Biblioteche reali, biblioteche immaginarie · «Meravigliosissimo tempio di morte»: ... UNA...

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a cura di Anna Dolfi Biblioteche reali, biblioteche immaginarie Tracce di libri, luoghi e letture FIRENZE UNIVERSITY PRESS

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Anna Dolfi

Biblioteche reali,biblioteche immaginarie

Tracce di libri, luoghi e letture

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FIRENZEUNIVERSITY

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MODERNA/COMPARATA

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MODERNA/COMPARATA

COLLANA DIRETTA DA Anna Dolfi – Università di Firenze

COMITATO SCIENTIFICOMarco Ariani – Università di Roma III

Enza Biagini – Università di FirenzeGiuditta Rosowsky – Université de Paris VIII

Evanghelia Stead – Université de Versailles Saint-QuentinGianni Venturi – Università di Firenze

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Firenze University Press2015

Biblioteche reali, biblioteche immaginarie

Tracce di libri, luoghi e letture

a cura diAnna Dolfi

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Certificazione scientifica delle OpereTutti i volumi pubblicati sono soggetti ad un processo di referaggio esterno di cui sono responsabili il Consiglio editoriale della FUP e i Consigli scientifici delle singole collane. Le opere pubblicate nel catalogo della FUP sono valutate e approvate dal Consiglio editoriale della casa editrice. Per una descrizione più analitica del processo di referaggio si rimanda ai documenti ufficiali pubblicati sul catalogo on-line della casa editrice (www.fupress.com). Consiglio editoriale Firenze University PressG. Nigro (Coordinatore), M.T. Bartoli, M. Boddi, R. Casalbuoni, C. Ciappei, R. Del Punta, A. Dolfi, V. Fargion, S. Ferrone, M. Garzaniti, P. Guarnieri, A. Mariani, M. Marini, A. Novelli, M.C. Torricelli, M. Verga, A. Zorzi.

© 2015 Firenze University PressUniversità degli Studi di FirenzeFirenze University PressBorgo Albizi, 28, 50122 Firenze, Italyhttp://www.fupress.comPrinted in Italy

Biblioteche reali, biblioteche immaginarie : tracce di libri, luoghi e letture / a cura di Anna Dolfi. – Firenze : Firenze University Press, 2015.(Moderna/Comparata ; 10)

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ISBN 978-88-6655-864-4 (print)ISBN 978-88-6655-865-1 (online PDF)ISBN 978-88-6655-866-8 (online EPUB)

Progetto grafico di Alberto Pizarro Fernández, Pagina Maestra snc

Volume pubblicato con il contributo di:Associazione “Centro Internazionale di Studi Giuseppe Dessí” Fondazione Dessí Regione Sardegna Fondazione Banco di Sardegna

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INDICE

PREMESSA di Anna Dolfi 13

LIBRI O BIBLIOTECHE? UN PERCORSO PER RIFRAZIONI

LEGGERE BIBLIOTECHE E LIBRI DI LIBRI 25Enza Biagini

1. Effetto-biblioteca 262. Metaluoghi ed «eterotopie» 313. «Erano vivi e mi hanno parlato» 384. «Metaforologia» 445. Biblioteche da romanzo 53

«IL TEATRO DELLE IDEE»: LA BIBLIOTECA 69Attilio Mauro Caproni

OMBRE DI CARTA E CELLULOIDE 77Hans Tuzzi

ATTRAVERSANDO LE BIBLIOTECHE 81Gianni Venturi

BIBLIOFILI, BIBLIOMANI, TRA «INCONTOURNABLES» E «MARGINALIA»

TRIMALCHIO, BIROTTEAU, GATSBY. QUELQUES REMARQUES SUR LA BIBLIOTHÈQUE DU PARVENU 97Riccardo Donati

LA VOCE E LA BIBLIOTECA. BIBLIOFILIA, BIBLIOMANIA, MALINCONIA NELL’OTTOCENTO FRANCESE 109Michela Landi

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8 BIBLIOTECHE REALI, BIBLIOTECHE IMMAGINARIE

LA DINAMICA DEGLI OPPOSTI NELLA BIBLIOMANIA DI PONTIGGIA 133Francesca Bartolini

«CERCHEZ LES LIVRES» SULLE TRACCE DELLA BIBLIOTECA

DINO CAMPANA: PER UNA BIBLIOTECA GLOBALE 151Christophe Mileschi

PARALLELI IMPROBABILI: PAVESE, D. H. LAWRENCE, DRIEU 163Anco Marzio Mutterle

«IL GALATEO IN BOSCO». PRESENZA DEGLI IPOTESTI EPONIMIFrancesco Vasarri

1. Della Casa, Zotti e gli altri. Situazione intertestuale del «Galateo in Bosco» 173

2. Il «Galateo» nel Bosco. Presenza testuale di una matrice negativa 1803. Quel che resta dell’«Oda» e del Montello: l’etica del cliché tra

salvaguardia e smantellamento 192

«LIVRES DE CHEVET»: LIBRI DELLA STESSA MATERIA DI CUI SONO FATTI I SOGNI. RIFLESSIONI BIBLIOFILE SU «SOGNI DI SOGNI» DI TABUCCHI 207Riccardo Greco

DI BESTIA IN BESTIA, DI LIBRO IN LIBRO. IL MANIERO-BIBLIOTECA DI MICHELE MARIAndrea Gialloreto

1. Collezioni, cataloghi, reperti: tracce di una «biographia literaria» 2172. Gli «aoristi mostruosi»: l’archeo-manierismo di Michele Mari 2263. «Meravigliosissimo tempio di morte»: un gotico da biblioteca 232

BIBLIOTECA IMMAGINARIA O INDICE IPOTETICO? DA «CAOS CALMO» A «TERRE RARE», LE CITAZIONI NEI ROMANZI DI VERONESI 243Nives Trentini

BIBLIOTECHE RICOSTRUITE BIBLIOTECHE RITROVATE

LIBRI, LETTURE E POSTILLE NELLA GENESI DI UN’OPERA IL CASO DELLA BIBLIOTECA DI VITTORIO ALFIERI 259Christian Del Vento

GLI SCAFFALI DI SVEVO 279Cristina Benussi

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9INDICE

LE BIBLIOTECHE DI FEDERIGO TOZZI 307Pietro Benzoni

GIUSEPPE DESSÍ, UNA BIBLIOTECA MURATA E LA GENESI DI UN IMMAGINARIO ROMANZESCO 325Anna Dolfi

LA BIBLIOTECA CULTURALE DI MARIO POMILIO 349Luisa Bianchi

TRA REALE E IMMAGINARIO

LA BIBLIOTECA AMBROSIANA NEI «PROMESSI SPOSI» 365Carlo Ghilli – Mauro Guerrini

EPIFANIE DI CARTA. PERCORSI NELLA BIBLIOTECA DI D’ANNUNZIO 377Manuele Marinoni

UN IMMENSO LIBRO PER LEGGERE IL MONDO LA BIBLIOTECA «PARTICULAR» DI PESSOALuca Serando

1. «Tudo tem influência sobre mim»: le letture di Pessoa 3972. Una babele di lingue e letterature 4013. Il Leopardi di Pessoa: tracce di un dialogo ininterrotto 405

PRIMO LEVI, UN «LETTORE STRAMPALATO» 415Federico Pianzola

1. Letteratura greca e latina 4172. La cultura ebraica 4203. Scienza e fantascienza 424

LA BIBLIOTECA DEL MONDO NARRATO DA ITALO CALVINO 429Alberto Cadioli

NELLE BIBLIOTECHE DI UMBERTO ECO «IL NOME DELLA ROSA», E OLTRE 443Ulla Musarra-Schrøder

1. Alla ricerca di un manoscritto 4442. La Biblioteca come cornice dell’indagine poliziesca 4463. Tra l’Abbazia e «La biblioteca di Babele» 4524. Curiosando tra i libri 4595. Dalla biblioteca all’enciclopedia 464

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10 BIBLIOTECHE REALI, BIBLIOTECHE IMMAGINARIE

«IL PONTE. UN CROLLO» DE VITALIANO TREVISAN LES BIBLIOTHÈQUES, SYMPTOMES D’UN EFFONDREMENT POLITIQUE 471Clelie Millner

1. La bibliothèque, arme contre le pays natal 4722. Le pouvoir d’effondrement de la langue nationale 476

«DE’ REMI FACEMMO ALI…». AIUTARSI A VIVERE

DA TOLSTOJ AI «TROPPO POCO PAZZI» SCRITTORI ELVETICI DI SCIASCIA 485Oleksandra Rekut-Liberatore

1. Aprire le porte di una biblioteca 4862. Ivan Il’ič e Ivan Illich 4883. A margine di una biblioteca sul cancro 4964. Il metasaggismo 4995. Sciascia contro Croce 5046. Morire con Pirandello 5087. Satana e il diavolo 5118. Zio Peppe e «Gli zii di Sicilia» 5169. A partire da un’effige 51910. Un’addenda per Frisch 52411. Tra Fritz Zorn e Anders Zorn 526

NEI LAGER, LA BIBLIOTECA REALE 531Nicola Bultrini

ANGELA Y. DAVIS E LE BIBLIOTECHE 545Elisa Lo Monaco

OLTRE IL SIPARIO

TRA PRESUNTA CRONACA E VERA LETTERATURA I MODELLI LETTERARI NASCOSTI DI RUGGERO LEONCAVALLO 557Giovanni Antonio Murgia

1. Pagliacci 5592. Tormenta 567

LA BIBLIOTECA «IMPOSSIBILE» DI CARMELO BENE 577Simone Giorgino

ATTRAVERSO I LIBRI E I FILM IL SAPERE MOLTIPLICATO E DISPERSO DEL NOVECENTOGianni Olla

1. Il sapere turbativo degli archivi. Identità e distopie nelle presenze librarie al cinema 593

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11INDICE

2. L’idolatria del libro: il romanzo come palinsesto cinematografico generatore di altri archivi 599

3. L’Europa, le culture nazionali tra cinema e letteratura: una diversa idolatria 605

4. Il cinema come archivio di storia: un catalogo di immagini/documento 611

5. Impregnarsi di letteratura, di arte e architettura: il post-moderno come emblema della «palinsestualità» totale 612

PROGETTARE, INVENTARE, RISCRIVERE

PSEUDOBIBLIA, RISCRITTURE E PALINSESTI 623Paolo Orvieto

BIBLIOTECHE IMPOSSIBILI. LE BIBLIOTECHE IMMAGINARIE NEI «GRAPHIC NOVELS» 649Mauro Boselli

LE BIBLIOTECHE DIGITALI. TRA REALE E IMMAGINARIO, SULLO SCHERMO DI UN COMPUTERSimone Rebora

1. Le biblioteche del futuro 6632. Il dibattito teorico sulle biblioteche digitali 6683. Il movimento «Open Access» 6734. Le biblioteche digitali e il Web 6775. La sfida dell’automazione: pericoli e opportunità per gli studi

letterari 679

LA BIBLIOTECA DEI FRATELLI GRIMM COME LUOGO REALE E DELL’IMMAGINARIO 685Alfredo Giovanni Broletti

INDICE DEI NOMI a cura di Francesco Vasarri 693

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TRA REALE E IMMAGINARIO

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LA BIBLIOTECA AMBROSIANA NEI «PROMESSI SPOSI»1

Carlo Ghilli – Mauro Guerrini

Tutto il romanzo culmina nella fondazione della Biblioteca Ambrosiana, a coronare il centro ideale del libro, la vita di Federigo Borromeo: biblioteca a cui Manzoni finalmente affida la realizzazione del suo ideale di cultura, non senza puntate polemiche contro la cattiva tenuta delle biblio-teche italiane.

Italo Calvino, Il romanzo dei rapporti di forza

La biblioteca, luogo deputato alla conservazione della cultura scritta, può as-sumere valenze fortemente simboliche e diventare lo spazio letterario in cui un personaggio si rispecchia o in cui lo scrittore trasferisce la propria identità cul-turale, dando consistenza metaforica a una ratio di ordine ideologico, filosofi-co o etico. La biblioteca può assumere il ruolo di mise en abîme di un’epoca e di una cultura, essere un luogo ideale oppure, al contrario, un luogo eccentrico, ambivalente, un segno di una trasgressione irriverente o di una parodia. Le bi-blioteche letterarie assumono pertanto funzioni narrative diverse; suggeriscono spesso la chiave ermeneutica adatta a comprendere il mondo testuale, consen-tono al lettore di collocare l’azione nello spazio e nel tempo del racconto, aiu-tano l’interpretazione del carattere dei personaggi e dei rapporti che li legano2.

I promessi sposi, come ogni altra opera letteraria, sono stati oggetto delle più svariate e contrapposte analisi e interpretazioni3. Suggestiva è quella di Italo

1 Si ripresenta il saggio, rivisto e integrato, dal titolo La Biblioteca Ambrosiana descritta ne I promessi sposi di Alessandro Manzoni di Carlo Ghilli e Mauro Guerrini apparso in prima stesura in La biblioteca e l’immaginario. Percorsi e contesti di biblioteconomia letteraria, a cura di Rossa-na Morriello e Marco Santoro, Milano, Editrice Bibliografica, 2004, pp. 131-146. Gli autori ringraziano Franco Buzzi e Marco Navoni, prefetto e dottore dell’Ambrosiana, per aver letto e commentato il testo, e per aver fornito suggerimenti bibliografici.

2 Cfr. http://www.univirtual.it/corsi/fin02001_l/chemello/m07/07_05.htm.3 I caratteri ideologici del romanzo sono stati analizzati in modi diversi: cfr. Lanfranco Ca-

retti, Manzoni e la critica, Bari, Laterza, 1969. Enrico Ghidetti ha scritto: «Anche lasciando da

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366 CARLO GHILLI – MAURO GUERRINI

Calvino che ravvisa i motivi portanti del romanzo, i temi della parola scritta e della contrapposizione analfabeti/alfabetizzati:

Renzo e Lucia non sanno né legger né scrivere: nei Promessi sposi questo fatto ha un rilievo decisivo cui non mi pare sia stata data la importanza dovuta […]. Non saprei citare un altro grande libro in cui la condizione dell’illetterato sia così presente alla coscienza dell’autore.

Alla luce di quest’interpretazione, la cultura scritta

[…] si presenta sotto un duplice volto: strumento di potere e strumento d’in-formazione. Come strumento di potere è sistematicamente avversa ai due poveri fidanzati […]. Come strumento d’informazione è la sua mancanza che diventa uno dei motivi ricorrenti di questo che è per lunga parte il romanzo d’una lontananza4.

Sempre secondo Calvino l’intero romanzo è inscritto in una biblioteca: quel-la che contiene il manoscritto dell’anonimo, così che libro e biblioteca, intesa come raccolta privata di opere letterarie e come istituzione, ricorrono quali ele-menti topici della narrazione. L’inserimento nel mondo narrato di oggetti del mondo reale (come i libri, gli avvenimenti o i personaggi storici) determina un importante effetto di realtà; è un effetto frequente, connaturato e strategico al genere del romanzo storico che viene definito da Manzoni

[…] un componimento, nel quale riesce impossibile ciò che è necessario; nel quale non si possono conciliare due condizioni essenziali, e non si può nem-meno adempierne una, essendo inevitabile in esso e una confusione repugnante alla materia, e una distinzione repugnante alla forma di un componimento, nel quale deve entrare e la storia e la favola, senza che si possa né stabilire, né indicare in qual proporzione, in quali relazioni ci devano entrare; un compo-

parte le interpretazioni allegoriche del libro che pure impegnarono in diversa misura i commen-tatori del secolo scorso, e la tentazione di vedere nella Lombardia spagnola una metafora della Lombardia austriaca, sembra innegabile che la descrizione impietosa della decadenza della società e del costume della Lombardia del secolo XVII abbia voluto offrire, con la diagnosi di un’antica malattia dell’anima italiana, un contributo alla rigenerazione nazionale attraverso un’indagine sull’alba burrascosa della modernità in Italia settentrionale, più storicamente circostanziata di quanto consentissero le tragedie e le poesie patriottiche. Rappresentando il periodo di massima decadenza della società lombarda, in balia di una classe dirigente tanto arrogante e corrotta quan-to inetta, Manzoni offre il risultato di una approfondita ricognizione della Lombardia contem-poranea, condotta secondo criteri di una psicologia e di una cultura indelebilmente segnate dalla sua formazione illuministica» (Enrico Ghidetti, Progetto, storia e destino di un libro per tutti, in Alessandro Manzoni, I promessi sposi, a cura di Enrico Ghidetti, Milano, Feltrinelli, 2003, p. XII).

4 Italo Calvino, II romanzo dei rapporti di forza, in Atti del convegno manzoniano di Nimega (16-17-18 ottobre 1974), a cura di Carlo Ballerini, Firenze, Libreria editrice fiorentina, 1974, p. 215; successivamente pubblicati nella raccolta di saggi Una pietra sopra, Torino, Einaudi, 1980.

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367LA BIBLIOTECA AMBROSIANA NEI «PROMESSI SPOSI»

nimento insomma, che non c’è il verso giusto di farlo, perché il suo assunto è intrinsecamente contraddittorio5.

Nei Promessi sposi le raccolte librarie sono proposte in almeno tre momenti diversi. La prima nominata è quella del sarto del villaggio, unico popolano let-terato del romanzo, «un uomo che sapeva leggere, che aveva letto in fatti più d’una volta il Leggendario de’ santi, il Guerrin meschino e i Reali di Francia, e passava, in quelle parti, per un uomo di talento e di scienza» (capitolo XXIV):

[…]una biblioteca che raccoglie e accomuna storie sacre e romanzi cavallereschi: affastella insieme un ventaglio di titoli che spaziano dalla cultura devota, in grado di farsi cibo dell’anima, alla letteratura per l’intrattenimento decoroso ed onesto delle classi più umili. Il narratore, precisato che si tratta di libri letti e ri-letti, caricati quindi di una precisa «ritualità culturale», si sofferma con curiosità ad identificarli uno per uno, leggendone a voce alta i frontespizi: il volgarizza-mento della Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, i Reali di Francia di Andrea da Barberino, il Guerrin meschino, fortunato racconto popolare che celebra le gesta eroiche di paladini e cavalieri della tradizione romanza. Una piccola biblioteca in cui la tradizione cavalleresca incrocia la letteratura devozionale6.

La biblioteca del sarto si contrappone idealmente a quella del capitolo XXVII dove «ci viene descritta la biblioteca di don Ferrante, questo catalogo dell’épi-stème rinascimentale che potrebbe entrare in uno dei capitoli de Les mots el les choses di Michel Foucault, e che Manzoni guarda con occhio privo d’ogni pietas storica, come il museo della falsa scienza»7.

Le raccolte del sarto e di don Ferrante8 sono invenzioni letterarie, sono ele-menti verosimili del racconto9; ben diverso è l’inserimento e la descrizione del-

5 A. Manzoni, Del romanzo storico e, in genere, dei componimenti misti di storia e d’invenzione, in Tutte le opere, a cura e con introduzione di Mario Martelli, premessa di Riccardo Bacchelli, Firenze, Sansoni, 1973, p. 1732.

6 http://www.univirtual.itlcorsi/fino2001_I/chemello/m07/07_05.htm.7 I. Calvino, Il romanzo dei rapporti di forza cit., p. 217.8 Sulla biblioteca di don Ferrante cfr. La biblioteca di don Ferrante. Mostra bibliografica,

Milano, marzo 1967, Palazzo Sormani, Milano, coi tipi della Civica tipografia, 1967; Francesco Erspamer, La biblioteca di don Ferrante. Duello e onore nella cultura del Cinquecento, Roma, Bul-zoni, 1982; Lorenzo Stoppato, La biblioteca di don Ferrante. Conferenza, Milano, Tip. Bortolotti, 1887.

9 Spiega Manzoni a proposito del vero storico e del verosimile narrativo: «Per circostanziare, verbigrazia, gli avvenimenti storici, coi quali l’autore abbia legata la sua azione ideale Ce voi ap-provate dicerto, che in un romanzo storico entrino avvenimenti storici), dovrà mettere insieme e circostanze reali, cavate dalla storia o da documenti di qualunque genere, perché qual cosa potrebbe servir meglio a rappresentare quegli avvenimenti nella loro forma vera, e dirò così, indi-viduale? e circostanze verosimili, inventate da lui, perché volete che vi dia, non una mera e nuda storia, ma qualcosa di più ricco, di più compito i volete che rifaccia in certo modo le polpe a quel carcame, che è, in così gran parte, la storia. Per le stesse ragioni, ai personaggi storici Ce voi siete ben contento di trovare in un romanzo storico de’ personaggi storici) farà dire e fare, e cose che

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368 CARLO GHILLI – MAURO GUERRINI

la Biblioteca Ambrosiana. Dal punto di vista narrativo si nota che l’aiuto erme-neutico offerto da Manzoni al lettore non avviene tramite la descrizione della raccolta libraria privata o della produzione intellettuale di Federico, bensì trami-te la descrizione della biblioteca pubblica da lui fondata10. Vi è il passaggio dal verosimile al vero che, dato il valore simbolico della parola scritta, induce alcu-ne riflessioni sul ruolo del personaggio Borromeo e della Biblioteca Ambrosiana all’interno del romanzo.

Nella realtà storica la Biblioteca Ambrosiana viene incrementata da Federico Borromeo; la posa della prima pietra è il 1603, l’apertura al pubblico, con solen-ne inaugurazione e partecipazione cittadina, è l’8 dicembre 1609, festa dell’Im-macolata Concezione11. L’Ambrosiana rappresenta una novità importante in am-bito della Chiesa cattolica, soprattutto all’indomani del Concilio di Trento. È il prodotto di un uomo, di un prelato, dotato di ricchezze familiari consisten-ti che intende compiere un’opera di alto significato culturale; prima di lui, nel 1602, Sir Thomas Bodley aveva realizzato a Oxford un’iniziativa simile, impo-stando una raccolta considerevole che più tardi assumerà, dal nome del fonda-

hanno dette e fatte realmente, quand’erano in carne e ossa, e cose immaginate da lui, come con-venienti al loro carattere, e insieme a quelle parti dell’azione ideale, nelle quali gli è tornato bene di farli intervenire. E reciprocamente, ne’ fatti inventati da lui, metterà naturalmente circostanze ugualmente inventate, e anche circostanze cavate da fatti reali di quel tempo e di quel luogo; perché qual mezzo più naturale per farne azioni che abbiano potuto essere in quel tempo, in quel luogo? Così a’ suoi personaggi ideali darà parole e azioni ugualmente ideali, e insieme parole e azioni che trovi essere state dette e fatte da uomini di quel luogo e di quel tempo: ben contento di poter rendere più verosimili le sue idealità coi propri elementi del vero» (A. Manzoni, Del roman-zo storico e, in genere, dei componimenti misti di storia e d’invenzione, in Tutte le opere cit., p. 1730).

10 Scrive Calvino: «E quando si passa a considerare lo scaffale delle cento opere scritte dal cardinale in persona, Manzoni si tira indietro, non senza averci lasciato capire che la statura di Federigo scrittore non era ahimè paragonabile a quella di Federigo uomo» (I. Calvino, Il romanzo dei rapporti di forza cit., p. 218).

11 Sulla Biblioteca Ambrosiana quale istituzione «reale», cfr. in particolare Alfredo Serrai, Biblioteca Ambrosiana, in A. Serrai, Storia della bibliografia, Roma, Bulzoni, 1988-1999, vol. 5: Trattatistica biblioteconomica, a cura di Margherita Palumbo, 1993, pp. 201-233; Storia dell’Am-brosiana del Seicento, introduzione di Gianfranco Ravasi, Milano, Cariplo, 1992. Federico Bor-romeo fondatore della Biblioteca Ambrosiana. Atti delle giornate di studio 25-27 novembre 2004, a cura di Franco Buzzi e Roberta Ferro, Milano, Biblioteca Ambrosiana; Roma, Bulzoni, 2005; in particolare Franco Buzzi, Il progetto culturale milanese di Federico Borromeo, p. 203-245; Cesare Pasini, Il progetto biblioteconomico di Federico, pp. 247-279; Marco Navoni, Gli uomini di Fede-rico Borromeo. Gli oblati, i primi dottori e i primi conservatori, pp. 281-310; Roberta Ferro, Un dialogo tra intellettuali: la creazione di una grande biblioteca (Federico Borromeo e Giusto Lipsio), pp. 311-349; Pier Francesco Fumagalli, Orientalia Federiciana. Prospettive universali all’Ambro-siana, p. 351-363; Marina Bonomelli, Il progetto editoriale di Federico, pp. 365-401. M. Navoni, Nel quarto centenario dell’apertura della Biblioteca Ambrosiana. L’inaugurazione del 1609 in un documento inedito, in «Archivio storico lombardo», vol. 14, 2009, 135, pp. 25-50. M. Navoni, In margine al IV centenario dell’apertura della Biblioteca Ambrosiana. Un altro documento inedito, in Spicilegium Mediolanense. Studi in onore di mons. Bruno Maria Bosatra, a cura di Fabrizio Pagani, in «Ricerche storiche sulla Chiesa Ambrosiana», 29, Milano, Centro ambrosiano di documenta-zione e studi religiosi, 2011, pp. 225-233.

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369LA BIBLIOTECA AMBROSIANA NEI «PROMESSI SPOSI»

tore, assumerà la denominazione Biblioteca Bodleiana, la prima grande bibliote-ca pubblica in Europa; ugualmente Angelo Rocca innalza a Roma la Biblioteca Angelica nel 1614.

L’istituzione di una biblioteca pubblica non rientra tra le opere evangeliche tipiche di un vescovo, ma si configura piuttosto come il risultato dell’evoluzio-ne del concetto della biblioteca rinascimentale legata al principe. L’Ambrosiana è svincolata dai legami con la Chiesa, non è un’istituzione ecclesiastica (alme-no in senso tradizionale); è, infatti, concepita come un istituto autonomo dalla curia e dalle organizzazioni religiose, come testimoniano la scelta del luogo di edificazione e la gestione improntata a criteri di puro servizio agli studi. Enzo Bottasso commenta che Borromeo «non prese neppure in considerazione l’idea della consueta ala di fabbricato all’interno d’un convento, fra due chiostri tran-quilli e luminosi, per la quale non avrebbe avuto che l’imbarazzo della scelta»12.

La presenza dell’Ambrosiana nel contesto del romanzo è centrale per l’eco-nomia ideologica della narrazione. Secondo Calvino

[…] tutto il romanzo culmina nella fondazione della Biblioteca Ambrosiana, a coronare il centro ideale del libro, la vita di Federigo Borromeo: biblioteca a cui Manzoni finalmente affida la realizzazione del suo ideale di cultura, non senza puntate polemiche contro la cattiva tenuta delle biblioteche italiane. Ma anche qui l’accento batte sullo spirito che anima Federigo nell’ideare e organizzare praticamente la biblioteca, più che sul risultato, sugli effetti che dalla biblioteca si trasmettono alla storia degli uomini13.

La Biblioteca Ambrosiana è introdotta in termini eccellenti, in un contesto di esaltazione della figura di Federico, cugino di Carlo Borromeo, personaggio divenuto presto mitico fra le popolazioni lombarde. Scrive Manzoni di Federico:

Persuaso che la vita non è già destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto, cominciò da fanciullo a pensare come potesse render la sua utile e santa14.

12 Enzo Bottasso, Storia della biblioteca in Italia, Milano, Editrice Bibliografica, 1984, p. 54; cfr. inoltre, E. Bottasso, Manzoni senza “pari”, in «Belfagor», 1947, 2, pp. 18-41.

13 I. Calvino, II romanzo dei rapporti di forza cit., p. 218.14 Poco prima di questa frase si legge: «Nato nel 1564 […]. La sua vita è come un ruscello

che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume. Tra gli agi e le pompe, badò fin dalla puerizia a quelle parole d’annegazione e d’umiltà, a quelle massime intorno alla vanità de’ piaceri, all’ingiu-stizia dell’orgoglio, alla vera dignità e a’ veri beni, che, sentite o non sentite ne’ cuori, vengono trasmesse da una generazione all’altra, nel più elementare insegnamento della religione. Badò, dico, a quelle parole, a quelle massime, le prese sul serio, le gustò, le trovò vere; vide che non potevan dunque esser vere altre parole e altre massime opposte, che pure si trasmettono di gene-razione in generazione, con la stessa sicurezza, e talora dalle stesse labbra; e propose di prender per norma dell’azioni e de’ pensieri quelle che erano il vero». Prosegue: «Nel 1580 manifestò la risoluzione di dedicarsi al ministero ecclesiastico, e ne prese l’abito dalle mani di quel suo cugino

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L’autore presenta il futuro cardinale come un uomo di fede e un uomo di scienza: «La fama crescente del suo ingegno, della sua dottrina e della sua pietà» delineano una strada prevedibile all’interno della Chiesa. Borromeo viene creato cardinale nel 1587 da Sisto V, l’edificatore della grandiosa sala della Vaticana, e nominato arcivescovo di Milano da Clemente VIII nel 1595. Manzoni lo con-trappone a altri intellettuali, rappresentati in una luce estremamente negativa: dal modesto don Abbondio («Carneade: chi era costui?»), al complicato Azzecca-garbugli15, al presuntuoso don Ferrante, tutti descritti come uomini privi di pa-thos, incapaci di capire il mondo circostante, depositari di una cultura stati-ca, vecchia, vigliacca perché soggetta apaticamente al potere e allo status quo. Manzoni iscrive il latinorum di don Abbondio e la perizia giuridica dell’avvo-cato al servizio dei potenti di turno e dell’ingiustizia, critica in modo acerrimo

Carlo, che una fama, già fin d’allora antica e universale, predicava santo. Entrò poco dopo nel collegio fondato da questo in Pavia, e che porta ancora il nome del loro casato; e lì, applicandosi assiduamente alle occupazioni che trovò prescritte, due altre ne assunse di sua volontà; e furono d’insegnar la dottrina cristiana ai più rozzi e derelitti del popolo, e di visitare, servire, consolare e soccorrere gl’infermi. Si valse dell’autorità che tutto gli conciliava in quel luogo, per attirare i suoi compagni a secondario in tali opere; e in ogni cosa onesta e profittevole esercitò come un primato d’esempio, un primato che le sue doti personali sarebbero forse bastate a procacciargli, se fosse anche stato l’infimo per condizione. I vantaggi d’un altro genere, che la sua gli avrebbe potuto procurare, non solo non li ricercò, ma mise ogni studio a schivarli. Volle una tavola piuttosto povera che frugale, usò un vestiario piuttosto povero che semplice; a conformità di questo, tutto il tenore della vita e il contegno. Ne credette mai di doverlo mutare, per quanto alcuni congiunti gridassero e si lamentassero che avvilisse così la dignità della casa. Un’altra guerra ebbe a soste-nere con gl’lstitutori, i quali, furtivamente e come per sorpresa, cercavano di mettergli davanti, addosso, intorno, qualche suppellettile più signorile, qualcosa che lo facesse distinguer dagli altri, e figurare come il principe del luogo: o credessero di farsi alla lunga ben volere con ciò; o fossero mossi da quella svisceratezza servile che s’invanisce e si ricrea nello splendore altrui; o fossero di que’ prudenti che s’adombrano delle virtù come de’ vizi, predicano sempre che la perfezione sta nel mezzo; e il mezzo lo fissan giusto in quel punto dov’essi sono arrivali, e ci stanno comodi. Federigo, non che lasciarsi vincere da que’ tentativi, riprese coloro che li facevano; e ciò tra la pubertà e la giovinezza. Che, vivente il cardinal Carlo, maggior di lui di ventisei anni, davanti a quella presenza grave, solenne, ch’esprimeva così al vivo la santità, e ne rammentava le opere, e alla quale, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe aggiunto autorità ogni momento l’ossequio manifesto e spontaneo de’ circostanti, quali e quanti si fossero, Federigo fanciullo e giovinetto cercasse di conformarsi al contegno e al pensare d’un tal superiore, non è certamente da farsene maraviglia, ma è bensì cosa molto notabile che, dopo la morte di lui, nessuno si sia potuto accor-gere che a Federigo, allor di vent’anni, fosse mancata una guida e un censore. La fama crescente del suo ingegno, della sua dottrina e della sua pietà, la parentela e gl’impegni di più d’un cardinale potente, il credito della sua famiglia, il nome stesso, a cui Carlo aveva quasi annessa nelle menti un’idea di santità e di preminenza, tutto ciò che deve, e tutto ciò che può condurre gli uomini alle dignità ecclesiastiche, concorreva a pronosticargliele. Ma egli, persuaso in cuore di ciò che nessuno il quale professi cristianesimo può negar con la bocca, non ci esser giusta superiorità d’uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio, temeva le dignità, e cercava di scansarle, non certamente perché sfuggisse di servire altrui; che poche vite furono spese in questo come la sua; ma perché non si stimava abbastanza degno né capace di così alto e pericoloso servizio. Perciò, venendogli, nel 1595, proposto da Clemente VIII l’arcivescovado di Milano, apparve fortemente turbato, e ricusò senza esitare. Cedette poi al comando espresso del papa».

15 Cfr. Giovanni Getto, Letture manzoniane, Firenze, Sansoni, 1964.

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l’erudizione sterile di don Ferrante, distaccata dal processo civile, incapace di comprendere la realtà, inclusa l’epidemia di peste. In costoro

[…] la cultura non apre quindi prospettive verso forme più evolute di vita civile, ma contribuisce piuttosto alla distruzione della ragione, configurandosi «ora come mero strumento di sopraffazione ai danni dei più deboli, ora come inutile orpello e oziosa esercitazione sul nulla. E ancora una volta la responsabilità di questo stravolgimento ricade sugli uomini che hanno perduto, salvo casi ecce-zionali, il senso di quell’impegno morale a testimoniare la verità che discende dal messaggio evangelico16.

Commenta Calvino:

Non è soltanto la ripulsa illuministica delle tenebre del passato che anima Man-zoni, ma uno dei motivi ricorrenti della sua polemica morale: il processo alla corruzione della cultura. La cultura è il luogo dove la debolezza umana si mani-festa nelle forme per Manzoni più colpevoli; l’errore della cultura è per Manzoni un segno di condanna, una manifestazione della caduta: da ciò la sua severità nel giudicare scrittori e intellettuali, e il suo duro giudizio sulla decadenza della letteratura italiana cinquecentesca e secentesca17.

L’impegno evangelico si concretizza soprattutto in due figure: fra Cristoforo e Federico Borromeo; la differenza tra loro non è poca. Fra Cristoforo è perso-naggio d’invenzione romanzesca presentato quale modello di vita evangelica; è un santo, un testimone del vangelo che si schiera con gli umili, che abbando-na le vesti borghesi e corrotte dell’assassino di Lodovico per diventare servitore determinato degli oppressi e degli abbandonati. Federico Borromeo è un perso-naggio storico che diviene per volontà e necessità ideologica e narrativa dell’au-tore exemplum di vita cristiana18, incarnazione della morale cattolica e del ruolo che la Chiesa può svolgere nella società per la rinascita civile; è insieme un per-sonaggio reale e d’invenzione letteraria, un modello da proporre al lettore otto-centesco del romanzo. Federico è uno di quegli «uomini rari in qualunque tem-po, che abbiano impiegato un ingegno egregio, tutti i mezzi d’una grand’opu-lenza, tutti i vantaggi d’una condizione privilegiata, un intento continuo, nella ricerca e nell’esercizio del meglio». Il meglio, in questo aggettivo sostantivato si esprime la grande capacità di sintesi artistica ed espressiva dell’autore e il carat-

16 E. Ghidetti, Progetto, storia e destino di un libro per tutti cit., p. XXII.17 I. Calvino, Il romanzo dei rapporti di forza cit., p. 217.18 Federico Borromeo non brillò per lungimiranza e apertura intellettuale ma «è il sistema

dei personaggi ad esigere che la figura del Cardinale si accampi in una luce incondizionatamente positiva. Di fronte all’inettitudine degli uomini di governo laici, il presule esercita una virtù di supplenza inapprezzabile: costituisce l’istituzione ecclesiastica come unico principio d’ordine contro la disgregazione generale dei rapporti civili» (Vittorio Spinazzola, Il libro per tutti. Saggio sui «Promessi sposi», Roma, Editori Riuniti, 1983, p. 197).

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tere immanente e politicamente attualizzato della figura e della simbologia di Borromeo. Il meglio è, infatti, l’operare di Federico secondo fini etici. Egli è il principe positivo che si contrappone ideologicamente e operativamente ai po-tenti del romanzo e che usa «tutti i mezzi d’una grand’opulenza, tutti i vantaggi d’una condizione privilegiata» nella cornice della morale cattolica e soprattutto nella ricostruzione della vita politica e civile19. Poiché

19 Cfr.: «Io […] considererei [le Osservazioni sulla morale cattolica] un precedente mediato dei Promessi sposi, immediato degli Sposi promessi [= di Fermo e Lucia]; ma non teorico, sebbene di tono e di linguaggio, e non di tutti gli Sposi promessi, ma della grande figura di Federigo, prima d’ogni altro (della sua voce), e poi di quelle parti degli Sposi promessi che esorbitano un poco dal romanzo, che non saranno infatti riprese nei Promessi sposi, o vi saranno tutte assorbite; dico le grandi pagine del moralista, del ritrattista, del saggista, dello storico, che fanno blocco nel roman-zo, e lo fanno per un’altra ragione, che offrono l’esempio d’uno scrittore maturo, come maturo non è, invece, dove narra e descrive e rappresenta. È che il moralista, il ritrattista, il saggista, lo storico degli Sposi promessi ha un precedente nel moralista, ritrattista, saggista e storico della Mo-rale cattolica e, in moda a volte più penetrante, nel Discorso sopra alcuni punti della storia longobar-dica in Italia, nella “Prefazione” al Carmagnola, nelle “Notizie storiche” riguardanti il Carmagno-la e l’Adelchi; e il narratore, al contrario, non ha nessun precedente. Precedente, se mai, sarebbe lo studio, per lui assai fruttuoso, attraverso il Vocabolario milanese-italiano del Cherubini, dei dati e dei modi espressivi e narrativi; cominciato certo assai per tempo, ma che si risolse solo per gradi, lentissimamente, da quell’aprile del ’21 che dìè principio alla prima stesura degli Sposi promessi, all’anno ’40 che finiva di licenziare gli ultimi fogli dell’ultima edizione dei Promessi sposi. Più che precedente, dunque, una contemporanea fatica, rimasta in sospeso per giunta, e che il Manzoni continuò di là dal suo mondo dell’arte, come ricerca per se. A noi ha lasciato ciò che è riuscito a finire, ma anche ci ha suggerito che cos’altro voleva e che non gli riuscì; e ce n’è rimasto il segno astratto, lo scatto d’uno sforzo mentale. Intravediamo di là dalla pagina l’insoddisfazione dello scrittore: avesse ragione o torto, è un altro discorso. Dire che nella Morale cattolica preesiste il mondo morale dei Promessi sposi, in tutta la sua lenta formazione, è così semplicemente chiaro che par quasi ingenuo l’affermarlo. Ma la dipendenza tra l’una e l’altra opera s’avviva e quasi mol-tiplica solo per mezzo d’un personaggio, del suo linguaggio, della sua voce; e quel personaggio, s’è già detto, è Federigo Borromeo. Bisognerà dunque dire che non già tutti i Promessi sposi si ritrovano nella Morale cattolica, o se ne trova solo il senso, la legge, la morale; ma si ritrova vivo, parlante, Federigo Borromeo e, dei Promessi sposi, tutto ciò che prende colore dalla sua presenza, da lui s’informa. Diremo, per una reciproca identità, che la Morale cattolica pare quasi tutta detta (nient’altro che detta) da Federigo Borromeo. Perché il Borromeo noi lo conosciamo, certo, in quel memorabile ritratto che è nel XXII dei Promessi sposi, ma più lo conosciamo “in azione”, per usare l’espressione stessa del Manzoni, nei capitoli seguenti, nei colloqui coll’Innominato [cap. XXIII], con don Abbondio i capitoli XXV-XXVI], con Lucia [cap. XXIV e XXV), dunque alla sua voce, che ci par di ritrovare prima nella Morale cattolica e questa voce è il suo contrassegno più vero. Nella Morale cattolica, dunque, opera tutta d’alta oratoria, pur con le necessarie varietà e differenziazioni, o noi sentiamo in anticipo una parte dell’eloquenza di Federigo, e delle sue ragioni; o, per un inganno del tempo, ci par di sentirne la prosecuzione, mossa allo stesso fine, se pur diversa d’accenti. Se poi guardiamo alla qualità della prosa, troviamo, corrispondente a quel tono anzidetto, come una luce diffusa, una quieta luce, un armonioso accordo di parti, la cui bellezza sta nella perfetta e, direi, contenta compenetrazione dell’una coll’altra, quasi specchio d’una superiore altitudine. Solo talvolta, quella pienezza a lungo trattenuta, tumultua, fa impeto. Ricordiamoci di queste improvvise strette, di queste clausole: le parole stesse ne portano il segno» (Giuseppe De Robertis, Primi studi manzoniani, Firenze, Le Monnier, 1949, http://spazioweb.inwind.it/letteraturait/varie/morale.htm).

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[…] di fronte a un fallimento così inespiabile degli uomini di governo laici, l’unica ancora di salvezza è offerta dall’operosità indefettibile dell’istituzione ec-clesiastica. Essa viene personalizzata nel romanzo come una presenza comples-siva, analoga e contrapposta a quella del secolo mondano. Tanto più estranea al potere politico quanto più insediata nell’universo sociale; la Chiesa è tramite organizzato fra l’umano e il divino: per ciò si propone come luogo di tutte le mediazioni, nell’ordine dei rapporti interpersonali. Punto di riferimento per ogni classe, ceto, categoria, non sposa gli interessi di alcun gruppo specifico ma si applica a dirimere i contrasti con un magistero d’insegnamento che riporta i particolarismi privati o castali o corporativi alle necessità primarie del bene collettivo20.

Il bene è il meglio. Il meglio è descritto, un po’ didascalicamente, nella nota biografica sul cardinale, che rappresenta una parte cospicua del capitolo XXII, e in questo meglio la descrizione della fondazione della biblioteca risalta sulle altre opere del cardinale21. La biblioteca rappresenta un aspetto positivo dell’o-pera secolare della Chiesa, che si contrappone all’effetto negativo della secola-rizzazione ed è la dimostrazione dell’animo aperto del cardinale. Federico in-fatti è parco nei costumi e nei consumi, attento alle spese per la propria perso-na, così attento che queste

[…] cure, che potrebbero forse indur concetto d’una virtù gretta, misera, an-gustiosa, d’una mente impaniata nelle minuzie, e incapace di disegni elevati; se non fosse in piedi questa biblioteca ambrosiana, che Federigo ideò con sì animosa lautezza, ed eresse, con tanto dispendio, da’ fondamenti.

La Biblioteca Ambrosiana dimostra la capacità della Chiesa cattolica di proget-tare grandi opere, la sua superiorità operativa che si esplica nel campo dell’assi-stenza e della cultura. In vari capitoli del romanzo Manzoni evidenzia la forza della fede e gli aspetti essenzialmente spirituali di Federico, e nel capitolo XXII esalta la capacità del cardinale di condursi nel tempo tramite questa grande ope-ra architettonica e intellettuale. Da più parti è stato evidenziato lo spirito bor-ghese che anima I promessi sposi e il tentativo di conciliare l’ideale borghese con il cattolicesimo dell’autore. Così

20 V. Spinazzola, Il libro per tutti cit., p. 194.21 Secondo Calvino «attorno a Renzo e Lucia e al loro contrastato matrimonio le forze in

gioco si dispongono in una figura triangolare, che ha per vertici tre autorità: il potere sociale, il falso potere spirituale e il potere spirituale vero. Due di queste forze sono avverse e una propizia: il potere sociale è sempre avverso, la Chiesa si divide in buona e cattiva Chiesa, e l’una s’adopera a sventare gli ostacoli frapposti dall’altra. Questa figura triangolare si presenta due volte sostan-zialmente identica: nella prima parte del romanzo con don Rodrigo, don Abbondio e fra Cristo-foro, nella seconda con l’Innominato, la monaca di Monza e il cardinal Federigo» (I. Calvino, Il romanzo dei rapporti di forza cit., p. 219).

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[…]nel cristianesimo manzoniano l’accento batte sempre sui dati della libertà e del libero arbitrio come fattori di eguaglianza sociale e assieme morale. Vi è connessa una evidente carica di democraticità, per quanto attiene l’organizza-zione della vita civile22.

Il cardinale è un intellettuale che, evidentemente conscio della decaden-za della società e della cultura, opera affinché la rinascita civile del popolo, il «volgo disperso» del secondo coro dell’Adelchi, si fondi anche sulla sua rinasci-ta culturale. Per questo la biblioteca è parte della rappresentazione simbolica del ruolo della Chiesa nel dramma della storia umana e, di conseguenza, chia-ve di lettura della rappresentazione di Federico, e «tutto il romanzo – ricordia-mo ancora il giudizio di Calvino – culmina nella fondazione della Biblioteca Ambrosiana, a coronare […] la vita di Federigo Borromeo». L’Ambrosiana na-sce non in contrapposizione e in concorrenza ad altre grandi biblioteche, ma secondo un progetto pubblico che la distingue e la caratterizza da quelle esi-stenti. Sua natura peculiare è essere centro di raccolta documentaria e centro di produzione di cultura:

Questa biblioteca ambrosiana, che Federigo ideò con sì animosa lautezza, ed eresse, con tanto dispendio, da’ fondamenti; per fornir la quale di libri e di manoscritti, oltre il dono de’ già raccolti con grande studio e spesa da lui, spedì otto uomini, de’ più colti ed esperti che poté avere, a farne incetta, per l’Italia, per la Francia, per la Spagna, per la Germania, per le Fiandre, nella Grecia, al Libano, a Gerusalemme. Così riuscì a radunarvi circa trentamila volumi stam-pati, e quattordicimila manoscritti […]. Alla biblioteca unì un collegio di dot-tori (furon nove, e pensionati da lui fin che visse; dopo, non bastando a quella spesa l’entrate ordinarie, furon ristretti a due); e il loro uffizio era di coltivare vari studi, teologia, storia, lettere, antichità ecclesiastiche, lingue orientali, con l’obbligo ad ognuno di pubblicar qualche lavoro sulla materia assegnatagli.

La polemica con la cultura sterile e la natura storica e insieme ideale del per-sonaggio Federico viene ribadita quando Manzoni scrive:

Basterà il dire che, di nove dottori, otto ne prese tra i giovani alunni del semi-nario; e da questo si può argomentare che giudizio facesse degli studi consumati e delle riputazioni fatte di quel tempo: giudizio conforme a quello che par che n’abbia portato la posterità, col mettere gli uni e le altre in dimenticanza.

La Biblioteca Ambrosiana appare quasi come la ricostruzione dell’ideale classi-co della biblioteca, ovvero della Biblioteca di Alessandria.

Manzoni, tramite la descrizione dell’Ambrosiana, esalta la propria concezio-ne della cultura, quale elemento attivo e illuminante per migliorare la società;

22 V. Spinazzola, Il libro per tutti cit., p. 197.

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costruisce la figura del cardinale Federigo Borromeo quale specchio del suo pen-siero moderno e costruttivo, attribuendogli la medesima concezione funziona-le della cultura. L’Ambrosiana è presumibilmente un pretesto (un pretesto ben scelto) per parlare del rinnovamento del costume culturale che si opponga all’i-gnoranza e soprattutto ai metodi gretti e meschini di settori della società, di cui anche alcune biblioteche sono testimonianza. La Biblioteca risulta infatti opera d’un «principe mecenate» che si sostituisce allo Stato, assente, lontano o imbar-barito (come il malgoverno spagnolo), per offrire ai milanesi, e tramite loro a tutti, una consistente e qualificata raccolta libraria e un luogo di studio efficiente e moderno, in un periodo in cui la società sembra priva di riferimenti istituzio-nali e pervasa da disorientamento etico, civile e religioso, di cui pure la Chiesa cattolica, la cultura e gli intellettuali hanno gravi responsabilità.

Il progetto di Federico è militante e mirato a rendere strettamente connesse cultura documentaria e produzione di nuova cultura, in antitesi con l’uso steri-le della cultura libresca rappresentato da don Ferrante. «Nelle regole che stabi-lì per l’uso e per il governo della biblioteca, si vede un intento d’utilità perpe-tua, non solamente bello in sé, ma in molte parti sapiente e gentile molto al di là dell’idee e dell’abitudini comuni di quel tempo». Se il meglio è l’aggettivo che esprime il valore dell’exemplum federiciano, l’utilità perpetua sembra riecheg-giare lo scopo della letteratura come risulta dalla Lettera sul Romanticismo scrit-ta a Massimo D’Azeglio del 1864: «L’utile per iscopo, il vero per oggetto e l’in-teressante per mezzo». Qui l’utile coincide con la moralità in senso cattolico ed è fine stesso della testimonianza evangelica militante tesa alla formazione delle coscienze; essa è espressione dell’intento secolare, ma soprattutto di una linea di politica culturale che si manifesta tramite la biblioteca che, momento essenzia-le della rinascita sociale, sembra il «qual raggio di sole da nuvoli folti traluce de’ padri la fiera virtù» (Adelchi, atto terzo). Per questo la biblioteca del cardinale militante ha una politica improntata all’aggiornamento della raccolta secondo criteri di apertura alla cultura contemporanea e non finalizzata alla conservazio-ne o alla tesaurizzazione dell’esistente. «Prescrisse al bibliotecario che mantenes-se commercio con gli uomini più dotti d’Europa, per aver da loro notizie dello stato delle scienze, e avviso de’ libri migliori che venissero fuori in ogni genere, e farne acquisto». Accrescimento a cui s’accompagna un pionieristico servizio di reference23. «Gli prescrisse d’indicare agli studiosi i libri che non conoscessero, e potesser loro esser utili». La pubblicità della biblioteca è simbolica della volon-tà politica di rinascita civile: la cultura unisce, non divide, e nello spirito evan-gelico tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio e tutti hanno le medesime op-portunità di crescita culturale senza distinzione alcuna:

23 Servizio di informazione bibliografica; cfr. Shiyali Ramamrita Ranganathan, Il servizio di reference, a cura di Carlo Bianchini, prefazione di Mauro Guerrini, Firenze, Le Lettere, 2009.

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Ordinò che a tutti, fossero cittadini o forestieri, si desse comodità e tempo di servirsene, secondo il bisogno. Una tale intenzione deve ora parere ad ognuno troppo naturale, e immedesimata con la fondazione d’una biblioteca: allora non era così. E in una storia dell’Ambrosiana, scritta (col costrutto e con l’eleganze comuni del secolo) da un Pierpaolo Bosca, che vi fu bibliotecario dopo la morte di Federigo, vien notato espressamente, come cosa singolare, che in questa libre-ria, eretta da un privato, quasi tutta a sue spese, i libri fossero esposti alla vista del pubblico, dati a chiunque li chiedesse, e datogli anche da sedere, e carta, penne e calamaio, per prender gli appunti che gli potessero bisognare, mentre in qualche altra insigne biblioteca pubblica d’Italia, i libri non erano nemmen visibili, ma chiusi in armadi, donde non si levavano se non per gentilezza de’ bibliotecari, quando si sentivano di farli vedere un momento; di dare ai concor-renti il comodo di studiare, non se n’aveva neppur l’idea. Dimodoché arricchir tali biblioteche era un sottrar libri all’uso comune: una di quelle coltivazioni, come ce n’era e ce n’è tuttavia molte, che isteriliscono il campo.

Prosegue Manzoni:

Non domandate quali siano stati gli effetti di questa fondazione del Borromeo sulla coltura pubblica: sarebbe facile dimostrare in due frasi, al modo che si dimostra, che furon miracolosi, o che non furon niente; cercare e spiegare, fino a un certo segno, quali siano stati veramente, sarebbe Cosa di molta fatica, di poco costrutto, e fuor di tempo. Ma pensate che generoso, che giudizioso, che benevolo, che perseverante amatore del miglioramento umano, dovesse essere colui che volle una tal cosa, la volle in quella maniera, e l’eseguì, in mezzo a quell’ignorantaggine, a quell’inerzia, a quell’antipatia generale per ogni appli-cazione studiosa, e per conseguenza in mezzo ai cos’importa? e c’era altro da pensare? e che bell’invenzione! e mancava anche questa, e simili; che saranno certissimamente stati più che gli scudi spesi da lui in quell’impresa; i quali furon centocinquemila, la più parte de’ suoi.

Federico si pone come antesignano della società borghese per cui Manzoni chiosa: «Una tale intenzione deve ora parere ad ognuno troppo naturale, e imme-desimata con la fondazione d’una biblioteca: allora non era così». La biblioteca di Borromeo è un luogo aperto a tutti (certo ancora non ai Renzo e ai Bortolo, alle Agnese e alle Lucia), dove i libri sono esposti all’uso pubblico, dove tutti senza diffe-renza (i tutti sono ovviamente i coloro che sanno leggere e scrivere) possono accede-re ai libri, alla cultura. Chiosa l’autore: «E l’eseguì, in mezzo a quell’ignorantaggine, a quell’inerzia, a quell’antipatia generale per ogni applicazione studiosa». Un giu-dizio sferzante e senza appello nei confronti della società seicentesca. Oggi sarebbe diverso? Creare strutture stabili di conservazione e accesso libero alla cultura signi-fica arricchire, quindi, servire la società. Questa è, secondo noi, la novità introdotta da Federico Borromeo, la novità che Manzoni, scrittore cattolico borghese libera-le progressista, fautore di un risveglio culturale ed etico, introduce con il personag-gio storico letterario di Federico Borromeo, fondatore della Biblioteca Ambrosiana.

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Biblioteche reali, biblioteche im

maginarie –

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Biblioteche reali, biblioteche immaginarie

In uno degli scritti teorici di Calvino troviamo la suggestiva e borgesiana proposta della biblioteca non solo come raccolta di opere, ma come sistema incrociato di combinazioni. La stessa letteratura altro non sarebbe che una biblioteca continuamente soggetta a mutamenti tesi a scalzare gli autori canonici per fare emergere gli apocrifi . Giacché, se la letteratura nasce e si nutre di desiderio, non può accontentarsi del dato, ma proiettarsi nel luogo di quello che non c’è, o che, se anche c’è, è nascosto, ancora invisibile e lontano. Le biblioteche allora non solo sono infi nite, ma cambiano il senso di un libro a seconda della sezione in cui lo dispongono, della collocazione, delle modalità di consultazione e utilizzo, del modo di giocare gli spazi, di aprire/chiudere alla luce, all’ombra (in grattacieli, in sotterranei), facendo della biblioteca un luogo dove libri e lettori interagiscono in spazi talvolta mitici. Raccolta come sono, le biblioteche, per interposto racconto, non solo dei libri sopravvissuti alle catastrofi della storia, ma di quelli bruciati, perduti, inventati, che, per il solo fatto di essere stati almeno una volta scritti o pensati, hanno lasciato traccia. In questo libro, di grande ricchezza e suggestione, ideato e curato da Anna Dolfi , si rifl ette, con esemplifi cazioni dalla grande letteratura moderna, sul rapporto tra ombre di carta e di celluloide, tra inconturnables e marginalia, alla ricerca dei libri dentro le biblioteche e delle biblioteche dentro i libri. Sullo sfondo la musica, la geniale recitazione di Carmelo Bene, le strisce dei graphic, i progetti architettonici, gli schermi dei computer, e le pagine di un romanzo incompiuto di Giuseppe Dessí che parla di una biblioteca murata e di una cascata di libri all’origine di un immaginario romanzesco.

insegna all’Università di Firenze Letteratura italiana moderna e contemporanea ed è socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Tra i migliori studiosi di Leopardi e di narrativa e poesia del Novecento, ha progettato e curato volumi di taglio comparatistico dedicati alle «Forme della soggettività», sulle tematiche del journal intime, della scrittura epistolare, di malinconia e malattia malinconica, di nevrosi e follia, di alterità e doppio nelle letterature moderne, dedicando recenti raccolte alla saggistica degli scrittori, alla rifl essione fi losofi ca nella narrativa, al non fi nito, al mito proustiano, al rapporto tra letteratura e fotografi a.

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In copertina: Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Palazzo Corsini, Roma.