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Bene comune e beni comuni

Alberto BondolfiUniversité de Genève

ISR-FBK-Trento

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• La categoria di bene comune è nota a partire da Aristotele e dalla filosofia medievale e costituisce la base di ogni etica sociale premoderna.

• Essa ha subito trasformazioni relativamente radicali lungo i secoli della modernità, a causa sia• delle mutate filosofie sociali che• delle mutate condizioni materiali di vita in società.

• Nel primo caso ci si può chiedere in che misura un’etica sociale che si richiama ad una «legge naturale» possa coesistere armoniosamente con un’etica sociale che ricorre ad un catalogo di «diritti fondamentali».

• Penso che simile coesistenza sia possibile, ma che vada cercata con cura e senso della differenziazione. Ciò sarà possibile solo parzialmente in questa nostra occasione di incontro.

Da dove viene questo tema?

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• Le formulazioni premoderne del criterio del bene comune fanno riferimento ad una autocomprensione della società basata su un ordine feudale e corporatista.

• Esse trasportano comunque anche ancestrali narrazioni che possono essere significative anche oggi. Tra le molteplici narrazioni scelgo quelle legate al senso della proprietà. Essa viene considerata

• O come una conseguenza del peccato di origine, come sostenuto da vari teologi medievali,

• O come condizione primordiale, di cui la proprietà privata è conseguenza in «seconda battuta». Tomaso d’Aquino (II-II- Q. 66, a.2, ad 1): La comunanza dei beni viene attribuita al diritto naturale, non perché questo impone di possedere tutto in comune e niente in privato; ma perché la distinzione delle proprietà non dipende dal diritto naturale, bensì da una convenzione umana, la quale, come abbiamo già notato, rientra nel diritto positivo. Perciò il possesso privato non è contro il diritto naturale; ma è uno sviluppo di esso dovuto alla ragione umana.

Alcuni elementi della concezione classica del bene comune

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• La narrazione secondo cui «all’inizio» omnia sunt communia, sopravvive anche nei tempi moderni, ma con cambiamenti significativi.

• Locke ad esempio, partendo dalla proprietà primigenia che ogni essere umano ha sul suo corpo ammette che, attraverso il lavoro, essa passi anche al terreno ed ai prodotti: «Quanto terreno un uomo zappa, semina, migliora e coltiva, e di quanto può usare il prodotto, tanto è di proprietà sua. Col suo lavoro egli lo ha, per così dire, recinto dalla terra comune».

• Questa recinzione privata va a vantaggio di tutti necessariamente: «Chi si appropria col suo lavoro la terra, non assottiglia ma accresce le provvigioni comuni dell’umanità».

• La proprietà privata è sinonimo di efficienza, quella comune di improduttività e di abbandono di risorse.

Forze e debolezze di questo concetto

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• Dall’antichità si è pensato che il diritto dovesse rendere certo il rapporto di proprietà, mediante una regolamentazione dettagliata.

• Quest’ultima comunque non ha potuto risolvere molti nodi legati alle applicazioni da dare al principio secondo cui la proprietà privata sarebbe moralmente lecita e persino necessaria, in vista del bene di tutti.

• Il diritto pubblico ha cercato di dare forma concreta alle varie modalità di possessione e gestione dei beni:

• Prevedendo una serie di beni considerati come «extra commercium»• Assumendo il monopolio della commercializzazione di alcuni beni• Prevedendo istituzioni che amministrano beni «senza scopo di lucro».

L’istituzione della Fondazione.• Istituendo regimi fiscali diversi per i diversi soggetti che gestiscono

beni comuni.

Il ruolo regolatore del diritto

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• Prima ancora di prendere in esame i beni comuni il diritto ha statuito che alcuni beni sono per definizione extra commercium:• Così il corpo umano, pur con l’eccezione parziale delle «sue parti

distaccate» in alcuni casi.• L’ambivalenza dell’istituzione del brevetto. Appropriazione parziale, temporalmente limitata, di una parte del sapere, per rendere redditizia la sua commercializzazione.

• La scoperta di nuove potenzialità di prodotti naturali ci porta in una situazione «en archè»: l’esempio delle sementi e della loro commercializzazione.

• L’esempio biblico dell’anno del giubileo può e deve essere attualizzato, dando forma giuridica ad un modello di proprietà nel tempo, con meccanismi di ridistribuzione periodici.

• L’istituzione dell’eredità va ripensata almeno parzialmente, prevedendo meccanismi di ridistribuzione parziale. •

Le res extra commercium: da ieri a domani

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• I commons anglosassoni sono la res communis omnium o le common pool

resources o risorse di uso collettivo.

Quale è il destino di questi commons?

L’ipotesi pessimista prevede una appropriazione dei beni comuni da parte di individui

approfittatori e si arriva alla «tragedy of the commons» .

In nome di questo pessimismo si propone una privatizzazione dei commons, in nome

dell’efficienza. Cfr. gli esempi della privatizzazione della posta e delle ferrovie.

Le dottrine classiche mutuate dalle tradizioni socialiste e comuniste propongono lo Stato

come soggetto regolatore dei beni comuni.

E. Ostrom propone una terza via, ispirata alla tradizione cooperativista, che

prevede beni comuni da gestire secondo principi di:

Equità, efficienza e sostenibilità

I beni comuni richiedono una forte azione collettiva, solidi meccanismi di

autogoverno ed un livello alto di capitale sociale da parte dei protagonisti.

Sparisce l’dea dei beni comuni?

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• Solo molto recentemente ci si è resi conto del fatto che ogni conoscenza, se diffusa e riprodotta, costituisca un bene, e se appropriata in una logica mercantile essa possa diventare anche prodotto.

• L’appropriazione di conoscenze di altri non sembrava costituire problema fino al XVIIIo secolo (cfr. il mondo della composizione musicale).

• L’istituzione del copyright non riduce la conoscenza a merce, ma ne condiziona l’accesso per chi non ne ha le risorse.

• Il digital divide ha messo in evidenza questo squilibrio nell’accesso al sapere.

• Il movimento open access da parte delle agenzie statali di ricerca sta riparando in parte questo divario nell’accesso al sapere.

La conoscenza come bene comune

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• La «confusione concettuale» (Rodotà) attorno ai beni comuni non aiuta e può provocare persino il fallimento della «causa» da cui è nata la nozione.

• Il dibattito va dunque continuato nella chiarezza e nell’approfondimento.

• In sede giuridica va superato il dualismo tra le categorie di «privato» e «statale», dando maggior spessore e pluralità alla categoria di «pubblico».

• Il diritto dovrà pure maggiormente precisare cosa implichi la caratteristica dell’extra commercium.

• Questi compiti sono da realizzare in sede internazionale (si mette così in discussione il principio di sussidiarietà?)

• Il bene comune, di matrice aristotelico tomasiana, deve poter sopravvivere non come regola concreta di comportamento, bensì come idea regolatrice.

•Come concludere?