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La finanza imprenditoriale1 sta assumendo unruolo crescente nel promuovere nuove azien-

de, spesso innovative e ad alto rischio, o a sostene-re aziende esistenti in progetti di ristrutturazione.I fondi di private equity hanno un ruolo speciali-stico nel variegato mondo degli intermediari fi-nanziari e i loro legami a monte con gli investitorinel fondo chiuso, a latere con la SGR che gestiscegli investimenti e a valle con le portfolio compa-nies, possono generare asimmetrie informative econflitti di interesse tra i diversi stakeholders.Per i più scaltri, è lecito parlare di profitti di inte-resse (all’insegna del “mors tua, vita mea”) e ilgioco è apparentemente a somma zero2, anche senella realtà, una buona governance crea valore pertutti gli stakeholders3.I momenti di maggiore criticità riguardano eventichiave come il funding in fase di raccolta delle ade-sioni (in cui la reputazione dei gestori o il contin-gente mercato del credito assumono un ruolo fonda-mentale), l’acquisizione delle partecipazioni (per lanegoziazione del prezzo e i conflitti ingenerati dallaconvivenza con altri soci) e l’exit (in cui si ha il red-de rationem e si fanno i conti sulla performance) maanche i momenti solo apparentemente di routine incui le partecipazioni devono essere gestite.L’impatto del private equity nella vita delle azien-de è spesso dirompente e spezza equilibri consoli-dati, contribuendo a risolvere vecchi problemi manel contempo creandone di nuovi; lo scontro av-viene anche sul piano culturale, con un impattomediatico che esalta la speculatività dei fondi pa-

S O M M A R I O

1. MODELLI DI BUSINESS NELL’INTERMEDIAZIONEDEL CAPITALE DI RISCHIO

2. OBIETTIVI DEL FONDO DI PRIVATE EQUITY

3. I PLAYERS

4. MONITORAGGIO DEGLI INVESTIMENTI E STIMADEL VALORE DI MERCATO DEL FONDO

5. GOVERNANCE E CONFLITTI NELLE PORTFOLIOCOMPANIES

6. OPERAZIONI DI BUYOUT TRA CONFLITTIMANAGERIALI E SERVIZIO DEL DEBITO

7. CONFLITTI DI INTERESSE TRA IMPRENDITORIE VENTURE CAPITALISTS NELLE START UP

8. IL CONTROVERSO RUOLO DEGLIAMMINISTRATORI INDIPENDENTI NELLA SGRO NEI CONSIGLI DELLE PORTFOLIO COMPANIES

9. EXIT DAGLI INVESTIMENTI TRA PERFORMANCEE RISCHIO REPUTAZIONALE

10. I CONFLITTI DI INTERESSEDEGLI STAKEHOLDERS MULTIRUOLO

11. VULTURE FUNDS, SPECIAL SITUATIONSE INVESTIMENTI DI TURNAROUND

12. SI POSSONO LIMITARE I “PROFITTI” DI INTERESSE?

S A G G I 5BANCHE E BANCHIERI n. 1 2008

INVESTIMENTI IN PRIVATE EQUITY E VENTURECAPITAL: PROBLEMI DI GOVERNANCE E CONFLITTI TRA STAKEHOLDERSROBERTO MORO VISCONTI

ROBERTO MORO VISCONTI: Docente di Finanza Aziendalenell’Università Cattolica e Dottore commercialista inMilano.

1. Si veda Denis (2004).2. Mehran, Stulz (2007), definiscono conflitto di inte-resse una situazione in cui una parte può guadagnare inuna transazione intraprendendo azioni che danneggianola controparte.3. Si veda Cumming, Walz (2004); Driessen, Lin, Pha-lippou (2007).

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ragonati a “locuste”, contrapponendoli a soci sto-rici e manager non di rado arroccati a difesa di unatradizione spesso anacronistica e di mere renditedi posizione che fatalmente si erodono.Verranno qui esaminate alcune delle fattispecieche possono originare problemi di governance esituazioni di conflitto di interessi4, che necessita-no di essere disciplinate – oltre che contrattual-mente – anche a livello di best practice e autore-golamentazione, attraverso procedure codificateorientate a migliorare trasparenza e corporate go-vernance, con un positivo effetto sul valore deifondi di private equity.La novità dell’argomento e la tumultuosa e a voltecaotica evoluzione dei mercati finanziari e delleregole del gioco richiedono ulteriori riflessioni; cisi limiterà qui a fornire alcuni spunti per ap-profondimenti in una materia tanto importantequanto ancora poco esplorata nel nostro Paese. Le conseguenze in tema di governance e mitiga-zione dei conflitti di interesse possono essere rile-vanti per le procedure di controllo interno, la com-pliance a normative particolari come il d.lgs.231/2001 o la Sarbanes-Oxley o la l. 262/2005(legge sul risparmio) o le disposizioni CONSOB el’attività di vigilanza di Banca d’Italia.

1. MODELLI DI BUSINESSNELL’INTERMEDIAZIONEDEL CAPITALE DI RISCHIO

L’analisi dei modelli di business dei fondi di pri-vate equity è di fondamentale importanza per ca-pire il ruolo ricoperto dai diversi stakeholders cheruotano intorno a essi e i conseguenti conflitti diinteresse attuali o potenziali5.Il private equity6 è uno strumento di finanziamen-to mediante il quale un investitore apporta nuovicapitali all’interno di una società (target), gene-ralmente non quotata in borsa, che presenta un

buon potenziale di crescita, grazie anche all’af-fiancamento al management con la condivisionedelle strategie e all’apporto di risorse finanziarieaddizionali. L’investitore si propone di disinvesti-re nel medio termine realizzando una plusvalenzadalla vendita della partecipazione.I fondi di private equity sono veicoli di investimen-to che operano come venture capital (in start up in-novative ad alto rischio) ovvero – più frequente-mente7 – attraverso operazioni di leveraged buyout, con acquisizioni prevalentemente a debito.La crescente attenzione del private equity deriva daun insieme di concause, tra cui rilevano i rendimen-ti dei fondi, non di rado più elevati di quelli delmercato azionario (public equities)8, e la modestacorrelazione nel mercato, con una rilevante diversi-ficazione del rischio se l’investimento in fondi diprivate equity è inserito in un portafoglio azionarioe obbligazionario rappresentato da titoli quotati.Nei paesi in cui il private equity ha avuto finora unminore impatto, come l’Europa continentale e ilGiappone, gli investitori accedono al privateequity preferibilmente attraverso i funds of funds,con un investimento intermediato che diversifica ifondi ma comporta un incremento di commissioni.

2. OBIETTIVI DEL FONDO DI PRIVATEEQUITY

Una breve disamina degli obiettivi che un fondodi private equity tende naturalmente a perseguireè di fondamentale importanza per l’effettuazionedi periodiche verifiche sul loro livello di raggiun-gimento.Il fatto che possano esistere obiettivi divergentitra i diversi stakeholders che ruotano intorno alfondo è il principale elemento scatenante conflittidi interesse, talora occulti e in quanto tali ancorapiù pericolosi.Il grado di raggiungimento degli obiettivi è resopossibile dall’esistenza di un adeguato sistemainformativo, che spesso è disponibile in modo

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4. Per un inquadramento sulla tematica si veda Rossi(2004); in campo bancario e finanziario, si veda Banfi(2007), Cesarini (2006).5. Si veda il capitolo 4 del libro di Gentili, Moro Vi-sconti (2007).6. Per un glossario in inglese sul private equity, si vedail sito www.vcexperts.com; si vedano anche i seguenti si-ti di associazioni di categoria: www.evca.com; www.nv-ca.org; www.bvca.co.uk; www.aifi.it; altri siti sono repe-ribili in www.privateequityvaluation.com/#List.

7. Si veda Phalippou (2007), che rileva che i fondi diLBO sono i due terzi del totale negli Stati Uniti.8. Il confronto dà origine a controverse evidenze empi-riche, che dipendono anche dal livello di rischio, dall’esi-stenza di adeguati benchmark e dal livello delle commis-sioni. Per approfondimenti, si veda ad esempio Kaplan,Shoar (2005).

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Il partecipogramma complessivo rappresenta unaprima fondamentale tappa per la mappatura deiplayers; a esso va opportunamente associata un’a-nalisi funzionale con il “mansionario”.Il modello di business di un fondo di privateequity e la sua interazione con la SGR, la banca de-positaria e i soci può essere schematicamente rap-presentato come in figura 1.Gli investimenti in private equity raggruppano unampio spettro di operazioni, in funzione sia dellafase nel ciclo di vita aziendale che l’impresa tar-get attraversa durante l’operazione di privateequity, sia della tecnica di investimento usata.In generale, il private equity si riferisce a tutte leoperazioni realizzate su fasi del ciclo di vita delleaziende successive a quella iniziale, mentre il ven-ture capital si riferisce ai finanziamenti delle im-prese nei primi stadi di vita (early stage).Il capitale investito può essere destinato a diversiprogetti, quali lo sviluppo di nuovi prodotti, l’e-spansione del circolante, il rafforzamento dellastruttura finanziaria di una società. Il private equitypuò inoltre essere utilizzato per risolvere problemiconnessi all’assetto proprietario di un’impresa oalla sua ristrutturazione anche nell’ambito del pas-saggio generazionale; esso inoltre rappresenta lostrumento più adeguato per le operazioni di mana-gement buy out e di management buy in.L’investimento in capitale di rischio offre una se-rie di vantaggi per le aziende target.Anzitutto, i managing (o general) partners offronoall’impresa la possibilità di sfruttare la propriacompetenza in materia di sostegno finanziario alleimprese volto alla creazione di valore nel tempo.L’azienda potrà quindi sfruttare il capitale messoa disposizione per un lasso di tempo sufficientealla realizzazione dei propri progetti (strategie, ac-quisizioni aziendali, sviluppo di nuovi prodotti,riorganizzazioni aziendali, ecc.).Il supporto dell’investitore di norma non si esauri-sce nella mera fornitura di capitale di rischio, maspesso mette a disposizione dell’azienda le proprieconoscenze manageriali e relazionali12 per il rag-giungimento del progetto. L’investitore può, infatti,sfruttare una vasta esperienza basata su realtà im-prenditoriali variegate, e solitamente ha conoscen-ze specifiche alle quali l’impresa può ricorrere. Ad

asimmetrico ai vari stakeholders, rappresentandoun elemento di conflitto potenzialmente molto ri-levante.L’obiettivo principale del fondo è quello di massi-mizzare il valore di mercato e la conseguenteperformance del fondo, ottimizzando il rapportotra rendimento e rischio.Qualsiasi obiettivo divergente dalla massimizza-zione del market value rappresenta un elemento didistorsione che può generare conflitti.Valori non orientati al mercato, improntati allasussidiarietà e alla solidarietà, tipicamente presen-ti nella tradizione di molte imprese familiari, spes-so confliggono con l’approccio dei fondi di priva-te equity, più speculativo e caratterizzato da unorizzonte temporale più ristretto, che tende a mas-simizzare il rendimento dell’investimento (accor-ciandone di conseguenza l’orizzonte temporale,che tende fatalmente a diluirlo)9. Ed è proprio ilfattore tempo a giocare un ruolo fondamentale, trauna visione a volte troppo speculativa e affrettata,tipica del private equity, e un approccio di lungoperiodo che può però sconfinare in uno scarso di-namismo.Anche i venture capitalists contribuiscono alla de-finizione delle strategie, delle politiche finanzia-rie della società target, contribuendo a migliorar-ne gli assetti organizzativi, amministrativi e con-tabili10 e reclutare i key managers11.I fondi di private equity e venture capital si basa-no molto sulla creazione di network e relazioniprofessionali, anche attraverso servizi di advisorye di mentoring e la ristrutturazione del debito e/ola ricapitalizzazione, con un ruolo attivo (“hands-on”) nella gestione finalizzato a creare valore fa-cendo leva sui multipli o facendo crescere la red-ditività operativa.

3. I PLAYERS

La disamina dei diversi players che ruotano intor-no al fondo di private equity consente di identifi-carne i ruoli, in un contesto dinamico e caratteriz-zato da numerose interrelazioni.

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9. Per un esempio in senso contrario, si veda Cum-ming, Johan (2007, pp. 395-416).10. Si veda Casamatta (2003).11. La locuzione è richiamata dagli artt. 2381 e 2403 delcodice civile e assume uno specifico rilievo giuridico.

12. Hochberg, Ljungqvist, Lu (2007), rilevano che ilprincipale fattore di successo dei fondi risiede nella qua-lità dei loro network.

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esempio, un investitore professionale ha solitamen-te esperienza in tema di quotazione, conoscenzaimportante specialmente nel caso dell’operazionedi bridge financing, intervento “ponte” finalizzatoall’accompagnamento di un’impresa in borsa.

Le competenze relazionali si esplicano anche a li-vello di coinvestment network tra venture capitals,che tendono a sindacare i loro investimenti e acooperare per massimizzare il valore.L’impatto di tale cooperazione è positivo sia nella

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FIGURA 1 – INTERAZIONE TRA IL FONDO DI PRIVATE EQUITY E I SUOI STAKEHOLDERS

(1) Fondi pensione, fondi di investimento, hedge funds, funds of funds, endowment funds, ecc. Gli investitori istituzionali investono nel private equity prevalentemente at-traverso fondi, che hanno maggiori relazioni e competenze, necessarie per selezionare gli investimenti di private equity più appropriati e per monitorarli, soprattutto in set-tori innovativi più rischiosi e complessi.

Investitoriistituzionali(1)

SGR

(Managingpartners)

decisioniinvestimento/

disinvestimento

attività di gestione degli investimenti

report periodici

depositi attività

commissioni di deposito

nuovi soci

exit (anche anticipato)

report periodici su andamento investimenti

management fees

A B C D

Banca depositaria

Soci (banche…)

Businessangels

Soci (limited partners)

Fondo di private equity

(o venture capital)

Investimenti in partecipazioni(portfolio companies)

Altri

– dismissioni– quotazione– vendite su mercato secondario, ecc.

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nelle portfolio companies, senza transitare dalfondo15.I rendimenti degli investitori istituzionali che in-vestono in fondi di private equity e le loro strate-gie di investimento differiscono sensibilmente16,per un insieme di concause tra cui rilevano la di-versa flessibilità negli investimenti (minore neifondi pensione, ecc.), specifiche competenze su-gli investimenti, gli incentivi ai gestori17 e il loroturnover; nel venture capital, in cui è più difficilemisurare la performance, tali problematiche ten-dono ad acuirsi.

3.1. “MONETA PAZIENTE” DEI LIMITED PARTNERS

E STRUTTURA FINANZIARIA DEL FONDO

Il fondo è tipicamente gestito da una Società diGestione del Risparmio18 di proprietà dei partnere degli sponsor del fondo. I soci del fondo posso-no essere, come si è anticipato, fondi pensione,fondi di investimento, hedge funds, funds offunds, endowment funds19, altri intermediari, in-vestitori privati, business angels di natura indu-striale e/o finanziaria, ecc.La natura talora eterogenea dei soci del fondo,espressa da differenti caratteristiche e attitudiniquali la forma giuridica, la nazionalità, le dimen-sioni, il grado di attitudine al rischio, il livello dicultura finanziaria, l’entità dell’investimento nelfondo rispetto alle disponibilità complessive (equindi il livello di concentrazione/diversificazio-ne) è un aspetto fondamentale per comprendere leaspettative degli sponsor e per prevenire almenoin parte conflitti di interesse che, col senno di poi,si rivelano in molti casi inevitabili.A tale riguardo, la composizione dei soci tendespesso a privilegiare finalità di omogeneità e distabilità intertemporale, segmentando i fondi chiu-

scelta di società promettenti in cui investire, sianell’abilità di creare valore nelle portfolio compa-nies (scovando le debolezze insite nel businessmodel o nel team manageriale, incrementandonela professionalità, facilitando alleanze strategiche,migliorando la governance, ecc.).Per quanto riguarda invece gli operatori, esistonooggi due grandi tipologie di investitori in capitaledi rischio:

– le società di venture capital e di private equity; – i personal venture capitalist, più comunementeconosciuti come “business angels”13.

Le prime sono, in genere, emanazione di banche,assicurazioni, fondi pensione o grandi imprese (inquesto caso si parla di “corporate venture capi-tal”) e sono specializzate per settore di investi-mento. I business angels sono invece investitori personefisiche con un notevole patrimonio personale (hi-gh net worth individuals), che acquisiscono azionidi piccole-medie imprese, privilegiando il rappor-to personale con l’imprenditore che finanziano eoccupandosi principalmente di start up o del pri-mo sviluppo. I soci del fondo (limited partners) destinano de-terminati capitali al fondo e le risorse sono richia-mate dai gestori del fondo (i managing partnersdella management company, in Italia operanti nel-la SGR) e investite; quando un investimento vieneliquidato, i managing partners ripartiscono i pro-venti tra i soci.Gli investitori istituzionali (fondi pensioneaziendali e pubblici, fondi di investimento, hed-ge funds, funds of funds, endowment funds,compagnie di assicurazione, ecc.) prediligonofondi di private equity dotati di una corporategovernance avanzata, in grado di stemperare iconflitti di interessi tra gli stakeholders14, tute-lando i soci di minoranza come loro e riducendoi costi di agenzia, che nei fondi di private equitysono tradizionalmente elevati; in diversi casi, gliinvestitori istituzionali investono direttamente

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13. Si veda il sito dell’associazione, www.iban.it.14. Potenzialmente rilevanti e spesso poco conosciutisono, in particolare, i conflitti di interesse tra limited emanaging partners (rispettivamente, soci e gestori); ciòsolleva questioni che vanno risolte anzitutto perseguendostrategie di “optimal contracting”. Per approfondimenti,si veda ancora Phalippou (2007) e bibliografia ivi citata.

15. Si veda Nielsen (2007).16. Si veda Lerner, Schoar, Wongsunwai (2007).17. Non infrequenti sono gli incentivi parametrati allamassimizzazione degli Assets Under Management che gliadvisors ricevono, anche in presenza di rendimenti insod-disfacenti.18. L’unico intermediario abilitato in Italia alla creazio-ne e gestione del fondo.19. Trattasi di fondi (con patrimoni mobiliari o immobi-liari) alimentati da lasciti a favore di istituzioni e diffusinei paesi anglosassoni, che perseguono obiettivi predefi-niti. In Italia, assomigliano a fondazioni o trust.

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si in funzione dei sottoscrittori e cercando di evita-re aspettative troppo divergenti; tipica, in tale am-bito, è la distinzione tra fondi istituzionali e retail.Il target del fondo, il suo profilo dimensionale e lasua specializzazione rappresentano un altro fon-damentale elemento di identificazione e i soci dinorma tendono ad aggregarsi intorno a un’idea(modello di business).La fattispecie che i fondi siano chiusi è un ele-mento essenziale per garantire stabilità al fondoma nel contempo lo rende estremamente rigido;opzioni contrattuali di exit che precedano la liqui-dazione del fondo ovvero l’esistenza di un merca-to secondario20 conferiscono al fondo maggioreelasticità e agevolano il fund raising iniziale.La rigidità del fondo chiuso lungo un arco tempo-rale tipicamente almeno decennale stempera inparte la sua natura speculativa, anche se si trattapur sempre di un legame a termine tra fondi e im-prese.La diversificazione dei fondi, attuata attraverso

investimenti in portfolio companies spesso non al-tamente correlate, da un lato tende a delimitarnele sinergie ma dall’altro riduce il livello di rischiodel portafoglio, già di per sé intrinsecamente ele-vato. L’effetto diversificazione si ha anche rispet-to ai tradizionali investimenti in titoli quotati, chemostrano una limitata correlazione con gli inve-stimenti non negoziati, al riparo dagli umori deimercati azionari.Una caratteristica dei fondi di private equity èche il loro funding tipicamente precede, anche didiversi anni, gli investimenti; in alternativa, sipossono prevedere ipotesi in cui gli investitorisottoscrivono integralmente il capitale del fondoma versano il capitale (con un “tiraggio” a con-sumo dell’equity, tipicamente nei primi cinqueanni di vita del fondo21) a mano a mano che gliinvestimenti vengono effettuati: trattasi, ad evi-denzia, di una fattispecie assai più appetibile pergli investitori e tale da agevolare la raccolta dicapitale, anche se non priva di conseguenze, incaso di inadempimento, talora fino al punto daminare la stabilità del fondo o la sua capacità diperseguire i propri obiettivi. Se il funding ha suc-cesso, ci si può permettere di selezionare i soci,mentre ciò non avviene nei fondi undersubscri-bed o che impiegano molto tempo a chiudere laraccolta.Ricerche empiriche sul mercato americano22 rile-vano che il fund raising nel venture capital è posi-tivamente influenzato, oltre che dalla riduzionesull’imposizione dei capital gains, anche dallaperformance e dalla reputazione del fondo.Nei fondi di venture capital la composizione otti-male dell’azionariato risulta da una congrua valo-rizzazione comparata dei conferimenti (prevalen-temente di opere, servizi e know how) degli im-prenditori – inventori, cui si associano conferi-menti monetari e di consulenza da parte dei ven-ture capitalists23.Il mix ottimale incentiva tutti i soci e ne minimiz-za i comportamenti opportunistici (moral hazard),migliorando la governance e riducendo i conflitti.La previsione di ribilanciamenti futuri dell’azio-

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20. Il secondary buy out costituisce una modalità alter-nativa di exit dell’intermediario, che vende la partecipa-zione ad altro intermediario in un mercato secondario, at-traverso transazioni più rapide e meno complesse rispettoalla quotazione in borsa. Attraverso il mercato seconda-rio, i fondi di private equity si scambiano le aziende tra diloro, lucrando tra il valore di acquisto e il successivoprezzo di cessione; l’entità della plusvalenza dipende daltasso di crescita dell’azienda nel periodo e dal migliora-mento dei parametri chiave alla base della valutazione(margini economici e finanziari come EBITDA, EBIT, flus-so di cassa operativo e netto; valori patrimoniali come l’e-quity e la posizione finanziaria netta, ecc.). Il mercato se-condario a livello globale del private equity assolve lafunzione – particolarmente importante – di assicurare laliquidabilità degli investimenti in un segmento di attivitàestremamente poco liquido; il mercato secondario è rapi-damente cresciuto negli ultimi anni, come naturale conse-guenza della tumultuosa crescita del mercato primario,similmente a quanto si è già verificato nella nascita dimercati secondari sui titoli di Stato, i prestiti commercialio altri strumenti finanziari. Alcuni commentatori hannosuggerito che la nascita del mercato secondario è dovutaall’esplosione della bolla speculativa di Internet, dopo ilpicco del Nasdaq del marzo 2000, e che pertanto ha natu-ra transitoria; le cosiddette “fire sales” di chi è stato co-stretto a svendere sono state peraltro limitate e il mercatosecondario è ancora in sviluppo, contravvenendo pertantotale tesi; gli investitori vendono per molteplici ragioni: adesempio per ribilanciare i propri portafogli dopo le flut-tuazioni nei mercati azionari o per dotarsi di provviste fi-nanziarie per altri investimenti. Le banche, in particolare,vendono quando avvertono l’esigenza di ridurre la volati-lità dei loro rendimenti ovvero di focalizzarsi maggior-mente sul core business.

21. Si veda Axelson, Stromberg, Weisbach (2006); Ip-polito (2007).22. Gompers, Lerner (1998, pp. 149-192).23. Se i venture capitalists intervengono in società giàcostituite, tipicamente sottoscrivono aumenti di capitaleriservati con sovrapprezzo.

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interest25) in funzione dei capital gain per gli in-vestitori generati dal fondo.

La remunerazione dei managing partners è basatasu meccanismi contrattuali spesso complessi e rap-presenta la principale fonte di conflitto con i limitedpartners, che sopportano costi non di rado occulti. Il crescere delle dimensioni del fondo, affidato amanaging partners più esperti, consente di diluirele maggiori commissioni pro capite26.I costi di apprendimento (learning by doing) pergli investitori e – in particolare – per i manager in-cidono sulla performance dei fondi di privateequity, che hanno una storia ancora recente27.Quando i fondi di private equity vengono colloca-ti presso la clientela, tipicamente emergono com-missioni di collocamento, talora anche occulte,che possono dar luogo a conflitti di interesse.Il free cash flow28 della portfolio company vienedistribuito prioritariamente ai managing partners,che prelevano la loro commissione contrattualefissa (fixed revenue commission, insensibile allaperformance e, in quanto tale, disincentivante efonte di conflitti), e residualmente con un profitsharing29 agli stessi managing partners (per lecommissioni variabili) e ai limited partners.I compensi dai soci (limited partners) ai gestori(managing partners) generano spesso conflitti diinteresse e dipendono anche dalla misura dellaperformance (portfolio benchmarking), correttaper il rischio30. I corrispettivi dipendono anchedalla grandezza dei fondi, con economie di scalaper quelli di maggiori dimensioni.

nariato, per valicare nel tempo le valutazioni ini-ziali, prevedendo incentivi meritocratici, rappre-senta un importante stimolo nella creazione divalore.Il timing con cui vengono effettuati gli investi-menti dipende dalle contingenti opportunità delmercato, che i managing partners cercano di otti-mizzare: i fondi tendono ad accelerare i loro flussidi investimento24 e a conseguire rendimenti a ter-mine più elevati quando le opportunità di investi-mento migliorano (in fasi di mercato del compra-tore) e la domanda di capitali da parte delle im-prese cresce, anche a causa di fenomeni di creditcrunch o capital rationing sistemico da parte deitradizionali canali di finanziamento. Un timingappropriato degli investimenti è, evidentemente,un elemento fondamentale per il conseguimentodi una buona performance (l’azienda giusta com-prata nel momento più opportuno).

3.2. RUOLO E REMUNERAZIONE DEI MANAGING

PARTNERS DELLA SGR

I managing (limited) partners sono gli ammini-stratori e i manager della SGR, spesso di emana-zione bancaria. L’appartenenza o meno a un grup-po bancario assume un rilievo fondamentale perinquadrare le problematiche della SGR anche ai fi-ni dell’individuazione dei conflitti di interesse chene possono scaturire.L’appartenenza della SGR a un gruppo bancarioconsente infatti di poter disporre di risorse siner-giche, anche sotto il profilo manageriale, con altredivisioni del gruppo bancario (con il classico e unpo’ usurato modello universale o polifunzionale)ma può ingenerare conflitti di interesse anche rile-vanti, soprattutto laddove prevalgano anche in ca-po alla SGR finalità non necessariamente in lineacon la massimizzazione del valore di mercato de-gli investimenti. Il fondo in Italia è gestito da una SGR, che assumela funzione di Management Company e viene re-munerata con:

– management fees annuali, stabilite all’iniziosull’ammontare del fondo gestito e in seguito sul-l’effettivo capitale investito;– commissioni di performance (carried

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24. Si veda Ljungqvist, Richardson, Wolfenzon (2005).

25. Il carried interest si calcola “cash on cash” ovveroviene pagato solo se gli investitori hanno ricevuto per in-tero il capitale versato nel periodo di investimento nellavita del fondo e non operazione per operazione. Il carriedinterest viene calcolato sulla quota di rendimento che su-pera quello minimo garantito dalla SGR chiamato “hurdlerate”. Se l’hurdle rate non viene raggiunto non ci saràcarried interest per la SGR. I managing partners quindi vi-vono con l’attesa dei guadagni.26. Si veda Metrick, Yasuda (2006).27. Si veda Lerner, Schoar, Wongsunwai (2007).28. Espressione del flusso di cassa netto libero per i so-ci, che residua dopo aver finanziariamente soddisfatto tut-ti gli altri stakeholders.29. Si veda Metrick, Yasuda (2007). Gli autori rilevanodifferenze tra Venture Capital e Buy Out: i primi hannouna redditività per ogni dollaro gestito più elevata, ma isecondi hanno una redditività per partner più elevata e sifondano sull’esperienza per raccogliere fondi più grandi.30. Si veda Gompers, Lerner (1999).

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4. MONITORAGGIO DEGLI INVESTIMENTIE STIMA DEL VALORE DI MERCATODEL FONDO

Il monitoraggio degli investimenti viene effettua-to dalla SGR sulla portfolio company e poi riporta-to dai managing partners ai soci del fondo. L’introduzione delle EVCA reporting Guidelines31

ha comportato un miglioramento qualitativo equantitativo delle informazioni, che tipicamentehanno cadenza trimestrale o semestrale. Le informazioni generalmente migliorano primadi un fund raising di nuovi fondi da parte deglistessi managing partners32.La riduzione delle asimmetrie informative passaanche attraverso il miglioramento qualitativo del-l’informazione periodica, che parte dalla base del-la “piramide” (le portfolio companies) e risale at-traverso la SGR fino al fondo di private equity e aisuoi soci.La SGR e i suoi managing partners tipicamente no-minano alcuni consiglieri nelle società partecipatee da ciò prende impulso il flusso di informazioniche dalla SGR risale, in via mediata, ai soci delfondo. Ad ogni passaggio si corre il rischio di per-dere per strada alcune informazioni e un attentomonitoraggio della catena di trasmissione deiflussi informativi è di fondamentale importanzaper evitare asimmetrie. Le difficoltà insite nel pro-cesso di valutazione possono comportare proble-mi di governance e conflitti tra stakeholders.Il periodico monitoraggio degli investimenti33 sibasa su stime, almeno su base annuale, del valoredi mercato delle portfolio companies. Ove si trattidi Spa, vi possono essere preziose indicazioni dal-l’analisi dei piani strategici, industriali e finanzia-ri obbligatoriamente prevista dall’art. 2381 c.c.La differenza tra valore contabile e valore di mer-cato del patrimonio netto è nulla all’inizio (data dicostituzione del fondo) e alla fine (data di liquida-zione del fondo), come tipicamente avviene nellesocietà, mentre può rivelarsi anche consistente du-rante la vita del fondo. L’analisi differenziale rap-presenta il punto chiave della valutazione effetti-va del fondo.La valutazione di mercato al fair value effettuata

durante la vita del fondo deve essere in grado distimare anche il plusvalore fino a quel momentomaturato in capo alle partecipazioni che, prima opoi, saranno dismesse.L’evidenza empirica34 rileva la difficoltà di valu-tare le partecipazioni ancora detenute (nonexitedinvestments): i managing partners divergono nelleloro valutazioni e un limited partner che investenella stessa società con due fondi diversi può ave-re due valutazioni differenti35. Avendo riguardoalla variabilità nel tempo della stima del marketvalue del fondo di private equity e, quindi, alla va-lidità e durata della valutazione, si può affermareche essa è tanto più elevata quanto più il fondo èdi recente istituzione (perché non ha una storia,dalla quale sia desumibile un track record) ovveroè di dimensioni più contenute (in quanto le singo-le partecipazioni hanno una maggiore incidenzapercentuale, delimitando l’effetto diversificazionesulla riduzione del rischio). Rilevano anche altri fattori, come il grado di ma-turità del mercato in cui il fondo opera (i mercatigiovani e inesperti sono tradizionalmente più vo-lubili) o la composizione dell’azionariato del fon-do (stabile e relativamente concentrata ovverofrantumata; rappresentata da investitori istituzio-nali professionali, ovvero da privati, ecc.) o anco-ra i regolamenti del fondo (durata degli investi-menti, tempi e modi del disinvestimento, ecc.).Ne deriva che la variabilità della stima è tenden-zialmente elevata e, se non appare possibile per ifondi chiusi non quotati determinare un NAV gior-naliero, è peraltro opportuno procedere a periodi-che revisioni della stima del loro market value,con una cadenza tipicamente almeno semestrale.La valutazione di mercato del fondo di privateequity deve inoltre adeguatamente riflettere para-metri fondamentali come la liquidità, il rischio e ilrendimento.Gli investimenti in private equity sono di normameno liquidi rispetto ad altre tipologie di assets,per un insieme di concause tra cui rilevano la na-tura degli assets sottostanti, la durata pluriennaledel fondo di norma non quotato, l’esistenza di unmercato secondario non sempre sviluppato, anchese in crescita.

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31. Si veda http://www.evca.com/pdf/evca_reporting_guidelines_2006.pdf.32. Si veda Kemmerer, Weidig (2005).33. Si veda Lerner (1995, pp. 301-318).

34. Si veda Blaydon, Horvath (2002).35. Si vedano le reporting guidelines (in www.privatee-quityvaluation.com) che possono contribuire ad attenuareil problema.

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L’evidenza empirica41 dimostra che il TIR di unfondo medio non diventa positivo prima che sianopassati almeno otto anni dalla nascita del fondo.Accanto al TIR complessivo pluriennale (dall’av-vio dell’operatività fino alla data del rendiconto),è opportuno determinare anche un TIR su base an-nua42, per poter confrontare il ritorno dell’investi-mento con altri impieghi alternativi, utilizzandoun metro temporale omogeneo. Laddove si verifichino fenomeni di capital ratio-ning sistemico (come nelle recenti tensioni deimutui subprime), il costo del leverage aumenta,penalizzando il rendimento delle operazioni a de-bito come i Buy Out.La comparazione tra i fondi avviene anche in fun-zione dei “vintage years” (letteralmente, anni divendemmia, corrispondenti all’anno in cui il fon-do fa il suo primo investimento), a causa dell’im-portanza delle condizioni e del timing di entrata edi exit negli investimenti.La comparazione tra investimenti in titoli quotati,da un lato, e fondi di private equity, dall’altro, po-stula la necessità di poter disporre, anche per ifondi, di adeguati benchmark; le difficoltà prati-che sono peraltro rilevanti, talora fino al punto dafar ritenere inutilizzabile o scarsamente significa-tivo questo parametro43.

5. GOVERNANCE E CONFLITTINELLE PORTFOLIO COMPANIES

Le portfolio companies di norma non sono quota-te in borsa e sono caratterizzate da un certo livellodi concentrazione proprietaria. Ne discendonoproblematiche di governance e conflitti di interes-se tipicamente applicabili alle imprese ad aziona-riato concentrato, come si vedrà nel par. 5.1.

Il livello di rischio dei fondi è tradizionalmentepiù elevato rispetto a quello di investimenti alter-nativi, non solo per l’illiquidità sopra descritta,ma anche per le intrinseche caratteristiche delleportfolio companies (non quotate, sovente di di-mensioni medio-piccole, spesso operanti in settoriinnovativi, con una governance poco sviluppata,ecc.). A fronte di un rischio più elevato, il rendi-mento atteso dei fondi deve incorporare un ade-guato premio per il rischio incrementale, conaspettative di una remunerazione più elevata ri-spetto a quella di investimenti alternativi meno ri-schiosi.Il rendimento tende a essere positivamente corre-lato con il grado di specializzazione del fondo36.Numerose indagini empiriche hanno evidenziatoche i fondi di private equity hanno rendimenti ta-lora più elevati rispetto a benchmark come gli in-dici di borsa o campioni di portafogli obbligazio-nari, anche se la ponderazione per tener conto delmaggior rischio non sempre conferma la superio-rità dei fondi37.La misurazione del grado di rischio dei fondi38 èperaltro resa difficoltosa dalla loro mancata quo-tazione e dall’opacità degli investimenti. Nella va-lutazione, assume particolare rilievo il complessoe articolato calcolo del Tasso Interno di Rendi-mento (TIR)39, che riflette il rischio e il rendimen-to dell’investimento.Il TIR dipende dall’effettivo incremento di valoredella partecipazione, dalla durata complessivadell’investimento, dal leverage (soprattutto neiBuy Out) e da arbitraggi derivanti da eventualidifferenze di valutazione tra criteri di acquisto edi vendita40.

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36. Si veda Gompers, Kovner, Lerner, Scharfstein (2006).37. Si veda ad esempio Kaplan, Schoar (2005).38. Si veda Cochrane (2005).39. Il TIR è un rendimento percentuale, ponderato per iltempo e basato sui flussi di cassa, che somma algebrica-mente il valore attuale delle risorse monetarie investite erestituite ai soci e degli investimenti non ancora realizza-ti, scontato a un congruo tasso (costo del capitale), cheincorpori il valore temporale della moneta e il premio peril rischio. Il potere informativo dei TIR periodici è peral-tro delimitato dal fatto che le portfolio companies dispie-gano il loro potere informativo soprattutto in occasionedella loro alienazione, che tipicamente avviene quando ilfondo è oltre la metà del suo ciclo di vita, per concentrar-si verso la fine della durata del fondo.40. Considerando come tipico indicatore per pervenireall’Enterprise value un congruo multiplo dell’EBITDA, si

ha un effetto moltiplicativo nel confronto tra acquisto evendita, tenendo conto non solo della variazione dell’E-BITDA (che si cercherà di aumentare, con la ristrutturazio-ne), ma anche di variazioni nei moltiplicatori di mercato,che dipendono da elementi micro (sui quali i gestori pos-sono incidere) e macro (generale andamento del mercato).41. Si veda Ljungqvist, Richardson (2003).42. Esistono diverse varianti del TIR (di portafoglio; mo-dificato; comparato con un benchmark; medio; basatosulla mediana; ponderato per il capitale investito, ecc.).Per approfondimenti, si veda ad esempio: Smith (2001) eBurgiss Group (2003).43. Si veda Corner (2004).

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Le operazioni straordinarie descritte nel par. 5.2.,talmente frequenti da essere spesso derubricate inordinaria amministrazione, rimescolano profon-damente le carte tra vecchi e nuovi stakeholders econsentono di risolvere annosi conflitti ma ne fan-no fatalmente emergere altri.

5.1. LA DIFFICILE CONVIVENZA CON ALTRI SOCI

DI RIFERIMENTO

C’è chi ritiene che il numero ideale di soci sia di-spari e… inferiore a due.L’ingresso del fondo di private equity in societànormalmente caratterizzate dalla presenza di socidi riferimento genera problemi di convivenza chenascono da culture non di rado profondamente di-verse; situazioni di crisi o discontinuità delleaziende, dovute anche al passaggio generazionalein ambito familiare, attenuano l’identità culturaledei soci storici, rendendo più agevole l’accogli-mento di nuovi partner.Patti parasociali e regole di convivenza codificateattenuano i conflitti e ne rappresentano una diri-mente disciplina, anche se solo a livello teoricosono configurabili contratti “perfetti” idonei a re-golamentare le più svariate fattispecie, non sem-pre pienamente prevedibili.L’esistenza di una chiara maggioranza, con opzio-ni put and call per cedere le partecipazioni di mi-noranza o – specularmente – acquisirle, consenteun exit a situazioni di stallo o conflitto di normaefficace. Le scelte dei fondi di private equity sono di normaorientate a investimenti o di minoranza qualificata(tipicamente almeno il 25-30%), tendenti a evita-re un’eccessiva marginalità (considerando che lepartecipazioni sono tipicamente non quotate), li-mitando l’investimento e accettando che la leader-ship sia di altri soci, ovvero di maggioranza (spes-so non totalitaria) che comporta l’onore e l’oneredi assicurare la guida dell’impresa: nel primo casoentrano tipicamente in gioco le citate opzioni putand call, mentre nel secondo assumono particola-re rilievo opzioni di co-vendita, che consentono atutti i soci di esercitare opzioni di exit congiunto,di norma di più agevole effettuazione.Nelle società in cui esistono azionisti che, singo-larmente o attraverso patti di sindacato, sono ingrado di controllare i quorum deliberativi (e taloraanche costitutivi) dell’assemblea (ordinaria o ta-

lora anche straordinaria), il baricentro del poteresi allontana dal management, la cui nomina dipen-de dal consiglio di amministrazione, a sua voltanominato dall’assemblea.Il management è pertanto espressione degli azio-nisti di maggioranza; l’aumento della concentra-zione azionaria incrementa l’efficacia e riduce ilcosto del monitoraggio del management, che puòessere facilmente sostituito44. I rapporti tra azionisti di riferimento e managersono spesso collusivi, dal momento che il concor-so dei manager nel conseguimento di benefici pri-vati del controllo è fondamentale; i manager nonindipendenti conseguono a loro volta benefici pri-vati dalla loro accondiscendenza verso gli azioni-sti di riferimento, sotto forma di maggiore stabi-lità nel proprio ruolo o attraverso altri benefits. Gli obiettivi degli azionisti di riferimento non dirado divergono da quelli degli azionisti frammen-tati, avendo i primi un orizzonte temporale dei lo-ro investimenti proiettato nel lungo termine e ten-denzialmente al riparo da finalità speculative ilcui impatto sull’impresa è potenzialmente desta-bilizzante.Il management rischia di perdere parte della pro-pria autonomia e la negoziazione delle delegheoperative acquisisce una primaria importanza aifini dell’accettazione o meno dell’incarico.Le imprese con azionisti di riferimento nasconoprevalentemente a livello familiare e si sviluppa-no fino ad acquisire dimensioni anche molto rile-vanti, finanziando la loro crescita solo parzial-mente attraverso una diluizione del controllo, cherimane in capo agli azionisti originari, anche at-traverso coalizioni intra-familiari, inter-familiario con investitori istituzionali, oppure viene cedutoad altri azionisti di riferimento.L’intermediazione dei pacchetti di controllo rara-mente avviene attraverso il mercato e ciò riduce lanegoziabilità dei titoli azionari (anche per i picco-li azionisti) e mantiene le asimmetrie informative,in assenza di comunicazioni pubbliche sul prezzodei titoli intermediati.Il finanziamento delle imprese ad azionariato con-centrato è basato prevalentemente sull’indebita-mento bancario e i grandi creditori, che tendonoad avere conoscenze da insiders, rese possibili dalcostante monitoraggio dell’impresa, sostituiscono

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44. Si veda Demsetz, Lehn (1985, pp. 1155-1177).

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la loro sintesi numerica anzitutto nei rapporti diconcambio e nelle modifiche delle partecipazionial variare del perimetro delle aziende e si acuisco-no se vengono alterate soglie di rappresentativitàformali e sostanziali (raggiungimento o perditadella maggioranza da parte di singoli raggruppa-menti di soci, ecc.).Il mutamento del perimetro aziendale comportal’emersione di difficoltà anche in sede di misura-zione intertemporale della performance, ma ciò èun tipico problema di tutte le imprese in perennemovimento.Le operazioni straordinarie possono comportaremodifiche anche rilevanti nella composizionedello stato patrimoniale dell’azienda che da esserisulta (cambiamento nella composizione delleattività, che possono diventare più o meno ri-schiose45; modifiche nel leverage, ecc.), con unforte rimescolamento dei rapporti di forza trastakeholders.

5.3. INVESTIMENTI DI MINORANZA

O DI MAGGIORANZA

Gli investimenti del fondo di private equity nelleportfolio companies possono essere di maggioran-za o di minoranza (normalmente non inferiore al25-30% e spesso con opzioni call per passare inmaggioranza); ne discendono differenti problemidi governance e conflitti di interesse, che possonodare luogo a diverse tipologie di free riding46. La possibilità di usufruire di benefici privati delcontrollo rappresenta per gli azionisti di maggio-ranza uno stimolo a esercitare un’azione di moni-toraggio sull’operato del management, evitandoche si verifichino problemi di free riding, attraver-so i quali la minoranza si appropria gratuitamentedei costi di controllo sostenuti unilateralmentedalla maggioranza.

il mercato. Le imprese con azionisti di riferimentosono spesso sottocapitalizzate, soprattutto se pa-ragonate alle public companies. L’esistenza difondi di private equity nell’azionariato delimita leproblematiche di capital rationing e tende ad age-volare l’accesso ai mercati dei capitali, rappresen-tando uno dei fattori incentivanti all’apertura delcapitale ai fondi.La stabilità degli assetti proprietari che garanti-scono il controllo diventa più precaria al cresceredelle dimensioni dell’impresa e in presenza dicoalizioni di azionisti anche diversificate per na-tura e obiettivi, come tipicamente avviene all’in-gresso dei fondi di private equity.

5.2. OPERAZIONI STRAORDINARIE E CONFLITTI DI

INTERESSE TRA VECCHI E NUOVI STAKEHOLDERS

L’ingresso dei fondi di private equity nelle com-pagini sociali ha un effetto non di rado simile a unterremoto in realtà spesso poco vitali o in crisi diidentità ovvero con idee imprenditoriali non sup-portate da funding o risorse manageriali adeguate.Le operazioni straordinarie tendono a intensificar-si a seguito di tale ingresso, non solo perché i fon-di apportano una più sofisticata cultura finanzia-ria, ma anche per la loro attitudine a riplasmaremodelli di business e perimetri delle attività del-l’impresa, che possono essere smembrate, accor-pate, trasferite, attraverso operazioni straordinarieanche concatenate.Il sasso gettato nello stagno ne increspa le acquefin troppo tranquille, alterando profondamenteequilibri, abitudini e rapporti di forza stratificatinel tempo; ciò ingenera problemi di governance econflitti, rivoluzionando consolidate logiche dipotere.Si ha un effetto shangai, in cui un bastoncino inmovimento ha effetti a catena sugli altri, non sem-pre prevedibili ex ante.Le operazioni sul capitale (aumenti e riduzioni)rappresentano il naturale crocevia di molte opera-zioni straordinarie: ad esempio i conferimenti (incui la società conferitaria aumenta il capitale a fa-vore della conferente) o le scissioni (in cui la so-cietà scissa riduce il proprio capitale o le riserve,a favore delle beneficiarie) o le fusioni (in cui lasocietà incorporante aumenta il proprio capitaleche assorbe quello della società incorporata).I conflitti tra vecchi e nuovi stakeholders trovano

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45. Il grado di rischio rileva sia con riferimento alla vo-latilità del valore delle attività considerate singolarmente(ad esempio, intangibles tradizionalmente più rischiosidegli immobili), sia considerando problematiche di asset& liability management, connesse al livello di sincroniz-zazione di attività e passività (che ad esempio, possonomuoversi in direzioni convergenti od opposte se cambia-no i tassi di interesse, in funzione della loro duration).46. Comportamento opportunistico con cui alcuni stakehol-ders fanno una “cavalcata gratis” a spese di altri (ad esem-pio, approfittando dei costi di audit sostenuti da altri, ecc.).

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Se i benefici privati sono eccessivi, sorgono peral-tro disincentivi per gli azionisti di minoranza, finoal punto da trasformarsi in un boomerang per glistessi azionisti di maggioranza (chi troppo vuole,nulla stringe), che a quel punto devono sopportarecosti troppo rilevanti per convincere azionisti diminoranza a sottoscrivere capitale di rischio47. Un equilibrato sistema di governance deve prefig-gersi, tra gli altri, anche l’obiettivo di mediare trainteressi naturalmente confliggenti, mirando a unaloro convergenza, utilizzando anzitutto strumentiincentivanti (miranti, ad esempio, a convincere glistakeholders contrapposti che i benefici unilatera-li dipendono anzitutto dalla possibilità di conse-

guire benefici collettivi) e ricorrendo a meccani-smi coercitivi (essenzialmente, norme di leggecon sanzioni in caso di disapplicazione) solo co-me ipotesi di second best, idonea a identificare al-cune regole minime di “convivenza”.Vi sono rilevanti differenze anche con riferimentoal trattamento contabile delle società partecipate:

– se l’investimento è in una partecipazione dimaggioranza, l’iscrizione iniziale al costo è poiseguita negli anni da un adeguamento in base alpatrimonio netto e, applicando i principi contabiliinternazionali, attraverso l’effettuazione di un im-pairment test su base annuale;– se la partecipazione è di minoranza, la valuta-zione rimane tipicamente al costo48 e, applicandoi principi contabili internazionali, al fair value.

Gli aspetti contabili hanno evidenti riflessi sulleasimmetrie informative, da cui discendono conflit-ti di interesse anche rilevanti e talora patologici49.La valutazione di mercato può opportunamenteconsiderare sconti di minoranza o, specularmente,premi di maggioranza.

6. OPERAZIONI DI BUYOUT TRA CONFLITTIMANAGERIALI E SERVIZIO DEL DEBITO

Le operazioni di leveraged o di managementbuyout hanno ormai da tempo una legittimità an-che civilistica (si veda l’art. 2501-bis c.c.) e sonofrequentemente associate a operazioni di venturecapital. Tra i vari aspetti di queste sofisticate ope-razioni di ingegneria finanziaria, meritano parti-colare attenzione in questa sede i conflitti di inte-resse che ruotano intorno ai manager e i costi diagenzia del nuovo debito finanziario. Le informazioni privilegiate in capo a managerche spesso da lungo tempo gestiscono le aziendeche mirano ad acquisire con soldi prevalente-mente altrui sono un tratto caratteristico dell’o-perazione. Trattasi di informazioni di grande ri-lievo e valore, il cui contributo è fondamentaleper la gestione, anche se le possibilità che essesiano trattate in modo asimmetrico, talora fino alpunto di danneggiare altri stakeholders, appaio-

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47. Emergono in questo ambito anche asimmetrie infor-mative, che si riflettono sul costo del capitale di rischio.Il tema dei conflitti di interessi tra gli azionisti preesisten-ti e quelli che diventeranno tali in seguito a un aumentodi capitale è stato affrontato nel modello di Myers, Maj-luf (1984), in base al quale: 1. i manager di ciascuna società hanno una conoscenzapiù approfondita sugli utili in corso di formazione e sul-le opportunità di investimento, rispetto agli investitoriesterni;2. i manager agiscono nell’interesse degli azionisti esi-stenti.L’esistenza di asimmetrie informative e la tendenza a fa-vorire gli azionisti preesistenti fanno sì che i manager chescoprono o sviluppano iniziative di investimento profitte-voli non riescano a convogliare queste buone notizie suipotenziali nuovi azionisti, i quali sono aprioristicamentediffidenti e temono di sottoscrivere il nuovo capitale a unprezzo troppo elevato, con un conseguente iniquo trasfe-rimento di ricchezza dai nuovi ai vecchi azionisti.I manager hanno, dal canto loro, un incentivo a comuni-care le buone notizie, per far crescere i prezzi di borsa(cui sono legate le stock options e altri incentivi).Solo il tempo sarà galantuomo e potrà dire se le notiziecomunicate dal management sono vere o false; nel dub-bio, i potenziali nuovi azionisti accetteranno di sottoscri-vere le nuove azioni solo a un prezzo scontato rispetto aun ipotetico valore di equilibrio in assenza di asimmetrieinformative.I manager, dal canto loro, comprendono questi problemie in alcuni casi preferiscono non intraprendere nuovi in-vestimenti – anche se essi sono ritenuti vantaggiosi – setali investimenti possono essere finanziati solo attraversol’emissione di capitale di rischio. Se infatti l’aumento dicapitale avviene a un prezzo troppo scontato, si verificaun iniquo trasferimento di ricchezza dai vecchi a favoredei nuovi azionisti. La paradossale conseguenza del modello di Myers, Maj-luf (1984), è che se non si possono finanziare i progetti diinvestimento facendo ricorso all’autofinanziamento e/oemettendo debito, allora esiste un disincentivo per il ma-nagement e per gli azionisti storici a intraprendere nuoviprogetti di investimento; si assiste pertanto a un underin-vestment che non consente di creare valore.

48. O al patrimonio netto, se è di collegamento. Per ap-profondimenti si veda Gentili, Maffioli (2007).49. Si pensi a casi di insider trading, aggiotaggio o marketabuse.

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Secondo i detrattori dell’operazione, i LBO di-struggono posti di lavoro, creano profitti di breverespiro, di cui fanno le spese i valori aziendali dilungo termine e riducono il gettito fiscale attra-verso una diminuzione dell’imponibile, resa pos-sibile dagli elevati interessi passivi.I fautori ritengono invece che i LBO possano crea-re posti di lavoro (soprattutto nel medio termine,in seguito alla ristrutturazione delle aziende), in-crementando significativamente margini operati-vi, imponibili fiscali (al netto delle perdite ripor-tate) e flussi di cassa di aziende altrimenti condan-nate al declino.Il forte indebitamento derivante dai LBO disciplinail management, prosciugando il free cash flow (so-prattutto nei primi anni) e costringendolo a onora-re il servizio del debito con tagli ai costi e recuperidi efficienza che riducono lo spazio per gli abusitipici della discrezionalità manageriale. Nel casoin cui il patrimonio netto diventi negativo, per ef-fetto di un equity burn out, i manager azionistihanno l’opzione per ricapitalizzare ma, se non laesercitano, lasciano fatalmente spazio ai creditorifinanziari, che di fatto diventano azionisti.I costi di agenzia insiti in un eccessivo indebita-mento (che comporta un trasferimento quasi inte-grale di rischio dagli azionisti ai creditori, senzache questi compartecipino ai guadagni potenziali)possono essere ridotti, oltre che con un penetrantemonitoraggio, anche con un adeguato equity cu-shion (pari ad almeno il 20%-30% del debito finan-ziario) e con una emissione di titoli ibridi (opzioniconvertibili, warrant, ecc.) che diano ai creditoriun’opzione di compartecipare al capitale di rischio.Il passaggio da una public a una private company,realizzando un delisting con il Buy Out e poi il ri-torno nel medio termine alla public company, at-traverso la quotazione come modalità di exit (Re-verse Buy Out) è tipico del mercato anglosassonema tendenzialmente inesistente nell’Europa conti-nentale. Il “public to private deal” elimina con ildelisting il liquidity premium insito nella quotazio-ne e costringe i manager-neoazionisti a creare va-lore per rendere l’azienda di nuovo negoziabile.Le banche che originano il debito che finanziaoperazioni di LBO negli ultimi anni lo hanno spes-so rivenduto ad altri intermediari, non sempre fa-cilmente identificabili (come è avvenuto per i mu-tui subprime) e ciò ne ha ridotto gli incentivi a mo-nitorarlo, diminuendo i preziosi early warning; ne-gli ultimi anni, molti LBO sono stati finanziati pur

no – con il senno dell’esperienza – indubbiamen-te elevate.I manager che montano l’operazione sono acqui-renti che conoscono l’azienda oggetto di negozia-zione tipicamente meglio dei venditori (soci spes-so disamorati, che non credono nell’azienda e nonvogliono rischiare in proprio per rilanciarla) e laritengono sottovalutata, anche alla luce degli au-spicati effetti di ristrutturazioni prospettiche a lo-ro demandate.Questa minor valutazione contribuisce a tranquil-lizzare anche le banche finanziatrici, che da un la-to delimitano le loro erogazioni e dall’altro posso-no acquisire garanzie su assets sottovalutati. In ca-so opposto, si assiste a transazioni overpriced chetendono anche a essere overlevered, con tutti iproblemi che ne conseguono.I soci venditori non sempre sono legittimati a la-mentarsi di prezzi spesso d’affezione, perché ven-dere non è un obbligo e negoziare il prezzo un di-ritto che non dà luogo ad alibi se non pienamenteesercitato.Ma i conflitti, insidiosi soprattutto se surrettizi, so-no sempre dietro l’angolo: si pensi al pessimismoesagerato di manager interessati che voglionocomprarsi l’azienda a poco prezzo o anche a lororapporti talora collusivi con gli enti finanziatori,che possono far mancare strumentalmente il soste-gno ai soci storici per indurli a passare la mano.Conflitti e asimmetrie possono emergere anche trai manager-azionisti e i nuovi finanziatori, se i pri-mi redigono business plan troppo ottimistici50, chea regime non si dimostrano in grado di onorare unindebitamento fortemente cresciuto per finanziarel’acquisizione (l’infondata euforia porta a sotto-valutare i rischi).Soprattutto in caso di “spezzatino” post buy out,fondato sulla prospettiva di un valore stand alonedi singoli rami di business superiore alla lorosomma – e quindi sull’esistenza di “sinergie nega-tive” – vi possono essere sacrifici occupazionalianche rilevanti, che vanno a colpire stakeholderstradizionalmente deboli in questi contesti e spessocostretti ad accettare l’operazione (o si smembra osi chiude, ecc.).

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50. L’art. 2501-bis, comma 4, c.c., richiede un’attesta-zione circa la ragionevolezza delle indicazioni contenutenel progetto di fusione, con riferimento alle “risorse fi-nanziarie previste per il soddisfacimento delle obbliga-zioni della società risultante dalla fusione” post LBO. Siveda Garegnani (2006).

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con deboli garanzie e ciò può incrementare il ri-schio di default (anche a causa del forte aumentodell’indebitamento) ma pure stimolare il monito-raggio da parte dei creditori di ultima istanza. Lacondivisione del rischio, che normalmente lo ridu-ce, può però generare asimmetrie informative an-che gravi, con crisi sistemiche poco probabili maad alta intensità, scatenate da shock economici re-lativamente piccoli, fino al punto da spingere a inu-sitati episodi di bank run, come rilevano Acharya,Franks, Servaes (2007). Talora gli acquirenti deldebito non sono investitori professionali e la lorominor sofisticazione e abilità a valutare i rischi lipuò spingere verso procedure formali di insolven-za, rispetto alle ristrutturazioni stragiudiziali.

7. CONFLITTI DI INTERESSE TRAIMPRENDITORI E VENTURE CAPITALISTSNELLE START UP

In caso di start up avente come soci fondatoril’imprenditore e il venture capitalist, emergonoconflitti anche rilevanti tra i soci, connessi all’esi-stenza di asimmetrie informative (l’imprenditoreha conoscenze più approfondite sulla businessidea, ma non i mezzi finanziari per svilupparla au-tonomamente) che devono essere minimizzate,nell’interesse di tutti, incentivando l’imprenditorea diluire la sua partecipazione (talora fino al puntodi perdere il controllo) in cambio di migliori con-dizioni di finanziamento, condivisione dei rischiimprenditoriali e rendite da estrarre dalle asimme-trie informative51.Il monitoraggio delle start up che nascono attornoa un’idea imprenditoriale è generalmente effettua-to con maggiore facilità da un venture capitalistrispetto a una banca commerciale e a ciò si asso-cia una predilezione per i primi intermediari, chederiva anche da altre caratteristiche delle start up,tradizionalmente con limitati assets collateralizza-bili e caratterizzate da elevati tassi di crescita atte-si, che drenano risorse finanziarie, ostacolando ilrimborso del debito52.Frequenti sono anche comportamenti opportuni-stici da parte degli imprenditori “squattrinati”, chepossono millantare risultati attesi troppo ottimisti-

ci, ma anche da parte dei venture capitalists, chepossono espropriare le conoscenze specialistichedegli inventori-imprenditori; la ritrosia degli im-prenditori a condividere le loro conoscenze spe-cialistiche con i finanziatori, nel timore che questiultimi possano sviluppare il progetto in modo au-tonomo, può essere superata anche con i tradizio-nali strumenti di protezione della proprietà intel-lettuale; l’obiettivo è quello di trovare una combi-nazione ottimale tra disclosure e protezione, cheriduca le asimmetrie informative preservando ildiritto di sfruttare la proprietà intellettuale.

8. IL CONTROVERSO RUOLODEGLI AMMINISTRATORI INDIPENDENTINELLA SGR O NEI CONSIGLIDELLE PORTFOLIO COMPANIES

Gli amministratori indipendenti, sempre più diffu-si nelle società quotate, possono essere presentianche nelle SGR o nelle portfolio companies.Frequenti sono le fattispecie di sovrapposizionidi cariche, che possono anche sconfinare nell’in-terlocking directorship in cui diversi amministra-tori contribuiscono a eleggersi a vicenda: vi pos-sono essere sovrapposizioni nel consiglio di am-ministrazione della SGR, se esso ospita esponentidei soci del fondo, ovvero nelle società partecipa-te, se nei loro consigli sono presenti esponentidella SGR (come è normale che avvenga) o dei so-ci del fondo.Le sovrapposizioni di cariche non sono, di per sé,necessariamente indesiderabili e hanno la funzio-ne di garantire i legittimi interessi degli investitorie di contribuire alla diffusione delle informazionitra le società partecipate, la SGR e il fondo. Se peròla diffusione delle informazioni è asimmetrica el’attività gestoria degli amministratori designatinon persegue strategie di interesse generale, emer-gono conflitti e si crea un ambiente collusivo, cheva a scapito della concorrenza53.Come contrappeso agli amministratori presenti inpiù anelli della catena fondo-SGR-società parteci-pate, possono essere designati amministratori in-dipendenti il cui ruolo può assumere un positivorilievo in ambiti particolarmente delicati – inquanto ad alto rischio di conflitto di interessi – co-

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51. Si veda Kirilenko (2001).52. Si veda Ueda (2004).

53. Per un’analisi empirica del fenomeno nelle societàquotate, si veda Santella, Drago, Paone (2007).

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La varietà delle ipotesi sopra delineate comportadiversi costi di agenzia legati alle asimmetrie infor-mative: il fondo di private equity, che tipicamenteha tenuto la partecipazione in portafoglio per alme-no 2-3 anni (ma spesso anche più a lungo), ha ac-cumulato conoscenze da insider (tanto più elevatequanto più è stato coinvolto nella gestione e in mi-sura più intensa al crescere del livello della sua par-tecipazione) che tendono a stemperarsi nel tempocon la quotazione attraverso una loro condivisionecon il mercato; il dilemma descritto nel modello diMyers, Majluf (1984)56, in base al quale i nuovi so-ci potenziali scontano dal prezzo le asimmetrieinformative attese, rappresenta un incentivo adiffondere le informazioni e a ridurre le asimme-trie prima dell’exit (la trasparenza paga!).La vendita del pacchetto azionario comporta tipi-che asimmetrie negoziali che possono essere atte-nuate dalle competenze dell’acquirente: i nuovisoci industriali tipicamente conoscono il businessa livello macro talora anche meglio del fondo diprivate equity alienante (avvantaggiato a livello diconoscenze “micro” della società), mentre i socifinanziari sono spesso “colleghi” dei fondi alie-nanti e hanno rapporti finanziari nei quali la repu-tazione gioca un ruolo rilevante.Il timing dell’exit incide sulla durata dell’investi-mento e quindi sulla valutazione in termini relati-vi (time adjusted) della performance; un exit anti-cipato, a parità di altre condizioni, rende inoltredisponibili prima le somme incassate per altri in-vestimenti ovvero – soprattutto se la vita residuadel fondo è limitata – per il pagamento di dividen-di o il rimborso di conferimenti ai soci.Con l’exit si cristallizza la performance dell’inve-stimento57, con un impatto sul rendimento com-plessivo del fondo che contribuisce in maniera de-terminante a caratterizzarne la reputazione.La reputazione del fondo58 – e dei managing part-ners che lo gestiscono – assume un rilievo fonda-mentale nel funding di nuove iniziative; terminata

me i comitati di controllo interno o di remunera-zione.L’efficacia degli amministratori indipendenti èfonte di ampie discussioni ed essi non di rado ven-gono ritenuti poco influenti ove sono presenti54,salvo essere rimpianti laddove mancano.Il giudizio, che va al di là degli obiettivi del pre-sente scritto, rimane fortemente soggettivo e deveprioritariamente considerare – caso per caso – leintrinseche qualità degli amministratori indipen-denti, prima ancora della loro funzione (è la qua-lità degli uomini che dà senso alle regole).

9. EXIT DAGLI INVESTIMENTI TRAPERFORMANCE E RISCHIO REPUTAZIONALE

L’exit dagli investimenti nelle portfolio compa-nies ha tipicamente un impatto rilevante sulla go-vernance di tali società e comporta un rimescola-mento dei rapporti di forza tra stakeholders che daun lato può risolvere determinati conflitti ma dal-l’altro ne può generare di nuovi. Il timing dell’exit può dipendere anche dal desi-derio di farsi più rapidamente una reputazione eraccogliere più velocemente nuovi fondi, tipicodegli intermediari più giovani55, producendo unincentivo non desiderabile.Le modalità di exit possono essere molteplici etipicamente rientrano in una delle seguenti fatti-specie:

– quotazione in Borsa;– vendita del pacchetto azionario.

Il limite inferiore, prima di sconfinare nel completoinsuccesso dell’investimento, consiste nella capa-cità della portfolio company di ottenere finanzia-menti addizionali da terzi, dimostrando di possede-re continuità aziendale e capacità di indebitamento. In caso di quotazione, vi può essere un exit defini-tivo, in occasione dell’Initial Public Offering, ov-vero una diluizione dell’investimento, attraversoun aumento di capitale riservato al mercato; la ne-goziabilità insita nella quotazione comporta lapossibilità di programmare anche un exit diluitonel tempo e talora scandito dal rispetto di clausoledi lock up.

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54. Si veda Caselli, Gatti (2007).55. Si veda Gompers (1996).

56. Si veda il par. 5.3.57. La performance definitiva, valutabile al momentodell’exit, dipende da un insieme di concause, difficilmen-te prevedibili ex ante e tali da ingenerare costi di agenziae problemi di governance; tra esse rilevano il settore e ilsentiment del mercato al momento dell’exit, l’ammontarefinanziato, le condizioni dell’acquisto iniziale e il tempodi detenzione. Per approfondimenti, si veda Das, Jagan-nathan, Sarin (2002).58. Kaplan, Schoar (2005); Phalippou (2007, p. 6).

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la vita di un fondo, i gestori ne lanciano gradual-mente altri e spesso seguono più fondi contempo-raneamente.Se l’exit avviene con la quotazione, la reputazio-ne dei manager tende a spingersi anche al di là delmomento del listing e il mercato giudica anche illivello dei prezzi post quotazione e la congruità esostenibilità del prezzo di quotazione.La principale inefficienza dovuta a una vita pre-definita del fondo risiede nel fatto che tale struttu-ra induce a continuare i cattivi investimenti e aterminare anzitempo gli investimenti profittevo-li59, adattando forzatamente il timing dell’exit alladurata predefinita del fondo.

10. I CONFLITTI DI INTERESSEDEGLI STAKEHOLDERS MULTIRUOLO

In capo agli stakeholders sorgono asimmetrie diruolo allorché essi ricoprano contemporaneamen-te diverse funzioni (manager e amministratori, fi-nanziatori e azionisti, clienti, fornitori, ecc.).Il fenomeno degli stakeholders multiruolo60 è par-ticolarmente frequente negli intermediari finan-ziari, che non di rado utilizzano i limitati investi-menti in capitale di rischio come “cavallo diTroia” per allacciare con l’impresa (direttamenteo attraverso altre società appartenenti allo stessogruppo) relazioni di altro tipo: fornitura di creditifinanziari, servizi di consulenza (merchantbanking, ecc.), vendita di polizze assicurative oprodotti finanziari all’impresa e ai suoi dipendenti(attraverso specifiche convenzioni, ecc.); nel casodi specie, le banche sono spesso investitori strate-gici negli investimenti di venture capital per co-struire relazioni per le attività di lending.L’interesse di questi particolari stakeholders èasimmetricamente ripartito tra i diversi ruoli e dinorma non è chiaro (eccetto che agli insidestakeholders dell’intermediario) quale sia il ruoloprioritario.La convivenza in capo a un unico stakeholder diobiettivi diversificati, può da un lato contribuire aincentivare la composizione di interessi diversi,rappresentando un modello anche per gli altristakeholders, comportando peraltro da un altro la-

to anche una confusione di ruoli che non di radodiventano conflittuali.Il problema degli stakeholders multiruolo assumeparticolare rilevanza per i creditori che sono con-temporaneamente azionisti: il creditore può acqui-sire partecipazioni delle società debitrici per pro-teggere i propri prestiti e offrire un canale infor-mativo secondario che possa sostenerli. Il debito-re può preferire che il creditore possieda azioniper ridurre i rischi di opportunismo da parte diquest’ultimo; anzitutto, la minaccia di non rinno-vare un prestito nel breve termine, a meno che ildebitore non faccia concessioni, è meno credibilenel caso in cui l’esercizio della minaccia ridurreb-be il valore dell’azione detenuta dal creditore. Insecondo luogo, dal momento che i creditori vo-gliono che il prestito sia rimborsato e hanno inte-resse a massimizzare il valore dell’impresa, ten-dono a favorire strategie sicure. Nel caso di specie, le sovrapposizioni possonocoinvolgere il capitale di rischio, l’indebitamento,il management e la presenza nei consigli di ammi-nistrazione di più entità contemporaneamente: sipensi ad esempio alla banca che partecipa al fon-do di private equity e contemporaneamente finan-zia talune portfolio companies, o al fondo hedgeche investe nel fondo di private equity ma è con-temporaneamente oggetto di investimento da par-te della SGR; gli esempi possono essere molteplicie ingenerare, caso per caso, problematiche di go-vernance talora delicate anche se l’esistenza distakeholders multiruolo non sempre è aprioristi-camente dannosa.Frequenti possono essere le intersezioni trastakeholders multiruolo e parti correlate61, con l’e-mersione di ulteriori conflitti.

11. VULTURE FUNDS, SPECIAL SITUATIONSE INVESTIMENTI DI TURNAROUND

I cosiddetti fondi “avvoltoio” si occupano di spe-cial situations di turnaround, in cui esiste un fortelivello di rischio della società target, associato aun rendimento potenziale molto rilevante, se la ri-strutturazione ha successo.Questi fondi – a maggior ragione rispetto ad altri –devono essere chiusi e avere come soci investitori,

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59. Si veda Kandel, Leshchinskii, Yuklea (2006).60. Si veda Moro Visconti (2001, p. 90). 61. Si veda Moro Visconti (2007).

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zato con guadagni ingiustificati. Tipicamente nonsi tratta, in caso di profitti asimmetrici, di un gio-co a somma zero, dal momento che i conflitti – so-prattutto se rilevanti – comportano inevitabilmen-te una riduzione del valore complessivo, diluendoil guadagno atteso degli extra-rendimenti, spessoanche al di sotto del rendimento atteso in condi-zioni ottimali.La scarsa trasparenza e la mancanza di governan-ce, che sono alla base dei conflitti, in altri terminipesano sui rendimenti complessivi, anche se talieffetti negativi non sono agevolmente misurabili.Per limitare conflitti e profitti asimmetrici, si pos-sono adottare alcuni accorgimenti, tra cui rilevanoad esempio i seguenti:

– la ricerca di incentivi per far convergere gli in-teressi dei manager con quelli degli altri stakehol-ders (retribuzioni ancorate ai risultati; stock op-tions, ecc.) delimita i conflitti e i problemi di go-vernance;– il monitoraggio del debito da parte di banche ealtri creditori finanziari, soprattutto nelle opera-zioni di BuyOut, riduce fortemente la discrezio-nalità manageriale, da sempre fonte di conflitticon gli altri stakeholders;– la condivisione collegiale di deleghe, unita allaseparazione tra funzioni decisionali, esecutive e dicontrollo, ha un potente effetto di “check and ba-lance” per prevenire o almeno contenere i conflitti;– è opportuno avere un elenco delle cariche deisingoli amministratori e altri eventuali indizi diinterlocking directorship o che li possano qualifi-care come stakeholders multiruolo;– vanno rispettate le disposizioni in materia dicontrasto dei conflitti di interesse, anzitutto co-minciando dalla “prova di resistenza” previstadall’art. 2373 c.c., per verificare se la delibera stain piedi anche senza il voto dell’amministratore inconflitto (il problema principale risiede nel fattoche, se il conflitto non è dichiarato dall’interessa-to, difficilmente è conoscibile ex ante, anche seoggi gli incroci di dati resi possibili dall’informa-tica fanno miracoli);– i principi guida di valutazione65, applicati inparticolare alle valutazioni intermedie dei nonexi-ted investments, stanno imponendo standard piùomogenei di stima, agevolati anche dalla crescen-

tipicamente istituzionali, sufficientemente struttu-rati e diversificati. Storicamente, i vulture fundsnascono negli Stati Uniti dall’eccessivo ricorso al-l’indebitamento nelle operazioni di LBO che hannocaratterizzato gli anni Ottanta. In Italia esistonopochissimi fondi orientati alle special situations e ifondi tradizionali raramente possono investire insettori che esulano dal loro mandato istituzionale.L’impatto sulla governance è qui più che altrove ri-levante; infatti nelle situazioni di crisi d’impresa62

emergono conflitti e comportamenti opportunisti-ci63, soprattutto da parte di azionisti che ormai han-no poco da perdere, che possono danneggiare anzi-tutto i creditori e i dipendenti; anche in capo ai ma-nager possono emergere comportamenti opportuni-stici che danneggiano gli altri stakeholders.I vulture investors creano valore contribuendo a di-sciplinare il management delle società insolventi64,riattivando linee di credito che si sono prosciugatenon solo per l’incapacità di ripagarle ma anche peruna mancanza di credibilità. Il loro ruolo è incen-trato anche su una profonda ristrutturazione sotto ilprofilo strategico-manageriale, che comporta rile-vanti cambiamenti nei modelli di business.Gli stakeholders superstiti hanno un potere nego-ziale di norma limitato e, per allineare i loro inte-ressi con quelli del fondo, possono conveniente-mente stipulare contratti con remunerazioni forte-mente incentrate sui risultati (compartecipazioniagli utili; earn out; stock options; assegnazione diwarrant o obbligazioni convertibili, ecc.), condi-videndo i forti rischi della ristrutturazione.La governance relazionale dei fondi e il loronetwork di conoscenze e contatti possono assume-re in questa fattispecie un rilievo particolare, an-che in considerazione delle competenze fortemen-te interdisciplinari richieste per la soluzione di si-tuazioni di crisi.

12. SI POSSONO LIMITARE I “PROFITTI” DI INTERESSE?

Dai conflitti ai… profitti di interesse il passo èbreve ma non banale, dal momento che il meroconflitto rappresenta un danno potenziale per glialtri stakeholders, fintanto che non viene monetiz-

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65. Si vedano le citate reporting guidelines in www.pri-vateequityvaluation.com; Mathonet, Monjanel (2006).

62. Si veda Loui, Smith (2006).63. Si veda Moro Visconti (2001, p. 214).64. Si veda Hotchkiss, Mooradian (1996).

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te applicazione dei principi contabili internazio-nali e contribuiscono a migliorare la qualità delleinformazioni;– la conoscenza e conoscibilità dei conflitti è in-dispensabile per il loro superamento (se li conoscili eviti) e non deve sorprendere la circostanza cheessi prosperano laddove le informazioni sonoframmentarie, superficiali, orientate al soddisfaci-mento della forma, più che al rispetto della sostan-za; situazioni complesse (operazioni straordinarieconcatenate; investimenti in titoli derivati o altrisofisticati e imprevedibili prodotti finanziari, ecc.)sono spesso create ad arte per confondere le acquee consentire ai conflitti di prosperare indisturbati;– si possono stipulare contratti tesi a delimitareconflitti e comportamenti opportunistici e a stimo-lare la cooperazione, sulla base dell’esperienzaaccumulata in contesti analoghi, perseguendoobiettivi di “optimal contracting” e ponendo vin-coli che delimitano il moral hazard66;– va migliorata la convivenza tra imprenditori emanaging partners, nei fatti quasi sempre ben piùdifficile rispetto alle aspettative, nella consapevo-lezza che i conflitti culturali sono i più radicati;– in un ambito più generale, vi è chi propone laseparazione proprietaria tra banche e SGR e quindi

tra distribuzione e produzione oppure una soluzio-ne meno drastica a favore di una piattaforma di-stributiva aperta: la banca continua a controllarela SGR, che però diventa “multicanale” e offre aisuoi clienti anche prodotti di altri gruppi;– l’incentivo più potente per bloccare i conflittidi interesse è quello di far sì che essi risultinoeconomicamente non convenienti per la parte po-tenzialmente interessata a ingenerarli, ricondu-cendo tutti gli stakeholders verso obiettivi di otti-mo paretiano, in cui il benessere proprio non puòmigliorare senza il nocumento altrui. I recentiproblemi di funding, dovuti alla crisi di liquiditàdei mercati, modificano il comportamento deifondi e influenzano i problemi di governance lun-go tutta la catena del valore, fino alla portfoliocompany.

Spunti futuri di ricerca potranno tenere conto nonsolo della vastissima produzione scientifica in te-ma di private equity e venture capital (e, più in ge-nerale, di corporate governance), di matrice pre-valentemente anglosassone, ma anche di collega-menti interdisciplinari con altri filoni di ricerca(non ultima, la teoria dei giochi), mantenendo unostretto contatto con una realtà empirica caratteriz-zata da un'evoluzione tumultuosa e quindi neces-sariamente disordinata, oggi più che mai bisogno-sa di regole condivise improntate al buon senso.

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66. Si veda Gompers, Lerner (1996, p. 463).

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