggi. Mio figlio, intendo, non la barca… Imedici dicono che col tempo si riprenderà, e io civoglio credere. Ma per il momento, non posso cheaspettare, e maledire il giorno in cui ho firmato quelcontratto. Certo, era una faccenda conveniente. Peruno come me, in cassa integrazione, con una moglieche lavora un giorno sì e tre no, quei soldi sono statiuna vera manna dal cielo. Sapete, quelli della pubbli-cità pagano bene.Si trattava di lasciare che Alex se ne andasse in gita perun paio di settimane in barca, assieme ad altri sette ootto coetanei, sui tredici, quattordici anni. A guidare iltutto ci sarebbe stato quel… quel Capitano, come sifaceva chiamare.Un sorso ancora… Ecco, così va meglio. Dunque, dice-vo… Già, la prospettiva era interessante: Alex avrebbeimparato tante belle cose sulla navigazione, sulla vitain comune, avrebbe fatto attività fisica all’aria aperta,se la sarebbe spassata un mondo, in sostanza. Losponsor ci metteva il contante, e loro dovevano solodimostrare che non c’è nulla di meglio al mondo diquegli stramaledetti bastoncini di merluzzo… Io e miamoglie abbiamo firmato, e adesso ci ritroviamo unfiglio in stato quasi catatonico.Ma si può, dico io, lasciare che un branco di minoren-ni se ne vada al largo in compagnia di un solo adulto?Un tizio distinto, niente da dire, ben educato, con lasua barba brizzolata, la divisa blu da capitano, e tuttoil resto… Insegnava a fare nodi, a orientarsi con la bus-sola, a tirare vele di qua e di là, a lucidare il ponte, agovernare il timone, e tutte quelle belle cose sane chenegli spot piacciono tanto, almeno così dicono… E

intanto, a uno dei ragazzi era stato affidato il compitod’immortalare i momenti migliori con una telecamera.Ma chi l’avrebbe mai detto che quel baldo Capitanosoffrisse di cuore? Forse non lo sapeva neanche lui. Èsuccesso di sera, così mi hanno riferito.Durante la seconda settimana di traversata. Se nestava al timone, lo sguardo fiero puntato all’orizzonte,quando all’improvviso ha fatto una smorfia, e pareche prima di accasciarsi abbia sparato qualche volga-rità contro il nome dello sponsor… I ragazzi hannocapito subito che per lui non c’era più niente da fare.Avevano seguito con zelo il corso di pronto interven-to che il Capitano aveva tenuto prima della partenza,e adesso capivano bene che quello che si trovavanodavanti era un cadavere. Senza ‘se’ e senza ‘ma’, comesi dice oggi. Come hanno reagito? Be’, con un bel po’di panico. All’inizio, almeno. Nessuno di loro sapevausare la radio di bordo, neppure accenderla. E poi, iltempo si è messo al peggio. Hanno preferito rifugiarsitutti quanti in coperta, lasciando che la barca se neandasse per i fatti suoi… Devono essere finiti parec-chio al di fuori della rotta stabilita: per questo ci hannomesso tanto a ritrovarli. Più di tre giorni, ci credereste?Ma stavano tutti abbastanza bene, almeno fisicamen-te. Alex e qualche altro non se la stanno passandogranché bene, è vero. Ma gli psicologi che li stannoseguendo sono ottimisti. E pure io. Sono suo padre, edevo esserlo per forza, no?Può ripetere, prego? Cosa penso di quello che hannofatto? Vi dirò: al posto loro probabilmente avrei fattolo stesso. Dopo dieci giorni di bastoncini di pesce allamattina, al pomeriggio e alla sera, non avreste anchevoi sentito l’esigenza di un alimento alternativo? Incambusa ce n’era ancora una scorta impressionante,ma chi può dire cosa può passare per i cervelli di ado-lescenti terrorizzati in balia dell’oceano? Per quantone sapevano, avrebbero anche potuto vagare per setti-mane, magari per mesi… Improbabile, sono d’accordocon voi, ma – ripeto – cosa mai sarà passato per le lorogiovani teste? Insomma, come sapete, nessuno dellagiuria se l’è sentita di condannarli. Tutto sommatohanno fatto un lavoro pulito, e rispettoso. Il corpo delCapitano, o almeno ciò che ne rimaneva, era statoriposto nel congelatore, ben suddiviso in porzioniimpanate. Mi hanno detto che esistono anche dei fil-mati che documentano quanto si sia dimostratogagliardo l’istinto di sopravvivenza di quei giovani,ma non hanno voluto che noi genitori li vedessimo.Meglio così, tutto sommato. Non credo che miamoglie avrebbe apprezzato. Anche se, diciamocelatutta, quell’esperienza li ha fatti crescere. Dei ragazzidavvero in gamba. Ecco, guardate: il vostro librodovrebbe intitolarsi proprio così. “Ragazzi in gamba”.Alla faccia dello sponsor, che ha mandato a montetutta la campagna…Eh, sì, qui ci vorrebbe proprio un altro bicchiere. Chedite, vi va? Mario, un altro giro per tutti!… Prosit!

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GLI OSPITI DEL CASTELLOdi Giuseppina Muraca

Il colloquio di lavoro si svolse al piano terra diun‘antica struttura adibita a casa di riposo per anzia-ni. Lara era arrivata in anticipo e poiché piovevaaveva deciso d‘entrare, in attesa di chiedere dellapersona con cui avrebbe dovuto parlare. Si trovò inuna sala che confluiva in un corridoio all’inizio delquale due colonne in stile ionico accentuavano l’at-mosfera antica.Fu l’arrivo dell’anziano signore a completare il qua-dro che a Lara parve quasi irreale, così come irreale leera sembrata la telefonata ricevuta in mattinata, men-tre si trovava in un negozio del centro, che la invitavaa presentarsi alle sedici e trenta del pomeriggio nelluogo suddetto.«Salve! Sono Lara Leonetti, la signora interessata alposto di assistente…».«Piacere, sono il dottor Mancini, è con me che deveparlare. Prego si accomodi…».Il modo galante e l’aspetto signorile di quell’uomo,che sembrava provenire da un’altra epoca, colpironoall’istante la donna. La sensazione di trovarsi di fron-te una persona protettiva e rassicurante le fece supe-rare l’imbarazzo iniziale. Il colloquio si svolse inmodo naturale e spontaneo. In conclusione Laraavrebbe avuto la possibilità di svolgere il lavororichiesto per un breve periodo nella nuova strutturasituata in periferia. In caso d’esito positivo avrebbeottenuto il lavoro.Lara aveva notato l’imponente costruzione dallaforma molto simile a quella di un castello e spesso viaveva smarrito lo sguardo. Bianca con le impostemarrone e i vetri che riflettevano il colore del cielo,immersa nel verde e situata su una collinetta, sem-brava dominare, ma con dolcezza, tutto ciò che lestava attorno. L’osservava ogni qualvolta risaliva lastrada tortuosa che dalla città, dove periodicamentesi recava a far spesa, la riportava al suo paese.

Aveva saputo che la fantastica struttura ospitavapersone anziane, e non solo, che avevano bisogno dicure ed esercizi di riabilitazione ed era maturato inlei il desiderio di potervi lavorare. Così un giorno sifece coraggio e prese la deviazione che l’avrebbe con-dotta in quel luogo che fino a quel momento le erasembrato inaccessibile.“Proverò a portare il mio curriculum” pensò, “è l’u-nico luogo dove ancora non sono stata… in fondonon ho nulla da perdere… tentar non nuoce…”.Il cancello si aprì e Lara entrò. Non seppe spiegarsicosa avvenne immediatamente dopo, forse qualcosadi miracoloso perché d’un tratto avvertì la sensazio-ne d‘aver lasciato alle spalle le incertezze, le paure esi sentì stranamente a suo agio. Come se quel luogola stesse aspettando da tempo. Come se qualcosa diinvisibile l’avesse accolta a braccia aperte.

Si presentò alla ragazza dell’accettazione e dopouna breve attesa ottenne un colloquio con la respon-sabile della struttura, una dottoressa dall’aspetto

angelico che faceva trasparire un animo buono e sen-sibile. La dottoressa fu tuttavia molto schietta neldirle che in quel momento v’erano scarse possibilità,però si era riservata di valutare… Lara comprese dinon avere speranze ma non si mortificò. Per la primavolta, nella sua vita, si era sentita veramente ascolta-ta e presa in considerazione.

L’arrivo della telefonata l’aveva molto compiaciutaperché probabilmente aveva fatto una buona impres-sione se le era stata offerta una possibilità.Dopo il colloquio col dottor Mancini, Lara si recònuovamente nella bellissima struttura di periferiaper stabilire l’inizio del periodo di prova.La dottoressa dai capelli dorati non esitò a mostrareil suo lato più severo: «Sappia che il lavoro è moltoduro e difficilmente lo si riesce a svolgere se non lo siama davvero». Poi aggiunse: «Sappia pure che iosono molto esigente». E concluse: «Se vuole può ini-ziare già da domani».Lara ringraziò. Emozione e incredulità le impedironod’aggiungere altro, anche se avrebbe voluto.L’impatto col lavoro fu ottimo. Certo i primi giorninon furono facili ma l’umanità delle persone che vilavoravano da tempo collimava perfettamente con lasua. Anche se si sentiva impacciata e, a volte, inade-guata, Lara capì subito che l’amore per quel lavoroera autentico. Con l’esperienza avrebbe acquisitoanche professionalità e allora tutto sarebbe stato piùsemplice. Per il momento avrebbe dovuto tener duro,osservare, saper ascoltare e soprattutto darsi moltoda fare. Sì, perché tante persone, la maggior partenon più autonome, dipendevano da lei. Il senso diresponsabilità di cui si sentì investita fu notevole. Adaiutarla fu l’eccellente ambiente lavorativo: le opera-trici premurose ed incoraggianti, le educatrici, leinfermiere, le psicologhe, i fisioterapisti, i dottori… ipazienti stessi con i loro grazie o un bel sorriso per laprestazione più banale, che verrebbe spontanea achiunque per un’attenzione ricevuta...Bastarono poche settimane a Lara per capire il mec-canismo di quel lavoro un po’ pesante ma leggerocome una nuvola, se pensava alla soddisfazione cheprovava nel riuscire a prendersi cura degli altri, spe-cie trattandosi di persone sofferenti. La stanchezza,alla fine del turno di lavoro, il più delle volte nonl’avvertiva affatto, anche se sul suo viso se ne pote-vano leggere i segni.Giorno dopo giorno si rese conto che non solo avevacapito il meccanismo ma era entrata a farne parte.Cominciava a domandarsi come avrebbe potutoabbandonare coloro che lei chiamava gli ospiti delcastello se non avesse superato il periodo di prova.Lara amava la psicologia. Era qualcosa d‘innato.Quando incontrava qualcuno non si soffermava maiall’aspetto esteriore ma tendeva a guardare in pro-fondità. Era più forte di lei, non lo faceva di proposi-to. Spesso le capitava di non ricordare il nome o

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addirittura l’aspetto di una persona appena cono-sciuta ma carpiva informazioni sul carattere, sullostato d’animo. Lara era attratta dalle persone ingenerale, ma le persone anziane per lei erano specia-li perché racchiudevano un vissuto non indifferente.Molti ospiti avevano problemi di memoria. “Sonoun’enciclopedia a cui manca qualche pagina” leaveva detto una collega il primo giorno di lavoro.Una frase che l’aveva colpita e nello stesso tempoindotta a pensare che “ci sono tutte le pagine, perchéogni giorno che è passato corrisponde a una paginascritta, solo che qualcuna si è sbiadita…”. Di ognunodi loro avrebbe voluto leggere tutte le pagine perconoscerne gusti, desideri, per poter dire le parolegiuste, per compiere i gesti più consoni, per evitaredi ferirli più di quanto la vita non avesse già fatto.Sapeva bene però che si sarebbe dovuta accontenta-re delle informazioni che le persone erano in gradodi trasmettere in quel momento. Per cui sarebbestato sufficiente ascoltare i loro bisogni e adeguarsiin base alla personalità che mostravano in quellaparticolare fase della loro esistenza. Lara imparòpresto a rispettare il modo di essere d‘ognuno, sep-pur patologico. Cercò di trasmettere loro stima.Gratificandoli. Essendo autorevole quando necessa-rio. Mostrando affetto nel momento opportuno.Accogliendo il loro affetto, sempre.

V‘erano ospiti dal carattere un po’ ribelle che a Larafacevano una simpatia immensa e, anche se davanofilo da torcere, li tollerava volentieri perché secondolei era un segno evidente di voglia di vivere. Altriinvece suscitavano dolcezza, altri tenerezza.Non mancarono i momenti di grande emozione.Come quella volta in cui una paziente, nel vedersiriflessa nello specchio dell’ascensore, aveva salutatosua madre con molto affetto, felice per averla incon-trata e le aveva chiesto di tornare presto a trovarla.Gli ospiti del castello vivevano in armonia. Lara arri-vò a pensare che, nonostante i loro vuoti di memoria,ci deve essere una memoria che resiste a tutto. Forseè l’essenza della saggezza costruita negli anni cheaffiora nei momenti più critici.

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È passato circa un mese. Lara continua a lavorare nellastruttura. Certi giorni è molto stanca ma felice. Non saancora se otterrà il posto. Svolge regolarmente i turni dilavoro. Ha ormai memorizzato tutti i pazienti, che, inverità, sembrano i componenti di un’unica grande fami-glia, della quale si sente ormai di far parte. Li segue amo-revolmente mentre giocano a palla nel momento della gin-nastica collettiva: nei loro occhi c’è l’entusiasmo tipico deibambini.

Gianni (John) Deserri, San Sebastiano(terracotta e ferro).

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C’era una volta, tanti ricordi fa,un giardino incantato chiamato “campagna”.Era un luogo molto verdecon tanti alberi e rigogliose siepi,l’aria profumava di fiori e di fienoe il grano era ornato di papaveri e fiordalisi.In questo giardino viveva una dolce fatail suo nome era “Natura”.Fata Natura spargeva profumi e coloridovunque passava.Un bel giorno andò ad abitare nel giardinoun giovane chiamato “Progresso”.Progresso era bello, intelligentee molto abile nel coltivare i frutti del giardinoma ahimè, era dotato di poca pazienzaed era anche molto avido, “frutti subito”non sopportava l’ordine delle stagionicosì come non sopportava alberi e siepi.Via alberi e siepi, papaveri e fiordalisi.L’aria non profumava più di fiori e fieno,l’erba ingialliva ancor prima di crescere.Per lui Natura era una sentimentale “fuori moda”,Natura e Progresso... quanti sogni, quanta speranza.Natura sognava... lei credeva nei miracoli.E sognava e sospirava...... Progresso e Natura insieme per un Giardino migliore.

C’ERA UNA VOLTAdi Maria Teresa Mentrelli

Gianni (John) Deserri,Antigravitazionale(terracotta).

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UNA VISITA A SAN PIETRO AL MONTEdi Fausta Boldrini

L’epoca in cui stiamo vivendo segna un passaggiodifficile per la nostra vita, per le nostre coscienze. Latelevisione diffonde ogni giorno notizie che neganola speranza, che turbano la nostra esistenza. Pare chenon vi siano più valori di riferimento nella società,nella politica, nella famiglia, nelle coscienze, se non ildio denaro, l’edonismo, l’egoismo.Travagliata da tali considerazioni, non trovavo den-tro di me risposte che mi restituissero la pace interio-re, mi tormentavo in cerca di un appiglio a cui anco-rarmi per non andare alla deriva.Sentivo il bisogno d’isolarmi in preghiera e in medi-tazione sperando in un possibile conforto.Mi confidai con Teresina e Pierangela, le mie amichedi sempre, che condividevano il mio stato d’animo,e una mattina decidemmo di salire insieme, in cercadi raccoglimento, all’antico monastero di San Pietroal Monte, là, nei boschi di Civate, nel Lecchese.Immerso nella natura incontaminata del monteCornizzolo, in vista dei laghi di Annone e di Oggio-no, il complesso architettonico, cioè la basilica di SanPietro al Monte e l’Oratorio di San Benedetto, è ciòche resta di uno dei più importanti monasteri bene-dettini della zona, uno dei più notevoli capolavoridel romanico lombardo, un gioiello solitario nascostoda secoli sulla montagna a 662 metri di quota. Laparte abitativa non esiste più, completamente di-strutta, probabilmente durante le lotte fra i Comuni eil Barbarossa di cui il Monastero era alleato. Esisteinvece e in posizione defilata, un edificio a due piani,costruito in epoca molto posteriore come alloggio peri monaci, e oggi in uso alla parrocchia di Civate.Incontrammo visitatori di ogni provenienza arranca-re per circa due ore lungo il sentiero che conduce alpianoro di San Pietro, e ci sembrò imperdonabile cheun simile tesoro fosse ignorato invece da chi vi abitaa pochi chilometri di distanza. Ci stupì, infatti, unapiccola comitiva di francesi, donne e uomini, equi-paggiati di tutto punto, con zaini e racchette, che ciabbordarono in un cattivo italiano per sapere selassù, nella basilica, fosse possibile ascoltare la messae comunicarsi. Non sapemmo rispondere, e allora“au revoir, mes dames” e in men che non si dica spa-rirono nel sentiero in mezzo alla boscaglia.Lungo il percorso, di quando in quando, ci supera-vano anche gruppi di giovani dal passo spedito checantavano in coro canti di montagna. Mi rasserenavoritrovando la gioia e la spensieratezza della mia ado-lescenza quando con le organizzazioni parrocchiali sifacevano escursioni o addirittura campeggi in altamontagna.Il sentiero si addentra, appena fuori Civate, nellacosiddetta “Valle dell’Oro”, un’espressione suggesti-va, ma che in effetti, richiamandosi a un’etimologialatina, sta a significare “Valle delle sorgenti”. Di fatto,lungo il cammino si trovano diverse fontane a offrirerefrigerio e ristoro all’escursionista stanco e accalda-

to. Anche noi facemmo alcune soste per rinfrescarci eriprendere lena lungo l’interminabile salita.Alcune comitive sulla via del ritorno si fermavano aloro volta a dissetarsi e a riempire le boracce di frescaacqua sorgiva. Così, noi, ansiose e impazienti poteva-mo informarci se la nostra meta fosse ancora lontana.Ci rispondevano: «Sì, è ancora molto distante, manon avvilitevi, vale la pena di arrivare fino in fondoalla salita, vedrete che meraviglia, che capolavori! Eche pace nella grande spianata: fra monti e cielo sem-bra di essere in presa diretta col paradiso!»Vi è un’antica leggenda sulle origini del Monastero arendere più suadente il richiamo, specie ai gruppifamiliari con bambini che nei giorni festivi lascianola città per una camminata salutare a contatto con lanatura.Vi si narra che il complesso monumentale fu fondatodal re longobardo Desiderio per ringraziare ilSignore di un fatto miracoloso occorso al figlioAlgiso. Il giovane, durante una battuta di caccia, là,nella boscaglia sopra Civate, inseguiva con i suoicani un cinghiale straordinario per mole e per bellez-za. L’animale, sfinito e braccato da ogni parte, trovò,alla fine, scampo in una piccola chiesa e si accovacciòai piedi dell’altare, quasi a chiedere protezione alSignore. Mentre il principe stava per scoccare la frec-cia diventò cieco. Un eremita che si trovava colà inpreghiera volle aiutarlo: lo condusse a una sorgentenei pressi della chiesetta, gli bagnò gli occhi e quegliriacquistò immediatamente la vista.Leggenda a parte, secondo alcuni studiosi l’originedel Monastero si può far risalire proprio al periododella dominazione longobarda, intorno al 772, e si saper certo che nei secoli successivi il monastero stessocrebbe in importanza e splendore.È il periodo storico del Monachesimo benedettino.L’istituzione ebbe a lungo anche una grande rilevan-za politico-amministrativa secondo le consuetudinidell’epoca, e la sua vita ascetica, nella preghiera,nella meditazione, nell’operosità in obbedienza allaRegola di San Benedetto “Ora et labora” s’intrecciòcon le tumultuose vicende politiche del momentostorico.Vi dimorarono imperatori e arcivescovi in cerca di unrifugio nascosto e sicuro nei momenti di massimatensione con gli avversari politici.Ancora oggi, San Pietro al Monte è un luogo solitarioe isolato dal mondo, accessibile solo a piedi, in mez-zo a boschi secolari, circondato da una chiostra dimontagne impervie.Infatti faticammo non poco quella mattina lungo l’ar-duo percorso, ma finalmente al termine della salita ilcapolavoro architettonico ci apparve all’improvvisoin mezzo alla radura, solitario e stupendo nelle lineesemplici e pure del primo romanico lombardo e ci par-ve incredibile che fosse giunto fino a noi quasi in-denne sfidando i secoli.

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Mi sentii rapita d’incanto in un tempo lontano ormaiperduto dove la vita aveva un ritmo diverso dal no-stro, un’altra ispirazione. Restai compresa, in silen-zio, a meditare sulla mentalità dell’epoca e delluogo, sulla spiritualità benedettina pervasa deivalori del Cristianesimo, sulla vita del monaco cheordinava la propria giornata, secondo la Regola delSanto, alla ricerca di Dio e del bene.Anche le mie compagne mostravamo palesementeinteresse e ammirazione. Insieme e in silenzio osser-vammo, ascoltammo ciò che la guida andava illu-strando: «Tutto il disegno architettonico ha la fun-zione di richiamare alla meditazione su di una com-plessa simbologia: il “cerchio” che descrive l’arco ro-manico a tutto sesto è simbolo del cielo, il poligono“quadrangolo”che s’inserisce nell’arco, è simbolodella terra, il “triangolo” dei frontespizi e dei tetti acapanna è, a sua volta, simbolo del cielo, e i vari sim-boli si uniscono e s’intrecciano in un significato teo-logico a indicare l’incontro costante fra il cielo e laterra».Eravamo entusiaste e impazienti di completare lavisita per scoprire tutto ciò che di straordinario c’eraancora da scoprire.Entrammo, infine, a visitare i due edifici. Rima-nemmo mute a considerare l’apparato di affreschi edi stucchi, in parte ben conservati, un capolavorodatabile fra l’XI e il XII secolo.Le opere sono incentrate, per lo più, su temi apoca-littici e della tradizione cristiana posteriore e, inun’epoca in cui pochi conoscevano la scrittura, ave-vano la funzione di emozionare richiamando croma-ticamente e plasticamente alla meditazione sull’inse-gnamento di Cristo e della Chiesa: costituivano,insomma, una predicazione muta.Mi isolai all’interno della basilica, conquistata dallabellezza dei capolavori, considerati fra i più notevo-li dell’epoca giunti fino a noi, ma più ancora dalmessaggio che mi perveniva vivo attraverso i secoli:la salvezza dell’uomo viene soltanto dal Cristo nel-l’ascolto e nell’adesione alla Sua parola. Rimasi alungo in meditazione. Sentivo intorno a me l’im-menso respiro delle anime che mi avevano precedu-

to attraverso i secoli nella riflessione e nella preghie-ra all’interno dell’antica navata e che probabilmenteavevano trovato conforto nel Signore. Mi sembrò diunirmi in comunione con tutte loro.Mi tornarono a mente le parole di Simon Pietro nelVangelo di Giovanni: «Signore da chi andremo? Tuhai parole di vita eterna!»Non avevo mai riflettuto su tale episodio che ora sifaceva per me illuminante.A poco a poco, il silenzio, la solitudine, la parola diDio m’invasero l’anima, mi rasserenarono, mi allon-tanarono dalle inquietudini che mi avevano turbataa lungo fino a quel momento.Ritrovai la pace perduta, il senso autentico della vita,la voglia di affidarmi alla speranza. Mi parve di esse-re tornata al luogo nativo dell’innocenza, dove in-quietudine e turbamenti alla fine si placano nellaconvinzione di essere approdati al paradiso perdutodi cui è rimasta nostalgia nell’animo umano.Alla fine ritrovai Teresina e Pierangela rimaste a lorovolta in disparte, in meditazione e in preghiera: ave-vano l’aspetto sereno e radioso di chi ha trovato con-forto.Insieme ci accingemmo a uscire dalla chiesa. Edecco, sopra il portale interno richiamare la nostraattenzione un affresco molto eloquente : Abramo cheaccoglie fra le sue braccia alcuni fedeli. “Abramopadre delle genti” si legge nell’iscrizione dell’opera.Mi fermai a meditare sulla figura del grande patriar-ca, come ci è stata tramandata dalla Bibbia; sulla suaesistenza travagliata dal dubbio sulla cultura idola-trica della sua gente e dall’inquietudine nell’attesadella voce di Dio che gli indicasse la strada dellaverità.Pensai, di contro, alla mia inquietudine, ai miei tur-bamenti di fronte al tralignare del mondo, e quellaraffigurazione sembrò pure a me, che uscivo dallabasilica per tornare nella quotidianità, una promessadi protezione e di sostegno, com’era nell’intenzionedel pittore che l’aveva affrescata proprio in quelpunto, all’uscita della chiesa.

Il complesso architettonico di San Pietro al Monte, Civate (Lecco)

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I versi che seguono sono stati scritti in tempi diversi, inun arco abbastanza lungo. Nati durante la lettura dipoeti, alcuni dei loro versi ho utilizzato come un vero eproprio incipit, altri sono una sorta di esergo, rappre-sentano lo spunto per scritture, che immediatamente siallontanano per divenire ed essere parole mie. L’uomo ènata mentre ascoltavo una trasmissione televisiva, nellaquale Tonino Guerra, con la sua fascinosa cadenza ro-magnola, raccontava dei luoghi a lui cari, Sant’Arcan-gelo di Romagna e Pennabilli, e di Pennabilli ricordavaI luoghi dell’anima, suggestive mostre permanenti all’a-perto che si possono godere passeggiando dentro efuori il paese.In calce ad ogni testo si riporta il riferimento biblio-grafico.Campagna rielabora nell’ultimo verso lo spunto che miviene da Corrado Govoni.

Perdita“Anch’io disposi di me e credevoche sempre avrei potuto disporne”poi i giardini si fecero secchie l’alba aprì gli alberi al queruloverso delle tortore, del giorno cadenzavoi ritmi della luce, eppure il buioera scandito dalla tua assenza,e non disponevo più del tempo mio,del tempo del figlio, fermo alla partenza.

(Carlo Betocchi, Da più oscure latebre, I, in Tutte le poe-sie, Garzanti, Milano 1996, pag. 317)

Scambio di luci“gli anni e i pensieri,si fanno luce a vicenda”basta che intenda il destinatariocome si sta quando si consegnase stessi alle pagine d’un diarioal flebile neon di un’insegna

semispenta.

(Silvio Ramat, Gli anni e i pensieri, in Numeri primi, V,Dalla luna al tramonto della luna, Marsilio, Venezia 1996,pag. 147)

Poesia“Chiamo poesia quel luogo in cui s’incontral’esperienza dell’altro.”Dà vita alla poesia la rimavalore al verso il piede in arsi o tesi?malia cela voce al canto e credicredi ora ogni parola è liberataparte d’un’anima librato aliantefrutto maturo di polpa sanguignapuò piacerti o non piacerti ma vivecome il nardo nel suo olio rinascee poesia sopravvive alle legginella lettura d’inchiostro su cartanella carta che centrifuga voce.

(José Emilio Pacheco, Lettere a George B. Moore in difesadell’anonimato, in Gli occhi dei pesci. Poesie 1958-2000,Medusa, Milano 2006, pag. 83)

Sogno svanito“Ora sono tranquilla del tuttoho il tenero abbraccio della madrepatria”con il caldo bruciante dell’ultimo versonel fiume riarso che regalava la vitaè solo quel suono, Farrokhzâd,che resta come vento e stelle,soffio di luci sulla città espostaal “sole denudante”: Teheranè oggi sogno svanito, Forugh.(Forugh Farrokhzâd, O terra perlata, in È solo la voce cheresta, Aliberti, Roma-Reggio Emilia 2009, pag. 110)

La piccola barca“Sempre la più elegante, la più rosea e slanciata,perché riaffiori dal fondo di perduti anni”lasciandoti ancora l’ombradella mia scritturanel pomeriggio di luce calantesenza strisce all’orizzonteo fibrillìo di foglie sul fiumeritorna la piccola barcaquando gli alberi prendonoa respirare a faticasi mescola l’ombraai suoni nella nebbiae la piccola barca si dondolanell’inverno alle porte(Anna Achmatova, L’ombra, in La corsa del tempo.Liriche e poemi, Einaudi, Torino 1992, pag. 187)

PARTENZE DA...di Edoardo Penoncini

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Antologia“parlo al mare e al ventole mie parole si perdono nelle onde”

ci sono fatti che cataloghiamocome documenti d’archivioanche parole / banali espressionisi presentano pretestuose al bivio

una parola d’amore o un addiosono spesso vecchi trofei in bachecabanalizza tutto un’antologiaun tormento d’amore e il suo ronzio

(Jacqueline Risset, Stazione Du Bellay, in Il tempo dell’istante.Poesie scelte 1985-2010, Einaudi, Torino 2011, pag. 171)

La sera della speranza“correte verso il Rosso Futuro”così si spiegò e si piegò il giuncoal volere dei venti del nordquando la morte portava speranzasulle ali di un vuoto da riempire

tra la Moscova e il Baltico mille vociaprirono il futuro negli invernidi neve e gelo nei bivacchi intorno ai fuochinelle declamazioni a teatroil proletariato è il nostro futuro

insieme all’anonima mortenei campi in Siberiae nel silenzio profondo dei suiciditacevano i giorni invasidal sacro fuoco d’ottobresi spegnevano i canti altifino alle vette del Caucaso

(Elise Ciarenz, dal Paese Nairì, in Odi armene, nell’inter-pretazione di M. Verdone, Ibiskos Ulivieri, Empoli 2007,pag. 41)

Da un passo di Odisseas Elitis

“Riempii di croci l’amore”manifestando appartati cimiteri di viole

la vecchiezza

crocifiggere l’amoresul viale all’ombra delle robinie: unico conforto al tedio

dell’inane dopopranzo

somigliava al dolorela nostra essenza: senza presenze

entravo nella giovinezza

(in Odisseas Elitis, Al timone il fulmine, in È prestoancora, trad. it. a cura di P.M. Minucci, Donzelli, Roma2011, pag. 181)

Ri-orientamento“Il mare non è fiume che sa il viaggio, è acqua selvatica,di sotto è vuoto scatenato e precipizio.”

ripassare la mano sulla paginaè come lo sfioramento di ditail profumo che mi coglie staseramentre risfoglio il tuo ultimo libro

son passi che s’incrociano all’andatauna lettera nascosta in bottiglia ...non ne ho avuto il tempo era già ritornoquesto giorno d’astinenza e d’assenza

non sento più l’isola avvicinarsimi ha rubato l’acqua bussola e stelle

(Erri De Luca, Altre sei voci, in Solo andata. Righe che vannotroppo spesso a capo, Feltrinelli, Milano 2005, pag. 12)

Campagnaparole passite terremotatenei vicoli dell’ultimo secolouna sferzata improvvisa di suonie ritmi temperati nei fossidi campagna fioriti nei giardiniparole del poeta all’ascoltodi civettuoli campanili rosa

cammino ed ogni strada di paeses’assomiglia una piazza e una chiesavecchi odori di muffa e di granaglietra campi di sterpaglia e gramignache separano Tàmara e Salettasono vecchie poesie elettrichema la luna non ha più la sua stella

(Leggendo Corrado Govoni, Poesie elettriche, raccolta pub-blicata nel 1911, ora ed. Quodlibet, Macerata 2008.L’ultimo verso richiama la poesia I camini: “la luna incin-ta di una stella”, p. 62)

L’uomoun profilo di uomo mi nasce nel cuorenelle acque del mare del torrente velocela sua voce cantilenante racconta di storiedi sogni di bimbi di mondi perdutinegli occhi di donna legge il bello del direnella piazza di notte i silenzi e il rosso del sangueil suo amore sanguigno della terra natalele illuminazioni sulla valle del Marecchianelle magie di un circo che la memoria circondarifonda di mostre il sapore d’anticocombatte dolce il timore del vecchiova verso la morte come una culla incantataporta sorprese di gioie di amori perfettiSant’Arcangelo natìa stiva amnioticala moglie russa compagna di viaggio

(Ascoltando Tonino Guerra in televisione, mentre illustra-va le mostre permanenti (I luoghi dell’anima) a Pennabilli)

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RIA

Il monastero di S. Bartolomeo o San Bartolo sorgenelle campagne a Sud Est di Ferrara, circa 3 km.fuori le mura, all’interno di un cuneo deltizio untempo delimitato dai grossi rami fluviali del Po diVolano e di Primaro, nel cui vertice nel VII secolo fufondata la prima cattedrale di Ferrara dedicata a SanGiorgio, zona un tempo nota come Borgo della Mise-ricordia. La sua fondazione si fa risalire a 5 nobili fer-raresi, canonici della cattedrale: i sacerdoti Subinodei Gruamonti, che fu poi il primo abate, Ursone deiGiocoli, Pietro e Desiderio ed il giovane chiericoUrsone dei Leuti. Essi fondarono l’abbazia, forse uti-lizzando il materiale di una precedente chiesetta, aldi là della riva del Po, in località detta Canale, colconsenso del Vescovo Viatore, che li investì dell’abi-to benedettino e della regola cluniacense, ottenendonell’869 il Privilegio di protezione da parte dell’im-peratore Ludovico II. San Bartolo fu la prima istitu-zione monastica maschile ferrarese, insieme almonastero di San Silvestro, confermata al vescovoRolando da Papa Vittore nel 1055. Il vescovo donòall’abbazia le decime della corte di Monestirolo e ter-re pescose in Voghenza in cambio dell’azione pasto-rale in favore delle tante chiese da lei dipendenti.Così questi monaci svolsero l’insolita funzione disacerdoti in un vasto territorio, anziché rimanereall’interno del loro eremo. Il monastero si occupòanche dell’accoglienza di viandanti e pellegrini di-retti a Roma (i romei). I Benedettini operarono quin-di nelle parrocchie a beneficio delle popolazionilocali, formando anche punti di aggregazione, socia-lizzazione e svago, sotto l’egida del vescovo di Fer-rara che per secoli fu il loro punto di riferimento.Fino alla metà del Duecento l’abbazia mantenne unaspetto modesto e severo , dominata dall’alto cam-panile romanico. Il rinnovamento si ebbe per l’azio-ne dell’abate Cristoforo, come riporta la lapide goti-ca del nuovo portale della chiesa, citando l’anno1294. Il tempio fu infatti rifatto e ampliato nello stilegotico minore, utilizzando in parte materiale dellavecchia fabbrica romanica, soprattutto i marmi. Lanuova chiesa fu dotata di un protiro sostenuto daesili colonne marmoree difformi, sormontato da unarco ogivale con tetto a due spioventi; unico nel suogenere, non ha riscontro nelle chiese ferraresi dell’e-poca. Nella volta del protiro vi erano affreschi raffi-guranti i mesi con i loro segni zodiacali , ad imita-zione della Porta dei Mesi della cattedrale di Ferrara.Al di sopra del portale vi è una finestra circolaremurata, più in basso, sostituita secoli dopo da unafinestra rettangolare, pure tamponate le finestre goti-che ai lati. La chiesa presenta una pianta a navataunica con abside di forma poligonale. La facciata èdecorata con 87 patere policrome, di cui 30 compon-gono una grande croce greca, secondo un modello

bizantino diffuso fra le chiese della costa adriatica, dicui il più noto è quello dell’abbazia di Pomposa.L’interno della chiesa a croce latina si caratterizzavain passato per la presenza di un vasto ciclo di affre-schi sempre di fine Duecento che rivestivano le pare-ti laterali del presbiterio (storie di San Bartolomeo,gli Apostoli, l’Ascensione di Cristo, la GerusalemmeCeleste, per un’altezza di quasi 10 metri) e nelle veledella calotta dell’abside (i 4 Evangelisti e un Sera-fino). Ricoperti da intonaco in epoca barocca, furo-no ritrovati nel 1955, staccati e restaurati nel 1973 eattualmente esposti al Palazzo dei Diamanti. Sonoritenuti opera di un artista di scuola serba che riela-bora l’arte bizantina a contatto con l’occidente. Puressendo un centro di grande cultura che disponevadi vasti patrimoni, il monastero alla fine del Trecentoandò in crisi per la mancanza di vocazioni e intornoall’anno 1400 fu dato in commenda al patriarca gero-solomitano Ugo de’ Roberti da Tripoli. Anche gliEstensi si inserirono nella pratica della commendacontrollando le istituzioni benedettine, o meglio illoro patrimonio fondiario: San Romano, Pomposa,San Bartolo, del quale fu abate commendatario Me-liaduse d’Este, figlio del marchese Nicolò III. Nel1468 l’abate commendatario cardinale Angelo Ca-pranica operò la riforma di San Bartolo, sostituendoin gran parte i benedettini locali con i cistercensi delmonastero di San Salvatore di Settimo presso Fi-renze, con l’appoggio del signore di Ferrara Borsod’Este e affidando l’abbazia al fiorentino Bernardodella Volta. L’esercizio degli abati, in massima partefiorentini del nuovo ordine di San Bartolo, proseguìper alcuni decenni, fino a quando l’abate Piero Pittinon si scontrò con Papa Giulio II per aver parteggia-to per il suo nemico Alfonso I d’Este, con denaro eviveri, cedendo fra l’altro il monastero cittadino diSan Bernardino, già destinato a nuova residenza deicistercensi, alla duchessa Luchessa Borgia per la ni-pote Camilla, figlia del famoso Valentino. Il nobilefiorentino perdette l’abbazia e si ritornò alla com-menda che si mantenne praticamente fino alla finedel Settecento, salvo qualche saltuario ritorno agliabati regolari. Fra questi figura Cesare Frescobaldi,fratello del famoso musicista. I monaci toscani furo-no molto zelanti, bonificarono e rimisero a colturaterreni abbondanti e di fronte all’aspetto degradatodell’antica abbazia decisero di edificarne un’altra asud della chiesa, iniziando dall’ala oggi nota comeex noviziato. Ma il progetto fu interrotto, anche perla serie di terremoti che interessarono Ferrara dallametà del Cinquecento e che sfociarono nel disastro-so sisma del 1570. A San Bartolo crollò l’imponentecampanile romanico, provocando la distruzione del-l’antica sacrestia e di parte del chiostro. Tra il 1580 edil 1587 intervenne l’ingegnere ducale G. Battista

STORIA DEL MONASTERO DISAN BARTOLOMEO FUORI LE MURA

di Antonio Pandolfi

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Aleotti, che aggiunse nuove strutture verso l’orto el’ala del chiostro adiacente la chiesa. A completare ilchiostro provvide l’architetto Carlo Pasetti nella se-conda metà del Seicento, che ricostruì il campanile indimensioni più modeste, pare su committenza del-l’abate Antonio Libanori. Nel corso del Settecento,con gli abati Dario Faccioli e Pietro Muzi, fu rimo-dernato l’interno della chiesa in stile tardo barocco,su progetto di Giovan Battista Boschini e AngeloSantini. L’aspetto settecentesco dell’abbazia è rap-presentato nell’alzato del Bolzoni del 1752: il chio-stro con l’abitazione dell’abate e dei monaci, il refet-torio, l’archivio, la foresteria. Dall’altro lato il novi-ziato, i granai, i magazzini, le scuderie, il cimitero deimonaci. Il fronte è recintato da eleganti cancelli epilastri. Dietro vi è un giardino all’italiana dove sidistingue un padiglione a cupola e un tempietto esullo sfondo vasti frutteti. Tutto questo venne scon-volto dall’arrivo del generale Bonaparte nell’autun-no del 1796. Nel mese di Novembre arrivarono i car-riaggi con i soldati francesi feriti che furono sistema-ti nei conventi di Santo Spirito, San Benedetto, SanGiorgio e San Bartolo. Con il Trattato di Tolentino lachiesa fu sconsacrata e ridotta a magazzino. Fino al1815 la fabbrica risulta di proprietà del Demanio.Con la Restaurazione fu assegnata ai Gesuiti comeluogo di villeggiatura e ritiro spirituale per docenti eallievi. Nel 1859 i Gesuiti furono espulsi da Ferrara,nel 1861 i loro beni e quindi anche San Bartolo pas-sarono sotto l’amministrazione del Comune diFerrara. Nel 1865 l’ex convento divenne caserma del

Regio Esercito, poi in parte restaurato ospitò famiglieindigenti, che lo ridussero a un tale degrado che ilComune progettò la sua demolizione. Nel 1902 fu sti-pulato un contratto di enfiteusi fra Comune e Pro-vincia, destinando tali fabbricati a colonia agricoladel manicomio provinciale. Attualmente l’ex conven-to di San Bartolo ospita una struttura gestita dal-l’Azienda USL di Ferrara, che ne è proprietaria daalcuni decenni.Questo luogo presenta ancor oggi un notevole fasci-no e per la sua vicinanza alla città merita una visita,se pur limitata all’esterno. Il 23 ottobre 2011, nell’am-bito della manifestazione “Gli occhi nel parco” hocondotto una visita guidata, alla presenza di un pub-blico numeroso e interessato, anche all’interno dialcuni ambienti dell’ex monastero, per conto delGruppo Archeologico Ferrarese. A tale riguardovoglio ringraziare la dott.ssa Carla Lanfranchi diret-trice del G.A.F e la dott.ssa Raffaella Bivi dell’ AUSL..

BIBLIOGRAFIA: A. Ostoja - Il monastero di SanBartolo / G.M.Parpaglini - San Bartolo / C. Nagliati -Chiesa di San Bartolo: rilievo, analisi e progetto di restau-ro / S. Pasi - La pittura monumentale in Romagna e nelFerrarese fra IX e XIII secolo / AA.VV. Chiese e mona-steri di Ferrara - Devozione Storia Arte di una città dellaFede.

Dall’alzato di Andrea Bolzoni

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di Claudio Gamberoni

Dalla finestraLa luce di questo tramonto inondail mio sguardo e gli arrossati tettiappaiono come immobili ondedi un pietrificato mare squarciatoda profonde voragini che precipitegiù scendono fino alle strade,alle piazze, a quei fiumi di magma,a quei crateri ove il tempo gorgoglia.

È là che sta la vita,in quei luoghi d’incontro e di scontro,in quel caos di esseri che si toccano,si guardano e come i cani s’annusano. Làdove nasce l’effimero attimo.Quell’attimo effimero che col sanguee le unghie di ricordi graffia

il marmo e la pietra.

Là, là vibra la vita.Non dentro alle scatole parlanti.Non dentro ai circuiti stampatima in quel continuo scavare e seppellireuccidere e partorire… la vitaè quell’annullare il presente nel ricordo

della parola.

Di quella Parola che da laggiù grido,come anima nella carne incarnandosiVerso sale fin qui sopra questi tetti,Paradiso di miagolanti randagi gatti

innamorati.

di Antonio Breveglieri

Iris

Nodo alla golalacrime al viso.Nessun respironel tuo corponé vita sul tuo muso.Immobile, sul prato,il vento t’accarezzail manto bianco,dagli alberi,un pianto.Vorrei chiamarti,tornare al gioco,ahimè!Sublime è statoil nostro tempo,ma troppo poco.Natura ti diede vita breve,di anni insiemene avrei voluto ancora.Non c’è felicitàche duri il tempo di un sorriso,d’un balzo agiledi gioia.

Tempo

Nel silenzioascolto i suoni dell’esistenzache intorno respirafruscio di goccequando cade la pioggiatra le foglie.Il canto dei grillinelle notti d’estate.Il crepitio della fiamma,nel camino,a riscaldare gli inverni.Rintocchi di campana,voci del tempoche passa sulla vita.

Gianni (John) Deserri, Archeotritone (terracotta, resina e sabbia).

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POES

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di Raoul Rimessi

C‘era un soleC’era un sole da spaccare le selciUn mare patinato che pareva d’olioUna calma addirittura tetraDa mettere apprensione.

Uccelli e cani s’erano zittiti e di bimbi neppureL’ombra, negli squallidi cortili polverosiDi palazzi-alveare privi d’aria:D’una foglia verde sinonimo di vita.

Persino l’ambulante venditore di gelati e granite aBasso costo aveva smesso l’allettante suoInvito. Sorpreso e confuso cercai...Quando d’aria un fresco soffio

Dal torpor mi scosse. Vidi alzarsi dalla linea convessaDove il cielo cade in mare, una diga nero-blu;Sviscerata da guizzanti balenii a fuocoBianco, mentre, un sordo rumore

Di rocce rotolanti spingeva verso me quella massa scura.Atterrito...! Secca la bocca, gli occhi sbarrati, leMani sudate... piegai le ginocchia nel segnoCristiano pensando a me stesso.

Al perché soltanto in questi momenti d’angosciose paure,L’uomo s’accorge di non essere immortale.

DispregioNel fiume morente, vittima sceltaDi un progresso selvaggio,

Si specchia deturpato, il voltoDi un pianeta offeso

Sogghignante vendette.

Sporcizia marcia, marcia lenta sopraQuell’acque miscellate a nafta,E putredine riposa nel letto

Del re moribondo.

Materassi e divani escrementati, gonfiE rigonfi come annegati anonimiAlla deriva... che decomponendosiInsozzano vieppiù la fonte regale:

Refrigerio di vita.

In quell’acque d’azzurri brillanti, ch’eranParadisi a cielo aperto, s’aggruppano oraArredi di fretta gettati – figli legittimiDi un consumismo mirato – ove fetidoIntorno ristagna... afrore di morte.

Sono infine contenitori fluttuanti veleniNella corrente del fiume agonizzante adAmmorbare ogni sussurro di vita.È l’insensato dispregio d’una umanità

Frettolosa...Intenta a sopprimere ogni cosa che palpitaE, stupidamente, anche se stessa.

Gianni (John) Deserri,Comunicazione aerea

(terracotta bianca, carta giornale, resina).

di Rita Marconi

NebbiaLa nebbiacopre i campispruzzati di neve

così vienel’invernosopra i filari desertie i fruttetispogliati dal vento

una calmadi ghiacciosi adagia al bordodei fossi

e la brinadisegna tra i rovil’eternità.

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POES

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di Matteo Pazzi

A P.IArrivi sempreun po’ prima delle 8del mattino –iocanzoneche nessunomai canta,tu bellissimatu velocetu sorriso biondocome i tuoi capelliin un mondod’inchiostro nerotu sguardoprofondo come un desiderioespresso subito dopoaver visto una stellacaderetu libera –incontrare una personae avere la sensazionedi conoscerlada sempre –conoscere una personae provare l’assurdasensazionedi trovare la propria cittànello sguardodi un altromondo

IIRespiro come essere impigliato in una rete,stella immobilecome una sega elettricacane randagio eocchio sempre apertofiore germogliatofra due mattonila menzogna del cementocancellata di colpo daun paio di scarpe consumatela strada affogain un punto esclamativo ela lacrima è il daziodel muratore impazzito.

IIIPreghiera di sasso preso a calci,la tua presenza di cartaed io fiammifero accesoaccanto a te,leggibili solo nel nostro volareverso il basso e l’altocome cenere e fumoe liberi entrambisolo nel nostro essereuna stella in sella a uno sguardo.

di Uta Regoli

Il sole – anche la notteNon è la luce biancadi un giorno di nebbianon è la luce freddadel neon della salané la luce tremantedella candelanel buio di un bistroe neanche il sole generosodella mattina –è la luce dentroche apre le porte e fa strada.

di Alessandro Moretti

SospesoSospeso tra infiniti labirintidi finti pensierie fosche luciin orizzonti selvaggi.

Dove sono?

Accecato dal silenzio,che purifica l’animada chimeriche paroledi un sogno disatteso.

Dove sei, lettore?

In una gocciache si allontana da un rivo,in una scintillache gronda calorein un refoloche si allenta con l’alito del vento.Nella pancia del mio cuore,che ascolta la voce,ancora,finché può.

Dov’è la poesia?

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di Emilia Manzoli

La foce del PoI salici piangentilungo le verdi rive piatte,carezzano coi ramile acque calme e silenti,del grande fiume alla foce.Sotto i pioppi impettiti,verdi cespugli e nidi di garzette.Fenicotteri e gabbianifrugano tra il fango,dove emergono, qua e là,sassose, piccole isolette.Pace, silenzio,leggero sciabordiofra tronchi abbattuti;sospiro del vento.Improvvisi frulli di ali,lontani stridii di richiamo,sfiorano leggeriquesto istante di stupore incantato.

C’era una voltaC’era una voltaun cuore appassionatoche cercava il mio calore,la mano di un bambinoche stringeva la mia mano,la voglia di vivere,l’ansia di baciare;un canto, un sorriso,una carezza,un’infinita tenerezza;un sogno, una speranza.C’era una voltae ora non c’è più.

di Alberto Canetto

Filante odeRitornoda lontananze siderali,dove pulsavano,quali fili attorcigliati,i pensieri.Cauto li slego,li riuniscoin fili di speranzae rientronei caldi spazi dell’anima,mentre mi canta dentrola musica del cuore.In silenzioso ascoltopercepisco note lente,soavicome un fruscio di foresta,tintinnanticome scroscio d’acqua alla sorgente.Mi raggomitolo in gocce di rugiadae, in trasparenza di luce,vibro per la Tua Presenza,o mio Signore!

Gianni (John) Deserri, Emozioni danzanti(terracotta bianca).

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A Ferrara ci sono molte porte d’a-more: porte chiuse, sbarrate, mu-rate, dimenticate, che un tempoconducevano ad ambienti oggiabbandonati al loro destino.Le desolate soglie di quelle porte,dalle quali non entra né più escenessuno, sono i prediletti luoghi diritrovo degli innamorati. E su quelleporte gli innamorati hanno lasciatotestimonianza dei loro amori: a vol-te felici e a volte disperati.Questo libro mostra alcune di quel-le porte d’amore, che ancora reca-no scritte poesie appassionate etormentate, voci di gioia e di dolo-re. Comunque parole d’amore.

Riccardo RoversiPorte d’amoreEste Edition, 2012

Gianni (John) Deserri, Prometeo (terracotta, ferro).

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di Enrico Pedrazzi

Vòt ad Mars

Dòon, incò a l’è al vos diMa av piasarisa c’al fusa no amma quast chiPar vialtar tüt i di ad l’an i’èn impegnàPar dimustrà la vostra dispunibilità.Al laur, i fjò, la schola, la cura ad la ca,stirà, lavà... l’òom da cuntintà.Incò si un po’ rabià...ma la gentilasa in dall’iv lasà?I bòon manér ghi sémpar da mustràS’al fi no vialtar chi è c’al l’à da fa?A l’è dificil in co’ d’una jurnàcon tut qual che la vita l’à riseràE po’ a la fei d’al mes gh’è ancasì da rivàI salt murtal si fi no vialtarChi è cal’ià da fa?Cara i me dòon, a st’è tranquil,sarì ben cunsidràAl vòt al mars, co’ un ramat ad mimusaI v’an bèi e che cuntintà.Ma dal rèst i vos nòn nanca quast i gh’evanepura i’àn sémpar scusà.

di Luciano Montanari

Du francìś al marcà

Du turista francìś, marì e mujér- a m’arcòrd béŋ , cmè s’al fus sta iér -na matìna, scarp a tènis e na tuta,j'à fat uŋ źir int al marcà dla fruta,e quand j’à vist na zésta pina ad nuśi s'è guardà int la faza, i du bèi spuś.La mujér, piutòst iŋcuriusìda,la ciapà su na nusa con dó didae, col so italiàŋ piutòst francéś,la gh’à dit al marcantìŋ fraréś:- È s’è che s'è cèt soś così dura?1

Sèt n’è pa a manjé, n’è pa matura!2

- Quéla l’è frutta, cara la mié sgnora,mò la part dura l’è la gusa ad fóra:l'è déntar al malùm bóŋ da magnàr!Al marì, ad più curióś , l’à vlèst dmandàrnutìzi su sta fruta par lu strana(lu al tgnuséva sól la vó e la banana...),e alóra al fa, dezìś: - Comàŋ s’apèl?3

Al marcantiŋ algh rispond: - Veh, barbastél!...ill nuś i ŋ’s’péla brìśa, mò ill sa schìza!- Ches che tu di? Ches che tu di? Comàŋ?4

- Col maŋ, coi pié, striflàd s’al tlar d’na fnèstra!Schizàd con la sinistra o con la destra!- Jé vó te dir che jé n’è pa comprì!5

Al marcantìŋ alóra al fa: - Scolta mò chì,se t’an ill cómpar brìśa, laséŋ star,a gh’è tant àltra źént ch’ill pòl cumpràr!

Otto di Marzo

Donne, oggi è il vostro giorno,ma Vi piacerebbe che non fosse solo questo.Per Voi, tutti i giorni dell’annosono impegnati per dimostrare la vostra disponibilità.Il lavoro, i figli, la scuola, la cura della casa,stirare, lavare, l’uomo da accontentare... oggi siete un po’ arrabbiate,ma la gentilezza dove l’avete lasciata?Dovete sempre mostrare le buone manierese non lo fate voi, chi lo deve fare?È difficile nel corso di una giornatacon tutto quello che la vita vi ha riservato.E poi alla fine del mese c’è anche da arrivarei salti mortali se non li fate voichi è che li deve fare.Care le mie donne, state tranquille,con un rametto di mimosavi hanno belle che accontentate:ma del resto, le vostre nonne,neanche questo avevano,eppure hanno sempre scusato.

Un sunét dal Paradíś

La zòca la s’cunsùma piaη pianìη,pugiàda su a uη bèl mùć ad bràś;i źógh dal fùm i s’pèrd int al camìηe a s’aspargùgna un udór ad pàś.

Ormai l’è quàśi dì… cóm a stagh béηcucià al cald, tut dstéś sul mié stramàz,luntàη da la zità, dal graη caśìη,int al mié nid, aηch s’à gh’ò sól du straz!

A spost la ténda, anzi… uη tandìη,par védar cùsa gh’è dadnaηz a cà:iηsiém al Sól, sul prà e sul źardìη,

i fiùr j’am par tut quant impiturà.Al Sgnór l’am guarda, là dal Paradìś:“Móvat e và a lauràr!” l’am diś.

1 Qu’est-ce que c’est cette chose? = Che cos’è questa cosa?2 Cette n’est pas à manger, n’est pas... = Questa non è da mangia-re, non è...3 Comment s’appèle? = Come si chiama?4 Que c’est que tu dis? Que c’est que tu dis?... Comment? = Checosa dici? Come?5 Je veux te dire que je n’ai pas compris = Voglio dirti che non hocompreso.

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MEMORANDUM: appuntamenti con la CulturaEVENTIBiblioteca Comunale Bassani e“G.S.F.” organizzano il laboratoriopoetico Incontrando poesia. Seiappuntamenti presso la BibliotecaBassani, ore 17 (16 e 23 febbraio; 1, 8,15, 22 marzo) con Riccardo Roversi,Roberta Fava, Alessandro Moretti eRita Montanari.

“Associazione Culturale Gruppo delTasso” presenta In gran segreto, ras-segna di poesia contemporanea2012, ogni primo venerdì del mese,presso il Teatro anatomico dellaBiblioteca Ariostea, ore 17-19.La rassegna si concluderà l’11 gen-naio 2013 con la partecipazione diRoberto Pazzi.

CONSIGLI DI LETTURAGiovanni Citterico,All’ombra delle anime buone,Este Edition, 2011

Lidia Chiozzi, Riflessi dell’anima,TLA Ed., 2011

Eraldo Vergnani, Semplici parole,Badiglione Ed., 2011

Marco Vaccari, Scrutando l’animo,Este Edition, 2011

Edoardo Penoncini, Un anno senzapretese, Ibiskos Ulivieri, 2011

Alberto Astolfi, Ferrara nel GrandTour dei viaggiatori francesi,Este Edition, 2011

Francesco Ottanà, Paisi, una storia,BookSprint, 2011

Gabriele Astolfi, I cani non fanno cola-zione, Este Edition, 2011

COMUNICAZIONILa rivista l’IPPOGRIFO è un organodell’Associazione Gruppo ScrittoriFerraresi ed è perciò tenuta alla pub-blicazione dei testi degli associati, pur-ché questi rispondano ai principi statu-tari.Tutte le collaborazioni alla rivista sonogratuite. I testi proposti al comitatoeditoriale devono essere inediti, incaso contrario la responsabilità ricadesull’autore.

Per ricevere le notizie e gli appunta-menti direttamente sulla tua casella diposta elettronica, puoi iscriverti allanewsletter “scrittori ferraresi” gestitadal Gruppo Scrittori Ferraresi.

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La rivista, distribuita gratuitamentefino ad esaurimento copie, è reperibilepresso:• Cassa di Risparmio di Ferrara

(c.so Giovecca, 65);• Biblioteca Ariostea;• Cartolibreria Sociale

(c.so Martiri della Libertà);• Libreria Feltrinelli;• Libreria Mel Bookstore;• Libreria Sognalibro (via Saraceno, 43);• Este Edition (via Mazzini, 47);• Associazione Gruppo Scrittori

Ferraresi (via Mazzini, 47);• Club Amici dell’Arte

(via Baruffaldi, 6);• Centro Artistico Ferrarese

(Via Garibaldi, 122);• Fioreria Alloni (viale Cavour, 82);• La Bottega del Pane (via Arianuova,

58/A; C.so Isonzo, 115; via Borgodei Leoni 55 (ang. piazza Tasso);via Mazzini, 106; via G. Fabbri).

• Sul sito del Comune di Ferraraall’indirizzo:www.comune.fe.it/associa/scrittori_ferraresi/index.htm

Testi informatizzati e comunica-zioni possono essere inviati, oltreche su supporto CD (preferibil-mente)/floppy e in cartaceo allasegreteria dell’Associazione, viaMazzini 47, 44123 Ferrara, e anchevia e-mail al seguente indirizzo:[email protected].

I S C R I Z I O N I 2 0 1 2Si ricorda che la quota d’iscrizioneper l’anno sociale 2012 è di € 40(€ 20 per minorenni); la suddettapuò essere erogata:1. direttamente in Segreteria(via Germoglio, 16);2. mediante versamento su c/c ban-cario n. 13105-4 della Cassa diRisparmio di Ferrara, Agenzia 5, viaBarriere 12-26, intestato a “Ass.Gruppo Scrittori Ferraresi”, IBANIT48G0615513005000000013105;3. presso la Casa Editrice Este Edi-tion, via Mazzini 47;4. presso Libreria Sognalibro(via Saraceno, 43);5. durante le manifestazioni pro-grammate dall’Associazione.

LA SEGRETERIA DELL’ASSOCIAZIONE GRUPPO SCRITTORI FERRARESIHA SEDE IN VIA MAZZINI, 47 - FERRARA

TEL. 339 6556266 - FAX 0532 206734MAIL: [email protected]

IL NUOVO ORARIO DI APERTURA AL PUBBLICO È:MARTEDÌ 10,30 - 12,00 VENERDÌ 15,30 - 17,00

Page 28: BIMESTRALEDI LETTEREE CULTURADEL GRUPPO SCRITTORI FERRARESI

Ma se desir pur hai d’un elmo fino,trovane un altro, et abbil con più onore;un tal ne porta Orlando paladino,un tal Rinaldo, e forse anco migliore:l’un fu d’Almonte e l’altro di Mambrino:acquista un di quei duo col tuo valore;e questo, c’hai già di lasciarmi detto,farai bene a lasciarmi con effetto.

L. Ariosto, Orlando Furioso, canto I, XXVIII