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Alla scoperta delle professioni museali

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Alla scoperta delle professioni

Area

BENI CULTURALI

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Direzione della ricerca Pietro Taronna

Ginevra Benini coordina la linea young

Gruppo di lavoro

F. Bellusci, G. Di Castro, A. Isidoro, G. Iuzzolino, M. Latini, M.T. Lotito, S. Lotito F. Mallardi e I. Piperno dell’Area “Ricerche sulle professioni” dell’Isfol.

Hanno collaborato A. Buccellato, D. Barucca e S. Toretidella società T&D.

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UNA PANORAMICA DELL’AREA

BENI CULTURALI LA DEFINIZIONE DELL’AREA D’INDAGINE

L’area dei Beni Culturali in Italia rappresenta una complessa articolazione di attività con una tipologia di organizzazioni ampia ed in costante trasformazione: un patrimonio tra i più ampi al mondo, in una fase di profondi cambiamenti istituzionali e di mercato, che produce inevitabili ricadute sugli assetti occupazionali e professionali. Predomina in quest’area il ruolo pubblico, articolato in differenti livelli amministrativi, caratterizzati da un progressivo passaggio dalla gestione centrale a quella locale. Di tutto rilievo, inoltre, la dotazione dei soggetti privati e degli enti ecclesiastici. Dal punto di vista degli ambiti di attività, la suddivisione canonica comprende sia quelli detti delle “arti” (beni archeologici, architettonici, artistici e storici) che quelli degli archivi e delle biblioteche, a cui si sono affiancati, nel tempo, anche i beni di natura demo-etno-antropologica e tecnico-scientifica. Il settore dei Beni Culturali è dunque dedicato allo studio e alla gestione di monumenti, siti archeologici, musei di varia natura (scientifici, archeologici, pinacoteche ecc.), archivi e biblioteche, che si collegano sempre più strettamente ad altri elementi del patrimonio culturale presenti sul territorio, come i centri storici, le chiese e gli edifici di pregio dal punto di vista storico e artistico. La notevole diffusione del patrimonio sul territorio emerge anche dalle indicazioni disponibili sulla sua ampiezza: il Touring Club Italiano ha stimato infatti la presenza in Italia di 3.500 musei, di 2.000 siti archeologici, di 20.000 centri storici, di 40.000 rocche e castelli, di 95.000 chiese, di 1.500 conventi, di 30.000 dimore storiche e di migliaia di biblioteche e archivi. Acquistano, inoltre, un ruolo di rilevo - tra i Beni Culturali - anche le arti minori oppure gli elementi di spicco del tessuto urbano e rurale. Si comincia quindi a prestare attenzione – anche se interventi specifici sono ancora molto rari - agli arredi e alle suppellettili ecclesiastiche, alle testimonianze della civiltà industriale, ai beni demoetno-antropologici, alle architetture moderne, alle opere dell’uomo inserite negli ambienti naturali. L’ampiezza del patrimonio culturale deve inoltre coniugarsi alla crescente complessità delle funzioni con le quali gli operatori e le organizzazioni del settore sono chiamati a confrontarsi: alla tutela e conservazione del patrimonio – compiti tradizionalmente affidati a chi si occupa di Beni Culturali – si sono infatti aggiunte, negli ultimi decenni, anche le funzioni di valorizzazione e di sostegno alla fruizione, che pongono al centro dell’attenzione il ruolo educativo e comunicativo e gli effetti economici e sociali, collegati al godimento del patrimonio culturale, storico e artistico. LE CARATTERISTICHE GENERALI E STRUTTURALI Un primo indicatore per valutare il rilievo attribuito ai Beni Culturali è rappresentato dai finanziamenti ad essi destinati. La spesa pubblica per i Beni Culturali, in Italia, ammonta ad oltre 3 miliardi di euro e rappresenta il 48,9% della spesa complessiva per la cultura cui sono destinati più di 6 miliardi di euro, pari allo 0,3% del PIL - con un incremento, tra il 2000 e l’inizio del decennio precedente, dello 0,05%. Sul totale della spesa pubblica per i Beni Culturali prevale lo stanziamento statale - pari a poco meno del 60% del totale - cui seguono i Comuni, le Regioni e, per ultime, le Province. Si tratta di un investimento cresciuto nel corso dell’ultimo decennio soprattutto per l’intervento dello Stato,

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che ha aumentato il proprio impegno, tra il 1990 e il 2000, del 46,4%. Altre risorse di natura prevalentemente pubblica derivano dalla programmazione comunitaria e sono destinate alle regioni dell’Obiettivo 1, vale a dire, a gran parte delle aree meridionali. Il Quadro Comunitario di Sostegno riferito alla programmazione 2000-2006 prevedeva, infatti, lo stanziamento di 2.692 milioni di euro per l’Asse II “Risorse culturali”. Di tale importo, l’89% è di provenienza pubblica – per metà si tratta di contributi comunitari e per l’altra parte di contributi nazionali (statali, in misura principale, e regionali) – e l’11% è a carico di privati. Dati più aggiornati - relativi però ai soli musei, monumenti, aree archeologiche e circuiti museali dello Stato – evidenziano una crescita complessiva del numero di visitatori e di introiti dovuti principalmente al maggior afflusso nei circuiti museali. Pur a fronte di un aumento di istituti culturali e siti appartenenti alle altre tipologie, tra il 1999 e il 2003, si era registrata una diminuzione sia di utenti, sia di introiti, con un decremento di oltre 600.000 visitatori per i musei e di quasi un milione e mezzo per i monumenti e i siti archeologici e con una perdita di introiti superiore a un milione di euro nel primo caso e a quattro milioni nel secondo. Nel 2004, invece si è assistito ad una crescita del numero dei visitatori del 4% per i musei, e dell’8% per i monumenti e i siti archeologici. Conseguentemente si è registrata anche una crescita degli introiti, rispettivamente, del 4% per i musei e del 5% per i monumenti e le aree archeologiche. Crescenti anche gli introiti derivanti dalla realizzazione dei servizi aggiuntivi, regolamentati dalla L. 4/93 detta “Legge Ronchey”. Dall’entrata in vigore della legge, a metà del 1994, fino al termine del 2002 le entrate derivanti da bar, caffetterie e bookshop, collocate nell’ambito di istituti culturali sono cresciute fino a superare gli 11 milioni di euro. Negli anni 2003-2004, per i quali sono disponibili dati dettagliati sui servizi aggiuntivi erogati nell’ambito degli istituti culturali si è, invece, registrata una lieve inversione di tendenza. Tale tendenza si esprime con un calo riguardante soprattutto i servizi di prevendita, le visite guidate e i bookshop, pur a fronte di un incremento dei clienti e, conseguentemente, degli introiti. Per quanto riguarda la consistenza, i Beni Culturali italiani si distinguono, per quantità e qualità difficilmente eguagliabili nel panorama internazionale, sia per quanto riguarda la tipologia dei beni che per le epoche di produzione e gli stili rappresentati. Uno dei principali elementi per valutare, almeno quantitativamente, le caratteristiche dell’offerta del settore è rappresentato proprio dalla consistenza del patrimonio culturale nazionale. Tuttavia, le rilevazioni effettuate sono ancora fortemente deficitarie: sono infatti disponibili soltanto stime relative alla consistenza generale, sia per la variabilità delle definizioni di “bene culturale”, sia per la difficoltà di individuare l’ampiezza del patrimonio detenuto dai privati, dalle amministrazioni pubbliche locali e dagli enti ecclesiastici. Per fornire una misura della vastità e della qualità del patrimonio storico-artistico italiano si tenga conto che il nostro Paese si colloca al primo posto per numero di siti dichiarati dall’Unesco “patrimonio dell’umanità”. Nell’ambito dei Musei pubblici, prevalgono quelli d’arte, di archeologia e storia, con oltre il 61% sul totale. Questi, in base alla classificazione internazionale dell’Unesco1, si distinguono in: • Musei d’arte, finalizzati all’esposizione “di opere d’arte e di arti applicate. Fanno parte di questo gruppo i musei che espongono sculture, le pinacoteche, i musei di fotografia e cinematografia, i musei di architettura, comprese le mostre d’arte permanenti curate da biblioteche e i centri di archiviazione, ecc.” • Musei archeologici e storici, che hanno lo scopo di “presentare lo sviluppo storico di una regione, paese o provincia, in un arco limitato di tempo oppure attraverso i secoli. Il tratto distintivo dei musei archeologici è che tutta o parte della loro collezione è frutto di scavi. Il gruppo comprende musei con collezioni di oggetti o resti storici, musei commemorativi, archivi,

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musei militari, musei dedicati a personaggi storici, musei archeologici, musei antiquari, e così via”. Rilevante anche la presenza di Musei pubblici a carattere scientifico (con 424 unità pari a poco meno del 23% del totale) che l’Unesco1 distingue in: • Musei di storia naturale e scienze naturali, “che trattano uno o più argomenti relativi a diverse discipline, quali la biologia, la geologia, la botanica, la zoologia, la paleontologia e l’ecologia.” • Musei della scienza e della tecnologia, “dedicati ad una o più scienze esatte o alla tecnologia, ad esempio l’astronomia, la matematica, la fisica, la chimica, le scienze mediche, le industrie delle costruzioni, i manufatti, ecc. I Planetari e i Centri scientifici sono compresi in questa categoria.” • Musei etnografici e antropologici “che conservano reperti sulla cultura, sulla struttura sociale, sulle credenze, sui costumi, sulle arti tradizionali, e così via.” La quota residuale è infine costituita da musei di altro tipo, di cui fanno parte: • Musei specializzati, “che si occupano di ricercare ed esibire tutti gli aspetti relativi a un tema o argomento unico non compreso in nessuna delle categorie precedenti.” • Musei regionali, che “illustrano una zona più o meno estesa, costituente un complesso storico e culturale e a volte anche etnico, economico o sociale, ad esempio musei la cui collezione si riferisce più ad una zona specifica che ad un tema o ad un argomento.” • Musei generici, con “collezioni miste che non possono essere identificati secondo un campo prevalente.” • altri musei, ossia quelli che non rientrano in nessuna delle categorie precedentemente indicate. Le informazioni più aggiornate dal punto di vista territoriale sono disponibili riguardo ai Musei statali. Da queste risulta come la più ampia dotazione di istituti sia concentrata nel Centro Italia - con il Lazio che raccoglie, da solo, circa il 22% di musei statali - seguito dal Mezzogiorno e dal Nord Italia. Analoga distribuzione si rileva anche in riferimento a monumenti e siti archeologici amministrati dallo Stato, rispetto ai quali si osserva una minore distanza tra la dotazione del Centro e del Sud che, assieme, riuniscono più del 75% del patrimonio monumentale e archeologico italiano a gestione statale. Vastissimo è anche il complesso di biblioteche e archivi italiani, ancora una volta al primo posto nelle comparazioni internazionali. Le biblioteche presenti sul territorio sono, in base al censimento effettuato dall’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche (ICCU), più di 15 mila e, per la maggior parte di esse, è possibile distinguerne connotazione funzionale, articolazione amministrativa e distribuzione regionale. Dal punto di vista amministrativo, a costituire il gruppo più numeroso sono le biblioteche gestite da Enti Locali (il 51,8% del totale), seguite da quelle universitarie (17,4%), ecclesiastiche (10%) e appartenenti a organizzazioni culturali (7%). In riferimento alle caratteristiche funzionali, la quota più ridotta è rappresentata dalle due Biblioteche Nazionali, che - in base alla definizione dell’Unesco - hanno il compito di acquisire e conservare copia di ogni pubblicazione significativa pubblicata all’interno del Paese e di operare come biblioteche ‘deposito’; mentre le più numerose sono le Biblioteche Pubbliche o “di pubblica lettura” (circa il 40% del totale) rappresentate da biblioteche generali, al servizio di una comunità locale o regionale. Le Biblioteche speciali, che sono più del 29%, sono istituti specializzati in una disciplina o in un campo particolare della conoscenza. Infine, circa il 17% delle biblioteche opera al servizio di

1 Il sistema di classificazione internazionale dei musei, Unesco STC/Q/853 (Sept. 1985).

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studenti e insegnanti nelle università e in altri istituti di istruzione di livello superiore e il restante 14% è costituito da Biblioteche importanti non specializzate. Più della metà delle biblioteche italiane è nel Nord Italia, segue il Mezzogiorno e, infine, il Centro con poco più del 20% del totale nazionale. Per quanto riguarda gli Archivi amministrati dallo Stato, si osserva una distribuzione territoriale analoga: al Nord si concentra la maggior parte del patrimonio archivistico, con un’ampia dotazione di spazi per la consultazione e per la ricerca. Nel Mezzogiorno il materiale conservato negli Archivi di Stato appare altrettanto numeroso - costituisce il 34% del totale - sebbene gli spazi riservati al pubblico siano decisamente meno attrezzati (il 30% contro il 41% del Nord Italia). Come premesso, è di tutto rilievo la consistenza e la qualità del patrimonio culturale complessivo e dei Beni Culturali in possesso di soggetti privati o di proprietà ecclesiastica. Riguardo agli Enti ecclesiastici, si stima che nelle quasi 100 mila chiese, 1.500 conventi e 3 mila palazzi vescovili, seminari, sacri monti, Viae Crucis, nelle 5.500 biblioteche, negli oltre 530 musei ecclesiastici sia racchiuso il 75-80% dei Beni Culturali italiani. Nel Mezzogiorno tale percentuale è particolarmente elevata e questa è la parte più vulnerabile del patrimonio, situato in zone ormai spopolate o in chiese urbane e suburbane spesso indifese. Altrettanto rilevante è il ruolo dei detentori privati di Beni Culturali. Il censimento dei musei condotto nel 1996 ha evidenziato la presenza di oltre 700 istituti di proprietà privata e sono numerose anche le iniziative predisposte dalle imprese. In base ai dati forniti dall’Associazione Museimpresa, le istituzioni museali di natura aziendale presenti in Italia sono più di 80 e oltre 20 gli archivi collegati ad attività economiche. Per quanto riguarda le caratteristiche della domanda, la valorizzazione del patrimonio e la sua promozione hanno accresciuto l’attenzione per il consumo culturale: le rilevazioni sui comportamenti legati all’impiego del tempo libero indicano infatti che le visite ai musei si collocano, per gli italiani, al secondo posto nella graduatoria dei passatempi più gettonati, precedute solo dalla fruizione cinematografica: le mostre d’arte e gli istituti museali sembrano essere preferiti anche all’intrattenimento musicale e teatrale. Tra i fattori che possono, sul versante della domanda, limitare il consumo culturale figura certamente il reddito: nelle famiglie più povere i consumi culturali assorbono solo il 3,2% della spesa complessiva, mentre in quelle con i redditi più elevati la percentuale sale al 5,7%. Anche il livello di istruzione e altre variabili socio-anagrafiche influiscono sulle scelte dell’utenza. Tra il 1999 e il 2003 la percentuale di uomini e donne che hanno visitato musei e mostre è sempre stata simile e si è mantenuta costante negli anni. La stessa tendenza non si è registrata per i monumenti e i siti archeologici per i quali la percentuale di uomini è risultata sempre leggermente superiore a quella delle donne. Di grandissima importanza anche il livello di istruzione: più della metà dei cittadini in possesso di un titolo di studio universitario visita nel corso di un anno almeno un istituto culturale mentre tra chi ha scarsi livelli di istruzione la quota di fruitori dei Beni Culturali scende drasticamente a valori prossimi al 10%. Tra i più giovani, anche grazie al ruolo attivo svolto dalla scuola nel promuovere l’educazione al patrimonio, si osserva il massimo interesse nei confronti delle iniziative culturali: tra i 10 e i 19 anni, quattro ragazzi su dieci visitano mostre e musei. Fino ai 54 anni di età la quota di fruitori di questi istituti si aggira attorno al 30%, diminuendo progressivamente per le fasce dei più anziani. Le rilevazioni effettuate dal Ministero per i beni e le attività culturali - che consentono di valutare il numero complessivo di visite effettuate, includendo anche i visitatori provenienti dall’estero - fanno registrare, per il 2004, oltre 32 milioni di presenze nei musei, monumenti, siti archeologici e sistemi museali gestiti dallo Stato. A questa cifra dobbiamo aggiungere i circa 3

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milioni e 800 mila visitatori che frequentano ogni anno San Pietro e i Musei Vaticani, di fatto il primo polo museale ospitato nel nostro territorio, ma di competenza dello Stato Vaticano. Più della metà delle visite ha riguardato i monumenti e le aree archeologiche che in media su tutto il territorio nazionale hanno ricevuto, ciascuno, oltre 78.000 persone l’anno, mentre il 33% degli ingressi sono stati registrati nei musei con una media annua di 55.000 visitatori. Ecco un elenco dei 10 monumenti più visitati sotto la tutela dello Stato italiano, che con quasi 12 milioni di turisti raccolgono oltre il 37% del totale delle presenze sia italiane che straniere nel nostro paese:

Anche per quanto riguarda la fruizione del patrimonio librario e archivistico si osserva una domanda elevata. Nel corso del 2004 le biblioteche gestite dall’Amministrazione statale hanno visto la presenza di oltre 1.800.000 visitatori e le opere consultate sono state più di 2.800.000 con un’attività particolarmente intensa negli istituti del Centro Italia (del Lazio e della Toscana in particolare) che hanno visto concentrarsi nelle proprie strutture quasi la metà dei visitatori e oltre il 60% delle consultazioni, in media con 2,3 opere consultate per ogni utente. La presenza di pubblico è inferiore nelle biblioteche settentrionali - con il 33,5% del totale degli utenti - e in quelle del Mezzogiorno in cui diminuisce anche sensibilmente l’attività di consultazione, con circa un’opera consultata, in media, da ciascun visitatore. Consistenza e distribuzione del personale L’area dei Beni Culturali è caratterizzata da notevoli potenzialità occupazionali, tanto da essere stata inserita dalla Commissione europea tra i principali bacini d’impiego. Per quanto riguarda il personale dipendente dall’Amministrazione Statale dei Beni Culturali si rileva una contrazione delle presenze, passate dalle 23.239 unità nel 1991, alle 22.241 del 2001, riduzione per di più caratterizzata da rilevanti squilibri territoriali: nel Centro Nord il personale copre solo due terzi dell’organico, mentre nel Sud le risorse umane impiegate sono più numerose di quelle previste. I dati relativi al privato e al terzo settore indicano che per quanto riguarda le attività profit, in particolare per l’occupazione prodotta nell’ambito dei “servizi aggiuntivi”, si è passati da 500 addetti del 1998 a 700 nel 1999 e a 900 occupati nel 2000. Nell’ambito del terzo settore, in base alle rilevazioni ISTAT, nelle oltre 40.000 imprese “no profit” che operano nelle attività culturali e artistiche, i dipendenti sarebbero circa 22.500. Più ampia la quota di volontari, oltre 480.000, mentre è poco diffuso il lavoro autonomo con meno di 10.000 presenze.

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LE DINAMICHE IN ATTO

Come accennato, le indicazioni più recenti evidenziano un rapido e netto innalzamento della domanda di fruizione culturale. Le indagini svolte su questo argomento, riferite alla popolazione italiana con più di 6 anni, mostrano infatti una forte crescita di interesse soprattutto nei confronti di musei e mostre, con un incremento delle visite, fra il 1999 e il 2003, di quasi il 2% (Fig. 1). Appare invece più fluttuante l’andamento delle visite effettuate dai cittadini italiani a monumenti e siti archeologici. In quest’ambito si osserva una certa instabilità fra il 1998 e il 2000, a cui è seguito un sensibile decremento di fruitori nel 2001 e nel 2002 (Figura 2). Le rilevazioni effettuate non solo sui cittadini italiani, ma sull’insieme degli ingressi nei musei, monumenti, siti archeologici e circuiti museali gestiti dallo Stato confermano una netta tendenza all’incremento dell’affluenza con circa 5 milioni di visitatori in più tra il 1999 e il 2004. L’analisi degli andamenti in funzione delle diverse tipologie di istituto mostrano una flessione, tra il 1999 e il 2003, che investe sia i musei che i monumenti e i siti archeologici, seguita però da una lieve ripresa nel 2004: in crescita i visitatori dei circuiti museali che compensano ampiamente i decrementi registrati altrove. FIG. 1 - PERCENTUALE DI VISITATORI DI MOSTRE

La corposa produzione normativa degli ultimi anni riguardante il settore dei Beni Culturali ha determinato profondi mutamenti del quadro istituzionale. Uno dei temi principali affrontato di recente dal legislatore è rappresentato dal rapporto tra pubblico e privato (profit e non) nella gestione del patrimonio culturale. Si è passati da una situazione caratterizzata da una concentrazione pressoché assoluta dei servizi per la collettività affidati alla gestione pubblica, ad un assetto misto che chiama in causa, con modalità variabili, il pubblico e il privato. Uno degli interventi più rilevanti è rappresentato dalla Legge Ronchey (L. 4/93 e successivi regolamenti attuativi pubblicati con D.M. 171/94 e D.M. 24 marzo 1997) che consente ai privati di gestire alcuni servizi aggiuntivi nell’ambito degli istituti statali e delle norme che, in seguito, hanno ulteriormente ampliato gli spazi riservati a tali attività. L’applicazione della Legge Ronchey ha subito alterne vicende e solo dopo un periodo di stallo ha cominciato ad offrire risultati finanziari apprezzabili arricchendo, soprattutto, gli strumenti di supporto alla fruizione. Un riassetto complessivo del settore è stato inoltre determinato dal D.lgs. 490/99 (“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di Beni Culturali”) e dal “Codice dei Beni Culturali e del paesaggio” (D.lgs. 42/2004, il cosiddetto “Codice Urbani”) che ha sostituito quasi per intero il testo precedente. Un aspetto importante è rappresentato dalla possibilità di reperire risorse private:

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• l’art. 38 della L.342/2000 (“Erogazioni liberali per progetti culturali”, integrata dal D.M 11 aprile 2001 e D.M. 3 ottobre 2002) ha consentito la totale deducibilità dal reddito d’impresa delle erogazioni liberali destinate a soggetti operanti in ambito culturale. Ulteriori incentivi all’utilizzo delle erogazioni a favore di investimenti di questo tipo sono venuti dai successivi Decreti Ministeriali dell’11 aprile 2001 e del 3 ottobre 2002 nonostante gli effetti di tali norme siano stati, ad oggi, decisamente modesti per quanto riguarda i Beni Culturali e ad essi sia stata destinata solo una quota residuale delle erogazioni a sostegno della cultura; • con la L. 461/1998 e il D.lgs. 153/1999 è stato definito il nuovo ordinamento delle Fondazioni Bancarie che attribuisce ad esse lo status di soggetti giuridici privati con facoltà di scegliere, quali scopi statutari, almeno uno dei settori giudicati “rilevanti” dalla legge, tra i quali l’arte e la cultura. In seguito all’emanazione di tali norme, la grande maggioranza delle Fondazioni ha scelto di specializzare il proprio intervento in ambito culturale e, in particolare, nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e artistico tanto da far osservare, nel 2000, erogazioni quattro volte superiori all’inizio del decennio precedente; • la L. 448/2001 e lo stesso Codice Urbani hanno affrontato - suscitando non poche perplessità - la questione del rapporto con i privati, intervenendo in materia di appalto di servizi pubblici, alienazione o trasferimento in concessione dei beni di proprietà del demanio, cartolarizzazione dei Beni Culturali e ambientali. Un ulteriore trasformazione degli assetti istituzionali del settore è rappresentata dal progressivo trasferimento di competenze dall’amministrazione centrale a quelle locali e dalla progressiva concessione di autonomia agli istituti incaricati della gestione del patrimonio. Anche la riforma dell’Amministrazione dei Beni Culturali - stabilita con il D.Lgs 368/98 e il conseguente decreto attuativo D.P.R. 441/00 e l’Atto di indirizzo ministeriale (D.M. 10 maggio 2001) sono intervenuti riconoscendo a musei, biblioteche e archivi di particolare rilievo maggiore autonomia sul piano scientifico, finanziario, organizzativo e contabile. In questa direzione si è mosso anche il D.M 11 dicembre 2001 con il quale sono state istituite alcune sovrintendenze speciali per i poli museali di Roma, Firenze, Venezia e Genova e si è prevista la gestione autonoma di altri musei. Riguardo al conferimento e al trasferimento di compiti e funzioni dallo Stato alle Regioni e agli Enti locali, i principali riferimenti normativi sono rappresentati dalla L. 59/97 (la cosiddetta “Bassanini 1”) e dal D.lgs 112/98, resi più incisivi dalla successiva riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione (L. Cost. 1/2001). Si tratta tuttavia di un processo ancora in via di definizione e che certamente condurrà a nuove trasformazioni dell’assetto attuale. Una parte della normativa ha infine riguardato l’ampliamento delle fonti di finanziamento utilizzando, ad esempio, i proventi del gioco del lotto (art. 3, comma 83 L. 662/96 e successive modificazioni), quelli derivanti dall’8 per mille dell’Irpef (D.P.R. 76/98 e successive modificazioni) e il 3% degli stanziamenti per le grandi opere infrastrutturali (art. 60, L.289/02).

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I cambiamenti nell’offerta di Beni Culturali in Italia e in Europa Nell’offerta di Beni Culturali è possibile individuare cambiamenti sia tecnologici che gestionali e organizzativi. Le innovazioni che investono le tecniche, gli strumenti e i materiali utilizzati nelle attività di tutela, così come quelle che riguardano la valorizzazione e la ricerca sono rilevanti. Fra tutte, quelle a carattere informatico hanno svolto un ruolo essenziale. Un esempio concreto è rappresentato dallo sviluppo del Sistema Bibliotecario Nazionale (SBN) che riuniva nel 2002 più di 1.800 biblioteche. Questo sistema è stato costituito per creare una rete di biblioteche (statali, di enti locali, universitarie, di accademie e istituzioni pubbliche e private) capace di superare la frammentazione che tradizionalmente caratterizza la struttura bibliotecaria italiana. L’intero sistema poggia su un’architettura informatica che, attraverso l’impiego di un catalogo unico, consente una consultazione a distanza: accedendo all’Indice SBN, che è il nodo centrale della rete, gestito dall’ICCU (Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e per le Informazioni Bibliografiche), al quale si collegano le biblioteche con i loro terminali, l’utente ha la possibilità di ricercare un documento, localizzarlo nelle biblioteche della rete SBN che lo possiedono e consultare le informazioni presenti. Sul piano organizzativo, il decentramento di competenze ha condotto alla valorizzazione delle esperienze di gestione locale dei Beni Culturali. Di qui la nascita e l’estensione dei “sistemi territoriali”, caratterizzati da assetti organizzativi e gestionali in cui l’autonomia funzionale assume un ruolo strategico. Esempi di rilievo sono rappresentati da “Sistemi museali” come quelli predisposti in Umbria o nelle Marche. Con questa espressione si intende un modello organizzativo, volto a potenziare la collaborazione ed il coordinamento tra i diversi soggetti che operano nel settore (spesso in stretta contigui tà territoriale), che rappresenta l’evoluzione della concezione stessa di museo. Lo stesso modello organizzativo è stato applicato non solo a livello regionale ma anche nelle aree metropolitane con interventi finalizzati allo sviluppo locale. In alcuni casi è stato creato un polo di attrazione tale da rilanciare, attraverso la fruizione culturale, l’insieme delle attività sociali ed economiche della città. Possiamo portare l’esempio di quanto è avvenuto in un altro paese europeo, la Spagna , con il caso di Bilbao che, in seguito alla costruzione del Museo Guggenheim, ha messo in atto una strategia capace di contrastare il declino economico della città. Un inconveniente dei sistemi museali è che si possa determinare un’eccessiva concentrazione di interesse verso i “poli culturali” e si assista ad un parallelo svuotamento di attenzione per le iniziative culturali periferiche. Per minimizzare questo effetto si è affermato in Europa un modello di intervento alternativo che punta alla costituzione di una “rete culturale” che, come nel caso di

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Vienna, privilegia un’idea policentrica della città, potenziando i centri culturali di quartiere al fine di offrire iniziative che attirino anche gli abitanti di altre zone. L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

Le principali funzioni che caratterizzano l’area dei Beni Culturali sono rappresentate da: • tutela e conservazione; • valorizzazione del patrimonio e accesso alla cultura; • ricerca; • attività di supporto. Pur tenendo conto della grande variabilità che caratterizza quest’area, è possibile individuare i principali contenuti di ciascun raggruppamento funzionale. Tutela e conservazione Sono compresi in quest’ambito: • la catalogazione; • la documentazione e l’archiviazione; • il restauro; • le attività di manutenzione, tutela e conservazione. La tutela e la conservazione dei Beni Culturali hanno a lungo rappresentato la funzione preminente se non esclusiva delle organizzazioni e degli operatori preposti alla gestione del patrimonio culturale. Particolare rilevanza, in questo ambito, assumono i rapporti con le attività di ricerca umanistica, scientifica e tecnologica, oltre che l’intreccio tra diverse specializzazioni disciplinari e tra professioni e mestieri. Gli elementi essenziali che connotano questo raggruppamento funzionale sono rappresentati dalla capacità di comprendere il valore del bene, di individuarne le caratteristiche, di raccogliere una documentazione organizzata, di intervenire con modalità e strumenti adeguati al fine di garantirne la salvaguardia e la conservazione attraverso le attività di manutenzione e restauro. Valorizzazione del patrimonio e accesso alla cultura Le funzioni principali sono: • la valorizzazione e la divulgazione delle attività culturali (l’editoria); • le attività espositive; • la didattica; • la promozione; • il marketing; • la comunicazione. La valorizzazione del patrimonio culturale rappresenta un aspetto sempre più importante negli orientamenti del settore. Le finalità di questa funzione consistono, da un lato, nell’offrire la possibilità di accedere alla fruizione culturale da parte di segmenti sempre più ampi di popolazione e, dall’altro, nel garantire una condizione di sopravvivenza per le stesse istituzioni culturali che, a causa della crescente scarsità di risorse ad esse destinate, devono sempre di più fare affidamento su fonti di finanziamento alternativo. Rendere la cultura accessibile significa, in termini puramente materiali, operare sugli orari di apertura, sulle politiche tariffarie o sulla rimozione delle barriere architettoniche oppure, in una accezione più ambiziosa, accrescere la “desiderabilità” della fruizione culturale. La valorizzazione del patrimonio si prefigge invece di impiegare le risorse culturali per favorire lo sviluppo economico attraverso la creazione di reddito e occupazione e consentire il parziale auto-finanziamento del settore. L’introduzione di attività precedentemente riservate alle sole

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organizzazioni profit, come il marketing, il fundraising, lo sviluppo della comunicazione e delle attività promozionali, rappresenta la premessa affinché negli istituti culturali possano essere rafforzati e ampliati i rapporti con il pubblico e garantiti i flussi finanziari necessari per sostenerne l’attività istituzionale. Ricerca Le principali funzioni sono: • la direzione scientifica e culturale; • le attività di indagine e studio. Fra gli esempi che possono essere citati per evidenziare il rilievo che tali funzioni assumono in quest’area ricordiamo: la ricerca scientifica e tecnologica, con la scoperta di nuovi materiali e di strumenti sempre più sofisticati per la realizzazione di interventi di restauro; l’impiego dell’informatica nella catalogazione, nella documentazione e nel favorire l’accesso al patrimonio; l’uso della multimedialità nelle attività espositive, didattiche e divulgative; la ricerca a carattere umanistico, con l’analisi del patrimonio storico-artistico; l’esame e la scoperta di siti e reperti archeologici ed etno-antropologici; gli studi svolti nelle biblioteche e negli archivi. Attività di supporto I principali elementi di questo raggruppamento funzionale sono: • la direzione amministrativa; • la gestione amministrativa, finanziaria e delle risorse umane; • la custodia; • la sicurezza. Queste funzioni, in apparenza analoghe a quelle svolte in altre aree occupazionali, assumono nell’ambito dei Beni culturali connotati del tutto peculiari: la direzione di un museo, ad esempio, non deve raggiungere soltanto obiettivi di tipo economico (come avviene in ogni attività), ma deve anche far convivere le attività di tutela con quelle di valorizzazione del patrimonio. Per quanto riguarda i compiti di custodia e sorveglianza, si rende necessario il perfezionamento di queste attività per governare sistemi tecnologici complessi. È infatti indispensabile impedire furti ed atti vandalici, ma anche mantenere condizioni ambientali adeguate alla conservazione di preziosi e spesso delicati manufatti, senza infine trascurare la salvaguardia e la sicurezza dei visitatori e di chi opera in questi spazi.

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L’INDIVIDUAZIONE DELLE FIGURE TIPO Sono state selezionate sia professioni emergenti e innovative come l’Art advisor (vedi Scheda 12) e il Fundraiser (vedi Scheda 15), sia consolidate e tradizionali come l’Archivista (vedi Scheda 4), il Bibliotecario (vedi Scheda 5) e il Restauratore (vedi Scheda 9). Sono stati rappresentati quegli ambiti professionali caratterizzati dall’appartenenza disciplinare, come ad esempio l’Architetto (vedi Scheda 8) e l’Archeologo (vedi Scheda 6), nonché quelli mutuati dalla matrice funzionale come il Direttore (vedi Scheda 10), l’Operatore mussale (vedi Scheda 2) e il Responsabile della sicurezza (vedi Scheda 11). In terzo luogo è stata descritta, dal punto di vista dell’inquadramento, una gamma di professioni che non si limitasse ai ruoli dirigenziali, ma consentisse di valutare l’insieme degli operatori presenti nel settore. La scelta delle figure tipo si è basata infine anche sull’analisi degli specifici aspetti di ciascun raggruppamento funzionale (tutela e conservazione, valorizzazione, ricerca e attività di supporto).