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A cura del Comitato Sport 2019/3 (Dicembre) La Rivista on-line SIAGASCOT WONDER WOMEN Conflitto femoro-acetabolare pagina 11 Magazine BARRETO HAMSTRING SENZA SEGRETI HOT WHEELS L’opinione del giornalista sportivo pagina 8 SPORT SPECIFIC Il Golf pagina 15 Approfondimento da p. 2 Intervista a p.10 MARCO GIAMPAOLO TECNICHE DI ALLENAMENTO e molto altro... Esclusiva

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A cura del Comitato Sport

2019/3 (Dicembre) La Rivista on-line SIAGASCOT

WONDER WOMEN

Conflitto femoro-acetabolare

pagina 11

Magazine

BARRETO HAMSTRING SENZA SEGRETI

HOT WHEELS L’opinione del

giornalista sportivo

pagina 8

SPORT SPECIFIC

Il Golf pagina 15

Approfondimento da p. 2

Intervista a p.10

MARCO GIAMPAOLO

TECNICHE DI ALLENAMENTO

e molto altro...

Esclusiva

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Le lesioni degli hamstring sono una patologia molto comune in tutta la popolazione sportiva, dall’atleta amatoriale al professionista. Gli infortuni dei flessori di solito sono il risultato di un'improvvisa flessione dell'anca associata ad una rap ida es tens ione d i g inocchio e sono t ip ic i d i velocisti, calciatori e sciatori d'acqua, con una incidenza che si aggira intorno al 29% di tutti gli infortuni. Nello specifico per il calciatore, una lesione degli hamstring comporta in media una perdita di 18 giorni di allenamento e 3 partite per stagione.

In letteratura sono descritte molte cause favorenti una lesione degli hamstr ing. Una precedente l e s i o n e a q u e s t o g r u p p o

muscolare rappresenta il fattore di rischio più pericoloso con una probabi l i tà d i rec id iva che aumenta da 2 a 6 volte. Esistono

Il caso Barreto: LESIONI DEGLI HAMSTRING

Sfoglio la Gazzetta dello Sport del 04 novembre 2018 e leggo:

OG 2019/3

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numerose classificazioni delle lesioni muscolari che prendono in considerazione la percentuale di tessuto muscolare coinvolto dalla lesione, la localizzazione in senso cranio-caudale e, se la lesione coinvolge altre strutture come la fascia muscolare o la giunzione miotendinea 1,2.

ANATOMIA

I muscoli della loggia posteriore di cosc ia or ig inano tut t i da l la tuberosità ischiatica e sono: s e m i m e m b r a n o s o ( S M ) , semitendinoso (ST) e bicipite femorale (BF). Il tendine SM origina nella porzione più laterale mentre il ST e il capo lungo del BF formano un tendine congiunto posto medialmente ad esso. Il capo breve del bicipite invece ha origine dal setto intermuscolare laterale e lungo il labbro laterale della linea aspra. I muscoli biarticolari sono responsab i l i de l l ’es tens ione dell’anca e della flessione del ginocchio durante lo schema del passo. Il ST e il SM decorrono entrambi lungo la porzione mediale d e l l a c o s c i a i n s e r e n d o s i rispettivamente sulla zampa d’oca

e sulla porzione posteromediale di tibia. Il capo lungo e breve del BF si inseriscono sulla testa fibulare e in minima parte sul legamento collaterale laterale e sul piatto laterale di tibia. Tutti i muscoli posteriori di coscia sono innervati dalla porzione tibiale del nervo sciatico ad eccezione del capo breve del bicipite, innervato invece dal ramo peroneale. Particolarità e fattore predisponente alla lesione dei muscoli posteriori di coscia è il fa t to che ess i at t raversano entrambe le articolazioni di anca e di ginocchio, comportando un m a g g i o r r i s c h i o d i c a r i c o eccentrico rispetto a muscoli che attraversano una sola articolazione 3.

DIAGNOSI

Dal punto di vista clinico, in accordo con Al i et a l , una debolezza significativa della forza di flessione del ginocchio in posizione prona (circa un 30% in meno rispetto all'arto sano) e una significativa ecchimosi in regione p o s t e r i o re d i c o s c i a s o n o generalmente indicativi di una lesione dei flessori 2. Diversi test

sono stati recentemente proposti per valutare gli infortuni degli hamstring con una moderata validità, in particolare per la valutazione di patologie con dolore poster iore al l ’estensione del ginocchio. Puranen-Orava test è eseguito con allungamento attivo dei flessori con il paziente in posizione ortostatica, anca flessa a 90°, ginocchio esteso attivamente e ta l l one sos tenu to da un supporto. Il bent-knee strecht test è invece compiuto con il paziente in posizione supina con anca e ginocchio in massima flessione, c o n q u e s t ’ u l t i m o e s t e s o gradualmente e passivamente dall’esaminatore. Infine il modified b e n t - k n e e s t r e c h t , c h e s i differenzia per una estensione rapida del ginocchio 7. Dal punto di vista strumentale, nella maggior parte dei casi le radiografie risultano negative.

Sia l’ecografia che la risonanza magnetica nucleare (RMN) sono strumenti diagnostici utili per identificare e valutare l’estensione della lesione degli hamstring. L’ecografia ha il vantaggio di essere eseguita in tempi rapidi per

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identificare lesioni muscolari e ematomi, dei costi ridotti ed infine della capacità di essere utilizzata come strumento per eseguire p r o c e d u r e i n v a s i v e ( e s . svuotamento ematomi). Inoltre è uno strumento che può essere utilizzato per una valutazione seriata della lesione dell’atleta. La RMN ha dimostrato, invece, di avere una maggiore sensibilità rispetto all’ecografia e di essere uno strumento molto più accurato de l l e l es ion i musco la r i p iù profonde, in pregresse lesioni muscolari con tessuto cicatriziale e per identificare avulsioni tendinee 4.

TRATTAMENTO CONSERVATIVO

Il trattamento conservativo degli infortuni ai muscoli posteriori di coscia è consigliato nelle lesioni di basso grado e rappresenta una sfida sia per l’atleta che per il medico.

In ambito acuto la letteratura è unanime sul fatto che il trattamento standard sia

l’applicazione del protocollo P.O.L.I.C.E.

(protection, optimal loading, g h i a c c i o , c o m p r e s s i o n e , elevazione), permettendo una l i m i t a z i o n e d e l l a r i s p o s t a i n fi a m m a t o r i a i n i z i a l e e controllando edema ed emorragia 7.

Molti autori ritengono opportuna u n a p r e c o c e e g r a d u a l e mobilizzazione dopo l'infortunio, che possa consentire una migliore rigenerazione, orientamento ed allineamento delle fibre muscolari. La ripresa dell’attività sportiva è correlata al grado di lesione e in base alle esigenze personali, con tempi di recupero prolungati in atleti con esteso danno muscolare e dei tessuti molli.

Recentemente è stato approvato il consenso italiano sul trattamento conservat i vo neg l i in fo r tun i muscolari nell’atleta. Ruolo cardine è fo rn i to da l la conoscenza fondamentale dell’eziologia e della biologia dell’infortunio e dall’utilizzo di un sistema di classificazione univoco, basato su immagini ecografiche e RMN. Nella prima f a s e d i r i a b i l i t a z i o n e è raccomandato l’applicazione del protocollo PRICE (protection, rest,

ice, compression, elevation) e l ’ in iz io d i una r iab i l i taz ione muscolare isometrica che evita m a c r o - c a m b i a m e n t i s u l l a lunghezza muscolare. In caso di presenza di ematomi di grandi dimensioni è consigliabile aspirarli sotto guida ecografica mentre massaggi e terapie fisiche che i nducono endo te rm ia sono sconsigliati. Nella seconda fase di riabilitazione, caratterizzata per la p r e s e n z a d i t e s s u t o d i granulazione visibile all’ecografia, dalla risoluzione completa del gonfiore, dall’assenza di dolore alla cont raz ione isometr ica , da l recupero del ROM completo è preferibile introdurre esercizi di contrazione concentrica e iniziare blandi esercizi eccentrici. La terza e ultima fase di riabilitazione, invece, è composta dall’assenza di dolore alla contrazione concentrica ed eccentrica e dalla scomparsa di lesione, valutabile alla RMN o ecografia.

Durante quest’ult ima fase è consigliabile introdurre esercizi isocinetici ed eseguire quell i eccentrici con una ripresa graduale dello stretching, della corsa e di e s e r c i z i s p o r t s p e c i fi c i . Chiaramente la durata di ogni singola fase è correlata alla sever i tà del l ’ infortunio ed è programmata ad personam. Consenso unan ime è s tato ottenuto inoltre per l’utilizzo della laserterapia con la sua azione anti-infiammator ia e r ipa ra t r i ce , stimolando processi miogenici, o t t i m a n d o i l m e t a b o l i s m o ossidativo con l’aumento della sintesi di ATP e RNA e regolando la proliferazione delle proteine nel ciclo cellulare.

Le onde d’urto, invece, sono state r i c o n o s c i u t e c o m e t e r a p i a adiuvante per ridurre edema e dolore e accelerare la guarigione e il rimodellamento del tessuto fibroso, così come evidenziato con l’ipertermia. Infine, un effetto

Fig: 1. Visione coronale e sagittale di una rottura acuta degli hamstring prossimali

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1. Gavard S, Reymond L. Poster presented at OARSI Congress 2013. 2. Lavet C, et al. Poster presented at ESCEO 2017.3. Heisel J, Kipshoven C. Drug Res (Stuttg). 2013;63(9):445-9. 4. Radenne F. Poster presented at IOACON Congress 2013.

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analgesico è stato riconosciuto alla terapia con ultrasuoni. L’utilizzo di cellule staminali mesenchimali (MSC) è consigliato dall’Australian College and Sport and Exercise Physician solamente in studi clinici ben controllati, a seguito di serie complicanze avvenute (lesioni glioproliferative al midollo dopo l’utilizzo di MSC) 8.

Il plasma ricco di piastrine (PRP), invece, sta diventando sempre più popolare e una recente revisione di Taylor e colleghi ha mostrato alcuni risultati promettenti su lesioni tendinee. Tuttavia mancano studi di I livello che certifichino la superiorità di questo trattamento. Ritornare all'attività troppo presto può mettere i pazienti ad alto rischio di recidiva. Recentemente è stato ottenuto un consenso sul ritorno allo sport nel calciatore in caso di assenza di dolore alla palpazione, assenza di dolore ai test di allungamento e flessibilità, assenza di dolore durante o dopo test funzionali, prove sul campo, “prontezza” psicologica9. La prevenzione degli infortuni degli

hamstring è essenziale. Ruolo dominante, dunque, è dato al lavoro eccentrico che produce un maggior guadagno d i forza rispetto ad esercizi concentrici. Identificare e correggere inoltre lo s q u i l i b r i o m u s c o l a r e p u ò c o m p o r t a r e u n a n o t e v o l e incidenza di infortuni 7.

TRATTAMENTO CHIRURGICO

Il trattamento chirurgico delle lesioni ai flessori è di solito riservato a rotture complete

inserzionali.

Secondo Cohen e Bradley, 3 il trattamento chirurgico è riservato a s p o r t i v i ( s p e c i a l m e n t e professionisti) quando 2 o 3 dei muscoli flessori sono distaccati dalla tuberosità con oltre 2 cm di retrazione o in atleti professionisti con dolore cronico correlato a rotture parziali senza retrazione del tendine. La riparazione di una lesione completa o parziale permette un ripristino anatomico dei flessori nel tentativo di ristabilire

la biomeccanica della pelvi e della loggia poster iore di coscia. Infezioni, lesioni nervose e adesioni sono le più comuni complicanze post operator ie e possono allungare significativamente la riabilitazione post-operatoria. La riparazione di una lesione cronica è associata ad un minor ritorno allo sport rispetto ad atleti operati su una lesione acuta. Dal punto di vista chirurgico questo richiede una incisione maggiore e spesso una neurolisi dello sciatico, comportando quindi u n i n c r e m e n t o d e l t e m p o o p e r a t o r i o e r i a b i l i t a t i v o , posticipando la mobilizzazione articolare e il ritorno allo sport.

In letteratura sono present i numerose tecniche chirurgiche o p e n e e n d o s c o p i c h e d i riparazione, con il numero di ancorette correlato alla qualità dei tessuti e alla severità delle lesioni, posizionate con ginocchio flesso a 30°. Particolare attenzione deve essere posta al nervo cutaneo femorale posteriore, posto sopra la fascia glutea, e al nervo sciatico,

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posto sotto la fascia dei flessori, e che può essere protetto retraendo i tendini lateralmente in caso di chirurgia open 7. Klingele e Sallay hanno riportato i casi di 11 pazienti sottoposti a riparazione chirurgica per rotture complete dei flessori. Dieci pazienti su 11 risultavano soddisfatti del risultato e 7 pazienti atleticamente attivi su 9, sono stati in grado di tornare a praticare lo sport pre-infortunio con una media di 6 mesi (intervallo da 3 a 10) dopo l'intervento chirurgico. In una recente review, pubblicata da Belk et al, oltre il 90% dei pazienti sottoposti a riparazione completa o parziale dei flessori, è tornata a praticare sport. Tuttavia, un intervento chirurgico precoce (< 1 mese) di queste lesioni può essere associato a un più rapido ritorno allo sport (4,8 mesi anziché 5.7). Il tasso di ritorno allo sport invece non differisce in atleti trattati in acuto o cronico (94,4% e 93,8% rispettivamente)6. Avulsioni distali de l b i c ip i t e f emora le sono a s s o c i a t e a l e s i o n i m u l t i -legamentose con un trauma in iperestensione in varo mentre quel le del semimembranoso risultano essere estremamente r a re . Av u l s i o n i i n v e c e d e l semitendinoso sono divenute più riconoscibili ma causano una r i tardata r ipresa del l ’at t iv i tà sportiva. Molti autori, infatti, concordano in un trattamento

chirurgico in acuto in at let i professionisti con una ripresa media di almeno 6.8 settimane dopo l’operazione 7. Pazienti candidati all’intervento chirurgico sono inoltre coloro che soffrono della “hamstring syndrome”. Si tratta di atleti con una storia cronica di lesioni muscolari che riferiscono un dolore cronico in regione della tuberosità ischiatica con una irradiazione lungo la c o s c i a p o s t e r i o r e . I n f a t t i , tendinopatie o rotture croniche possono causare la formazione di un tessuto c ica t r i z ia le che interessa il nervo sciatico. Di conseguenza, una contrazione dei flessori determina una trazione sul nervo con i sintomi derivati. Young and Van Riet hanno riportato buoni risultati in uno studio di 43 pazienti che sono stati sottoposti ad intervento di lisi chirurgica per questa specifica diagnosi 2.

CONCLUSIONI

Le lesioni dei flessori continuano ad essere una patologia molto c o m u n e s i a p e r g l i a t l e t i professionist i che per quel l i dilettanti. Dato il loro alto tasso di recidiva, la capacità di trattare efficacemente queste lesioni è fondamentale nell’aiutare gli atleti a tornare al loro precedente livello di attività senza metterli a rischio per lesioni future. La maggior parte

delle lesioni dei flessori possono e s s e r e t r a t t a t e m e d i a n t e trattamento conservativo mentre la chirurgia viene riservata a rotture complete e mostrano un’alta soddisfazione del paziente e una r ipresa del l ’att iv i tà sport iva. Fondamentale per gli studi futuri sarà porre attenzione ad un protocollo di prevenzione e di riabilitazione basato sull'evidenza per una diminuzione di incidenza di queste lesioni, un recupero e un ritorno allo sport più sicuro con minor rischio di recidiva.

BIBLIOGRAFIA

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C’erano una vo l ta g l i «a t le t i handicappati». Un termine che al giorno d’oggi suona offensivo, oltreché obsoleto, perché tendeva a s o t t o l i n e a r e l a c o n d i z i o n e svantaggiosa da cui partivano nuotatori, podisti o schermidori nell’affrontare la loro sfida agonistica. Le disabilità di quegli uomini e di quelle donne venivano gonfiate e quasi nascondevano la prestazione sportiva, in quanto l’aspetto fisico suscitava compassione e pietà e ci si dimenticava delle medaglie in palio. Nell’autobiografia scritta a quattro mani con il giornalista sportivo Giacomo Crosa, l’attuale presidente del Comitato Italiano Paralimpico (Cip) Luca Pancalli racconta un episodio curioso del 1988, che fotografa alla perfezione quanto detto: alcune persone, avvicinatesi alla squadra azzurra in partenza per l a P a r a l i m p i a d e d i S e u l , domandarono agli atleti se la loro destinazione fosse Lourdes. 

A distanza di più di un trentennio, la

percezione del mondo paralimpico è cambiata

radicalmente.

La grande vetrina internazionale di Londra 2012 ha avuto risalto anche in Italia e l’attenzione è cresciuta quattro anni dopo, con i Giochi di Rio. La Paralimpiade carioca ha

rischiato di essere cancellata per mancanza di soldi, ma il Comitato Internazionale Paralimpico (IPC) e il Comitato organizzatore locale hanno fatto gli straordinari per salvarla. E quello che si temeva potesse essere un fiasco, è stato in realtà un successo supe r i o re ad ogn i aspettativa. In primis, sul territorio, e basta un dato a dimostrarlo: nella giornata di sabato 10 settembre,

durante il primo weekend della Paralimpiade, sono stati registrati 167.000 accessi al Parco Olimpico, un numero mai raggiunto durante l’Olimpiade del mese precedente. Rio ha celebrato le imprese sportive di questi atleti, che non venivano più visti con un occhio di compassione, m a a n z i e r a n o c o n s i d e r a t i «superumani», come li ha definiti l’emittente televisiva britannica

OG 2019/3

LA NUOVA PERCEZIONE DEL MONDO PARALIMPICO  Il punto di vista del giornalista sportivo: Alberto Dolfin

“Hot Wheels” nasce con l’intento di prendere in considerazione una coniugazione specifica dell’attività sportiva, quella collegata alla disabilità.

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Channel 4 in un’efficace campagna promozionale divenuta virale sul web.   L’eco è arrivata anche in Italia e lo dimostra l’attenzione delle autorità, con la visita in Brasile dell’allora Sottosegretario di Stato ed attuale Ministro dello Sport, Luca Lotti. «Quando ho preso in mano la Federazione Italiana Sport Disabili (Fisd) nel 2000 – comincia a spiegare Pancal l i - era una del le tante federazioni riconosciute dal Coni ed inserite al suo interno: rappresentava un contenitore di tutte le discipline e di tutte le realtà sportive che erano attenenti al mondo della disabilità. Da al lora, è in iz iato un lento, ma inesorabile processo riformatore che conteneva in sé l'obiettivo di una grande rivoluzione, che si è consumata con il riconoscimento del Cip quale ente pubblico nel 2017».  E tra le tante conseguenze di questa rivoluzione culturale, c’è quella legata al mondo del la comunicazione. Maggiore copertura mediatica in termini di quantità, ma anche e soprattutto di qualità, come sottolinea il numero uno del Cip: «Il mondo della comunicazione si è innamorato dei nostri atleti ed ha imparato a definirli “paralimpici” (dal 2018 il lemma è entrato ufficialmente nel dizionario della Lingua Italiana, Treccani, ndr) e non più come “handicappati” o “disabili”.

D a l 2 0 0 0 a d o g g i , p a r l a n d o unicamente della realtà sportiva, la terminologia è cambiata perché il mondo della comunicazione è stato oggetto di un progetto di crescita culturale anche nell'adozione di termini corretti, indotto da noi con quella politica riformatrice, accompagnata da un diverso approccio degli stessi giornalisti. Li abbiamo pian piano educati a conoscere un mondo che si scrollava di dosso “l'assistenzialismo” o il “solidarismo” che avevano spinto il movimento fino agli anni Duemila, ma che oggi non andava più bene. Ricercavamo il nostro “protagonismo”, l'essere attori di una politica volta a diffondere il diritto allo sport tra le persone disabili del nostro paese». 

Una crescita graduale che si è consumata negli ultimi anni, in un percorso a tappe che ha visto una prima impennata dopo la Paralimpiade di Londra 2012, grazie ai successi

nell’handbike di Alex Zanardi e di Cecilia Camellini nel nuoto, per fare due esempi su tutti. Dalle dirette televisive della Rai agli art icoli pubblicati sui principali quotidiani italiani la tendenza è cresciuta ulteriormente nell’estate del 2016 a Rio, con nuovi personaggi che hanno b u c a t o l o s c h e r m o e h a n n o conquistato le prime pagine: su tutti, Beatrice Vio. Bebe, come ormai tutto il mondo ha imparato a conoscerla, è andata al di là dell’ambito sportivo prestandosi come testimonial negli scatt i d i Anne Geddes per la campagna a favore della vaccinazione contro la meningite, la malattia del sistema nervoso che le ha divorato i quattro arti, non impedendole però di mettersi al collo un oro individuale e un bronzo a squadre sulla pedana car ioca. Non bastasse c iò, la diciannovenne veneziana è stata invitata persino alla Casa Bianca dall’ormai ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.  «È straordinario avere ambasciatori come Bebe Vio, così come tanti altri campioni: sono ragazzi fantastici, ma

in passato c'erano altri straordinari atleti, che però non hanno avuto la fortuna di poter godere di questo lavoro a 360 gradi che ha permesso di sviluppare quello che oggi è il “paralimpismo” italiano – conclude Pancalli –. In quel mare di indifferenza che ci circondava fino a qualche anno fa abbiamo raccolto sensibilità, qualità e maggiore attenzione: 19 anni di lavoro e di impegno hanno portato i frutti. Ora, attraverso il grimaldello dello sport, il nostro compito è di aiutare il paese a tenere accesi i riflettori su q u e l l e m i l l e “ p a r a l i m p i a d i quotidiane” che le persone disabili sono cos t re t te ad a f f ron ta re , attraverso politiche attive sul territorio. D’altronde, la missione del movimento paralimpico in tutto il mondo è di cambiare la percezione della disabilità attraverso lo sport, che è quello che noi vogliamo fare in Italia».

Alberto Dolfín

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Mister Giampaolo, un recente studio ha analizzato la qualità della comunicazione tra staff tecnico e staff medico in 36 squadre di calcio professionistiche, ed ha dimostrato che un'efficace comunicazione tra staff tecnico e staff medico riduce gli infortuni ed aumenta la disponibilità degli atleti ad allenamenti e partite.

Lei, crede che sia importante la qualità della comunicazione tra staff tecnico e staff medico? La comunicazione tra staff tecnico e staff medico è una pratica all’ordine del giorno, un’interazione non solo verbale ma basata anche su continui scambi di comunicazioni via chat sul lavoro svolto sul campo, sul lavoro di prevenzione, di riatletizzazione e di riabilitazione degli atleti infortunati.

Nella sua carriera da calciatore, ha subito degli infortuni? Il problema più grosso che ho avuto nella mia carriera da calciatore è stata la pubalgia, per la quale ho dovuto lottare, combattere e confrontarmi fino a che mi hanno insegnato a gestirla con esercizi funzionali di prevenzione.

Quanto è difficile per un giocatore “mordere il freno” ed ascoltare medici e fisioterapisti? Non è né facile, né difficile: va fatto e basta!Quando giocavo io c’erano meno elementi di valutazione rispetto ad oggi, come ad esempio la quantificazione dei carichi interni e carichi esterni, meno accertamenti strumentali, e ci si basava molto più sull’esperienza dei medici e dei fisioterapisti.Adesso ci sono molti più dati oggettivi di valutazione e di monitoraggio da cui il calciatore non può “scappare”.

Calciatore, medico/fisioterapista, allenatore: chi capisce di più quando è il momento di rientrare in campo? C’è una fase di gestione dell’infortunio, nella quale il giocatore comunque non si ferma completamente, e poi una fase di riatletizzazione nella quale l’atleta viene gestito fino ad essere portato attraverso una serie di progressioni con elementi di controllo fino al momento del reintegro, ed anche in questo caso il reintegro è monitorato, quindi non si agisce per “come stai?” o “come va?”.Naturalmente il parere positivo del giocatore a rientrare in campo non può essere che di vantaggio, perché il calciatore impara a conoscere il suo corpo.

Sono più in casi in cui medico, tecnico ed atleta sono in accordo o in disaccordo, sui tempi di recupero? Per quanto mi riguarda c’è sempre accordo completo; io mi affido completamente allo staff medico: sono loro che mi dicono quando il giocatore a finito di svolgere il suo percorso di recupero e quindi è disponibile.

Ci vuole raccontare un episodio in cui ha detto: “ah, se avessi ascoltato il medico di squadra?”, oppure “ecco: lo sapevo che avevo ragione io!”? No. Eventi così non ne ricordo. Magari in passato è capitato di sbagliare una valutazione sul reintegro, e il calciatore si è infortunato nuovamente, ma devo dire che negli ultimi anni la mia esperienza con i metodi di lavoro del mio staff è stata molto positiva, con percentuali di infortuni molto bassa.

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Quanto è importante il rapporto tra staff tecnico e staff medico?

Chiediamolo a MARCO GIAMPAOLO

“Sedute video, perché l’utilizzo di immagini opportunamente selezionate rappresenta per me un vero e proprio mezzo di allenamento, al pari di una seduta in campo, droni per riprendere i lavori e analizzarli, il rapporto chiave con lo staff medico che ha una grande importanza nell’economia della stagione".

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Gl i spor t a r t i s t ic i r iguardano principalmente discipline rivolte al mondo femminile come la danza classica, la ginnastica artistica e ritmica e il pattinaggio artistico. Si tratta di attività ai confini tra sport, arte e spettacolo dove l’espressione del corpo in movimento, nei vari passaggi coreografici ed artistici, è data da movimenti complessi che coinvolgono un mix di abilità, forza ed equi l ibr io che si r iflettono negativamente soprattutto a livello dell’anca. Combinazioni estreme di movimenti di flessione, estensione, abduzione e rotazione esterna dell’anca associati ad un’elevata mobilità articolare, sia essa innata che acqu is i ta , consentono a ginnaste e danzatrici di posizionare l’articolazione coxo-femorale in posizioni potenzialmente impattanti e instabili che enfatizzano salti, balzi e strategie di atterraggio.

La patologia dell’anca riguarda circa il 40% delle problematiche

ortopediche che affliggono donne giovani e sportive che praticano discipline artistiche, e il conflitto

femoro-acetabolare ne rappresenta la maggioranza.

Nel 1965 Murray, per pr imo, introdusse il concetto di “femoro-acetabular impingment” come causa di degenerazione articolare dell’anca. Ma fu solo nel 2003 che Ganz definì il meccanismo del conflitto femoro-

a c e t a b o l a r e , s t i m o l a n d o successivamente nella comunità scientifica un vivo interesse riguardo l’incidenza di questa condizione clinica soprattutto nell’ambito di diverse discipline sportive. Tuttavia, evidenze scientifiche che indagano nello specifico la problematica del conflitto femoro-acetabolare negli sport che richiedono movimenti estremi ed eccessiva mobil i tà dell’anca sono scarse e poco definite.

Il conflitto femoro-acetabolare è definito come l’esito di una serie di patologie dell’anca, congenite o acquisite, che hanno come elemento patogenetico principale un contatto anomalo tra le due componenti articolari: l’acetabolo e la parte prossimale del femore. Questa condizione causa un’alterazione della meccan i ca de l l ’ a r t i co l a z i one coxofemorale che può provocare dolore nella regione inguinale e anter iormente soprat tut to ne i

movimenti di flessione e rotazione dell’anca. Tale impingment, nel tempo può condurre a lesioni del labbro acetabo la re e/o de l la carti lagine, rappresentando un fattore predisponente allo sviluppo di coxartrosi primaria. L’a l teraz ione del la morfo logia dell’anca può manifestarsi a livello prossimale del femore e/o a livello acetabolare. Sulla base di queste considerazioni sono stati descritti due meccanismi di conflitto:

1. Imp i ngmen t t i po CAM (femorale): dovuto all’alterazione del rapporto testa/collo del femore che si traduce in una non perfetta sfericità della testa femorale. In questo tipo di conflitto, il collo, direttamente o tramite un eccesso osseo (bump) in sede anteriore o antero-laterale, entra in conflitto con i l bordo acetabolare anteriore durante la flessione dell’anca.

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CONFLITTO FEMORO-ACETABOLARE NEGLI SPORT ARTISTICI

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2. Impingment tipo PINCER (acetabolare): dovuto ad un eccesso della parete acetabolare anteriore che entra in conflitto con il collo femorale. Simula l’effetto “pinza” dell’acetabolo sull’epifisi prossimale del femore.

Nella maggior parte dei casi tali deformità coesistono determinando un impingment di tipo misto.

È riportato che l’aumento dell’attività sportiva in età adolescenziale è un

fattore che innalza di 3 volte il rischio di insorgenza di tale patologia. Considerando che tali discipline, piuttosto che altre, sono caratterizzate da una specializzazione precoce e l’avvicinamento alla loro pratica avviene perlopiù in età pediatrica per r a g g i u n g e r e p o i n e l l ’ e t à ado lescenz i a l e uno s ta tus d i performance ottimale, tale aspetto ne rappresenta un importante fattore prognostico. Evidenze suggeriscono che nel periodo critico della maturità scheletrica gli stress reiterati indotti dalle gestualità sport-specifiche vanno ad influire sul lo svi luppo del la morfologia dell’anca creando delle deformità. Negli atleti che durante la loro adolescenza praticano attività ad elevato volume di impatto come calcio, pallacanestro e hockey su ghiaccio è ormai acclarato, che esiste una correlazione con la formazione di deformità ossee di t ipo CAM.

Diversamente, la morfologia dell’anca nelle atlete, quali ginnaste e danzatrici, è ancora poco studiata. Le posizioni che accomunano le d isc ip l ine artistiche sono il turnout, il grand plié, e il developpé a la seconde e sono eseguite ai gradi estremi di flessione, abduzione e rotazione esterna dell’anca che possono portare alla formazione di deformità. I pochi studi rad iog rafic i a r i gua rdo hanno dimostrato che atlete con una sintomatologia di conflitto femoro-

acetabolare mostrano una bassa prevalenza radiografica di deformità tipo PINCER, e in misura minore di tipo CAM, ma un’elevata incidenza di displasia acetabolare.

Per coloro che svolgono sport profess ion ist ico, un approccio conservativo è spesso inefficace e bisogna optare direttamente ad un approcc io ch i ru rg ico. I l “go ld s t a n d a r d ” è r a p p r e s e n t a t o dall’artroscopia che varia in base alla patologia individuale presente, e prevede l’asportazione dell’osso in eccesso dalla porzione femorale e/o acetabolare. Similmente agli altri sport, anche in questa circostanza la letteratura riporta che il 97% di danzatrici ritorna allo sport ad un tempo medio di 6.9 mesi, con la maggior parte di esse che danza a l ivel l i più alt i r ispetto al la loro condizione preoperatoria. Un elevato

livello professionistico rappresenta un importante fattore prognostico per il raggiungimento di ottimi outcomes e un rapido ritorno in pedana.

Tuttavia, considerando che esiste una finestra durante il periodo di maturità scheletrica nel quale lo sviluppo della morfologia dell’anca può essere influenzata dalla scelta dello sport, essa rappresenta una potenziale opportunità per la prevenzione della patologia dell’anca. Come questi

ripetitivi stress possano portare ad anomalie ossee di compenso in questa popolazione, non è ancora chiaro. La conoscenza riguardo gli adattamenti ossei e dei tessuti molli in questa popolazione è di vitale importanza per capire le conseguenze a medio e lungo termine che riguardano la salute dell’articolazione coinvolta.

BIBLIOGRAFIA

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Impingement tipo CAM

Impingement tipo PINCER

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“L’UOMO é un bipede implume” Platone

Gli esseri umani sono, tra tutte le creature viventi, gli unici ad esporre una postura eretta. Mentre i primati hanno innato il meccanismo per mantenere il tronco in posizione verticale in una fase molto precoce, solo gli esseri umani sono in grado di mantenere l ’ortostat ismo e deambulare su due gambe per pro lungat i per iod i . Questa specificità ha di fatto “liberato” le mani in modo che gli esseri umani potessero usarl i per compiti diversi. Ciò, di fatto, è stato il primo passo evolutivo. Questa posizione eretta ha fatto sì che gli occhi si spostassero in avanti, ampliando così il campo

visivo che, infine, ha acquisito la v i s i o n e b i n o c o l a r e o stereoscopica.

Dal punto di vista filogenetico, l'adozione di una struttura eretta n o n h a c o m p o r t a t o semplicemente una rotazione dell'anca di 90°, ma soprattutto al passaggio lombo-sacrale risultata nella forma cuneiforme del 5° lombare e le prime vertebre sacrali. Il sacro è il punto di equilibrio della stazione eretta. Lo sviluppo della postura eretta ha richiesto inoltre una colonna vertebrale con una forma a doppia-S che differisce da quella del quadrupede a singola S a cui manca la lordosi lombare. E’ p r o p r i o q u e s t ’ u l t i m a l a caratteristica che, sebbene non i n d i s p e n s a b i l e p e r i l raggiungimento della postura eretta, permette di rimanerci per tempo prolungato. Anche il quadrupede può alzarsi su due zampe ma il dispendio muscolare è enorme.

La formazione della lordosi lombare consente al centro di gravità corporeo di muoversi posteriormente al centro di gravità delle anche e di fronte a quel lo del le ginocchia. Dal momento che siamo in grado di s t a b i l i z z a r e q u e s t e d u e articolazioni passivamente grazie alla parte legamentosa, non

abbiamo bisogno di potenza muscolare per stare in piedi (ad eccez ione de i muscol i de l polpaccio che stabilizzano la caviglia) [1]. Anche questo spiega perché la locomozione è molto più economica per gli umani che per i quadrupedi, e perché siamo superiori a quasi tutti gli animali in relazione alla corsa sulla lunga distanza.

La detorsione del collo femorale durante la crescita è un altro fenomeno specifico umano. In ultimo bisogna dire però che gli umani hanno anche pagato a caro prezzo per questo unico vantaggio di una postura eretta ed evidentemente non siamo ancora del tutto venuti a patti con questo passo evolutivo. L'uomo è sì unico nella postura eretta e ciò contribuisce al suo dominio, allo stesso tempo però, è diventato un fattore di malattia le cui implicazioni non possono ancora essere pienamente afferrate.

Sviluppo posturale nei bambini

Lo sviluppo filogenetico del rachide segue uno sviluppo simile sia durante la maturazione da feto a bambino che poi da b a m b i n o v e r s o l ' a d u l t o . Nell'utero, il feto è in posizione flessa e la colonna vertebrale è

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BREVE STORIA DEL BIPEDISMO

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comp le tamente c i fo t i ca . I l neonato tiene anche spalle, gomiti, fianchi e ginocchia in flessione, inducendo la colonna vertebrale, porzione cervicale esclusa, a tenersi in cifosi, come nel caso dei quadrupedi. Le contratture in flessione fino a 30° sono fisiologiche. Più tardi gli estensori del rachide, del collo e del femore sono i pr imi a rinforzarsi, fornendo al bambino il controllo della testa. Dopo alcuni mesi è anche in grado di sedersi, sebbene con una totale cifosi. In questa fase a livello lombare manca ancora la lordosi, che è un target fisiologico durante questo periodo e prima dell'inizio della deambulazione. Una volta che il bambino inizia a camminare, la stessa lordosi lombare inizia a svilupparsi. Q u e s t o p r o c e s s o n o n è completamente in concerto al rafforzamento dei muscoli e la conseguenza d i c iò è una iperlordosi causata dalla gravità che agisce più ventralmente. Nei bambini questa iperlordosi spesso non viene compensata da una ipercifosi della colonna ver tebra le to rac ica con la conseguente comparsa della cosiddetta “hollow back”. Questo tipo di postura nel bambino è caratterizzato da debolezza fisiologica dei muscoli e lassità legamentosa che è costituzionale in questa fase. La forma “adulta” della colonna si sviluppa solo poco prima della pubertà. Negli anziani, la colonna vertebrale torna nuovamente alla versione c i fo t ica de l bambino. Una caratteristica importante del bambino è il riflesso tonico as immet r i co de l co l l o . La persistenza di questo riflesso può po r t a re a una fo rmaz ione asimmetrica dei muscoli e ad una condizione nota come scoliosi infantile.

Relazione tra postura e patologia

Il concetto di “danno posturale” è argomento di grande attualità anche in relazione al fatto che i problemi al rachide quali es. la lombalgia sono in continuo aumento tra adulti e ragazzi. Bisogna però sfatare o per lo meno chiarire alcuni miti e questo sarà l’ultimo argomento di questo articolo.

Per prima cosa: lo sviluppo della scoliosi strutturale non ha nulla a che fare con la postura.

1. Una cattiva postura non può indurre in un adolescente una scoliosi idiopatica. È noto che la scoliosi deriva da una discrepanza tra la crescita del corpo vertebrale anteriormente e l a c resc i t a deg l i e l emen t i p o s t e r i o r i , c a u s a n d o principalmente lordosi. Molti adolescenti affetti da scoliosi hanno una postura eretta e sono spesso sportivi. La curvatura laterale si sviluppa a seguito della rotazione dei corpi vertebrali e anch’essa non ha nulla a che fare con la postura. Una dismetria degli arti inferiori o una posizione obliqua di L5 a causa di una malformazione intra-sacrale, può eventualmente favorire la scoliosi lombare, almeno con differenze non compensate superiori a 2 cm.

2. Tra i t ip i d i postura fisiologica, la “schiena cava” ha una prognosi migliore rispetto alla “schiena piatta”. Anche se quest’ultima è l'ideale estetico, le prospettive in termini di sviluppo successivo di sintomi sono peggiori in relazione al fatto che un rachide con curve sagittali, ha m a g g i o r e c a p a c i t à d i assorbimento degli urti. Infine la mancanza lordosi lombare sposta in avanti il baricentro, con la conseguenza che i muscoli paravertebrali lombari svolgono maggiore lavoro per mantenere la postura.

3. Lo sviluppo di cifosi può essere influenzata dalla postura. Una postura cifotica permanente

durante la pubertà può innescare l o s v i l u p p o d e l m o r b o d i Scheuermann. Sebbene la prognosi dello Scheuermann che coinvolge la regione toracica non è pessima, più ci si abbassa verso la regione lombare più peggiora. Infatti lo Scheuermann lombare è associato ad un rischio molto elevato di lombalgia cronica in età adulta. Di solito questa condizione provoca la perdita della lordosi lombare o addirittura sviluppo di cifosi in questa regione. Dal dal punto di vista biomeccanico lo spostamento in avanti del centro di gravità deve essere compensato dalla una lordosi toracica con un notevole lavoro posturale dei muscoli paravertebrali lombari.

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Il golf rappresenta uno sport molto popolare negli Stati Uniti con circa 25 milioni di giocatori nel 2009 (circa 90 000 le persone praticanti in Italia nel 2017). Questa discip l ina ha la particolarità di essere uno sport esercitato a livello agonistico anche da una popolazione non più giovanissima (> 40 anni). Gli infortuni in questa disciplina hanno una incidenza di circa 15.8 lesioni ogni 100 golfisti e le sedi maggiormente colpite sono il rachide e l’arto superiore.

Le lesioni sono secondarie nella maggior parte dei casi a “overuse” e avvengono soprattutto durante lo

svolgimento dello swing (il movimento con cui il golfista

colpisce la pallina con la mazza)(Fig.1) 1.

Lo swing è caratterizzato da diverse fasi: si parte dal portare la mazza da golf lentamente dietro alla testa facendo ruotare spalle e schiena. Dall'apice del backswing (ovvero dalla posizione appena raggiunta) si inizia il

downswing (la discesa verso la palla) con un movimento rotatorio del corpo. Continuando con il movimento dei fianchi e del corpo del downswing la palla viene messa in moto e si passa al la fase del fol low through, i l passaggio che inizia una volta che la palla si è staccata dalla faccia della mazza fino ad arrivare al finish, l'ultima fase dello swing: i fianchi completano la rotazione, le braccia si piegano e il corpo si trova rivolto verso l'obiettivo 2.

La lombalgia rappresenta il principale sintomo r iscontrato dal golfista amatoriale e non, dovuta alle diverse velocità di esecuzione delle fasi dello swing (es.un lento backswing e un veloce downswing). Le forze rotazionali e di compressione asimmetriche possono produrre grandi carichi sul rachide e sulla muscolatura paravertebrale (fino a 8 volte il peso del corpo) e predisporre a patologie erniarie, fratture vertebrali da stress, spondilolistesi e artrosi delle faccette. Molto importante risulta quindi la prevenzione, sia pre-allenamento con esercizi che enfatizzano l’attivazione della muscolatura delle scapole, del

tronco e delle anche, che post-allenamento con esercizi di stretching per migliorare la flessibilità dei muscoli del tronco trattando l’asimmetria muscolare create dai movimenti ripetuti dello swing 3-4.

Per l’arto superiore le cause primarie n e l g o l fi s t a d i d o l o r e s o n o I’impingement subacromiale e la rottura o la tendinite della cuffia dei rotatori, acutizzato nella fase dell’apice del backswing e nella fase finale del fol low through. Generalmente i l trattamento conservativo risulta essere il primo approccio con terapie fisiche e farmacologiche 5. Tuttavia Vives et al riportano uno studio eseguito su 29 go lfis t i amator ia l i so t topost i a riparazione chirurgica della cuffia e acromionplastica con lesione media di 2-6 cm (metà pazienti sottoposti a r i p a r a z i o n e d e l l a c u f fi a e acromionplastica open mentre l’altra metà a chirurgia mini open) con 26 pazienti che sono ritornati a giocare allo stesso livello pre-infortunio ad un follow up medio di 3 anni 6. Causa di dolore nella spalla nel golfista è inoltre l’impingement interno, come

GLI INFORTUNI DEL GOLF

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Fig.1:lediversefasidelloswing.

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a v v i e n e n e g l i a l t r i a t l e t i “overheads” (es. lanc iatore d i giavellotto, lanciatore di baseball, ecc.). La spalla dominante (la destra nei mancini e viceversa) durante la fase di carico è in massima adduzione e causa l’impingement della testa e della cuffia contro labbro anteriore e glena. Durante la fase di rilascio, invece, la spalla dominante è in massima abduzione e rotazione esterna con l’impingement della testa e della cuffia che avviene contro labbro posteriore e glena. Questi meccanismi ripetuti possono dunque portare a lesioni del labbro, lesioni cartilaginee della testa omerale e lesioni della cuffia.

Anche l’articolazione acromion-claveare nella sua forma degenerativa risulta essere una causa comune di dolore nei golfisti (il 53% delle cause di dolore nella spalla nei professionisti). Il trattamento risulta essere di tipo conservativo attraverso terapie fisiche, modifiche nello swing (cercando di ridurre il movimento di adduzione durante la fase di backswing, responsab i le de l sovraccar ico del l ’ar t ico laz ione) ed eventual i infiltrazioni cortisoniche. La chirurgia è da prendere in considerazione a seguito del fallimento del trattamento conservativo7.

Dal momento che il golf è praticato anche da una popolazione anziana (> 65 anni), il trattamento protesico per l’artrosi gleno-omerale risulta essere molto comune e conduce ad ottimi r isultat i . Infatt i in uno studio retrospett ivo r iguardante una popolazione di 24 pazienti (52 anni l’età media degli atleti) sono stati effettuati 26 interventi di protesi di s p a l l a ( 2 0 a r t r o p r o t e s i e 6 emiartroprotesi). 23 pazienti sono ritornati a giocare a golf nell’arco di circa 4,5 mesi con buoni risultati clinici nei successivi follow-up 8.

Casi di instabilità gleno omerale anteriore e posteriore nei golfisti sono stati riportati in letteratura. Per potenziare il loro swing i giocatori aumentano la rotazione delle spalle e questo può portare a microtraumi ripetuti ai tessuti capsulari e al labrum. Questi traumi, associati a iperlassità congenita, possono provocare una i ns tab i l i t à s i n tomat i ca . L’a r to dominante può essere suscettibile ad una instabilità anteriore quando quest’ultimo è in massima abduzione e rotazione esterna durante la fase finale del follow-through. Il trattamento iniziale è conservativo ed è volto al rafforzamento della cuffia dei rotatori e degl i stabi l izzatori scapolari. È presente un case report di un golfista p r o f e s s i o n i s t a t r a t t a t o c o n

ricostruzione open de l labbro e della capsula a seguito del f a l l i m e n t o d e l t r a t t a m e n t o conservativo, che è ritornato all’attività sportiva a 1 anno. Il golfista con instabilità posteriore, invece, riferisce di sentire un click alla spalla e di avvertire dolore durante la transizione dalla fase di backswing a quella di downswing. In letteratura 6 golfisti professionisti sono stati trattati con capsuloraffia artroscopica con un ritorno alla attività a circa 4 mesi 1.

Le tendiniti del flessore ed estensore ulnare del carpo, rappresentano infortuni da sovraccarico molto comuni nel polso dominante del golfista, secondarie al movimento di eccessiva deviazione radiale durante la fase di rilascio. I ripetuti movimenti

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d e l p o l s o possono in aggiunta provocare la l e s i o n e d e l c o m p l e s s o fibrocartilagineo triangolare del carpo, il cui trattamento dipenderà dalla sede e dalla grandezza delle lesioni. L’arto in questo caso si presenterà dolente e deviato ulnarmente con un possibile c l i c k a v ve r t i t o a l l a ro t a z i one dell’avambraccio. In letteratura sono stati riportati inoltre casi di fratture dell’uncinato a seguito di violenti colpi sul terreno, trattati nella maggior parte dei casi conservativamente con apparecchio gessato.

Infine troviamo comune l’epicondilite nell’arto dominante ed epitrocleite nell’arto non dominante nel golfista dovuto soprattutto ad overuse. Altre cause minori possono essere una presa della mazza da golf troppo stretta, oppure colpire il terreno prima della palla o giocare su un terreno troppo duro. Il trattamento inziale consiste in un approccio conservativo, f a t t o d i t e r a p i e fi s i c h e e farmacolog iche. Infi l t raz ion i d i cortisone e PRP sono stati utilizzati ma con effetti variabili. Il trattamento chirurgico, che consiste in debridment e riparazione su epicondilo/epitroclea, è da considerarsi solo in caso di

f a l l i m e n t o d e l t r a t t a m e n t o conservativo.

In misura minore troviamo infortuni agli arti inferiori, in cui spiccano le distorsioni di caviglia generalmente secondarie a eventi traumatici. Nei golfist i impingement femoro-acetabolari, lesioni del labbro,

d i f e t t i c o n d r a l i e a r t r o s i costituiscono solamente il 2,8% degli

infortuni totali. Durante lo svolgimento dello swing inoltre si generano forze che determinano una rotazione interna ed esterna della tibia sul femore e possono causare lesioni meniscali o legamentose, responsabili del 4-9% dei casi totali di infortunio nel golfista.

Capitolo particolare e interessante è quello relativo agli infortuni correlati all’utilizzo delle golf-car (macchine generalmente di piccole dimensioni, elettriche utilizzate nei campi da golf per il trasporto dei giocatori e delle attrezzature). Secondo il National Electronic Injury Surveillance System (NEISS) americano dal 2002 al 2005 sono stati 48 255, pari a 4,14 infortuni ogni 100 000 abitanti. Le più comuni l es ion i r i su l tano esse re s ta te contusioni e abrasioni per gli arti inferiori, fratture per l’arto superiore ed infine traumi cranici con ematomi subdurali ed emorragie. La maggior parte degli infortuni sono correlati ad una perdita di controllo delle golf-car. Si è dimostrato infatti che una velocità maggiore di 15 miglia/orarie rende queste vetture altamente instabili anche a seguito di frenate brusche. La mancanza di dispositivi di sicurezza e norme che ne regolino l’utilizzo, rendono queste auto-vetture ancora più pericolose9.

Sebbene il golf non sia uno sport di contatto possono verificarsi severi infortuni muscolo-scheletrici. Risulta quindi importante per lo s p o r t i v o e s e g u i r e u n b u o n riscaldamento per migliorare la forza e la stabilità del rachide lombare e la muscolatura peri scapolare.

Fondamentale inoltre per il medico capire le forze e la

biomeccanica che agiscono durante lo swing sulle diverse articolazioni per una migliore

diagnosi e trattamento del golfista.

BIBLIOGRAFIA

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OrthoGazza Dal Comitato Sports medicine • Giacomo Zanon• Alberto Vascellari• Lorenzo Boldrini• Katia Corona• Enrico Ferranti• Simone Perelli• Fabrizio Tencone• Luca Pulici• Francesco Poggioli

Dal Comitato Sport e Disabilità • Vincenzio Palmieri• Marco Dolfin• Francesco Todde

In collaborazione con il Comitato Comunicazione SIAGASCOT

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La rubrica “Tutti di corsa” vuole essere uno spazio di approfondimento med ico spor t i vo de l l e tematiche riguardanti uno degli sport che ha visto negli ultimi anni il maggior incremento in termini di n u m e r o d i p r a t i c a n t i , rappresentando per certi versi un vero e proprio fenomeno d i moda : i l running La corsa e la lombalgia. Due aspetti da molti considerati con un rapporto diretto di causa-effetto per cui è f r e q u e n t e s e n t i r c o n s i g l i a re l’astensione della corsa in soggetti che soffrono o h a n n o

sofferto di lombalgia. Ma quali sono le evidenze in letteratura e quali effetti può avere la corsa sui dischi intervertebrali? Da un punto di vista biomeccanico la corsa è un’attività di locomozione molto differente dal cammino poiché tra un passo e l’altro avviene una fase di volo (non presente nel cammino dove un piede è sempre in appogg io ) che compor ta un incremento delle forze in impatto al terreno quantificabile in circa 1.6 -2.3 volte il peso corporeo in relazione alla velocità della corsa. Ad ogni passo ci troviamo quindi ad affrontare un carico di lavoro importante, ed è facile intuire come in presenza di una struttura muscolare non adeguata ad ammortizzare tali forze, in particolare per insuffic ienza de i musco l i antigravitari degli arti inferiori e del rachide, si possano creare situazioni d i sov racca r i co de l s i s t ema muscoloscheletrico che conducono a patologia. Non a caso infatti una

elevata percentuale di soggetti che praticano regolarmente la

corsa presenta un qualche t i p o d i i n f o r t u n i o d a sovraccarico durante un anno di attività (stimabile in circa il 50% dei soggetti). Tra le varie tipologie di infortunio, di cui abbiamo p a r l a t o a n c h e i n precedenti art icol i , gl i

infortuni a livello lombare rappresentano in realtà una

percentuale bassa di circa il 7 % d e l t o t a l e , c o n u n a

prevalenza per la lombalgia cronica

in runners amatoriali di circa il 13% (1). Un interessante studio del 2018 ha a n a l i z z a t o l a c a p a c i t à d i ammortizzazione degli impatti a livello lombare durante il cammino e la corsa in funzione del grado di lordosi lombare: i dati dello studio r iportano una r iduz ione del le accelerazioni sagittal i a l ivel lo lombare misurate con accelerometro fino al 64% durante la corsa nei soggetti che presentavano maggior lordosi lombare rispetto ai soggetti con appiattimento della stessa (2). Sogget t i con r iduz ione de l la fisiologica curvatura lombare (per esempio un quadro di appiattimento lombare frequente in soggetti con abitudini sedentarie e retrazione degli ischiocrurali) sarebbero quindi più a rischio di sovraccaricare la regione lombosacrale rispetto a chi presenta una corretta postura e fisiologica curvatura del rachide.

Sempre in tema di assorbimento degli impatti al terreno è importante poi sottolineare l’influenza che può avere il modo in cui si corre sulla capacità di ammortizzazione le forze di trasmissione dal terreno alla schiena: soggetti che corrono con ampia falcata-bassa cadenza, impatto rumoroso con accentuata oscil lazione verticale e ridotta flessione di ginocchio al momento d e l l ’ i m p a t t o a l t e r r e n o , presenteranno scarsa capacità di assorbire gli impatti con inevitabili ripercussioni in particolare a livello di ginocchia, anche e rachide. Questo

a cura di LORENZO BOLDRINI

OG 2019/3

RUNNING E LOMBALGIA Di Lorenzo Boldrini e Francesco Poggioli

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è ben evidenziabile durante analisi biomeccanica e baropodometrica de l l a co rsa dove s i possono quantificare le forze in impatto al t e r r e n o e l a c a p a c i t à d i ammortizzazione (espressa dalla ripidità dello “slope” della curva di forze al terreno). Sessioni di “running retraining” con istruzioni mirate per effettuare una corsa più leggera al terreno hanno permesso, secondo alcuni studi, di ridurre le forze verticali e il picco di forza in impatto in appoggio (3).

Inoltre la pratica regolare di esercizi di rinforzo della muscolatura della s c h i e n a e d e g l i a r t i i n f e r i o r i s e m b r e r e b b e p e r m e t t e r e u n miglioramento clinico e funzionale della lombalgia in soggetti praticanti la corsa e affetti da lombalgia cronica, con miglior efficacia in particolare per gli esercizi di rafforzamento degli arti inferiori (1).

Per studiare gli effetti cronici della pratica della corsa sul rachide lombare un gruppo di ricercatori ha analizzato il livello di idratazione e trofismo dei dischi intevertebrali in soggetti non sportivi ed in soggetti praticanti la corsa da a lmeno 5 ann i con chilometraggi di 20-40 Km/sett e oltre 50 km/sett. I risultati dello studio hanno ev idenz i a to un e f f e t to adattativo dei dischi intervertebrali con maggior idratazione e ipertrofia in particolare nella regione centrale del nuc leo ne i sogget t i p ra t icant i al lenamenti di corsa prolungati rispetto a chi correva distanze inferiori o ai sedentari, come evidenziato anche in figura (4).

Altri lavori tuttavia riportano una riduzione dello spessore dei dischi intervertebrali in particolare degli ultimi livelli lombari subito dopo l’attività della corsa (5 e 6). Più in generale una revisione della letteratura r iguardo agl i effett i del l ’at t iv i tà sport iva sui d ischi

intervertebrali riporta come attività potenzialmente benefiche per i dischi stessi la pratica di esercizio in carico con velocità da lente a moderate, come ad esempio il cammino ed il jogging, mentre attività comportanti movimenti torsionali, in flessione-compressione, carichi rapidi e ad alto impatto risulterebbero dannose per la salute dei dischi intervertebrali. Un simile effetto negativo si verifica a livello discale come ben noto anche per l’eccessiva riduzione dell’attività fisica generale e per l’inattività (7). Da quanto esposto risulta quindi comprensibile come in funzione delle caratteristiche individuali la corsa possa rappresentare un rischio di sovraccarico per il rachide in alcuni soggetti, mentre per altri possa essere uno strumento per migliorare lo stato di salute.

Piuttosto che sconsigliare la corsa a priori sarebbe quindi utile indagare, oltre agli aspetti

anamnestici e clinico-posturali del paziente, anche la sua modalità di

corsa e di controllo del movimento,

valutando a lcuni sempl ic i test funzionali in ambulatorio (come ad esemp io l o squa t e i l pon te monopoda l ico ) ed osservando

quantomeno il soggetto correre (ad esempio tramite video se non si ha a disposizione un tapis roulant o la possibilità di studiare il controllo del movimento e la tecnica di corsa con appositi test biomeccanici). L’obiettivo dovrebbe essere quello di fornire ai p a z i e n t i - s p o r t i v i i n d i c a z i o n i personalizzate per esercizi terapeutici (in particolare di stretching, controllo posturale e rafforzamento muscolare) e di eventuale modificazione della modalità-intensità degli allenamenti e della tecnica di corsa al fine di permettere la pratica di un’attività sportiva desiderata e allo stesso tempo di l imi tare i l r ischio di sovraccarico.

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E’ davvero possibile fare sport dopo una protesi di spalla? Nella maggior parte dei casi si!

I l dolore e la perdita della funzionalità sono le ragioni principali per cui i pazienti scelgono di sottoporsi ad un intervento di protesi di spalla. Molti pazienti però si presentano per un intervento di protesi di spalla dopo mesi o anni in cui r i m a n d a n o l a p ro c e d u r a , nonos tan te i l do lo re e l a disfunzione crescenti. Questo ritardo è legato alle percezioni spesso pessimistiche riguardo agli esiti funzionali e al ritorno allo sport dopo la protesi di spalla. Infatti tradizionalmente ai pazienti sottoposti a protesi di spalla venivano consigliate restrizioni di attività, a causa del rischio teorico di precoce mobilizzazione della protesi.

G l i s t e s s i c h i r u r g h i fi s s a v a n o d e i l i m i t i , dissuadendo o a d d i r i t t u r a p r o i b e n d o a molti pazienti si

svolgere sport “overhead”, sport con pesi o a t t i v i tà lavorat ive pesant i . T i p i c a m e n t e i p r o t o c o l l i postoperatori includevano sport a c q u a t i c i , g o l f , j o g g i n g , escursioni e altre attività, ma sconsigliavano il nuoto, e di sollevare pesi di oltre i 10 chili.

Queste restrizioni e queste scarse aspettative non sono s u p p o r t a t e d a l l a r e c e n t e letteratura; mentre i livelli di attività dopo protesi di anca e ginocchio sono ampiamente riportati in letteratura, il numero di studi su questo argomento nelle p r o t e s i d i s p a l l a s o n o relativamente limitati. Questi p ro toco l l i e s senz i a lmen te riflettono la propensione dei chirurghi a “proteggere” le p r o t e s i , c o n v i n t i c h e un'articolazione artificiale in metallo e plastica abbia un

numero limitato di movimenti totali ed una limitata tolleranza alle attività di resistenza, e che quindi mantenendo tali attività al minimo si aumenti la longevità dell'impianto, riducendo il rischio di “notching” scapolare, usura del polietilene e mobilizzazione precoce dell'impianto.

D’altro canto, negli ultimi anni le protes i d i spa l la vengono eseguite su pazienti sempre più giovani e/o più attivi, per cui la capacità di tornare a praticare sport o altre attività fisiche (e se possibile, allo stesso livello di prima) è diventata sempre più importante.

I pazienti canditati alla protesi di spalla pongono un'enfasi

sempre crescente sulla possibilità di riprendere a svolgere attività che prima dell'intervento non erano

possibili o erano difficili da eseguire.

Sempre più frequentemente sia durante le visite pre-operatorie che di follow-up, i pazienti si informano sulla possibilità di fare

OG 2019/3

PROTESI DI SPALLA & SPORT

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sport dopo protesi di spalla. Recenti studi su pazienti che hanno subito un intervento di protesi di spalla hanno rivelato che i pazienti che prima dell'intervento partecipavano ad attività sportive hanno una forte predilezione per tornare a ta l i at t iv i tà dopo l’intervento. Questi pazienti si aspettano di poter tornare ad attività come allenamenti con c a r i c h i p e s a n t i , c r o s s - fi t , arrampicata su roccia e altri sport “overhead”.

La verità è che molti recenti studi hanno dimostrato che il tasso di ritorno allo sport dopo la protesi di spalla, sia anatomica che inversa, è p i ù a l t o d i q u a n t o precedentemente descritto. Gl i sport p iù comunemente praticati dai pazienti con protesi di spalla comprendono golf, nuoto, tenn is , ma possono anche includere molte altre attività come fitness, canot tagg io, sc i , e pallacanestro.

Una recente revisione sistematica e meta-analisi della letteratura ha determinato il tasso di ritorno allo sport dopo protesi di spalla. Sono stati analizzati 944 pazienti con un'età media di 69 anni inclusi in 13 studi, e seguiti per un follow-up medio di 5 anni.

Il tasso generale di ritorno allo sport è stato dell'85%, e di

ritorno allo sport allo stesso livello di prima della protesi di spalla del 72%. Come previsto,

il ritorno a questi sport è inferiore per i pazienti con

protesi inversa (75%) rispetto ai pazienti con protesi anatomica

(93%).

Questo dato potrebbe riflettere i vincoli della protesi inversa o, molto più probabilmente, l'età in genere più avanzata e lo stile di vita più sedentario dei pazienti che sono sottoposti a protesi inversa.

U n ’ a l t r a r e c e n t e re v i s i o n e sistematica e meta-analisi della letteratura sul ritorno allo sport dopo protesi inversa, ha analizzato 11 studi che hanno incluso un totale di 621 pazienti (67% donne) con un'età media di 73 anni. Tutti i pazienti inclusi hanno praticato sport prima dell'intervento. Il tasso di ritorno allo sport variava dal 60 all'86% e variava con il livello di attività sportiva. Il tempo medio di ritorno allo sport era di 5,3 mesi in due studi e variava dal 7% all'86% dei casi entro 12 mesi in due studi.

Uno studio del 2008 che ha esaminato 86 spalle sottoposte a protesi di spalla in 75 soggetti ad un follow-up medio di 3,7 anni, ha riportato che l'81% dei pazienti è stato in grado di riprendere almeno 1 sport e il 71% ha riferito una migliore capacità nelle attività sportive.

Gli sport associati ai più alti tassi di rendimento includevano pesca (92%), nuoto (86%) e sci (81%), mentre il bowling (40%) e il softball (20%) hanno avuto i tassi di rendimento minori.

La maggior parte dei soggetti ha fatto pieno ritorno allo sport dopo 6 mesi dall'intervento e ha riferito d i e s s e r e s t a t o i n g r a d o partecipare con una frequenza più

e l e v a t a r i s p e t t o a p r i m a dell'intervento.

Un altro studio più recente su 154 protesi con un follow-up medio di 6,2 anni ha analizzato sia pazienti che avevano partecipato a uno sport prima dell'intervento che soggetti che non avevano mai praticato sport. Al follow-up finale, il 39% dei soggetti praticava sport, ognuno dei quali aveva partecipato a sport prima dell’intervento. Dei soggetti che avevano praticato sport prima dell'intervento, il 57% era tornato allo sport dopo un intervento chirurgico, e il 100% dei soggetti che praticavano sport fino al momento dell'intervento, era t o r n a t o a l l o s p o r t d o p o l'intervento. Gli autori concludono c h e i p a z i e n t i c h e n o n partecipavano a sport prima

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dell’intervento, è improbabile che lo facciano dopo l’operazione.

In uno studio specifico sul golf, 31 su 35 golfisti sottoposti a protesi di spalla sono stati in grado di riprendere il golf dopo una media di 8,4 mesi dopo l'intervento. Trenta di questi 31 pazienti che sono tornati a golf hanno riportato miglioramenti nel loro gioco.

Per quanto riguarda l’età dei pazienti sottoposti a protesi, Wa l t e r s e c o a u t o r i h a n n o analizzato il ritorno allo in pazienti di età superiore o inferiore ai 65 a n n i . I l i v e l l i d i a t t i v i t à postoperatoria erano simili nei pazienti di fasce d'età diverse, e anche dolore, arco di movimento, forza e numero di attività era simile tra i gruppi. Tuttavia, mentre nessuno dei pazienti oltre 65 anni riportavano disabilità alla spalla, il Il 59% dei pazienti più giovani r i c h i e d e v a a n c o r a f a r m a c i analgesici dopo un follow-up medio di 2,2 anni. Gli autori concludono che i pazienti più giovani non necessariamente espongono la protesi a carichi più elevati, ma piuttosto sembrano auto-regolamentare le proprie attività secondo le loro soglie di dolore.

Inoltre i dati a medio termine de l l ’Aus t ra l i an Or thopaed ic

Association (AOA) National Joint Replacement Registry hanno riportato tassi più elevati di revisione di protesi nella fascia di età 55-64 anni se confrontati con i pazienti più anziani, e che i pazienti maschi sono a rischio di revisione più elevato rispetto alle pazienti di sesso femminile. Questo dato potrebbe suggerire cautela nel raccomandare di tornare a sport ad alta richiesta nella popolazione più giovane.

In conclusione i pazienti che devono essere sottoposti a protesi di spal la dovrebbero essere informat i che esiste un'al ta probabilità di ritornare al livello di attività pre-operatoria. La maggior parte dei pazienti può aspettarsi di tornare a svolgere sport entro sei mesi dal l ' intervento e molt i beneficeranno di un miglioramento d e l l a p r o p r i a c a p a c i t à d i partecipare ad attività sportive dopo l’intervento di protesi. Se il ritorno a sport senza contatto e a bassa richiesta funzionale viene già raccomandato dai chirurghi, gli studi più recenti con bassi tassi di c o m p l i c a n z e e t a s s i d i sopravvivenza protesi incoraggianti suggeriscono che nel medio termine anche il ritorno ad attività con richieste più elevate come il tennis può essere considerato sicuro nei pazienti più anziani,

molto probabilmente a causa di una natura meno competitiva d e l l ’ a t t i v i t à s p o r t i v a e d all’autoregolazione dell'attività nella popolazione anziana.

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