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STAGIONE 2016/2017 BIG BANG di Lucilla Giagnoni Libretto di sala a cura di Claudia Braida Mercoledì 1 marzo 2017 Ore 21.00

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STAGIONE 2016/2017

BIG BANG di Lucilla Giagnoni

Libretto di sala a cura di Claudia Braida Mercoledì 1 marzo 2017

Ore 21.00

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di e con Lucilla Giagnoni

collaborazione al testo Maria Rosa Pantè

collaborazione alla drammaturgia scenica Paola Rota

musiche originali Paolo Pizzimenti

scene e luci Massimo Violato

produzione Fondazione Teatro Piemonte Europa e Torino Spiritualità

con il Patrocinio del Centro UNESCO di Torino

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Penso a Federico II. Si racconta che l’imperatore avesse chiuso

alcuni neonati in una torre affidandoli ad una nutrice

che non avrebbe dovuto far mancare loro nulla, né cibo né igiene,

ma con una unica regola, quella di non rivolgere loro la parola.

Pare che dopo un anno i bambini fossero tutti morti.

Se non c’è cura si muore e cura non vuol dire solo mangiare e bere,

ma fornire gli strumenti per decodificare il mondo.

L’uomo è un essere simbolico: il bambino che non ha la capacità

di leggere ciò che ha dentro tirerà pugni, non potrà elaborare

la materia oscura di cui siamo anche fatti.

Il percorso culturale comincia proprio con la prima parola

che la madre rivolge a suo figlio. Com’è possibile allora

fare a meno della cultura?

Lucilla Giagnoni

Le risposte sono quelle della religione, la nostra tradizione biblica, in particolare i brani della Genesi che narrano la creazione; quelle della poesia e del teatro seguendo la visionarietà metafisica di Dante e la concretezza delle passioni umane in Shakespeare; infine quelle della scienza attraverso la figura di Einstein che in sé compendia le ricerche della fisica sull'infinitamente grande (relatività) e infinitamente piccolo (meccanica quantistica). Il percorso teatrale intreccia questi tre linguaggi, le loro risposte, si accosta il paradosso del gatto vivo gatto morto (meccanica quantistica) all'essere o non essere di Amleto; il tema del tempo viene esemplificato dall'ansiosa attesa di Giulietta; la materia oscura è anche nelle parole di Lady Macbeth e la luce è sostanza dell'ultima parte del canto 33 del Paradiso. Le parole che presentano lo spettacolo Big Bang le ho scritte io. Conosco bene lo spettacolo, fin nelle pieghe più intime, nei suoi risvolti, nelle sue origini e nel suo attuale cammino. Lo conosco bene perché ho contribuito a costruirlo, a scriverne i testi. Innanzitutto il tema è bellissimo: le origini, l'inizio. Proprio ora che si sfiora l'Apocalisse a ogni piè sospinto, guardare all'inizio potrebbe aiutarci a capire la strada giusta. È stato bellissimo intrecciare i tre linguaggi: scienza, religione, letteratura e scoprire un argomento affascinante, strabiliante come la meccanica quantistica. Scrutare l'infinitamente piccolo per me è stato ancor più emozionante dell'infinitamente grande. Ma è appunto la mia opinione. In secondo luogo è recitato benissimo da una grande, una delle più grandi attrici di teatro presenti oggi sulla scena italiana. Scrivere per lei è stata un'emozione

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fortissima, perché lei sa trasformare ogni parola in un canto, sa darle ritmo e forza e potenza. Chi sospetta che io parli solo per amicizia o perché ho collaborato con lei, spero mi smentisca andando a vedere Lucilla Giagnoni dal vivo. Vedremo se potrà dirmi che ho esagerato. Lucilla non è però “solo” attrice è anche autrice, il progetto è suo. In terzo luogo belle sono le luci di Massimo Violato e stupefacenti le musiche di Paolo Pizzimenti. Lo spettacolo emoziona, cattura, avvolge. Intere platee sono state in silenzio a sentire di fisica e religione e di Shakespeare prese nella rete della magia del grande teatro.

Maria Rosa Pantè

Lucilla Giagnoni, chi sono

Sono sposata con un musicista, Paolo, e ho una figlia di diciotto anni che si chiama Bianca. Nella lontanissima gioventù, quando avevo 19 anni, ho frequentato la Bottega di Gassman a Firenze, dove ho incontrato e lavorato con Gassman, appunto, Paolo Giuranna, e soprattutto con la grande attrice francese Jeanne Moreau. Dal 1985 al 2002 quasi tutto il mio lavoro si è concentrato sull'attività del Teatro Settimo, la compagnia teatrale torinese diretta da Gabriele

Vacis. Ho partecipato alla creazione di quasi tutti gli spettacoli prodotti da Settimo, che non solo hanno fatto tournée in tutta Italia, ma hanno girato moltissimo anche all'estero, vincendo premi nazionali ed internazionali (UBU, Biglietto d’oro, Waves in Danimarca, miglior spettacolo al festival di Edimburgo ecc.). Ci sono stati però altri incontri altrettanto significativi; per esempio: con Luigi Squarzina con cui ho lavorato nei Sette a Tebe all'Olimpico di Vicenza; con Franco Piavoli con cui ho realizzato il film Nostos; con Nicola Campogrande, il giovane compositore, di cui sono la voce recitante nelle opere Macchinario, La voce delle nuvole, Alianti ecc.; con Alessandro Baricco in Totem; con Paola Borboni, all'inizio della mia attività, con Incontro al parco delle terme; con Giuseppe Bertolucci con cui ho girato il film Il dolce rumore della vita; con Katie Mitchell regista della Royal Shakespeare Company, al Piccolo Teatro di Milano, con cui ho lavorato nel gennaio del ‘99 in Tracce di Anne di M. Crimpt; con Marco Balliani, con cui ho realizzato Anni di vento; con Sebastiano Vassalli, per avere

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messo in scena il suo romanzo La chimera; con Marco Ponti che mi ha voluta nel suo film A/R andata e ritorno; con Alessandro Benvenuti regista di Califfa tratto da La Califfa di Alberto Bevilacqua in cui ho interpretato la parte della protagonista; con il mitico dj di radio Deejay Alessio Bertallot con cui ho creato eventi speciali come Disco Inferno, dalla Divina Commedia e Manoscritti inutili sul futurismo; con Fabrizio Bosso e il suo quartetto che, con me come attrice protagonista, è diventato un “quintetto jazz” in Chet viaggio al termine della musica; con Antonella Ruggiero, con lo spettacolo Mater; con la figura del cardinale Martini con lo spettacolo Martini e gli altri del Festival di Spoleto, Fondazione Corriere della sera e Piccolo Teatro di Milano; con l’orchestra e i registi del Teatro Regio di Torino con il Don Giovanni di Mozart. Un progetto teatrale a cui ho dedicato circa dieci anni è stato Paesaggi, uno studio sulla terra in cui vivo, condotto a fianco del regista Bruno Macaro, con cui ho scritto e realizzato una narrazione, Terra d’acqua, un monologo, Nudo su paesaggio, con la collaborazione alla drammaturgia e alla scrittura di Michela Marelli e gli spettacoli Atlante e Manuale per fondare una città, nel progetto che comprende anche una ricerca compiuta attraverso laboratori teatrali effettuati in tutta Italia. Ho partecipato ad Interferenze un progetto di Assemblea Teatro presentato durante le Olimpiadi di Torino. Altri spettacoli degli ultimi anni sono: Othello, produzione M.A.S Juvarra; Chimera, che ha vinto di recente il Premio città di Novara; Qualcuno era... Giorgio Gaber, Tangram Teatro; Genesi tratto da La passione secondo G.H. di Clarice Lispector; Marylin; ma soprattutto: Vergine madre, produzione M.A.S Juvarra, il mio lavoro tratto dalla Divina Commedia, spettacolo scritto e composto da me, che sicuramente fra tutti più mi rappresenta e che, registrato per la televisione-Rai 2, ha vinto il premio Persefone 2007 come miglior spettacolo teatrale in televisione. Poi Big Bang il racconto della creazione delle Stelle e del Mondo attraverso la scienza, la teologia e la poesia e Apocalisse, il racconto della Fine. Vergine madre, Big Bang e Apocalisse sono un progetto organico che ho chiamato Trilogia della spiritualità. Il mio ultimo lavoro: Ecce Homo è ciò che amo di più adesso. Ho aperto un nuovo percorso di scrittura e ricerca che ho chiamato Meditazioni. Non sono veri e propri spettacoli, ma riflessioni antropologiche, storiche e poetiche. Inoltre mi piace cimentarmi con letture-spettacolo sui temi che mi stanno più a cuore: Donne, Acquad’oro, C’era una volta mia madre, Francesco e l’infinitamente piccolo, Antonia Pozzi.

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Sono autrice di trasmissioni radiofoniche RAI, dove ho lavorato anche come attrice, I Cicci Skicci (una trasmissione per bambini); Giada, un varietà con Banda Osiris, Luciana Littizzetto, Marco Paolini, ecc. E Lucilla G., una trasmissione di Radio2 di cui sono autrice e voce sola. Sono autrice anche di trasmissioni televisive per bambini: Glu, Glu per RAI SAT; e C’è una favola per te la rete satellitare Netsystem. Ho partecipato a Teatri alla radio, un progetto di teatro radiofonico diretto da Luca Ronconi dove ho realizzato Le intellettuali di Molière con Ottavia Piccolo e Massimo Venturiello e La cimice di Majakoswkij, con V. Franceschi e M. Bartoli, con la regia di G. Vacis. Del 2000 è la realizzazione per RAI3 della registrazione televisiva dello spettacolo Adriano Olivetti. Del 2007 è la realizzazione per RAI2 della registrazione televisiva del monologo Vergine Madre. Del 2011 quella del monologo Big Bang.

Lucilla Giagnoni: il suo mondo in un’intervista Lucilla Giagnoni, attrice. Ma è una definizione troppo stretta per una professionista del teatro che ha alle spalle un percorso come il suo, fatto non solo di recitazione ma anche e soprattutto di ricerca. Fiorentina, sposata con Paolo Pizzimenti (che compone le musiche originali per i suoi spettacoli) e madre, ha iniziato a recitare appena dopo il liceo nella Bottega di Gassman, lavorando con lo stesso Gassman, Paolo Giuranna e Jeanne Moreau. Fino al 2002, per quasi vent’anni, ha lavorato con Teatro Settimo, per iniziare poi una ricerca, più che una carriera, da ‘solista’. La incontro appena dopo le prove e quando iniziano le domande le parole le escono di bocca immediatamente, naturali, con una chiarezza limpida, parole poetiche quasi. Attrice da sempre praticamente; da dove è nata la scelta di dedicarsi completamente al teatro? C’entra molto il liceo classico, che ho frequentato. Studiavo molto, un sacco di ore, mi chiamavano addirittura “occhiaie lucide”, sono uscita con il massimo dei voti,... ma dopo il diploma c’è stato un momento in cui ho pensato che tutto questo studiare, che tutto questo sapere, dovesse per forza incarnarsi in qualcosa, oggettivarsi. Da questo la scelta del teatro, tutto si è incarnato nel corpo e nel corpo continuo a imparare, semplicemente in maniera diversa.

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Ha frequentato la scuola di Vittorio Gassman e Jeanne Moreau, ha lavorato vent’anni con la compagnia torinese Teatro Settimo. Ma nel 2002 arriva la svolta, inizia a lavorare da sola. Perché la scelta del monologo? Dai vent’anni con Teatro Settimo ho imparato tutto, ma soprattutto la cosa fondamentale: l’essere attrice sarebbe stato mio solo se mi fossi occupata di tutto, produzione, ricerca di fondi, scrittura, drammaturgia... Ho capito che per essere attrice devi saper fare l’artista, saper creare le condizioni per essere artista, fin dalle coordinate della concretezza, come i fondi per gli spettacoli per esempio. Da Teatro Settimo ho imparato questo, di dover conoscere tutto il percorso. A questo punto il monologo era diventato una strada obbligata: volevo sentire che voce aveva la mia voce. Per vent’anni avevo lavorato a una voce collettiva, era il momento della mia voce. Nei suoi monologhi però compare un altro protagonista oltre all’attrice: la musica. Quando fai un monologo sei una voce da sola. C’è anche la voce del pubblico, certo, ma arriva alla fine, quando interagisci con lui. La musica è invece il secondo interlocutore fondamentale. Nel mio caso è chiaro, ho cominciato a scrivere monologhi circa quando ho iniziato a lavorare con mio marito, musicista. Avevo bisogno di una voce che mi sostenesse ma allo stesso tempo mi lasciasse libera. Con il tempo Paolo è diventato il secondo attore. Alcune volte gli propongo un mio testo e lui scrive la musica, ma spesso arriva prima la musica, dopo che gli ho sottoposto il progetto generale dello spettacolo, e poi ci scrivo sopra il testo. La musica arriva prima delle parole. Un esempio su tutti: tutti i finali dei miei spettacoli sono nati solo dopo la composizione delle musiche. Nei suoi spettacoli dialogano continuamente minimo tre “voci”: letteratura, teologia e scienza. Perché? Teatro viene dal greco “theaomai”, “vedere”: guardare la vita sotto la lente d’ingrandimento, come in un laboratorio. Anche la scienza guarda la vita sotto un vetrino e anche la teologia, il discorso sacro su Dio , non la religiosità; sono rappresentazioni che l’umano si fa del mondo e del modo in cui vive. La nostra scienza è giovanissima, figlia del Seicento, mentre la teologia è molto antica, eppure tutte e due danno all’umano la possibilità di vedere il mondo diversamente. Pensiamo alla visione dell’universo nel ‘600, la terra è una virgola nell’universo tutto, contrapposta alla visione medievale dove la terra è al centro, nel perfetto disegno di Dio; davanti all’uomo seicentesco si apre un abisso ma invece di farsi risucchiare decide di sovrastarlo. La stessa voragine la troviamo nel ‘900 ma qui l’uomo precipita, nel relativismo, nell’esistenzialismo, nel nichilismo. Scienza e teologia consegnano all’umano rappresentazioni del mondo e di conseguenza cambiano il modo di stare al mondo. Scienza e teologia sono meccanismi teatrali.

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Il mito canta molti aspetti dell’umano e del divino: la guerra, l’amore, la mostruosità, la morte, l’amicizia, gli atti estremi, il coraggio, la sofferenza,... Qual è il personaggio classico cha la colpisce di più? Medea. Medea è la quintessenza di ciò che è il mito: non è giudizio, non c’è etica, non c’è un disegno finalistico; siamo uomini, con luce e ombra, e il mito ci ritrae. Per il mito non importa ciò che è giusto o ciò che è buono ma ciò che è umano, altrimenti non riuscirei mai a recitare Medea, che uccide se stessa nei figli, vittima e carnefice. Il teatro non si pone limiti morali o estetici, è importante solo ciò che è chiaro narrativamente. È luogo di grande libertà, comprende l’umano a 360 gradi, non c’è ideologia... perché il teatro è l’uomo. Il nostro mito quotidiano, il titolo di un suo spettacolo, contiene due parole che per molti sarebbero in contraddizione, mito e quotidiano: il mito per molti è vecchio, pagano, dotto, mentre il quotidiano è oggi, ciò che conta... In qualsiasi pratica umana, dalla mamma che dà da mangiare al bambino piccolo, si applica un meccanismo narrativo. Qualsiasi vita, per riuscire a comprendere sé stessa, si racconta. Se la storia, come sostengono alcuni, è solo fatti privi di senso, il compito dell’uomo è inanellarli; l’uomo racconta per dare ordine di senso. Il mito, con le sue storie di uomini e dei che sono uomini, cerca di dare un senso a ciò che è più oscuro, a quella nostra parte di ombra. Il mito, dicevo, non giudica, perché il male è parte del vivere: Zeus stupra, le ninfe offendono... Il mito è un inconscio collettivo che ci fa comunità, che ci fa diventare parte di un sogno comune o di un incubo comune; ma l’incubo è anche un percorso di salvezza, perché la capacità di dargli un senso alla luce di un racconto serve a renderlo inoffensivo. Nel terzo millennio, che senso ha ancora il mito? Può aiutare il nostro mondo, certamente in crisi? Nella nostra ultima fase di vita societaria stiamo facendo degli errori: abbiamo medicalizzato tutto, perché la scienza ci ha dato un senso di onnipotenza e di controllo su tutto. Certe azioni inspiegabili le attribuiamo a una pazzia (Hitler, la tortura, gli stermini,...) ma rimane la domanda: perché è pazzia?. E come rispondiamo? Chiudiamo fuori i mostri. Il mito invece, che purtroppo non riconosciamo più, ha la capacità di macinare e masticare (non di giustificare); può quasi impedire questi eventi estremi, perché li narra prima e narrandoli non c’è bisogno che avvengano. Ogni bambino ancora oggi è incantato dalle storie mitologiche: il mito è un luogo di racconto meraviglioso, dove non tutto è comprensibile ma tutto è da ascoltare. Come può cambiare il mondo? Il mondo è come noi vogliamo che sia, è l’oggettivazione di un’individualità, di un’interiorità. Il mito è proprio il punto di unione fra interno e esterno, incubo e

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coscienza, narrazione e scienza, individuo e collettivo. E in questo atto cura, perché è il ritorno all’unità, all’armonia con il vivere. Dal 2002 lavora a una serie di spettacoli-monologhi, “Vergine madre”, “Big Bang” e “Apocalisse”... una trilogia che più che una serie di rappresentazioni sembra una ricerca... Anche in questo c’entra il mito. Perché c’è un mito fondatore della nostra civiltà occidentale, l’11 settembre 2001; sono eventi epocali dove ognuno può dire cosa stava facendo esattamente, eventi che hanno manifestato una svolta di una civiltà sull’orlo del collasso, che non dialoga più. L’11 settembre ero a casa, la bambina stava guardando i cartoni animati in salotto; nel pomeriggio telefona un amico per avvisarmi del disastro e mi precipito in soggiorno dove mia figlia stava guardando tranquillamente quelle immagini catastrofiche delle torri gemelle. Subito la mia mente si è fatta prendere da quell’immaginario bellico, preparare gli alimenti, ripararsi, ma la mia parte irrazionale mi ha detto chiaramente: non farti prendere dall’inferno. Evitare l’inferno, indicare una via d’uscita. Da questo nasce “Vergine Madre”, uno spettacolo sulla Divina Commedia, per riportare Dante a una bellezza quotidiana, il poeta che spinge a cercare un’uscita dall’inferno. Poi non ho fatto altro che stare in ascolto: Dante chiude ogni cantica con la stessa parola, “stelle” e così ho guardato gli astri, obbediente a Dante. E’ nato “Big Bang”: ho trovato la scienza, ho deciso di farla dialogare con la Genesi, e per farlo ho studiato l’ebraico biblico, ho scoperto che è un libro molto più denso, più ricco, di come ce lo aspettiamo. E per finire il percorso “Apocalisse”, per scoprire che non vuol dire veramente “fine”. Dodici anni di quella che lei ha chiamato “Trilogia della spiritualità”... Sì, sempre per andare avanti. La definizione “spiritualità” nasce dal fatto che abbiamo bisogno di questo; il mondo vuole negare il nostro essere simbolici, la ricerca disperata di un senso delle cose... Simbolici nel significato etimologico, mettere insieme le cose, essere il punto di unione fra interno ed esterno. Oggi viviamo al 10 per cento. Dobbiamo solo sondare l’altra parte dell’iceberg.

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PER APPROFONDIRE

Ciò che mi divide da molti dei cosiddetti atei è un senso di estrema umiltà verso i misteri inaccessibili dell’armonia del cosmo. La venerazione di una forza che va oltre qualunque cosa noi possiamo comprendere è la mia religione. In questo senso sono effettivamente religioso. L’esperienza più bella che ci è dato di avere è il mistero della vita; il sentimento profondo che

troviamo alla radice della vera arte e della vera scienza. Ignorarlo, perdere il senso dello stupore e della meraviglia significa quasi morire, cessare di vedere. Sapere che esiste qualcosa che ci è impenetrabile, conoscere le manifestazioni dell’intelligenza più profonda e della bellezza più sublime, accessibili alla nostra ragione solo nelle loro forme più primitive, questo forma il contenuto della religiosità.

A. Einstein

All’inizio

Ecco allora che il mosaico della storia del mondo comincia a delinearsi con chiarezza; da una fase primordiale caldissima e densissima durante la quale il tutto era un miscuglio di particelle, antiparticelle e radiazione emerge, un universo composto di soli gas leggeri, idrogeno ed elio, e di radiazione ora libera di propagarsi senza incontrare ostacoli. L’universo ha quindi inizialmente una composizione molto semplice e uniforme, ma piccole fluttuazioni in densità danno origine, per effetto dell’attrazione gravitazionale, ad una struttura sempre più frammentata e complessa, composta di stelle e di raggruppamenti di stelle, le galassie, anch’esse raggruppate in ammassi di galassie in una sorta di struttura gerarchica cosmica. Le stelle più massicce producono al loro interno, per fusione nucleare, gli elementi chimici a noi noti che poi, con l’esplosione della stella che li aveva generati, si spandono nello spazio ‘fertilizzando’ – per così dire – l’universo. Da quel materiale cosmico arricchito si formano stelle di seconda generazione che, sin dall’inizio della loro vita, hanno all’interno una maggiore varietà di elementi chimici – in particolare carbonio e ossigeno – oltre agli elementi primordiali idrogeno ed elio. Le nuove stelle possono quindi effettuare cicli di fusione

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nucleare più efficienti e produrre con più facilità e rapidità gli elementi chimici. Si creano così le condizioni necessarie per la formazione di molecole più complesse che, con tutta probabilità, si assemblano all’interno di nubi di gas presenti tra stella e stella, dove le condizioni di densità e di temperatura favoriscono i processi di sintesi. Di fatto, le osservazioni dettagliate di queste “nubi molecolari interstellari” hanno rivelato innanzitutto la presenza di molecole d’acqua e poi di una lunga serie di molecole organiche, composte principalmente di carbonio, idrogeno e ossigeno. Ora sappiamo che la formazione di una nuova stella è sempre accompagnata dalla formazione di un disco di gas e polveri che ruota attorno alla stessa. Gli astronomi li chiamano dischi proto-planetari, perché da essi avranno poi origine i pianeti. Fino a qualche decina di anni fa, la presenza di sistemi planetari diversi dal Sole era più che altro un ipotesi plausibile, ma oggi, grazie soprattutto alle osservazioni del satellite americano Kepler, collocato in orbita nel 2009, sappiamo che i “pianeti extrasolari” sono più la regola che l’eccezione. Se nella nostra galassia si stima vi siano 200 miliardi di stelle, è facile dedurre che vi saranno più di mille miliardi di pianeti e tale numero sale a dismisura se estendiamo il calcolo a tutte le galassie dell’universo. È quindi sempre più plausibile che una consistente frazione dei sistemi extrasolari sia simile alla nostra Terra, per dimensioni, composizione, atmosfera e distanza dalla stella “madre”. Ed è allora del tutto logico chiedersi se, di fronte a questo quadro generale, non sia altrettanto plausibile attendersi che la vita biologica si sia sviluppata anche in altre zone remote del cosmo. […] Quali riflessioni nascono dal modello cosmologico attuale? Senz’altro l’evidenza, ormai scientificamente inequivocabile, che l’universo è un “tutto” in continua evoluzione, un fatto che rispecchia l’intuizione primitiva contenuta nell’etimologia della parola (universo = ciò che ruota unitariamente). Unitarietà dell’evoluzione significa anche che non possiamo fermarci al cosmo ‘inanimato’: abbiamo visto come la formazione degli elementi chimici fondamentali per la vita avvenga all’interno delle stelle in una precisa fase dell’evoluzione cosmica e come i ‘mattoni’ della vita, le molecole organiche, si aggreghino grazie alle particolari condizioni fisiche presenti nelle nubi molecolari interstellari e giungano sulla superficie di pianeti ‘abitabili’ come la nostra Terra, trasportate, con tutta probabilità, da nuclei di comete che, formatesi nella nube

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proto-planetaria, in epoche remote cadevano con grande frequenza sui pianeti in via di formazione. Dal punto di vista scientifico non vi è quindi soluzione di continuità tra l’evolvere del cosmo e l’emergere della vita biologica: allo stato attuale, le condizioni e i processi responsabili di tale sviluppo non sono ancora stati individuati con sufficiente precisione. In realtà non possiamo sapere se riusciremo a ricostruirli sulla base degli indizi e dei reperti riguardanti la storia del nostro pianeta, ma non possiamo nemmeno escluderlo. Ancora più elusiva, sempre dal punto di vista del metodo scientifico, è la comparsa dell’uomo e della coscienza di sé. Tralasciando l’analisi dei singoli passaggi nel corso dell’evoluzione e considerando il suo flusso globale dal tempo più remoto che riusciamo a documentare con l’osservazione (13,8 miliardi di anni fa) fino ad oggi, le domande che sorgono spontanee sono: se le condizioni iniziali fossero state leggermente diverse, in che modo il cosmo attuale sarebbe diverso da quello che conosciamo? E, analogamente, se potessimo riavvolgere il nastro dell’evoluzione e lo facessimo ripartire con le medesime condizioni iniziali, ritroveremmo oggi la vita biologica e l’uomo sulla terra?

F Serafini P. Benvenuti, Genesi e Big Bang, ed. Cittadella, 2013

DALLA RASSEGNA STAMPA

Una grande Giagnoni alla conquista della luce, di Osvaldo Guerrieri, La Stampa Che coraggio, cara Lucilla Giagnoni, il monologo Big Bang! È roba da far tremare i polsi di chiunque desideri raccontare su un palcoscenico la nascita e lo sviluppo del cosmo. Magari Piergiorgio Odifreddi ci imbandirebbe la sua sontuosa tavola di logico-matematico, ma un attore abituato a misurarsi con sentimenti

ed emozioni, conflitti umani e voli fantastici, via, non è di tutti i giorni. E invece la Giagnoni, con il sostegno produttivo della Fondazione Teatro Piemonte Europa, la collaborazione di Maria Rosa Pantè, la consulenza di Alba Zanini, offre all’Astra fino a domenica una gloriosa eccezione. Mescolando l’esperienza privata con il sapere scientifico, le scritture bibliche della Genesi con la grande poesia, la Giagnoni racconta l’immenso involucro che ci contiene e gli sforzi compiuti

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dall’essere umano per dargli una spiegazione e trovargli un senso. Il suo discorso teatrale si snoda su tre elementi: la luce, il buio e il tempo. Ricorda l’infinito buio delle origini e la luce che all’improvviso (“fiat lux”) ha scardinato quella massa scura con i mondi e le galassie che formano il cosmo. L’estesissima materia che fa da faccia visibile all’antimateria è tenuta in equilibrio da leggi che hanno a che fare con l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Ed ecco perciò Einstein con la legge della relatività, ecco Planck con la teoria dei quanti. Ed ecco come, in una specie di viaggio a ritroso, dall’infinitamente grande possiamo retrocedere all’infinitamente piccolo, anzi all’impensabilmente piccolo, ossia al nucleo che conteneva tutti i mondi possibili e la cui esplosione (“tutti i fotogrammi di un film proiettati contemporaneamente”) consente oggi alla Giagnoni di raccontare queste cose e a noi di ascoltarla. La nascita del cosmo è un enigma dal quale non è possibile evadere. Gli scienziati lo hanno posto al centro dei loro laboratori, ma anche i poeti si sono misurati con la fisicità che scivola nella spiritualità, con le tensioni interiori che rinviano alle tensioni stellari. La Giagnoni crea spazi per Dante e l’ultimo canto del Paradiso, e anche per Shakespeare, di cui evoca Amleto con il celebre monologo, Romeo e Giulietta, Macbeth. L’attrice dà molto e chiede molto. Si porta ai limiti della dicibilità teatrale e con questa sfida priva di toni intimidatori conduce il pubblico dentro i vertiginosi bagliori delle stelle. Lucilla Giagnoni “BIG BANG”, www.teatrodeinavigli.com, 22 gennaio 2016 “Io ora so che non raggiungerò mai la mia radice, ma che la mia radice esiste. Non conoscerò mai il mistero che sta là in fondo al buio, ma so che una verità c’è”.

Ad aprire la Stagione Teatrale Magenta Cultura2016, promossa e sostenuta dal comune di Magenta, venerdì 22 Gennaio 2016 alle ore 21.00 al Teatro Lirico (Via Cavallari 2) uno spettacolo unico, di e con Lucilla Giagnoni, realizzato con il Patrocinio dell’UNESCO, Big Bang. Lo spettacolo, una produzione Fondazione Teatro Piemonte Europa, porta in scena l’eterna domanda dell’individuo di fronte all’infinità, al mistero dell’universo, su su fino al momento dell’inizio: perché nella scoperta di come tutto potrebbe essere iniziato si potrebbero trovare indizi su come eventualmente finirà. In concreto chi si pone queste domande è una donna, una madre. Cerca una risposta interrogandosi su tre concetti fondamentali dell’esistenza – la luce, il

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buio e il tempo – in un percorso che mette a confronto tre diversi linguaggi: il testo sacro della tradizione biblica, la poesia (la visionarietà metafisica di Dante e la concretezza delle passioni umane in Shakespeare) e la scienza, attraverso la figura di Einstein. Il percorso teatrale intreccia questi tre linguaggi e le loro risposte: si accosta il paradosso del gatto vivo gatto morto della meccanica quantistica all’essere o non essere di Amleto; il tema del tempo viene esemplificato dall’ansiosa attesa di Giulietta; la materia oscura è anche nelle parole di Lady Macbeth e la luce è sostanza dell’ultima parte del canto 33 del Paradiso Dantesco. Lo spettacolo approda ad una nuova consapevolezza: non potremo mai raggiungere le nostre radici, ma sappiamo che esistono; non potremo mai conoscere i misteri in fondo al buio, ma sappiamo che una verità deve esistere. Lucilla Giagnoni, amatissima e stimata attrice nel territorio, si è formata con professionisti di fama internazionale, tra cui Gassman, Vacis, Squarzina, Ronconi, Baricco, Mitchell, Vassalli, Ponti e Benvenuti. È autrice di trasmissioni radiofoniche RAI, dove ha lavorato anche come attrice in un varietà con Banda Osiris, Luciana Litizzetto, Marco Paolini. È autrice anche di spettacoli televisivi per bambini e ha partecipato a produzioni del Piccolo Teatro di Milano. Ha realizzato ben ventiquattro produzioni teatrali e tutti i suoi principali spettacoli sono stati poi pubblicati su DVD. “Big Bang” teatrale di Lucilla Giagnoni, di Marco Ragni, www.weekendetempolibero.com Il secondo spettacolo della “Trilogia della Spiritualità” è un elegante gioco retorico

“Big Bang”, secondo capitolo della cosiddetta “Trilogia della Spiritualità” di Lucilla Giagnoni, è andato in scena questa settimana al Teatro Sociale di Stradella. Già lo scorso anno l’attrice aveva portato sullo stesso palco “Apocalisse”, lavoro finale del trittico. Per il 2014 ci aspettiamo dunque di vedere anche “Vergine Madre”, completando a ritroso le tappe dell’opera. Come si evince dal titolo i punti focali dello spettacolo sono la creazione e l’universo ma l’abbraccio è molto ampio e cinge con una riflessione lunga due ore il senso della vita, l’arte, la scienza, la religione.

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Sola su un palco quasi completamente spoglio – in scena ci sono un leggio e uno schermo bianco che raccoglierà i sapienti giochi di luce – la Giagnoni inizia dialogando con il pubblico come se si trattasse di una normale conferenza. Durante la premessa l’attrice spiega cosa ha dato origine alla trilogia (i fatti dell’11 settembre), parla della figlia Bianca e si addentra man mano nella vastità di un argomento che va dall’infinitamente piccolo della meccanica quantistica all’infinitamente grande della relatività. Con la bravura interpretativa che la contraddistingue, l’artista recita con passione e coinvolgimento, reggendo un intricato gioco retorico che cerca e “trova” punti comuni in argomenti apparentemente molto diversi. Così le teorie di Einstein e della scienza possono sposare l’arte di Shakespeare e le parole della Genesi biblica, in un intreccio eterogeneo tenuto insieme dalle argomentazioni dialettiche della Giagnoni. Le musiche di Paolo Pizzimenti e le luci di Massimo Violato contribuiscono a caricare di fascino la già rimarchevole interpretazione della protagonista che passa dai monologhi del Bardo ai versi della Divina Commedia, tessendo legami ammalianti – ma a volte troppo fragili – tra i diversi mondi chiamati a far parte del suo spettacolo. Così tutto si svolge come un elegante gioco di prestigio, non sempre credibile ma capace fino in fondo di calamitare l’attenzione del pubblico. Un visionario Big Bang di e con Lucilla Giagnoni al Teatro Civico di Sinnai, la redazione di www.teatro.it, 11.febbraio 2013 Fascino e mistero dell'origine del mondo a partire da uno spettacolare "Big Bang": Lucilla Giagnoni sarà protagonista domenica 10 febbraio alle 19 sul palco del Teatro Civico di Sinnai, per la Stagione 2012-13 a cura de L'Effimero Meraviglioso (con la direzione artistica di Maria Assunta Calvisi). Una pièce originale che guarda alla scienza e alla filosofia, per esplorare l'universo a partire da ciò che è più profondamente umano, alla scoperta dei meccanismi della vita: un affresco della realtà conosciuta e dei confini del sapere, nel conflitto tra percezione sensibile, tradizione e intuizione, ragione ed emozioni. Prodotto dalla Fondazione Teatro Piemonte Europa e Torino Spiritualità, con il Patrocinio del Centro UNESCO di Torino, il "Big Bang" di e con Lucilla Giagnoni si avvale della collaborazione al testo di Maria Rosa Pantè e della collaborazione alla drammaturgia scenica di Paola Rota; le musiche originali sono di Paolo Pizzimenti, scene e luci di Massimo Violato. Scrive Lucilla Giagnoni: «Il mio spettacolo Vergine Madre è stato un lavoro sulla Divina Commedia di Dante. La Divina Commedia indica il FINE ultimo dell’Uomo. Big Bang è una ricerca sugli INIZI a partire dall’ultima parola della Commedia

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STELLE. Con la Divina Commedia si spalanca una nuova era. L'uomo non si accontenta più di contemplare Dio. Inizia a scrutare con sguardo nuovo il cielo e col tempo, con i calcoli, con le nuove matematiche, con le nuove tecnologie, scopre che l’incorruttibilità della sfera stellare non è affatto incorruttibile. I cieli del medioevo cambiano. Ecco che l’universo non è più il nido costruito intorno all’uomo, rappresentato in funzione dell'’uomo. Se lo scopo del teatro, agli inizi come ora, è stato sempre ed è di porgere uno specchio alla natura, se troveremo la formula che cercava Einstein che concili meccanica quantistica e relatività, infinitamente piccolo e infinitamente grande, allora si apriranno nuovi Teatri del Mondo e, sono sicura, potremo guardare di nuovo con fiducia al nostro guscio di noce». LUCILLA GIAGNONI: L'APOCALISSE CI SALVERÀ, la redazione di www.famigliacristiana.it, 27. Marzo 2012 «Il pubblico ha sete di spettacoli che diventino strumenti di crescita», dice la regista-attrice, fra i protagonisti dei "Teatri del sacro" che si svolgerà a Roma e Milano.

Mentre la terza edizione di I teatri del sacro, rassegna biennale organizzata da Federgat (Federazione gruppi attività teatrali), diretta da Fabrizio Fiaschini, si svolgerà nel 2013 a Lucca, una selezione dei vincitori delle edizioni 2009 e 2011 viene rappresentata a Roma (dal 28 marzo al 26 maggio) e a Milano (dal 27 marzo al 4 aprile e, in concomitanza con il VII Incontro Mondiale delle Famiglie, dal 30 maggio al 3 giugno). Un’occasione, che unisce le due città, per confrontarsi sui temi della spiritualità e per riflettere su inquietudini e speranze dell’uomo contemporaneo con spettacoli che spaziano dai testi biblici alle tradizioni popolari, dalla prosa alla danza, dal teatro ragazzi al teatro di narrazione. Tra gli altri Apocalisse, ultimo lavoro scritto e interpretato da Lucilla Giagnoni che, dopo vent’anni di esperienze con Teatro Settimo, insieme alla sua “famiglia artistica” composta da Gabriele Vacis e Laura Curino, in seguito all’11 settembre 2001 intraprende un percorso autonomo di riflessione costituito da una trilogia: Vergine Madre, Big Bang e Apocalisse. I suoi ricordi si sovrappongono a quelli di molte persone: «Mia figlia aveva 4 anni e, mentre guardava i cartoni animati in tv, sono apparse in diretta le immagini del crollo delle Torri gemelle. Ho avuto una reazione, oltre che personale, come artista sentendo la necessità di uscire dall’inferno in cui stavamo precipitando e ho pensato a Dante che ci ha mostrato una via per uscire dall’inferno, così ho realizzato uno spettacolo intorno alla Divina Commedia, intitolato Vergine Madre, in cui una voce femminile ripercorre sei episodi in una sorta di commedia umana strutturata per temi: il viaggio

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nell’aldilà, la Donna (Francesca), l’Uomo (Ulisse), il Padre (Ugolino), la Bambina (Piccarda), la Madre (Vergine Madre nella preghiera di San Bernardo). Lucilla Giagnoni recita poi Big Bang sulla creazione del mondo e rielabora in un personale adattamento, studiando anche l’ebraico, l’Apocalisse, unendo il testo biblico all’Edipo re di Sofocle. «Tratteggio - prosegue - un percorso di conoscenza di sé, scoprendo che l’Apocalisse che chiude le scritture per i cristiani, diviene una rivelazione che è il primo significato del termine greco, un togliere il velo e svelare la verità. In un mondo di ciechi che credono di vedere e, dunque, di sapere, il mistero si rivela solo a chi sappia guardare, a chi abbia occhi nuovi. Cecità e Rivelazione fanno pensare al personaggio del teatro greco Edipo». Il pubblico «cerca spettacoli che diventino strumento di crescita; soprattutto nel periodo di Quaresima, che una volta era interdetto agli artisti, ora si assiste a un fiorire di iniziative». Dedicandosi sia alla scrittura che alle tournée, con un marito musicista, collaboratore anche dei suoi spettacoli, la Giagnoni confida: «Mia figlia quindicenne, crescendo sta acquistando tanta autonomia e comprensione della situazione di avere due genitori spesso in viaggio di lavoro, e d’estate ci segue, tanto che è diventata un fonico! Prima scriveva, adesso è interessata alla parte tecnica, è divertente vederla che tira cavi».