Babel#016

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L'unico magazine di videogiochi che valga la pena leggere.

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i N F A M O U Sz E R O O R H E R O ?

P R O T O T Y P EM A L E è P E G G i O

PROGETTO EDiTORiALEfederico resCOPERTiNAtommaso “gatsu” de benettiGRAFiCA E iMPAGiNAziONEfederico resgianluca girelliEDiTiNG DEi TESTigiovanni “giocattolamer” dondaSiTO wEBhttp://bab3l.splinder.comBABEL è OSPiTATO DAwww.qb3project.netwww.issuu.com

REDAziONEalvise “kintor” salicecristiano “amano76” ghigiemanuele “emalord” brescianiferruccio cinquemanifederico resgiovanni “giocattolamer” dondagianluca “sator” belvisigianluca “unnamed” girellimarco “il pupazzo gnawd” barbero michele “guren no kishi” zanettimichele “macca” iurlarosimone “karat45” tagliaferritommaso “gatsu” de benettivincenzo “vitoiuvara” aversa

HA COLLABORATOAlberto “Floyd” Li Vigni

COPYLEFT2007/2008/2009 Babel Edizioni

Babel è rilasciato sotto la licenza Crea-tive Commons Attribuzione-Non com-merciale-Non opere derivate 3.0Unported. Per leggere una copia dellalicenza visita il sito web http://creati-vecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/ o spedisci una lettera aCreative Commons, 171 Second Street,Suite 300, San Francisco, California,94105, USA.

BABEL

e s t A t e 2 0 0 9w w w . b a b 3 l . s p l i n d e r . c o m

RED FACTiON: GUERRiLLAC R O L L A T U T T O Q U A N T O

c o n t e n t s

COVER STORYLa terra che tremò 003

FRAMEMeteore: chi ha ucciso la realtà vir-tuale? 1a parte 008

REViEwRed Faction: Guerrilla 013Demon’s Souls 014infamous 016Valkyrie Profile: Covenant of thePlume 018Final Fantasy Crystal Chronicles:Echoes of Time 020Call of Juarez: Bound in Blood 022Prototype 023Fight Night Round 4 024Harry Potter e il Principe Mezzosan-gue 025Ghostbusters The Videogame 026

1943Cosa resta da scoprire? 031

FORUMin quale videogioco hai pensato: “machi me lo fa fare”? 031

UNDERRATEDSega Rally 2006 027

DAL VANGELO SECONDO TOMMASOSe fossi nero 004

ESCO Di RADOTutto si muove... il videogiocatore no005

ODiO Di GOMiTOLa morale è una favola 006

ARS LUDiCAi giorni dei remake 007

LA TV CHE ViDEOGiOCAQuando il videogioco si documenta032

GiOCHi Di MERDAGravity Games Bike / Cruis’n 030

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L’industria dei videogiochi,sfiancata come tutti dallacrisi, cerca strade nuove einesplorate per massimiz-zare i guadagni. La prima,

la più evidente, è quella dei con-troller a forma di banana e al gustodi vaniglia. La seconda, meno bat-tuta, è la scoperta di un calendarioa dodici mesi anziché quattro. Unmercato che vomita i suoi capola-vori appena dopo averli messi intavola sembrava proprio non po-tesse fare a meno del ciccionerosso, eppure qualche cervello hadeciso di prendere vita. Affollata dauna qualità mediamente alta, èproprio la vetrina natalizia a nonoffrire più garanzie per tutti. solo imigliori, e a volte nemmeno loro,possono farcela a quelle condizionie la bassa marea rischia di ritro-varsi ignorata e invenduta, schiac-ciata da campagne pubblicitariefuori portata e da hype venduto inscatola. Facile allora che i mesiestivi, patria di promozioni e tempolibero, diventino la nuova terra diconquista. Fuel, Red Faction: Guer-rilla, Infamous, Prototype, Ghost-

busters, Gran slam tennis, GuitarHero: Greatest Hits sono solo al-cuni dei titoli a contendersi il caloredegli appassionati. Parliamo di titolidella via di mezzo, meno appetibilidei blockbuster, più importanti dellescommesse. Praticamente ogni pu-blisher ha gettato l’amo ed è dallamisura del pesce che dipenderà ilnostro futuro. La terra trema, in-somma, e i videogiocatori? Lafanno tremare, sembra, a giudicaredall’abbondare di titoli “sfascioni”sugli scaffali. Ben tre, tutti diversitra loro, tutti recensiti su questonumero di Babel. come se l’estatefosse il momento più opportuno perdimenticare texture, animazioni,giochi di luce e umilianti confronti.come se la distruzione totale esconclusionata sia divertimentopuro, radice del videogioco, a pre-scindere da difetti e brutture.scrivo mentre muore Michael Jack-son, mentre si sceglie di ascoltarela sua musica e dimenticare le suestorie, e penso che sì, forse c’è untempo fatto solo per giocare.

Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa

C O V E R

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LA TERRA CHE TREMO’

S T O R Y

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DAL VANGELO SECONDO TOMMASO

Tommaso De Benetti Uno che i VG preferisce discuterli

sentivo qualche settimana faquesto specifico episodio diRebel.fm, noto podcast vi-

deoludico americano. Un ascolta-tore si lamentava con gli speakerdella trasmissione a proposito delloro discutere sul razzismo pre-sente (o meno) in Resident evil5. L’argomento dell’ascoltatoreera grossomodo questo: nonpuoi parlare di razzismo (dicendoqualcosa di intelligente) senzaesserne una vittima. che signi-fica, tradotto per quelli lenti, nonpuoi parlare di razzismo se nonsei nero. È un po’ come dire, enon credo che il paragone siafuori luogo, che non puoi parlaredi politica senza essere un poli-tico (o un perseguitato politico),o di femminismo se non hai lapatata (o se non sei una donnacaduta dalle scale).

Qualche tempo addietro, ancheil noto n’Gai croal (newsweek,edge) ha espresso la sua mortifi-cazione per alcuni degli stereotipipresentati nel primo trailer pub-blico del titolo capcom. “Il pro-blema non è che non ci possonoessere zombie neri, ma che que-sto video riproduce stereotipi distampo coloniale. [...] Posso ga-rantirvi che se Capcom avessefatto assomigliare il protagonistadi Resident Evil 4 ad un soldatofascista, e gli zombie a ribelli na-zionalisti, in Spagna sarebbescoppiato un casino, vista la sto-ria della nazione. [...] Un certoimmaginario è storicamente pro-blematico.” così si era giustifi-cato croal e probabilmente nonha torto, anche se, come dimo-stra il bellissimo Il Labirinto delFauno di Del toro, la spagna nonsembra avere particolari precon-cetti nel trattare in un film argo-menti tutto sommato simili.

Fast forward di qualche mese.Microsoft presenta natal all’e32009. La folla esulta, i forumcrashano, il futuro del videogioco

sembra alle porte. Qualchegiorno dopo, filtra la notizia chenatal ha (allo stato attuale) seriproblemi a rilevare i movimentidi persone dalla pelle scura, peruna qualche misteriosa proprietàriflettente legata alla melanina.come un utente di neoGaf haprontamente fatto notare: “...evoi che pensavate che il bollinoindicante la necessità di averespazio nell’hard disk sul retrodelle confezioni dei giochi fossegià abbastanza discriminatorio”.

se fossi nero inizierei a pen-sare ad una cospirazione ariana.o forse no. Perché, mettiamocaso che il problema di natalfosse stato l’inverso, e cioè che ilcolore della pelle non rilevatofosse stato quello più chiaro, sisarebbe incazzato qualcuno?onestamente: avremmo al mas-simo classificato natal come do-omed, e fine del discorso.

Facciamo un piccolo gioco diruolo, saltando da una persona-lità all’altra.

se fossi un nazista scaraven-tato nel futuro, mi sentirei vaga-mente offeso dal fatto che, comesaggiamente Vitoiuvara ha fattonotare in un suo recente esco diRado (Babel 014), i nazisti nonvengono più considerati esseriumani da nessuno, in particolareproprio dai videogiochi.

se fossi un russo avrei le palleche girano a mille ogni volta cheesce un nuovo Modern Warfare.

se fossi un giapponese non misentirei a mio agio parlando dicall of Duty: World at War.

se fossi un francese avrei i te-sticoli saturi quando in un car-tone animato mi rappresentanonecessariamente come un cuoco,un pittore o un ricchione, semprecon questi baffetti alla Dalì.

se fossi il tecnovichingo cheballa per la pace (cfr. Youtube),non sarei contento di assomig-liare al protagonista di Mercena-

ries 2, che mette a ferro e fuocoil sud America.

se fossi cristiano avrei dei pro-blemi con Xenogears e con lasaga di silent Hill.

se fossi arabo odierei ognigioco di guerra uscito finora, epure Little Big Planet per tentataoffesa al profeta.

se fossi inglese mi vergognereidi Bully e se fossi greco vedreiGod of War sotto una luce piùcupa. Aspetto con ansia di ve-dere che effetto farà essere ita-liano dopo Assassin’s creed II.

non vorrei deludervi, ma lepubblicità nintendo mentono. Lefamiglie con un nero, un giappo-nese e un americano sotto lostesso tetto non esistono, e seesistono ce ne sono 8 in tutto ilmondo. I neri sono un gruppo et-nico sottorappresentato sia nelmondo dell’editoria videoludicache in quello dei giocatori veri epropri: questo è un fatto. Dettoquesto, che la reazione a inizia-tive sfortunate, scarsa indagineculturale (perché, davvero, per igiapponesi i neri sono solo “zom-bie di un colore diverso”, senzaaltre implicazioni) o problemitecnici diventino un problema perun’interna etnia, non ha senso. Èquasi paradossale come i neri sisentano discriminati diversa-mente dagli altri: gli zombie diRe5 sono più offensivi dell’on-data di giochi reazionari ambien-tati in Medio oriente?

L’unica cosa che la comunitànera dovrebbe fare è questa: ri-dere di sé, smetterla di fare lavittima ad ogni sospiro e dimo-strare che i neri in primo luogoconsiderano quegli stereotipi conla stessa noncuranza con cui unitaliano vede il famoso “pizza,mandolino, mamma“.

con obama a riscattare gli an-tichi torti, è tempo che anche ineri inizino a considerarsi dellepersone normali.

Lo ammetto, non sono sicuro dicome ci si senta ad essere nero,ma se potessi reincarnarmi vorreiessere una figa imperiale (nera).Così, per tirarmela un po'

se fossi nero

Tommaso De Benetti è stato membrofondatore e colonna portante di Ring, larivista più amata dai videogiocatorimeno rincoglioniti. Qualche tempo fa,esasperato dall’ignavia invincibile degliormai depressi ringhici, ha lanciato dasolo il progetto RingCast (reperibile suiTunes), primo podcast italiano a tema

videoludico, a cui comunque la vecchiaguardia partecipa a corrente alternata.Gatsu, secondo il nick con cui è solitofirmarsi su Internet, attualmente vive etromba ad Helsinki, tra frotte di biondeninfomani e sferzate di gelo più o menodevastanti.

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ESCO DI RADO (ma gioco pure TROPPO)

Vincenzo AversaProfessore nerd

Dopo anni di lotte sociali emovimenti sindacali, il vi-deogiocatore era stato fi-

nalmente accettato e tolleratodalle società più civilizzate delmondo. Grasso, pigro, violento eparzialmente sociopatico, questasottospecie di essere umano siera costruito un mondo perfetta-mente adatto alle sue esigenze:niente tV, poco movimento, nes-suna donna tra un’eiaculazione el’altra, nessun rapporto socialesenza cuffia e microfono. sem-plice e silenzioso, la sua felicitàsapeva accontentarsi di un te-lefono muto, di una linea ADsLstabile e di durature batterie rica-ricabili. Poi arrivò il Wii, e si de-cise che era tempo di fareginnastica.Facciamo un passo indietro. nin-

tendo è disperata, non ha i soldiper finanziare un terzo flop nelmercato dell’home e sceglie dipuntare sulle idee e non sulla tec-nologia. così facendo, sa di poterperdere parte dei suoi più affezio-nati sostenitori ma, a malincuore,decide di fottersene. Meglio pun-tare sul pubblico degli intoccabilicasual, delle famiglie, delle figliefemmine in età premestruale. È ilpubblico tipo dei cesaroni, ma gliascolti del programma non ne ri-sentiranno. nintendo stravince lasua sfida e riesce, dopo quasi treanni, a non abbassare il prezzodella sua console. È una vittoria diPirro, però, perché nintendo hadeluso gran parte degli hardcoregamers. sempre a malincuore,nintendo decide di ballare ubriacasul cadavere dello stesso Pirro.

Facciamo un passo avantiadesso. salto della cavalletta, undue tre stella, campana. Il suc-cesso del Wii, console più vendutadi questa generazione con di-stacco, influenza le scelte com-merciali di Microsoft e sony.nasce il più grande equivoco dellastoria dei videogiocatori. Dopo laconvinzione che Perfect Dark Zero

sia un bel gioco, ovviamente.sony e Microsoft, cioè, comin-ciano a credere che il pubblico delWii sia lo stesso di Mass effect esi sforzano per lavorare su pro-getti che possa accontentare dav-vero tutti. L’errore è palese. Ilpopolo del Wii va in palestra,mangia sano, ascolta bella musicaitaliana e non crede che le dietesiano opera del diavolo. Il popolodei videogiocatori, al contrario, èil miglior amico delle poltrone,mangia quello che capita (solo seè fritto), ascolta musica metal etrova affascinante lo smembra-mento di budella. non ci vuolel’arguzia di Bruno Vespa per ca-pire che i due gruppi non si appic-cicano tra di loro. eppure ilprogetto di natale e i controller diyattaman hanno in parte entusia-smato il pubblico degli hardcore.In parte. A spaventare non è unmercato completamente impia-stricciato di giochi moralmentedeprecabili e di scarsa tecnologia,è la paura di muovere il culo afrenare le coscienze.

Il principio fondante del video-gioco è la sua staticità. Una filo-sofia di vita basata su limitatimovimenti del bacino e inesistentispostamenti delle gambe. Il sub-buteo sarebbe ancora lì a domi-nare il mondo se non ci avessecostretto a girare per ore intornoad un tavolo. Il ping pong, con iltavolo per i ricchi e senza per ipezzenti, sarebbe ancora in vogase non viaggiasse a braccetto consudore e rumore. Il calcio fioren-tino dentro casa, una melma riu-scita tra soccer e tentatoomicidio, allieterebbe ancora lemie giornate se non prevedessetante ferite e sangue. La nuova fi-losofia dei controller 1:1, da partesua, violenta la prima e ultima re-gola dello sport simulato: “Lui simuove, io vinco!”.Giocare a Gran slam tennis in

pieno luglio è faticoso prima chedivertente, appiccicoso prima che

appagante. tirare la leva di unraccoglitore di lattine usate(Another code: R) è uno sporcolavoro adatto alle classi socialiche non possono permettersi unWii, non un videogioco. Punch-out! mi lascia a terra le caviglieper tre giorni, più di quando misono incollato 50 sacchi di ce-mento per quattro piani. non èbene. Grand slam tennis logora ilmio gomito e per due volte sonocostretto ad abbandonare unapartita per infortunio, grave. noMore Heroes mi costringe per tresettimane ad una fasciatura alpolso, e siamo appena all’inizio diquesto nuovo secolo di scoperte.oK, su questo pianeta c’è sicura-mente qualcuno più in forma dime, ma non potrebbe essere undifetto? con un giro della ruotache neanche Mike dei tempi d’oro,traggo una conclusione spietata: ivideogiochi diventano faticosi, sispendono meno unità di tempoper i videogiochi, si compranomeno videogiochi per evitare laformazione di acido lattico, il vi-deogioco muore. Muore, in questocaso, sta per “fa la fine dellaodierna nintendo”.

sembrerebbe un quadro abba-stanza tragico, ma l’ultima nonme la lascio scappare. Partiamoda delle ipotesi da confermare:Gran slam tennis 3 è il gioco ditennis perfetto. Il prezzo pienodel biglietto è una fatica parago-nabile a quella del tennis vero eproprio, per imparare dico. I costinon sono inferiori di molto, mal’ossigeno a disposizione è dimeno. A quel punto mi chiedo:ma quanto devi odiare la terrarossa per non andartene a giocarevicino casa? Quanto deve piovereper farti correre sulla bilancia diWii Fit e non in un verde e colo-rato parco? Quanto cazzo ab-biamo bisogno di un realisticomovimento di culo?

tutto si muove... il videogiocatore no!

Ritenendosi da sempre uno dei cinquemigliori giocatori al mondo di Tetris, il Dr.Vitoiuvara ha deciso di condividere conil mondo le sue conoscenze e abilità por-tando avanti su youtube quel “Corso perVideogiocatori Professionisti” che oltre arenderlo famoso, lo ha definitivamenteconsacrato al ruolo di pagliaccio. Vive

solo e abbandonato in compagnia delsuo fidato quaranta pollici ma, come amaripetere, risparmia un sacco sui preser-vativi. Nonostante attualmente passitutto il suo tempo libero a videogiocare, èfermamente convinto che, nell’arco dimassimo cinque anni, sarà fuori daquesto ambiente di sfigati.

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ODIO DI GOMITO

Giovanni DondaUn uomo per due stagioni

c’è chi vede la vita come unesame continuo, altri no. civedono poco, si vede. I game

designer, comunque, non soffronoaffatto di questo problema. così,nella loro fratricida ricerca del pros-simo livello di “realistico realismo”(o qualsiasi termine sembri suonarepiù cool di “vita reale”), ecco chegli esami tornano di tanto in tantoa fare capolino sul nostro passa-tempo preferito. e sempre più pre-potenti si imbucano, perchénessuno ha il coraggio di control-lare la lista degli invitati. tuttiesami a scelta multipla: una rispo-sta “A”, due risposte “c”, e il restotutte “B” che non ci piace sbilan-ciarci. Alla fine, il risultato dell’e-same è una comoda addizione diinclinazioni comportamentali pre-stampate. complimenti! sei un per-fetto incrocio fra un timidointraprendente leone e un intro-verso apatico rivoluzionario desti-nato a grandi cose. Ah - sospiro -se solo le scelte morali fossero cosìfacili anche nella vita di ognigiorno.

nei videogiochi, invece, sono di-screte quanto un bue in un negoziodi porcellane. ti vengono per lo piùsbattute in faccia, con tanto di ap-posita interfaccia a schermo. In-tanto, la sospensionedell’incredulità si ricorda di aver la-sciato il rubinetto aperto a casa diUbisoft. e che scelte morali, poi. si-tuazioni che non metterebbero incrisi nemmeno gli attori di una pub-blicità di fustini Dash. scelte, in-somma, che solo a sentirci peggiodi un mercante potrebbero mai fartivenire il dubbio se tu stia facendocosa gradita o sgradita. Giusta osbagliata. Influente o goto 10. equesto quando non ti vengono pro-prio spiegate per filo e per segnoda una pedante narrazione, maquello è un po’ andarsela a cercare.Ah – rifletto – se solo le scelte mo-rali fossero così user friendly anchenella vita di ogni giorno.

Per cortesia, allora, lasciateviprendere per mano. Lasciate che viriporti a ventimila leghe sotto imari, in quel di Rapture. crede-temi, lo faccio a malincuore, par-lare male del comparto narrativo diBioshock è un po’ come lamentarsiche il Dr. House non sia velocequanto Bolt. Quindi, perché no? Delresto, i concetti di interattività lu-dica e sceneggiatura preconfezio-nata sono ancora su due pianetidiversi, a ognuno le sue olimpiadi.Ma Kevin Levine non è un cattivoscrittore. Giammai. Azzarderei,anzi, che sia uno delle poche spe-ranze di missione di pace fra questidue pianeti. Piuttosto, Kevin Levineè un cattivo interattore. Azzarderei,anzi, che sia un pessimo interat-tore, se solo non mi venisse fuoricome un errore di battitura ognivolta che lo scrivo. Ad ogni modo,confidare così ingenuamente cheuna bambina poligonale possa fer-mare la mano di un videogiocatore,quando la presenza stessa di indi-cazioni a schermo gli ricordano, ap-punto, che è solo un videogioco...beh, è così semplicemente “last-gen”. Ah – mi rimbocco le maniche– se solo camuffare l’interattività diuna scelta morale fosse una scienzaprecisa.

e non sarà fisica nucleare, ma laselezione dev’essere peggio diquella per entrare a medicina, per-ché è imbarazzante il numero dibocciature al test d’ammissione.non ultimo una “famigerata” esclu-siva per Playstation 3, dove il ful-cro del character development giraproprio intorno al sapere in prece-denza se la scelta che si sta percompiere sia quella buona, o quellache sogna da sempre di fare ilgame designer. Infamous è il pala-dino del non-da-farsi, e fila drittonell’angolo, con il cappello da asinoben stretto fra le orecchie. Ma lametafora per una volta non è gra-tuita, perché come sui banchi discuola della terza c, studiare

omero con un videoclip ti può soloportare a tanto. Il videogioco puòimparare dal cinema tutto, e capitapure che lo sappia imparare bene,ma non può imparare qualcosa cheil cinema non può e non potrà maifare. Ah – pensateci – se solo il vi-deogioco non fosse l’unica forma diintrattenimento che ci possa offriredelle scelte morali.

sia lodato il nepotismo, allora,perché qualcuno a medicina cientra pure. così, anche l’industriadel videogioco ogni tanto si lasciascappare qualche barlume di spe-ranza per il benessere di domani.In Grand theft Auto IV, ad esem-pio, lo scopri solo dopo cento fune-rali (a bara chiusa) e unmatrimonio cosa abbia davveroprovocato una tua scelta. Unascelta. Ma la mano si è fermata,quella stessa che non aveva battutociglio davanti ad una ben più inno-cente sorellina. non perché non sa-pessi quale fosse la scelta giusta,ma perché non sapevo quale fossela scelta giusta per proseguire. enon sapendolo, il mio io videogioca-tore, spiazzato da anni di scelteprevedibili, ha chiesto aiuto all’altromio io, quello vero. e la mia co-scienza ha risposto. Ah – ammetto– questo chiedo, e non mi fermoqui: voglio che la mano non sidebba più fermare perché non sa-peva di doversi fermare, perchéuna scelta è stata sì fatta, masenza che nessuna minaccia fossecaptata dal mio quinto senso emezzo.

Voglio che qualcuno mi stupisca,voglio che qualcuno mi pugnali allespalle. Voglio provare qualcosa,cazzo! e voglio che sia colpa mia. enon mia videogiocatore, ma mia. Lamorale della favola, chiedete? Ah –vi tranquillizzo – arriva. Voi impa-rate a leggere meglio fra le righe,intanto. o anche solo il titolo.

In SOS The Final Escapec’era una statistica che in-dicava per quanto tempoavevi portato per mano laragazza. O quante volte l’avevi riparata dalla piog-gia con il tuo ombrello fre-gato a MacGyver, nonricordo. Ma non importa,quello che importa è che loscopri solo alla fine che seistato osservato. Lo scoprisolo alla fine, insomma, sesei stato un gentiluomo oun cafone

La morale è una favola

Giovanni Donda, in arte Giocattolamer, èitaliano di nascita e inglese d’adozione.“Scozzese, prego” aggiungerebbe lui. Èentrato a far parte dell'industria deivideogiochi dalla porta di servizio, e lì èrimasto. Oggi è a capo di una piccolaazienda indipendente di Quality Assur-ance e localizzazione, il cui nome e/oprodotti qui non verranno mai men-

zionati. Questo ci ha costretti a scriverlolui. Va da sé che le sue opinioni siano ap-punto tali. Pure questo. La moglie, in-vece, gradirebbe che simili premure leriservasse a lei, e alla figlia, non a quelladitta del... Ma lo ama tanto. Fortuna chenon capisce l'italiano e crede ancora che“Odio di Gomito” sia solo il romanzo chegli pagherà il mutuo.

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ARS LUDICA

Simone Tagliaferrisi perde troppo spesso per mondi virtuali

cos’è un remake? Un tri-buto? Un modo per sfrut-tare commercialmente

titoli molto vecchi, ma il cuinome riecheggia ancora neiforum dei videogiocatori? Untradimento di un concetto difondo adatto all’epoca di pub-blicazione dell’originale, ma su-perato nel momento delrifacimento? Un modo persfruttare idee di altri, facendolepassare per celebrazioni? Ma,soprattutto, a cosa servono iremake? chi li vuole, chi licompra, chi li desidera?

Il genere abbonda su diversepiattaforme, dal nintendo Ds,su cui ad esempio la square-enix non fa che ripubblicarevecchi titoli, al Pc, dove giustoultimamente la LucasArts stariproponendo i suoi titoli clas-sici con buon successo. Perchéacquistare l’edizione speciale dithe secret of Monkey Island sesi è giocato l’originale all’epocadell’uscita? cosa cerchiamo inun mero rifacimento grafico? Ilriacutizzarsi di quelle malattiedel vivere che chiamiamosogni? non sarà l’ennesima di-mostrazione che i nostalgicisono anche un pochino idioti?eppure Dragon Quest IV rigio-cato su nintendo Ds qualcosadice e ci mette di fronte a unlimite nemmeno troppo nasco-sto o impalpabile. Meglio ilpassato del presente? Beh, peri nostalgici probabilmente sì.Ma, per non scadere nel “nonci sono più i giochi di unavolta”, diciamo che, da un con-fronto con il presente, spetta-colarità a parte, è evidente chenon siamo andati da nessunaparte.

Penso, un po’ troppo, alla

stupidità narrativa di alcunidegli ultimi blockbuster, comePrototype e Infamous, tantoper fare due nomi, e mi chiedoperché quando si discute dinarrazione nei videogiochi siprendano ad esempio sempretitoli poco più che mediocri daquesto punto di vista. nonsono un fan delle trame, manon bisogna essere dei geniper capire che, ad esempio,Gears of War è pura spazzaturada questo punto di vista. siparla tanto di linearità, di comenarrare nei videogiochi e a tevengono in mente vecchi giochiche erano riusciti, meglio deinuovi, a sfruttare tecnicheclassiche senza banalizzarle.Prendiamo Dragon Quest IV,con il suo annodarsi di più sto-rie in una soltanto, oppure lostesso Monkey Island, in cui iltema della ragazza rapita dalcattivo di turno diventa il modoper dare sfoggio di trovate sce-niche e linguistiche degne deiMonty Python.

ecco, forse è questo che al-cuni remake mettono in luce:chrono trigger non è miglioredi un qualsiasi JRPG modernosoltanto perché è un classico,lo è perché, nonostante i limititecnici, aveva il coraggio disperimentare meccaniche digioco e soluzioni narrative ine-dite in un genere che già alloraera ben definito. Forse eranoproprio i limiti tecnici, che ab-bassavano i costi di sviluppo, agarantire maggiori spazi di ma-novra. In effetti, viene da pen-sare che i più legati al passatonon siano i nostalgici, ma i pu-blisher stessi. È a loro che con-viene poter attingere alleforme di gioco già consoli-

date... street Fighter IV non èsemplicemente uno street Fi-ghter II tecnicamente pom-pato? Avendo giocato tutta laserie posso affermare con cer-tezza che alcuni personaggihanno mantenuto le stessetecniche di combattimento delpassato. La grafica è su unaltro pianeta, certo, come èvero che il genere si è evolutorispetto ai primi anni novanta,però il nucleo di fondo è quelloe non è possibile alcuna rot-tura, ma solo un diversificarsidi letture intorno allo stessotema. Il moderno nei videogio-chi è una questione esegetica.

È per questo che i remakecolpiscono e fanno centro, riat-tizzando animi spenti e malan-dati: perché in fondoripropongono qualcosa che nonè mai veramente passato, mache è stato soltanto smussatoo stuprato, a seconda del li-vello di pessimismo con cui sivuole leggere il presente. conl’affermarsi delle forme del vi-deogioco e con il sedimentarsidei gusti del pubblico, la creati-vità è scemata in farsa, diven-tando superflua e pocoredditizia. non per niente lostupore è tanto di fronte a unLittle Big Planet qualsiasi, ilquale non fa altro che ripro-porre formule antiche. Lastampa lo prova e compie unatto di reminiscenza esaltan-done la creatività. Ma cos’èquesta creatività se non ripro-porre qualcosa di già vissuto ri-plasmandolo in chiavepersonale o progettuale? Dovesi trova il confine del nuovoche divide dall’eterno remake,implicito nell’atto stesso dellacreazione di un’opera?

Monkey Island oggi eMonkey Island allora. Sonocambiati i videogiocatori osono cambiate le scimmie?

I giorni dei remake

Simone Tagliaferri nacque e sta ancoracercando di recuperare da quella faticac-cia immane. Nel frattempo ha scritto arti-coli per molte testate, tra le qualiGameoff, Xoff, PSW, PC Games World ealtre di cui non ricorda molto (sapete... lasenilità). Attualmente scrive articoli sumultiplayer.it, cura la sezione videogiochi

del Mediaworld Magazine e scrive assi-duamente su Ars Ludica, progetto natonel lontano 2005 che si occupa di spam-mare un po' di cultura videoludica in giroper il web. Tra le sue altre attività, oltreallo spaccio internazionale di pannoliniusati, traduzione di guide ufficiali e divideogiochi.

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apita spesso, parlandodi futuro dell’industriavideoludica, che qual-cuno se ne esca fuori

con la solita banale domanda: “Manon dovevamo giocare tutti quanticon casco e guanti?”. All’iniziodegli anni ‘90 il futuro dei video-giochi sembrava essere stretta-mente legato a 2 parole: realtà,virtuale. Giornali di informatica, ri-viste del settore, persino i media,tutti a mettersi in bocca un ter-mine a dir la verità un po’ ambi-guo e difficilmenteinquadrabile. non era ben chiarocon quali mezzi e risorse si sa-rebbe attuata, ma la rivoluzionesembrava più che certa.nata intorno agli anni ‘60 e svilup-patasi nel decennio successivo, laRealtà Virtuale (VR) iniziava adavere larga visibilità solo nella se-conda metà degli anni ‘80, princi-palmente attraverso applicazioniinformatiche, ma in seguito anchesul fronte letterario (e di riflessoquello cinematografico) che saràprima ispiratore e poi ispirato dallanuova frontiera digitale.

Il termine VR è di per se vago,in quanto categorizza tutti i si-stemi di interazione uomo-mac-china che proiettano il fruitore inun sistema regolato da leggi pro-prie e che possa essere manipo-lato o sfruttato in modi che nellarealtà sarebbero impossibili. VR èInternet, che mette a disposizionel’informazione in real-time, travali-cando i limiti spazio/temporali. VRsono anche i videogiochi cheproiettano in mondi simulativi ototalmente fantastici. VR sono imoderni sistemi di cloud-compu-ting. VR sono i dispositivi chesfruttano le “realtà aumentate”.non basta quindi categorizzarecome VR un qualunque progetto

visivo che immerga in un am-biente tridimensionale, tuttaviaper sua natura storica, il termineè stato sempre associato all’uti-lizzo di apparecchiature in gradodi “estraniare” il fruitore dalla suarealtà di appartenenza e gettarloin una nuova e separata.

La VR, nella sua accezione origi-naria, cerca di coinvolgere tutti icinque sensi anche se, per varie li-mitazioni tecniche, i più sfruttatisono tre: la vista, attraverso visoriHead Mounted Display (HMD) chemontano un solo schermo o due,uno per ogni occhio, in modo daricreare un effetto stereroscopico;l’udito, con sistemi di audio posi-

zionale spesso incorporati nei vi-sori; il tatto, che viene stimolatomediante l’utilizzo di interfacceatipiche, come ad esempio con-troller o guanti dotati di ForceFeedback (FF) che restituiscanouna sorta di sensazione di contra-sto con l’ambiente virtuale, indi-spensabile in alcuni campi(medicina, aeronautica) dove solol’ambiente visivo non è sufficienteall’operatore per garantire un cor-retto controllo del mezzo a dispo-sizione.

tre i principali problemi che laVR si troverà ad affrontare: quelloeconomico, gli alti costi dei visorie la richiesta di computer estre-

di GIANLUCA GIRELLI

METEORE: CHI HA UCCISO LA

REALTA’ VIRTUALE?

008

C

f r a m e

Classico esempio di VRClothing convisore, tuta eguanti. Con-figurazionemolto notama non moltodiffusa acausa del-l’alto prezzodei compo-nenti, motivoper cui gli fupreferitaquella a“poltrona”.Probabil-mentescomonda, in-dubbiamentefashion

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economico, gli alti costi dei visori ela richiesta di computer estrema-mente potenti per gestire ambientivirtuali saranno un grosso frenoalla diffusione della VR; limiti tec-nologici invalicabili, riguardanti so-prattutto la tecnologia dei displayche verrà risolta solo molti annidopo; la necessità di estranea-zione/immersione totale, che saràdi fatto la principale causa dell’ab-bandono di questo settore, alla ri-cerca di qualcosa di menodispendioso e più intuitivo.

Problemi questi già di difficilesoluzione nell’ambiente della ri-cerca (medica, militare, aerospa-ziale, etc.) che è in grado di poter

permettersi finanziamenti elevati,figuriamoci per le aziende di vi-deogiochi, in cui un sistema com-pleto non sarebbe dovuto costarepiù di 300 dollari per aver qualchesperanza di diffusione. La parolad’ordine per lo sviluppo ludicodella VR fu “compromesso”, ma cisi rese conto tardi che questi ini-ziavano ad essere troppi per es-sere risolti. La tecnologia non eraancora disponibile ad un prezzoaccessibile, nonostante ciò i pro-duttori delle suddette periferiche siintestardirono proponendo solu-zioni cheap che non accontenta-vano nessuno, davvero troppodistanti dalla VR tradizionale che

tentavano di proporre. nello svi-luppo di sistemi per la VR la po-tenza di calcolo diventaindispensabile per generare mondi3D credibili, potenza che nessunsistema casalingo di allora era ingrado di generare. I visori tradizio-nali costavano un salasso mentre isensori di posizione (Head/Bodytracking) erano difficilmente para-gonabili in costi e funzionalità aimoderni sistemi giroscopici. Pen-sare di trovare soluzioni alterna-tive poco costose erasemplicemente folle.

Per fare un esempio, uno degliaspetti fondamentali dei sistemiVR è la capacità di generare unaprofondità di campo. L’occhioumano percepisce la profonditàgrazie ad una serie di fattori, tracui il leggero sfasamento tra ciòche vede l’occhio sinistro e quellodestro. Un sistema che emuli talefenomeno deve predisporre di due

METEORE: CHI HA UCCISO LA

REALTA’ VIRTUALE?PRIMA PARTE

009

Sensorama fu il primo esempio di sistemaper la VR. Benché all’epoca della realiz-zazione (1962) i sistemi informatici fosseroancora primitivi, ricreare una sorta di mondovirtuale fu comunque possibile. Il disposi-tivo, simile ad un grosso cabinato arcade,vedeva lo spettatore impegnato in una corsain bicicletta mentre sullo schermo internopanoramico veniva proiettato un filmato re-alizzato appositamente (una sorta di lasergame). Il sistema prevedeva la visionestereoscopica, il force feedback, ma anchevento e odori. L’immersione dunque era to-tale. Qualche anno più tardi (1972) il primovisore virtuale, talmente grosso e pesanteda essere appeso al soffitto e perciò sopran-nominato “La Spada di Damocle”. Nel 1977la prima simulazione 3D in wireframe(Aspen Movie Map)

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sistemi di visione, uno per ogniocchio. I visori VR erano general-mente composti da due schermiLcD, alcuni modelli utilizzavanoun solo schermo widescreen percontenere i costi, mentre quelli dibassa lega adottavano addiritturapiccoli schermi a tubo catodico.che fossero a tubo o a cristalli li-quidi, però, poco importava, inentrambi i casi le tecnologie utiliz-zate non solo incidevano in ma-niera considerevole sui costi, manemmeno erano sufficientementeavanzate da risolvere alcuni pro-blemi legati alla visione prolun-gata delle immagini.

soprattutto gli schermi LcD sof-frivano in gran parte dei non an-cora oggi pienamente debellatieffetti scia, molto accentuati suidispositivi Fstn (Film supertwistnematic) che non erano in gradodi cambiare il colore dei pixel ab-bastanza in fretta ad ogni refreshdello schermo. Gli schermi tFt(thin Film transistor) risolvevanoin gran parte il problema, maerano ben più costosi. si veda adesempio il Pc-engine Gt, unicamacchina portatile dell’epoca avantare uno schermo a matriceattiva e per questo molto costosa.considerando che nemmeno gliodierni pannelli da 2-4 ms gray-to-gray a 100hz hanno ancora ri-solto in maniera definitiva ilproblema, pensate che esperienzadoveva essere 20 anni fa trovarsiuno schermo LcD a pochi centi-metri dal naso. Ma il problemastava soprattutto nel sistema direfresh: anche gli schermi dotatidi qualità migliore non garanti-vano una velocità sufficiente anon fare affaticare gli occhi, non a

caso la frequenza minima di fun-zionamento per i futuri schermi3D Ready è stata settata a 120hz(60hz per occhio) proprio perquesto. sessioni prolungate cau-savano nausea e mal di testa edera preferibile fare una pausa di10 minuti almeno ogni 20 minuti(sessione di utilizzo standard con-sigliata dagli operatori).

Altro problema dei visori VR erail peso e la limitatezza nei movi-menti. Molti caschi arrivavano apesare chili, i sistemi di posiziona-

mento e di controllo venivano in-seriti in guanti e tutina, e gli HMDerano collegati al Pc tramite caviche limitavano di molto le possibi-lità d’azione. Molti sistemi perciòadottavano una configurazione “apoltrona” o, in quelli evoluti, a“palombaro”.

I problemi che la VR si trovò adaffrontare, sia nel contesto origi-nario della ricerca, sia per uneventuale uso commerciale, fu-rono dunque sostanzialmente iseguenti:

- costo eccessivo delle periferi-che, l’utilizzo di soluzioni cheapper ridurre i costi era semplice-mente improponibile;

- tecnologia limitata, che avrebberichiesto ancora anni di lavoro perarrivare a risultati soddisfacenti.Molte delle soluzioni adottate nonerano ancora tecnologicamentemature nemmeno per usi ad altobudget;

- tentativo fallito di bruciare letappe anticipando i gusti del mer-cato. La maggior parte delle per-sone aveva sentito molto parlaredella VR, ma solo in pochi ave-vano idea di come funzionasserealmente. Le occasioni per farprovare la VR alla massa furonopoche, principalmente in alcunefiere specializzate. Il cliente sa-rebbe saltato nel buio, senza sa-pere se la VR lo aggradasse omeno. non esistendo altri tipi diinfrastrutture simili alla VR, nonera nemmeno possibile fare para-goni. Ad esempio, il cinema 3D,paventato per anni, ha da poco ri-cevuto impulso grazie alla realiz-

zazione di sale con nuoviproiettori, quindi in futuro l’acqui-rente di soluzioni 3D da casasaprà già cosa aspettarsi. Laclientela rimase sempre un po’dubbiosa, causando di fatto unamancanza di richiesta di mercato.

- Problemi di salute (nausea, vo-mito, bruciore agli occhi) nell’uti-lizzo prolungato delle periferiche.se nemmeno i sistemi più evolutierano immuni dal problema, unutilizzo ludico su sistemi a basso

prezzo era di difficile attuazione.oltretutto, essendo sistemi“chiusi”, le periferiche VR pote-vano diventare pericolose in unutilizzo domestico. Le case co-struttrici preferirono aspettare evedere maturare la tecnologiapiuttosto che vedersi chiamata adaffrontare processi per incidentidomestici causati dai loro sistemi.

- Persino chi doveva spingere per

la VR iniziò ad avere dubbi sull’u-tilità della tecnologia così comeera stata presentata: l’estraniarsiin ambienti virtuali sarebbe statoconsiderata cosa sempre meno lo-gica. nel frattempo, vennero stu-diate altre alternative piùconcrete e funzionali (augmentedreality/virtuality).

Per abbattere i costi, i sistemi VRavrebbero dovuto vendere a mi-lioni, ma era la stessa domanda a

latitare, i produttori sperarono in-vano che la febbre della VR du-rasse abbastanza per creare unmercato stabile e duraturo. Il fe-nomeno della VR stava scemando,nel frattempo si sentì la necessitàdi sviluppare una tecnologia chefosse a metà strada tra il virtualee il reale, qualcosa in grado di av-vantaggiarsi dell’utilizzo dei si-stemi virtuali, ma senza l’obbligodi estraniarsi immergendosi in

una realtà diversa. Diventò plau-sibile una coesistenza fra l’infor-mazione virtuale e l’utilizzo deldigitale nell’uso di tutti i giorni,non più visti come qualcosa di se-parati, ma come qualcosa di com-plementare. D'altronde, se reale einformazione virtuale possonocompletarsi a vicenda, sarebbeinutile non sfruttarne le potenzia-lità.

Fine prima parte.

010

f r a m e

Il miglior film sulla VR? Il Tagliaerbe di King? Macchè! Matrixdei Wachowski? Maddai! È Jackpot, con Adriano Celentano! Ilfilm racconta di un giardiniere, decisamente poco acculturato,mandato a fare da insegnante a bambini-scienziati. Nonostanteil paradosso, le considerazioni del giardiniere saranno utili a ri-solvere un esperimento che attanaglia i piccoli geni e cheriguarda la realizzazione di una perfetta riproposizione del nos-tro mondo in chiave virtuale, in cui il virtuonauta è tartaruga.Nonostante l’incredibile fedeltà della scena virtuale, la tar-taruga non sembra reagire. Celentano aiuterà i bambini a risol-vere l’arcano: i piccoli hanno puntato tutto sulla resa visiva, mahanno dimenticato di sviluppare suoni, odori, gusto, tatto, sen-sazioni che si riveleranno indispensabili per far percepire allatartaruga l’ambiente circostante come “credibile”

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rEviEw

ara mamma,

sono passati ben cinquegiorni da quando sono at-terrato su Marte. L’evol-

versi degli eventi potrebbe prendertiun attimo in contropiede. La setti-mana scorsa ho visto mio fratello Dan.Mi ha stretto in mano un martello em’ha detto: “Vai a laurà”. Un’ora emezza dopo le truppe dell’eDF l’hannosforacchiato dall’alto. non sapendoesattamente cosa fare - e tu ben saiche l’attrattiva delle miniere si esauri-sce presto - ho pensato di unirmi ai ri-belli, di cui peraltro Dan faceva parte.ora sono una specie di ned Ludd spa-ziale. I compagni giù al campo urlanoe mi danno ordini bruschi, come sestessero cercando di far partire untrattore capriccioso. sarà il tempo, oforse le usanze locali. non sono cat-tive persone, tranne quando si get-tano volontariamente sotto le ruotedei veicoli che guido, credo per dimo-strarmi la loro stima. se lavoro comestachanov, e qui stachanov l’apprez-zano, mi danno pure una mano: si ar-rampicano sul retro del mio camion evia, tutti insieme, verso un futuro dipolvere pirica e ustioni di quartogrado.

ti chiederai cosa faccio nel detta-glio: un po’ di tutto, ma soprattuttofaccio esplodere roba. L’idea della RedFaction - così abbiamo deciso di bat-tezzarci - è quella di indebolire pro-gressivamente il controllo dell’eDF intutti i settori terraformati del pianeta.Per farlo smontiamo propaganda, ru-biamo walkers, intercettiamo convogli,liberiamo ostaggi ma più che altro fac-ciamo saltare in aria edifici. sono edi-fici brutti, scialbi e costruiti solo peressere spaccati. A volte mi chiedo conche materiali li costruiscano: sarà cheil martello di Dan è davvero un bel-l’oggetto, ma sembra quasi che certimuri sian fatti di cartone.

Ad ogni modo, hai capito bene, sonouno specialista di demolizioni. Potreiparlarti per ore della gioia di piazzareun numero indecente di cariche allabase di una torre piena di soldati, poi

allontanarmi un poco ed osservare ifuochi d’artificio mentre il metallo urlae si accartoccia su se stesso. ti assi-curo che non mi accorgo nemmenodel tempo che passa. Lo so, lo so, hola pelle sensibile e le ossa fragili: mati dirò, da queste parti è più pericolosogirare a piedi che farsi sparare. sonoqui da troppo poco per sapere comevengono rilasciati i documenti, maquelli dell’eDF hanno dei seri problemial volante: a volte pur di rincorrerci sischiantano sui muri, volano giù dallescarpate, si tamponano, fanno i ka-mikaze. sembra di stare a napoli.

Marte mi piace, mi ci trovo bene edavvero non è difficile tenersi occu-pati, ma devo ammettere che ci sonoaspetti della permanenza che mi in-grossano le ghiandole: per dirne due,il tempo fa schifo e non c’è figa.

Ho polvere nelle orecchie, nei cal-zini, nelle mutande. Il paesaggio èscialbo (duna, duna, strada di terrabattuta, duna, roccia, montagna, roc-cia), niente vista mare e quando vienenotte tutto si ammanta di un’aureamerdacea. Proseguendo verso eos isettori si colorano di qualche cespu-glio, ma sapessi quanto costano gli af-fitti da quelle parti.

c’è da dire che la radio passa ottimamusica: non so quali siano gli incentivimarziani per i giovani musicisti, maquesta roba spacca. Quando proprionon mi passa infilo in spalla un jet-pack e mi lancio online per fracassaretutto in multiplayer: divertente, maper poco, come anche la modalità of-fline per compagni squattrinati. comesi dice da queste parti: “suonareheavy metal con le carcasse dell’eDF”è molto più interessante.

ora devo andare, samanya (bella fi-gliuola, incrocia le dita che forse tornocon i nipotini) dice che le nuove mineantiuomo sono in tavola.

Baci,Alec”

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a cura di Tommaso “Gatsu” De Benetti

Saluti da Marte

360 ps3

piattaforma 360 ps3 sviluppatore volition inc. produttore thq versione pal provenienza usa

“C

RED FACTION: GUERRILLA

Red Faction: Guerrilla conta una decinadi diverse tipologie di missione con piùdi 100 istanze (quasi tutte meritevoli),instant mission a seconda della posi-zione sulla mappa, modalità online edoffline ben studiate, segreti da collezio-nare e sei settori da sfasciare in lungo ein largo. Senza dubbio un buon pac-chetto per l’estate

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onostante possa essere inseritoin una ideale trilogia dell’importalternativo, con Aquanaut’s Holi-day e Afrika, Demon’s souls ha

avuto un successo sorprendente presso ilpubblico occidentale, rimanendo scarsa-mente reperibile per mesi. Romantica no-stalgia per i tempi andati, quando la sfidaera l’unica ragion d’essere del medium,oppure, più pragmaticamente, assenzacronica di esponenti del genere? nessunadelle due, perché Demon’s souls non puòessere ridotto a strumento per alimentaresimili polemiche.

Ad ogni modo, è chiara l’appartenenza diDemon soul’s alle costruzioni intellettualiprodotte in questi anni da sony (da Ico aLittle Big Planet), ove dominavano su tuttodelle idee prontamente riconoscibili e la cuimanipolazione consentiva un dialogo privi-legiato con il giocatore. nel caso dell’operadi From software, i nuclei da cui si svi-luppa il gameplay sono essenzialmentedue: la particolarità dello scenario e i fra-gili equilibri del sistema di combattimento.

A stupire non è tanto il minimalismo deiracconti, incisi nelle cinque pietre che per-mettono di accedere ai rispettivi livelli (sitratta di una caratteristica comune ai dun-geon crawler), piuttosto il modo in cui lascarsità di informazioni crei un mondooscuro e misterioso, abitato da arcane fi-gure soggette ad un continuo ciclo dimorte e vita, male e bene, materia eanima. Demon’s souls si apre con unabreve introduzione che illustra gli eventiantecedenti all’arrivo del nostro eroe,unica speranza per il regno di Boletaria, fi-nito in rovina a causa dell’ambizione di ReAllant. L’anonimo protagonista (spetterà anoi dargli un nome e un volto, nella scher-mata di creazione del personaggio) vienequasi immediatamente ucciso, ma la suaanima rimane bloccata nel nexus, unasorta di limbo dal quale è possibile acce-dere ai territori maledetti di Boletaria.

La direzione artistica e tecnica di questiultimi, probabilmente dettata in parteanche da motivazioni economiche, vertedecisamente sulla stilizzazione: puntando,quando è possibile, su decadenti strutturee atmosferici chiaroscuri, o su vuoti e as-senze, come la mancanza di accompagna-mento musicale. La decostruzione deglistereotipi estetici del genere non risulta

però funzionare sempre, soprattuttoquando negli ultimi capitoli le ambienta-zioni non presentano più le scorciatoie e ipassaggi segreti che consentivano un pre-zioso design “circolare”, cedendo il passoad una più scontata linearità.

Il microcosmo di Demon’s souls restatutt’altro che stabile, venendo costante-mente influenzato dalla World Tendency:soddisfando infatti certi criteri (ad esempiosconfiggere i boss senza morire), il mondodi gioco inizierà a tingersi di bianco, per-mettendoci non solo di sbloccare determi-nate sub-quest o di incontrare le versioni“buone” di alcuni personaggi, ma anche disubire meno danni dai nemici. Viceversa,le nostre azioni potrebbero condurre l’uni-verso di Demon’s souls verso il male, e inquesto caso il lato oscuro dei vari perso-naggi potrebbe venire fuori. Anche la “ten-denza nera” ha comunque i suoi vantaggi:è possibile per esempio incontrare partico-lari nemici solitamente non presenti, o re-cuperare dell’equipaggiamentoparticolarmente raro. La World Tendency siapplica inoltre anche direttamente al pro-tagonista, sebbene gli effetti siano decisa-mente ridotti.

collegandosi al server di Demon’s souls,le dinamiche di gioco si complicano ulte-

riormente: le locazioni vengono improvvi-samente animate dai messaggi lasciati daigiocatori - fate attenzione a quelli falsi! - eda pozze di sangue, che ci permettono dirivivere gli ultimi momenti di un altroutente, nella speranza di essere più fortu-nati di lui e poter sopravvivere più a lungo.Ma forse la caratteristica più interessante èla possibilità di subire incursioni nel pro-prio universo di gioco o di invadere le par-tite altrui, infiltrandosi nel mondo di unaltro giocatore nel tentativo di distrug-gerlo, magari sfruttando i nemici a nostrovantaggio.

La multiforme rigidità dell’universo diDemon’s souls si riflette anche sul sistemadi combattimento, probabilmente il mi-gliore mai visto in un action RPG, capacedi non sfigurare neanche in rapporto a ge-neri solitamente più votati all’azione. Ri-spetto alla maggior parte dei giochi diruolo (dove sono presenti solitamente duebarre dedicate all’energia vitale e ai puntimagia), nel titolo From software abbiamoanche un indicatore dedicato alla stamina,che andrà diminuendo ogni volta che effet-tueremo particolari movimenti o in occa-sione di ogni manovra offensiva edifensiva.

La presenza di una sola barra destinata

DEMON’S SOULS

a cura di Alberto “Floyd” Li Vigni

rEviEw

Il demone dentro (e fuori)

ps3

N

console ps3 sviluppatore from software produttore atlus co. versione ntsc/uc provenienza giappone

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Persino Demon's Souls non rinuncia alla prati-ca abituale e include un tutorial che ci consen-tirà di fare un po’ di pratica con le movenze dibase, nonché di raccogliere diversi item cura-tivi che ci faciliteranno le prime battute delgioco vero e proprio

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DEMON’S SOULS

a regolamentare quasi interamente le azionidel giocatore, comprese le manovre eva-sive, obbliga ad affrontare tatticamentel’avversario, data l’impossibilità di eseguireazioni fondamentali (ad esempio la corsa ola capriola) dopo aver abusato di attacchi oparate. La stamina non è influenzata solodal sistema di evoluzione del personaggio,basato sulla raccolta e l’utilizzo delle animerilasciate dai nemici, ma anche e soprat-tutto dal tipo di equipaggiamento scelto edal suo peso specifico. Una particolare ar-matura potrebbe quindi consumare la barrapiù rapidamente, mentre uno scudo poten-ziato avrebbe l’effetto contrario. Anche lamassa è molto importante: ogni oggetto haun certo peso che andrà a ridurre i tempi direazione e la capacità di movimento del no-stro eroe. nel caso volessimo trasformare ilnostro personaggio in un carro armato, do-vremmo prima basare la condotta di giocosulla forza bruta e sulla difesa; avendo a di-sposizione un eroe meno “corazzato”, in-vece, potremo puntare sull’aggiramento deinemici e sulla rapidità di esecuzione.

A tutto questo va aggiunto un sistema diclassi piuttosto permissivo (la scelta inizialeriguarda solamente le statistiche di base)che ci permette di creare personaggi decisa-mente flessibili, considerando anche una

certa varietà riscontrabile nelle caratteri-stiche da potenziare. tale complessità,sia per quanto concerne il battle systemche l’evoluzione dell’avatar, porta De-mon’s souls ad essere poco lineare, con-sentendo di affrontare i vari livellinell’ordine che più si addice al nostrostile e alle peculiarità del nostro perso-naggio.

ne consegue che la difficoltà di De-mon’s souls non sia facilmente quantifi-cabile, ma è indubbio che le fasi inizialipossano essere traumatiche per un pub-blico non abituato alle situazioni tipichedi un dungeon crawler. oltre alla man-canza di checkpoint e ad un sistema disalvataggio che lascia poco spazio allasperimentazione (poiché automatico),infastidisce l’assoluta mancanza di indi-cazioni, che sulle prime può confondere ilgiocatore e portarlo a sprecare risorse pre-ziose, ma che raramente giunge a compro-mettere l’esperienza in via definitiva. nelcaso ci si senta troppo sperduti nelle landedi Boletaria è possibile – a patto che si siain vita – evocare fino ad altri tre giocatoriper affrontare insieme un livello. Ma l’im-possibilità di invitare un utente dalla nostralista amici, ci ricorda ancora una volta chel’enfasi in Demon’s souls è posta sul single

player, sull’intraprendenza di una forte per-sonalità.

ed è proprio questo che ci insegna il titoloFrom sofware: sommerso dalle polemiche edalle etichette, il videogioco attuale haperso la propria identità. Demon’s soul ciaiuta semplicemente a ritrovarla. 9

Demon's Souls è unico nel suo genere: sitrascorre gran parte dell'avventura a com-battere da morti e con l'energia dimezzata.È dunque consigliabile mettersi subito allaricerca di un particolare anello che au-menta gli HP di base…

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alta. Aggrappati a un cornicionedel primo piano di un palazzo.Arrampicati sulla facciata delpalazzo. schiva i proiettili che ti

vengono sparati da qualcuno, forse dallastrada, mentre balzi da un appiglioall’altro. Appena arrivato sul tetto cogli disorpresa un tizio cencioso con un AK-47fra le braccia e scaglialo giù con un’ondamagnetica. Infastidito dai proiettili checontinuano ad arrivare dalla strada, corriverso il ciglio del tetto. salta. Piombasulla strada, facendo esplodere nell’im-patto tutte le auto, i nemici ed i passantinel raggio di dieci metri. sorridi.

Da qualche anno gira fra i giornalisti divideogiochi una teoria. Questa teoriadescrive un certo tipo di videogioco che sibasa su infinite variazioni di microdrammidi pochi secondi e pochi elementi. Unesempio sono i famosi dieci secondi diHalo, fatti di alternanza fra fucile, granatee coperture. o il salto di Mario. In altreparole, alcuni giochi hanno un’azione dibase, e su quella costruiscono il gioco. In-famous fa parte di questa categoria.L’unità del combattimento di base, cherichiede al giocatore di affrontare nemiciche attaccano da ogni lato e altezza,viene ripetuta e variata in infinite combi-nazioni e variazioni sul tema. su questabase di “cerca riparo, aggira e attacca”, ilgiocatore declina ogni azione, ognimossa.

In Infamous si è ai comandi del solitosfigato (cole) che, grazie a un incidente,si trova ad avere la capacità di controllarel’elettricità. In termini di videogioco, ciòvuol dire che Infamous è in parte shooter,in parte platform, in parte action. Il pro-gressivo sblocco dei poteri di cole ampli-fica il gioco, arricchendo di varietà ilcampionario base. Più che le similitudinicon altri giochi, qui quello che affiora inmente è il mondo dei comics americani.c’è moltissimo Spider-Man, in Infamous.c’è la stessa eleganza del combattimento,la stessa fisicità. c’è una spettacolaritàche non si vede spesso nei videogiochi,quando si è attorniati di nemici e si fuggeaggrappandosi al volo a un treno in corsa,lasciando però dietro di sé qualche gra-nata elettrica in un tripudio di esplosioni.

Questa spettacolarità è totalmente liberada scene ed eventi preimpostati. In que-sto, Infamous è un gioco sandbox anchepiù di quanto non lo fosse Grand theftAuto IV.

A sucker Puch, poi, va dato soprattuttoun merito: gli autori di sly cooper, infatti,non hanno avuto alcuna paura a fare diInfamous un videogioco, con l’interfacciadi un videogioco e lo spirito di un video-gioco. Mentre sempre di più in questigiochi si tenta di camuffare, di gestirel’evoluzione delle meccaniche di gioco inmaniera trasparente, Infamous non sacri-fica mai il divertimento in favore dellastoria o del realismo della sua ambienta-zione. ed è per questo che spararsi in se-quenza le missioni secondarie, con le lorovariazioni di ciò che si vede nella mis-sione principale, è una gioia da “ultima epoi smetto”. Per lo stesso motivo, andare

in giro a raccogliere i trecento e passaoggetti collezionabili è una sfida che im-pone arrampicate ardite, ricerche metico-lose e, in genere, riesce nel difficilecompito di non essere un riempitivo but-tato a caso.

Al contrario di quanto fosse lecito as-pettarsi, anche la trama di Infamous fa lasua figura. L’intreccio narrativo è interes-sante, mentre i continui colpi di scenasono ben gestiti e controllati. non che sivada molto oltre la trama di un fumetto dibuona (ma non ottima) qualità, ma è ab-bastanza per accendere l’interesse delgiocatore.

stranamente, invece, il comparto in cuiInfamous crolla miseramente è la caratte-rizzazione. non c’è un solo personaggioche sia simpatico o che abbia sfaccetta-ture davvero interessanti. Ancora peggio,la caratterizzazione dei personaggi è del

a cura di Ferruccio Cinquemani

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He’s Electric

ps3

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console ps3 sviluppatore sucker punch produttore scea versione pal provenienza usa

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INFAMOUSLa storia si conclude senza grossicliffhanger. Naturalmente nel mondo deifranchise intiniti è inutile aspettarsi tuttele risposte in una sola volta. SuckerPunch ha comunque trovato il modo diconiugare colpi di scena, credibilità nar-rativa e necessità di un sequel. Fino allafine, però, il tono della storia non riescead essere del tutto azzeccato. Forsetroppo cupo, Infamous è uno di quei titoliche tende a prendersi un po' troppo sulserio

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tutto fuori dal contesto del gioco. In untentativo, forse, di imitare la scaltrezzadella caratterizzazione made in Rockstar, ipersonaggi di Infamous finiscono solo persembrare dei grandi stronzi. cole è un fat-torino col corpo di un veterano dei mari-nes e l’atteggiamento del Batman di TheDark Knight - senza avere le giustifica-zioni e il passato narrativo del cavaliereoscuro. L’amico del protagonista, Zeke,potrebbe vincere tanto il premio comepersonaggio più odioso della storia dei vi-deogiochi, quanto quello come personag-

gio dalle caratteristiche più ambigue. enon in senso positivo. sembrerebbe unoslacker, ma forse è solo un buzzurro. Po-trebbe essere l’amico scaltro sempre im-pegnato a organizzare piccole truffe. oforse è solo uno sfigato. In questo deliriodi personaggi abbozzati e zoppicanti ci sisorbisce pure una fidanzata istabile e concontinui sbalzi d’umore - non che questafosse l’immagine di lei che chi ha creato ilgioco voleva dare, sia chiaro.

A tutto ciò va aggiunta una città che purnon essendo anonima non riesce comun-que ad avere l’impatto e il significato diuna Liberty city, e una realizzazione tec-nica tutt’altro che solida. Graficamente,Infamous fa il suo lavoro, ma resta un fra-merate non eccezionale e dei modelli poli-gonali a volte scarni - indecenti nelle cutscene, a un livello da teatro dei pupi. ne-anche a dirlo, tutto ciò non conta quasi

per nulla. Perché Infamous è uno di queigiochi da bersi avidamente d’un fiato. Ungioco in cui la possibilità da giocare comebuono o come cattivo non ha pratica-mente alcuna importanza dal punto divista etico, ma è un incentivo a rigiocarecon un set di poteri diverso. Infamous èun gioco-gioco che fallisce quando vuolessere un gioco-film, ma che si fa ampia-mente perdonare queste ambizioni con laquantità di divertimento che regala.Buone parti platform, buona esplorazione,ottimi combattimenti, e una coerenza difondo che fa sparire intere ore di gioco,mentre si macinano missioni su missioni.che in Infamous non ci sia il pathos di undramma shakespeariano, o che il tuttonon venga sparato a video a 60fps sonodettagli che possono interessare solo a chinon ama il divertimento.8

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La scelta fra bene e male non cambiagranché della trama. L'impatto maggioresi ha, piuttosto, sul set di poteri disponi-bili. Mentre giocare da eroi sblocca poteribasati sulla precisione, scegliere la mal-vagità comporta poteri distruttivi sularga scala. Consigliabile una prima tor-nata da buoni a normal, e una seconda adifficoltà maggiore da cattivi

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tragedia fu. Per prima cosa si co-mincia sempre dall’eliminare l’im-possibile e stravolgere quanto dibuono c’era; ecco quindi un pre-

quel senza tutte le fasi platform e puzzle chehanno fatto disperare i fan. Per limitazionitecniche il battle system di silmeria non po-teva essere riproposto, quindi hanno cam-biato qualcosa a quello originale: covenant ofthe Plume diventa uno strategico a turni conle fasi d’attacco che mandano il giocatore inuna schermata apposita che ricorda quella diLenneth. Ma andiamo con ordine. Il gioco sisviluppa tramite cut-scene senza doppiaggio,battaglia, cut-scene etc. ogni tanto ci vienedata la possibilità di far scorte in qualchecittà con oggetti di supporto ed equipaggia-menti migliori, anche se le battaglie sono lefonti più redditizie per il ritrovamento di armie armature molto più utili rispetto a quantoin vendita. nei campi di battaglia rappresen-tati isometricamente con una grafica di-screta, dove almeno non si fa fatica adistinguere le unità in campo (che fastidiosa-mente continuano a camminare infinitamentesul posticino che occupano) avremo il fluiredello scontro diviso in fasi alternate tra i no-stri quattro sprite e gli avversari. I perso-naggi ve li posizionerà la cPU ad inizioscontro; fastidioso. Questi non agiscono ri-spettando determinati valori di velocità masarà possibile usarli nell’ordine voluto dalgiocatore, decisione saggia e fondamentaleper sfruttare al massimo il nuovo battle sy-stem. ogni guerriero appartiene ad unaclasse specifica, come spadaccino, lanciere,mago, arciere, samurai con il suo range dimovimento specifico oltre a quello d’attaccoe può usare solo un determinato tipo diarma. Poiché possono mettere a disposizioneda uno a tre colpi con l’aggiunta della capa-cità di sfruttare una tecnica speciale fine dimondo chiamata Soul Crush o Great Magicnel caso dei maghi, le armi in cotP fanno laparte del leone. L’ordine degli attacchi puòessere alterato in un’apposita schermata,così come la magia di base adoperata in faseoffensiva o di combo. Gli sprite, sufficiente-mente animati, nel momento di colpire pos-sono indirizzare gli attacchi anche indiagonale, vera stranezza per uno strategicodove di solito ci si limita ai quattro punti car-dinali.

Attaccando un nemico si verrà trasportatiin una schermata apposita inquadrata dal-l’alto con il proprio guerriero a cui gli avreteprecedentemente assegnato uno dei quattro

tasti di destra; pessima idea, visto che deicontrolli screen-relative avrebbero funzionatodecisamente meglio. nel caso vi fosse più diun alleato nelle vicinanze al momento dell’at-tacco, questi verrà trasportato con voi nellaschermata e potrete iniziare a pestare il ne-mico di turno come un tempo, cioè concate-nando vari colpi col giusto tempismo, daimparare subito alternando un personaggioall’altro. Quattro è ovviamente il numero per-fetto e incasinarvi con i tasti sarà piuttostosemplice, anche se vi viene mostrato nelloschermo superiore a chi corrispondono i pul-santi. A seconda della direzione da cui ini-ziate a menare le mani potrete avere varieffetti aggiuntivi. colpire alle spalle potrebbeintontire l’avversario impedendogli di contrat-taccare ma soprattutto può farvi guadagnaredelle sfere viola in grado di aggiungere attac-chi extra al vostro massimale. sbattere il ne-mico a terra e infierire potrebbe portarvi insaccoccia delle sfere che allungheranno il va-lore dei colpi per la barra della combo. spa-rare i nemici in aria e darci dentro di jugglepotrebbe farvi incamerare dei cristalli,ognuno dei quali aumenterà gli exp ottenuti a

fine scontro del 5%; non essendoci scontricasuali ed essendo le missioni opzionali dav-vero pochissime, ottenere più esperienzapossibile da ogni nemico è un must, come loè anche uccidere l’avversario in un unico as-salto. ogni colpo mandato a segno ha un suovalore in punti che riempie una barra appo-sita fino a toccare i 100; raggiunto questovalore e ammesso che i personaggi equipag-gino un’arma che lo permetta potrete usareuna delle loro tecniche speciali. Anche quil’ordine è fondamentale, poiché ogni supermossa, parzialmente skippabile, ha un valorein punti capace di riportare a 100 la barra edi farvi usare un’altra sc o GM con un perso-naggio diverso creando su schermo un vero eproprio massacro, non fine a se stesso. con-tinuando a bersagliare di colpi un nemicoormai senza più un briciolo di Hp si passa allafase overkill in cui tutti i colpi extra vanno ariempire una barra viola chiamata Sin.

In questo VP non comanderemo una dellevalchirie ma un uomo comune che pocoprima della sua fine stringerà un patto conHel, regina del nifelheim, il mondo dei morti.sacrificando amici e compagni, Wylfred ot-

a cura di Michele “Guren no kishi” zanetti

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DestinybySinnerSought, TragedybyPowerWrought

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console ds sviluppatore tri-ace produttore square-enix versione usa provenienza giappone

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VALKYRIE PROFILE: COVENANT OF THE PLUME

Ogni tecnica, abilità della piumae magia lanciata dal menù con-suma Action Points, che si ricari-cano in automatico di 10 in 10 adogni turno o di 20 in 20 deci-dendo di far sostare sul posto ilproprio pupazzetto. Magie comeSap Guard, Suspend Motion ePrevent Sorcery vi daranno fintroppo aiuto. Ogni magia, tecnicae tattica va prima recuperata oacquistata e poi insegnata a chiritenete più opportuno.

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terrà il potere di combattere ad armi pari l’odiata valchiria. Hel, però, esige anche cheWyl “pecchi” durante ogni scontro. All'inizio diogni battaglia vi sarà una quota di sin da rac-cogliere per farla contenta. Raggiungere il va-lore richiesto porterà semplici ricompense.con un 50% in più avrete dei bonus extra,mentre col 100% (a cui mirare, sempre) neavrete ancora di più, come armi devastanti,accessori, tecniche o tattiche da insegnare aipersonaggi. ecco quindi che ogni nemico di-venta una fonte preziosissima di esperienza esin da sfruttare fino all'osso.

Il gioco per facilitarvi le cose vi offre deibonus alla velocità con cui la barra dellacombo si carica a seconda di come posizionia-te i personaggi prima di attaccare; di fianco,fronte e retro, da tre direzioni diverse o cir-condando completamente il nemico, ogni tipodi “assedio” vi renderà le cose più semplici au-mentando anche la possibilità che gli avversarilascino alla loro morte armi o armature sopraf-fine. Il tutto a discapito della velocità di gioco,a dir poco soporifera.

Fallite nel raggiungere il sin richiesto e nelprossimo scontro potreste trovarvi in difficoltà,

con nemici decisamente più impegnativi delnormale. Per uscire da una situazione dispera-ta, Wyl potrà usare la piuma della valchiriatrovata sul cadavere del padre e poi imbevutadel potere di Hel con cui risvegliare i poteri so-piti di uno dei suoi compagni aumentandone adismisura i parametri rendendo una bazzecolalo scontro con un piccolissimo effetto collate-rale: la morte del poveretto su cui l'aveteusata. ciò però farà imparare a Wyl una tec-nica speciale (ogni compagno ne ha una pecu-liare) da usare in cambio di Action Points.ogni tecnica ottenuta tramite l'uso dellapiuma sarà disponibile da subito nel newGame+.

cotP è un gioco cortissimo per la serie, 15-18 ore alla prima tornata. ciò è dovuto allasua struttura peculiare e ai vari finali disponi-bili. ogni volta che la piuma viene usata ilvostro percorso cambierà, insieme a storia, dialoghi e personaggi incontrati o meno, reclu-tati o no. Usarla troppo potrebbe farvi finire inGame over, non usarla affatto invece vi con-durrà al miglior finale. Fanno tutti schifo, mavederli vi sbloccherà il dungeon opzionale. Ilnew Game+ tiene quasi tutto, a parte i livelli

e i soldi. Il fatto di avere gli equipaggiamentidi fine gioco e una mezza tonnellata di oggettifarà sì che la difficoltà degli altri percorsi escenari sia pari a zero. tutto sommato il giocointrattiene e regala momenti di godimento as-soluto durante le fasi d'attacco ma falliscemiseramente nell'essere il nuovo Valkyrie Pro-file che i fan si attendevano.

ciò che invece stupisce e lascia attoniti inmaniera ben oltre che positiva sono latraduzione e l'adattamento. La storia non de-lude: adulta, complessa, seria, cattiva, bas-tarda, spietata. Uccisioni e tradimenti sonoall'ordine del giorno. Ad una trama piuttostoatipica per un JRPG da una parte e perl'utenza media del nintendo Ds dall'altra vi siaggiunge un'ottima traduzione con un adatta-mento superbo, come quanto visto troppi annifa per Vagrant story. L'inglese usato è piut-tosto ostico e affascinante allo stesso tempo,motivo in più per cui il gioco da noi venderàprobabilmente due copie in croce.6

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VALKYRIE PROFILE: COVENANT OF THE PLUME

Ad abbassarela valutazionedel gioco dimolto abbiamoun'intelligenzaartificiale ne-mica davverostupida e uncomparto so-noro mediocre,realizzato alrisparmio:gracchiante efrusciantecome non mai,Sakuraba pro-pone pochinuovi pezzi ri-ciclando la co-lonna sonoradi Lenneth perun buon 90%.

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itolo, sottotitolo, sotto sottotitolo.La moda del mettere più parolepossibili per definire un pezzo disoftware continua, come se un

nipponico possa pronunciare tutto agil-mente; in compenso, ancora una volta losforzo di pronuncia ripaga l’osservatore diciliegi in fiori anglo avverso (e pure i suoiamichetti occidentali) con un gioco dibuona qualità e dai pochi difetti.

La vicenda di Final Fantasy crystal chro-nicles: echoes of time è più seria rispettoa Ring of Fates, ma non si scorda di semi-nare pizzichi di umorismo sempre ben ac-cetti. Personaggi puccettosi, superdeformed e colorati appartenenti all’imma-ginario di Final Fantasy e crystal chroni-cles fanno il loro ritorno. Questa volta,però, non avremo due protagonisti attivisia nelle cut-scene che nei dialoghi delgioco, ma un personaggio generico creatoad inizio avventura con cui osservare losvolgersi della trama. A seconda dellaclasse scelta farete meglio o peggio certecose durante le fasi d’esplorazione: c’è chiè più orientato verso il corpo a corpo, chiverso la magia, etc. non vi sono compri-mari che si aggiungono obbligatoriamente,bensì è possibile richiedere il supporto dipersonaggi extra alla gilda o reclutare al-cuni pupazzetti speciali compiendo deter-minate azioni. Vista la totale opzionalità diavere dei compagni d’avventura, il giocoha cambiato tipo di struttura impoveren-dola da un lato e arricchendola dall’altro.

L’azione si svolge ancora nella parte su-periore dello schermo, mentre in quella in-feriore vi sono varie informazioniaccessibili tramite touch screen toccandole apposite icone. Il tempo passa anchementre cincischiate con i menu, quindi me-glio stare attenti nel caso siano presentidei nemici nei paraggi. Le magie questavolta ci arrivano in numero infinito, o me-glio, fino all’esaurimento dei punti magiciinvece di semplici unità da spendere e dacollezionare. È ancora possibile lanciarle suse stessi o contro i nemici, agganciandoneanche più di una sull’altra per effetti am-pliati. combinazioni particolari danno vitaa magie non direttamente disponibili nellaschermata del touch screen come Quake,Bio, Ultima. Quelle base hanno anche ef-fetti aggiuntivi, come appiccare il fuoco ad

un nemico o immobilizzarne i movimentitemporaneamente. Più effetti secondarisono cumulabili contemporaneamente; ilboss finale è un mago in questo.

Il gioco è strutturato in una manciata dilocazioni, alcune da rivisitare più di unavolta, composte da varie “stanze” collegatetra loro, contenenti mostri da sterminare epuzzle da risolvere. Abbastanza stupidi efacilmente soggiogabili i primi, mentre gliultimi richiedono un minimo di attenzioneper essere risolti, con alcuni dove la coor-dinazione occhio mano si fa indispensabile.spesso si tratta di premere tasti giganti,spingere oggetti dopo aver liberato loro lastrada, abbassare leve o attivare macchi-nari e piattaforme. Le singole stanze sonopiù contenute rispetto a quelle di Ring ofFates, soprattutto in altezza. niente piùscalate chilometriche e, visto che potetefarvi l’intero gioco da soli, non dovrete

nemmeno assistere alle azioni dei compri-mari gestiti dalla solita Intelligenza Artifi-ciale oscena, che non capisce per nientecosa vi sia tra un punto A e un punto B. Asua discolpa, comunque, è ancora pre-sente la possibilità di pigiare il pulsante Lper tele-trasportare i compagni vicino alprotagonista e il frame rate è stato aggiu-stato parecchio bene.

L’avventura è molto breve, le ormai clas-siche 15 ore per un action JRPG portatile.c’è però un sacco di roba da fare in casodecidiate di scavare a fondo nel gioco,anche nel New Game+. ogni classe guada-gna abilità aggiuntive tramite level-up. siva da colpi speciali che richiedono di es-sere caricati, maggior numero di magie so-vrapponibili e via dicendo. Anche gliequipaggiamenti guadagnano livelli au-mentando le proprie statistiche. Il negoziodell’unica cittadina del gioco ve ne mette a

a cura di Michele “Guren no kishi” zanetti

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Tutto d’un fiato 2

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console ds sviluppatore square-enix produttore square-enix versione usa provenienza giappone

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FINAL FANTASY CRYSTAL CHRONICLES: ECHOES OF TIME

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a disposizione un quantitativo sproposi-tato, tutti diversamente raffigurati sulvostro nanetto in real time. Raggiunti certilivelli è possibile trasformare gli oggetti ingioielli, da incastonare eventualmente sunuove armi più forti con vari effetti, da at-tributi elementali alla capacità di andareoltre il livello massimo consentito perl'oggetto in uso. nelle varie zone di gioco èancora possibile recuperare, dalle cestepiù impegnative da raggiungere, dellericette particolari con cui forgiare oggettirari usando i numerosissimi materiali chenemici e boss si lasciano alle spalle. ognidungeon viene sempre resettato alla suauscita, dandovi quindi la possibilità di cer-care i materiali che vi servono fino ad unesaurimento nervoso. Da qualche partesono anche nascosti tutti i boss di Ring ofFates da prendere a mazzate.

echoes of time si fa apprezzare moltodal lato squisitamente tecnico con un com-parto grafico delizioso a lustrare gli occhi-etti di chi ha cacciato fuori i verdoninecessari e un buon comparto audio. Ilmotore grafico è quello di Ring of Fates,ma ad un anno di distanza risulta ancoracompetitivo e per certi aspetti impressio-nante. Le locazioni sono sufficientementevarie e coprono le solite classiche ambien-tazioni (come la città più grande del regno,il livello a tema forestale, quello vulcanico,con la neve, gli acquedotti, la miniera, lerovine, etc.) e la messa in atto del tutto èsempre convincente. Il doppiaggio è piùche discreto, ma se ne poteva tranquilla-mente fare a meno vista l'esigua presenzadi linee doppiate solo nelle cut-scene real-izzate in una computer grafica non proprioesaltante.

La compositrice tanioka Kumi torna a di-mostraci la sua bravura. Da alcuni lavorisui giochi dei chokobo a questa parte,passando per le lande di Final Fantasy XI eper i live degli star onions, approdando aProject silpheed e alle partiture dell’origi-nale crystal chronicles per Game cube eal precedente Ring of Fates, tanioka sitrova di nuovo a suo agio con le limitazionidel chip sonoro del nintendo Ds. Perti-nente alle atmosfere e alle situazioni dellamini avventura, la colonna sonora è ulteri-ormente graziata da una qualità audio in-solitamente buona, ancora grazie al sounddesigner Yamanaka Yasuhiro.

In generale il nuovo crystal chroniclesper Ds è un buon prodotto, ma sipotrebbe fare ancora di più in un even-tuale seguito.8

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FINAL FANTASY CRYSTAL CHRONICLES: ECHOES OF TIMELa connettività con il Nintendo Wii per gio-care con utenti di entrambe le versioni delgioco pare non essere delle migliori; ba-stano pochi clic di mouse per leggerne inrete di cotte e di crude. Fortuna che mi sonoevitato lo strazio

I numerosi Moogle che vi sottopone-vano ad ogni genere di tutorial inRing of Fates (o approfittavano dellavostra situazione per estorcervi de-naro in cambio di utile mercanzia)sono spariti. Gli unici rimasti vi per-metteranno di grattare i simboli sualcune carte speciali che vi conferi-ranno abilità extra temporanee op-pure gestiranno la quantità enormedi missioni secondarie a cui sotto-porvi da soli o con gli amici. Un po'troppo relegati in secondo piano aquesto giro, kupò

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rima di nascere, proprio non vo-levo nascere. I miei imperterritigenitori hanno dovuto arricciarsiper anni nel tentativo di costruire

l’uomo perfetto. Quando erano pronti a ras-segnarsi, però, arrivai io vestito da sor-presa. Mio madre mi voleva ingegnere, l’hodelusa. Mio padre mi voleva ingegnere esessualmente attivo, soprattutto sessual-mente attivo, l’ho deluso parecchio. Mia so-rella ha rischiato di uccidermi tre volteprima del mio ottavo compleanno, ti ho de-luso assassina del cazzo. Le grandi sor-prese, insomma, non sono obbligate adaccontentare tutti.

Bound in Blood, seguito di un bellissimogioco che mi aveva annoiato durante il tuto-rial della demo, non solo mi ha piacevol-mente sorpreso, ma si è lavorato la miavirilità con mani delicate e lingua vorticosa.eppure Juarello 2 non è un grande gioco,non ludicamente parlando. La sua strutturadi base è un incrocio tra un call of Duty, unbrutto clone di call of Duty e un call of Dutycon più tempi morti. sviscerato della suapelle e ridotto all’osso, Bound in Blood èuna colonna poco armoniosa di obiettivi,sparatorie, duelli e giochi delle tre palle conpistole. Unto dalle manate invasive di iconetroppo grandi e appariscenti, da meccanichetroppo guidate e una discreta linearità, loscheletro del titolo techland è poco più diun riuscito appuntamento al buio: non saicosa ti aspetta, ma a volte la fame è tanta eti accontenti. Di idee e lampi di genio nonc’è traccia, giusto il gusto di abituarsi ad uncoraggioso sistema di ripari, ma è a questopunto che finiscono i difetti.

tre minigiochi tre (spara veloce spara Gi-gietto, duelli faccia a faccia e la porta ma-

gica), ripetuti per tutta l’avventura, dettanoun ritmo anomalo e invitante. Una sparato-ria non segue la precedente per aspettare lasuccessiva, ma vive il suo momento di glo-ria e si lascia sprofondare nella quiete. Ilpathos non si fa più grande con il passaredelle ore, la tensione non è un grafico in at-tivo, tuoni e fulmini bestemmiano luci e ru-mori nella più serena giornata di luglio. Iltempo a volte muore, il giocatore prendefiato, Bound in Blood non è una maratonaper far felice Linus di Radio Deejay. c’è unmomento per la pace e uno per comprareun magnum bianco, un tempo per esserepecora e uno per sentirsi indolenziti. ed ènel secondo capitolo, quando gli schemi delfirst person shooter bellico vengono frantu-mati, che capisco di cosa sto parlando. Men-tre vado a casa e tutto intorno c’è morte edistruzione, mentre a piedi percorro un tra-gitto interminabile e null’affatto giocoso,mentre mi perdo nel grano per non esserevisto dai miei nemici. All’improvviso, senzaprecauzioni, mi ritrovo a godere degli spo-stamenti oltre che dell’azione. campagneintere di poligoni senza uno scopo nella vita,così desolanti, così sprecate, così reali.

Ma c’è un motivo a spiegare la mia ammi-razione per una camminata. A legare gli at-tacchi coraggiosi e le scorrazzate su cavallo,infatti, c’è una storia che merita il fuoche-rello di nonna papera. toni adulti, buoni dia-loghi, incesti, amore, fratelli, razzismo,religione, tutto insieme a bassa tempera-tura. senza puntare mai un riflettore, senzagridare per farsi notare, una trama corag-giosa e ben riuscita che ha pochi precedentinella mia memoria. che ha pochi precedentie basta. È quello che il gioco dice in ognimomento a farsi protagonista, non più lo

spensierato divertimento che rappresenta.tanta basta per giustificare le attese, i tantifilmati e interi minuti di solo spettacolo.tanto basta perché la regia è finalmenteprofessionale, la grafica abbagliante e ilpaesaggio una cartolina, ovunque. tantobasta perché è quello che so farmi bastare,ai giocatori duri e puri mancherà parecchioossigeno.8

Se non avetecapito il titolodella recen-sione, nonsiete abba-stanza ma-schi da avervisto NottingHill, comme-dia sorrisi ebacetti conHugh Grant eJulia Roberts

a cura di Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa

Cavalli senza segugi

360 ps3 pc

piattaforma 360 ps3 pc sviluppatore techland produttore ubisoft versione pal provenienza polonia

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CALL OF JUAREZ: BOUND IN BLOOD

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o la vedo. Ad occhichiusi immagino unariunione con le piùgrandi menti delmondo, tutti uniti per

uno scopo più grande di loro. se-duti su accoglienti poltrone inpelle e bullandosi dei loro grassisalari, devono trovare il modo mi-gliore per rendere Alex Mercer, ilprotagonista di Prototype, un per-sonaggio con i cazzi al contrario.Qualcuno suggerisce scarpe colo-rate e un gonnellino scozzese,qualcuno un termosifone sullespalle e un berretto di Paperopoli,vince a mani basse una maglietta“cattiva” e un cappuccio contro lacervicale. si poteva fare di me-glio, ma così non prende freddo.

Dopo cinque minuti nella newYork appena masticata da unvirus sfuggito al controllo, si hanelle mani tutto il piacere di unpotere sterminato. Alex, nellasola prima sequenza di gioco, ac-cumula reati e anni di galera conelegante facilità e impressionanterapidità. Prototype sorprende, aquattrocento metri dal punto dipartenza, perché si mostraenorme, indomabile, infinito, deltutto inafferrabile. Poi si torna in-dietro nel tempo, qualche cano-nico giorno di flashback, e il giococomincia davvero. non che Alexne esca del tutto impoverito. Isuoi movimenti sono ancora ag-graziati e rapidi, ma gli extradovrà comprarseli a suon di cre-diti, faticosamente guadagnati sulcampo aggiungo.

nelle intenzioni delle cartellestampa, Prototype è due giochi inuno. suona bene in tempo dicrisi. Il primo è un’arma di distru-zione di massa, con meno Iraq epiù arma di distruzione di massa,ne parleremo dopo. Il secondo èuna versione semplificata di MetalGear solid, con meno stealth epiù guardie imbecilli, meglio nonparlarne forse. Quando si limita afare lo spaccone, Alex è in gradodi tenere quantomeno botta.sotto la spinta di una musica tra-

scinante, un ritmo tra la velo-cità della luce e la campanelladell’ultima ora, si segue l’ondadi missioni senza limiti ditempo. Il protagonista si lanciasui tetti, poi vola fino all’altrocapo della città, si lancia sull’o-biettivo, gli tira un calcio, unpugno e lo sputa, monta su uncarro, spara ad un altro carro,esplode in aria, mangia un calippoal limone, si tira sulle spalle unamacchina e la tira contro un eli-cottero, solo allora si decide a co-minciare la missione vera epropria. Alex, porello, fa tuttoquesto con una manciata di ca-gnacci rognosi che gli girano in-torno e provano a spettinarlo. Ilprotagonista, insomma, vive distress e fiamme sulla faccia, sem-pre e comunque, in missione enon. La manfrina funziona alprimo giro di orologio, annoia unpochetto al secondo, è pura im-mondizia al terzo.

Dopo il galvanizzante inizio, nonsi può fare a meno di constatarela degradante palette di colori, leterrificanti texture dei palazzi e lagenerale monotonia architettonicadella Manhattan zombificata. nonsi può non ignorare il bilancia-mento inesistente del titolo, riem-pito sì in ogni dove di passantimasticabili, ma incapace di offrireuna sfida bilanciata e progressiva.non stufo di distruggere l’impen-sabile, Prototype mette sul piattoanche un gruppo di missioni se-condarie con rare variabili dellasinfonia. La trama scontata, giàvista, raffazzonata e pretestuosa,non può certo aiutare il lavoro diRadical entertainment ad entrarenella storia. Prototype è un giocodi serie B, e questo nonostante ilbudget tutt’altro che limitato.Avrà la sua schiera di irriducibilisuffragette grazie ai controlli fun-zionali e al divertimento imme-diato, ma tra il niente e questonon ci passa l’infinito.5

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Nelle mis-sioni alchiuso, unaminimaparte dell’in-tero gioco, iltutto si fapiù compli-cato e stra-tegico.Piccolo èmeglio, sem-pre detto io

a cura di Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa

Tanto di cappuccio

360 ps3 pc

piattaforma 360 ps3 pc sviluppatore radical entertainment. produttore activision versione pal provenienza canada

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PROTOTYPE

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a boxe è uno sport da uomini eio uomo. Dopo Fight nightRound 3, primo titolo a solcareun abisso tra sé e la genera-

zione precedente, si smise di parlare digenerazione due punto cinquanta. Perchéil terzo round era bello da vedere primaancora di essere un buon titolo. Questoseguito, atteso dalle folle come un nuovoalbum di Gary Barlow, mette qualchepezza alle falle del suo progenitore. Da ri-vedere non c’era moltissimo: una serie dianimazioni discutibili, una carriera troppobreve e una curva della difficoltà mal pro-gettata. Dopo una carriera di diciassetteanni e un pugile in pensione, posso direche tutto ha braghe migliori, ma chenulla è stato completamente risolto.

Apre le danze una modalità in singolopiena di fantasia ed opzioni, solo tutteinutili. Gli allenamenti sono aumentati,sono più difficili e più vari e grazie al cieloson completi della possibilità di non gio-carli. Il pugile si allena da solo, tu prendimezzo bottino e ti risparmi la sceneggiatadel sacco e del pungiball. In un’unicaschermata vengono mostrate le cinquan-tasei classifiche di cui tener conto, menoquattro col riporto di due. La scalata alsuccesso è fatta di matematica prima an-cora che di cazzotti, percentuali al postodi guantoni. Dopo l’imbarazzo iniziale, co-munque, si capisce che niente ha tropposenso e la vita torna serena. Alla finedella fiera rimane una data da scegliere eun match da combattere, il tutto moltipli-cato per n volte. Le curve restano alposto giusto fino a un soffio dal tra-guardo, poi sbagliano strada e trasfor-mano lo spettacolo in una farsa.Raggiunti i più alti livelli, dopo tante oredi mascolino divertimento, il pugile am-maestrato diventa un tritacarne. Il mio,per la sua specialità, lo chiamavano L’ot-tico.

Il secondo ballo se lo fanno le anima-zioni, quelle sì corrette e migliorate. Leconvulsioni epilettiche sono state sosti-tuite con modi di cadere più naturali e lecorde son state finalmente prese in con-siderazione dai programmatori. Anche sulring, prima ancora di finire al tappeto,quei tubi colorati son diventati parte delgioco e non fronzoli d’arredamento. Restaqualche discutibile attimo di immobilità,ma le brusche frenate del passato sonosolo brutti ricordi. Aggiungo, e poi con-cludo, che rialzarsi da terra è adesso un

gioco d’equilibrio, un gioco difficile pure.Laddove gli avversari possono mostrarsialla battaglia dopo cinque o sei musate,al giocatore parrà un’impresa farlo la se-conda volta. scorretto, se vogliamo.Portata a casa la pagnotta, vi dico per-

ché io questo gioco me lo sposo. Vispiego il perché di 91 - e dico 91 - incon-tri di pugilato che non mi hanno tolto lavoglia di parare. e lo faccio mentre ri-cordo dieci round di sangue e sudore cul-minati con un verdetto controverso. Lofaccio mentre vi racconto di un’azionelenta e ragionata, di una tattica pianifi-cata ma imprevedibile. Vi disegno un paiodi diritti, un gancio destro, una finta dicorpo e un montante ben piazzato. È lìche l’avversario sbarella, intontito, l’audiosi immobilizza come dopo una granata eio attacco famelico. colpisco tre volte conil gancio destro, poi una con il sinistro, luimi abbraccia per guadagnare attimi di re-spiro. Lo spingo via, senza pietà, conti-nuo a lavorarmelo sui fianchi finché nontorna il silenzio. ora sa di essere spac-ciato, raccoglie le forze e sferra il suocolpo migliore. Lo schivo, colpisco, botto.È il primo round di un insignificantematch di mezza carriera, ma ho distruttoil mio avversario e ho troppo i pugni nellemani per non esserne fiero.

Fight night Round 4 parla con il ring, con lesue storie tra le corde, non con i suoi menu econ i suoi extra. senza compromessi, solo perchi lo vuole. 8

Uccideteil miomana-ger. Ho57 mes-saggituttiugualinella miacasella elui nonsmettedi man-darli. Ache pro?

a cura di Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa

Fino a diventar dispari

360 ps3

piattaforma 360 ps3 sviluppatore ea canada produttore ea sport versione usa provenienza canada

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FIGHT NIGHT ROUND 4

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orrei avere una bacchetta,proprio ora, per risistemarelo scempio di pavimentomontato nel mio nuovo sa-

lone. Vorrei avere una bacchetta pergli affamati e per i parcheggiatoriabusivi, magari usandola con fantasiaa seconda dei casi. Vorrei avere altri6000 caratteri per deliziarvi ancoracon macabro umorismo, ma è l’una etrenta di notte, mi girano i coglioni, eAntò… compra un condizionatore, fi-glio bello.

Le premesse non erano delle mi-gliori. con la Fenice, ahimè, il piccolomaghetto con strani gusti sessualinon se l’era cavata troppo bene. A bi-lanciare una grafica di buon livello el’ottima ricostruzione di Hogwarts, in-fatti, c’era un gioco noioso e rara-mente divertente. tra i piùmemorabili difetti vanno ricordati glispostamenti troppo lunghi, i combat-timenti troppo confusionari, il dop-piaggio scadente e missioni principalida pad giallo. Il mezzosangue, daparte sua, rappezza dove può, lasciascorrere l’acqua tra i buchi più piccolie pianifica con attenzione qualchesana ora di buon ritmo e buone idee.

Per gli spostamenti troppo lunghi enoiosi, abracadabra, si è materializ-zato un fantasma senza testa chesbriga tutto il lavoro. Una chiamataall’89.24.24 e in un baleno ci si ri-trova a destinazione senza smarri-menti e notti insonni sulla mappa. Icombattimenti sono stati alleggeritidalla semplificazione massiccia deicomandi: poco muovere, poco sba-gliare. In cinque comandi basilari sicataloga l’intero arsenale di Potter,più un reparo per sbrigarsela nellefaccende domestiche. L’intera storiaprincipale, infine, è stata divisa inaltri due compitini sfiziosi e simpatici.La creazione delle pozioni, in assolutoil meglio di questo gioco, è la cucinache suor Germana non vorrebbe maivedere. Il giocatore sceglie gli ingre-dienti, dosa le quantità, scalda il fuo-cherello, mescola con cura e continuaa farlo fino ad obiettivo riuscito. Il se-

condo minigioco è il quidditch. Il gio-catore punta il remote verso il centrodegli anelli luminosi e… e basta. Il so-lito doppiaggio alla buona è ancorauna palla al piede e la trama restaoscura e inviolabile per chiunque nonabbia avuto la voglia e la dedizione dileggersi il libro o di correre al cinema.sembra poco, ma è davvero poco.

Dopo un inizio tutto caviale echampagne, Harry Potter e il PrincipeMezzosangue mette in folle e resta alsuo posto. La prima mezz’ora spa-venta con idee convincenti e ritmoprelibato, ma è in quella mezz’ora chesi mostra l’apice dell’intera avventura.Le tre brillanti possibilità ludiche diinizio ripresa restano tre quando cene sarebbero volute almeno altresette per avvicinarsi ad un grandepennello. Il gioco si impegna, è intel-ligente, ma signora lo iscriva a mura-tura comparata.

sono sempre i migliori quelli a nonraggiungere mai sullo scaffale. Letamponature messe in atto da eA Bri-ght Light, però, hanno prodotto undisco con indiscusse qualità. L’azzera-mento totale dei tempi morti e la ve-locità con la quale tutto accade (afavorire, però, una longevità sottoprotezione testimoni) lascia tracce diun gioco divertente nella sua sempli-cità, adeguato per i suoi obiettivi.Laddove nella Fenice si veniva in-ghiottiti dalla noia dei corridoi dellascuola, nel Mezzosangue ci si lancia asesta inserita verso un finale da ma-nuale.

La bacchetta non ce l’ho, mannag-gia, ma la coppietta di controller Wiifa bene il suo mestiere e, soprattuttoa pozioni, ci si muove con innaturaledestrezza. A morte la telecameramade in anni novanta, a morte i col-lezionabili sparsi in ogni angolo dellemie budella, l’ultimo Harry Potter po-trebbe far felice anche quei pochinerd che non sporcano le proprie len-zuola con la piccola Hermione.6

025

a cura di Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa

Mezzo, tutto mezzo

wii

piattaforma wii sviluppatore ea bright light. produttore ea games versione pal provenienza uk

V

HARRY POTTER E IL PRINCIPE MEZZOSANGUE

Il gioco è uscito anche per tutte le altrepiattaforme esistenti sul mercato. L’uni-cità di questa versione, però, ci ha fattodesistere da una recensione unica pertutte le piattaforme

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on ricordo di aver visto i duefilm degli acchiappafantasmi,magari il primo. Gli anni ot-tanta sono stati per me anni di

studio e di profonda introspezione psico-logica. Poi sono arrivate le pippe e sapetecom’è andata a finire. con la serietà pro-fessionale che mi compete, però, sonoandato su Wikipedia a leggermi le tramedei suddetti film, tutto questo per accer-tarmi che il videogioco vive di sceneggia-tura propria. L’influenza è ostentata el’ironia è la stessa (de gusti bus), ci man-cherebbe, ma la trama reggerebbe in pal-coscenico anche senza pad e poligoni. Di certo non sono le idee di questo Gho-

stbusters ad accontentare le branchie af-famate degli appassionati della saga. Ilgioco si è guardato parecchio intornoprima di mostrarsi alla folla e il risultato èun puzzle riconoscibile di meccaniche col-laudate altrove. c’è puzza di Luigi’s Man-sion tra le strade e i palazzi, pizzichi diHalf-Life 2 e della sua gravity gun, per-sino una costola di Metroid e dei suoi fuo-chi colorati. nulla che riescaqualitativamente a superare la fonte d’i-spirazione, sia chiaro, ma la brodaglia ècalda al punto giusto. Il tutto è imbava-gliato in una stradina stretta stretta,senza vie d’uscita, che in sette livelli con-giunge il punto A al punto B. La linearità,come diceva spesso il tram a sua moglie,non sempre è sinonimo di disastro.

eserciti di fantasmi inferociti tengono abada il giocatore con efficiente puntua-lità, gli mordono il culo da ogni angolo edirezione e lo costringono all’ordine eall’organizzazione. Lasciarsi andare algradevole riflesso del flusso sparacchinoè spesso sconsigliato, meglio affrontare ipropri nemici seguendo uno schema pre-fissato. chiudere le pozze impedisce il re-spawn dei piccoletti, intrappolare ifantasmi dimezza le difficoltà e sceglierel’arma giusta fa guadagnare secondi pre-ziosi. La difficoltà leggermente sopra lanorma è, però, da giustificare più chegiustificata. Palesemente pensato per unaco-op a quattro giocatori, il gioco si in-carta sull’I.A. dei compagni artificiali. La-sciarli a terra è troppo rischioso, utilicome sono per salvare il protagonista indifficoltà, ma lo sforzo di raccoglierli èspesso ripetitivo, ridicolo, e fastidioso. Lepiccole e inutili testoline digitali cadono alsuolo come foglie d’autunno - Ungaretti èarrivato prima delle pippe - e al giocatore

non resta che accollarsi l’ingrato ruolo diinfermierina da campo. se la co-op aquattro ci fosse veramente, comunque, losforzo di perdonare potrebbe esserepreso in considerazione, ma resta inveceuna possibilità limitata a missioni extracampagna.

Ghostbusters ha il grosso pregio, so-prattutto di questi tempi, di non piacersitroppo e di non attirarsi addosso l’ira fu-nesta dei criticatori di mestiere. L’aspettosuper deformed, per esempio, tappa gliocchi del cronista e lascia sottopolvereuna grafica quasi mai all’altezza, strana-mente arricchita con effetti speciali di di-screta fattura e pugnalata con animazionida fedina penale. Ancor più a sorpresa ilgioco riesce ad alternare qualche mo-mento di tensione ad un generalmentecaciarone gioco di spari, fantasmi e ironiada quattro soldi. eppure giudicare ungioco come Ghostbusters non è lo stessoche farlo con un titolo qualsiasi. Quelloche senza costume sarebbe un sempli-ciotto con cui passare piacevolmente iltempo, assume dignità quando il suocompito è di far rivivere i ricordi.

Il sempliciotto resta tale, nessun fiore èdavvero peggio del letame, ma il sogno dilanciare una scatoletta per intrappolarciun fantasma è diventato realtà. 7

La versioneXbox 360avrà una ri-soluzionemaggiore diquella Play-Station 3.Interrogatisul perché ditali diffe-renze, i pro-grammatori,facendochiarezza,hanno cosìrisposto:“Perché sì”

a cura di Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa

Ammazza li fantasmi

360 ps3 pc

piattaforma 360 ps3 pc sviluppatore terminal reality produttore atari versione usa provenienza usa

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GHOSTBUSTER THE VIDEOGAME

rEviEw

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ega Rally è l’Inizio e la Fine, l’Alfae l’omega, Franco e ciccio. Rapp-resenta uno dei momenti più altidella produzione della casa del

porcospino blu e contemporaneamente ilpunto di svolta di un declino segaro oramaievidente. La versione 2006 rappresenta lafine del predominio tecnologico Giapponesesull’occidente, la perdita della capacità distupire, il canto di un cigno acciaccato eoramai irriconoscibile.

Il fatto che questo debacle avvenga nonper mano di una misconosciuta softwarehouse a cui rifilare un brand famoso(Genki, sumo, Planet Moon studios, tanta-lus Interactive, Jc entertainment, timeWarner, etc.), ma da AM3 stessa, uno deiteam interni più importanti nonché fautricedell’originale, è sintomatico. La coscienzache Hisao oguchi (presidente sega corp.prima e dopo l’acquisizione di sammy) fu ilvice-presidente di AM3 e quindi indirettofautore sia del sega Rally originale che dicodesto titolo, fa riflettere. tutto ciò non èstrano, è sega da anni a questa parte. D'al-tronde, se un gioco previsto per il mercatoarcade nel 2004 prima scompare, poi siripresenta in forma casalinga in uscita nel2005 ed infine slitta ulteriormente nel2006, qualcosa dovrà pure significare.

nonostante i commenti pesantementenegativi su sega Rally 2006 in giro per larete si sprechino, Babel lo riscopre collo-cando tra gli Underrated. Perché sebbeneuna revisione storica del titolo sia da con-siderarsi impensabile, ci si può almeno in-terrogare sul forse eccessivo accanimentodella comunità, soprattutto quella segara.

comunità che assistette impotente all’us-cita di una sequela di titoli mediocri,quando non schifezze: Altered Beast, Gun-grave, Virtua Quest, Kunoichi, spikeout(etc.) sono giochini, e lì in mezzo sR 2006sembrava una delle tante porcherie. Forseanche per questo, sega Rally 2006 si af-fronta nel peggiore dei modi, con in mentel’inarrivabile originale su Model2 e il criti-cato ma sempre ottimo seguito su Model3,e nel cuore la magnificenza tecnica con cuisega ci aveva abituato all’epoca arcade eDreamcast. si avverte fin da subito qual-cosa di diverso, la sensazione è quella cheabbiano cercato di ammodernare l’interoimpianto, offrendo maggiori modalità e un

nuovo sistema di controllo per venire incon-tro alle nuove esigenze di mercato, che nelfrattempo è cambiato e a cui le partite da 5minuti e poi Game over (Yeah!) non piac-ciono quasi più.

Il sistema di controllo è a metà strada tral’arcade e il simulativo, niente danni e ac-celeratore sempre a tavoletta, ma vetturepiù pesanti e derapate meno controllabili.Questo sistema di controllo si riflette anchenei tracciati, generalmente più strettirispetto ai predecessori e più simili a quelliin colin McRae. L’idea in se non è male, lanuova impostazione di guida è lontanadall’eterna derapata dei predecessori, checomunque potevano permettersi carreg-giate da Autostrada del sole (per gli stan-dard rallystici, of course), se non fosse peril fatto che il bilanciamento controllo/car-reggiata non sempre funziona e la vetturatende un po’ troppo a rimbalzare come unapallina da flipper.

Dove sega Rally 2006 pecca decisamenteè nel comparto grafico, i tracciati sono gen-eralmente abbastanza spogli e le vetturepeccano in quantità di poligoni. Per alcuni“solo” un problema, per altri un’onta. Fun-zionano invece le varie modalità inserite nelgioco, non fosse che per il fatto che sono lesolite oramai inserite in ogni produzione.

Lungi da me rivalutare sega Rally 2006,eppure può la mancanza del classico cielo“blu sega”, colori meno accesi e un trackdesign con qualche palma in meno aver in-dispettito in tal modo i sega-fan? In fondo ilsistema di controllo è diverso, ma decisa-mente funzionale. La guida tende al rim-balzo, ma è così anche sul Revo,

nonostante disponga di tracciati ben piùlarghi. e le modalità di gioco sono persinodi più. Viene da pensare che su sR2006,più che i difetti del titolo, abbia pesato tuttoil background all’epoca dell’uscita, un segaRally che non sembra un sega Rally non èper questo automaticamente un bruttosega Rally.

se potete, magari tra un Dirt, Fuel, Grid,shift o qualunque altra sigla, io un’occhiatanel cestone Playstation 2 ce la darei, almassimo potete sempre divertirvi con laversione originale del 1995, allegata algioco.

Sega non esiste più. Ma i segari esistonoancora?

SEGA RALLY 2006

a cura di Gianluca “UnNamed” Girelli

undErrAtEd

Non ci sono più i segari di una volta

ps2

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console ps2 sviluppatore sega am3 produttore sega versione pal provenienza usa anno 2006

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Parlare di caster nella stessa rubrica dove ho scritto diBlueberry Garden può sembrare paradossale: tanto il sec-ondo è bello per la ricercatezza di una poesia minimale inogni singolo elemento che lo compone, tanto il primo èbello perché supera ogni eccesso e si propone come merocaos. caster inizia come un normale sparatutto, piuttostobruttino a dirla tutta, ma ben presto si trasforma, magnifi-cando il concetto di potenza e trasformando i livelli inscatole di plastilina a disposizione del giocatore. ci sonodei livelli da superare, dei mostri da uccidere e dei poterida ottenere. sono proprio questi ultimi a farsi propulsoridell'esperienza di gioco.

Prendiamo il potere verde, che permette di fare deibuchi nel terreno. Al primo livello crea dei piccoli fossi incui è piuttosto difficile far cadere i nemici; potenziandolole sfere di energia lanciate dal protagonista riescono acreare buchi sempre più grandi, fino al quinto livello chepermette di realizzare delle immense voragini. Lo stessodiscorso vale per il potere grigio, che passa dal crearedelle piccole increspature a delle vere e proprie montagne.Mi spingerei a chiamarla una poetica dell'eccesso, in cui ilconcetto di equilibrio di gioco diventa rarefatto e inconsis-tente e la gradualità viene abbattuta a favore della disar-monicità. caster è facile, anche al massimo livello didifficoltà, ma importa poco in realtà.

Giocando diventa chiaro che il divertimento non statanto nell'ammazzare i mostri, quanto nell’attraversaretutto un livello con un salto o correre così veloci da ri-manere a galla sulla lava incandescente. A volte è diver-tente starsene a perdere tempo, ben oltre ilcompletamento degli obiettivi canonici, tanto per vederefin dove ci si può spingere. È il concetto di limite a esseremesso in crisi per tutto il gioco, con scontri combattuti asuper velocità, usando dei super attacchi e con lo scenarioche sembra presente soltanto per essere alterato o vapor-izzato.

non esistono montagne abbastanza alte o abissi troppoprofondi. caster fa sentire onnipotenti come nessun altrovideogioco e, pur se graficamente molto rozzo, coinvolge ilgiocatore quasi intimamente, superando i confini dellospettacolare e toccando il sublime anarchico, ovvero laperdita del senso di ogni regola che caratterizza un buondesign. Gli schemi di attacco dei nemici e le difficoltà de-rivate dalla morfologia dei livelli diventano ben presto in-differenti. Il bello di caster è che si può saltare fino adoltre il cielo e cadere a terra non subendo alcun danno,creando delle onde d'urto che deformano lo scenario. cosasi più chiedere di più? c

aste

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alla scoperta delle ‘indie’

1493 a cura di Simone “Karat45” Tagliaferri

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il mondo dei videogiochi è attraversato da una sinceraapatia da cui non si riesce a trovare via di fuga. è unrapporto difficile con il creato a dettare regole ferree diconvivenza sullo schermo, ma gli obblighi creano indif-ferenza e anestetizzano la volontà, già predisposta al-l’accettazione della repressione. Ogni progetto è unfuoco che viene spento e portato verso la normaliz-zazione, i falò diventano fuocherelli che rischiano dispegnersi con la prima pioggia. Se conto i sequel che hoacquistato quest’anno mi vengono i brividi (sia per illoro numero, sia perché li ho acquistati senza battereciglio). i videogiocatori sembrano coinvolti in un giocodi ripetizioni continue che non accennano a spezzarsi. ilmodello di business dominante ha trasformato una pos-sibilità in sistema, rendendo di fatto nulla ogni forma diresistenza. i mondi possibili si sono ridotti per inerzia eil fascino della ricerca è stato fagocitato dai centri com-merciali. Rimbalziamo sulla superficie di qualcosa dicomprensibile, mostruoso, ma per questo ineluttabile.Rassegnati cerchiamo di dare un senso al vecchio,mascherandolo da nuovo. Siamo diventati maestri a gi-rarci dall’altra parte, come se il dispettoso Prometeo ciavesse fatto l’ennesimo dono. Non ci resta che ragionaredi tanto nulla, cercando di riempirlo con le parole e fru-gando altrove, prima che anche gli altrove vengano con-sumati e riempiti dal nulla da cui fuggiamo (mafuggiamo veramente?Oppure, in fondo, ci piaceessere quello che siamodiventati perché era loscopo della ribellione sindall’inizio? Ovvero nonc’era nessun desiderio didiversità, ma soltanto lavoglia di entrare nellanormalità passando daun’altra porta?).

Cosa resta da scoprire?

Caster è provabile e acquistabile andando sul sito uffi-ciale: http://www.elecorn.com/caster3d/

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Blueberry Garden va a caccia del tempo dellabellezza, accompagnandolo con una colonna sonorache penetra la trama ludica diventandone strumento.La filosofia di fondo è quella dei giardini orientali,delicata e dedicata alla poesia della composizionestessa, mai eccessiva o leziosa nella sua essenzabonsai. Il problema è un rubinetto aperto che vachiuso perché rischia di allagare il giardino. Il pro-tagonista, una specie di uomo uccello dal beccoarancione e con un cappello nero in testa, plana manon vola e non sa come riuscire ad arrivare a chiud-ere l'acqua. Andando in giro per il giardino si trovanodegli oggetti giganteschi gettati a terra. Avvicinan-dosi e rimanendo fermi è possibile raccoglierli eimpilarli automaticamente su una piattaforma subitosopra il punto d'inizio del gioco. Lo scopo è quello diimpilarne il più possibile, così da creare una torre(che viola tutte le regole della fisica e della gravità)per poter spiccare un balzo e planare fino al rubi-netto, per poi impilare qualche altro oggetto esaltare fino alla Luna, su cui si trova la porta chesegna la fine del gioco.

I soliti videogiocatori d'acqua dolce hanno criticatoBlueberry Garden affermando che in fondo si trattapiù di una demo e che sarebbe stato meglio ci fos-sero stati altri livelli da giocare, nonostante il prezzomolto basso a cui viene venduto. Qualcuno si èchiesto se, allungandolo troppo, non si sarebbe ot-tenuto un effetto completamente opposto a quellovoluto. Parlo di impressione di gioco falsata, di tradi-mento dell'idea di fondo. Blueberry Garden è per-fetto così com'è perché non ha niente fuori posto. Ilgameplay è pura meraviglia, se ci si lasciatrasportare dall'empatia per il personaggio e lo si va-luta seguendo criteri estetici e non da accumulatoridi feature con problemi di eiaculazione precoce.

È bello perché nella sua minutezza è assoluta-mente compiuto. È bello perché bisogna chiudere unsingolo rubinetto e arrivare su una sola Luna. È belloperché insegna che il sublime può trovarsi nelle coseminute, quelle che fanno meno rumore e che scor-rono sullo schermo con timidezza e poesia. ogni sin-golo filo d'erba mosso dal vento, ogni strano animaleche vaga per lo schermo mangiando frutti dalle di-verse fogge e colori, sembra parte di un unicoquadro pregno di malinconia e distacco, un mondo disogno che mette da parte ogni pretesa di realismo esi chiama fuori dalla competizione tecnologica, rius-cendo a trasmettere sentimenti profondi senza affi-darsi a trame complesse o ad artifici drammaticirubati ad altri media.

Post I.t. shooter è uno sparatutto visiva-mente eccezionale, ma semplicissimo nelconcept, in cui bisogna distruggere una lungafila di boss che diventano progressivamentesempre più forti. Prendete un gioco per Atari2600 e sostituite un post-it colorato a ognipixel visibile sullo schermo. Agitate il tuttocon un brano acido di sottofondo e avrete untitolo anarchico fino al midollo che fa suoquello spirito delle origini dei videogiochiquando, nonostante i limiti tecnici, si speri-mentava a più non posso anche correndo ilrischio di creare immonde schifezze. Post-itva guardato, più che raccontato, è un con-cept game che stupisce per l'originalità dellarappresentazione e per la capacità di pren-dere un oggetto quotidiano e farne il cardinedell'esperienza di gioco, decontestualizzan-dolo completamente.

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Post i.T. Shooter è scaricabile da: http://www.kloonigames.com/blog/games/post_it

Blueberry Garden è scaricabile da Steam, il servizio di-gital delivery di Valve

Caster è provabile e acquistabile andando sul sito uffi-ciale: http://www.elecorn.com/caster3d/

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…un’altra boiata intergalattica,talmente a basso costo chehanno risparmiato pure sulnome. cruis’n è l’ennesimo capi-tolo di un franchise tutto som-mato dignitoso, nonostantepersonalmente abbia sempre tro-vato aberrante questa sorta diout Run dei poveri in chiave poli-gonale. Una serie che non ha maibrillato né per giocabilità né perchissà quali caratteristiche tecni-che, ma che nonostante tutto siè saputa ritagliare una sua fettadi fan soprattutto su nintendo64, dove la serie si è sviluppata.Ma come per il need for speedUndercover di qualche numero fa(Babel 012), anche per cruis’nsarebbe il momento di appen-dere le gomme al chiodo, o per-lomeno qualche game designeral muro. se però il risparmio è suWii, allora via libera, tanto con lascusa del gioco per il mercatocasual si può far passare sotto ilseal of Quality le peggio porche-rie.

Partita con buoni propositi, laserie cruis’n si è poi affievolita incontenuti e appetibilità così comela cugina san Francisco Rush,sempre di Midway, da cui ha ri-preso alcune meccaniche. e te-nendo conto che nemmenoquesta serie brillava, c’è poco dastare allegri. Pollice verso per

praticamente tutto. Meccanichedi gioco che sfigurerebbero per-sino ai tempi del bidimensionale,con una vettura incurante diqualsivoglia ostacolo ed in gradodi andarsene a spasso oltre iltracciato in tutta tranquillità, iltutto incorniciato da un sistemadi collisioni appena abbozzato(ma forse non sarebbe servitonemmeno). Poche modalità digioco, quasi a nascondersi dietrouna catalogazione da arcadepuro, quando invece altri arcadeavevano saputo fare ben altro(Burnout).

Infine una realizzazione graficada retrogaming, pochi poligoni,texture slavate e aliasing a ma-netta che riportano alla mente ibei tempi passati a giocare aneed for speed 2 e Motorhead.Ma 3dfx è fallita eoni fa e il Wii èun “sistema sulla carta più po-tente di un Gamecube”. A furia diripeterlo, forse, inizieremo tuttiquanti a crederci. Il nintendaroincassa l’ennesimo colpo bassoattendendo tempi, e soprattuttoracing, migliori. Magari con unocchio al prossimo excite e aFerrari challenge che non sem-brano male.

cruis’ è una serie racing fon-data sul pacchiano, che aveva ilcoraggio di presentarsi al gioca-tore con un puttanone digitaliz-zato (sig!) a sventolare labandiera ad inizio gara. Il putta-tone, per inciso, è rimasto, laqualità invece mi sa che è andatapersa da un pezzo.

Fare i tirchi non paga. Ho sempreodiato la sponsorizzazione di vi-deogiochi mediante l’utilizzo dinomi altisonanti, ma non possonegare che questo modo di fareabbia i suoi vantaggi. Anche a li-vello ludico s’intende, se scuci tot.soldi per un tony Hawk, un DaveMirra o un Mat Hoffman, un aiutinonello sviluppo del titolo – minimo -lo pretendi o quantomeno ce lo fic-chi dentro come clausola. D'al-tronde neppure i professionistichiamati in causa vorrebberoveder affibbiato il proprio nome aschifezze inenarrabili. I producerMidway invece sono di braccinecorte, loro al massimo consultanolo skater sotto casa. Pagandolocon un buono pasto McDonald’s, agiudicare dai risultati. GravityGames è l’ennesima presa per ifondelli partorita da scelte di mer-cato discutibili, anche se non socosa ci si potesse aspettare da untitolo che già di per se sembraun’imprecazione a denti stretti.

Gravity si presenta nemmenotroppo male: un discreto numerodi modalità, parecchi item da rac-cattare, musiche truzze ma infondo funzionali e un discreto nu-mero di arene. Poi però tocca gio-carci e partono le bestemmie, adenti stretti pure quelle. La sella èquella di una BMX, eppure la sen-sazione è quella di guidare un au-toarticolato. Il controllo èapprossimativo, a volte persinotardivo, che cozza con la massimaprecisione richiesta da molti deitrick richiesti per passare allo

stage successivo. Il numero delleevoluzioni è già di per sé esiguo separagonato alla concorrenza, ci siabitua ad usare le solite 2/3 com-binazioni un po’ per l’efficacia, unpo’ per la difficoltà di eseguire lerestanti. Il più delle volte basterà“grindare” in un infinito loop su diuna vasca per accumulare i puntinecessari… che però non baste-ranno perché c’è sempre quellamaledettissima evoluzione che nonne vuole sapere di riuscire.

se il sistema di controllo è di persé un danno, la beffa è rappresen-tata dalla pessima gestione dellatelecamera virtuale. Immaginatevidi dover eseguire una capriola perpoi finire a “grindare” su di untubo disposto a qualche metro daterra; prendere la rincorsa su perla rampa, massima precisione du-rante il salto e poi… tac! La teleca-mera ha un improvviso spasmo ela combinazione destra-giù-destrasi trasforma in un su-destra-su,con conseguente spiattellamentodella faccia del biker sull’asfalto edel joypad sul pavimento. Problemidavvero seri, accentuati da unframe-rate stabile ma bassino e dauna realizzazione tecnica un po’impastricciata che sembra figliadell’epoca PsX. Denti stretti e giùcon altri neologismi.

Dalla Guerra dei cloni dei titolibiker-istici, Gravity ne esce ridottodavvero maluccio. Giocare al ri-sparmio non è stata una sceltasensata, ma nemmeno riprovarciqualche anno dopo con…

Cruis’n

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Midway GamesMidway GamesPS22002

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Gravity Games Byke: Street. Vert. Dirt.

Midway San DiegoMidway Gameswii2007

GIOCHI DI

MERDA!

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Ferruccio CinquemaniAutore di: Infamous

Mirror’s edge: chi me lo fa fare di completarele speed run, di ripetere lo stesso livello decinedi volte nel tentativo di battere un tempo as-surdamente basso, con caricamenti su carica-menti, errori continui che mandano all’ariadieci minuti di gioco? Mi sarebbe dispiaciuto dimeno se le speed run non fossero state laparte migliore del gioco.

Giovanni “Giocattolamer” DondaAutore di: odio di Gomito

Al settantasettesimo, nonché ultimo pianodella controparte digitale del chrysler Buildingin Parasite eve. Giorni e notti – ma soprattuttonotti e giorni - attaccato allo schermo, o allaguida ufficiale, solo perché quest’ultima miaveva rassicurato che, sì, dovevo farmi unadoccia, ma ne sarebbe valsa la pena: stavo perassistere al “vero” finale! Lo sto ancora aspet-tando… l’autore della guida. Il “vero” finale erauna scritta che neanche “congratulazioni, haifinito il gioco” avrebbe lasciato un peggior re-trogusto.

Gianluca “UnNamed” GirelliAutore di: Meteore; Underrated; Giochi diMerda

Qui a Milano era solito tenersi un torneo distreet Fighter III. nonostante non mi possaconsiderare un pivello a suddetto gioco, venivocontinuamente asfaltato nel giro di una decinasecondi. Anche solo vincere un round era di-ventata un’impresa. A volte, a partita iniziata,potevo pure posare il pad e farmi una passeg-giata, tante erano le raffiche di sberle chevolavano. La domanda, a quel punto, è sortaspontanea.

Michele “Guren no kishi” zanettiAutore di: Valkyrie Profile covenant of thePlume; Final Fantasy crystal chronicles echoesof time

ogni volta che inizio un gioco nuovo.

Simone “Karat45” TagliaferriAutore di: Ars Ludica; 1943

Parecchi in realtà. In tempi relativamente re-centi sono stato colpito da profonda crisi men-tre giocavo a the World ends With You.Andavo avanti a forza d’inerzia (superandocombattimento su combattimento e sbuffandoper uno dei sistemi di combattimento più de-menziali mai visti in questo lato dell’universo),quando, verso la fine del secondo atto, misono chiesto perché mi ostinassi a giocarequalcosa che stavo disprezzando profonda-mente. Alla domanda è seguita una colossalemangiata di Ringo e poi l’abbandono, senzatroppi rimpianti, con relativa svendita del giocosu ebay. In senso generale, comunque, è liber-atorio abbandonare videogiochi che non si ri-escono a portare avanti per motivi disvilimento personale.

Tommaso “Gatsu” De BenettiAutore di: Il Vangelo secondo tommaso; RedFaction: Guerrilla

Ma chi me lo fa fare di giocare JRPG da 120ore, per avere in cambio una brutta storia al-lungata per dodicenni e un protagonista che haperso la memoria. o per arrivare al boss finalescoprendo che mi manca l’unico oggetto chepuò batterlo, che potevi prendere solo all’inizionel secondo baule a destra. chi me lo fa fare digiocare ad un livello diverso da normale: lavita è già abbastanza stressante. chi me lo fafare di comprare un Wii in onore dei bei vecchitempi: non ho la pressione alta e non vogliocontare i passi. chi me lo fa fare di giocare on-line con gli Americani, gente con due-parole-due nel vocabolario (una è faggot, l’altra shit).chi me lo fa fare? nessuno, per fortuna.

Vincenzo “Vitoiuvara” AversaAutore di: La terra che tremò; esco di Rado;La tV che Videogioca; Fight night Round 4;Prototype; Ghostbusters the Video Game; callof Juarez: Bound in Blood; Harry Potter e ilPrincipe Mezzosangue

non ho dubbi: Dead Rising. colto da furiosascimmia di achievements, ero solito spulciare igiochi in quello che viene propriamentedefinito “sblocco mode”. L’obiettivo più imbe-cille della mia vita fu appunto nel centro com-merciale più morto della storia: “nemesi deglizombie”. Per la miseria di 20 punticini, il giocochiedeva di uccidere 53.594 non morti. Perfarlo, ovviamente, non bisognava seguire lastoria principale, che ricordo aveva un tempostabilito in tre giorni da 6 ore ciascuno, madedicarsi esclusivamente allo scopo. Il modopiù semplice, e forse anche l’unico per portarloa casa, consisteva nel prendere la macchinanel giardino, percorrere il parcheggio sotterra-neo schiacciando di tutto fino a raggiungere unfurgone, usare lo stesso per ritornare al gia-rdino e rimettersi alla guida della macchinarespawnata. Poi ripetere il tutto. non una, nondue, ma troppe volte. e son soddisfazioni...

Alberto “Floyd” Li Vigni Autore di: Demon’s souls

shadow of the colossus, seconda tornata. Laprima si era conclusa trionfalmente conqualche decina di imprecazioni (rigorosamentelaiche) e la vendita del gioco. Per la primavolta mi faccio influenzare dalla stampa (cioè,dai due forum che leggo) e decido di dargli unaseconda chance con l’uscita PAL. no, non miero sbagliato. ‘sto gioco è l’antitesi del diverti-mento. come si fa a mantenere il sistema dicontrollo di Ico in un titolo (teoricamente) piùdinamico? Perché i metodi per uccidere icolossi sono cosi banali (e perché devo ripeterelo stesso metodo più volte per ogni colosso?)Perché quel meraviglioso silenzio deve essereinterrotto da quel tema epico che vorrebbeguidare le mie emozioni? Perché il cavallo ècosì poco sfruttato? che sia Ueda stavolta ariprovarci in un futuro remake. Io non ci giocopiù.

Federico ResDirettore

“chi me lo fa fare” di prendere in mano il joy-pad, qualunque sia il gioco dentro alla console?Per me è ormai tempo di stare in poltrona egodermi un bel film. Meglio se lento e noioso.

031

FOruM

Morbose chiacchiere di redazione: torbidi segreti nascosti fra lepieghe del passato, traumi infantili mai superati, preferenze vide-oludiche da denuncia o periferiche acquistate a prezzi vergognosiper un solo utilizzo. Ogni puntata di Forum vi proporrà una do-manda pruriginosa e molte colpevoli confessioni.

“In quale videogioco hai pen-sato: Ma chi me lo fa fare?”

GIOCHI DI

MERDA!

BABEL

Page 32: Babel#016

the King of Kong: A Fistful of Quar-

ters (sottotitolo guadagnato sul

campo) in Italia non lo abbiamo

visto mai. Presentato nel 2007 in decine

di festival, il documentario segue steve

Wiebe nel suo tentativo di superare il

record di Billy Mitchell a Donkey Kong.

Più che sulla storia che racconta, però,

una sorta di Rocky in salsa nerd senza

vittoria e senza Adriana, la rubrica vuole

soffermarsi sugli strani protagonisti di

questa vicenda. Uomini, vecchi e psico-

patici che appaiono come dimenticati

negli anni ottanta. così piallati da

quanto fatto in passato da aver perso la

cognizione del tempo. ecco, è nel rico-

noscere una logica in quello che fanno

questi stralunati individui che si differen-

zia il videogiocatore da una persona

normale.

1 – Bella cravatta!

Billy Mitchell è in assoluto il personaggio

più inquietante di questo documentario.

Pur non essendone il protagonista, in-

fatti, riesce a ritagliarsi una grossa fetta

di disgusto e sdegno. Il detentore del

record del mondo si fa notare subito per

il pessimo taglio dei capelli e per una

spropositata considerazione di se stesso.

come il peggior mafiosetto di quartiere,

si atteggia tra la folla di leccaculo e con

sufficienza ignora la sfida dell’avversario

più che degno. Messo alle strette da un

record che muterebbe il suo stato so-

ciale da “imbecille con un record” a “im-

becille puro”, si inventa una VHs

amatoriale senza mogli o fidanzate

nude. che spreco di pellicola.

2 – il baro!

In mezzo a questa magnifica foto di mo-

delli di intimo, c’è il nemico più giurato

di un videogiocatore: un cheater. non vi

voglio abbastanza bene da andarmi a

cercare il suo nome e cognome, ma fin-

gerò di non volervi rovinare la sorpresa.

cosa spinge un giocatore, per sua na-

tura quasi un essere umano, a dopare le

sue prestazioni per fare bella figura?

Dopo anni di action replay, achieve-

ments comprati, fughe e semplici bugie

verbali, proprio non riesco a darmi una

risposta. eppure laddove c’è un gioco,

c’è sempre qualcuno che lo ha finito al

massimo della difficoltà, con la mac-

china più lenta, tre soli proiettili in

canna e urinando nella tana del boss fi-

nale.

3 – La setta!

twin Galaxies è un’organizzazione che si

occupa di raccogliere e verificare i re-

cord provenienti da tutto il mondo. or-

ganizza anche manifestazioni per pochi

affezionati, nulla che non generi tri-

stezza di default. twin Galaxies è un

ometto che si guarda le cassette altrui e

stabilisce se son vere o truccate. Il si-

stema è rigido e infallibile, ma qualche

volta è una merda. Mentre la giuria si

occupa di visionare il super mega uber

pro record di Donkey Kong, è simpatico

ascoltare la voce di steve Wiebe, deci-

samente preso dalla sua partita, che ab-

bandona la figlia ai suoi pianti disperati.

È che non c’è più rispetto per lo sport,

immaginate come la prenderebbe nadal

se la figlia irrompesse nel centrale di

Wimbledon.

4 – La spia!

si vede poco, parla poco, ma quella

cosa sulla sinistra è abbastanza viscida

da ritagliarsi il suo piccolo spazio. Men-

tre steve Wiebe viene costretto a ripe-

tere dal vivo il suo record, il cagnolino

di Mitchell si agita terrorizzato sperando

che non riesca nell’impresa. tra una te-

lefonata e l’altra al suo padrone, infatti,

si muove nervoso e ansimante alle

spalle del protagonista. Dice qualcosina

ogni tanto, poggia un bicchiere, passa il

suo tempo ad alitare sul collo del povero

steve per farlo innervosire. non ho pas-

sato la mia gioventù nelle sale giochi,

ma in trent’anni devo ancora vedere un

cabinato senza un soggetto simile attac-

cato al posacenere. si vocifera che al-

cuni bar li comprassero in bundle con le

schede video.

5 – L’arbitro!

È proprio vero: ogni mondo è paese,

ogni arbitro un cornuto. Walter Day ha

avuto una buona idea negli anni ottanta.

cavalcando l’entusiasmo riservato ai vi-

deogiochi, si inventa manifestazioni e

produzioni televisive dedicate ai record-

man e ai punteggi. Dopo trent’anni e un

cervello fermo a quell’idea, ha l’aspetto

di un uomo sicuro di aver fatto grandi

cose nella vita. Fondando twin Galaxies,

così dice, voleva garantire che i record

fossero reali e certificati. Ma Billy Mit-

chell è suo amico, a lui sono legate le

sue possibilità di fare soldi e questo,

lontano dall’Italia, è un conflitto di inte-

ressi. Mentre a steve frugano nelle mu-

tande in cerca di chip nascosti, a Billy

viene riconosciuto un punteggio in 2 mi-

nuti, su una cassetta che lascia persino

intendere segni di manomissione.

È una sporca storia di malavideogioco

quella di King of Kong. Più bella di

Moggi, ma sfacciata almeno quanto Gi-

raudo. Un documentario ben fatto, per-

lopiù didascalico, che solo raramente si

lascia andare a situazioni preconfezio-

nate a tavolino e a sensazionalismi da

pellicola cinematografica. È una storia

interessante per tutti i videogiocatori,

sia per gli anziani decrepiti che per le

giovani leve, perché i trofei e gli achie-

vements hanno riportato i giochi su una

via che pareva avessero abbandonato:

l’ego del giocatore. comunque vada, in-

somma, non ci sono mica molti principi

della grande perla in circolazione…

La TV

che Vid

eogioca

a cura di Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa

King of Kong

Quando il videogioco si documenta

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Page 33: Babel#016

next month

BABEL

Page 34: Babel#016

016BABEL

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