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Biologia Biologia Biologia rivista del Centro Italiano Studi di Biologia Ambientale Ambientale Ambientale Ambientale volume 28 numero 1 aprile 2014

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BiologiaBiologiaBiologiarivista del Centro Italiano Studi di Biologia Ambientale

AmbientaleAmbientaleAmbientalevolume 28 numero 1 ••••• aprile 2014

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PROPRIETÀ: Gian Luigi Rossi, Presidente del C.I.S.B.A.

DIRETTORE RESPONSABILE: Rossella AzzoniREDAZIONE:Giuseppe Sansoni [email protected] resp. di redazioneRoberto Spaggiari [email protected] resp. di segreteriaGilberto N. Baldaccini [email protected] redattorePietro Genoni [email protected] redattoreGian Luigi Rossi [email protected] redattore

Pubblicazione del C.I.S.B.A., vol. 28, n. 1/2014Autorizzazione del Tribunale di Reggio Emilia n. 837 del 14 maggio 1993

Biologia Ambientale, viene inviata ai soci del Centro Italiano Studi di Biologia Ambientale (C.I.S.B.A).Per iscriversi o per informazioni: Centro Italiano Studi di Biologia Ambientale, C.P. 4010 Poste Rivalta, 42123 Reggio EmiliaSegretario: Roberto Spaggiari, tel. 334 9262826; fax 0522 363947; e-mail: [email protected]

www.cisba.eu [email protected] annuali di iscrizione al Centro Italiano Studi di Biologia Ambientale: socio ordinario: Euro 40,00; socio collaboratoreEuro 30,00; socio sostenitore Euro 310,00. Conto corrente postale n. 10833424 intestato a: CISBA, RE. Conto correntebancario: Banca Unicredit Reggio Emilia Gattalupa, IBAN: IT82T0200812827000100195936

Comitato Scientifico

ISSN 1129-504X

BiologiaAmbientale

Biologia Ambientale pubblica lavori originalisu temi che riguardano le connessioni tra lescienze biologiche e la protezione dell’am-biente, con particolare attenzione agli aspettiapplicativi nei seguenti campi di studio:

bioindicatori e biomonitoraggioecotossicologiaecologia delle acque interne e di transizioneecologia dell’ambiente marinodepurazione delle acque refluegestione dell’ambienteigiene ambientale ed ecologia urbanaimpatto ambientalerinaturazione e riqualificazione ambientaleingegneria naturalisticaconservazione della naturaecologia del paesaggio

Biologia Ambientale è articolata in due sezioni:

Lavori Originali, ospita articoli e rassegne bi-bliografiche originali, sottoposti a referee;

Informazione & Documentazione, sezione vol-ta a favorire la circolazione di informazio-ni e di idee tra i soci, accoglie lavori nonsottoposti a referee: esperienze, resoconti,dibattiti, e opinioni su varie tematiche del-la biologia ambientale. Comprende anchele rubriche Rassegna scientifica e Recensio-ni e può accogliere anche sintesi di notiziee lavori già pubblicati ritenuti di particola-re interesse o attualità.

Natale Emilio BALDACCINIDip. di Etologia, Ecologia, Evoluzione, Univ. di Pisa

Roberto BARGAGLIDip. Scienze Ambientali, Univ. di Siena

Corrado BATTISTIStaz. di ricerca LTER ‘Palude di Torre Flavia’,Serv. Ambiente, Prov. di Roma

Annalaura CARDUCCIDip. Biologia, Università di Pisa

Silvana GALASSIDip. di Biologia, Università di Milano

Pier Francesco GHETTIgià Ordinario di Ecologia presso Univ. Cà Foscari, Venezia

Stefano LOPPIDip. Scienze Ambientali, Univ. di Siena

Sergio MALCEVSCHIIst. Ecologia del territorio e degli amb. terrestri, Univ. Pavia

Maurizio G. PAOLETTIDip. di Biologia, Univ. di Padova

Roberto ROMIDip. Malattie Infettive, Parassitarie e Immunomediate,Ist. Superiore di Sanità, Roma

Luciano SANTINIgià Ordinario di Entomologia agraria dell’Univ. di Pisa

Paolo Emilio TOMEIDip. Agronomia e gestione agroecosistema, Univ. di Pisa

Mariacristina TORRISIDip. di Scienze Ambientali, Univ. di Camerino

Mariagrazia VALCUVIA PASSADOREgià Dip. Ecol. del territorio e degli amb. terrestri, Univ. Pavia

Pierluigi VIAROLIDip. Scienze Ambientali, Univ. di Parma

Luigi VIGANÓIRSA - CNR, Brugherio MI

Sergio ZERUNIANgià Corpo Forestale dello Stato, UTB di Fogliano (LT)

Aldo ZULLINIDip. di Biotecnologie e Bioscienze, Univ. Milano Bicocca

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Volume 28Numero 1Aprile 2014

SOMMARIO

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LAVORI ORIGINALI

INFORMAZIONE & DOCUMENTAZIONE

Brighenti S., Bona F. - Impronta idrica a scala di bacino: il caso studio dell’alta ValleArroscia

Naldi M., Fagioli L., Lovo S., Paesanti F., Turolla S., Viaroli P. - Potenzialità e limiti delladigestione anaerobica delle biomasse derivanti dalle fioriture macroalgalinella Sacca di Goro

Salmaso F., Quadroni S., Romanò A., Compare S., Gentili G., Crosa G. - Definizionedello stato ecologico secondo il D.M. 260/2010 in due fiumi di pianura (Addae Ticino) interessati dal Deflusso Minimo Vitale

Forneris G., Merati F., Pascale M., Perosino G.C. - Riflessioni sull’applicazione degliindici di valutazione dello stato delle comunità ittiche in Piemonte

Gippoliti S. - Animali esotici negli zoo e valutazione del loro benessere: un approccioolistico

Foto di copertina Foto di copertina Foto di copertina Foto di copertina Foto di copertina

BiologiaAmbientale

Visione notturna della pianura lombarda, ripresa dai primi contrafforti collinaridell’Oltrepo Pavese (foto G. Camerini, 2013)

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Camerini G. - Impatto dell’illuminazione artificiale sugli organismi viventiDutto M., Rinaudo S., Moino G., Mori E. - Primi dati sulla presenza di Hystrix cristata

Linnaeus, 1758 (Mammalia, Rodentia, Hystricidae) nel Piemonte sud-occi-dentale (nord-ovest Italia)

Dutto M. - Considerazioni su alcuni casi di infestazioni domestiche sostenute dacoleotteri carabidi (Coleoptera, Carabidae) in Piemonte (nord-ovest Italia)

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IMPRESSO NEL MESE DI APRILE MMXIVDALLA «LINOGRAF MAURI LUCIANO» - CREMONA

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Biologia Ambientale, 28 (1): 3-14, 2014

Impronta idrica a scala di bacino:il caso studio dell’alta Valle ArrosciaBrighenti Stefano 1,2*, Bona Francesca 2

1 Libero professionista, via Ponzoni 40 – 18026 Pieve di Teco (IM)

2 DBIOS Università degli Studi di Torino, via Accademia Albertina 13 – 10123 Torino* Referente per la corrispondenza: [email protected]

Pervenuto il 6.9.2013; accettato il 6.10.2013

RiassuntoLa gestione sostenibile delle risorse idriche a scala di bacino è indicata dalla DIR 2000/60 come una priorità di interesse comunitario. Glistrumenti tradizionali di studio consistono in valutazioni puntiformi degli elementi biologici per analisi di qualità ecologica, oppure nelcensimento delle derivazioni e captazioni secondo un’ottica ingegneristica ed antropocentrica che tralascia considerazioni di carattereambientale. Il presente lavoro ha come scopo la presentazione della metodologia di impronta idrica, utilizzabile in differenti contesti ai finidel raggiungimento degli obbiettivi della DIR 2000/60 e per la transizione verso un’economia sostenibile, riconosciuta a livellointernazionale ma in Italia ancora poco nota e inapplicata. Il metodo analizza secondo un approccio ecocentrico i volumi d’acqua dolce chele attività umane sottraggono al ciclo idrologico tramite prelievi e inquinamento. L’impronta idrica ha un grande potere riassuntivo edivulgativo. Inoltre permette, attraverso una contestualizzazione alla realtà locale, una stima della sostenibilità idrica delle attivitàeconomiche. Viene qui presentata una prima applicazione al bacino dell’alta Valle Arroscia (Liguria), territorio scarsamente popolatointeressato da coltivazioni e pastorizia tradizionali e da una limitata attività industriale.

PAROLE CHIAVE: impronta idrica / bacino idrografico / sostenibilità ambientale

Water Footprint within the Arroscia valleySustainable water management at the river basin level is stated by the Water Framework Directive 2000/60/EU as a priority of Europeaninterest. The conventional tools of analysis consist in point evaluation of biological elements for the assessment of environmental quality,or in the census of water abstractions and derivations, with an engineering and anthropocentric outlook neglecting environmentalconsiderations. With the present work we display a new methodology, suitable to fulfill the targets of the Water Framework Directive2000/60/EU in different contexts and to transition to a sustainable economy, so far unknown and unused in Italy despite internationalrecognition. Water footprint calculation analyzes, from an ecocentric standpoint, the freshwater volumes appropriated by humanactivities from the water cycle through utilization, abstractions and pollution. This method has a strong summarizing and educationalpower. Furthermore it allows, through the contextualization to the local situation, a sustainability analysis of human activities. Here wepresent a first application to the upper Arroscia river basin (Liguria region), a scarcely populated area where the main human activitiesare traditional agriculture and livestock rearing, and scarce industrial activities.

KEY WORDS: water footprint / river basin / environmental sustainability

Sempre maggiore a livello internazionale è l’atten-zione rivolta alla cosiddetta “governance dell’acqua”,definita dalla Global Water Partnership come “la varie-tà dei sistemi politici, sociali, economici ed ammini-strativi messi in atto per sviluppare e gestire le risorseidriche, e la fornitura dei servizi idrici, ai differentilivelli della società” (Rogers et Hall, 2003). È necessa-

INTRODUZIONELe problematiche legate all’inquinamento e allo sfrut-

tamento dell’acqua dolce sono temi sempre più attuali,in un mondo caratterizzato da una crescente espansio-ne demografica e da una progressiva occidentalizza-zione degli stili di vita. La gestione sostenibile dellerisorse idriche è tra le principali sfide del nuovo millen-nio (UNEP, 2012).

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Lavori originali

rio superare il concetto di “gestione” per abbracciareun approccio più olistico, perché le tematiche legatealle risorse idriche si intrecciano indissolubilmente conquelle dell’utilizzo del territorio, dell’uso del suolo,della pianificazione paesaggistica, dei cambiamenti cli-matici, dello sviluppo demografico, del consumo edella produzione economica, della salute pubblica, del-la gestione ambientale, del mercato internazionale, del-le politiche, della cooperazione allo sviluppo e dellasicurezza nazionale (Hoekstra, 2011).

La fase di ricarica a terra del ciclo dell’acqua è ilbacino idrogeologico, dal momento in cui in essovengono costantemente riciclate le disponibilità idri-che che possono essere utilizzate dall’uomo. Il baci-no viene dunque assunto come unità di riferimentoper il monitoraggio, la gestione e l’allocazione dellerisorse idriche. L’obbiettivo della sostenibilità è farein modo che a tale livello le esigenze dell’economia intermini di prelievi ed inquinamento non compromet-tano quelle della società (attuale e futura) e dell’am-biente, e che vi sia un equilibrio tra i tre sistemi che,convivendo nello stesso territorio, utilizzano la stessarisorsa vitale.

L’impronta idricaL’economia è responsabile dell’inquinamento e del-

lo sfruttamento dell’acqua dolce a scala di bacino,perchè determina quali prodotti vengono immessi sulmercato e in che modo questi vengono realizzati.Esiste dunque una connessione tra il consumo dellemerci e lo sfruttamento dell’acqua dolce che è statonecessario per produrle. Questo dato di fatto è statoconcettualizzato con l’ideazione del termine di “acquavirtuale” (Allan, 1996), definita come l’acqua totalenecessaria per produrre un bene o un servizio. Impor-tando prodotti dall’estero, i Paesi importano virtual-mente anche quell’acqua che è stata necessaria perprodurli, riducendo in questo modo le pressioni sulleproprie risorse idriche ma incrementando al contempoquelle sulle risorse dei Paesi esportatori. Hoekstra (2003)ha implementato il concetto di “virtual water”, introdu-cendo quello di “water footprint” (WF) o improntaidrica: essa, riferita ad un prodotto o un servizio, è ilvolume totale di acqua dolce sfruttata per la sua produ-zione, lungo tutte le fasi del processo di produzione(Hoekstra et al., 2011). Lo sfruttamento dell’acquadolce non compete solo ai produttori ma anche aiconsumatori i quali, tramite i prodotti che acquistanoed i servizi di cui si avvalgono, lasciano sulle risorse diacqua dolce del Pianeta un’impronta più o meno eleva-ta.

Il numero di applicazioni del concetto di improntaidrica sta rapidamente crescendo (Hoekstra et al.,2011), anche se gli studi principali sono focalizzati su

quattro livelli: processo, settore, unità amministrativa,scenario globale. A livello di processo Chapagain et al.(2006) hanno calcolato ad esempio la WF della produ-zione del cotone. A livello di prodotto, Mekonnen eHoekstra (2011) hanno stimato la WF di 126 colture intutto il mondo per il periodo 1996-2005, con un’eleva-ta risoluzione spaziale. Sono stati anche sviluppaticalcoli di impronta relativi alla pasta e alla pizza in Italia(Aldaya e Hoekstra, 2009) e al consumo di te e di caffè(Chapagain e Hoekstra, 2007). A livello di settoreAldaya et al. (2010) hanno calcolato per la Spagna laWF dei settori domestico, industriale ed agricolo. Ascala nazionale sono state indagate le impronte di Cina(Liu e Savenije, 2008; Ma et al., 2006), Indonesia(Bulsink et al., 2010), Olanda (Van Oel et al., 2009),Regno Unito (Chapagain e Orr, 2008), e Francia (Er-cin et al., 2012). A livello globale, la WF dei servizi edei beni consumati dalle varie nazioni è stata quantifi-cata da Hoekstra e Chapagain (2007) e da Hoekstra eMekonnen (2012).

L’impronta idrica a scala di bacinoNonostante l’abbondanza di letteratura in materia di

impronta idrica, pochi studi sono stati condotti sinoraa livello di bacino (UNEP, 2011). In Spagna Aldaya eLamas (2008) hanno indagato la WF del bacino delGuadiana, mentre Rodriguez-Casado et al. (2009) quelladel Guadalquivir. Uscendo dai confini comunitari,Brown et al. (2009) hanno analizzato la WF della valledel basso Fraser e del bacino dell’Okanagan (Canada),Zeitoun et al. (2010) quella del bacino del Nilo, mentreZeng et al. (2012) quella dell’Heite (Cina).

La maggior parte di questi studi si è focalizzataprincipalmente sull’acqua virtuale in ingresso e in usci-ta e sul rapporto tra commercio, efficienza idrica erisorse locali. Solamente i lavori di Rodriguez-Casado(2009) e Zeng et al. (2012) si sono soffermati anchesull’allocazione dell’acqua nei differenti settori econo-mici all’interno del bacino, contestualizzando l’im-pronta idrica alla disponibilità effettiva della risorsa nelbacino ed effettuandone una valutazione di sostenibilitàambientale (Zeng et al., 2012).

La Spagna, anche a causa di evidenti necessitàlegate alla scarsità idrica, è il Paese europeo che mag-giormente sta prestando attenzione al tema della WF ascala di bacino, a tal punto che tale tipologia di valuta-zione è stata inserita nelle linee guida per la pianifica-zione idrologica a livello sia nazionale (ORDEN ARM/2656/2008) sia regionale (Ley 9/2010). In attesa di unincremento di pubblicazioni spagnole innescato dal-l’importante innovazione legislativa, è chiaro comeanche in un Paese altrettanto mediterraneo come ilnostro, in cui la scarsità idrica è una priorità anche alivello comunitario (EEA, 2012a) debba essere alta

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Lavori originali

l’attenzione nei confronti di questo nuovo metodo,come del resto indicato anche dalle linee guida del-l’Unione Europea (EEA, 2012b).

Il presente lavoro si inserisce proprio in questoquadro di riferimento, ed ha come oggetto lo studiodell’impronta idrica interna all’alta Valle Arroscia (Li-guria), al fine di valutare l’allocazione delle risorseidriche nei differenti settori produttivi dell’economia edi determinarne la sostenibilità ambientale attraverso ilmetodo descritto da Hoekstra et al. (2011).

Il lavoro, il primo di questo tipo a livello nazionale,presenta delle novità rispetto ai lavori analoghi svoltisinora a scala di bacino. Innanzitutto la scala moltopiccola alla quale si è lavorato (253 km2 contro, adesempio, i 67000 km2 del Guadiana, i 57527 km2 delGuadalquivir, i 10200 km2 dell’Okanagan ed i 13300km2 della valle del Fraser). Si è inoltre calcolata l’im-pronta idrica grigia, definita nella sezione “Materiali emetodi”, che negli studi pregressi a scala di bacino èstata invece tralasciata. In ultimo vi è il tentativo diincludere nei calcoli tutte le attività produttive cheinsistono sulla valle, e non solo quelle principali macomprendendo ad esempio anche gli orti famigliari chesono una parte fondamentale dell’economia locale.

MATERIALI E METODI

Area di studioIl bacino del torrente Arroscia (Provincia di Impe-

ria, 2003) è situato nel ponente ligure e fa parte diquello più ampio del fiume Centa. L’area di studio (Fig.1) ne rappresenta la porzione imperiese (253 km2), cheoccupa il tratto medio-alto della Valle Arroscia e com-prende i territori amministrativi di 14 comuni, con unapopolazione complessiva di 5000 abitanti (Provincia diImperia, 2009). Con un territorio collinare-montanotipico dell’entroterra ligure, il bacino è caratterizzatoda un clima mediterraneo montano, con una transizio-ne verso la continentalità all’aumentare della quota edella distanza dal mare (Provincia di Imperia, 2003).

Le risorse idriche principali sono date da numerosesorgenti e dal torrente Arroscia ed i suoi due principaliaffluenti, l’Arogna ed il Giara di Rezzo, che determina-no i due sottobacini principali.

L’economia valliva è caratterizzata prevalentementedalle produzioni agricole (Provincia di Imperia, 2009),scarsamente remunerative ed organizzate prevalente-mente secondo i tipici terrazzamenti liguri, che occu-pano il 10% circa del territorio. Vi è una preponderan-za di uliveti (72%) e vigneti (14%), seguiti da coltureagrarie (12%), frutteti e vivai (2%). Di minore impor-tanza economica sono il settore della zootecnia esten-siva e quello industriale.

L’impronta idricaL’impronta idrica (WF) all’interno di un territorio è

data dalla somma delle impronte di ciascun processoproduttivo, ed è composta di tre sottoimpronte: blu,verde e grigia (Fig. 2).

L’impronta idrica blu (WFblue) è un indice di sfrut-tamento delle acque superficiali o sotterranee (acqueblu), che possono essere sottratte al bacino tramite:evaporazione, traspirazione, incorporamento nei pro-dotti, prelievi non restituiti o restituiti in un periododell’anno differente da quello di prelievo. L’improntaidrica verde (WFgreen) è un indice di sfruttamento diquell’acqua di precipitazione che non va ad alimentareil deflusso o la falda, ma che viene stoccata nel suolo orimane temporaneamente nella porzione superficialedel terreno o sulla vegetazione (acqua verde), e chepuò essere sottratta al bacino tramite l’evaporazione ela traspirazione.

L’impronta idrica grigia (WFgrey) è un indice dell’in-quinamento provocato, ed è calcolato come il volumedi acqua dolce necessario per diluire gli inquinanti finoalle concentrazioni stabilite dagli standard di qualitàesistenti.

Oggetto dello studio è il calcolo dell’impronta idricaannuale dell’alta Valle Arroscia (WFArr), ottenuta dallasomma delle impronte di ciascun settore produttivoricadente al suo interno (Tab. I).

Impronta dell’agricolturaL’impronta dell’agricoltura (WFagr) ha come com-

ponenti verde (WFagr,green) e blu (WFagr,blue) i valori dievapotraspirazione (ET) dai campi coltivati. Sono per-tanto stimate per ogni tipologia di coltura l’evapotra-spirazione annuale dell’acqua verde (ETgreen) e di quel-la blu (ETblue), calcolate tramite il metodo FAO Pen-man-Monteith come descritto da Allen et al. (1998),attraverso il programma di calcolo CROPWAT 8.0(FAO, 2010), e seguendo il metodo descritto da Hoek-stra et al. (2011).

Il foglio elettronico di lavoro è impostato con le

Imperia

Savona

Genova

La Spezia

Massa-C

Alessandria Piacenza

Fig. 1. Il contesto territoriale. In tratteggio l’alta Valle Arroscia.

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BRIGHENTI e BONA - Impronta idrica Valle Arroscia6

Lavori originali

Fig. 2. Dimensioni dell’impronta idrica in relazione al bilancio idrico a scala di bacino.

IMPRONTA VERDE IMPRONTA BLU

IMPRONTA GRIGIA

Tab. I. Impronta idrica della Valle Arroscia suddivisa per tipologia e settore produttivo.

SETTORE Attività IMPRONTA VERDE IMPRONTA BLU IMPRONTA GRIGIA

Agricoltura

OlivetiVignetiFruttetiColture agrarie

Acqua piovana evapotra-spirata dalle coltivazioni

Acqua irrigua evapotraspi-rata dalle coltivazioni

Acqua teorica di diluizionedei fitofarmaci che raggiun-gono i corpi idrici

Impronta idrica dell’agricoltura

AllevamentoVacche da latteVacche da carnePecore

Acqua piovana evapotra-spirata per la produzio-ne del foraggio

Acqua bevuta dagli animaliAcqua per i servizi al be-stiame

Acqua teorica di diluizionedell’azoto che dalle deiezio-ni raggiunge i corpi idrici

Impronta idrica dell’allevamento

IndustriaImbottigliamento acquaProduzione calcestruzzoTaglio materiali e roccia

Acqua inglobata nelle merciAcqua di processo non re-stituita

Impronta idrica dell’industria

Settoredomestico

ApprovigionamentoidricoTrattamento reflui

Acqua persa dalla reteTrasferimenti interbacino

Acqua teorica di diluizionedell’azoto immesso con i re-flui urbani

TOTALE ATTIVITÀ NEL BACINO IMPRONTA IDRICA DELL’ALTA VALLE ARROSCIA

Impronta idrica del settore domestico

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Lavori originali

opzioni ‘Crop Water Requirement’ (CWR), ‘singlecrop coefficient’. CROPWAT 8.0 viene utilizzato perstimare l’utilizzo idrico annuale di ciascuna coltura(CWU, in m3/ha), calcolato a partire dall’evapotraspi-razione ET. Conoscendo il numero di ettari (A) inte-ressati alla coltivazione di ciascuna coltura [q], daCWU si ottiene la sua impronta idrica (WFcrop):

WFcrop,green [q] = A · CWUgreen = A · 10 · ETgreen [m3/anno]

WFcrop, blue [q] = A · CWUblue = A · 10 · ETblue [m3/anno]

CWUgreen rappresenta l’acqua piovana totale eva-potraspirata da ogni ettaro di terreno durante la sta-gione vegetativa lgp, mentre CWUblue ne rappresentala frazione irrigua. Non avendo a disposizione i realivolumi di irrigazione, si assume che tutta l’acquanecessaria alle piante venga fornita dagli agricoltori, eche ETblue corrisponda all’acqua di irrigazione. Per lecolture in cui è effettivamente conosciuto il periodoin cui avviene l’irrigazione (vigneto, frutteto, coltureagrarie) si ricava ETblue considerando solo tale arcotemporale.

I dati meteoclimatici relativi alle tre stazioni ricadentinel bacino (Pieve di Teco, Pornassio, Ranzo) sonoforniti dall’ARPAL-CMIRL. A ciascuna stazione sonoriferiti i dati necessari per i calcoli relativi ai campicoltivati ad essa più vicini. WFcrop,green e WFcrop,bluesono ottenuti dalla media dei valori di impronta su treanni consecutivi (2008, 2009, 2010), gli unici con undataset completo per tutte e tre le stazioni di riferimen-to. I dati relativi alle ore di sole sono stimati tramite ilprogramma di calcolo NEW_LOCCLIM (FAO, 2005).

I dati relativi ai parametri delle colture sono ricavatida Allen et al. (1998) e dalle linee guida della FAO(Doorenbos e Kassam, 1979). L’inizio e la fine dellastagione vegetativa sono ottenuti (vite ed olivo) daibollettini fenologici regionali (CAAR, 2011) e da inter-viste ai contadini locali (colture agrarie e frutteti).

Sono considerate le quattro principali tipologie dicoltura, indicate dal PTCP (Provincia di Imperia, 2009)come differenti classi di uso del suolo agricolo: oliveto,vigneto, frutteto e colture agrarie. Queste ultime rap-presentano i tipici orti a conduzione famigliare, carat-terizzati da un’enorme varietà di piante coltivate, diffe-renti per composizione e stagionalità nella valle. Questaeterogeneità è riassunta ai fini dei calcoli in un unicotipo di coltura, caratterizzata per ogni parametro ne-cessario al modello dalla media pesata di tutte le varietàcoltivate. I dati sulla distribuzione, la stagionalità el’importanza di ciascuna varietà all’interno degli orti èricavata tramite interviste ai contadini. Un procedi-mento analogo è seguito per la caratterizzazione deifrutteti.

L’impronta grigia dell’agricoltura (WFagr,grey) è datadalla somma dei valori di impronta grigia di ciascuntipo di uso del suolo agricolo (WFcrop,grey), dove:

WFcrop,grey [q] = (AR · α · A) / (cmax - cnat) [m3/anno]

AR (kg/ha) è il tasso di applicazione di pesticidi e/ofertilizzanti, α è la frazione dell’inquinante che subiscedeflusso superficiale o sotterraneo, cmax (kg/m3) laconcentrazione massima ammissibile per il corpo idri-co ricevente, cnat (kg/m3) la sua concentrazione natu-rale, A la superficie coltivata (ha) con la coltura [q]. Siutilizzano come indicatori gli agrofarmaci. I dati sutipologie e tassi di applicazione sono ricavati da intervi-ste ai contadini e al direttore dell’ufficio agricolturadella Comunità Montana dell’Alta Valle Arroscia edell’Olivo. Per i vigneti è utilizzato come indicatore ilMethomyl, il più persistente tra quelli applicati (APAT,2006). Dato che AR varia di anno in anno, a secondadella diffusione e virulenza dei patogeni, viene conside-rato un valore medio tra i due estremi di applicazionemassima e minima. Le cmax sono riferite alla legislazio-ne vigente, ovvero al DM 56-2009 per i fitofarmaci e alDlgs. 152/2006 per quanto concerne il rame (idoneitàdelle acque alla vita dei pesci). Si considera una frazio-ne di deflusso dell’1% (α = 0,01), in riferimento aDabrowsky et al. (2009).

Impronta dell’allevamentoLe più significative tra le specie allevate sono indica-

te dal PTCP (Provincia di Imperia, 2009) come ibovini (Vacca Piemontese) e gli ovini (Pecora Briga-sca), sui quali lo stesso documento fornisce il numerodi capi allevati per ciascun comune. Le informazioni sutipologie e modalità di allevamento sono ricavate dainterviste ai pastori. I parametri relativi alle razze alle-vate e alle loro caratteristiche sono forniti dal PortaleAgricoltura della regione Liguria (Agriligurianet, 2011).Si ricavano da Mekonnen e Hoekstra (2010a) i volumidi acqua utilizzati per i servizi al bestiame (WFserv), diquella bevuta dagli animali (WFdrink) e l’impronta delforaggio (WFfeed). L’assunzione giornaliera di cibo èottenuta da Rasby (2006) per le vacche, da BOA(1987) per le pecore.

L’impronta grigia legata agli allevamenti (WFall,grey)è calcolata come l’apporto medio di azoto dalle deie-zioni (Nd). Viene considerato solo il periodo di pascolo(8 mesi), in quanto le deiezioni prodotte durante lastagione in stalla sono utilizzate per la concimazione incampo agricolo. Nd è ottenuto (Tab. II), come sugge-rito dallo studio effettuato dalla Provincia di Livorno(ARSIA, 1998), moltiplicando tra loro il peso medio diogni capo (a), un fattore di correzione caratteristicoper ogni razza (b) e la quantità media di azoto nelle

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deiezioni (c). Viene assunto che vi sia una lisciviazionedi azoto del 20,5% rispetto agli apporti, come indicatoda Scotton et al. (2005).

WFall,grey è ricavata per ciascuna tipologia di animaleallevato [q] tramite la formula:

WFall,grey [q] = L / (cmax - cnat) [m3/anno]

Dove L è il carico totale lisciviato, corrispondenteagli apporti azotati di tutti i capi presenti in valle. Leconcentrazioni di azoto massime per i corsi d’acquariceventi sono desunte dal Dlgs. 152/2006, mentre leconcentrazioni naturali sono riferite al valore misuratonella Giara di Rezzo, che si considera come il torrentepiù incontaminato del bacino.

Impronta dell’industria e del settore domesticoL’impronta idrica del settore industriale (WFind) è

ottenuta dalla somma dell’acqua inglobata all’internodelle merci prodotte con quella di processo non resti-tuita. La raccolta dei dati è avvenuta tramite intervistedirette a rappresentanti delle aziende (Tab. I).

L’impronta idrica del settore domestico (WFciv) èottenuta dalla somma dell’impronta grigia dovuta agliscarichi reflui urbani (WFciv,grey), da quella blu(WFciv,blue) connessa alle perdite lungo la rete di distri-buzione comunale dell’acqua potabile e alle captazioniidriche a scopo potabile destinate all’adiacente bacinodel torrente Impero (Provincia di Imperia, 2009). Lecaratteristiche degli impianti di depurazione per il cal-colo di WFciv,grey sono ricavate a livello comunale dalPTCP (Provincia di Imperia, 2009). Le portate e leconcentrazioni di inquinanti in corrispondenza dei pun-ti di immissione in alveo vengono stimati tramite ilmodello indicato dalla Provincia di Torino (1982),utilizzando come indicatore l’azoto totale.

Valutazione di sostenibilitàLa valutazione di sostenibilità ambientale di impron-

ta blu all’interno di un bacino viene effettuata, comeindicato da Hoekstra et al. (2011), confrontando laWFblue incidente al suo interno con la disponibilità diacqua dolce (WAblue), dove:

WAblue = Rnat - EFR

Fig. 4. Composizione di WFagr,grey

Tab. II. Dati degli allevamenti utilizzati per i calcoli di impronta.

Pecore Vacche

Numero 1293 813Peso medio (a) 60 kg 550 kgConsumo di cibo (sostanza secca) 1,5 kg/die 11 kg/dieFattore di conversione (b) 14,67 14,67Frazione azotata delle feci (c) 0,008 0,004

Fig. 5. WFcrop,grey per ciascuna tipologia di coltura.

105 m

3 / h

a

Fig. 3. Composizione dell’impronta idrica complessiva del baci-no dell’Arroscia (WFArr).

Agricoltura

AllevamentoIndustria

Settore

Impronta verde

Impronta blu

Impronta grigia

domestico

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41,0 %

41,6 %

41,6 %99,3 %

0,7 %

Rnat (Run-off naturale) rappresenta la disponibilitàdi acqua dolce in assenza di intervento umano, mentreEFR sono le richieste ambientali di flusso, che l’uomoha il dovere di non intaccare (Richter, 2010). QuandoWFArr,blue eccede WAblue, si ha una situazione di inso-stenibilità ambientale. Rnat è ottenuto dal Piano di Baci-no (Provincia di Imperia, 2003) considerando la porta-ta naturale mensile del torrente Arroscia alla sezione dichiusura. Si considera l’approccio cautelativo di Hoe-kstra (2011), che suggerisce di considerare EFR comel’80% di Rnat, e lo si confronta con i valori del Deflus-so Minimo Vitale in corrispondenza della sezione dichiusura (Provincia di Imperia, 2003). Il DMV rappre-senta infatti l’unica limitazione alle derivazioni indicatadal Piano di Bacino.

RISULTATIWFArr per il periodo 2008-2010 ammonta a 231,1

Mm3/anno, ed è dovuta in massima parte alla com-ponente grigia (96,1%). In figura 3 la composizionepercentuale delle varie componenti (verde, blu egrigia), suddivise al loro interno secondo ciascunsettore produttivo. L’impronta grigia è dovuta per lamaggior parte all’agricoltura, in misura minore alsettore domestico e all’allevamento. L’impronta ver-de, che contribuisce al 2,7% del totale, è dovuta inmassima parte all’agricoltura e per il 9,4% all’alle-vamento. L’impronta blu contribuisce solo all’1,7%di quella totale ed è suddivisa in parti pressochéuguali tra agricoltura e settore domestico a cui siaggiunge una piccola percentuale da parte dei settoriindustriale e zootecnico.

Impronta dell’agricolturaAnalizzando i dati disaggregati per settore produtti-

vo, si osserva che l’impronta idrica dell’agricoltura(WFagr ) è pari a 152,8 Mm3/anno, di cui il 95,6% ècostituito dalla componente grigia (WFagr,grey) seguitada quella verde (3,3%) e da quella blu (1,1%). Infigura 4 si può osservare come la componente grigiasia legata prevalentemente alla somministrazione difitofarmaci ai vigneti, seguita dai trattamenti deglioliveti e da quelli dei frutteti e delle colture agrarie. Ilvigneto risulta anche la coltura con una maggioreimpronta grigia per ettaro, come si può notare infigura 5.

Se si considerano le impronte verde e blu a parte(Fig. 6), si osserva come gli oliveti diano un fortecontributo all’impronta verde agricola. Il contributomaggiore all’impronta blu è dato invece dalle coltureagrarie.

Analizzando tramite lo stesso ragionamento le diffe-renze tra ciascun ettaro coltivato (Fig. 7), si puònotare come le coltivazioni più intensive dal punto divista idrico siano le colture agrarie ed il frutteto, segui-te dall’oliveto irrigato, dal vigneto e dall’oliveto nonirrigato (che caratterizza circa il 90% degli oliveti delterritorio).

Impronta dell’allevamentoL’impronta idrica dell’allevamento (WFall) è pari a

29,5 Mm3/anno. È costituita per la quasi totalità (98,2%)dalla componente grigia (WFall,grey), legata in prevalen-za (74,3%) agli allevamenti bovini. Si osservi l’impor-tanza relativa delle componenti blu e verde aggregate

Fig. 6. Composizione di WFagr secondo le componenti blu e verde, per tipologia di uso del suolo agricolo.

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Fig. 8. Importanza delle componenti blu e verde di WFall

su WFall totale (Fig. 8) e su ogni capo allevato (Fig. 9).L’impronta dell’industria (WFind) ammonta a 51114

m3/anno. È composta totalmente dalla componente blued è dovuta prevalentemente all’imbottigliamento diacqua minerale (97,1%), a cui fa seguito la produzionedi calcestruzzo (2,9%) e la lavorazione e taglio dimateriali e roccia (0,001%).

L’impronta del settore domestico (WFciv) ammontaa 48,8 Mm3/anno, ed è costituita per il 96,5% dallacomponente grigia (WFciv,grey) e per il 3,5% da quellablu (WFciv,blue). WFciv,blue è legata per la quasi totalità(99,9%) ai prelievi da sorgente destinati al Comune diImperia e per la restante parte alle perdite lungo le retidi distribuzione di acqua potabile (222 m3/anno).

Valutazione di sostenibilitàCome si può osservare in figura 10, per l’impronta

blu i confini della sostenibilità (EFR) non sono maisuperati, né considerando l’approccio cautelativodell’80%, né tantomeno utilizzando i dati del DMV. Datenere in considerazione il fatto che WA è sicuramentesottostimato, dal momento in cui rappresenta unica-mente la portata naturale del torrente Arroscia allasezione di chiusura e non la totale disponibilità di acquadolce.

I mesi dell’anno in cui l’impronta blu è maggiore(giugno-settembre) sono anche quelli in cui la disponi-bilità idrica è minore. Tuttavia le caratteristiche esten-sive dell’economia valliva mantengono sempreWFArr,blue entro i limiti della sostenibilità.

I risultati ottenuti possono essere utilizzati per effet-tuare previsioni sull’evoluzione dell’impronta in segui-to a scelte gestionali e di settore. Ad esempio, è notoche l’irrigazione dell’oliveto ne aumenta la resa. Si puòdunque assumere che in un futuro l’irrigazione siespanda per rendere più produttivi i terreni. Anche sele previsioni economiche stimano un ulteriore abban-dono dei campi coltivati (Provincia di Imperia, 2009),si può immaginare una potenziale impronta secondo loscenario in cui tutto il territorio attuale ad oliveto vengaconvertito all’irrigazione. Come si può notare in figura11, se questo avvenisse potrebbero essere violati ilimiti di sostenibilità (EFR2) nei mesi caldi dell’anno(luglio-settembre), durante i quali vi è una minoredisponibilità idrica. Ad aggravare la situazione potreb-bero subentrare i mutamenti climatici che secondo leprevisioni (EEA, 2012b) potranno ridurre ulteriormen-te le disponibilità idriche locali a causa dell’instaurarsidi condizioni più aride.

DISCUSSIONELa netta preponderanza dell’impronta grigia su quel-

le blu e verde testimonia che la criticità principale delterritorio è rappresentata dall’inquinamento, in preva-

Fig. 7. WFcrop,blue e WFcrop,green per ciascun ettaro coltivato.

m3

/ ha

Fig. 9. WFall,blue e WFall,green per ciascun capo allevato.

m3 /

ann

o

2,8 %

97,2 %

3,2 %

96,8 %1,5 %98,5 %

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lenza quello diffuso di origine agricola. L’utilizzodegli agrofarmaci nei calcoli di impronta grigia agri-cola è tuttavia inusuale, dal momento in cui la mag-gior parte degli studi sinora pubblicati (e.g. Mekon-nen e Hoekstra, 2010b; Mekonnen e Hoekstra, 2011)ha utilizzato come indicatore l’azoto dei fertilizzanti.Hoekstra et al. (2011) sottolineano comunque cometra gli inquinanti prodotti debbano essere utilizzatiquelli ai quali corrisponde un valore di impronta mag-giore, che nel presente lavoro sono risultati i fitofar-maci. Anche per i calcoli sull’allevamento si è sceltodi superare i metodi comunemente utilizzati, che nonstimano il carico di inquinanti provenienti dagli alleva-menti ma considerano l’impronta grigia analizzandosolamente la fase di produzione del foraggio (Mekon-nen e Hoekstra, 2010a). Se si fosse scelta tale meto-dologia anche per il presente studio, essa sarebbestata nulla.

Nei risultati si sono aggregate ed analizzate separa-tamente l’impronta verde e quella blu, dal momento incui rappresentano lo sfruttamento dell’acqua in quanto“sorgente” per i prelievi. L’agricoltura contribuiscealla maggior parte dell’impronta verde della valle, erappresenta anche una buona percentuale dell’impron-ta di ciascun tipo di uso del suolo agricolo. Bastipensare all’impronta degli oliveti, in cui WFcrop,greenrappresenta la quasi totalità dei volumi e quindi permet-te, allo stato attuale, di raggiungere le richieste deicampi senza compromettere i limiti di sostenibilità. Sinoti l’importanza strategica dell’acqua verde, che haun minore costo di opportunità di quella blu (Aldaya etal., 2008). Il suo sfruttamento può comportare quindiuna diminuzione delle pressioni sugli ecosistemi ac-quatici e sulle falde. Soprattutto nella produzione delcibo, migliorare la gestione dell’acqua verde ed incre-mentare la sua produttività può essere uno strumentoutile per una gestione sostenibile delle risorse idriche(Zeng et al., 2012).

Si vuole ora confrontare l’impronta blu con i para-metri tradizionali sui prelievi idrici a scala di bacino. IlPiano di Bacino (Provincia di Imperia, 2003) fornisce i

Fig. 11. Valutazione di sostenibilità ambientale dell’impronta blusecondo le previsioni di incremento dell’irrigazione dell’ulivo.Seguendo l’approccio di Hoekstra et al. (2011) i limiti della so-stenibilità sono superati nei mesi secchi di luglio, agosto e set-tembre.

Fig. 10. Confronto tra impronta blu mensile (WFArr,blue), dispo-nibilità idrica (WAblue) e richieste ambientali (EFR) per la valuta-zione di sostenibilità ambientale. WAblue1 è calcolata utilizzandoi dati del DMV, mentre WAblue2 tramite l’approccio cautelativodell’80%.

Tab. III. Confronto tra concessioni per i prelievi idrici a livello dibacino (Provincia di Imperia, 2003 mod.) ed impronta idrica blurelativa.

Concessioni Concessioni ImprontaDestinazione (L/s) annuali blu

(Mm3) (Mm3)

Potabile 119 3,7 1,72Igienica 32 1 1,72Irrigua 160 5 1,68Industriale 0,3 0,09 0,05

dati relativi alle concessioni per i prelievi idrici, suddi-videndole per destinazione (Tab. III).

L’industria ha un’impronta blu corrispondente acirca il triplo dei volumi concessi. Quella del settoredomestico corrisponde invece a poco meno di un terzodelle concessioni nel settore. Le concessioni a scopoirriguo integrate lungo la stagione vegetativa (giugno-settembre) ammontano a 1,68 Mm3, che è esattamenteil volume di WFagr,blue. L’impronta blu, dal momento incui è per definizione minore o uguale alle derivazioni,indica dunque prelievi maggiori rispetto a quelli con-cessi (captazioni illegali) oppure un utilizzo assai razio-ne della risorsa. Del resto è possibile anche che si siagiunti ad una sovrastima di WFagr,blue, che può derivaredalle caratteristiche intrinseche del modello utilizzato

Mm

3M

m3

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(che esclude fattori limitanti l’evapotraspirazione) e/odall’imprecisione dei dati iniziali.

In ultima analisi si vuole notare come i consumidella città di Imperia, che costituiscono ingenti volumid’acqua sottratti al bacino, non solo rappresentino il99% dell’impronta blu del settore domestico, ma an-che il 50% di quella della valle, superando di pocol’agricoltura. Il dato è peculiare, dato che il settoreagricolo è a livello mondiale quello nettamente piùidrovoro dell’economia (Chapagain e Hoekstra, 2004).

CONCLUSIONILa carenza e l’imprecisione di numerosi dati ne-

cessari per i calcoli, prevalentemente dovute alla sca-la di indagine e allo scarso interesse economico delterritorio, hanno reso necessaria l’adozione di alcuneapprossimazioni. Queste hanno riguardato in partico-lare l’analisi dei dati meteoclimatici, che ha preso inconsiderazione tre anni consecutivi, non essendo di-sponibili serie locali sul lungo periodo; la semplifica-zione della modellazione sull’evapotraspirazione perla classe di uso del suolo “colture agrarie”; la man-canza di quelli relativi all’immissione di inquinantidagli impianti di depurazione. Tuttavia la precisioneassoluta del risultato finale (caratteristica che vienecomunque persa nella modellizzazione di sistemi com-plessi) non è l’obbiettivo dello studio, che è piuttostoquello di analizzare in che termini ciascun settoreproduttivo ricadente nel bacino contribuisce allo sfrut-

tamento dell’acqua dolce disponibile.A prescindere dai limiti di scala e di affidabilità dei

dati, è dunque chiaro come l’impronta idrica e la suavalutazione di sostenibilità ambientale possano risultareefficaci strumenti per la pianificazione territoriale e disettore, da poter inserire nei piani di bacino ed in quellidi tutela delle acque. Il raggiungimento dell’utilizzosostenibile delle risorse potrebbe essere ricercato af-fiancando agli attuali strumenti di pianificazione terri-toriale un efficace metodo di eccezionale valore rias-suntivo e divulgativo, utile sia a livello di analisi epianificazione sia a quello di partecipazione ed educa-zione della cittadinanza.

L’impronta idrica ha il vantaggio di riassumere inche termini l’economia sfrutta le risorse idriche. Ri-durre l’impronta significa ridurre gli impatti sulle risor-se idriche di bacino, ed incrementare la porzione verdea scapito di quella blu può essere un utile strumentoper diminuire le pressioni sulle risorse di acqua dolce,le quali vengono condivise con gli ecosistemi e pertan-to hanno un valore aggiunto ma anche un elevato costodi opportunità (Aldaya et al., 2008).

Come prospettive future, è auspicabile estendere lostudio all’intero bacino recettore (il Centa), sottopostoa impatti più intensi e vari rispetto all’area qui indagata.Sarebbe inoltre di grande interesse mettere in relazionei dati sull’impronta idrica con quelli sullo stato ecologi-co delle acque valutato attraverso i principali indicatoribiologici previsti dalla direttiva 2000/60.

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BRIGHENTI e BONA - Impronta idrica Valle Arroscia14

Lavori originali

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Biologia Ambientale, 28 (1): 15-24, 2014

Potenzialità e limiti della digestione anaerobicadelle biomasse derivanti dalle fioriture macroalgalinella Sacca di GoroMariachiara Naldi1, Luigi Fagioli2, Stefano Lovo3,Francesco Paesanti4, Saverio Turolla3, Pierluigi Viaroli1*

RIASSUNTOLe fioriture di specie macroalgali dei generi Ulva e Gracilaria rappresentano una seria minaccia per l’integrità ambientale e per lo sviluppodell’allevamento della vongola verace nella Sacca di Goro (Delta del Po). Fino ad oggi la crescita delle macroalghe è stata in parte controllatamediante la raccolta delle biomasse prodotte che sono state smaltite prevalentemente in discarica. In questa nota è valutata la possibilitàdi impiegare le biomasse per produrre biogas.L’analisi dei dati disponibili per la Sacca di Goro ha dimostrato che le biomasse algali sono disponibili solo stagionalmente con quantitativimediamente variabili tra 3000 e 6000 t di biomassa fresca. Il materiale algale presenta caratteristiche chimiche e biochimiche che nedimostrano l’idoneità per l’uso proposto, con un limite, già rilevato nella letteratura internazionale, dovuto all’alto contenuto di ceneri edi zolfo. In considerazione della disponibilità temporale e della qualità, le biomasse derivanti dalle fioriture macroalgali nella Sacca di Goropossono essere impiegate in co-generazione, miscelate con altri materiali disponibili in loco: sottoprodotti agricoli e della pesca, materialevegetale da sfalcio, deiezioni animali (es. pollina). Su questi aspetti sono in corso prove pilota per verificare la resa in metano di diversemiscele.

PAROLE CHIAVE: lagune costiere / eutrofizzazione / uso biomasse algali / biogas

Macroalgal blooms in the Sacca di Goro lagoon: feasibility and limits of biomass uses for biogas production.The macroalgal blooms of Ulva and Gracilaria species represent a serious threat to the ecosystem health and clam farming in the Saccadi Goro lagoon (Po river delta). To date, the macroalgal growth has been managed by biomass harvesting and disposal mainly in landfill.In this paper the possibility of using biomass to produce biogas is assessed. The analysis of the data available for the Sacca di Goro hasshown that algal biomass is only available seasonally, with quantities between 3000 and 6000 tonnes of fresh biomass. The chemical andbiochemical composition of the harvested biomass is suitable for anaerobic digestion, with some restrictions due to the high ash and sulfurcontent. Due to its timing and quality, we suggest to use the macroalgal biomass in co-generation, mixed with other materials available onsite: agricultural and fishery by-products, plant residues and manure. Pilot tests are ongoing to verify the methane yield of differentmixtures.

KEY WORDS: coastal lagoons / eutrophication / algal biomass uses / biogas

1 Dipartimento di Bioscienze, Università degli Studi di Parma, Parco Area delle Scienze 11A – 43124 Parma

2 Laboratorio Analisi Agroalimentari, via Conca 85 – 44123 Ferrara

3 P.O. Acque Costiere ed Economia Ittica, Provincia di Ferrara, via Isonzo 105/a – 44121 Ferrara

4 Biologo Libero professionista, via G.Carducci 16 – 44020 Goro (FE)

* Autore per la corrispondenza: [email protected]

Pervenuto il 5.9.2013; accettato il 16.10.2013

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NALDI et al. - Biogas da biomasse di fioriture macroalgali16

Lavori originali

CONTROLLO E USO DELLE BIOMASSEDELLE FIORITURE MACROALGALINELLE LAGUNE COSTIERE

A partire dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso,le lagune dell’Alto Adriatico sono state interessate dauna crescente diffusione di fioriture di macroalgheefemerali (Sfriso e Facca, 2007; Abbiati et al., 2010).Nella laguna di Venezia il fenomeno ha avuto il massi-mo sviluppo dal 1975 al 1985, quando è stata stimatauna produzione annua netta di alghe verdi del comples-so Ulva pari a ~3 x 106 t di biomassa fresca, con unpicco di standing crop pari a ~0.8 x 106 t nella tardaprimavera (Sfriso e Facca, 2007). Dal 1990 in poi, laproliferazione di Ulva nella laguna di Venezia si ènotevolmente ridimensionata, mentre è comparsa inmodo massiccio nelle lagune del delta del Po, in parti-colar modo nella sacca di Goro, dove ha avuto ilmassimo sviluppo fino al 1998 (Viaroli et al., 2006) e,di nuovo, tra il 2005 e il 2008 (Abbiati et al., 2010).

Il picco di biomassa si presenta in genere tra maggioe giugno, quando gli specchi d’acqua sono completa-mente coperti da più strati di talli con uno spessore didiverse decine di cm (Fig. 1). In queste condizioni, leconcentrazioni dell’ossigeno subiscono ampie varia-zioni giornaliere, passando da valori di saturazione dioltre il 200% nelle ore di massimo irraggiamento allacompleta anossia nelle ore notturne (Viaroli et al.,2010). L’aumento delle temperature e l’accumulo dicosì elevate quantità di biomassa possono infine inne-scare intensi processi di decomposizione microbicache portano alle cosiddette crisi distrofiche, ovveroalla comparsa di condizioni di anossia che possonopersistere per più giorni nell’intera massa d’acqua. Idanni al biota acquatico derivanti dalla carenza di ossi-geno possono essere ulteriormente aggravati dall’in-sorgenza di processi anaerobici, quali la solfato-ridu-zione, che producono sostanze tossiche come l’acidosolfidrico (Viaroli et al., 2010).

Le fioriture macroalgali sono particolarmente dan-nose per l’ecosistema acquatico che va incontro aprocessi degenerativi con la perdita delle componentibiologiche più pregiate. La formazione dei letti macro-algali e le frequenti crisi distrofiche hanno inoltre unimpatto rilevante sull’allevamento dei molluschi, unadelle componenti fondamentali dell’economia locale.

Le cause della crescita abnorme delle macroalghevanno ricercate nei carichi di azoto e fosforo cheprovengono soprattutto dal Po di Goro e dal Po diVolano (Viaroli et al., 2006) e dalla disponibilità dimicroelementi che possono stimolare la produttivitàfotosintetica (Viaroli et al., 2005; Naldi e Viaroli, 2012).La diffusione e lo sviluppo delle macroalghe possonoperò dipendere anche dalla gestione degli allevamentidelle vongole e della sacca nel suo complesso (Nizzoli

et al., 2007; Viaroli et al., 2010). In particolare, imolluschi filtratori esercitano una pressione di pascolosul fitoplancton e rigenerano i nutrienti inorganici mo-dificandone la stechiometria: in tal modo le macroalghepossono essere favorite a svantaggio del fitoplancton(Bartoli et al., 2001; 2003).

Per prevenire i danni derivanti dalle fioriture, neglianni sono state avviate campagne di raccolta dellemacroalghe, in genere nel momento di massima cre-scita e con risultati non sempre positivi. Il problemadei costi e dei benefici attesi dalla raccolta delle bio-masse macroalgali è stato studiato con l’ausilio dimodelli bio-economici con l’obiettivo di fornire unsupporto scientifico alle decisioni (De Leo et al., 2002;Cellina et al., 2003; Mocenni et al., 2009). In partico-lare si è avuta la riprova che per ottenere un controlloeffettivo delle fioriture nei momenti di massimo svilup-po i tassi di raccolta devono essere nettamente supe-riori a quelli di crescita della biomasse. In tal modoperò si ha un grande accumulo di biomassa putrescibi-le che deve essere smaltita in tempi rapidi. In alternati-va, si può procedere alla raccolta delle biomasse nelleprime fasi di crescita, controllando le zone da cui sisviluppa successivamente la fioritura. In tutti i casi sipone il problema dello smaltimento delle biomasse.Fino ad oggi si è proceduto prevalentemente allo smal-timento in discarica, con costi particolarmente elevati.L’impiego agronomico diretto è stato escluso per ipossibili rischi di salinizzazione dei suoli. A livellosperimentale sono stati sviluppati progetti per l’essic-cazione delle biomasse e per la produzione di carta.Queste ultime iniziative, che hanno un notevole valoresimbolico, non sono però sostenibili per gli elevaticosti energetici e per l’impatto ambientale ad essicorrelati. Negli ultimi anni, con lo sviluppo delle ener-gie alternative, ha ripreso quota l’uso energetico cheaveva avuto un notevole impulso tra il 1970 e il 1980,in occasione della prima grande crisi energetica.

LE BIOMASSE MACROALGALICOME POSSIBILE FONTE DI ENERGIA

La possibilità di utilizzare le macroalghe marine perla produzione di energia è stata studiata a partire dallagrande crisi energetica dagli anni ’70 del secolo scorso(Habig et al., 1984; Ryther et al., 1984; Bird et al.,1990). Tali studi dimostrarono come la prospettivamigliore fosse rappresentata dalla produzione di meta-no, mentre risultò poco conveniente la conversione inbiocarburante (bioetanolo e biodiesel), a causa delbasso contenuto di lipidi delle macroalghe. Il trasferi-mento dei risultati di laboratorio alla scala di impiantoreale non ebbe però esiti positivi e gli studi furonoabbandonati (Bruhn et al., 2011). L’uso di questebiomasse per la produzione di metano ha ricevuto

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nuovo interesse negli ultimi anni come conseguenzadegli studi sulle fonti energetiche rinnovabili e in ragio-ne dell’eccessiva proliferazione di macroalghe, qualiUlva e Gracilaria, in ambienti acquatici eutrofizzati,per esempio nella Laguna di Venezia (Cecchi et al.,1993) e sulle coste della Bretagna, in Francia (Briand eMorand, 1997). Ad esempio si citano alcuni progettidi ricerca finanziati a livello europeo: Aquafuels (http://www.aquafuels.eu/), BioMara (http://www.biomara.org/), BioWALK4biofuels (http://www.biowalk4biofuels.eu/).

I nuovi studi hanno ulteriormente dimostrato comele biomasse prodotte da macroalghe marine a rapidacrescita siano un materiale interessante per la produ-zione di biogas (Wei et al. 2013); restano tuttavia iproblemi del trasferimento alla scala industriale e dellagestione delle biomasse, già evidenziati negli studi pre-cedenti. Una sintesi dei vantaggi e dei limiti della con-versione delle biomasse macroalgali in biogas è ripor-tato nella tabella I.

Alcuni dei limiti dell’uso di Ulva e Gracilaria inimpianti di produzione di biogas possono essere superaticon la co-digestione con altre matrici a disponibilitàcostante o più ricche di carbonio: frazione organica deirifiuti solidi urbani (Cecchi et al. 1993), residui dilavorazione del latte (Matsui e Koike, 2010), liquame diallevamenti di suini (Nielsen e Heiske, 2011, Peu et al.2011), fanghi di depurazione (Costa et al., 2012), sedi-menti lagunari (Migliore et al., 2012) e oli esausti (Parke Li, 2012). Restano aperti altri problemi legati allastagionalità della disponibilità della biomassa macroalga-le e del contenuto di azoto dei talli che, in certi momentidel ciclo di crescita, aumenta portando il rapporto C:N avalori inferiori a 20-30, al di sotto della soglia ottimale

per la digestione anaerobica (Nielsen et al., 2012). Lemacroalghe marine hanno infine un contenuto eccessi-vo di zolfo e di ceneri che interferiscono con l’applica-zione alla scala industriale (Peu et al., 2011).

DISPONIBILITÀ DELLE BIOMASSEMACROALGALI NELLA SACCA DI GORO

Tassi di crescita e variazionistagionali delle biomasse

La vegetazione acquatica della Sacca di Goro èdominata da poche specie di macroalghe bentonicheappartenenti prevalentemente ai generi Ulva (Chlo-rophyta) e Gracilaria (Rhodophyta). Il sopralluogopiù recente, effettuato nel 2009, ha rilevato cinquespecie di Ulva (U. compressa, U. curvata, U. linza, U.prolifera, U. rigida), tra le quali prevale Ulva rigidache dalla fine degli anni ’80 è sempre stata la speciedominante la comunità macroalgale. L’altra specie im-portante, per abbondanza e copertura, è Gracilariavermiculophylla. Questa specie alloctona di origineasiatica, segnalata per la prima volta nel 2008 in alcunelagune del delta del Po Veneto, nella Sacca di Goro hacompletamente sostituito la rodoficea autoctona Gra-cilaria verrucosa (Sfriso et al., 2010; 2012).

Le specie del genere Ulva crescono principalmentenella zona orientale (Valle di Gorino) e nel periodo dimassima diffusione possono estendersi fino a centroSacca (Viaroli et al., 2006). Gracilaria, in precedenzalimitata alla zona centrale e settentrionale della laguna,occupa attualmente anche la Valle di Gorino (Viaroli etal., 2006; Sfriso et al., 2012).

La biomassa delle principali specie macroalgali hauno sviluppo stagionale con minimi invernali e massimi

Tab. I. Vantaggi e limiti della produzione di biogas da macroalghe (Briand e Morand, 1997; Morand e Briand, 1999; Bruhn et al., 2011).

vantaggi limiti

Elevati tassi di crescita.

Buon contenuto di polisaccaridi, necessari per un’efficienteproduzione di metano.

Non necessitano di consumo di suolo agricolo o acqua, quin-di non c’è competizione con le colture agricole destinateall’alimentazione umana.

Possibilità di utilizzo nell’acquacoltura integrata per il trat-tamento degli scarichi di impianti di allevamenti ittici.

Depurazione “naturale” dei corpi idrici soggetti ad elevaticarichi di nutrienti: le alghe assimilano i nutrienti in eccessoe la produzione di biogas rappresenta una valida alternativaallo smaltimento in discarica delle biomasse che devono es-sere raccolte da spiagge e lagune costiere.

La disponibilità di biomassa non è costante, ma concentrata in un periodorelativamente breve dell’anno (anche se le macroalghe sono presenti tuttol’anno, la raccolta non è conveniente al di sotto di una certa soglia dibiomassa).

Elevato contenuto di acqua (circa l’85-90% del peso fresco).

Elevato contenuto di ceneri, compreso tra il 20 e il 50 % del peso secco(metalli, in particolare alcalini quali Na e K), che comportano problemi difouling del digestore.

Elevato contenuto di zolfo che causa la formazione di H2S. Durante lacombustione del biogas H2S viene trasformato in H2SO4 con danni alleparti metalliche.

I pre-trattamenti necessari per migliorare la resa del processo (risciacquocon acqua dolce per eliminare sabbia, detriti e sali, essiccamento) fannoaumentare notevolmente i costi.

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Lavori originali

tardo-primaverili o estivi (Fig. 1).Per Ulva i valori massimi di biomassa (come so-

stanza secca) possono arrivare ad oltre 1000 g m-2.Negli anni ’90 G. verrucosa raggiungeva in generebiomasse attorno ai 200 g m-2. Attualmente G. vermi-culophylla è presente con popolamenti molto abbon-danti, soprattutto nella Valle di Gorino. I primi risultatidi una ricerca iniziata nel 2013 hanno evidenziato comela crescita di questa specie sia molto più invasiva dellaprecedente. Nel mese di maggio 2013 ha infatti rag-giunto una copertura pari a circa il 90% in tutta la Valledi Gorino, con densità mediamente comprese tra 500 e2500 g m-2 (come biomassa secca).

In diverse occasioni, tra il 1994 e il 1998, sono statideterminati in campo i tassi di crescita di Ulva eGracilaria (Viaroli et al., 1996; 2005). L’incubazionedei talli di Ulva in gabbie sospese nella colonna d’ac-qua per circa una settimana ha permesso di calcolaretassi di crescita di Ulva compresi tra 5 e 15% d-1 nelperiodo primaverile (Tab. II). I tassi di crescita diGracilaria sono stati misurati solo nel 1995 e sono

risultati inferiori a quelli di Ulva (0,6 - 5 % d-1). Almomento non sono disponibili dati sui tassi di crescitadi G. vermyculophylla nella Sacca di Goro, ma inletteratura sono riportati valori compresi tra 1 e 8% d-1

per un ampio spettro di condizioni ambientali dal MarBaltico (Weinberger et al., 2008; Nejrup e Pedersen,2010) al Portogallo (Abreu et al., 2011).

I tassi di crescita dipendono da temperatura, radia-zione luminosa, disponibilità dei nutrienti e densità dellebiomasse algali. Nell’arco dell’anno, l’andamento sta-gionale dei tassi di crescita di Ulva è guidato principal-mente dalle variazioni di temperatura e radiazione lumi-nosa. La disponibilità di nutrienti (azoto, fosforo emetalli) stimola direttamente la capacità di crescitaquando luce e temperatura sono favorevoli, mentrel’accumulo di biomassa deprime l’ulteriore accresci-mento delle macroalghe (limitazione da densità). I tassidi crescita riportati in tabella II sono da considerarsipotenziali, in quanto le densità iniziali in ogni esperi-mento erano molto basse (pochi grammi di sostanzasecca per gabbia).

Tab. II. Tassi giornalieri di crescita massimi di Ulva e Gracilaria determinati con incubazioni in gabbie sospese nella colonna d’acqua nellaSacca di Goro. Dati da Viaroli et al. (1996, 2005) e dati non pubblicati. Per ogni data sono riportati i valori medi e le deviazioni standard(d.s.) di cinque repliche.

Ulva rigida Gracilaria verrucosaanno periodo tasso di crescita (% d-1) tasso di crescita (% d-1)

media d.s. media d.s.

1994 Maggio 8,21 1,201995 Luglio 10,93 0,83 2,80 3,591997 Aprile 15,45 4,681998 Aprile 11,73 1,25

Fig. 1. a: variazioni delle biomasse di Ulva nella Valle di Gorino negli anni di maggiore crescita (1992 e 1998). Dati riprodotti da Viaroliet al. (2005, 2006). b: zone della Sacca di Goro interessate dalle fioriture di Ulva e Gracilaria negli anni 1992 e 1997 (Viaroli et al., 2006)e dalla crescita di Gracilaria vermiculophylla nel 2013. Le aree in grigio rappresentano le concessioni degli allevamenti di vongole.

a b

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Stima della biomassa potenzialmenteutilizzabile per la conversione in biogas

La biomassa macroalgale potenzialmente disponi-bile per la digestione anaerobica è stata valutata con imodelli elaborati da De Leo et al. (2002) e Cellina etal. (2002; 2003) per ottimizzare la raccolta di Ulvanella Sacca di Goro. Questi modelli valutano la sogliadi sicurezza oltre la quale è bene raccogliere Ulva,minimizzando così il rischio di collasso dei letti algali,con conseguente crisi distrofica, e i costi di raccoltae smaltimento della biomassa. Entrambi i modelliindicano in 100 g m-2 (come biomassa secca) il valoresoglia da non superare per avere un rapporto costibenefici ottimale. In particolare, il modello di Cellinaet al. (2002) propone una valutazione costi/beneficidella decisione di raccogliere le biomasse macroalgaliper prevenire il rischio della crisi distrofica. A partireda biomasse di 50 g m-2 (come peso secco), laraccolta meccanica con i battelli in uso nella saccarichiede uno sforzo di 1 battello per 1,25 km2 in unasuperficie che è pari a quella abitualmente occupatadalle macroalghe nel momento di massimo sviluppo(circa il 50% della superficie della sacca). Nell’ipote-si di sfruttare la biomassa raccolta per la produzionedi biogas, i costi di smaltimento non rappresentereb-bero più un problema, ma resta la necessità di racco-gliere la biomassa a densità inferiori a 100 g m-2 chegarantiscano la prevenzione della crisi anossica. Per-tanto, è possibile calcolare, sia pure con ampi marginidi incertezza, la biomassa che può essere potenzial-mente raccolta per la produzione di biogas. Il calcoloè stato fatto sulla base delle seguenti assunzioni: 1) ibattelli raccolgono le macroalghe quando la densità ècompresa tra 50 e 100 g m-2 come peso secco; 2)l’area interessata varia tra 6,5 e 13 km2; 3) la coper-tura macroalgale, nell’area interessata, varia tra il 50e il 100%; 4) il rapporto peso secco/peso fresco è 1/10. Nella tabella III sono riportate le tonnellate dipeso fresco raccolte che si ottengono dalle possibilicombinazioni di questi fattori. I valori così ottenutirappresentano la biomassa presente sulla superficielagunare ad un dato momento. Questi valori rappre-sentano la massima quantità di biomassa utilizzabilenell’ipotesi che la raccolta sia effettuata tutta nellostesso giorno. Si tratta ovviamente di un’ipotesi nonrealistica, in quanto l’attività dei battelli è possibilesolo nelle ore di luce e con marea medio-alta, per cuigli interventi sono ripetuti in più giorni e/o settimane.In tal caso la biomassa raccolta aumenta in quanto labiomassa residua continua a crescere. I valori cosìcalcolati rappresentano pertanto un limite inferioredelle quantità che sono potenzialmente disponibili.

Considerando i vari scenari riportati nella tabella III,si può notare come i valori più frequenti sono compre-

si tra 3.250 e 6.500 t di peso fresco, con un picco di13.000 t. I dati simulati con i modelli sono coerenti coni valori di biomassa effettivamente raccolti in occasio-ne delle fioriture algali (Tab. IV). Tali valori possonoragionevolmente rappresentare la quantità minima di-sponibile nel caso di fioriture di Ulva. Si può pertantoritenere che con la gestione corrente della sacca sipotrebbero rendere disponibili fino a circa 10.000 t dibiomassa algale fresca per un periodo di circa duemesi l’anno, a grandi linee tra aprile e giugno.

La simulazione della raccolta è stata fatta imponen-do la condizione che si debba iniziare l’interventoprima di arrivare a densità superiori a 100 g m-2. Nelcaso in cui si volesse aumentare la quantità di bio-massa da avviare alla digestione anaerobica bastereb-be alzare la soglia a 150-200 g m-2. Si deve tuttaviaconsiderare che, se è vero che nella Sacca di Gorosono state osservate densità macroalgali anche mag-giori di 300 g m-2 ben prima dell’insorgenza delle crisi

Tab. IV. Dati relativi alla quantità di biomassa di Ulva raccoltanella Sacca di Goro dal 1991 al 2010 (dati Provincia di Ferrara) ealla corrispondente produzione potenziale di metano, assumen-do un contenuto di solidi volatili pari al 75% del peso secco.

raccolto biomassa fresca produz. potenziale di metano (m3·103)(t) min max

1991 1100 30 401997 3200 80 1301998 12000 290 4901999 4500 110 1802001 3000 70 1202004 500 10 202005 6000 140 2402006 1650 40 802007 6000 140 2402008 5000 120 2002009 4000 100 1602010 3000 700 120

Tab. III. Previsione del raccolto annuale di biomasse algali sullabase dei modelli di De Leo et al. (2002) e Cellina et al. (2002;2003).

Biomassa totale raccolta (t peso fresco)Densità Superficie Copertura(peso secco) 50% 100%

50 g m-2 6,5 km2 1625 3250

13 km2 3250 6500

100 g m-2 6,5 km2 3250 6500

13 km2 6500 13000

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anossiche (es. 1992 e 1997, Fig. 1), in altri anni lecrisi si sono verificate con biomasse non superiori ai200 g dw m-2 (1991, 1994, 1995). La raccomanda-zione di rispettare la soglia dei 100 g dw m-2, e sepossibile iniziare la raccolta a biomasse addiritturainferiori, riveste quindi una fondamentale importanzaper evitare l’insorgenza delle crisi anossiche (Cellinaet al., 2003).

È importante osservare che questo tipo di raccoltaè fortemente stagionale e che avviene necessariamen-te in un arco di tempo breve, in modo da ridurre alminimo il rischio che le biomasse vadano incontro adecomposizione causando l’anossia. Nell’ipotesi quindiche le biomasse riportate nella tabella III rappresenti-no il totale annuale, esse corrispondono a una resaannuale di 2,5 – 10 t ha-1 di sostanza fresca (pari acirca 0,25 – 1 t ha-1 di sostanza secca). Questi valorisono nettamente inferiori alle rese per ettaro di coltu-re per le produzioni bioenergetiche o degli scarti dialtre coltivazioni vegetali (Bruhn et al., 2011). Sistima che agli inizi di giugno 1997, poco prima delverificarsi della crisi distrofica, fossero presenti incirca la metà della superficie lagunare da 50.000 a70.000 tonnellate di biomassa fresca, che dall’iniziodegli studi nella Sacca di Goro rappresentano il pro-babile limite massimo raggiunto dallo standing crop diUlva (Fig. 1, Viaroli et al., 2006). In questo caso, laresa annuale di circa 4-6 t ha-1 di sostanza secca, è digran lunga inferiore alle rese delle coltivazioni di Ulvae Gracilaria che possono variare da 27 a 88 t ha-1

come sostanza secca (Bruhn et al., 2011).

Composizione elementare di Ulva e GracilariaNella tabella V è riportato il contenuto medio di

carbonio, azoto, fosforo e sostanza organica di Ulva eGracilaria raccolte nella Sacca di Goro tra il 1989 e il1998 in occasione di campionamenti e campagne spe-rimentali. Dato l’elevato numero di campioni analizzati,in particolare per Ulva, i valori riportati possono esse-re considerati rappresentativi della composizione me-dia, nonché dell’intervallo di variazione, delle macroal-ghe della laguna.

La composizione elementare dei talli delle macroal-ghe presenta variazioni stagionali più o meno ampie, aseconda dell’elemento considerato. Il contenuto mediodi carbonio è attorno al 30 % del peso secco perentrambe le macroalghe e non presenta variazioni sta-gionali significative, fatta eccezione per i valori minimiosservati durante le fasi di collasso della biomassa altermine della stagione di crescita. Azoto e fosforopresentano invece una più marcata variabilità. In parti-colare, Ulva ha un contenuto massimo di azoto totaledel 4-5 % in inverno, quando la disponibilità in acquadi azoto inorganico disciolto è massima e i tassi dicrescita sono limitati dalle condizioni sfavorevoli diluce e temperatura (Viaroli et al., 2005). Contenutielevati di azoto totale indicano in genere un alto conte-nuto proteico, ma Ulva è in grado di accumulare azotoanche in forma nitrica fino a raggiungere il 15 %dell’azoto totale (Naldi e Viaroli, 2002). Le riserve dinitrato si esauriscono nella tarda primavera, quando lacrescita è massima e la disponibilità di azoto nitriconell’acqua è pressoché nulla.

Tab. V. Valori minimi, massimi, mediani e medi del contenuto di carbonio, azoto, fosforo, ceneri e di alcuni metalli in campioni di Ulva eGracilaria raccolti in Sacca di Goro dal 1991 al 1997. Tutti valori sono espressi come % o μg/g di sostanza secca. d.s. = deviazionestandard; n = numero di campioni analizzati; n.r. = non rilevabile.

%C %N %P % ceneri Fe Mn Cu Zn Cr Ni Pb Cd(μg/g) (μg/g) (μg/g) (μg/g) (μg/g) (μg/g) (μg/g) (μg/g)

Ulvamin 21,15 1,50 0,08 14,59 268 40 0,06 15,40 0,64 3,89 0,40 0,06max 36,00 5,05 0,43 45,85 7026 4541 23,66 269,20 27,80 27,90 13,00 0,62mediana 30,25 3,22 0,19 23,16 963 426 3,91 70,60 3,50 14,60 3,50 0,12media 29,61 3,17 0,21 24,37 1479 681 6,96 92,83 5,76 14,31 3,84 0,17d,s, 3,18 0,66 0,08 5,71 1524 862 7,96 68,01 6,26 6,18 3,37 0,16n 97 108 109 109 34 34 20 32 22 22 21 10

Gracilariamin 26,58 2,85 0,09 17,60 204 49 4,42 29,30 0,51 3,34 0,20 n,r,max 34,39 4,51 0,43 41,80 3497 14384 17,30 185,70 10,80 29,30 13,00 n,r,mediana 30,75 3,34 0,26 25,73 1295 3996 9,48 52,80 2,70 12,28 8,50 n,r,media 30,57 3,57 0,25 26,86 1536 3745 9,42 65,05 3,75 13,88 7,27 n,r,d,s, 1,96 0,50 0,08 6,66 923 3326 3,87 40,31 2,71 6,51 4,81n 27 27 32 21 21 21 21 21 21 21 18

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NALDI et al. - Biogas da biomasse di fioriture macroalgali 21

Lavori originali

Entrambe le macroalghe hanno un contenuto mediodi ceneri compreso tra il 24 e il 27%, con massimi finoal 40-45%. Anche il contenuto di metalli può essereelevato, in particolare quello di Fe e Mn in Gracilaria(Tab. V).

Il contenuto di carboidrati, proteine e lipidi di Ulva eGracilaria può variare per l’effetto delle condizioni dicrescita (intensità della radiazione luminosa, disponibi-lità di azoto e fosforo). In letteratura sono disponibilinumerosi dati sui contenuti elementari e macromole-colari delle macroalghe, ma raramente sono presentatidatabase completi accompagnati da dati ambientali dicontorno quali temperatura dell’acqua, nutrienti di-sciolti, biomassa presente (importante per dedurre ilgrado di auto ombreggiamento e quindi di limitazionedella fotosintesi). I dati relativi ad alcune specie diUlva sono riportati nella tabella VI.

Mentre il contenuto di lipidi raramente supera il 5%del peso secco, il contenuto di carboidrati è più impor-tante e generalmente compreso tra il 20 e il 30% delpeso secco (Peña-Rodríguez et al., 2011; Satpati ePal, 2011; Yaich et al., 2011). Tra i carboidrati, inUlva una frazione importante è rappresentata dall’ul-vano, un polisaccaride della parete cellulare ad elevatocontenuto di zolfo (Robic et al., 2009).

Ulva e Gracilaria possono dare una resa in metanocompresa tra 160 e 400 m3 t-1 di solidi volatili (Tab.VII). Gracilaria ha una resa maggiore di Ulva. Sulla

base dei dati di letteratura possiamo quindi concludereche le macroalghe presenti nella Sacca di Goro sonopotenzialmente idonee alla produzione di biogas e chepossono dare rese confrontabili con le principali coltu-re da bioenergetiche. Occorre però precisare che glistudi fin qui condotti hanno riguardato macroalgheappositamente coltivate per la produzione di energia(Bruhn et al., 2011). L’impiego delle biomasse deri-vanti da fioriture macroalgali non presenta problemi diidoneità per la digestione anaerobica (Briand e Mo-rand, 1997; Morand e Briand, 1999), ma piuttosto èreso difficile dalla gestione (disponibilità, raccolta etrattamento) delle biomasse prodotte in condizioni noncontrollate.

Sulla base delle rese stimate da Braun (2007) e daBruhn et al. (2011) è stata fatta una valutazione dellaproduzione potenziale di biogas a partire dalle quantitàdi biomassa di Ulva effettivamente raccolta in lagunatra il 1991 e il 2010: si osserva una grande variabilitàcon un minimo di 10.000 m3 ed un massimo di circa490.000 m3 (Tab. IV).

CONSIDERAZIONI DI SINTESI:POTENZIALITÀ DELLA DIGESTIONEANAEROBICA DELLE BIOMASSEMACROAGALI DELLA SACCA DI GORO

Nella Sacca di Goro, le frequenti fioriture macroal-gali costituiscono un grave rischio per gli allevamentidi vongole. I danni maggiori sono causati dalle crisianossiche che accompagnano il collasso e la decom-posizione dei letti macroalgali. Danni non marginalipossono derivare anche dalla deposizione di spessistrati di macroalghe sui banchi dei molluschi allevati.

La crescita e la diffusione incontrollata delle ma-croalghe dipende in larga misura dalla disponibilità diazoto e fosforo, per cui la soluzione del problemarichiede interventi preventivi, sulle sorgenti di questinutrienti.

In occasione delle fioriture macroalgali, al fine diridurne l’impatto, sono necessari interventi di rimozio-ne delle biomasse prodotte. La raccolta delle alghepresenta anzitutto problemi tecnici, dovuti alla disponi-bilità di mezzi adatti ad operare in fondali poco profon-di. I problemi maggiori sono però costituiti dai costi, inparticolare da quelli che coprono le spese di trasporto esmaltimento del materiale raccolto. Tali oneri possonocompromettere la sostenibilità economica dell’alleva-mento dei molluschi che rappresenta uno dei cardinidell’economia locale.

La possibilità di trovare un impiego produttivo dellebiomasse macroalgali rappresenta pertanto una grandeopportunità per ridurre i costi e, nel contempo, puòcontribuire alla sostenibilità complessiva della gestionedell’ecosistema lagunare.

Tab. VII. Resa in biomassa e in biogas di Ulva e Gracilaria(Bruhn et al., 2011) e di alcune delle più comuni colture bioener-getiche (Braun et al., 2010). La biomassa è espressa come sostan-za secca con un contenuto medio di solido volatile del 75%.

Resa in biomassa Resa in metanot ha-1 a-1 m3 t-1 di biomassa

(come solido volatile)

Ulva 45-74 160-270Gracilaria 40-87 280-460Mais 40-50 210-450Orzo 12-24 350-660Paglia 7-13 240-320

Tab. VI. Contenuto di proteine, lipidi, ceneri e zuccheri in speciedel genere Ulva (Briand e Morand, 1997)

Ulva Composiz. degli zuccheri di Ulva (%)

Proteine (%) 10-17 ramnosio 36-41Lipidi (%) 1,8-3,5 acidi uronici 19-21Zuccheri (%) 41-61 xylosio 7-9Ceneri (%) 17-35 glucosio 10-16Zolfo (%) 3-4 galattosio 3-4

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Lavori originali

In considerazione della composizione delle biomas-se prodotte, che in genere sono costituite da più spe-cie, e del possibile accumulo di metalli e sostanzechimiche di sintesi sono stati esclusi gli usi che preve-dono l’estrazione di sostanze da destinare alle industriealimentare e farmaceutica. L’impiego agronomico comeammendante è stato escluso in ragione della salinità delmateriale raccolto. È stato pertanto considerato il solouso energetico per la produzione di biogas.

Le valutazioni generali delle potenzialità e dei limiti diquesta opzione sono già stati richiamati nella tabella I.

L’analisi dei dati disponibili per la Sacca di Goro hadimostrato che le biomasse algali sono generalmentedisponibili per un breve periodo di tempo, in genere daaprile a giugno. Osservazioni e indagini recenti hannoperò dimostrato che la specie invasiva G. vermicu-lophylla, presente in sacca da circa cinque anni, tendea persistere più a lungo, soprattutto nella parte piùorientale (Valle di Gorino). In tutti i casi, ad una primavalutazione sia su base modellistica che con riferimen-to ai dati della raccolta effettiva svolta dal 1991 adoggi, potrebbe essere mediamente garantita una dispo-nibilità di 3.000-6.000 t di biomassa fresca in un arcodi tempo di circa tre mesi.

Il materiale algale presenta caratteristiche chimichee biochimiche che ne dimostrano l’idoneità per l’usoproposto, con un limite, già rilevato nella letteraturainternazionale, dovuto all’alto contenuto di ceneri e dizolfo. Questo materiale è inoltre ricco d’acqua e non èpertanto idoneo allo stoccaggio. Prove preliminari diconservazione in cumuli delle biomasse appena raccol-te e lavate hanno evidenziato la tendenza alla putrefa-

zione che è, tra l’altro, accompagnata dalla perdita dicirca il 50% dei carboidrati.

Le biomasse macroalgali raccolte con mezzi mec-canici sono frammiste a quantità spesso significativedi sedimento che determina un netto aumento delcontenuto di ceneri. Prima dell’uso le biomasse vannodunque lavate per rimuovere il detrito inorganico, conpossibili costi aggiuntivi.

In ultima analisi, in considerazione della disponibilitàtemporale e della qualità, le biomasse derivanti dallefioriture macroalgali nella Sacca di Goro possono es-sere impiegate in co-generazione, miscelate con altrimateriali disponibili in loco: sottoprodotti agricoli edella pesca, materiale vegetale da sfalcio, deiezionianimali (es. pollina). Su questi aspetti sono in corsoprove pilota per verificare la resa di diverse miscele.

Più in generale, anche un impiego parziale dellebiomasse raccolte ha un notevole valore euristico inquanto ha l’obiettivo di promuovere una gestione inte-grata del sistema lagunare e del territorio circostante.In prospettiva, si potrebbe addirittura ipotizzare digestire le biomasse macroalgali per ridurre il carico deinutrienti che arrivano alla laguna, sfruttando l’approc-cio delle poli-colture o, entro certi limiti, dei sistemiestensivi di fitodepurazione.

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RINGRAZIAMENTIQuesto lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto SEA-R,Energia sostenibile nelle Regioni dell’Adriatico: Conoscenza perinvestire, progetto europeo realizzato nell’ambito del program-ma di cooperazione transfrontaliera IPA Adriatico e coordinatodalla Provincia di Ferrara.

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NALDI et al. - Biogas da biomasse di fioriture macroalgali24

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Biologia Ambientale, 28 (1): 25-37, 2014

Definizione dello stato ecologico secondo il D.M.260/2010 in due fiumi di pianura (Adda e Ticino)interessati dal Deflusso Minimo Vitale

Francesca Salmaso 1*, Silvia Quadroni 1, Andrea Romanò 2,Stefania Compare 2, Gaetano Gentili 2, Giuseppe Crosa 1

1 Dipartimento di Scienze Teoriche e Applicate, Università degli Studi dell’Insubria, Via JH Dunant, 3 – 21100 Varese

2 GRAIA srl - Gestione e Ricerca Ambientale Ittica Acque, Via Repubblica, 1 – 21020 Varano Borghi (VA)

* Referente per la corrispondenza: [email protected]

Pervenuto il 24.9.2013; accettato il 8.10.2013

RiassuntoLa Direttiva Quadro sulle Acque ha introdotto un nuovo approccio di tipo ecosistemico per la valutazione e la classificazione della qualitàdei corsi d’acqua, basato sull’analisi della struttura tassonomica delle loro principali comunità biologiche. Tale approccio ha posto gli StatiMembri di fronte alla necessità di elaborare dei metodi di analisi e degli indici biologici idonei a giudicare lo stato dei singoli bioindicatori.Per quanto riguarda l’Italia il nuovo sistema di monitoraggio, riportato nel D.M. 260/2010, presenta tuttora delle criticità sia di carattereoperativo che interpretativo. Nonostante queste criticità, ad oggi risulta il principale riferimento tecnico-normativo nazionale anche perla valutazione sperimentale dei Deflussi Minimi Vitali (DMV) definiti a livello regionale.In tale contesto si inserisce questo lavoro, in cui sono presentati e discussi i risultati di un’indagine triennale effettuata su due grandi fiumidi pianura, Adda e Ticino sublacuali, nell’ambito di due progetti di sperimentazione del DMV. Lo studio condotto ha consentitoun’analisi delle criticità tecniche e scientifiche delle metodiche nazionali di monitoraggio dei corsi d’acqua e delle conseguenti difficoltà diinterpretazione dei risultati. Il commento ai dati relativi alle sperimentazioni si pone anche l’obiettivo di testimoniare scientificamente unafase del processo di implementazione delle Direttive europee in tema di gestione dei corpi idrici che, nel prossimo futuro, vedrà ulteriorisviluppi in seguito all’introduzione del concetto di flusso ecologico.

PAROLE CHIAVE: WFD / fiumi di pianura / DMV / stato ecologico / monitoraggio

Ecological status definition according to D.M. 260/2010 in twolowland rivers (Adda and Ticino) characterized by minimum flowThe Water Framework Directive has introduced a new ecosystem approach for the evaluation and classification of watercourses quality,based on the taxonomic structure analysis of main lotic communities. This approach has forced the Member States to urgently developanalytical methods and biological indices suitable for evaluating the status of each bioindicator. Referring to Italy, the new monitoringsystem, reported in D.M. 260/2010, still shows some criticisms, both of operational and interpretative character. Nevertheless, today itrepresents the most important national technical-normative reference also for the experimental evaluation of minimum flows defined atregional scale.In this context this paper shows and discusses the results of a three years survey carried out in two large lowland rivers, Adda and Ticino,within two projects dealing with the minimum flow experimentation. This study allowed a critical analysis of the national watercoursesmonitoring methods and of the consequent problems concerning the results interpretation. Comments about minimum flow experimen-tations also aim to scientifically report one step of the implementation process of the European Directives about waterbodiesmanagement, that, in the near future, will be involved in further developments following the introduction of the environmental flowconcept.

KEY WORDS: WFD / lowland rivers / minimum flow / ecological status / monitoring

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SALMASO et al. - Monitoraggio (D.M. 260/2010) in fiumi di pianura regolati26

Lavori originali

INTRODUZIONELa Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE, WFD

– Water Framework Directive) ha portato sostanzialicambiamenti nei criteri di monitoraggio e classificazio-ne della qualità dei corpi idrici superficiali e, conl’introduzione del concetto di stato ecologico, la sem-plice valutazione chimica della matrice acquosa è statasuperata da un approccio ecosistemico.

In questa ottica, nella determinazione dello statoecologico degli ambienti fluviali è stato dato particola-re rilievo alla valutazione delle quattro principali com-ponenti biologiche: 1) diatomee, 2) macrofite, 3) faunamacrobentonica e 4) fauna ittica. Il raggiungimentodell’obiettivo finale di un buono stato ecologico (GES– Good Ecological Status) previsto dalla Direttiva pertutti i corsi d’acqua è vincolato quindi all’analisi di talicomponenti biologiche, la cui qualità deve essereespressa come Rapporto di Qualità Ecologica (RQE),ossia come scostamento della comunità campionata dauna condizione di riferimento imperturbata.

Questa concezione ha portato alla ricerca di specifi-ci indici per l’analisi delle comunità biologiche, chesono stati definiti dai singoli Stati Membri ed intercali-brati a livello europeo.

Come evidenziato da diversi Autori in ambito nazio-nale e internazionale (Rossi, 2010; Hering et al., 2010),le nuove modalità di monitoraggio ambientale, intro-dotte in Italia con il D. Lgs. 152/2006 e il D.M. 260/2010, hanno presentato e presentano tuttora alcunedifficoltà di applicazione, soprattutto per le comunità ilcui studio non ha una lunga tradizione. Queste criticità,che portano in ultima analisi ad una difficoltà nellalettura del contenuto informativo dei risultati delle atti-vità di monitoraggio, nascono sostanzialmente dal fat-to che la maggior parte degli indici biologici adottati ècarente di un chiaro significato ecologico per diverseragioni: campionamenti non esaustivi dei diversi tipi dihabitat presenti (per alcuni le acque marginali non sonoconsiderate), classificazioni operate su base tassono-mica piuttosto che funzionale, fattori di correlazionepiuttosto che causali (Moss, 2008; Demars et al.,2012a). È inoltre da segnalare l’inabilità di molti indicia discriminare tra diverse pressioni antropiche o traqueste e condizioni naturali limitanti; a titolo di esem-pio, indici basati sulle macrofite tendono a rifletterevariazioni in parametri come l’alcalinità delle acquepiuttosto che la presenza di nutrienti (N e P) (Demars eThiebaut, 2008). Nonostante tali criticità, questi indicisono spesso utilizzati anche per l’analisi di specificifattori perturbativi; ad esempio la loro applicazione èesplicitamente prevista nei progetti di studio per ladefinizione sperimentale dei Deflussi Minimi Vitali(DMV) a livello locale. Se dunque l’impianto di moni-toraggio può e dovrà essere perfezionato in relazione

alle sue finalità di controllo dello stato ecologico com-plessivo dei corpi idrici, anche sulla base dell’esperien-za acquisita durante questi primi anni di applicazione, amaggior ragione particolare attenzione deve essereposta quando l’attività di monitoraggio è finalizzata allavalutazione di specifici elementi perturbativi o di inter-venti di mitigazione degli stessi.

In relazione a queste premesse, il presente lavororiporta le principali risultanze di due progetti che hannoavuto come oggetto la sperimentazione di potenzialiDMV nei tratti sublacuali dei fiumi Adda e Ticino. Èintenzione degli Autori presentare e commentare i ri-sultati alla luce delle recenti considerazioni criticheemerse nel contesto scientifico internazionale. In parti-colare, i commenti sono rivolti a) in generale a verifi-care i possibili elementi di criticità nell’applicazione deimetodi di monitoraggio previsti dalla normativa in duecontesti di particolare rilevanza naturalistica e produtti-va e b) nello specifico a valutare quanto i risultati cheemergono dall’applicazione degli strumenti di monito-raggio introdotti dal D.M. 260/2010 siano informativisui reali effetti dell’alterazione delle portate naturali.

MATERIALI E METODI

Area di studioI dati utilizzati per il presente studio sono stati

raccolti in 11 stazioni lungo il corso sublacuale deifiumi Adda e Ticino (Fig. 1).

Le stazioni di monitoraggio, per le quali si fornisco-no alcuni descrittori in tabella I, sono attribuibili acinque differenti corpi idrici (definiti in base a quantostabilito dalla WFD e recepito dal D.M. 131/2008) esono caratterizzate da situazioni ambientali differenti,sia per le loro caratteristiche naturali che per gli impattiantropici a cui sono sottoposte. L’andamento delleportate è caratteristico del regime pluvio-nivale, condue periodi di morbida, uno primaverile e uno autunna-le; entrambi i corsi d’acqua hanno una regolazione deideflussi già poco dopo l’incile del lago dal quale sioriginano.

Il fiume Adda, nei suoi 48 km di corso tra la prima el’ultima stazione di campionamento, attraversa unaprima zona a carattere pedemontano (corrispondentealle stazioni ADS1 e ADS2), parzialmente in forra, consubstrato a granulometria grossolana e morfologia moltovariabile. In quest’area i carichi inquinanti in ingressorisultano limitati, mentre sono presenti ingenti deriva-zioni a scopo principalmente idroelettrico; tra le princi-pali opere di derivazione sono da segnalare le dighe diRobbiate, di Paderno e di Concesa. L’andamento an-nuo delle portate in questo tratto è caratterizzato daperiodi prolungati di presenza in alveo del solo DMV

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Fig. 1. Mappa delle 11 stazioni di monitoraggio sui fiumi Adda e Ticino. Oltre ai siti di campionamento, sono indicate le grandi derivazioni(linee orizzontali) e gli ingressi dei reflui provenienti dai principali depuratori (cerchi).

che si manifestano generalmente dall’inverno alla finedella primavera.

Un secondo tratto, che si sviluppa nell’alta PianuraPadana (stazioni ADS3 e ADS4), è caratterizzato dasubstrato prevalentemente a ciottoli e dalla presenza diaree fortemente antropizzate. In questo tratto i prelieviidrici sono finalizzati sia all’irrigazione che alla produ-zione di energia idroelettrica ma, nonostante questederivazioni, gli apporti di acqua dalla falda ed il rilascioda parte delle opere di derivazione di acqua a favoredelle concessioni presenti più a valle, in alcune sezioni(ADS4) garantiscono la presenza in alveo di portate

superiori al DMV per quasi tutto l’anno. Da segnalarela presenza di importanti infrastrutture che incidono,oltre che sugli aspetti idrologici, anche sulle caratteri-stiche morfologiche: tra queste il “Traversino” (per laderivazione del canale Muzza) e le dighe di S. Anna eRusca.

Nel tratto finale (ADS5, ADS6 e ADS7), la presenzadi aree destinate all’agricoltura intensiva e alle attivitàzootecniche genera un carico inquinante diffuso che sisomma a quello puntiforme dovuto ai reflui civili. Lederivazioni che interessano questo tratto sono princi-palmente a scopo irriguo (canale Vacchelli), quindi più

Tab. I. Caratterizzazione geografica delle 11 stazioni di monitoraggio dei fiumi Adda e Ticino.

corso d’acqua

Adda

Ticino

codice stazione comune distanza dal lago (km) codice corpo idrico

ADS1 Medolago (BG) 19ADS2 Vaprio d’Adda (MI) 31

ADS3 Fara Gera d’Adda (BG) 38 N00800111lo

ADS4 Rivolta d’Adda (CR) 47ADS5 Comazzo (LO) 56ADS6 Boffalora d’Adda (LO) 65ADS7 Montanaso L. (LO) 67

TIC1 Somma Lombardo (VA) 16TIC2 Vizzola Ticino (VA) 23TIC3 Lonate Pozzolo (VA) 29

TIC4 Turbigo (MI) 54 N0080983ir

N00800110lo

N00800112lo

N0080982ir

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intense nel periodo estivo, durante il quale, tuttavia, lapresenza del solo DMV in alveo è stata registratageneralmente per brevi periodi.

Per quanto riguarda il fiume Ticino, il tratto studiatoè quasi interamente sotteso a un’unica sezione da cui sidiramano più derivazioni (tra cui il canale Villoresi e ilcanale Industriale), che nel periodo di studio hannodeterminato un andamento delle portate caratterizzatoda lunghi periodi di solo DMV intervallati a periodi conportate superiori, spesso coincidenti con le morbide(TIC1, TIC2 e TIC3). La stazione TIC4 è localizzata avalle della derivazione a carico del Naviglio Langosco.Il territorio in cui sono inseriti i tratti di studio ècaratterizzato prevalentemente da aree boscate. Si se-gnala tuttavia lo scarico del depuratore di SommaLombardo, a monte della stazione TIC1.

Entrambi i tratti dei corsi d’acqua studiati sonooggetto di pesca dilettantistica, con conseguenti possi-bili alterazioni quali-quantitative della comunità itticanaturale dovute a prelievo alieutico, ripopolamenti eintroduzione di specie esotiche.

Per entrambi i corsi d’acqua, l’intero tratto oggettodi studio ricade all’interno di aree protette; per quantoriguarda l’Adda: il Parco Adda Nord, il Parco AddaSud, oltre ai Siti d’Importanza Comunitaria (SIC) Bo-schi e Lanca di Comazzo e Spiagge Fluviali di Boffa-lora; sul fiume Ticino: il Parco Lombardo della Valledel Ticino, il Parco Naturale Valle del Ticino, oltre allaZPS Boschi del Ticino, ai SIC Ansa di Castelnovate eTurbigaccio, Boschi di Castelletto e Lanca di Bernatee al SIC e ZPS Valle del Ticino.

Campionamenti e analisi dei datiDurante gli anni 2010-2012 in tutte le stazioni loca-

lizzate in entrambi i fiumi sono stati raccolti mensil-mente campioni d’acqua per le analisi chimico-fisiche,stagionalmente campioni di macroinvertebrati, all’ini-zio e alla fine dell’estate campioni di diatomee e macro-fite; sono stati inoltre condotti annualmente rilievi dellafauna ittica.

Per quanto riguarda le macrofite acquatiche e ipesci non è stato talvolta possibile condurre i campio-namenti secondo le frequenze previste dal D.M. 260/2010 a causa delle elevate portate in alveo. Per lemodalità di campionamento e analisi dei campioni sonostati applicati i protocolli APAT (2007).

Gli indici per la definizione dello stato ecologicosono stati calcolati in accordo con le indicazioni fornitenel D.M. 260/2010 (Mancini e Sollazzo, 2009; AN-FOR, 2003; Minciardi et al., 2009; Buffagni et al.,2008; Zerunian et al., 2009). Poiché i fiumi a valle deigrandi laghi sono ad oggi privi di specifici riferimentirelativi alle loro condizioni naturali, per il calcolo degliindici ICMi, IBMR e STAR_ICMi sono stati utilizzati i

valori di riferimento generici relativi all’area geograficaCentrale, macrotipo fluviale C (D.M. 260/2010) e peril calcolo dell’ISECI la lista faunistica relativa allaRegione Padana, zona zoogeografico-ecologica II(zona dei Ciprinidi a deposizione litofila) (Zerunian etal., 2009).

RISULTATI E DISCUSSIONE

Diatomee (ICMi)Le comunità diatomiche rinvenute nei due corsi

d’acqua hanno mostrato valori di ricchezza elevati(39±8 specie nel fiume Adda, 30±6 nel fiume Ticino),tipici del tratto intermedio dei corsi d’acqua (Molloy,1992). Le specie generalmente dominanti sono Ach-nanthidium minutissimum (Kützing) Czarnecki, Coc-coneis placentula Ehrenberg, Reimeria sinuata (Gre-gory) Kociolek Stoermer e Mayamaea atomus varpermitis (Hustedt) Lange-Bertalot.

Il numero di specie, soprattutto nel fiume Adda, èrisultato minore nei campioni raccolti in giugno-luglio(33±6) rispetto a quelli di agosto-settembre (43±6),probabilmente in relazione al maggiore sviluppo dellacomunità col protrarsi della stagione estiva e conl’allontanarsi dai periodi di morbida primaverili. Que-st’aumento di ricchezza è accompagnato da un gene-rale cambiamento della struttura tassonomica dellacomunità. Dai dati raccolti è emerso che, nei corsid’acqua studiati, caratterizzati da una forte stagionalitàdei regimi termici e idrologici, la struttura delle comu-nità differisce maggiormente tra campioni raccolti du-rante lo stesso anno in periodi differenti che tra cam-pioni raccolti in anni differenti durante lo stesso perio-do (Fig. 2a).

Nonostante il D.M. 260/2010 preveda l’esecuzionedi più campionamenti durante l’anno per cogliere talidifferenze e per descrivere con accuratezza le struttu-re delle comunità diatomiche, i valori dell’indice ICMinei due periodi di campionamento non presentano unasignificativa variazione (Fig. 2b). Questo fatto, se daun lato garantisce l’indipendenza dell’indice da fattoridi disturbo naturali, dall’altro può riflettere una bassasensibilità del metodo a rilevare modifiche anche im-portanti della struttura tassonomica delle comunitàdovute a una modifica del regime idraulico.

Ai fini di una corretta definizione dello stato deicorsi d’acqua è fondamentale l’adeguatezza al conte-sto locale delle liste floristiche utilizzate per il calcolodell’indice. Nel presente studio sono state registrate 13specie (Tab. II) non incluse nella lista floristica diriferimento (Mancini e Sollazzo, 2009). La presenza diuna o più di queste specie è stata rinvenuta in diversisiti, talvolta anche con abbondanze rilevanti. Ad esem-pio nel tratto di fiume Adda poco a valle del Lago di

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Como (ADS1) la presenza di Cyclotella comensis (Gru-now), specie tipica di ambienti lentici (Marchetto eBettinetti, 1995), è risultata abbondante, fino a rappre-sentare il 51% della comunità nell’agosto 2011. Èevidente come la non inclusione di tale specie nelcalcolo dell’indice ICMi in questo caso abbia portato auna valutazione parziale della reale condizione dellacomunità, in quanto non è stata considerata la speciedominante.

È pertanto auspicabile un adeguamento delle listefloristiche, integrando le informazioni mancanti conquelle presenti in letteratura e in banche dati come

quella predisposta all’interno del programma Omnidia(Lecointe et al., 1993). Questa banca dati, infatti,sebbene di grande utilità, non rappresenta un riferi-mento attualmente previsto a livello normativo.

Premesse alcune criticità nella sua applicazione,l’indice ICMi ha portato alla definizione di uno statoelevato per le comunità diatomiche dei fiumi Adda eTicino nell’80% dei casi. Con riferimento alla specifi-cità di questa metrica a rilevare situazioni di alteratatrofia delle acque, è da osservare che nell’Adda, nono-stante la concentrazione dell’azoto totale (1,71 ± 0,52mg/L) rispecchi uno stato generalmente eutrofico delle

Tab. II. Specie di diatomee rinvenute nelle 11 stazioni di monitoraggio non incluse nella lista per il calcolo dell’ICMi (+ = specie osservata,ma non rientrante nei conteggi).

n° di campioni %in cui è stata rinvenuta massima

Aulacoseira islandica (O.Müller) Simonsen 2 +Aulacoseira granulata (Ehremberg) Simonsen 1 0,5Cyclotella comensis Grunow 31 50,9Cyclotella cyclopuncta Håkansson e J.R.Carter 3 1,0Cymbella affiniformis Krammer 1 0,2Cymbella excisa Kützing 22 5,9Encyonema ventricosum (Agarth) Grunow 4 0,2Encyonopsis subminuta (Krammer e Reichardt) 1 0,2Gomphonema insigne Gregory 1 0,2Navicula caterva Hohn e Hellermann 1 1,9Navicula rotunda Hustedt 1 0,5Navicula submolesta Hustedt 1 0,5Nitzschia perminuta (Grunow) M Peragallo 3 1,4Placoneis gastrum (Ehremberg) Kutzing var gastrum 2 0,5

Specie

Fig. 2. Variabilità della struttura della comunità diatomica in Adda e Ticino tra diversi anni e tra diverse stagioni di campionamento (inizioestate vs fine estate), valutata tramite il valore dell’indice di Bray-Curtis (a); variabilità nei valori dell’indice ICMi tra diverse stagioni dicampionamento (b).

(a) (b)

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acque (Dodds et al., 1998), di probabile origine antro-pica, l’indice diatomico (0,89 ± 0,13) segnala unaqualità perlopiù elevata.

Sia la possibile inadeguatezza delle liste floristiche aspecifiche condizioni locali che una generale tendenzadell’indice a sovrastimare lo stato ecologico erano giàstate evidenziate e approfondite da Falasco et al. (2012)in diversi macrotipi fluviali.

Infine, è necessario evidenziare l’elevato grado dipreparazione in materia di determinazione tassonomicanecessario per l’analisi al microscopio dei campionialgali, dovuto anche alla frequente revisione delle unitàtassonomiche. Ciò rende questo indicatore uno stru-mento poco idoneo all’applicazione diffusa e alla rapi-da valutazione dello stato di qualità.

Macrofite (IBMR)Le comunità macrofitiche rinvenute nei fiumi Adda

e Ticino sono risultate composte prevalentemente damacroalghe filamentose, appartenenti ai generi Cla-dophora, Spirogyra e Oedogonium e da fanerogame,sia strettamente idrofite, principalmente appartenenti aspecie del genere Ranunculus e a Vallisneria spiralisL., che non, come Rorippa amphibia (L.) Besser ealcune graminoidi (Poaceae e Cyperaceae). Lo svilup-po della componente muscinale è risultato ridotto eristretto solo ad alcuni tratti del fiume Adda in cui èstata rinvenuta prevalentemente Fontinalis antipireti-ca Hedw. In termini generali lo sviluppo, la struttura ela ricchezza delle comunità sono risultate variabili sia alivello spaziale che temporale. In particolare, ridottecoperture sono state osservate in corrispondenza diaree caratterizzate dai substrati più movibili (ghiaia epiccoli ciottoli; Fig. 3) e da un idrogramma particolar-mente variabile (sul fiume Adda da ADS4 ad ADS7).Uno scarso sviluppo della vegetazione è stato osserva-to, come prevedibile, nei campionamenti eseguiti suc-cessivamente ai periodi di morbida; gli effetti di talieventi idrologici sono stati osservati anche a distanzadi alcune settimane (Fig. 4). L’importanza di fattoriquali la velocità della corrente (e la sua variabilità) e lagranulometria del substrato (e quindi la sua mobilità)nella determinazione delle biocenosi macrofitiche è giàstata evidenziata in diversi ambiti territoriali sia a livellonazionale (Minciardi et al., 2010) che internazionale(Clarke e Wharton, 1998; Biggs, 1996).

La forte dominanza delle alghe (90±22%) e, traqueste, la presenza di unità sistematiche generalistecome Cladophora sp. e Spirogyra sp. (Dodds e Gud-der, 1992; Cambra e Aboal, 1992) all’interno dellacomunità macrofitica mette in luce l’inospitalità delletipologie fluviali campionate per organismi che richie-dono stabilità idraulica e di substrato. Le fanerogame,rinvenute sempre con coperture relative inferiori al

45%, sono risultate generalmente confinate alle areelaterali o a tratti fluviali con tirante idraulico costante-mente basso. La dominanza da parte di pochi generialgali è stata osservata anche da Bolpagni et al. (2012)per il fiume Oglio sublacuale. Questi Autori hannoevidenziato come la banalizzazione della comunità ma-crofitica possa essere spiegata da un’elevata disponibi-lità di nutrienti; tuttavia, nei fiumi Adda e Ticino,caratterizzati da una migliore qualità delle acque, appa-re determinante il ruolo svolto dall’instabilità fisicadegli habitat acquatici. Nei casi studiati, la limitazionedello sviluppo delle comunità dovuta a tale instabilità èrisultata tanto rilevante da non consentire di condurrein tutti i tratti entrambi i campionamenti annuali previstidalla metodica (all’inizio e alla fine dell’estate; APAT,2007). In particolare, la copertura macrofitica sull’Ad-da è risultata sempre inferiore al 5% nella prima partedell’estate (dopo le morbide primaverili); questo anda-mento, osservato anche sul fiume Ticino nel 2010 enel 2012, è risultato disatteso nel 2011, anno in cuil’arrivo ritardato delle morbide ha favorito lo sviluppodi una copertura mediamente maggiore nella primaparte dell’estate rispetto alla seconda (Fig. 4). È inte-ressante notare come, a fronte di una copertura preva-lentemente condizionata dalle dinamiche della portatain alveo, la ricchezza tassonomica della comunità varimaggiormente in relazione alla stagione, con un au-mento del numero delle unità sistematiche rinvenute(soprattutto per quanto riguarda le fanerogame) tra ilprimo e il secondo campionamento (Fig. 4).

A causa della scarsa copertura (inferiore al 5%),dovuta alle condizioni idromorfologiche limitanti, inmolti casi l’indice IBMR non è risultato applicabile,impedendo di fatto l’utilizzo del bioindicatore data lamancanza di continuità nei dati.

Fig. 3. Ambito di copertura macrofitica in aree caratterizzateprevalentemente da ciottoli di medie e grandi dimensioni e in areecaratterizzate da ghiaia grossolana e ciottoli di medie dimensioni.

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Anche nei casi in cui la copertura ha superato lasoglia minima del 5%, l’utilizzo di questa componentebiologica ai fini della determinazione dello stato ecolo-gico del corso d’acqua è apparso poco idoneo inquanto da un lato l’effetto negativo dato dalla mobilitàdel substrato non segnala necessariamente uno scosta-mento da una condizione di naturalità, dall’altro l’effet-to positivo indotto sullo sviluppo di queste comunitàbiologiche da parte di portate costantemente basse, inrelazione ai prelievi idrici in atto, non può essere inter-pretato come una condizione per il buono stato ecolo-gico del corso d’acqua.

Macroinvertebrati bentonici (STAR_ICMi)Sia nel fiume Adda che nel Ticino le comunità di

macroinvertebrati bentonici sono risultate tassonomi-camente ricche e composte principalmente da indivi-dui appartenenti alle famiglie Chironomidae, Hydrop-sychidae, Ephemerellidae (Ephemerella) e Baetidae(Baetis), con locali e temporanee densità elevate dialtre unità sistematiche.

In tutte le stazioni sono state osservate variazioni

stagionali della densità dei gruppi tassonomici campio-nati, riconducibili in parte ai naturali cicli vitali dialcune specie, ad esempio di Chironomidae e Simulii-dae (Gendron e Laville, 1992; Werner, 2003). I valoripiù elevati di densità generalmente sono stati rilevati afine inverno-inizio primavera e sono da imputare all’in-cremento di alcune famiglie come Chironomidae oEphemerellidae.

Tali variazioni a carico della struttura delle comunitànon vengono rilevate dall’indice STAR_ICMi, che pre-senta valori simili in campioni caratterizzati da densitàdifferenti anche di un ordine di grandezza. Questoindice tiene infatti poco conto della densità complessi-va della comunità bentonica, in quanto tutte le met-riche che lo compongono fanno riferimento al numerodi famiglie o all’abbondanza relativa, non all’abbondanzaassoluta, fatta eccezione per il sottoindicelog10(sel_EPTD+1). Poiché la densità è fortementeinfluenzata dalle condizioni idrauliche determinate dalleportate fluenti (Jowett, 2003), lo STAR_ICMi risultapoco adatto a rilevare i principali effetti ambientalideterminati dalle variazioni di portata, siano esse di

Fig. 4. Sviluppo della comunità macrofitica (media + ds) sul fiume Ticino dal punto di vista della copertura (a) e della ricchezza in taxa(b) nel 2011, prima e dopo le portate di morbida (c).

(a) (b)

(c)

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origine naturale o antropica. Questo da un lato garan-tisce che lo stato di qualità della comunità macroben-tonica non risulti mascherato dagli effetti indotti dallenaturali variazioni di portata, dall’altro comportaun’incapacità nel rilevare alcuni fenomeni di perturbazi-one che determinano come risposta variazioni di densità(come il drift catastrofico legato al trasporto di materi-ale solido in sospensione o a fenomeni di hydropeaking,Suren e Jowett, 2001; Mochizuki et al., 2008).

Per come è strutturato, lo STAR_ICMi è idoneo arilevare specifiche alterazioni della qualità chimica delleacque, in quanto l’indice di tolleranza all’inquinamentoorganico ASPT riveste il peso maggiore (33,3%) tra lesei sottometriche che lo compongono. Scarso peso èdato invece al grado di equiripartizione della comunità:l’unica metrica che ne tiene conto è Shannon-Wiener,con un peso dell’8,3%.

Anche la metrica log10(sel_EPTD+1), con un pesodel 26,6% sul giudizio finale di qualità, presenta dellecriticità: solo metà delle 14 famiglie considerate per ilsuo calcolo è stata rinvenuta nelle 11 stazioni monito-

rate, spesso con frequenza e densità molto basse,anche in stazioni caratterizzate da una buona naturalitàcomplessiva (es. TIC3). Questo aspetto determinaun’ampia variabilità nei valori della metrica, che inalcuni casi può risultare pari a zero, influendo negati-vamente sul valore finale dello STAR_ICMi. L’assenzadi alcune famiglie nei tratti campionati potrebbe esseredeterminata in parte dalla natura del metodo di campio-namento multihabitat proporzionale (APAT, 2007),che trascura microambienti percentualmente poco ri-levanti dal punto di vista spaziale, ma importanti per ladiversità complessiva della comunità bentonica, comele zone litorali lentiche, a sedimento fine e con abbon-dante vegetazione: ad esempio, la famiglia dei Bra-chycentridae potrebbe non essere mai stata rilevata inquanto strettamente associata alla componente macro-fitica dei corsi d’acqua (Buffagni et al., 2000), che,come descritto precedentemente, è presente solo in unarco temporale limitato nel corso dell’anno e conpercentuali quasi sempre al di sotto della soglia del10% prevista dal protocollo.

Fig. 5. Andamento della densità, del numero di famiglie, dell’EPT e dello STAR_ICMi nelle sette stazioni dell’Adda da monte a valle.

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I valori relativi alle metriche n° di famiglie ed EPT,così come la densità, seguono un gradiente longitudi-nale nel fiume Adda (Fig. 5); ciò è in parte giustificatodalla naturale articolazione strutturale delle comunitàmacrobentoniche (così come descritto dal river conti-nuum concept, Vannote et al., 1980). L’utilizzo deglistessi valori di riferimento nel caso di queste ultimedue metriche, non tenendo conto di questa forte varia-bilità, appare quindi inadeguato per il contesto speri-mentale in studio. La debole diminuzione dei valoridell’indice STAR_ICMi (Fig. 5) lungo l’asta sottolinealo scarso peso di queste due metriche.

Un’ultima considerazione riguarda il protocollo dicampionamento: sebbene la natura quantitativa dell’in-dice STAR_ICMi preveda la definizione di un numeroesatto di individui raccolti, a livello nazionale le tecni-che di smistamento non sono ancora omogenee tra idiversi laboratori, prevedendo talvolta la conta totale(adottata in questo studio), talvolta sistemi di stima osubcampionamento di vario tipo. Eventuali differenzedi valutazione tra le diverse tecniche adottate possonoportare a definire comunità caratterizzate da abbon-danza e ricchezza differenti, con variazioni significati-ve per le famiglie caratterizzate da pochi individui(definite come drift nell’Indice Biotico Esteso – APAT,2003). Ciò influisce sul valore di metriche quali n° difamiglie, EPT e log10 (sel_EPTD+1) e di conseguen-za sul valore finale di STAR_ICMi, come rappresenta-to in figura 6. In alcuni casi, non considerando lefamiglie costituite da un solo individuo è stato osserva-

to un abbassamento del giudizio di qualità anche di unaclasse.

Sarebbe quindi opportuno standardizzare i metodi dismistamento al fine di assicurare la comparabilità deidati e la loro rappresentatività nei confronti delle co-munità campionate. A tale proposito, la metodica AQEM(AQEM Consortium, 2002) può essere considerata unbuon compromesso tra i diversi approcci in uso.

Fauna ittica (ISECI)Nei tratti studiati dell’Adda e del Ticino sono state

rilevate comunità ittiche generalmente caratterizzate daun buon numero di specie, fino a un massimo di 30.Per limitare la sottostima dell’abbondanza delle speciee degli stadi vitali più elusivi, la definizione delle strut-ture delle comunità è avvenuta tramite la combinazionedei risultati ottenuti da più campionamenti semiquanti-tativi eseguiti con diverse tecniche (elettropesca eosservazioni subacquee). Dai censimenti è emersa unacomunità ittica composta principalmente da Ciprinidireofili, quali soprattutto vairone (Leuciscus souffiaRisso), sanguinerola (Phoxinus phoxinus L.), caveda-no (Leuciscus cephalus L.) e barbo (comune e d’oltral-pe – Barbus plebejus Bonaparte, B. barbus L.) e daspecie bentoniche di piccola taglia, quali ghiozzo (Pa-dogobius martensii Gunther), cobite (Cobitis bilineataCanestrini) e scazzone (Cottus gobio L.). Nell’Adda,tra le specie di maggiore interesse dal punto vistanaturalistico e conservazionistico (Allegato II dellaDirettiva Habitat 92/43/CEE), si segnala la presenza

Fig. 6. Scostamento dei valori relativi a n° di famiglie, EPT e STAR_ICMi rispetto al valore calcolato per l’intero campione, rimuovendoartificiosamente le famiglie composte da bassi numeri di individui (da 1 a 10 individui/m2). Analisi condotta su campioni del fiume Ticino(sito TIC1).

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abbondante e pressoché ubiquitaria del vairone, signi-ficativa dello scazzone e della trota marmorata (Salmotrutta marmoratus Cuv.), sporadica dello storione co-bice (Acipenser naccarii Bonaparte), della lasca (Chon-drostoma genei Bonaparte), del pigo (Rutilus pigusLacepède) e della savetta (Chondrostoma soetta Bona-parte), mentre il barbo comune risente in modo pesan-te della diffusione del barbo d’oltralpe. Nel Ticino,all’interno del tratto studiato, è stata invece rilevatal’assenza di Salmonidi e della lasca e la ridottissimapresenza di specie autoctone dall’elevato valore fauni-stico quali la savetta e il pigo.

Circa un quarto delle specie catturate risulta diorigine alloctona e tra queste le più abbondanti sonorodeo amaro (Rhodeus sericeus amarus Bloch), barboeuropeo, gardon (Rutilus rutilus L.) e siluro (Silurusglanis L.). Nella maggior parte dei tratti indagati, circametà delle specie autoctone rilevate non sono conside-rate nella lista faunistica utilizzata per il calcolo dell’in-dice ISECI. Ciò ha portato quindi a un’evidente sotto-stima del valore naturalistico potenzialmente esprimibi-le dai popolamenti ittici studiati. Come già evidenziatoda altri Autori (Forneris et al., 2010; Zerunian, 2012),uno dei principali limiti di applicabilità dell’indice èlegato infatti agli elenchi di specie di riferimento persingola comunità attesa forniti dal D.M. 260/2010. Neicorsi d’acqua studiati la lista trascura specie di rilevan-te valore ecologico e naturalistico native dei fiumisublacuali della Pianura Padana. Questi fiumi, posse-dendo caratteristiche ambientali molto eterogenee, con-sentono la presenza non solo delle specie incluse nellazona dei Ciprinidi a deposizione litofila (utilizzata per ilcalcolo dell’indice in questo ambito), ma anche alcunedi quelle tipiche della zona a Salmonidi (temolo –Thymallus thymallus L.– e scazzone) e della zona deiCiprinidi fitofili (savetta, pigo, alborella –Alburnus al-burnus alborella De Filippi–, storione cobice). Questeconsiderazioni portano a ritenere che, con lo statoattuale delle liste faunistiche di riferimento, l’utilizzodell’ISECI in contesti fluviali come quelli studiati risultiad oggi poco appropriato e sottolineano la necessità di

avviare il percorso tecnico-amministrativo, previstodal D.M. 260/2010, per rivedere le comunità ittiche diriferimento.

Occorre infine sottolineare il peso fortemente nega-tivo dato dall’ISECI alla presenza di individui, puri oibridi, appartenenti a specie esotiche: questa scelta, daun lato meritevole di prendere in considerazionel’“inquinamento biologico”, dall’altro porta spesso adeclassare lo stato complessivo di tratti di corsi d’ac-qua unicamente per la presenza di queste entità (anchese rappresentate da un basso numero di individui). Nelcaso dei tratti di Ticino e Adda campionati questo èavvenuto in 4 casi su 11 (Tab. III).

Dalle criticità sopra esposte risulta evidente come,nel caso in studio, l’ISECI non sia uno strumentoidoneo per il monitoraggio degli effetti indotti sullafauna ittica dalle variazioni artificiali delle portate; ana-lisi su singole popolazioni di specie sensibili alle condi-zioni idromorfologiche forniscono in tal senso infor-mazioni maggiormente significative.

Parametri fisico-chimici (LIMeco)Il giudizio di qualità derivante dall’applicazione del-

l’indice LIMeco è risultato generalmente superiore aquello definito dagli indici biologici ad eccezione del-l’ICMi (in questo caso solo nel 18% dei casi il valoremedio annuo dei due indici ha portato a giudizi diqualità differenti). Lo stato di qualità definito per i duecorsi d’acqua a livello medio annuo è risultato elevatoper tutte le stazioni monitorate e per tutti gli anni distudio ad eccezione di tre casi.

Come nel caso dell’ICMi, si ritiene che tale indicesovrastimi l’effettivo stato di qualità; ciò è probabil-mente dovuto sia all’assenza nel suo calcolo di impor-tanti descrittori (quali BOD5 e COD, presenti invecenel precedente LIM) che alla scelta di limiti inadeguatiper le classi di qualità.

Per quanto concerne la misura del deficit di ossige-no, bisogna sottolineare che, ad eccezione di situazionifortemente compromesse, raramente il suo valore me-dio giornaliero risulta allontanarsi più di 20 punti rispet-

Tab. III. Stato ecologico delle 11 stazioni dei fiumi Adda e Ticino: i giudizi di qualità di ciascun indicatore corrispondono al valore medioottenuto dai campionamenti eseguiti su tre anni consecutivi (2010-2012) (bianco = stato elevato; grigio chiaro = stato buono; grigio scuro= stato sufficiente).

ADS1 ADS2 ADS3 ADS4 ADS5 ADS6 ADS7 TIC1 TIC2 TIC3 TIC4ICMi 0,97 0,91 0,87 0,95 0,97 0,83 0,72 1,09 1,14 1,18 1,09IBMR 0,79 0,90 0,85 1,12 0,94 0,73 0,77 0,81 0,82 0,82 0,82STAR_ICMi 0,93 0,94 0,84 0,84 0,81 0,76 0,74 0,85 0,81 0,84 0,82ISECI 0,59 0,64 0,68 0,81 0,68 0,55 - 0,63 0,63 0,55 0,55LIMeco 0,82 0,72 0,65 0,74 0,75 0,69 0,68 0,82 0,79 0,82 0,73Statoecologico sufficiente buono buono buono buono sufficiente sufficiente buono buono sufficiente sufficiente

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Lavori originali

to alla saturazione (facendo così rientrare il parametronel livello 3). Tale scostamento è stato misurato solotemporaneamente in estate, nei momenti che rappre-sentano gli estremi del ciclo circadiano dell’ossigeno,cioè durante la notte (valore minimo) e nel pomeriggio(valore massimo). A tal proposito risulta interessantenotare l’assenza di indicazioni ufficiali sugli orari in cuieseguire le misure ai fini del calcolo dell’indice. Data laforte variabilità circadiana di questo parametro, so-prattutto nel periodo estivo, il giudizio conseguentepuò infatti variare. I dati utilizzati nel presente studiosono stati quindi raccolti, come appare raccomandabi-le, sempre durante la mattinata, in condizioni che sipossono considerare intermedie tra quelle che possonoessere osservate nelle 24 ore.

Stato Ecologico dei corsi d’acquaIn tabella III è riportato lo stato ecologico delle 11

stazioni monitorate sui fiumi Adda e Ticino, corrispon-dente al peggiore tra i giudizi di qualità relativi ai diversiindici.

In molti casi l’IBMR o l’ISECI hanno determinato ilgiudizio finale, il quale risulta quindi influenzato dalleproblematiche specifiche di questi due indici, già pre-cedentemente esposte. È inoltre emersa spesso un’in-congruenza tra i giudizi definiti dai diversi indici, anchequelli formulati per rilevare perturbazioni di naturasimilare (ICMi, IBMR e LIMeco).

Come già sottolineato in ambito internazionale enazionale (Hering et al., 2010; Nardini et al., 2008), ilcriterio adottato dalla WFD del caso peggiore per ladefinizione dello stato ecologico appare critico, in par-ticolare in questo momento in cui gli indici adottati nonsono ancora in grado di dare valutazioni del tuttocorrette. Un suo utilizzo in contesti caratterizzati dapressioni ambientali multiple può creare una distorsio-ne nella comprensione del sistema in studio e portaread allocare in modo errato le risorse destinate allariqualificazione ambientale.

Riteniamo che la proposta metodologica Fluvial Eco-system Assessment (FLEA, elaborata da Nardini etal., 2008), basata su un sistema di aggregazione degliindicatori integrato e ponderato (criterio di compensa-zione), sia un buon esempio dei possibili criteri dautilizzare per superare le criticità segnalate.

Un’ultima considerazione riguarda la valutazione dellostato per singoli corpi idrici: alcune delle 11 stazionicampionate in questo studio fanno parte del medesimocorpo idrico (Tab. I). Tuttavia, i giudizi sullo statoecologico ad esse assegnati all’interno di uno stessocorpo idrico sono talvolta differenti (Tab. III). Questofatto, di cui è utile tenere conto nella valutazione dellostato ecologico dei singoli corpi idrici, potrebbe esserelegato in parte ad una suddivisione ancora migliorabile,

in parte alla presenza di gradienti di qualità non facil-mente imbrigliabili in una visione discretizzata del si-stema fluviale (si pensi allo scadimento derivante dallapresenza di carichi inquinanti diffusi).

CONCLUSIONII corsi d’acqua oggetto di studio sono strategici a

livello nazionale per la produzione di energia idroelettri-ca e per l’irrigazione di vaste aree agricole del nordItalia; nondimeno derivazioni idriche non regolamenta-te operate per queste finalità possono risultare in con-flitto con la valenza naturalistica degli ambienti fluviali,collocati in aree protette, e gli obiettivi di qualità postidalla Direttiva Quadro europea. Per superare tale criti-cità, nella redazione dei Piani di Bacino sono stateindividuate soglie di derivazione che possono essereoggetto di ridefinizioni sito-specifiche in seguito adopportune sperimentazioni. In questa ottica sperimen-tale, risulta fondamentale che gli strumenti di monito-raggio adottati siano realmente adeguati alla valutazio-ne degli effetti ambientali dei deflussi proposti, al finedi rispettare gli obiettivi di qualità della WFD.

In tale contesto il presente lavoro ha permesso dievidenziare alcune criticità del sistema di monitoraggiodefinito dal D.M. 260/2010, applicato in un ambitosperimentale particolarmente articolato dal punto divista dei rilasci ed inserito in un contesto ambientaleeterogeneo e soggetto a pressioni multiple.

Nella valutazione dei dati raccolti è emersa la neces-sità di riconsiderare alcuni degli indici associati agliindicatori previsti dalla WFD. Per fare ciò è necessariaanzitutto una riflessione sull’adeguatezza dell’approc-cio adottato per rispondere alla richiesta finale dellaWFD: il mantenimento/raggiungimento del GES. Lostato ecologico di un sistema è legato, infatti, oltre chealle sue strutture biologiche e fisiche, alla sua funzio-nalità (definita dai processi e dalle interazioni che inter-corrono tra le diverse componenti biotiche e abioticheambientali del corpo idrico). Per tenere in considera-zione entrambi gli aspetti è possibile seguire due diversiapprocci: (i) uno studio approfondito delle componentistrutturali biologiche, per le quali sono note le implica-zioni funzionali sull’ecosistema delle modificazioni aloro carico o (ii) lo studio diretto della funzionalitàfluviale talvolta definita come metabolismo fluviale(Gessner e Chauvet, 2002; Young et al., 2008).

Poiché la WFD si è indirizzata sullo sviluppo delprimo tipo di approccio, risulta quantomeno necessa-ria l’individuazione di un quadro di indicatori e relativiindici realmente esaustivo dello stato ecologico delcorso d’acqua. Relativamente a questo aspetto si sot-tolinea come il rapporto tra struttura delle comunità edimplicazioni funzionali sull’ecosistema risulti attual-mente documentato nella letteratura internazionale li-

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mitatamente alle macrofite (Demars et al., 2012a) e aimacroinvertebrati bentonici (Extence et al., 1999; Ar-manini et al., 2011; Demars et al., 2012b). Dall’espe-rienza sperimentale eseguita per Adda e Ticino e comeosservato anche da altri Autori (i.e. Codarin et al.,2012) è possibile rilevare come gli indici biologiciprevisti dalla normativa siano più indirizzati a segnalarealterazioni di tipo chimico, rispetto alle alterazioni ditipo idraulico o morfologico, spesso rilevanti se nonprevalenti all’interno di molti corpi idrici nazionali. Èda notare che anche nel caso di componenti biologicheper le quali è riconosciuta in ambito scientifico unaparticolare sensibilità alle condizioni idrauliche, comenel caso delle macrofite, il loro utilizzo così comeformulato da molti indici sviluppati a livello internazio-nale non ne permette un uso in tal senso (Demars etal., 2012a).

Il sistema di monitoraggio previsto dal D.M. 260/2010 nell’ambito delle sperimentazioni del DMV nelcomplesso si è rivelato inadeguato, sia per l’impiantogenerale stabilito dalla WFD, la cui finalità non èl’individuazione di specifiche pressioni ambientali, bensìdello stato ecologico complessivo del corpo idrico,così come emerge dall’insieme delle perturbazioni inatto, che per i già citati limiti degli indici nel rilevamen-to di alterazioni idrologiche. L’esperienza acquisitadurante il presente studio porta a rilevare che un’appli-

cazione acritica degli strumenti di monitoraggio previ-sti dalla normativa può portare talora ad attribuiregiudizi poco realistici a determinati tratti di corsi d’ac-qua, impedendo di individuare le azioni di risanamentopiù adeguate ad ogni situazione locale.

Un’altra rilevante criticità per i grandi fiumi di pia-nura riguarda la mancanza di una definizione dellecondizioni di riferimento specifiche per il calcolo degliRQE. Tali condizioni, in assenza di siti privi di altera-zione di origine antropica, potrebbero essere stabilite apartire dallo studio delle comunità rilevate nei siti menoimpattati, privilegiando quindi la scelta di siti apparte-nenti alla medesima tipologia fluviale rispetto a quella disiti perfettamente imperturbati ma geograficamentepoco comparabili con quelli oggetto di studio.

I problemi e le criticità nell’attuazione della WFDrilevati sui fiumi Adda e Ticino rappresentano esempieclatanti della necessità di perfezionare il sistema dimonitoraggio, anche per renderlo informativo e diindirizzo per la messa in opera, dove necessario, dispecifiche azioni di recupero dello stato ecologico.

RINGRAZIAMENTIQuesta ricerca è stata realizzata nell’ambito di due progetti disperimentazione del DMV sui fiumi Adda e Ticino, finanziati,rispettivamente, dal Consorzio dell’Adda e dal Consorzio delTicino.

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Biologia Ambientale, 28 (1): 39-56, 2014

Riflessioni sull’applicazione degli indici divalutazione dello stato delle comunità ittiche in Piemonte

Gilberto Forneris1, Fabrizio Merati2, Massimo Pascale3, Gian Carlo Perosino3

1 Dip. di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia dell’Università di Torino. Via Leonardo da Vinci, 44 – 10095 Grugliasco (To).

2 Studio Idrobiologico Lombardo. Via Einstein, 24 – 20083 Gaggiano (Mi).

3 C.R.E.S.T., Centro Ricerche in Ecologia e Scienze del Territorio. Via Caprera, 15 – 10136 Torino.

* Referente per la corrispondenza: [email protected]

Pervenuto il 27.8.2013; accettato il 23.10.2013

RiassuntoIn Piemonte sono state recentemente effettuate importanti campagne di monitoraggio dell’ittiofauna, insieme a quelle finalizzate allaclassificazione della qualità dei corsi d’acqua ai sensi del D.Lgs. 152/99 fino al 2008 e del D.Lgs. 152/06 a partire dall’anno 2009. Sidispone quindi di un ricco insieme di dati per effettuare efficaci analisi sui metodi di valutazione di stato dell’elemento EQB “pesci”previsto dalla Direttiva 2000/60/CE. In particolare sono state applicate le metodologie dell’Indice dello Stato Ecologico delle ComunitàIttiche e dell’Indice Ittico, nelle loro più recenti versioni, sulla base degli esiti dei campionamenti dell’ittiofauna effettuati, nel 2009, su 428stazioni delle nuove reti regionale e provinciali. Sono risultate evidenti difficoltà nell’applicazione di tali metodi, in particolare per i corsid’acqua montani, popolati unicamente da salmonidi di immissione e per gli ambienti dominati dalle specie alloctone. Ulteriori problemisono emersi in relazione ai recenti aggiornamenti della sistematica dei Pesci.

PAROLE CHIAVE: indici ittici / torrenti montani / fauna alloctona / sistematica dei pesci

Considerations about the application of the indexes of assessment of the state of ichthyic communities in Piedmont (NW-Italy)In the frame of the monitoring campaigns recently undertaken in Piedmont for the classification of the water rivers quality, according withD.Lgs. 152/99 upon 2008 and D.Lgs. 152/06 starting from the 2009, several ichthyofauna monitoring campaigns has been also carried out.A rich database has been collected to effectively analyze the methods of assessment of the state of the element EQB “fish”, in accordancewith 2000/60/EC Directive. Last revision of the Ecological Status of Ichthyic Communities Index and Ichthyological Index (I.I.)methodologies has been applied on the results of the ichthyofauna monitoring campaign undertaken in the 2009 which involved 428sampling stations belonging to the new regional and provincial sampling net. The application of those methods presented severalcriticalities, particularly referring to the mountain rivers exclusively populated by injected salmonides and to the environments dominatedby allochtonen species. Further difficulties arose due to the recently revision of the Fish systematic.

KEY WORDS: Ichthyological Index / mountain rivers / allochthonous fauna / systematic fish.

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INTRODUZIONEIl primo monitoraggio dello stato dell’ittiofauna in

Piemonte fu effettuato nel biennio 1988/89 su 287 sitidella rete di stazioni predisposta nell’ambito della “Car-ta Ittica Relativa al Territorio della Regione Piemonte-se” (Regione Piemonte, 1992). Un secondo monito-raggio fu effettuato nell’anno 2004 su 201 siti dellarete di stazioni predisposta dalla Regione Piemonte(2002) ai fini della redazione del Piano di Tutela delleAcque (PTA), ai sensi del D.Lgs. 152/99 (RegionePiemonte, 2006).

Con il D.Lgs. 152/06, in recepimento della Direttiva2000/60/CE, la Regione Piemonte ha predisposto unanuova rete di 197 stazioni individuate secondo i criteriprevisti dalla Direttiva stessa. Sono state confermate142 stazioni della vecchia rete, al fine di consentireconfronti con il pregresso per il 70% delle stazioni diquella nuova.

Con la predisposizione del “Piano regionale per latutela e la conservazione degli ambienti e della faunaacquatica e l’esercizio della pesca” (in attuazione dellaL.R. 37/2006) è stato organizzato un sistema di reti dimonitoraggio per l’ittiofauna finalizzato alla redazionedelle carte ittiche regionale e provinciali. In questoambito è stata definita una rete di monitoraggio regio-nale per l’ittiofauna coincidente con quella nuova pre-disposta ai sensi del succitato D.Lgs. 152/99 (197stazioni). Ad essa si aggiungono le reti a livello provin-ciale per un totale di 428 siti di campionamento (Fig.1). Per l’individuazione dei siti delle stazioni delle retiprovinciali si è tenuto conto della necessità di recupe-rare tutte le stazioni delle reti oggetto dei precedentimonitoraggi.

Nell’anno 2009 è stato effettuato il monitoraggiosulle 428 stazioni di campionamento del nuovo sistemadelle reti regionale e provinciali, ottenendo quindi unaggiornato quadro complessivo dello stato dell’ittio-fauna in Piemonte (con l’esclusione dei laghi e delleacque stagnati in generale). I campionamenti effettuatisu un così elevato numero di siti hanno fornito unanotevole quantità di dati che sono stati utilizzati persperimentare, con buona efficacia, l’Indice dello StatoEcologico delle Comunità Ittiche (ISECI; Zerunian etal., 2009) e l’Indice Ittico ambientale (I.I.a; Forneriset al., 2011). Sono emersi alcuni problemi inerenti icorsi d’acqua montani, gli ambienti con forte presenzadi alloctoni e le revisioni della nomenclatura scientificadi numerose specie e quindi dei loro areali naturali didistribuzione.

MATERIALI E METODIPer tutte le stazioni di campionamento si sono valu-

tati numerosi parametri degli ambienti fisici dei bacinisottesi e dei relativi tratti fluviali (essenzialmente mor-

fometrici, pluviometrici ed idrologici), mentre per quan-to riguarda l’ittiofauna i rilievi hanno permesso diacquisire le seguenti informazioni1:– specie e relativi valori intrinseci (V = AD) attribuiti

secondo i criteri proposti da Forneris et al. (2011a),positivi per le specie ittiche autoctone (AU) piemon-tesi (Tab. I) e pari a -1 per quelle alloctone (AL); èanche considerata la lampreda (Lampetra zanan-dreai);

– ibridi tra individui indigeni e alloctoni per i generiindicati da Zerunian et al. (2009); con il monitoraggio2009 sono stati rinvenuti unicamente ibridi Salmo[trutta] marmoratus X Salmo [trutta] fario;

– numero totale delle specie autoctone (AU);– numero totale delle specie autoctone (AUr) riferibili

alle comunità di riferimento (sottoinsieme di AU);– numero totale delle specie alloctone (AL);– numero totale delle specie (AT = AU + AL);– LIM (Livello Inquinamento Macrodescrittori), IBE

(valore Indice Biotico Esteso) e SECA (Stato Ecolo-gico del Corso d’Acqua) dell’anno 2008 per lestazioni della rete di monitoraggio predisposta ai sensidel D.Lgs. 152/99 (Forneris et al., 2010);

– LIMeco (Livello Inquinamento Macrodescrittori perlo stato ecologico), STAR_ICMi (Indice Multimetri-co di Intecalibrazione per il macrobenthos), ICMi(Indice Multimetrico di Intecalibrazione per le diato-mee), IBMR (Indice Biologico Macrofitico) e StatoEcologico degli anni 2009 e 2010 per le stazioni dellarete di monitoraggio predisposta ai sensi del D. Lgs.152/06 (Fiorenza et al., 2010; Fiorenza, 2011).Per ciascuna popolazione delle specie ittiche rinve-

nute in fase di campionamento, sono disponibili indica-zioni semiquantitative riguardanti l’abbondanza e lastruttura. I parametri considerati sono l’indice di Moy-le e Nichols (1973) e l’indice di abbondanza (Forneriset al., 2011a). L’utilizzo di tali parametri secondo leprocedure descritte dai succitati Autori portano allavalutazione degli indicatori “condizione biologica” (p2,1)per l’ISECI e “indice di rappresentatività” (Ir) per l’I.I.(Tab. II).

Sulla base degli esiti dei campionamenti effettuaticon i criteri sopra descritti, si sono valutati gli statidelle comunità ittiche per tutte le 428 stazioni delle reti

1 Tutti i dati relativi ai parametri ambientali ed ai risultati deicampionamenti sono disponibili sui siti web della RegionePiemonte e del C.R.E.S.T.:

– http://www.regione.piemonte.it/caccia_pesca/dwd/17062011/istruzioni.pdf;

– http://www.regione.piemonte.it/caccia_pesca/dwd/2012/tabella_dati_riassuntiva.pdf;

– http://:www.crestsnc.it/natura/media/testoistruzioni.pdf;– http://www.crestsnc.it/natura/media/tabella.xls.

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Fig. 1. Stazioni ( ) delle reti di monitoraggio regionale e provinciali sul reticolo idrografico piemontese individuate dal Piano ItticoRegionale redatto ai sensi della L.R. 37/2006. Sono esclusi gli ambienti ad acque stagnanti. Nel bacino del Po Forneris et al. (2005a, 2007)hanno individuato le aree Z1 (pertinenza alpina) e Z2 (pertinenza appenninica), a loro volta divise, nella porzione occidentale, nellesubaree Z1.1, Z1.2 e Z2.1.

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di monitoraggio regionale e provinciali mediante i suc-citati metodi nelle loro più recenti versioni: ISECI(Zerunian et al., 2009) e I.I. (Forneris et al., 2011a).A tale proposito molta attenzione si è posta alla deter-minazione delle comunità di riferimento. In particolaremerita citare il programma di lavoro coordinato dal-l’Area Ambiente della Regione Piemonte e dal Diparti-mento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecolo-gia dell’Università di Torino (nell’ambito delle attivitàdi ricerca finalizzate alla sperimentazione dei sistemi di

valutazione dello Stato Ecologico dei Corsi d’Acqua aisensi della Direttiva Europea 2000/60/CE) che ha com-portato un’analisi delle conoscenze attuali e pregressesulla fauna ittica piemontese al fine di individuare lecomunità ittiche di riferimento reali (o meglio le piùprobabili).

Si è ritenuto di procedere ad una classificazione più“fine” delle tipologie ambientali (zone ittiche) rispetto aquelle proposte da Forneris et al. (2011a) e da Zeru-nian et al. (2009) come illustrato nelle tabelle III ÷ V.

Tab. I. Lista delle specie ittiche autoctone del Piemonte elencate secondo le tassonomie vecchie (Gandolfi et al., 1991; Zerunian, 2002,2004) e nuove (Kottelat e Freyhof, 2007; Bianco e Delmastro, 2011). Fattore AD delle specie secondo Forneris et al. (2011a; Tab. X) edin funzione delle dimensioni degli areali di distribuzione coerenti con le nuove denominazioni. Su sfondo grigio i nuovi endemismi (e).

Famiglia Nome volgare Vecchie denom. scientifiche AD Nuove denom. scientifiche AD

Storione cobice Acipenser naccarii 3 (e) Acipenser naccarii 3 (e)Acipenseridae Storione comune Acipenser sturio 1 Acipenser sturio 1

Storione Ladano Huso huso 1 Huso huso 1

Anguillidae Anguilla Anguilla anguilla 1 Anguilla anguilla 1

Alosa agone 3 (e)Alosa fallax 1

Alborella Alburnus alburnus alborella 3 (e) Alburnus alborella 3 (e)Barbo canino Barbus meridionalis caninus 3 (e) Barbus caninus 3 (e)Barbo Barbus plebejus 2 (e) Barbus plebejus 2 (e)Lasca Chondrostoma genei 3 (e) Protochondrostoma genei 3 (e)Savetta Chondrostoma soetta 3 (e) Chondrostoma soetta 3 (e)Gobione Gobio gobio 1 Gobio benacensis1 3 (e)

Cyprinidae Cavedano Leuciscus cephalus 1 Squalius squalus 2 (e)Vairone Leuciscus souffia muticellus 2 (e) Telestes savigny 2 (e)Sanguinerola Phoxinus phoxinus 1 Phoxinus phoxinus 1Triotto Rutilus erythrophthalmus 3 (e) Rutilus erythrophthalmus2 3 (e)Pigo Rutilus pigus 3 (e) Rutilus pigus 3 (e)Scardola Scardinius erythrophthalmus 1 Scardinius hesperidicus 2 (e)Tinca Tinca tinca 1 Tinca tinca 1

Cobite Cobitis taenia bilineata 2 (e) Cobitis bilineata 2 (e)Cobite mascherato Sabanejewia larvata 3 (e) Sabanejewia larvata (e) 3 (e)

Gadidae Bottatrice Lota lota 1 Lota lota 1

Gasterosteidae Spinarello Gasterosteus aculeatus 2 Gasterosteus gymnurus 2

Blenniidae Cagnetta Salaria fluviatilis 2 Salaria fluviatilis 2

Gobiidae Ghiozzo padano Padogobius martensii 3 (e) Padagobius bonelli (e) 3 (e)

Percidae Persico reale Perca fluviatilis 1 Perca fluviatilis 1

Esocidae Luccio Esox lucius 1 Esox cisalpinus3 o flaviae4 2 (e)

Salmonidae Trota marmorata Salmo [trutta] marmoratus 3 (e) Salmo marmoratus 3 (e)

Thymallidae Temolo Thymallus thymallus 1 Thymallus thymallus 1

Cottidae Scazzone Cottus gobio 1 Cottus gobio 1

1. Romanogobio benacensis secondo Kottelat e Freyhof (2007).2. Rutilus aula secondo Kottelat e Freyhof (2007).3. Nuova specie endemica, come recentemente proposto da Bianco e Delmastro (2011).4. Nuova specie endemica, come recentemente proposto da Lucentini et al. (2011).

Clupeidae Agone / cheppia / alosa Alosa fallax 2

Cobitidae

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Quindi si è proceduto alla determinazione più precisadelle comunità di riferimento per ciascuno degli ambien-ti fluviali delle succitate 428 stazioni, facendo riferimen-to ai risultati dei campionamenti effettuati con il monito-raggio del 2009 ed a quelli dei monitoraggi pregressi(Regione Piemonte, 1992, 2006; C.R.E.S.T., 1995, 1997,2000, 2005; Provincia di Biella, 2002; Provincia di

Cuneo, 2002; Provincia di Torino, 2000, 2005a, 2005b;Provincia di Vercelli, 2007). Si è inoltre fatto ampio usodella letteratura ittiologica riguardante il territorio pie-montese (Cortese, 1997, 1999, 2000, 2002; Delmastro,1982; Delmastro et al,. 1990, 2007; Forneris, 1989;Forneris et al., 2005b; Badino et al., 2002; AA, 2000).La maggior parte delle stazioni presentano comunità di

Tab. II. Valutazione delle condizioni biologiche delle popolazioni delle specie ittiche utilizzata con i campionamenti dell’ittiofauna sullereti di monitoraggio regionale e provinciali del Piemonte (428 stazioni) effettuati nell’anno 2009 (Forneris et al., 2011a).

0 Assente.1 Sporadica. Pochissimi individui, anche un solo esemplare.2 Presente. Pochi individui, ma in numero probabilmente sufficiente per l’automantenimento.3 Abbondante. Molti individui, senza risultare dominante.4 Molto abbondante. Moltissimi individui, spesso dominanti.

a1 Presenti almeno il 30 % di giovani (immaturi) o il 20 % di adulti (maturi) della popolazione.a2 Presenti giovani in netta prevalenza; adulti rappresentati per meno del 20 % della popolazione.b1 Adulti in netta prevalenza; giovani per meno del 30 % della popolazione.b2 Presenti esclusivamente individui giovani.

c Presenti esclusivamente individui adulti.

Indi

ce d

i abb

onda

nza (

Ia)

a

b

Numero minimo “N” di individui per Ia = 2 e 2N per Ia ≥ 3. Valori dell’indice “Im” di Ia =2 Ia = 3Moyle-Nichols (1973). N Im 2N Im

Barbo, lasca, cavedano, alborella, rovella, vairone, ghiozzo padano. ≥ 30 3 ≥ 60 ≥ 4Barbo canino, scardola, sanguinerola, triotto, gobione, savetta. ≥ 25 3 ≥ 50 ≥ 4Agone/cheppia/alosa, temolo, panzarolo, cobite, lavarello, bondella, gambusia e pseudorasbora. ≥ 20 2 ≥ 40 ≥ 3Pigo, tinca, persico reale, salmonidi, persico sole, persico trota, Ictalurus spp., cagnetta, scazzone,carpa, carpa erbivora, Carassius spp., aspio, gardon, rodeo amaro, abramide, barbo d’oltralpe.Cobite mascherato, spinarello, acerina e misgurno. ≥ 8 2 ≥ 15 ≥ 2Anguilla, storioni (comune, cobice e ladano), bottatrice, luccio, siluro e lucioperca. ≥ 5 1 ≥ 8 ≥ 2

≥ 15 2 ≥ 30 ≥ 3

Indice di abbondanza (Im) di Moyle-Nichols (1973). Im = 1 ÷ 5 in funzione N 1 ÷ 2 3 ÷ 10 11 ÷ 20 21 ÷ 50 > 50del numero (N) di individui rapportati ad un tratto fluviale di 50 m. Im 1 2 3 4 5

Valori degli indicatori Ir (per l’I.I.) e p2,1 (per l’ISECI) della condizione biologica delle popolazioni ittiche in funzione dell’Indice diabbondanza Ia (con integrazione dell’Indice di Moyle-Nichols).

Ia Consistenza demografica Struttura Indicatore Ir (I.I.) Indicatore p2,1 (ISECI)

1c scarsa destrutturata 0,4 0,21b scarsa mediamente strutturata 0,4 0,21a scarsa ben strutturata 0,4 0,22c intermedia destrutturata 0,5 0,23c pari a quella attesa destrutturata 0,6 0,42b intermedia mediamente strutturata 0,6 0,53b pari a quella attesa mediamente strutturata 0,8 0,72a intermedia ben strutturata 0,8 0,83a pari a quella attesa ben strutturata 1,0 1,04 popolazione dominante (molto abbondante) 1,0 1,0

- Per Ia = 4 si assegna il valore dell’indicatore pari a 1 ritenendo inutile la valutazione sulla struttura.- Per anguilla e lampreda vale Ir = 0,6 e p2,1 = 0,4 per Ia = 1, Ir = p2,1 = 0,8 per Ia = 2 e Ir = p2,1 = 1,0 per Ia = 3.- Alle specie cobite mascherato, spinarello, acerina, misgurno, storioni, bottatrice, luccio, siluro e lucioperca si assegna Ir = 0,6 e p2,1 =

0,5 per tutti gli indici di abbondanza 1a/b/c, 2c e 3c (si escludono i valori Ir < 0,6 e p2,1 < 0,5).

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Tab. IV. Comunità di riferimento delle diverse tipologie ambientali Salmonicola (S), Mista (M) e Ciprinicola (C) del fiume Po (Z1). Incorsivo sono le specie endemiche e sub-endemiche secondo Zerunian et al. (2009). Le specie evidenziate con l’asterisco sono quelle dimaggiore importanza ecologico-funzionale secondo Zerunian et al. (2009). Quelle sottolineate sono incerte.

ZONA DEI SALMONIDI ZONA DEI CIPRINIDI A DEPOSIZIONE LITOFILA

S M C

confl. Croesio p.te Martiniana confl. Ghiandone confl. Maira confl. Sangone confl. St. Casalep.te Martiniana confl. Ghiandone confl. Maira confl. Sangone confl. St.Casale confl. Scrivia

T. Marmorata* T. Marmorata* T. Marmorata* T. Marmorata*Scazzone Scazzone Scazzone Scazzone

Temolo* Temolo* Temolo*Barbo canino Barbo canino Barbo canino Barbo canino Barbo canino

Vairone Vairone Vairone Vairone Vairone VaironeSanguinerola Sanguinerola Sanguinerola Sanguinerola Sanguinerola

Barbo Barbo Barbo BarboCavedano Cavedano Cavedano Cavedano

Lasca Lasca Lasca LascaAnguilla Anguilla Anguilla AnguillaGobione Gobione Gobione GobioneCobite Cobite Cobite Cobite

Ghiozzo Ghiozzo Ghiozzo GhiozzoAlborella Alborella Alborella

Scardola ScardolaTinca TincaTriotto Triotto

Luccio* Luccio* Luccio* Luccio*Savetta Savetta Savetta

Persico reale* Persico reale* Persico reale*

Tab. III. Comunità di riferimento delle diverse tipologie ambientali Alpina inferiore (Ai), Salmonicola (S), Mista (M) e Ciprinicolesuperiore (Cs) e inferiore (Ci) del Piemonte nelle aree e sub-aree Z1 e Z2.1. In corsivo sono le specie endemiche e sub-endemiche secondoZerunian et al. (2009). Le specie evidenziate con l’asterisco sono quelle di maggiore importanza ecologico-funzionale secondo Zerunianet al. (2009). Quelle sottolineate sono incerte.

ZONA DEI SALMONIDI ZONA DEI CIPRINIDI A DEPOSIZIONE LITOFILA

Z1 Z1 Z1 e Z2.1 Z1 e Z2.1

Ai S M Cs Ci

T. marmorata* T. marmorata* T. marmorata*Scazzone Scazzone Scazzone

Temolo* Temolo*Barbo canino Barbo canino Barbo canino

Vairone Vairone Vairone VaironeSanguinerola Sanguinerola Sanguinerola

Barbo Barbo BarboCavedano Cavedano Cavedano

Lasca Lasca LascaAnguilla Anguilla AnguillaGobione Gobione GobioneCobite Cobite Cobite

Ghiozzo Ghiozzo GhiozzoAlborellaScardola

TincaTriotto

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Tab. V. Comunità di riferimento del fiume Ticino (Zona dei Ciprinidi a deposizione litofila - tipologia Ciprinicola “C” in Z1). In corsivosono le specie endemiche e sub-endemiche secondo Zerunian et al. (2009). Le specie evidenziate con l’asterisco sono quelle di maggioreimportanza ecologico-funzionale secondo Zerunian et al. (2009). Quelle sottolineate sono incerte.

T. Marmorata* Vairone Lasca Ghiozzo TriottoScazzone Sanguinerola Anguilla Alborella Luccio*Temolo* Barbo Gobione Scardola Savetta

Barbo canino Cavedano Cobite Tinca Persico reale*

riferimento identiche a quelle genericamente indicate,nelle tabelle III ÷ V. Altre presentano una o due speciein più o in meno in funzione delle situazioni attuale epregresse effettivamente riscontrate.

SITUAZIONI NELLA TIPOLOGIAALPINA SUPERIORE (AS)

Più volte abbiamo sostenuto che la tipologia Alpinanon è adatta per l’individuazione di specifiche comuni-tà di riferimento, in quanto rappresentativa di ambientiquasi sempre popolati da salmonidi (in genere allocto-ni) conseguenza di immissioni per fini alieutici e la cuicondizione naturale è probabilmente l’assenza di ittio-fauna (Forneris et al., 2006a-b, 2007, 2011a). Inoltre irisultati dei campionamenti sono influenzati dalle mo-dalità di gestione dei ripopolamenti e dai prelievi alieuti-ci in misura ben maggiore rispetto alle condizioniambientali dei corsi d’acqua. Tuttavia, ad un’analisipiù accurata, risulta che alcuni ambienti nei tratti più avalle della tipologia Alpina sono popolati (o potrebberoesserlo, almeno potenzialmente, se non alterati) dacomunità costituite da almeno due specie (trota mar-morata e scazzone). Sono comunità povere, ma suffi-cienti per tentare valutazioni di stato. Per tale motivo siè ritenuto di suddividere la tipologia Alpina (A) insuperiore (As), nella quale non è effettivamente possi-bile descrivere comunità autoctone naturali ed inferio-re (Ai), nella quale è invece possibile descrivere comu-nità autoctone naturali, seppure povere (o molto pove-re) in numero di specie (2-3).

Al fine di esaminare in maggior dettaglio tale que-stione si è ritenuto opportuno considerare, rispetto altotale dei 428 siti oggetto di monitoraggio dell’anno2009, esclusivamente le 62 stazioni classificate nellatipologia As (Tab. VI) dove, oltre alla descrizione deglistati dell’ittiofauna, sono riportate le classificazioniSECA del 2008 (ai sensi del D.Lgs. 152/99) e delloStato Ecologico del 2009 e del 2010 (ai sensi delD.Lgs. 152/06). Non è stato determinato l’Indice Itti-co, in quanto tale metodo, per tali ambienti, non vieneritenuto applicabile. Invece è stato applicato l’ISECIconsiderando le comunità di riferimento indicate daZerunian et al. (2009).

Il punteggio medio dell’ISECI è pari a 0,29, mentrela media dei livelli di qualità di stato delle comunità

ittiche è pari a 4,41 (insufficiente/pessimo). Su 16stazioni per le quali sono disponibili le classificazioniSECA e/o dello Stato Ecologico risulta (Tab. VII):– tutti i livelli ISECI sono significativamente inferiori a

quelli ottenuti dal SECA e/o dallo Stato Ecologico;– 13 stazioni (l’80 %) sono in quinta classe (stato

pessimo) secondo l’ISECI; nessuna stazione risultain tale condizione secondo le valutazioni SECA e/odello Stato Ecologico;

– risulta un livello medio pari a 2,0 per il SECA per le10 stazioni per le quali tale dato è disponibile, mentreil valore medio dell’ISECI per le stesse stazioni è paria 4,7 cioè oltre due livelli in meno;

– risulta un livello medio pari a 2,3 per lo StatoEcologico per le 15 stazioni per le quali tale dato èdisponibile, mentre il valore medio dell’ISECI per lestesse stazioni è pari a 4,9; di nuovo oltre due livelliin meno.Rispetto alle 62/428 stazioni As considerate, sei

sono risultate prive di ittiofauna, quindi con valoreISECI non determinabile. Una di esse (Chisone a Pra-gelato) è stata classificata con Stato Ecologico suffi-ciente nel 2009. Dalle note trascritte dagli ittiologi chehanno effettuato i campionamenti sulle altre cinquestazioni non risultano segnalazioni significative di alte-razioni ambientali.

Lo Stato Ecologico viene determinato dal peggioredei livelli LIMeco ed EQB (macrobenthos, diatomee,macrofite e pesci). Con l’applicazione di tale criteriorisulta evidente che gli ambienti As verrebbero classifi-cati nel quinto livello (pessimo) nella maggior partedelle situazioni, con alcuni casi nel quarto livello (in-sufficiente) e molto rari nel terzo (sufficiente), co-munque sempre inferiori all’obiettivo “buono” ai sensidel D.Lgs. 152/06.

Rispetto alle 62/428 stazioni As considerate, ben 17appartengono alla nuova rete di monitoraggio regiona-le, cioè il 9 % del totale di 197. Per esse, nel casodell’applicazione acritica della valutazione dello StatoEcologico nei termini succitati, l’obiettivo “buono”non potrà essere conseguito, indipendentemente dallereali condizioni ambientali dei corsi d’acqua.

Zerunian (2012) ha ipotizzato la possibilità di consi-derare parautoctona la trota fario (Salmo [trutta] trut-ta). Tale idea è stata poi ripresa da Agostini et al.

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Tab. VI. Elenco delle stazioni facenti parte del sistema delle reti di monitoraggio regionale e provinciali del territorio piemontese, contipologia classificata nell’Alpina superiore (As) presenti nelle sub-aree Z1.1 (di pertinenza alpina occidentale sul versante padano) e Z1.2(di pertinenza alpina centrale sul versante padano) ed oggetto di campionamenti relativi all’ittiofauna effettuati nel 2009. Per ogni stazionesono indicati gli Indici di abbondanza (Ia) delle specie campionate, l’eventuale presenza di ibridi (X) ed i numeri totali “AT” delle specieautoctone (AU) ed alloctone (AL). Vengono quindi riportati i valori (ed i relativi livelli di qualità) ottenuti dall’applicazione dell’ISECI egli esiti dei monitoraggi sulla qualità delle acque effettuati negli anni 2008 (D.Lgs. 152/1999), 2009 (D.Lgs. 152/2006) e 2010 (D.Lgs. 152/2006). Sintesi in Tab. VII.

Po 001015 CN Crissolo 1.384 1.1 4 1 1 1 1 1 1 2 2 0,20 5

Po CN005 CN Oncino 846 1.1 4 1 1 0,20 5

Lenta CN045 CN Oncino 825 1.1 4 1 1 0,20 5

Croesio CN050 CN Paesana 552 1.1 4 1 1 0,20 5

Pellice TO105 TO Bobbio Pellice 1.430 1.1 1 1 1 0,20 5

Chisone 029001 TO Pragelato 1.580 1.1 1 3 1 3 ? ?

Chisone 029002 TO Pragelato 1.463 1.1 1 1 1 2 3 3 1 3 3 0,20 5

Chisone TO140 TO Usseaux 1.344 1.1 1 1 1 0,20 5

Chisone TO145 TO Perosa Arg. 616 1.1 3a X 1 1 0,10 5

Chisonetto 671050 TO Pragelato 1591 1.1 2b 1 1 1 3 3 0,20 5

Germanasca TO150 TO Prali 926 1.1 1 1 X 1 1 2 0,32 4

Germanasca Mas. TO155 TO Prali 946 1.1 2b 1 1 0,20 5

Varaita CN060 CN Casteldelfino 1.271 1.1 1 1 1 0,20 5

Varaita CN065 CN Sampeyre 846 1.1 1 4 X 1 1 2 0,32 4

Varaita Chianale CN075 CN Casteldelfino 1.336 1.1 4 1 1 0,20 5

Gilba CN080 CN Brossasco 602 1.1 2a 4 1 1 2 3 0,50 3

Maira CN085 CN Acceglio 1.178 1.1 3a 1 1 0,20 5

Marmora CN095 CN Prazzo 886 1.1 4 1 1 0,20 5

Elva CN100 CN Prazzo 900 1.1 1 2a 2a X 2 1 3 0,52 3

Sangonetto TO415 TO Coazze 746 1.1 2b 3a X 1 1 2 0,41 3

Ripa 235050 TO Sauze Cesana 1.541 1.1 2b 1 1 1 3 3 0,20 5

Dora Riparia TO505 TO Cesana 1.348 1.1 2a 1 1 0,20 5

Dora Riparia 038001 TO Cesana 1.232 1.1 1 1 1 2 2 2 1 3 3 0,20 5

Dora Riparia TO510 TO Oulx 1.068 1.1 2a 1 1 0,20 5

Dora Riparia 038330 TO Salbertrand 995 1.1 1 1 1 2 2 2 1 4 4 0,20 5

Thuras TO530 TO Cesana 1.452 1.1 1 1 1 0,20 5

Piccola Dora TO535 TO Cesana 1.406 1.1 ? ?

D.Bardonecchia TO537 TO Bardonecchia 1.259 1.1 2c 1 1 0,20 5

D.Bardonecchia 236020 TO Oulx 1.060 1.1 1 1 1 2 3 3 1 3 3 0,20 5

Rochemolles TO538 TO Bardonecchia 1.285 1.1 ? ?

Cenischia TO540 TO Susa 512 1.1 2b 1 1 0,20 5

Rocciamelone TO545 TO Bussoleno 461 1.1 2b 1 1 0,20 5

Gravio Villarfoc. TO550 TO Villarfocchiardo 410 1.1 3b 1 1 0,20 5

Gravio Condove TO555 TO Condove 391 1.1 ? ?

Stura Ala TO605 TO Balme 1.130 1.1 2a 3a X 1 1 2 0,50 3

Stura Viù TO635 TO Usseglio 1.237 1.1 3a 1 1 0,20 5

Orco 034040 TO Ceresole Reale 1.590 1.1 3a 4 2 2 1 1 1 1 1 1 0,20 5

Piantonetto TO820 TO Locana 706 1.1 2b 3a X 1 1 2 0,41 3

Corso d’acqua Codice Prov Comune m s.l.m. Z

Stato ittiofauna 2009 Monitoraggi qualità delle acqueISECI

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FORNERIS et al. - Riflessioni sull’applicazione degli Indici Ittici in Piemonte 47

Lavori originali

(2012) per l’applicazione dell’ISECI ai corsi d’acquadel Veneto confrontando due scenari differenti: nelprimo la trota fario come alloctona e nel secondo comeparautoctona. Si è quindi ritenuto di valutare lo scena-rio che risulterebbe con la fario parautoctona perl’insieme delle 62 stazioni As in Piemonte.

In 36 stazioni (58 % del totale di 62) è risultatapresente la sola trota fario. In 20 stazioni sono risultate

presenti anche le specie trota marmorata e/o scazzone;sono ambienti che si trovano sopra i limiti altitudinalisuperiori degli areali di distribuzione di tali specie, la cuipresenza è dovuta ad immissioni di pesci recuperati (permotivi diversi) da altri corsi d’acqua ad opera di perso-nale volontario delle associazioni dei pescatori che ope-rano nelle valli piemontesi. Pertanto, considerando pa-rautoctona la trota fario essa costituisce l’unica specie

Tab. VII. Sintesi del confronto tra i livelli di qualità relativi al SECA (D.Lgs. 152/99 per l’anno 2008), allo Stato Ecologico (D.Lgs. 152/06 per gli anni 2009/2010) ed all’ISECI (per l’anno 2009) valutati per le stazioni facenti parte del sistema delle reti di monitoraggioregionale e provinciali del territorio piemontese, con tipologia classificata nell’Alpina superiore (As) e presenti nelle sub-aree Z1.1 (dipertinenza alpina occidentale sul versante padano) e Z1.2 (di pertinenza alpina centrale sul versante padano).

Sub-aree Z1.1 Z1.2 medie

SECA 1 - 3 - - 2 2 3 1 - 1 - - 2 2 - 2 2,0Livello ISECI 5 5 5 5 5 5 5 5 4 3 4,7Stato Ecologico 2 3 3 3 3 3 4 3 1 2 - 1 1 1 2 2 - 2,3Livello ISECI 5 ? 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 4 5 4,9

Eugio TO825 TO Locana 661 1.1 ? ?

Soana 225020 TO Valprato Soana 1.087 1.1 3a 1 1 0,20 5

Forzo 428010 TO Ronco C.se 900 1.1 2a 1 1 1 2 1 1 2 0,20 5

Sesia VC005 VC Riva Valdobbia 1.084 1.1 3b 2c X 1 1 2 0,47 3

Vogna VC050 VC Riva Valdobbia 1.109 1.1 4 4 X 1 1 2 0,56 3

Artogna VC055 VC Campertogno 881 1.1 3a 2b X 1 1 2 0,56 3

Egua VC065 VC Rimasco 908 1.1 2a 3a 1 1 2 0,50 3

Cervo 009015 BI Sagliano Micca 583 1.1 3a 1 1 1 1 1 1 2 0,20 5

Oropa 410005 BI Biella 415 1.1 3a 1 1 1 1 1 0,20 5

Lanca 571050 BI Muzzano 717 1.1 3c 1 1 1 1 1 0,20 5

Strona Vallemosso 011015 BI Veglio 565 1.1 2b 1 1 2 1 2 1 1 1 0,20 5

Stura Demonte CN275 CN Argentera 1.450 1.1 4 1 1 0,20 5

Stura Demonte 026015 CN Vinadio 950 1.1 3c 3a 1 1 2 2 2 2 1 2 2 0,38 4

Corborant CN300 CN Pianche 1.046 1.1 2c 4 1 1 2 0,32 4

S.Anna CN305 CN Vinadio 964 1.1 3a 4 1 1 2 0,56 3

Rio Freddo CN310 CN Vinadio 932 1.1 2c 4 1 1 2 0,32 4

Cant CN315 CN Demonte 726 1.1 4 3a 1 1 2 0,56 3

Falmenta 835010 VB Falmenta 609 1.2 1 1 1 1 2 2 2 0,20 5

Toce VB010 VB Formazza 1.405 1.2 1 1 3a X 2 1 3 2 1 2 0,43 3

Toce VB015 VB Formazza 1.295 1.2 2c 2a 4 X 2 1 3 0,52 3

Vannino VB045 VB Formazza 1.446 1.2 ? ?

Cairasca VB050 VB Trasquera 547 1.2 3a 1 1 0,20 5

Troncone VB075 VB Antrona 691 1.2 3a 3a 1 1 2 3 0,56 3

Anza VB080 VB Macugnana 1.182 1.2 1 1 1 0,20 5

Corso d’acqua Codice Prov Comune m s.l.m. Z

Stato ittiofauna 2009 Monitoraggi qualità delle acqueISECI

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FORNERIS et al. - Riflessioni sull’applicazione degli Indici Ittici in Piemonte48

Lavori originali

della comunità di riferimento (monospecifica) della tipo-logia As in Piemonte, come anche stabilito dal succitatoPiano Ittico Regionale ai sensi della L.R. 37/2006.

L’ISECI è la somma dei punteggi determinati daindicatori principali: presenza di specie indigene (f1),condizione biologica delle popolazioni (f2), presenza diibridi (f3), presenza di specie aliene (f4) e endemiche(f5). Per i siti di campionamento As considerati ipunteggi relativi agli indicatori f1 (presente la trota farioquale unica specie attesa), f2 (assenza di ibridi traspecie autoctone e alloctone) ed f4 (assenza di speciealiene) assumono i valori massimi, con identica som-ma ponderata pari a 0,5 per tutte le stazioni. Il punteg-gio relativo all’indicatore f5 è sempre pari a zero, inquanto la comunità attesa è priva di specie endemiche.

Per 31 stazioni (50 %) la trota fario è risultata con Ia= 3a oppure con Ia = 4; pertanto l’indicatore f2 assumevalore massimo (p2,1 = 1; cfr. Tab. II); la sommaponderata di tutti gli indicatori (valore numerico del-l’ISECI) è pari a 0,8 (stato buono). Per 4 stazioni (6%) la trota fario è risultata con Ia = 2a; l’indicatore f2assume valore p2,1 = 0,8; la somma ponderata di tuttigli indicatori è ISECI = 0,74 (stato buono). Per unastazione è risultato Ia = 3b; l’indicatore f2 assumevalore p2,1 = 0,7; la somma ponderata di tutti gliindicatori è ISECI = 0,71 (stato buono). Per 7 stazioni(11 %) è risultato Ia = 2b; l’indicatore f2 assume valorep2,1 = 0,5; la somma ponderata di tutti gli indicatori èISECI = 0,65 (stato buono). Per 1 stazione è risultatoIa = 3c; l’indicatore f2 assume valore p2,1 = 0,4; lasomma ponderata di tutti gli indicatori è ISECI = 0,62(stato buono). Per 12 stazioni (19 %) sono risultatecondizioni biologiche delle popolazioni di trota farioinferiori, quindi con valori 0,6 > ISECI > 0,5 (statosufficiente). In sintesi:– per 44 stazioni (71 %) risulta 0,8 ≥ ISECI > 0,6 (stato

buono);– per 12 stazioni (19 %) risulta 0,6 > ISECI > 0,5 (stato

sufficiente);– per 6 stazioni (10 %) l’ittiofauna è risultata assente

(ISECI = 0; stato pessimo); sono tratti di torrenti che(a parte uno), fino a pochi anni fa, ospitavano trotefario, successivamente scomparse per interruzionedei ripopolamenti (per minori risorse disponibili pertale pratica gestionale); per quelle stazioni l’ittiofaunanon è assente a causa di alterazioni ambientali, masemplicemente perché non sono più stati immessipesci;

– risulta il valore medio dell’ISECI pari a 0,65 (statobuono), decisamente superiore a quello (0,29) otte-nuto considerando la trota fario alloctona;

– per tutte le 62 stazioni As il punteggio massimodell’ISECI è pari a 0,8; non è possibile esprimere lostato eccellente (ISECI > 0,8) per mancanza di

specie endemiche;– l’unico indicatore variabile è quello della condizione

biologica (f2), strettamente (o unicamente) dipen-dente dalle modalità di gestione dell’ittiofauna per finialieutici.

SITUAZIONI CON FAUNAALLOCTONA DOMINANTE

I metodi di valutazione di stato delle comunità ittichesono condizionati dalla presenza di specie alloctone, inparticolare quando queste formano popolazioni abbon-danti e talora dominanti. Lo stato di degrado dell’ittio-fauna è conseguenza di molteplici fattori, tra i quali lapresenza di specie aliene, “… probabilmente irreversi-bile, in quanto è molto difficile (se non impossibile)eradicare o almeno contenere la presenza… della fau-na alloctona… In molti casi, trattandosi di un fattoredi degrado non rimovibile, l’obiettivo di qualità lega-to all’EQB “pesci” rischia di non essere conseguibile,con inevitabile pregiudizio del giudizio… dello StatoEcologico dei corpi d’acqua” (Forneris et al., 2011a).

Al fine di mettere in evidenza tale questione, si sonoesaminati gli esiti dei campionamenti del succitatomonitoraggio dell’anno 2009 considerando le stazionicaratterizzate dalla presenza di un numero di speciealloctone pari o superiore al 50 % del totale delle speciecostituenti le comunità (AL/AT ≥ 0,5; Tab. VIII).

Su 23 stazioni così selezionate il punteggio mediodell’I.I.a è pari a 0,16, mentre quello dell’ISECI è paria 0,38, con medie dei livelli di qualità di stato corri-spondenti rispettivamente ai valori 4,7 (prossimo allaquinta classe) e 3,7 (prossimo alla quarta classe).

Su 20 stazioni per le quali sono disponibili le classi-ficazioni SECA per il 2008 (D.Lgs. 152/99) e/o delloStato Ecologico per il 2009/2010 (D.Lgs. 152/06)risulta (Tab. VIII):– tutti i livelli dell’I.I.a, tranne un caso, sono significa-

tivamente inferiori a quelli ottenuti dal SECA e/o dalloStato Ecologico;

– per quanto riguarda i livelli ISECI un solo casopresenta una valutazione migliore rispetto al SECA edallo Stato ecologico, risultano 6 casi (30 %) convalutazione identica al SECA e/o a quello dello StatoEcologico e 13 casi (65 %) con valutazione peggiorerispetto al SECA e/o a quello dello Stato Ecologico;

– 11 stazioni (55 %) sono classificate nel quinto livello(stato pessimo) e 9 stazioni (45 %) nel quarto (statoinsufficiente) secondo l’I.I.a; nessuna stazione èrisultata con stato pari o migliore del terzo livello;

– una sola stazione (5 %) è classificata nel livello 5secondo l’ISECI; 9 stazioni (45 %) risultano nelquarto livello e 10 stazioni nel terzo (50 %);

– risulta una media pari a 3,0 per il SECA per le 13stazioni per le quali tale dato è disponibile, mentre il

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FORNERIS et al. - Riflessioni sull’applicazione degli Indici Ittici in Piemonte 49

Lavori originali

valore medio del livello dell’I.I.a è pari a 4,8; quellodell’ISECI è migliore, pari a 3,5, comunque inferioreal SECA;

– risulta una media pari a 2,6 per lo Stato Ecologico perle 16 stazioni per le quali tale dato è disponibile,mentre il valore medio del livello dell’I.I.a per lestesse stazioni è pari a 4,6 cioè oltre due livelli inmeno; quello dell’ISECI risulta 3,6 un livello in meno.Preoccupante è la situazione del fiume Po a valle di

Casale Monferrato e del reticolo idrografico di pianura

del Piemonte orientale, dove massiccia è la presenza dispecie alloctone. In alcuni casi lo Stato Ecologicovalutato senza considerare l’EQB “pesci” è risultato“buono”, quindi in linea con gli obiettivi di qualità. Perquanto riguarda gli altri ambienti considerati. a parte ilLovassino a Montecastello e il Terdoppio a Cerano, loStato Ecologico corrisponde al livello “sufficiente”;quindi, con l’applicazione rigorosa di quanto previstodal Piano di Tutela delle Acque (approvato dal Consi-glio Regionale 117-10731 del 13/03/2007), si può ipo-

Tab. VIII. Elenco delle stazioni facenti parte del sistema delle reti di monitoraggio regionale e provinciali del territorio piemontese, conesclusione della tipologia Alpina superiore, oggetto di campionamenti relativi all’ittiofauna effettuati nel 2009 e presenti nelle sub-areeZ1.1 (di pertinenza alpina occidentale sul versante padano), Z1.2 (di pertinenza alpina centrale sul versante padano) e Z2.1 (di pertinenzaappenninica sul versante padano). Le tipologie ambientali sono quella Alpina inferiore (Ai), Salmonicola (S), Ciprinicola (C - per il solofiume Po), Ciprinicola superiore (Cs) e Ciprinicola inferiore (Ci). Per ogni stazione sono indicati i numeri totali “N” delle speciecampionate autoctone (AU) ed alloctone (AL). Sono riportate unicamente le stazioni con AL/AT ≥ 0,5. Vengono quindi riportati i valori(ed i relativi livelli di qualità) ottenuti dall’applicazione dell’I.I.a e dell’ISECI e gli esiti dei monitoraggi sulla qualità delle acque effettuatinegli anni 2008 (D.Lgs. 152/1999), 2009 (D.Lgs. 152/2006) e 2010 (D.Lgs. 152/2006). Sintesi in Tab. IX.

Po CN015 CN Martiniana 386 1.1 S 0 1 1 0,00 5 0,20 5

Po AL005 AL Casale M.to 105 1.1 C 5 5 10 3 2 3 0,18 5 0,45 3

Po 001250 AL Frassineto Po 93 1.1 C 5 6 11 3 1 3 0,21 4 0,40 4

Po 001270 AL Valenza 85 1.1 C 4 7 11 2 3 3 2 1 2 0,13 5 0,31 4

Po AL010 AL Bassignana 76 1.1 C 5 8 13 0,17 5 0,35 4

Po 001280 AL Isola S.Antonio 72 1.1 C 3 8 11 3 3 3 2 2 2 0,14 5 0,34 4

Grana 064040 AL Valenza 90 2.1 Ci 3 6 9 3 3 3 3 3 1 3 0,12 5 0,30 4

Canale Lanza 090025 AL Ovvimiano 112 2.1 Ci 4 5 9 2 2 0,22 4 0,52 3

Tanaro 046165 AL Felizzano 96 2.1 Ci 4 6 10 2 3 2 3 0,20 4 0,47 3

Tanaro AL105 AL Alessandria 95 2.1 Ci 3 8 11 3 3 3 0,13 5 0,31 4

Tanaro 046190 AL Alessandria 94 2.1 Ci 2 7 9 2 2 2 0,10 5 0,31 4

Tanaro AL110 AL Montecastello 93 2.1 Ci 3 7 10 3 3 3 0,13 5 0,31 4

Tanaro 046210 AL Bassignana 88 2.1 Ci 3 6 9 3 2 3 2 2 2 0,15 5 0,35 4

Bormida AL125 AL Cassine 115 2.1 Ci 5 6 11 2 3 3 0,27 4 0,43 3

Bormida 065090 AL Alessandria 89 2.1 Ci 6 6 12 2 3 3 2 3 2 3 0,30 4 0,45 3

Lovassino 089020 AL Montecastello 82 2.1 Ci 1 2 3 5 5 5 5 5 5 0,07 5 0,48 3

Agogna 053010 NO Briga N.se 304 1.2 Cs 1 1 2 2 1 2 2 3 3 0,11 5 0,51 3

Toce 051025 VB Crevalodossola 304 1.2 S 2 2 4 1 2 2 0,36 4 0,52 3

Devero 066010 VB Premia 540 1.2 Ai 1 1 2 2 2 2 1 2 2 0,30 4 0,53 3

Diveria VB055 VB Crevalodossola 549 1.2 Ai 0 1 1 0,00 5 0,20 5

Anza 077008 VB Vanzone 589 1.2 Ai 1 2 3 1 2 2 0,20 4 0,44 3

Strona Omegna 055010 VB Omegna 398 1.2 Ai 0 1 1 1 2 2 0,00 5 0,20 5

Terdoppio/Molinara 058030 NO Cerano 104 1.2 Ci 3 4 7 3 3 3 3 4 4 0,10 5 0,36 4

Corso d’acqua Codice Prov Comune m s.l.m. Z Tp

N specie (2009) 2008 2009/2010 I.I.a ISECI

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FORNERIS et al. - Riflessioni sull’applicazione degli Indici Ittici in Piemonte50

Lavori originali

tizzare concretamente raggiungibile il conseguimentodell’obiettivo “buono”. La presenza così rilevante difauna ittica alloctona comporta inevitabilmente giudizidi livello 3-4 per l’EQB “pesci” secondo l’ISECI e di 4-5 secondo l’I.I.a, imponendo così la stessa valuazioneanche per lo Stato Ecologico e rendendo di fattodifficile il conseguimento degli obiettivi di qualità.

NUOVE SPECIE ENDEMICHEL’Indice Ittico naturalistico (I.I.n; Forneris et al.,

2011a) fornisce una qualificazione naturalistica di unacomunità ittica. Tale metodo considera, come valorinegativi, le presenze di specie alloctone e considera siale condizioni biologiche delle popolazioni delle specieautoctone, sia il loro “valore intrinseco” in funzionedell’estensione dell’areale di distribuzione naturaledella specie (fattore “AD”; Tabb. I e X).

Consideriamo, come esempio, il cavedano, cioè“Leuciscus cephalus” secondo Gandolfi et al. (1991) eZerunian (2002, 2004), caratterizzato da un ampioareale di distribuzione, comprendente quasi tutta l’Eu-ropa; pertanto vale AD = 1 (Tab. I). Sono passati oltre20 anni dall’importante contributo della monografia diGandolfi et al. (1991), la cui nomenclatura scientificaè ancora ampiamente utilizzata da molti ittiologi italiani,ma “… con l’avvento, a partire soprattutto dagli anninovanta, delle moderne indagini biomolecolari, e del-le ipotesi biogeografiche sulle origini degli endemismiperimediterranei, molti aspetti tassonomici riguardan-ti le specie europee e italiane sono cambiati” (Bianco e

Delmastro, 2011). Ora il cavedano viene denominato“Squalius squalus”, secondo Kottelat e Freyhof (2007)e confermato da Bianco e Delmastro (2011), un nuovoendemismo italiano, quindi con valore AD = 2. La Tab.I riporta l’elenco delle specie ittiche del Piemonte conindicazione delle tassonomie vecchia e nuova:– per 16 delle 29 specie considerate (55 %) le denomi-

nazioni scientifiche non sono cambiate;– per 8 specie (28 %), tutte endemiche italiane, sono

state proposte nuove denominazioni, ma che noncomportano modifiche dei loro areali naturali didistribuzione e quindi dei rispettivi valori AD;

– per 5 specie (17 %) sono state proposte nuovedenominazioni che comportano modifiche, anchesignificative, dei loro areali naturali di distribuzione;il caso più evidente è quello relativo al gobione che,da Gobio gobio considerato presente in gran partedell’Europa e nel distretto padano-veneto (AD = 1),è diventato Gobio benacensis, presente esclusiva-mente nel solo distretto padano-veneto (AD = 3).Per quanto riguarda la metodologia dell’Indice Ittico

ambientale (I.I.a), nulla cambia, in quanto basata sulconfronto diretto tra le comunità ittiche riscontrata eattesa; tale confronto è influenzato dalle condizionibiologiche delle popolazioni delle specie, senza distin-zioni di tipo ecologico-funzionale e indipendentementedai valori AD. Invece quasi tutto cambia rispetto al-l’Indice Ittico naturalistico (I.I.n), in quanto sarebberoda rivedere sia i valori AD assegnati alle singole specie,sia quelli dei punteggi relativi alle comunità ai fini

Tab. IX. Sintesi del confronto tra i livelli di qualità relativi al SECA (D. Lgs. 152/99 per l’anno 2008), allo Stato Ecologico (D.Lgs. 152/06 per gli anni 2009/2010) ed all’I.I.a ed all’ISECI (per l’anno 2009) valutati per le stazioni facenti parte del sistema delle reti dimonitoraggio regionale e provinciali del territorio piemontese, limitatamente alle stazioni per le quali il numero di specie alloctone èrisultato pari o superiore al 50 % del numero totale delle specie rinvenute ed al esclusione delle tipologia classificate nell’Alpina superiore.Le tipologie ambientali sono quella Alpina inferiore (Ai), Salmonicola (S), Ciprinicola (C - per il solo fiume Po), Ciprinicola superiore(Cs) e Ciprinicola inferiore (Ci).

Tipologia C C C C Ci Ci Ci Ci Ci Ci Ci Ci Ci Ci Cs S Ai Ai Ai Ci Medie

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Tab. X. Valori del fattore di distribuzione naturale delle specie ittiche secondo Forneris et al. (2007).

AD = 1 Ampia distribuzione in tutta o gran parte dell’Europa.

AD = 2 Porzione ristretta dell’Europa e/o fascia mediterranea e/o tutta o buona parte della penisola italiana.

AD = 3 Fascia mediterranea e/o tutta o buona parte della penisola italiana, ma con popolazioni frammentate ed incerte e/olimitata a uno dei due distretti zoogeografici padano-veneto e tosco.laziale individuati da Bianco (1987, 1996).

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FORNERIS et al. - Riflessioni sull’applicazione degli Indici Ittici in Piemonte 51

Lavori originali

dell’attribuzione delle classi di qualità. Rimangono dastabilire gli eventuali effetti sul metodo dell’Indice delloStato Ecologico delle Comunità Ittiche (ISECI).

Rispetto alle 428 stazioni di campionamento dellereti di monitoraggio regionale e provinciali, oggetto dimonitoraggio dell’ittiofauna nell’anno 2009, ai finidell’analisi degli effetti sull’ISECI dovuti ai cambia-menti della nomenclatura scientifica e quindi della indi-viduazione di nuovi endemismi, si sono considerateunicamente le stazioni della nuova rete regionale (aisensi del D.Lgs. 152/06) ed inoltre si sono escluse lestazioni:– classificate nelle tipologie Alpina superiore (As) e

inferiore (Ai) e Salmonicola (S), perché poco o nullacondizionate dalle nuove tassonomie;

– con assenza di pesci;– con AL/AT ≥ 0,40, al fine di evitare le situazioni

eccessivamente condizionate dalla presenza di speciealloctone;

– rispetto alle quali, per particolari condizioni ambien-tali, non è stato possibile individuare le comunità diriferimento;

– con comunità di riferimento inferiori a 8 specie,tenuto conto che, secondo lo schema standard utiliz-zato per tutto il territorio piemontese e ad esclusionedella tipologia Salmonicola (S) la tipologia più “pove-ra” è la Ciprinicola superiore (Cs) con 10 specie(Tabb. III ÷ V);

– nelle quali si è rinvenuto un numero pari o inferiore a5 specie della comunità di riferimento;

– con I.I.a e/o ISECI pari o inferiori al quarto livello, alfine di evitare le situazioni dovute a forti alterazioni,ben più importanti nel condizionare le valutazioni distato delle comunità ittiche;

– per le quali non è disponibile, ai fini di eventualiconfronti, il dato SECA per l’anno 2008 e/o quellorelativo allo Stato Ecologico per gli anni 2009/2010.

In sintesi, esaminando il sottoinsieme delle 47 sta-zioni considerate sulla base dei criteri succitati (Tab.XI), si sono valutati gli indici ISECI/1 secondo levecchie nomenclature ed ISECI/2 secondo quelle nuo-ve. Risulta quanto segue:– si osserva una variazione molto modesta del punteg-

gio medio “P5”, relativo all’indicatore “presenza dispecie endemiche” (f5), che passa dal valore 0,78 conl’utilizzo delle vecchie nomenclature al valore 0,81con l’utilizzo delle nuove nomenclature;

– tenuto conto che il punteggio “P5” condiziona quellodell’ISECI solo per il 20 %, il valore medio (0,73)rimane identico per gli indici ISECI/1 ed ISECI/2;

– risultano due casi con passaggio dal livello di qualità2 al livello 1 ed un solo caso dal livello 2 al livello 3dall’ISECI/1 all’ISECI/2, quindi senza variazioni si-

gnificative dei livelli medi (da 1,83 a 1,81);– sulla base delle vecchie nomenclature il numero

medio delle specie endemiche AUra(e1) risulta pari al57 % rispetto a quello totale (AUra) delle specie attesedella comunità di riferimento;

– sulla base delle nuove nomenclature il numero mediodelle specie endemiche AUra(e2) risulta pari al 75 %rispetto a quello totale (AUra) delle specie attese dellacomunità di riferimento.Sostanzialmente sembra che i recenti cambiamenti

tassonomici riguardanti un elevato numero di specieautoctone (13/29, il 45 % per il territorio piemontese) econ evidente incremento di quelle endemiche, condi-zionino poco o nulla la metodologia dell’ISECI, intermini di valutazione complessiva di stato dell’EQB“pesci”. Piuttosto emerge un problema di non pococonto. Infatti, con l’utilizzo delle nuove nomenclature,come succitato e dall’esame del campione significati-vo delle 47 stazioni considerate, risulta un valore per-centuale medio piuttosto elevato (75 %) del rapporto“Aura(e)/Aura”, cioè tra il numero delle specie endemi-che della comunità di riferimento e quello totale dellastessa comunità. In molti casi tale rapporto supera l’80%. Addirittura sul Piota a Silvano d’Orba risultano 8specie endemiche su nove autoctone attese della co-munità di riferimento (89 %). Ciò potrebbe far ritenereche gli indicatori f1 (presenza di specie indigene) ed f5(presenza di specie endemiche) siano praticamentesovrapponibili, per cui, di fatto, i corrispondenti pun-teggi P1 (con peso pari a 0,3) e P5 (con peso pari a 0,2),sommati come rappresentativi di un unico indicatore,condizionano per il 50 % il valore complessivo del-l’ISECI, con conseguente sottovalutazione dell’impor-tante indicatore relativo alla “condizione biologica del-le popolazioni” (f2), con peso del relativo punteggio(P2) pari a 0,3.

CONCLUSIONINel territorio piemontese, in questo ultimo decen-

nio, sono state effettuate importanti campagne di mo-nitoraggio dell’ittiofauna, insieme a quelle finalizzatealla classificazione della qualità dei corsi d’acqua me-diante il SECA ai sensi del D.Lgs. 152/99 fino all’anno2008 e dello Stato Ecologico ai sensi del D.Lgs. 152/06 a partire dall’anno 2009. È stato quindi possibile,analogamente a quanto proposto con precedenti con-tributi (Forneris et al., 2006b, 2010, 2011b; Delma-stro et al., 2007), disporre di un ricco insieme di datiper effettuare efficaci analisi sui metodi di valutazionedi stato dell’elemento EQB “pesci”, con particolareriferimento ai corsi d’acqua naturali. Merita evidenzia-re che le considerazioni espresse sulla base delle espe-rienze acquisite per il territorio piemontese si possonoritenere valide per gran parte del territorio nazionale.

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FORNERIS et al. - Riflessioni sull’applicazione degli Indici Ittici in Piemonte52

Lavori originali

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FORNERIS et al. - Riflessioni sull’applicazione degli Indici Ittici in Piemonte 53

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FORNERIS et al. - Riflessioni sull’applicazione degli Indici Ittici in Piemonte54

Lavori originali

Con il presente contributo si sono esaminati edapprofonditi i seguenti aspetti: la validità dei sistemi divalutazione di stato delle comunità ittiche per i trattisuperiori dei torrenti montani, l’attendibilità degli stessinegli ambienti dominati dalle specie ittiche alloctone ela coerenza rispetto alle ricerche inerenti nuove tasso-nomie ed in rapida evoluzione.

Corsi d’acqua montani. Per quanto riguarda l’ap-plicazione dell’Indice Ittico, secondo la versione piùrecente (Forneris et al., 2011a), si ribadisce l’esclu-sione degli ambienti classificati nelle tipologie ambien-tale alpina (A) della subarea Z1 (porzioni medio-alte deibacini alpini) e salmonicola (S) della subarea Z2 (por-zioni alte dei bacini appenninici sui versanti padano eadriatico) e nei torrenti delle testate dei bacini appenni-nici sul versante tirrenico in Z3. Sono ambienti quasisempre popolati da salmonidi (in genere alloctoni)conseguenza di immissioni per fini alieutici e la cuiprobabile condizione naturale è l’assenza di ittiofauna.I risultati dei campionamenti potrebbero essere in-fluenzati dalle modalità di gestione dei ripopolamenti edai prelievi alieutici in misura ben maggiore rispetto allecondizioni ambientali dei corsi d’acqua. Ciò vale ancheper l’ISECI.

Per gli ambienti succitati, ai fini della valutazionedello Stato Ecologico ai sensi del D.Lgs. 152/06, l’ele-mento EQB “pesci” andrebbe opportunamente esclu-so. Merita ricordare che la non applicabilità di unqualunque metodo di valutazione di stato delle comuni-tà ittiche nei tratti superiori dei corsi d’acqua montaniera già stata proposta da Badino et al. (1992).

Fauna alloctona. Secondo la Direttiva 2000/60/CEl’elemento EQB “pesci” deve essere valutato sulla basedel confronto tra la comunità ittica effettivamentepresente (campionata), considerando le condizioni bio-logiche (abbondanza e struttura) delle singole popola-zioni e quella di riferimento, cioè quella attesa in assen-za di alterazioni di origine antropica. La presenza dispecie alloctone va considerata come una grave formadi alterazione, anche e soprattutto perché probabil-mente irreversibile e/o difficilmente contenibile.

In numerosi corsi d’acqua piemontesi, nei quali laqualità fisico/chimica e biologica delle acque non do-vrebbe porre limiti eccessivi allo sviluppo e conserva-zione di comunità ittiche almeno discrete, la massicciapresenza di specie alloctone comporta pesanti riper-cussioni nelle valutazioni di stato. Tale situazione rendedifficile il conseguimento degli obiettivi di qualità basatisull’attribuzione del giudizio dello Stato Ecologico sullabase del ben noto meccanismo per cui la valutazionecomplessiva è pari a quella peggiore degli elementi diqualità biologica (EQB) e fisico-chimica e rispetto alquale sono state sollevate non poche perplessità (Nar-dini et al., 2008). Nelle situazioni con fauna alloctona

dominante l’elemento “pesci” diventa determinante inquesto modello dominato dal criterio “vinca il peggio-re” (Baldaccini, 2009).

Il punteggio complessivo dell’ISECI è condizionatodai fattori “presenza di ibridi” (f3) e “presenza dispecie aliene” (f4) i cui rispettivi valori P3 e P4 pesanoentrambi 0,1 nel calcolo dell’indice. L’idea di inseriretali fattori come elementi negativi nel calcolo dell’indi-ce (come accade per l’I.I.n) sarebbe condivisibile se siconcepisse l’ISECI come indice naturalistico; infatti lapresenza di specie aliene è una vera e propria forma dialterazione rispetto allo scenario determinato dall’evo-luzione naturale e costituente il riferimento fondamen-tale dello stato naturalistico definibile come “eccellen-te”. In realtà, per coerenza con la Direttiva 2000/60/CE, l’EQB “pesci” andrebbe valutato con un metodoche “misura gli effetti dell’alterazione” e non le cause.La fauna alloctona è una causa ed infatti, come sopradimostrato, la sua presenza determina effetti grave-mente negativi sulla comunità ittica autoctona, cosìcome altri fattori di alterazione (derivazioni/ritenzioniidriche, interventi di sistemazione idraulica, eutrofizza-zione, ecc.), ma non per questo inseriti nel sistema divalutazione.

Per tali ragioni bisognerebbe forse ripensare all’op-portunità/utilità di mantenere i succitati fattori f3 ed f4nel metodo ISECI o in qualunque altro metodo divalutazione di stato quando finalizzato alla determina-zione dello Stato Ecologico. Ma rimane ancora unproblema molto più importante, di difficile risoluzionee cioè il rischio di irreversibilità dell’alterazione dovutaalla presenza di fauna alloctona, soprattutto quandoinvasiva.

Le nuove tassonomie. Secondo Bianco e Delma-stro (2011) in Italia “Gli aggiornamenti, rispetto allespecie citate da Gandolfi et al. (1991) e Zerunian(2004), interessano 22 specie mentre, per quanto ri-guarda l’aggiornamento rispetto a Kottelat e Frehyof(2007), interessano 11 specie… Per quanto riguardala vecchia nomenclatura ufficiale e lo stato di conser-vazione, sette specie considerate di origini danubianeo padane da Gandolfi et al. (1991) e Zerunian (2004)inserite nella categoria “Low Concern” dell’IUCN(2010), in realtà si sono dimostrate, alcune da almeno15-20 anni, specie endemiche italiane. Se non si pro-cede a un riconoscimento nazionale di questi endemi-smi e ad una loro tutela, è chiaro che la loro sorte èdestinata a peggiorare ulteriormente”.

Le preoccupazioni espresse dai succitati Autorisono condivisibili e certamente va riconosciuto comemolto importante il contributo della ricerca nel setto-re della sistematica dell’ittiofauna. Tuttavia bisognaammettere che i continui aggiornamenti riguardanti letassonomie e quindi soprattutto il riconoscimento

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FORNERIS et al. - Riflessioni sull’applicazione degli Indici Ittici in Piemonte 55

Lavori originali

degli endemismi, pongono non pochi problemi perl’applicazione dei sistemi di valutazione di stato dellecomunità ittiche. Abbiamo visto che poco o nullacambia rispetto all’Indice Ittico ambientale (I.I.a), inquanto esso non attribuisce agli endemismi un ruoloecologico diverso rispetto alle altre specie autoctone,ma viene stravolto l’Indice Ittico naturalistico (I.I.n)e pone problemi all’ISECI, in quanto risulta unasovrapposizione degli indicatori f1 (presenza di specieindigene) ed f5 (presenza di specie endemiche) tenen-

do anche conto che non sono da escludere, neiprossimi anni, ulteriori aggiornamenti che potrebberoestendere la lista delle specie endemiche. Per esempiosi può citare la linea evolutiva adriatica (o padana) delThymallus thymallus (Meraner e Gandolfi, 2012) chepotrebbe essere elevata a nuova specie con areale didistribuzione limitata al distretto padano-veneto, quindiun ulteriore endemismo ristretto (AD = 3), quandoattualmente si ritiene un’unica specie a livello euro-peo (AD = 1).

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FORNERIS et al. - Riflessioni sull’applicazione degli Indici Ittici in Piemonte56

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Biologia Ambientale, 28 (8): 57-64, 2014.

Animali esotici negli zoo e valutazionedel loro benessere: un approccio olistico

Spartaco GippolitiViale Liegi, 48 – 00198 Roma. [email protected]

Pervenuto il 2.5.2013; accettato il 16.5.2013

RiassuntoIl Decreto Legislativo 73/2005 richiede la valutazione delle attività di ricerca, conservazione ed educazione e gli standard di mantenimentodegli animali negli ‘zoo’ (inclusi acquari, zoosafari, delfinari, ecc.) soggetti a licenza. La storica sottovalutazione degli aspetti tecnici legatialla zoo-biology in Italia e pressioni da parte di associazioni animaliste, rendono ancora più forte una tendenza a privilegiare un approccio‘medico’ alla valutazione del benessere degli animali e ad enfatizzare il ruolo del veterinario nella gestione degli zoo. Nel presente lavoroviene offerta una breve sintesi sull’argomento e viene discusso criticamente l’allegato tecnico del D.Lgs. 73, soffermandosi su alcuniaspetti critici per la corretta gestione degli animali. Si auspica un approccio olistico e bio-etologico alla gestione, e di conseguenza allavalutazione in sede ispettiva, degli standard di mantenimento degli animali selvatici in cattività.

PAROLE CHIAVE: conservazione della biodiversità / legislazione zoo / modello medico

Exotic wild animals in zoos and welfare: an holistic approachItalian legislation requires yearly inspections to asses standards of licensed zoos. Owing to an historic neglect of zoo-biology in Italy andpressures of animal-right groups, there is a tendency to over-emphasize a medical approach to welfare evaluation and the presence of aveterinary surgeon in the context of zoo management. In the present paper a review of the subject is offered and a discussion is doneconcerning the technical supplements of Legislative Decree 73/2005, with identification of some critical points. A more holistic and bio-ethological approach to the management and assessment of hundreds of different vertebrates species in zoos is recommended as a crucialaspect of zoo’s conservation’s mission.

KEY WORDS: biodiversity conservation / zoo legislation / medical model

«Se vuoi sapere se l’elefante dello zoo ha il mal di stomaco,non chiedere al veterinario ma a chi pulisce la gabbia»

Robert M. Sapolsky (2006: 445)

INTRODUZIONEIl mantenimento di specie animali in situazioni con-

trollate, spesso al di fuori dell’originale areale, ha radiciantiche. In Cina, Egitto e Mesopotamia grandi collezio-ni zoologiche erano assemblate già più di 4.000 anni fa(FINOTELLO, 2004). Il rapporto con gli animali selvaticiin cattività e il loro ruolo simbolico nelle varie civiltà èun argomento di grande interesse oggetto di contributida parte di storici, psicologi, architetti, antropologi.Oggi però la società richiede che le strutture chedetengono animali selvatici, ed in particolare quelle

aperte al pubblico, siano oggetto di verifiche da partedelle autorità statali per garantire la sussistenza direquisiti minimi che garantiscano da un lato il benesse-re psicofisico degli animali ospitati, e dall’altro l’assen-za di problematiche sanitarie che potrebbero danneg-giare la salute umana o la zootecnica. Gli zoo respon-sabili sono stati tra i primi propugnatori di una legisla-zione specifica (BRONZINI, 1985).

Il presente contributo analizza alcuni aspetti delDecreto Legislativo 73/2005 che stabilisce i criteri per

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l’acquisizione della Licenza di Zoo nel nostro paese,recependo in maniera più restrittiva la direttiva 1999/22/CE che delinea le norme in ambito Unione Europea.È utile sottolineare immediatamente che queste normericonoscono agli ‘zoo’ (inclusi acquari, zoo-safari,case delle farfalle, delfinari, ecc.) un ruolo nell’ambitodella Convenzione sulla Biodiversità (GIPPOLITI, 2012)che si esplica attraverso i programmi di conservazionein situ e ex situ, la formazione, la divulgazione e laricerca.

Per questo la valutazione delle strutture esistenti oche stanno nascendo, spesso diversissime perché de-dicate a gruppi animali filogeneticamente lontani oppu-re con budget assai variabili e diverse concezioni ar-chitettoniche e ‘filosofiche’, se non può assolutamenteprescindere dalla presenza del veterinario specializzatonon può, a rigor di logica, essere effettuata senzal’ausilio di altre professionalità ed in particolare ditecnici familiari con la gestione dei vari gruppi tasso-nomici in cattività. Ciò anche in virtù dei peculiariobiettivi dello ‘zoo’; questi devono perseguire neces-sariamente una finalità prettamente biocentrica ed oli-stica, che esula da qualsiasi tentativo di domesticazio-ne e di antropocentrismo se vogliono essere realmenteutili alla biodiversità (GIPPOLITI, 2011). Nella realtà,invece, molte strutture zoologiche italiane non dispon-gono di personale tecnico-scientifico adeguato (a giu-dicare dallo scarso contributo alla letteratura speciali-stica nazionale ed internazionale) e alcune pensano disopperire a questo deficit con la presenza, più o menocostante, del veterinario.

ZOO E BENESSERE DEGLI ANIMALIGli zoologi del XIX Secolo commiseravano gli ani-

mali ospitati negli zoo dell’epoca in maniera non moltodissimile da come spesso si fa oggi. Molti direttorierano consci dei limiti imposti agli animali ma benscarse erano le alternative in un epoca in cui le osser-vazioni scientifiche sugli animali erano spesso limitateallo studio delle spoglie nei Musei di storia naturale. Leconoscenze sulla ‘storia naturale’ delle diverse specieerano scarsissime, i fattori climatici sopravvalutati (Fig.1) e la sola sopravvivenza di un singolo esemplare eraconsiderata giustamente un grande successo.

Se quindi oggi appare riprovevole nutrire un gorillacon salsicce viennesi, pane imburrato e birra chiaragelata, allo staff dell’Acquario di Berlino doveva appa-rire il massimo delle cure possibili per una specie a noifilogeneticamente così vicina. L’antropomorfismo ec-cessivo, se da un lato denota sensibilità ed attenzioneverso le altre specie, finisce spesso per sottovalutarnele reali esigenze critiche, esigenze che possono essereanche molto diverse tra loro nelle diverse specie. Nelpresente lavoro si tiene conto della quantità e qualità

delle informazioni che esistono sul mantenimento deglianimali selvatici negli ‘zoo’, frutto di una esperienzascientifica più che secolare (Tab. I) raccolta in migliaiadi articoli e libri (per una recente sintesi, si veda adesempio HOSEY et al., 2009 e, per gli aspetti pretta-mente sanitari, FOWLER e MILLER, 2007). Sulla basedella biologia applicata agli zoo (HEDIGER, 1950; 1970),si delineano alcuni dei principi di base per valutare laqualità del mantenimento di specie selvatiche in cattivi-tà (con particolare riferimento ai giardini zoologici),seguendo un approccio olistico.

Fig. 1. Ancora oggi si sottovaluta la capacità di adattamento allediverse condizioni climatiche di molte specie omeoterme, comequesto ghepardo Acinonyx jubatus (foto S. Gippoliti).

Tab. I. Alcuni eventi salienti della attività scientifica dei giardinizoologici.

Anno Evento

1859 Inizia la pubblicazione a Francoforte di Der ZoologischeGarten (oggi rivista della WAZA, World Association Zoosand Aquaria)

1942 Hediger pubblica Wilde Tiere in Gefangenschaft, tradottoin inglese nel 1950

1946 Nasce l’International Union of Directors of ZoologicalGardens (IUDZG), oggi WAZA

1959 Primo Simposio Internazionale dei veterinari di zoo aBerlino

1959 La Zoological Society di Londra inizia la pubblicazionedell’International Zoo Yearbook, curato da DesmondMorris

1960 Nasce l’American Association of Zoo Veterinarians

1970 Inizia la pubblicazione di Journal of Zoo and WildlifeMedicine

1982 Inizia la pubblicazione di Zoo Biology

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LO SPAZIOUno degli aspetti di criticità maggiore per un profa-

no è costituito proprio dalla limitazione della libertà dimovimento imposto dalla cattività. A volte il termine èusato chiaramente a sproposito, per esempio quando siparla di “leoni liberi come allo zoosafari”. Gli animaliliberi sono quelli che non dipendono per la loro soprav-vivenza dall’intervento diretto dell’uomo e non sonolimitati nei loro spostamenti da nessuna barriera artifi-ciale. Ma è questa enfasi sulla quantità dello spaziogiustificata dalle conoscenze scientifiche e praticheaccumulate negli zoo e in natura nell’ultimo secolo?

Lo sviluppo dell’ecologia (studio dei rapporti tra gliorganismi e l’ambiente fisico) e dell’etologia (studiodel comportamento) nel secolo scorso ci fornisce laprova che l’esistenza degli organismi viventi è condi-zionata da una moltitudine di fattori ambientali (bioticied abiotici) e sociali (cioè dai rapporti intraspecifici)che sono all’origine della estrema ricchezza di specie(biodiversità) che osserviamo sul nostro pianeta eche era d’altronde prevedibile secondo la teoria dellaselezione naturale propugnata da Darwin e Wallacenel 1858. La difesa di un ‘territorio’ ben circoscrittoè stata descritta in innumerevoli specie mentre inmolte altre si parla di aree familiari (home ranges)perché non precluse ad altri individui o gruppi dellastessa specie. Heini Hediger, etologo e direttore deglizoo di Berna, Basilea e Zurigo, fonderà la zoo biologysulla premessa che non è la limitazione di spazio ilfattore cruciale per il corretto mantenimento deglianimali negli zoo, ma la trasposizione dei fattori qua-litativi che caratterizzano i territori o le aree familiarinelle varie specie (HEDIGER, 1950). Decenni di ricer-che sul campo hanno dimostrato che la superficie delterritorio varia considerevolmente a seconda delledisponibilità trofiche e, più in generale, della qualitàdell’habitat. La tigre del Parco Nazionale Chitwan(Nepal) ha territori in media di 15 km2 per le femminee di 50 km2 per i maschi, mentre nella più inospitaleManciuria, i territori delle femmine si estendono perquasi 400 km2, e quelli dei maschi possono arrivare a1300 km2 (MAJUMDER et al., 2012). Si può quindiipotizzare che gli animali che vivono nelle aree piùfavorevoli occupino aree più limitate, e certamentenon il contrario. Alcune ipotesi possono essere testa-te con individui che utilizzano risorse trofiche abbon-danti. L’area familiare di gruppi di macachi che inambienti urbani vengono artificialmente forniti di cibodall’uomo, ma rimangono free-ranging, è drammati-camente ridotta rispetto quella dei conspecifici nonalimentati. Lo stesso può dirsi di gruppi che hannofacile accesso al cibo, per esempio sotto forma didiscarica. Un gruppo di bertucce Macaca sylvanusalimentate regolarmente dai turisti a Gibilterra occu-

pava un home range di un ettaro (FA, 1991).Un’altra evidenza può provenire dall’osservazione

dell’uso dello spazio di animali che in alcuni giardinizoologici hanno a disposizione spazi molto ampi. Ingrandi recinti per erbivori, le aree con mancanza dierba a causa del calpestio mostrano chiaramente chegli animali prediligono sostare in un area limitata, spes-so limitrofa ai ricoveri ed alle zone di approvvigiona-mento. Simili osservazioni sono anche state compiutesui gorilla (STOINSKI et al., 2001). Non è chiaro se ciòpossa essere anche il risultato di una inadeguatezza diuna parte del recinto; resta il fatto che, anche se cosìfosse, ciò confermerebbe che la qualità è più rilevantedella quantità. A parte poche specie di grandi dimen-sioni, la stragrande parte delle specie dipende dallapropria capacità di passare inosservata, spesso inhabitat complessi e ricchi di vegetazione, per il pro-prio successo predatorio e per sfuggire ai predatori(Fig. 2-3).

Recenti meta-analisi hanno evidenziato nelle diver-se specie di carnivori una correlazione tra grandi areefamiliari, alta mortalità neonatale in cattività e predi-sposizione a compiere stereotipie (CLUBB e MASON,2003, 2007). Basandoci sul limitato dataset fornitodai soli giardini zoologici italiani, si può rilevare chel’allevamento dei piccoli nell’orso polare Ursus mari-timus è stato ottenuto da quattro dei cinque zoo chehanno mantenuto la specie, spesso in impianti dilimitata (Milano) o appena maggiore estensione (Na-poli, Pistoia, Fasano), ma non a Roma dove esisteval’impianto più vasto (Gippoliti, oss. pers.). Quindi ilsuccesso nella riproduzione sembra legato a ben altrifattori, in particolare alla privacy assicurata alla fem-mina durante il parto e i primi mesi di allevamentodella prole. Anche per il licaone Lycaon pictus, canide

Fig. 2. La complessità verticale dell’habitat è per molte speciearboricole, come questo ocelot Leopardus pardalis, più impor-tante della semplice superficie totale (foto S. Gippoliti).

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sociale africano, l’allevamento della prole sembra piùlegato a fattori quali la disponibilità di tane sicure, lastabilità sociale del gruppo familiare e il controllo dieventuali parassiti nei piccoli che non alle dimensionidel recinto (Fig. 4).

ASPETTI SANITARILe generali condizioni igienico-sanitarie in cui zoo

e acquari si sono sviluppati storicamente erano assaidiverse dalle attuali. Non deve quindi stupire che lemalattie infettive costituissero una grave minacciaper gli animali e che con gli anni grande attenzione siastata dedicata alla prevenzione della trasmissione ditali malattie, in particolare attraverso una estremaattenzione alla igienicità delle gabbie. Nel caso dianimali particolarmente delicati come le grandi scim-mie antropomorfe, gli animali erano isolati da vetratee tenuti a temperatura costante; il cibo era prevalente-mente bollito e si preferiva dissetare gli animali con iltè (STEMMLER-MORATH, 1968). Nel 1932 ad esempio,una intera famiglia di scimpanzé Pan troglodytes,incluso uno dei primi nati in Europa, soccombeva allatubercolosi nel Giardino Zoologico di Roma (GIPPOLI-TI, 2010). L’evoluzione verso ambienti in cemento epiastrelle, facili da pulire e con forniture (pali, piatta-forme, ecc.) ridotte all’essenziale e meglio se inacciaio, rappresenta quindi una risposta ai suddettiproblemi sanitari non però estranea ad alcuni trendarchitettonici dell’epoca (funzionalismo). Fortunata-mente, gli sviluppi in campo sanitario hanno portatoad una estrema riduzione del pericolo rappresentatoda questi aspetti, anche se gli ambienti realizzati inquegli anni sono all’origine delle aspre critiche rivolteagli zoo a partire dagli anni ’60-70 del secolo scorsoed alla frequenza di comportamenti ‘anomali’ (MOR-RIS, 1964) (Fig. 5).

Decenni di ricerche applicate ci permettono didelineare, almeno per le specie più comunementemantenute negli ‘zoo’, i parametri principali che con-sentono di venire incontro alle esigenze comporta-mentali e quindi favorire il benessere psicofisico degliindividui. Gli ambienti più complessi sia dal punto divista sociale che fisico richiedono il continuo coin-volgimento del veterinario/i sia a livello preventivoche di monitoraggio degli individui, e la fattiva colla-borazione con lo staff curatoriale e scientifico chedispone in linea di massima delle conoscenze relativealla storia naturale delle singole specie, alle loro carat-teristiche di allevamento in cattività e alla storia indi-viduale dei soggetti. La stretta correlazione tra gliaspetti biologici e quelli medici può essere apprezzatapienamente in compendi specialistici (p. es. FOWLER eMILLER, 2007). Per citare un caso esemplificativo,diverse specie di macropodi sono soggette ad unanecrobacillosi che colpisce l’apparato masticatore,causata dai batteri Fusobacterium necrophorum eCorynebacterium piogene. Tre fattori ambientali sonosospettati di incrementare il rischio di infezione: so-vraffollamento, ferite dovute a collisione con partidella recinzione e infine assenza di legno e erbe

Fig. 3. La vegetazione viva, dove ne è consentita la crescita daglianimali, fornisce non solo complessità strutturale ma anche unamaggiore sicurezza a piccoli primati come questi callimico diGoeldi Callimico goeldi (foto S. Gippoliti).

Fig. 4. L’allevamento di specie difficili come i licaoni Lycaonpictus è prova tangibile della rilevanza biologica dell’habitat arti-ficiale creato nel giardino zoologico (foto S. Gippoliti).

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grezze nella dieta (BROOKINS et al., 2008). Questasindrome detta lumpy jaw (osteomielite orale) mo-stra chiaramente l’interrelazione tra gestione, am-biente sociale e salute e richiederebbe di essereaffrontata con un approccio olistico e non solomedico-veterinario. Per inciso, anche in questo casola documentazione e disseminazione di informazioniconcernenti la gestione di gruppi in cui si riscontrala patologia e ‘sani’ dovrebbe essere uno dei contri-buti basilari di un giardino zoologico gestito concriteri scientifici.

IL DECRETO LEGISLATIVO 73/2005:ALCUNE OSSERVAZIONI

Il suddetto decreto, che recepisce in Italia la diret-tiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animaliselvatici nei giardini zoologici, detta le norme perl’acquisizione della Licenza di Zoo in Italia. Nei suoiallegati, che prendono spunto e ricalcano i requisitiminimi preparati dall’EAZA (2008), vengono fissati icriteri qualitativi che devono caratterizzare gli zoolicenziati. Come forse inevitabile, gli allegati sembra-no prediligere quello che è stato definito “modello

medico di gestione” (SEIDENSTEKER e DOHERTY, 1996).Per esempio nell’All. 1, il punto A2 recita “Qualsiasianimale risulti in condizioni di stress, malato o feritodeve ricevere immediate cure ed attenzioni del medi-co veterinario”. A parte il fatto che gli animali selvati-ci possiedono una capacità di recupero che li pone ingrado di ristabilirsi da piccoli traumi senza la necessi-tà di interventi sanitari che quasi sempre impongonodei periodi di separazione dall’unità sociale che pos-sono avere effetti disastrosi per l’individuo rimosso,non ci sembra che animali stressati abbiano urgenzadi essere ancora più stressati dalla visita del veterina-rio. Al contrario, è compito dello staff tecnico avan-zare delle ipotesi per questo stato (p. es. arrivo di unnuovo esemplare, spostamento di recinto, ecc.) eporre in atto quelle tecniche che consentono all’esem-plare di superare questo momento di stress, se possi-bile attraverso la rimozione della causa che lo hadeterminato. L’esame degli standard minimi prepara-to dall’EAZA (2008) conferma il nostro punto di vistain quanto il paragrafo originale recita “Any animalswhich are noted to be unduly stressed, sick or injuredto receive immediate attention and, where necessary(nostro corsivo), treatment”.

Il punto B2 b del D. Lgs. 73 recita; “evitare ilpersistere di conflitti fra branchi o membri del brancoo fra differenti specie, nel caso di exhibit miste”. Secorretto appare il secondo punto in quanto troppospesso alcune specie soffrono gravi conseguenze perla convivenza con specie più aggressive, la questionedei conflitti intraspecifici merita un approfondimen-to.

La necessità di costituire unità sociali paragonabili(sia qualitativamente che quantitativamente) a quelleche occorrono in natura rappresenta una grande con-quista della zoo biology (HEDIGER, 1950; 1970). Innessuna parte del decreto questo aspetto è citato.Spetta allo staff tecnico dello zoo una valutazione deiconflitti che inevitabilmente occorrono all’interno diunità sociali (Fig. 6).

In generale, degli accorgimenti nel governo deglianimali possono contribuire ad alleviare dei conflitti(p. es. distribuendo il cibo su aree più vaste). A voltequesti conflitti possono avere un andamento stagio-nale (p. es. stagione degli amori). Appare pertantoperfettamente giustificabile che lo staff tenti di man-tenere l’integrità del gruppo, consapevole della diffi-coltà di potere garantire situazioni ottimali per unesemplare isolato appartenente a specie sociale. Inaltri casi, specialmente nel caso di specie scarsamen-te sociali, è giusto che, per esempio, gli individuigiovani siano spostati prima che possano verificarsiincidenti con gli adulti.

Al punto B5 si stabilisce che “Devono essere

Fig. 5. Comportamenti come il leccare sbarre e travi possonoavere origine da diete povere di fibre che non soddisfano piena-mente i comportamenti di foraggiamento (foto S. Gippoliti).

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sempre disponibili recinti o vasche separati per lefemmine in gravidanza o che allevano i piccoli, inmodo tale da evitare, ove necessario, situazioni distress o di sofferenza. L’alloggiamento o il trasferi-mento delle femmine gravide o in allattamento indetti recinti o vasche deve avvenire esclusivamentesu prescrizione del veterinario o del curatore del-l’acquario”. Anche in questo caso, il coinvolgimen-to del veterinario appare inappropriato (ed infattinon compare nel punto 7 degli standard EAZA).Questa appare infatti una di quelle scelte gestionaliche dipendono dalla socio-ecologia della specie inquestione (Fig. 7) ed anche dal carattere individualedegli animali in questione.

Così ad esempio, mentre generalmente le femminedi grandi felidi sono separate dal maschio ben primadel parto, esistono maschi di tigre che non rappresen-tano un pericolo per i propri piccoli. Ovviamenteesistono specie per le quali, al contrario, la separazio-ne dal gruppo o dal maschio della femmina gravidarappresenta un grande fattore di stress. La familiaritàdel personale con gli animali è poi un altro fattorefondamentale per superare eventuali emergenze dicarattere sanitario (Fig. 8).

Se si intende avere una valutazione obiettiva circala conduzione di uno zoo o acquario, riteniamo cheuna fonte di grande interesse e obiettività, apparente-mente sottovalutata dal D.Lgs. 73, sia rappresentatadall’analisi degli inventari e dai registri di carico escarico degli animali oltreché delle schede individuali(quando possibile). Infatti la presenza e conformitàalla situazione reale di questi documenti rappresentagià una prova evidente dell’attenzione e competenzadello staff. L’eventuale rilevamento della presenza diun alto numero di esemplari singoli, di errate o nonmeglio definite classificazioni tassonomiche (per es.“1 Macaca sp.”), di un eccessivo numero di decessie la mancanza di indagini per comprenderne l’originerappresentano tutti sintomi di una insufficiente ge-stione scientifica della struttura.

Indagini basate sulla visita degli ‘zoo’ da parte dipersone chiaramente schierate da un punto di vista‘filosofico’ e di cui si ignorano le specifiche compe-tenze professionali, come per esempio quella realizza-ta dalla Fondazione Born Free (BORN FREE e EN-DCAP, 2011) possono costituire interessanti punti dipartenza ma nulla di più, né tantomeno rappresentarela prova della necessità di un maggiore coinvolgimen-to dei veterinari nella gestione degli zoo (ANONIMO,2012). Ma, se le carenze denunciate da Born Freefossero confermate, ciò rappresenterebbe a rigore laprova delle carenze dell’organico di molte strutture alivello biologico-curatoriale, necessarie per garantireil rispetto del D.Lgs. 73 nei giardini zoologici.

Fig. 7. Fenicottero Phoenicopterus roseus di cinque giorni nutri-to da uno dei genitori. I fenicotteri si riproducono solo se mante-nuti in colonie numerose (foto S. Gippoliti).

Fig. 6. La rimozione delle corna di questo maschio di cervicapraAntilope cervicapra nasce da un habitat insoddisfacente che ponea rischio la vita delle femmine (foto S. Gippoliti).

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QUALE MODELLO PER LAGESTIONE DI UNO ZOO?

SEIDENSTIKER e DOHERTHY (1996: 182) identificanoquattro principali modelli di gestione per gli animalinegli zoo. Il modello medico (MM) è descritto cometendente a ridurre la complessità ambientale per rende-re l’ambiente più igienico e sicuro e consentire unmaggiore controllo della salute degli animali. Il MMenfatizza l’intervento tecnologico diretto piuttosto cheuna approssimazione della storia naturale della speciein questione. Al contrario, il modello di gestione etolo-gico (ME) è un approccio che cerca di risolvere iproblemi alla radice. Per questo cerca ad esempio dirisolvere problemi di riproduzione negli zoo apportan-do modifiche nell’ambiente fisico e sociale sulla basedelle conoscenze della socio-ecologia della specie allostato selvatico. Per fare un esempio ripreso da questiautori, il ME prescrive tranquillità e isolamento per unafemmina gravida nervosa con una storia di abbandonodella prole se questo è quello che succede in naturaabitualmente. Il MM prescrive invece la somministra-zione di tranquillanti e la preparazione di un piano per larimozione e l’allevamento artificiale dei neonati. AncheANDERSON e VISALBERGHI (1990) notano che veterinaried etologi valutano in maniera differente aspetti fisici esociali dell’ambiente. SNOWDON (1991) sviluppa unagraduatoria di tre criteri utilizzabili per valutare l’ido-neità degli ambienti in cui vivono animali in cattività. Ilsuo criterio basico è quello ‘veterinario’, in cui l’obiet-tivo è quello di avere animali in buona salute da unpunto di vista nutritivo e sanitario. Il criterio ‘biologi-co’ enfatizza la riproduzione e l’allevamento naturaledella prole, ed è quello che generalmente è stato utiliz-zato dagli zoo per valutare il benessere degli animaliospitati. Il criterio più stringente è quello ‘eto-ecologi-co’, nel quale il massimo del repertorio comportamen-tale viene mantenuto ai fini di un possibile reinserimen-to in natura. Si tratta di un obiettivo puramente teorico

Fig. 8. Il rapporto esistente tra personale ed animali è alla base dialti standard di benessere.

che mira ad innalzare in alto l’asticella degli standard dimantenimento delle specie selvatiche negli zoo. Inquesto contesto grande rilevanza riveste la modalità dialimentazione degli animali, che non deve tenere contosolo delle necessità nutrizionali ma anche di quellecomportamentali e sociali. Per esempio in molti casibisogna adottare delle tecniche di gestione che facilita-no l’aumento del tempo giornaliero che gli animaliimpiegano nelle attività di foraggiamento, quindi anchenella ricerca, selezione e preparazione del cibo, senzaincrementare la quantità di nutrienti offerti ma incorag-giando i naturali comportamenti di foraggiamento spe-cie-specifici. Spesso alcune problematiche comporta-mentali nascono da diete che privilegiano mangimicommerciali, più economici, controllati igienicamentee facili da conservare ma che non consentono l’espres-sione di comportamenti tipici di foraggiamento e au-mentano i periodi di inattività a cui gli animali possonorispondere con stereotipie (per esempio leccare leinferiate con la lingua in giraffe ed altri erbivori insostituzione dei normali comportamenti di assunzionedel cibo). Inoltre le diete commerciali hanno deglieffetti indesiderati sull’apparato masticatorio (BOND eLINDBURG, 1990) e probabilmente anche su quello di-gestivo.

In sede di ‘zoo’ quindi, il punto di partenza per lavalutazione del benessere animale deve essere il crite-rio biologico (SNOWDON, 1991) e deve essere conside-rato in maniera positiva il fatto che nella gestione dellediverse specie si adotti un approccio eco-etologico.Più spesso di quanto si pensi, per esempio nei delfinari,si predilige porre l’accento sulla sterilità dell’ambiente,sulla disponibilità di avanzate apparecchiature ospeda-liere e sul monitoraggio di alcuni fattori ambientali,mentre alcuni aspetti socio-ecologici, come la com-posizione e stabilità del nucleo sociale, sono scarsa-mente discussi e apparentemente sottovalutati.

Se quindi lo zoo è luogo interdisciplinare per eccel-lenza, non si può sperare in una politica culturale escientifica all’altezza dei requisiti legislativi richiesti inassenza nel ruolo direttivo di un biologo o altro tecnicocon preparazione ‘organismica’, che abbia quindi atti-tudine ad una visone olistica della scienza ed in partico-lare alla diversità animale (LEWONTIN, 1998). Da ciòconseguirà inevitabilmente l’assemblaggio di un teamaffiatato che comprenda curatori, veterinari, guardia-ni, educatori accumunati dalla stessa visione.

Anche in sede di controlli, la mancanza di una giustasinergia tra diverse professionalità può indebolire l’in-tero processo di licenziamento, mancando di eviden-ziare alcuni aspetti cruciali sia per quanto riguarda lavalutazione del benessere psicofisico di particolari spe-cie che altri aspetti legati agli obiettivi educativi escientifici di un giardino zoologico. Una visione esclu-

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sivamente sanitaria può richiedere ad esempio la rimo-zione giornaliera delle feci in un dato recinto a prescin-dere dal fatto che quest’ultime abbiano una funzionesociale per una certa specie e che i programmi educa-tivi richiamino l’attenzione su questo aspetto. Durantel’ispezione poi non è possibile accertare se una certatecnica di arricchimento ambientale risulti effettiva-mente utile per una data specie, ma la presenza di

specialisti può almeno contribuire a valutare la poten-ziale idoneità della tecnica. Per questo il coinvolgimen-to di esperti del settore, familiari ad esempio con lelinee guida che diverse associazioni di zoo preparanoper la corretta gestione dei singoli gruppi tassonomicioltreché con la eco-etologia delle specie in questione,rappresenta un tassello cruciale per garantire una mag-giore efficacia dei controlli statali nel settore.

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Biologia Ambientale, 28 (n. 1, 2014)

Impatto dell’illuminazione artificialesugli organismi viventiGiuseppe Camerini

Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente - Università degli Studi. Via S. Epifanio, 14 - Pavia. [email protected]

RiassuntoL’inquinamento luminoso è un problema che interessa tutte le aree abitate del Pianeta e condiziona in negativo gliorganismi viventi, in relazione alla sensibilità di ciascun taxon. Gli effetti dell’inquinamento luminoso interessano piantee animali che popolano gli ambienti terrestri e quelli acquatici più vicini ad aree urbane. Interferenze con i naturali cicliluce/buio possono influenzare processi a livello fisiologico. L’esposizione alla luce artificiale durante le ore notturne, peresempio, può alterare gli orologi biologici in conseguenza di squilibri ormonali. L’inquinamento luminoso può anchetrasporre comportamenti che si manifestano in ore diurne o crepuscolari alle ore notturne e incidere sui comportamentiriproduttivi quando essi sono sincronizzati con il fotoperiodo. Ad essere condizionati sono altresì i meccanismi di orienta-mento e migrazione. I gradienti di luminosità possono condizionare i tempi dedicati alla ricerca del cibo da parte dellediverse specie animali; in tal modo l’interferenza data dalla luce artificiale può aumentare il livello di competizioneinterspecifica. Specie che non tollerano le luci artificiali possono andare incontro a estinzione ed essere sostituite da altreche beneficiano dell’illuminazione notturna. Specie che siano attratte dalle sorgenti luminose possono per altro andareincontro ad un aumento del rischio di predazione. In definitiva, l’alterazione dei processi di competizione e predazione puòincidere sulle dinamiche di popolazione e dunque –di riflesso– l’impatto dell’illuminazione artificiale può avere ancheimplicazioni ecologiche.

PAROLE CHIAVE: illuminazione artificiale / piante / animali invertebrati / animali vertebrati

The impact of artificial night lighting on living organismsLight pollution is a global problem involving every inhabited area of the World. Light pollution can adversely influencewildlife and taxa show different susceptibility. Artificial night lighting can affect plants and animals living both interrestrial and aquatic habitats next to urban areas. Changes in natural patterns of dark and light can disrupt physiologicalprocesses. Exposure to artificial light during the night, for example, can alter hormone levels regulating biological clocks.Artificial night lighting can shift diurnal or crepuscular behaviours to occur at the night. Light/dark patterns are often usedby animals to synchronize reproduction, therefore changes in light levels can disrupt reproductive behaviours. Someanimals are disoriented when the natural night brightness is altered, therefore critical functions, such as migration, can beaffected, too. Illumination gradients can work as factors regulating foraging times; artificial light tends to increase inter-specific competition for food. Thus, species sensitive to lights, in some cases become extinct because of competition comingfrom species that benefit from artificial light. On the other hand, animals attracted by lamps often have to face an increasedrisk of predation. Alteration of competition and predation can have ecological implications.

KEY WORDS: artificial lighting / plants / invertebrates / vertebrates

INTRODUZIONEL’illuminazione artificiale è

un fattore di progresso che ha resopiù vivibile la notte a beneficio diuna specie –quella umana– chenotturna non è. Sicurezza, facilita-zione nel trasporto di cose e perso-ne, estensione alle ore notturne delle

attività produttive: sono solo alcu-ni dei vantaggi offerti dalla dispo-nibilità di luce artificiale.

L’altra faccia della medagliaè però l’impatto derivante dalla dif-fusa presenza di impianti di illumi-nazione pubblica e privata (Sidoti

e Ghislieri, 2008). Il primo allarmeè venuto dal mondo dell’astrono-mia, che ha documentato il cre-scente livello di inquinamento lu-minoso che rende sempre meno age-vole la visione notturna dei corpicelesti. Un ruolo di rilevanza a li-

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vello mondiale in tale ambito haavuto il gruppo di lavoro del Dipar-timento di Astronomia dell’Univer-sità di Padova, che ha contribuitoin maniera determinante alla pub-blicazione del primo atlante mon-diale dell’inquinamento luminoso(Cinzano et al., 2001a) e ha redattoun dettagliato report sulle dimen-sioni del fenomeno in Italia (Cin-zano et al., 2001b).

Ciò che viene definito inqui-namento luminoso è conseguenzadell’urbanizzazione che si accom-pagna a una crescente espansionedegli impianti di illuminazione not-turna nei Paesi più sviluppati sottoil profilo economico (Fig. 1). Il fe-nomeno è in crescita: solo per cita-re un dato, secondo Cinzano (2000)tra il 1960 e il 1995 nelle regioniitaliane del nord est l’aumento del-l’inquinamento luminoso è proce-duto con un incremento medio an-nuale pari a circa il 10%.

Il quadro conoscitivo sugli ef-fetti dell’inquinamento a caricodelle componenti biotiche è quan-to mai frammentario, tuttavia l’in-sieme dei dati disponibili suggeri-sce interessanti indicazioni genera-li sul fenomeno. L’impatto si deter-mina sia quando la luce provienedirettamente da una sorgente lumi-nosa ben identificabile (ciò che nellaletteratura anglosassone è detto gla-

re) sia sotto forma di luce diffusa(in inglese sky glow). Nel primo casol’effetto deriva dal bagliore emessoda un impianto di illuminazione oda una singola sorgente luminosache, ad esempio –nel caso di unanimale– raggiunge i fotorecettoridell’occhio (Wilson, 1998). La lucediffusa è invece il risultato delleinterferenze che la luce subisce nelsuo propagarsi dalla sorgente lumi-nosa. Interagendo con l’atmosfera,la superficie del suolo e le nubi, laluce viene assorbita e riflessa: ilrisultato è la formazione di un’au-ra luminosa sospesa sul piano del-l’orizzonte che nel caso delle areemetropolitane più estese assumedimensioni imponenti e può arri-vare in casi estremi ad essere visibi-le anche per un raggio di 160 kmdal centro della città (Crawford eHunter, 1990). Mentre il fenomenodella luce diffusa si manifesta suscala di paesaggio, laddove esista-no agglomerati urbani di una certadimensione, quello della interferen-za da luce diretta può avere luogocome detto anche da una sorgenteluminosa puntiforme e isolata, comead esempio un singolo lampione(Scheibe, 2000).

L’intensità della luce artifi-ciale non è il solo elemento davalutare per stimarne l’impatto sul-le componenti biotiche. Anche il

tipo di luce è fattore di primariaimportanza. Essa dipende anzi tut-to dal materiale reattivo che la lam-pada contiene, ma anche dalle ca-ratteristiche del rivestimento dellalampada o dalla presenza di even-tuali filtri opportunamente monta-ti allo scopo di schermare partico-lari lunghezze d’onda emesse dallasorgente luminosa (Salmon, 2006).Come si vedrà in seguito, lampadedi uguale potenza ma funzionanticon materiali reattivi diversi posso-no determinare effetti ben differen-ti sugli organismi viventi, in ragio-ne del loro diverso spettro di emis-sione. La lampade ad alta pressio-ne al vapore di sodio, per esempio,producono il loro picco di emissio-ne in corrispondenza con le lun-ghezze d’onda del rosso, del gialloe del verde, mentre la versione alvapore di sodio a bassa pressioneemette luce corrispondente al piccodel giallo. Lampade al vapore dimercurio producono invece unospettro luminoso che ha il piccomassimo in corrispondenza del blu(Osterbrock et al., 1976).

Per quanto riguarda poi lanatura degli effetti, anch’essa puòvariare ampiamente in relazionealle specifiche caratteristiche biolo-giche degli organismi che mostra-no sempre –se pure in misura diver-sa– una spiccata sensibilità alla luce(Rich e Longcore, 2006). Insiemealla temperatura, la luce è infatti ilfattore ecologico che ha maggioreinfluenza sui processi biologici:come “motore” della fotosintesi,come parametro rispetto al qualesincronizzare i ritmi biologici oancora come elemento essenzialeper l’orientamento visivo di tipoastronomico.

Di seguito vengono riassunti irisultati dei principali studi eseguitia livello internazionale sugli effettidell’inquinamento luminoso a cari-co delle piante superiori, degli ani-mali invertebrati e dei vertebrati.

Fig. 1. Nei territori di pianura italiani il fenomeno dell’inquinamento luminososi manifesta con particolare intensità (foto G. Camerini).

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PianteLe piante sono molto sensibi-

li alla luce e non solo in virtù dellaloro capacità di trasformare l’ener-gia luminosa in energia chimicaattraverso la fotosintesi. Come peril resto degli esseri viventi, infatti, èla luce il principale fattore che,agendo sugli orologi biologici, rego-la i ritmi vitali legati all’attivitàvegetativa o alla riproduzione. Unaserie di fotorecettori scoperti negliultimi decenni (fitocromi, criptocro-mi, fototropine, ecc.) fungono daefficaci sensori biochimici che rile-vano le variazioni dei livelli lumi-nosi (Briggs, 2006). Le lunghezzed’onda che attivano questi sensorie le conseguenti risposte fisiologi-che sono in primis quelle in gradodi attivare il processo della fotosin-tesi. Le sorgenti luminose artificialiemettono di norma onde elettroma-gnetiche di lunghezza diversa ri-spetto allo spettro utile alla fotosin-tesi; l’attività fotosintetica di pianteesposte a luci artificiali pertantopuò subire un incremento solo selo spettro emissivo delle fonti lumi-nose artificiali comprende compo-nenti cui sono sensibili le clorofillee i pigmenti accessori (Roman etal., 2000). Le lampade ad incande-scenza utilizzate in passato aveva-no queste caratteristiche e dunquepotevano estendere in maniera si-gnificativa il numero di ore di luceutili allo svolgimento della fotosin-tesi, mentre lampade ai vapori disodio a bassa pressione non paionoavere questa capacità (Casagrandee Giulini, 2000). La luce artificialepuò tuttavia interferire indiretta-mente con il processo della fotosin-tesi: Cathey e Campbell (1975a) ri-feriscono ad esempio che esemplaridi platano esposti a lampade alsodio ad alta pressione mostravanouna crescita più rapida ed estesanel tempo rispetto al campione dicontrollo. Negli esemplari espostialla luce artificiale, tuttavia, il con-

tenuto di clorofilla nella foglia erainferiore e maggiore era la sensibi-lità al danno da inquinamento at-mosferico. Effetti sui vegetali supe-riori sono stati evidenziati anchegrazie a uno studio che ha preso inesame due esemplari di Magnoliagrandiflora L. dell’orto botanico diPadova (Roman et al., 2000). Me-diante misure di fluorescenza sucampioni di tessuti fogliari preleva-ti in prossimità delle luci e in puntischermati dalla stessa è stato dimo-strato che le lampade (a vapori dimercurio) inibivano la fotosintesi.Gli autori propongono due possibi-li ipotesi per spiegare il fenomeno:secondo la prima il decremento del-la fotosintesi potrebbe essere dovu-to alla minore quantità di luce so-lare assorbita dalle piante quandorisultavano azionate le lampade.In alternativa, l’inibizione della fo-tosintesi potrebbe essere il risultatodi un diminuito contenuto di clo-rofilla nel mesofillo determinato dal-l’esposizione a luce artificiale. Datenere conto anche l’effetto di na-tura microclimatica che si viene adeterminare per effetto del riscalda-mento prodotto dall’irradiazione lu-minosa sugli organi della piantapiù direttamente esposti alle luciartificiali, che può determinare unprolungamento del periodo vegeta-tivo (Casagrande e Giulini, 2000)derivante da un’alterazione deimeccanismi di regolazione che se-gnano il passaggio dalla fase vege-tativa attiva alla quiescenza nellepiante a foglia caduca. Briggs (2006)cita l’esempio di esemplari arboreicresciuti nel campus dell’Universi-tà californiana di Berkeley nei pres-si di luci artificiali; questi esempla-ri, a differenza di altri che si trova-vano a maggiore distanza dalle fontiluminose, conservavano più a lun-go il fogliame, fino al tardo autun-no o addirittura fino all’inverno.

Ben documentato è l’impattoche l’illuminazione notturna può

esercitare sul fotoperiodismo, valea dire l’insieme di reazioni che lepiante attivano in risposta al ritmoambientale giornaliero e stagiona-le dei periodi di luce e di oscurità eche condiziona processi come lafioritura. Su questo aspetto sonostate svolte numerose ricerche a finiapplicativi rivolte soprattutto al set-tore florovivaistico. L’obiettivo èquello di prolungare i periodi difioritura di piante di interesse eco-nomico (es. Chrysanthemum sp.) econtrollare mediante esposizione aluce artificiale la fioritura stessaper farla avvenire in modo scalare,sincronizzandola con le richiestedel mercato (Vince-Prue, 1994). Inrelazione alla durata del fotoperio-do, le piante possono mostrare unaloro sensibilità alla luce che necondiziona la fioritura; in tal casosi opera una distinzione fra piantebrevidiurne e longidiurne. Piantela cui fioritura, al contrario, non ècondizionata dalla luce, sono detteneutrodiurne.

Le piante superiori, oltre amostrare una risposta differenzialenei confronti della luce “naturale”,vale a dire quella solare, posseggo-no sensibilità molto diverse nei con-fronti di fonti luminose artificiali,come documentano gli studi di Ca-they e Campbell (1975a, 1975b) chehanno preso in esame gli effetti dialcuni tipi di lampade (incande-scenti, a vapori di sodio ad altapressione, alogenuri, fluorescenti,ai vapori di mercurio) su un riccocampione di piante di interesse or-ticolo e di piante arboree. L’esperi-mento, condotto in laboratorio, con-sisteva nell’esporre giornalmente ivegetali a 8 ore di luce solare alter-nate a un periodo di 16 ore duran-te le quali –in luogo dell’oscurità–veniva mantenuta un’intensità lu-minosa pari a 10 lux. Furono testa-te inoltre intensità luminose piùintense, ottenendo risultati simili aquelli ottenuti con il valore di 10

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lux. In ordine decrescente, gli effet-ti maggiori in termini di interferen-za con il fotoperiodismo furono in-dotti dalle lampade: incandescenti,ai vapori di sodio, ad alogenuri,fluorescenti e infine da quelle aivapori di mercurio. La risposta deivegetali sperimentati aveva un ca-rattere specie-specifico.

In tempi recenti, a partire dal2000, è da segnalare un notevolesforzo di ricerca messo in campoper valutare il possibile uso in ser-ra di luce da diodi per la produzio-ne di ortaggi. Un articolo di reviewpubblicato da Olle e Viršile (2013)include in bibliografia oltre 60 arti-coli riferibili a ricerche su questotema. Da esse si può desumere chei dispositivi a led che emettono se-condo frequenze corrispondenti adiversi colori (rosso, blu, bianco,verde) producono su essenze di in-teresse ortivo come Lactuca sativa oBrassica sp. variazioni nella con-centrazione di metaboliti (antocia-ni, carotenoidi, fenoli, ecc.), nel-l’accumulo di biomassa, nei livellidi clorofilla, oltre a determinareinterferenze sui tempi di fioritura.

Invertebrati acquaticiGli organismi acquatici sono

esposti agli effetti dell’inquinamen-to luminoso quando i litorali sonoprossimi ad aree urbane. La pene-trazione della luce artificiale al-l’interno del corpo idrico è influen-zata dalla torbidità delle acque, manotevole influenza hanno anche lediverse frequenze delle componentiemesse dalle sorgenti luminose. Laprofondità di penetrazione raggiun-ta dalle diverse componenti lumi-nose a sua volta può determinareeffetti differenziali in relazione allasensibilità dei vari taxa. Moore etal. (2006) hanno studiato il feno-meno in quattro bacini lacustri delMassachusetts disposti lungo ungradiente tracciato a partire daun’area agricola, per arrivare infi-

ne ad un lago posto in piena areaurbana. I quattro laghi erano bor-dati da impianti di illuminazioneartificiali disposti entro 30 m dallerive. Più che al disturbo causato daquesti impianti, tuttavia, i ricerca-tori erano interessati a valutare glieffetti della luce diffusa. A tale pro-posito il protocollo della ricerca pre-vedeva la misurazione dell’intensi-tà e dello spettro luminoso in punticollocati al centro della superficiedel lago. Riguardo allo spettro lu-minoso, le lampade più diffuse neiquattro siti di studio erano quelleal sodio ad alta pressione che emet-tono luce dominata dalla compo-nente gialla e infatti la luce inci-dente sulla superficie dei laghi erain prevalenza quella gialla (585nm) che tende a penetrare in pro-fondità entro la colonna d’acqua.La luce artificiale incidente la su-perficie dei laghi aveva dunque unospettro ben diverso da quello dellaluce naturale notturna, vale a direquella lunare. Il bagliore emessodalla luna altro non è che lucesolare riflessa e come tale ha unospettro costituito da un intervallodi lunghezze d’onda ben più esteso(380-700 nm) che non include soloil giallo/arancione, ma anche il blue il rosso. Quanto all’intensità lu-minosa derivante dal fenomeno del-la luce diffusa, come atteso essatendeva ad aumentare lungo il gra-diente scelto, con valori misuratisul lago posto in area urbana da 3a 6 volte maggiori rispetto a quelliregistrati nel bacino situato nel-l’area meno urbanizzata. Le condi-zioni meteo climatiche mostravanodi avere una loro influenza: in pre-senza di cielo nuvoloso, in tutte lequattro aree di studio l’intensitàluminosa aumentava fino a quat-tro volte rispetto alle condizioni dicielo sereno. In letteratura sono di-sponibili ben pochi dati sui livellidi intensità luminosa artificialepotenzialmente disturbanti per gli

organismi acquatici. Nel caso delgenere Daphnia, crostaceo cladoce-ro che mostra fototassi positiva, Fli-ck et al. (1997) indicano valori com-presi fra 0,01 e 3 lux. Per altriorganismi acquatici che sono inve-ce fotofobi, come ad esempio il Cro-staceo Mysidopsis bahia Molenock ole larve dei Ditteri afferenti al gene-re Chaoborus, risultano disturbantiintensità luminose di quattro ordi-ni di grandezza inferiori. Nei quat-tro laghi del Massachusetts furonomisurati livelli di luminosità equi-valenti a 2/3 di quelli corrispon-denti a notti di luna piena (0,05-0,1lux); secondo gli autori della ricer-ca si tratta dunque di valori desti-nati a produrre effetti a carico degliorganismi viventi, soprattutto quel-li che popolano le aree pelagiche(Moore et al., 2006).

Uno dei fenomeni che in mag-gior misura può essere condiziona-to da variazioni anche molto lievidei livelli di intensità luminosa èquello delle migrazioni verticalidello zooplancton (Haney, 1993).Nelle ore diurne gli organismi plan-ctonici sono di norma distribuitinella parte profonda della colonnad’acqua, per poi salire in superficiea nutrirsi verso il tramonto e torna-re in profondità al calare della not-te. Osservazioni svolte in alcuni la-ghi vicini a Boston indicano chel’inquinamento luminoso può ini-bire del tutto tali migrazioni (Moo-re et al., 2000). Gli organismi piùsensibili sono i predatori dotati dimarcata fototassia negativa, comele larve del Dittero Chaoborus punc-tipennis Say, che non tollerano in-tensità luminose superiori a 0,001lux, equivalenti alla luce diffusanaturale in notti di luna nuova(Gal et al., 1999).

Altro meccanismo che puòsubire interferenze significative è ilcosiddetto “drift”, ovvero il movi-mento degli artropodi bentonici deicorsi d’acqua che periodicamente

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si lasciano trascinare a valle percolonizzare nuovi microhabitatdove minori sono il rischio di pre-dazione e la competizione per l’ac-cesso al cibo (Giller e Malmquist,1998). In molti torrenti è stato regi-strato un picco del drift in coinci-denza con le ore del crepuscolo.Quando il fenomeno si verifica nel-le ore serali e notturne, esso è mol-to condizionato dai livelli di lumi-nosità naturale notturna. In condi-zioni di luminosità corrispondentia quelle della luna piena, ad esem-pio, si può registrare una riduzionesignificativa del fenomeno. L’inqui-namento da luce diffusa può so-vrapporsi alla luminosità naturalenotturna, con le interferenze chene conseguono.

InsettiLa luce solare e lunare, in

forma di variazioni stagionali omensili di fotoperiodo, condizionai ritmi biologici degli insetti, coneffetti profondi su vari aspetti dellaloro biologia. L’attività ematofagadelle femmine di zanzara (DipteraCulicidae) per esempio è spesso cor-relata ai cicli lunari, come riscon-trato da Charlwood et al. (1986) perAnopheles farauti Laveran che inNuova Guinea è attiva soprattuttonelle ore notturne in cui la lumi-nosità lunare è massima (luna pie-na). Miller et al., (1970) hanno in-vece dimostrato come tre specie diAnopheles e quattro specie di Culexpresenti in Thailandia concentrinola loro attività di volo soprattuttoin coincidenza con le fasi di lunanuova. Insetti Culicidi quali Cluniomarinus Haliday hanno periodi disfarfallamento in corrispondenzadei quarti lunari (maree di quadra-tura) ma se esposti a condizioni diinvariabilità della illuminazioneperdono questa caratteristica com-promettendo le possibilità di ripro-duzione (Neuman, 1976). Il diame-tro della “trappola” della larva del

formicaleone (Myrmeleon obscurusRambur) è influenzato dalla lumi-nosità notturna ed aumenta in cor-rispondenza della luna piena (You-thed e Moran,1969).

Il potere attrattivo delle sor-genti di luce artificiale nei confron-ti degli Insetti è noto da tempo,tanto che l’uso di dispositivi lumi-nosi per il campionamento di que-sti animali è di lunga data. Lampa-de attrattive sono impiegate anchecome strumenti di cattura e lottaad insetti ritenuti molesti, come adesempio le zanzare o i Muscidi. Sitratta di apparecchi, frequentemen-te dotati di luce UV e di solito nonschermati da griglie selettive, con ilrisultato di causare un’inutile stra-ge di insetti del tutto innocui. An-che gli impianti di illuminazionenotturna sono attrattivi nei con-fronti degli insetti che si addensa-no in volo intorno alle sorgentiluminose. È stato stimato (Kolligs,2000) che, in relazione alla sensibi-lità delle singole specie e allo spet-tro di emissione luminosa, l’attra-zione si manifesti lungo un raggiovariabile fra 3 e 130 metri. Eisen-beis (2006) propone alcuni possibi-li modelli per interpretare il mecca-nismo con il quale si esplica l’at-trazione nei confronti delle luci ar-tificiali. Secondo la prima modali-tà di interazione, gli individui sonoattratti dalle fonti luminose e peri-scono in breve tempo oppure subi-scono danni come disidratazione,perdita degli arti e delle scaglie cherivestono le ali, oppure cadono alsuolo esausti dopo il loro volo in-cessante intorno alle lampade, oancora diventano preda dei pipi-strelli. In altri casi l’animale, dopouna prima fase in cui si avvicina involo ai lampioni, se ne discosta pursenza che l’attrazione si estingua.L’insetto rimane fermo a terra, auna certa distanza dalla luce, com-portamento questo definito di “cat-tura”. Nel caso delle farfalle not-

turne, la quiescenza può durareper un’intera notte (Frank, 2006)ma anche qualora si tratti di qual-che ora, ciò rappresenta un “costotemporale” non trascurabile in con-siderazione del fatto che spesso ladurata dello stadio adulto non su-pera la settimana (Young, 1997). Siaggiunga il fatto che spesso l’attra-zione si ripete in sere successive;utilizzando la tecnica della marca-tura-ricattura Hartstack et al., (1968)hanno verificato che nel caso deilepidotteri Nottuidi le percentualidi ricattura a distanza di 24 orevariavano, da specie a specie, fral’1,9% e il 43,2%.

La seconda situazione che sipuò manifestare è quella di un di-sturbo che condiziona il volo supiù lunga distanza; nei loro movi-menti notturni gli insetti di solitoutilizzano punti di riferimento delpaesaggio (profilo degli alberi, stel-le, luna, profilo dell’orizzonte). Seun impianto di illuminazione adandamento lineare (es. fila di lam-pioni a lato di una strada) interse-ca la loro linea di volo, nel miglio-re dei casi il percorso potrebbe esse-re deviato, ma in caso di attrazionealle fonti luminose le dinamichesono quelle descritte in preceden-za: collisione, ustioni, aumentatorischio di predazione, caduta a ter-ra (Eisenbeis, 2006).

Nei casi più gravi si determi-na un vero e proprio azzeramentodi intere popolazioni di insetti. In-teressante a tale proposito uno stu-dio di Scheibe (2000) sui possibilieffetti a carico degli adulti di insettiacquatici (Tricotteri, Ditteri, Plecot-teri, ecc.) da parte di un singololampione posizionato nei pressi diun corso d’acqua. L’attrazione simanifestava in modo diverso per idifferenti taxa e in alcuni casi eraparticolarmente intensa. Nel casodei Tricotteri, in particolare, l’even-tuale realizzazione di una fila dilampioni nei pressi del corso d’ac-

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qua avrebbe avuto come prevedibi-le effetto l’estinzione completa del-la loro popolazione (Eisenbeis,2006).

Grande influenza sull’inten-sità dell’attrazione –e sui danni chene derivano– viene dallo spettro diemissione delle lampade, aspettoquest’ultimo oggetto di indagine daparte di Eisenbeis (2006) in un’arearurale della Germania. Nell’ambi-to della ricerca sono state speri-mentate lampade ad alta pressioneal mercurio (80W), al sodio (50 o70 W), al sodio-xenon (80 W), oltrea lampade al mercurio dotate di unfiltro capace di schermare la com-ponente UV. Le lampade furonomontate insieme a un dispositivocostituito da un imbuto collegato aun contenitore riempito con liqui-do fissante in cui cadevano gli in-setti attirati sulla superficie dellelampade. Il numero di catture fumassimo con lampade al mercurioe minimo con le stesse dotate diapposito filtro schermante i raggiUV. Il numero di insetti catturaticon lampade al sodio-xenon superòquelle delle catture con luce otte-nuta da lampade al sodio. Per quan-to riguarda il filtro per la compo-nente UV montato sulle lampade avapori di mercurio, purtroppo il di-spositivo riduceva l’intensità di il-luminazione al di sotto degli stan-dard richiesti dalla legislazione te-desca in materia. In compenso, sul-la base dei dati raccolti, è statostimato che la sostituzione dellelampade al mercurio con quelle alsodio ridurrebbe del 55% il numerodi insetti attratti dalle lampade, per-centuale che per le farfalle nottur-ne salirebbe al 75%. In una fasesuccessiva del suo lavoro, Eisen-beis (2006) sottopose a verifica spe-rimentale l’ipotesi di Scheibe (1999)secondo la quale la maggiore at-trattività delle lampade ai vapori dimercurio si manifestava solo quan-do erano contemporaneamente in

funzione anche altri tipi di lampa-da, ma quando i diversi tipi di lam-pada funzionavano separatamen-te, essi avrebbero finito per attrarrein egual misura gli insetti. Eisen-beis (2006) sperimentò dunque se-paratamente i diversi tipi di lampa-da in un’area rurale priva di inter-ferenze derivante da luce diffusa. Irisultati confermarono la maggiorecapacità attrattiva delle lampade avapori di mercurio rispetto alle lam-pade funzionanti con vapori di so-dio. Eisenbeis (2006) rilevò inoltrenel corso delle sue sperimentazioniche la temperatura condizionavain maniera significativa l’abbon-danza delle catture, con un piccointorno ai 21°C e il minimo incorrispondenza di notti fredde, convalori intorno a 12-14°C. Fu verifi-cata anche l’influenza delle fasilunari, con abbondanze registratein fase di luna nuova sette voltemaggiori rispetto a quelle rilevatein fase di luna piena; l’indicazionetrova conferma anche da una ricer-ca di Nowinzsky et al. (1979).

Un dato di particolare inte-resse è quello che definisce la pro-porzione di insetti che, una voltaavvicinatisi ad una fonte lumino-sa, ne vengono effettivamente atti-rati (Bauer, 1993). Molto sensibilisono gli Efemerotteri (1,4:1) e i Tri-cotteri (2,3:1) come i Macrolepidot-teri (1,6:1) tra i quali tuttavia emer-ge il dato in controtendenza deiGeometridi (11:1). Queste indicazio-ni sono state ottenute con trappoleluminose e non esprimono la realeproporzione di insetti uccisi o co-munque danneggiati da impiantidi illuminazione artificiale, anchese hanno il pregio di mettere aconfronto la sensibilità dei diversigruppi sistematici nei confronti del-le luci artificiali. Bauer (1993) ègiunto a stimare che la percentualedi insetti attirati dalle luci che peri-vano successivamente per effettodell’avvicinamento fosse pari a un

terzo. Eisenbeis (2006) riporta an-che una stima della mortalità in-dotta dall’illuminazione notturnabasata sui seguenti presupposti:- le lampade sono a vapore dimercurio;- il numero medio di insetti chesi avvicinano a una singola lampa-da è di 450 per notte;- il numero medio di insetti uc-cisi per notte da una lampada almercurio è pari a 150.

Per una città delle dimensio-ni di Kiel (nord Germania) che con-ta 240.000 residenti e ha una dota-zione di 20.000 punti luce Kolligs(2000) stima che il numero di inset-ti uccisi per notte sarebbe pari a 3milioni, equivalenti a 360 milioniper stagione di volo, considerandola durata della stagione pari a 120giorni, da giugno a settembre.

Quand’anche le sorgenti lu-minose non sono causa diretta dimortalità, possono comunque in-crementare il tasso di predazionedegli insetti. Molte specie di faleneposseggono colorazioni cripticheche quando l’insetto è posato su diun opportuno sfondo funzionanocome efficaci strumenti per ridurreil rischio di predazione. Può peròaccadere che, ad esempio, una fale-na scura attirata da una luce artifi-ciale che illumina un edificio dicolore chiaro, vi si posi diventandoin tal modo una preda facilmenteindividuabile. È quanto documen-tato da Collins & Watson (1983)nella Estacíon Biologica de Ran-cho Grande, in Venezuela, dove nelcorso di 7 mesi di osservazione fu-rono osservate 30 diverse specie diUccelli nutrirsi a spese di faleneappartenenti a 10 diverse famiglie,per un totale di oltre 700 individuipredati.

L’esposizione alla luce artifi-ciale può interferire anche con atti-vità legate alla sfera riproduttiva:corteggiamento, accoppiamento,ovideposizione. Per le specie con

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abitudini notturne più spiccate,l’oscurità è indispensabile per atti-vare i necessari meccanismi fisiolo-gici: in laboratorio è stato dimo-strato ad esempio che nei lepidotte-ri Trichoplusia ni Hübner (fam. Noc-tuidae; Sower et al., 1970) e Dio-ryctria abietivorella Grote (fam. Pyra-lidae; Fatzinger, 1973) il rilasciodel feromone femminile e la rispo-sta del maschio che ne conseguesono soppressi dall’esposizione aluce artificiale. Sempre in laborato-rio è stato dimostrato che maschioe femmina del lepidottero Helico-verpa zea Boddie non si accoppia-no al di sopra di un livello di lumi-nosità pari a 0,05 lux, equivalentea una notte limpida e illuminatada un quarto di luna (Agee, 1972).Il volo di femmine gravide verso leluci artificiali può determinare unaconcentrazione delle deposizioninelle adiacenze della fonte lumino-sa: è quanto rilevato ad esempioper due specie di Saturnidi: Anthe-raea polyphemus Cramer (Frank,2006) e Coloradia pandora Blake(Brown, 1984). Al contrario, l’illu-minazione artificiale può soppri-mere l’ovideposizione: in appezza-menti di cotone interessati dal conodi luce proiettato da luci artificialila densità di uova di Heliothis sp.era inferiore dell’85% rispetto a col-tivi di cotone non interessati dalfenomeno (Frank, 2006).

Interferenze con i ritmi biolo-gici emergono da osservazioni sufarfalle notturne i cui ritmi circa-diani sono messi in fase con il foto-periodo naturale attraverso oppor-tuni fotorecettori (Giebultowicz,2000). La manipolazione del foto-periodo può alterare a tal punto imeccanismi fisiologici fondamen-tali da indurre la sterilità nelle far-falle adulte, come verificato per Spo-doptera littoralis Boisduval (Bebaset al., 2001).

Considerato che la mortalitàindotta dall’illuminazione nottur-

na si manifesta soprattutto nellearee più urbanizzate, è interessan-te valutare quale sia lo spettro fau-nistico di questi ambienti anche alfine di stimare l’effettivo dannoche l’illuminazione notturna puòarrecare. Quest’operazione non èpriva di implicazioni di carattereconservazionistico. Con il cresceredel fenomeno della cosiddetta “cit-tà diffusa”, ovvero l’urbanizzazio-ne a macchia d’olio che dà formaa estese conurbazioni, gli spazi ver-di inclusi nelle aree urbane diven-tano habitat di importanza cru-ciale per la sopravvivenza dellapiccola fauna. Solo per citare undato, in Inghilterra i giardini pri-vati occupano un’area equivalen-te a 10 volte quella dell’insiemedelle aree protette nazionali.Emmet (1991) ha classificato 305specie di farfalle notturne segnala-te per la Gran Bretagna come esclu-sive o in prevalenza distribuite inhabitat suburbani, parchi, giardi-ni, frutteti, aree edificate. Nell’areametropolitana londinese sono sta-te identificate 1.479 specie di far-falle notturne, equivalenti ai 2/3delle specie segnalate per il RegnoUnito. Nella medesima area urba-na 60 specie di macro-lepidotterinotturni, un tempo presenti, sonooggi considerate estinte e altre spe-cie sopravvivono con popolazionia rischio di estinzione. Si ritieneche queste popolazioni sopravvi-vano grazie all’immigrazione pe-riodica di individui dai territorirurali circostanti, ammesso che fat-tori antropogenici (come anchel’inquinamento luminoso) non sia-no di impedimento a questo pro-cesso di compensazione (Taylor etal., 1978). In taluni casi infatti leluci artificiali risultano fatali an-che per specie rare e minacciate,come riscontrato da Kolligs (2000)in uno studio effettuato presso lacittà tedesca di Kiel. Farfalle not-turne di otto specie considerate rare

furono catturate da trappole mon-tate su lampioni per l’illuminazio-ne notturna; pur trattandosi di unnumero di catture limitato a pochiindividui, la mortalità indotta dalsistema di illuminazione artificia-le finiva per erodere parte del pa-trimonio genetico, che è risorsaessenziale per la sopravvivenza dispecie minacciate. A ciò si aggiun-ga il fatto che quando le superficidi habitat adatto a una specie rarasono ridotte a frammenti fra diloro isolati, come avviene tipica-mente nelle aree più antropizzate,la presenza di una barriera in qual-che modo ostile, come un impian-to di luce artificiale, può compro-mettere l’interscambio genetico frapopolazioni.

L’illuminazione artificiale,come ogni tipo di stress antropoge-nico, rappresenta per le specie vi-venti un fattore di pressione seletti-va. Sulle risposte che nel tempo lespecie e le comunità sono destinatead attivare come reazione a talepressione, esistono più che altroipotesi, dal momento che l’introdu-zione dell’illuminazione notturnaè un evento avvenuto in tempi re-centi. Nel caso delle farfalle nottur-ne l’illuminazione artificiale potreb-be rappresentare un fattore di de-clino per le specie più sensibili al-l’attrazione verso le fonti luminoseche vivono in aree urbane e subur-bane (Frank, 2006). In compenso,verrebbe favorita l’ulteriore espan-sione di specie già ben diffuse eaddirittura infestanti, come ad esem-pio il defogliatore Lymantria disparL., la cui femmina ha capacità divolo pressoché nulle e dunque nonrisulta sensibile all’attrazione ver-so fonti luminose.

Ultimo in ordine di trattazio-ne, ma non certo di sensibilità neiconfronti dell’inquinamento lumi-noso, è il gruppo dei Coleotteri Lam-piridi (Fig. 2). La comunicazioneluminosa delle lucciole si è evoluta

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in relazione ai costumi crepuscola-ri o notturni di questi animali foto-fobi. Gli impulsi luminosi sono effi-caci come strumenti di comunica-zione nella misura in cui hannocome sfondo il buio della notte. Neconsegue che per le lucciole l’urba-nizzazione, e il relativo aumentodei livelli di luminosità rappresen-tino fattori di criticità (Lloyd, 2006).Come emerge da uno studio con-dotto nell’area urbana torinese,Luciola italica L. mal sopporta valo-ri di illuminamento superiori a 0,1lux (Picchi et al., 2013). Anche lespecie di Lampiridi dell’area urba-na di Campinas, Sorocaba-Votoran-tim e Rio Claro (Brasile) studiateda Viviani et al. (2010) non tollera-vano valori superiori a 0,2 lux. Inmolti casi le lucciole sono sensibilianche a lievi variazioni dell’inten-sità luminosa. I maschi di Luciolaitalica iniziano il loro volo seralenelle aree più ombreggiate e dun-que più buie, come ad esempio ilsottobosco e solo successivamente,con il calare della notte, si muovo-no negli spazi aperti (Camerini, datinon pubblicati). Nel caso di Photi-nus sp. è stato osservato che persinol’altezza del volo cambia in rela-zione al livello di luminosità, congli individui che innalzano la lorotraiettoria di volo in risposta al-l’aumento dell’oscurità (Lloyd,2000). Un altro aspetto che puòcondizionare la sensibilità alla luceartificiale è lo spettro di emissioneluminosa. Nel corso della storianaturale si sono consolidate duelinee evolutive: i Lampiridi che sonoattivi nelle ore crepuscolari emetto-no luce giallastra, mentre le specienotturne tendono ad emettere inprevalenza luce verdastra. In rela-zione al tipo di emissione, può va-riare la risposta alle sorgenti lumi-nose artificiali: per le specie cheemettono impulsi sulla lunghezzad’onda del giallo, ad esempio, lam-pade ai vapori di sodio possono

essere particolarmente disturbanti(Lloyd, 2006).

PesciOltre la metà della popolazio-

ne umana vive in aree localizzate ameno di 100 km dalle coste mari-ne; ben diffusi sono anche gli ag-glomerati urbani che si affaccianosu laghi e fiumi. Le sorgenti diinquinamento luminoso potenzial-mente disturbanti per la ittiofaunasono innumerevoli: l’illuminazio-ne dei quartieri disposti lungo lacosta, i pontili, le piattaforme pe-trolifere, le lampare utilizzate perla pesca sono solo alcuni esempi.La fauna ittica è dunque esposta aipossibili effetti dell’inquinamentoluminoso, anche in ragione dellasensibilità dei pesci alla luce natu-rale: solo per fare un esempio, inacque lacustri la migrazione oriz-zontale (dalla zona pelagica a quel-la litoranea e viceversa) delle duespecie di ciprinidi Phoxinus eos Copee Phoxinus neogaeus Cope è influen-zata in maniera significativa dallefasi lunari (Gaudeau e Boisclair,2000), così come i periodi di ripro-duzione di Leuresthes tenuis Ayres(Ateriniformi, Aterinidi) della Cali-fornia sono legati alle maree sizi-giali (luna piena) allorchè emergo-no per brevissimi periodi deponen-do e fecondando le loro uova sullasabbia scoperta (Ricciutti,1978).

La risposta dei Pesci agli sti-moli luminosi è specie-specifica e

può variare anche nell’arco del ci-clo vitale dell’individuo. Tra i Sal-monidi specie come Oncorhynchuskisutch Walbaum, Salmo salar L. eOncorhynchus mykiss Walbaum vi-vono nelle acque dei torrenti dovetendono a rimanere quiescenti nel-le ore notturne (Godin, 1982). Alcontrario, altri Salmonidi che uti-lizzano come habitat riproduttivole acque degli estuari, quali On-corhynchus gorbuscha Walbaumoppure Oncorhynchus keta Wal-baum, hanno abitudini notturne.Prove di laboratorio durante le qualile diverse specie sono state espostea luce artificiale hanno dimostratoche mentre specie diurne come O.kisutch rimangono quiescenti o rea-giscono con scarsi movimenti, spe-cie con abitudini notturne come O.gorbuscha e O. keta reagiscono ini-ziando a nuotare nervosamente inrisposta all’accensione delle lucidopo essere stati esposti a condizio-ni di oscurità (Hoar et al., 1957). Larisposta all’impulso luminoso è con-dizionata dai meccanismi di adat-tamento dell’occhio che hanno luo-go quando si passa dall’oscuritàalla luce e viceversa. I meccanismie i tempi di adattamento dipendo-no sia dall’intensità che dalla lun-ghezza d’onda della sorgente lumi-nosa (Ali, 1962; Protasov, 1970). Ladiversa durata del periodo richiestoper l’adattamento è a sua volta unfattore di importanza non trascura-bile poiché in coincidenza con essal’animale passa da una fase di ceci-tà a una di ridotta acutezza visiva.Gli studi di Protasov (1970) sugliavannotti di O. gorbuscha e O. ketaindicano che il tempo richiesto peradattarsi all’oscurità dopo esposi-zione alla luce variano da 30 a 40minuti, mentre il percorso inversorichiede un tempo variabile fra 20e 25 minuti. Con il procedere dellacrescita, i salmoni sono in grado dirispondere alla variazione di lumi-nosità con tempi di adattamento

Fig. 2. Le lucciole (in foto Luciola sp.)sono particolarmente sensibili agli ef-fetti dell’inquinamento luminoso (fotoStella Verdi).

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più rapidi. Sulla base di queste os-servazioni appare evidente chel’esposizione a fonti luminose arti-ficiali è destinata ad avere effettidiretti che coinvolgono la sfera com-portamentale dei Pesci.

La luce stroboscopica, che vie-ne installata lungo sbarramenti ar-tificiali o cime di ancoraggio delleimbarcazioni, produce rapidi im-pulsi intermittenti che sono moltodisturbanti per la fauna ittica. Laretina non è in grado di attivarealcun meccanismo di adattamentoin ragione della brevità dello stimo-lo luminoso. Nemeth e Anderson(1992) hanno osservato una reazio-ne di allontanamento da parte del-le forme giovanili di O. kisutch eOnchorhynchus tshawytscha Wal-baum posti in acque dove la solafonte luminosa era la luce strobo-scopica. Si ipotizza che altre fontiluminose caratterizzate da impulsidi breve durata, come ad esempio iflash derivanti dalle luci dei fanalidei veicoli che transitano lungo stra-de costiere, possano ugualmentefunzionare da fattori di disturbo.

Anche nel caso dei Pesci lasensibilità nei confronti della luceartificiale è influenzata dallo spet-tro di emissione. I Pesci Teleostei diacqua dolce sono sensibili alle lun-ghezze d’onda corrispondenti alrosso e al giallo, le più comuninegli ambienti fluviali e lacustri.Le specie marine mostrano invecesensibilità nei confronti del blu (Fol-mar e Dickhoff, 1981). Le formegiovanili di salmoni sono attratteda luce emessa da lampadine abulbo fluorescente o incandescentementre Rutilus rutilus L. reagisce inmodo contrario all’esposizione aluce fluorescente (Van Anholt et al.,1998). Esistono poi sorgenti lumi-nose che tendono a stimolare rispo-ste che non sono specie-specifiche,come le lampade a vapore di mer-curio, verso le quali in genere lespecie ittiche mostrano un tropi-

smo positivo, fenomeno questo chene giustifica l’uso come attrattiviall’entrata dei canali di by passrealizzati sulle dighe per salvaguar-dare la fauna ittica.

Per quanto riguarda le dina-miche preda-predatore, esistono os-servazioni che documentano adesempio l’attrazione delle luci disicurezza nei confronti di Squalusacanthias L. che vi si avvicina inmaniera opportunistica per sfrutta-re l’aggregazione delle sue poten-ziali prede. Sempre in prossimità diluci di sicurezza è stato osservatoanche un incremento di predazio-ne a danno di Clupea harengus pul-lasi Valenciennes e Ammodyteshexapterus Pallas (Prinslow et al.,1980).

Anche la migrazione è unaspetto della biologia dei pesci chepuò risultare condizionato dal fe-nomeno dell’inquinamento lumi-noso. Studi in proposito sono staticondotti soprattutto sui salmoni. Leforme giovanili migrano attraversotorrenti e fiumi per raggiungerel’oceano, spesso nuotando nelle orenotturne. I salmoni mostrandoabitudini notturne anche quandotornano verso le acque dolci daadulti. La presenza di luci artificia-li lungo il percorso può incideresul successo della migrazione, au-mentando il rischio di predazioneo interrompendo il movimento deipesci. Tabor et al. (2001) hannorilevato effetti diretti sulle formegiovanili di Onchorhynchus nerkaWalbaum: luci artificiali collocatesu ponti ed edifici ne rallentavanoil movimento migratorio. Analogheindicazioni sono emerse da osser-vazioni sul nuoto di Onchorhynchusketa attraverso un canale illumina-to lungo le sponde. Ulteriore con-ferma del fenomeno viene anchedagli studi di Ali (1959) sulle formegiovanili di O. nerka; la migrazionedi questa specie aveva inizio quan-do il livello di luminosità scendeva

al di sotto di 1 lux; valori di 32 luxproducevano un azzeramento qua-si totale del movimento migratorio.

Anfibi Anuri e UrodeliLa gran parte degli Anuri ha

abitudini notturne; questa caratte-ristica biologica determina unaspiccata sensibilità nei confrontidell’inquinamento luminoso chepuò anzitutto condizionare i com-portamenti gregari. A tale propositoBaker (1990) ha dimostrato che lapresenza di luci stradali tende afavorire l’aggregazione di individuidi rospo comune (Bufo bufo L.) inrisposta alla facilità di cattura diprede (insetti) che si addensano inprossimità dei lampioni dai qualisono attratti. L’aggregazione delrospo comune aumenta il rischiodi predazione e di investimento daparte di veicoli a motore. Anchel’aggregazione degli individui in fasedi canto corale può risultare condi-zionata: l’aumento dei livelli di lu-minosità, ad esempio, tende a inibi-re il canto corale della raganellaHyla squirella Bosc (Buchanan,1993). Per quel che concerne glieffetti sui comportamenti anti-pre-datori, da Silva-Nune’s (1988) hadimostrato che i maschi di Smiliscasila Duellman e Trueb tendono amodulare la loro attività di cantoscegliendo postazioni tanto piùesposte quanto maggiore è il livellodi luminosità, così da ampliare illoro orizzonte visivo e meglio elu-dere le possibili insidie derivantidai pipistrelli predatori di Anfibi.

Alterazioni dei comportamen-ti riproduttivi degli Anfibi Anuriemergono invece dalle ricerche con-dotte da Rand et al. (1997). L’incre-mento dei livelli di luminosità con-diziona le femmine in fase di sceltadei maschi, per effetto di un’accre-sciuta percezione del rischio di pre-dazione; ne consegue una preferen-za per la deposizione delle uova inmicrohabitat che siano il meno

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esposti possibile, come risposta alcrescere dei livelli di luminositàdegli ambienti riproduttivi.

Incrementi anche minimi diluminosità possono alterare i ritmidi attività di Ascaphus truei Stejne-ger (Hailman, 1982). Variazioni nellalunghezza della fotofase (fase lumi-nosa del fotoperiodo) sono ugual-mente negative, in ragione del fattoche possono condizionare i mecca-nismi di regolazione ormonale e leattività riproduttive. Se ad esempiola naturale alternanza di periodi diluce e buio viene ad essere soppres-sa per effetto dell’illuminazione ar-tificiale nelle ore notturne, la sper-matogenesi può essere inibita. Èquanto rilevato da Biswas et al. (1978)che sottoponendo individui di Bufobufo a un regime di illuminazionecostante hanno registrato un dimez-zamento della spermatogenesi.

L’alterazione del fotoperiodopuò avere anche altri effetti media-ti da variazioni ormonali. Lo stu-dio di Green et al. (1999) ha presoin esame la produzione della not-turnina in Xenopus laevis Daudin.Sintetizzata nella retina, questamolecola regola l’espressione del-l’orologio biologico e la sua produ-zione è condizionata dalle varia-zioni del fotoperiodo.

Potenziali effetti riguardanoanche il metabolismo della mela-tonina (Gancedo et al., 1996) or-mone che in specie come Lithoba-tes catesbeianus Shaw, Pelophylaxridibundus Pallas, X. laevis control-la funzioni come la variazione del-la pigmentazione cutanea, lo svi-luppo delle gonadi, l’attività ripro-duttiva. La sintesi della melatoni-na è controllata dall’enzima N-acetiltransferasi (NAT) la cui atti-vità varia in relazione alle stagio-ni, come dimostra uno studio ita-liano (d’Istria et al., 1994) sullarana verde (Rana esculenta L.).Esposizioni alla luce artificialeanche di breve durata –nell’ordine

dei minuti– nel corso della scoto-fase, possono inibire l’attività diquesto enzima e sopprimere di con-seguenza la produzione di melato-nina (Lee et al., 1997).

Effetti sulla pigmentazionecutanea sono stati osservati nellesalamandre, come nel caso dellelarve di Ambystoma tigrinum Greenallevate in condizioni di alteratofotoperiodo (Banta, 1912); il feno-meno è riconducibile ad un’ano-mala produzione di melatonina.Come in altri Vertebrati, la produ-zione di melatonina tende ad au-mentare durante la scotofase, perpoi declinare durante le ore di luce.Sulla base di questo principio Wisee Buchanan (2006) ritengono chela luce artificiale inibisca la produ-zione di questo ormone e che l’en-tità del fenomeno sia condizionatadall’intensità della luce. Anche iltasso metabolico mostra una dipen-denza dal fotoperiodo; se con lam-pade fluorescenti a bulbo (15 W) siaumenta il fotoperiodo da 8 a 16ore (Whitford e Hutchinson, 1965)si ottiene un’accelerazione del me-tabolismo. Secondo i due autori,fotoperiodo, temperatura e tasso re-spiratorio variano ciclicamente inrelazione alle stagioni; temperatu-ra e fotoperiodo potrebbero quindiregolare i tassi metabolici in ma-niera sinergica.

Altro meccanismo biologicoche può subire alterazioni è il rit-mo che regola le migrazioni verti-cali negli ambienti acquatici di vitadi alcune specie di Urodeli, qualiad esempio Ambystoma opacum Gra-venhorst, Ambystoma tigrinum, Am-bystoma jeffersonianum Green (Stan-gel e Semlitsch, 1987). I ritmi cheregolano l’allontanamento dal fon-dale (che funziona da rifugio) e laperiodica emersione verso la super-ficie sono influenzati dai livelli diilluminazione, oltre che da altrifattori, come il rischio di predazio-ne o la temperatura (Anderson e

Graham, 1967). È nelle fasi di risa-lita che le larve trovano nella co-lonna d’acqua il plancton cherappresenta il loro nutrimento edunque un’alterazione dei ritmi dirifugio/immersione ha indiretta-mente effetti sui tempi di sviluppodella larva. Il già citato studio diAnderson e Graham (1967) docu-menta un’inibizione della migra-zione verticale delle larve di Amby-stoma sp. in risposta alla luce pro-iettata da una lampada sulla su-perficie dell’acqua, fenomeno chesi traduce in una riduzione dellataglia degli animali metamorfosatie del loro tasso di sopravvivenza.

Con il calare della notte, lospettro della luce prodotta dai cor-pi celesti è caratterizzato dalle fre-quenze del visibile, con una certaprevalenza del rosso (Massey et al.,1990). A questo debole fondo natu-rale si possono sovrapporre gli spet-tri luminosi che derivano dall’illu-minazione artificiale (Cinzano etal., 2001a) come il giallo delle lam-pade a vapore di sodio a bassa (589nm) e alta pressione (da 540 a 630nm) o il giallo (545-575 nm) e il blu(405-436 nm) delle lampade a va-pori di mercurio. Tra le salaman-dre, la sensibilità alle diverse lun-ghezze d’onda luminose varia nonsolo da specie a specie, ma anchenell’ambito di una stessa specie, infunzione dello stadio vitale (larva/adulto). La capacità di ricezionedegli stimoli luminosi inoltre nonrisiede solo nella retina, ma anchein fotorecettori extraoculari chehanno sede nell’organo pineale(Philips et al., 2001). Le rispostesono di norma specie-specifiche; inlaboratorio si è dimostrata ad esem-pio una diversa sensibilità di Pletho-don cinereus Green e Plethodon glu-tinosus Green nei confronti delleprincipali sorgenti di luce artificia-le (Vernberg, 1955).

Anche il comportamento dihoming può risentire delle variazio-

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ni dei livelli di luminosità. In popo-lazioni di Notophtalmus viridescensRafinesque, specie che vive in sta-gni, laghi e fiumi, gli individui sitrasferiscono periodicamente da uncorpo idrico all’altro in risposta acondizioni ambientali locali: gliadulti abbandonano gli stagni ininverno per ibernare in rifugi terre-stri, in risposta a situazioni di stressquali il disseccamento dei corpi idri-ci, il pullulare di ectoparassiti, l’au-mento eccessivo di temperatura delleacque (Gill, 1978). La specie hauna spiccata fedeltà al corpo idricoche le fa da habitat, dal momentoche gli adulti hanno dimostrato disaper tornare allo stagno nel qualesono cresciuti anche quando speri-mentalmente trasferiti ad altro cor-po idrico (Gill, 1978). È stato dimo-strato che questa abilità da parte diN. viridescens nel processo di ho-ming è da porre in relazione alpossesso di una bussola magneticail cui funzionamento è influenzatodallo spettro luminoso (Deutschlan-der et al., 1999) nonché dalla sensi-bilità alla luce polarizzata. Analo-go meccanismo di orientamentospaziale è stato evidenziato ancheper Ambystoma tigrinum Green(Taylor e Adler, 1973). Philips eBorland (1992a) hanno dimostratol’influenza che lo spettro luminosopuò avere su questo meccanismo diorientamento con un test di labora-torio che ha riprodotto fedelmenteil campo magnetico terrestre. In pre-senza di una fonte luminosa carat-terizzata da frequenze nel campodell’infrarosso (> 700 nm) gli indi-vidui di N. viridescens mostravanoevidenti difficoltà di orientamento,capacità che invece si manifestavacorrettamente in risposta all’espo-sizione ad uno spettro luminosocompleto prodotto da una lampadaallo xenon da 150 W. La capacitàdi orientamento cambia in rispostaal variare delle lunghezze d’onda:frequenze comprese fra 400 nm e

450 nm, ad esempio, sono compati-bili con una piena capacità orien-tativa, al contrario di frequenze in-torno a 550 nm e 600 nm (Philips eBorland, 1992b). L’effetto distrutti-vo di sorgenti luminose a lungafrequenza e monocromatiche sulmeccanismo di orientamento ma-gnetico utilizzato da N. viridescensè stato documentato sperimental-mente da Philips e Borland (1994).Ad avere queste caratteristiche sonomodelli di lampade largamente im-piegate per l’illuminazione nottur-na, come quelle al vapore di sodioa bassa e alta pressione.

RettiliLe ricerche sulla biologia ri-

produttiva delle tartarughe marinenidificanti in Florida e sull’orien-tamento dei piccoli sono forsel’esempio della più compiuta inda-gine scientifica nell’ambito degli stu-di sugli effetti dell’inquinamentoluminoso. Sulle coste della Floridasi riproducono Caretta caretta L.,Chelonia mydas L. e Dermochelyscoriacea Vandelli. Nel caso di C.caretta, si stima la presenza di70.000 nidi, equivalenti all’80%della capacità riproduttiva dellaspecie nell’ambito delle acque del-l’Atlantico occidentale (Meylan etal., 1995). Gli sforzi finalizzati allaconservazione delle aree riprodutti-ve –localizzate principalmente sul-le coste meridionali della penisola–devono misurarsi con la crescentepressione antropica degli ultimi de-cenni: a partire dal 1920 la popola-zione umana è aumentata da 1milione di abitanti a oltre 16 milio-ni, con un tasso di crescita pari a2,5 volte l’aumento demograficoregistrato nel resto degli U.S.A. (Sal-mon, in Rich e Longcore, 2006).L’urbanizzazione della linea costie-ra e il relativo sviluppo di strutturericettive a servizio del turismo han-no aumentato in misura esponen-ziale l’inquinamento luminoso.

Fino ad oggi le azioni conservazio-nistiche attuate hanno favorito unincremento delle popolazioni nidi-ficanti di C. mydas e D. coriacea(Salmon, 2006), ma è un risultatodifficile da consolidare in prospetti-va futura per l’incombere di unaserie di minacce, fra le quali spiccal’inquinamento luminoso.

Le tartarughe scelgono per ladeposizione delle uova spiagge re-mote e buie. La scelta dei siti ripro-duttivi è condizionata dal fattorefedeltà. Esperimenti di marcatura,cattura e trasferimento forzato del-le femmine ovideponenti dimostra-no che nell’arco di ore o di giornile femmine tornano a deporre sullaspiaggia dalla quale erano state pre-levate (Luschi et al., 1996). Di sta-gione in stagione le femmine nidifi-cano sulle spiagge dove sono nate;l’imparentamento delle femmineche scelgono per la deposizione lemedesime spiagge è dimostrato dalpossesso di una composizione delDNA mitocondriale simile. L’ipote-si è che le tartarughe femmine neo-nate riescano a memorizzare la po-sizione della spiaggia sulla qualeschiudono, per poi tornarvi di annoin anno a deporre le uova. Perlocalizzare l’area di origine e piùin generale per orientarsi giovani eadulti utilizzerebbero la loro sensi-bilità ai campi magnetici, integratacon le capacità di orientamento vi-sivo (Avens e Lohmann, 2004). Nel-la scelta del sito riproduttivo entrain gioco tuttavia anche l’influenzadi certe caratteristiche delle spiag-ge, come ad esempio microclima,pendenza, prossimità dei litorali allecorrenti oceaniche marine in gra-do di favorire la dispersione dellegiovani tartarughe o infine assenzadi ostacoli nelle acque litoranee,come scogli o banchi corallini, chepossono rendere difficile alle fem-mine l’accesso alle spiagge. L’ovi-deposizione, che richiede ore, av-viene di notte, quando le tempera-

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ture sono più basse e le minaccedei predatori meno insidiose. Unavolta emersi sulla superficie dellaspiaggia dopo la schiusa delle uova(evento che di solito si verifica nel-le ore notturne) i nidiacei devonodirigersi rapidamente verso il fron-te della battigia per prendere il lar-go. Il movimento è mediato da sti-moli visivi, in primis dal riconosci-mento dell’orizzonte piatto delladistesa marina, vale a dire quellaporzione di orizzonte che in misu-ra maggiore veicola la luce prove-niente dagli astri.

Spesso l’inquinamento lumi-noso agisce come fattore di stressambientale in sinergia con altri fat-tori critici di natura antropogeni-ca; nel caso delle tartarughe mari-ne della Florida, ad esempio, il de-grado del paesaggio delle dune. Intaluni casi è stato valutato l’impat-to della luce artificiale disgiuntoda questi fattori di disturbo; è ilcaso della ricerca di Witherington(1992) condotta su una spiaggiadella Florida che ospita una colo-nia nidificante di Caretta caretta esu di una spiaggia conservata incondizioni del tutto naturali delCostarica dove depone Cheloniamydas. L’esposizione a lampade alvapore di mercurio compromettevaper la quasi totalità l’ovideposizio-ne da parte delle femmine di ambole specie. L’uso di lampade al vapo-re di sodio a luce gialla quasi mo-nocromatica aveva invece effetti tra-scurabili. Sulle coste della Floridale deposizioni si addensano gene-ralmente in coincidenza con lespiagge delle aree meno urbanizza-te. Nei (rari) casi in cui i nidi sonorealizzati nelle aree più antropiz-zate, il sito risponde comunque acondizioni locali di scarso distur-bo. Nel caso della colonia riprodut-tiva di Boca Raton, ad esempio, lanidificazione ha luogo in prossimi-tà di alcuni edifici molto alti e pocoutilizzati durante l’estate che fungo-

no da schermo nei confronti dellaluce proveniente dalla costa (Sal-mon et al., 1995). Più in generale,dal monitoraggio dei nidi attuatonegli scorsi decenni emerge una ten-denza da parte delle tartarughe ma-rine a concentrare le deposizionisulle spiagge meno interessate dal-l’inquinamento luminoso.

Se la progressiva riduzione deilitorali utilizzabili come habitat ri-produttivi è preoccupante, nonmeno problematico è l’effetto dellaluce artificiale sull’orientamento deinidiacei dopo la schiusa (Lorne eSalmon, 2007). Gli individui di Ca-retta caretta appena schiusi si orien-tano sulla base di una sensibilità aparticolari lunghezze d’onda vici-ne all’ultravioletto (violetto, blu),percependo la maggiore intensitàdi queste componenti in mare ri-spetto alla terraferma (Kawamuraet al., 2009). Si stima (Witherington,1992) che ogni anno sulle costedella Florida centinaia di migliaiadi tartarughe appena schiuse peri-scano nel vano tentativo di prende-re il largo: disidratazione, indeboli-mento e predazione sono favoritidalla luce artificiale che induce legiovani tartarughe a orientarsi ver-so terra e non verso il mare, facen-do loro disperdere molte energie inmovimenti non correttamente orien-tati quando, dopo la schiusa, do-vrebbero dirigersi verso le acquemarine. Con l’intento di risolvere ilproblema, l’azienda che gestisce ilservizio di illuminazione pubblicaelaborò in passato appositi filtri ingrado di schermare le lampade aivapori di sodio ad alta pressione,ritenute la causa del problema.L’utilizzo di tali dispositivi fu peròintrodotto prima che l’effettiva effi-cacia degli stessi fosse sperimental-mente comprovata. Quando test dilaboratorio furono effettuati, risul-tò che in realtà i filtri posti sullelampade a vapori di sodio non lerendevano meno attrattive nei con-

fronti nei nidiacei e che tale attra-zione dipendeva non solo dalla com-posizione spettrale della fonte lu-minosa, ma anche dalla sua inten-sità (Nelson, 2002). Buoni risultatifurono invece ottenuti realizzandosperimentalmente un tratto di 1 kmdi illuminazione stradale con diodiluminosi collocati ad altezza suo-lo, lungo la linea di costa, in alter-nativa alla ordinaria disposizionefuori terra dei lampioni (Bertolottie Salmon, 2005). A differenza del-l’impianto di illuminazione artifi-ciale con lampioni, i diodi a livellosuolo non interferivano con il cor-retto orientamento dei nidiacei ver-so la battigia. La collocazione delsistema di illuminazione a terrarappresenta dunque una possibilesoluzione (se pure parziale) del pro-blema; l’uso dell’aggettivo parzialeè d’obbligo perché, se è vero che larimozione delle luci artificiali lun-go la linea di costa è una misurautile, resta il problema dell’inqui-namento da luce diffusa, che puòanch’esso disturbare il correttoorientamento dei giovani di tarta-ruga (Bertolotti e Salmon, 2005).

I Rettili includono sia specieattive nelle ore diurne, come adesempio le lucertole, che specie conspiccate abitudini notturne, qualiad esempio i geki (Fig. 3). Nei con-fronti delle prime la presenza diluci artificiali può avere come effet-

Fig. 3. In tutto il mondo i geki si sonoadattati a cacciare insetti in prossimi-tà di fonti luminose artificiali (foto Cri-stina Verdi).

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to potenziale quello di estendere iritmi di attività anche alle ore cre-puscolari o notturne. Il fenomenoè stato definito da Garber (1978)“night-light niche”. Secondo Hender-son e Powell (2001) nell’India occi-dentale il 20% delle iguane (67 spe-cie) e l’11% degli Ofidi (18 specie) sisono adattate a vivere in ambientidomestici e sono attive anche dinotte in aree illuminate artificial-mente. Di queste, nove specie fra leiguane e una fra i serpenti avevanoin origine abitudini diurne. Perry eFisher (2006) elencano ben 19 la-vori reperibili in letteratura che ri-guardano specie diurne di Gekoni-di, Iguanidi e Colubridi adattatesia sfruttare a scopo alimentare lefonti di illuminazione artificiale nelcorso delle ore notturne: tra i Geki,vi sono ad esempio Gehyra mutilataWiegmann, Gehyra oceanica Lesson,Lepidodactylus lugubris Dumeril eBibron, Thecadactylus rapicaudaHouttuyn. In talune aree le popo-lazioni legate all’ambiente dome-stico sono addirittura più abbon-danti rispetto a quelle insediate ne-gli habitat originari. È il caso, adesempio, di Hemidactylus mabuoiaMoreau de Jonnes, che sull’isola diGuana (Isole Vergini) è molto co-mune intorno alle abitazioni men-tre in compenso è difficilmente os-servabile negli ambienti forestali,che pure rappresentano il suo ha-bitat naturale (Rodda et al., 2001).In California la densità di geki inambiente urbano è tale da averesuggerito a Canyon e Hii (1997) diavviare una ricerca finalizzata avalutare il possibile utilizzo di que-sti insettivori nella lotta biologicacontro le zanzare.

La luce artificiale, tuttavia,più spesso costituisce un fattorecritico per i Rettili: Gramentz(2008) la annovera tra le cause deldeclino di Crocodylus porosus Sch-neider, specie a distribuzione indo-pacifica. Effetti negativi emergono

anche dagli studi condotti in Cali-fornia da Case e Fisher (2001); daun confronto con dati storici sulladistribuzione degli ofidi Arizona ele-gans Kennicott e Rhinocheilus le-contei Baird e Girard è emerso cheil declino di queste due specie ap-pare correlato al gradiente di lu-minosità che si registra nelle orenotturne. Non si evidenzia analo-go trend negativo in aree ruralidella California, dove l’inquina-mento luminoso è significativa-mente inferiore (Sullivan, 2000).Si ipotizza che il declino di A.elegans sia in realtà da ricondurrealla rarefazione lungo la fasciacostiera meridionale della Califor-nia della sua principiale preda,vale a dire il micromammifero Pe-rognathus longimembris Coues, ra-refazione imputabile proprio all’in-quinamento luminoso. Altre osser-vazioni sulle risposte alle variazio-ni dei livelli di luminosità nottur-na da parte di quelle che possonoessere le prede dei Rettili, ovvero iroditori (Kotler et al., 1984) o gliscorpioni (Skutelsky, 1996) avvalo-rano l’idea che il declino demo-grafico di alcune specie di Rettiliin aree soggette a intenso inquina-mento luminoso sia da porre pro-prio in relazione con alterazionidelle dinamiche preda-predatore.

L’inquinamento luminosopuò infine condizionare i mecca-nismi di competizione interspecifi-ca. Lo dimostra lo studio di Petrenet al. (1993) in cui sono state esa-minate due specie di geki (Hemi-dactylus frenatus Duméril e Bibrone Lepidodactylus lugubris Dumérile Bibron) che vivono nelle abita-zioni. L’indicazione che emergedalla ricerca è che le specie tendo-no a entrare in competizione di-retta solo quando la presenza difonti di luce artificiale tende a fa-vorire una densa concentrazionedegli insetti, che costituiscono leloro prede.

UccelliDurante il volo notturno gli

Uccelli dirigono la loro rotta sullabase di differenti stimoli sia magne-tici che visivi; quando tra questiultimi si interpone una fonte diluce artificiale, il risultato è anzitutto un disorientamento rispettoalla corretta direzione di volo. Essivengono inoltre attratti da fonti lu-minose puntiformi come i fari, conil rischio di collisione che ne deri-va, subendo quella che Verheijen(1985) definisce una “cattura” cheporta gli animali a volare lungotraiettorie circolari intorno alle luciartificiali, prima di planare a terrae soffermarsi nei pressi della sor-gente luminosa. Fenomeno questoche trova citazione anche da partedi Eugenio Montale nella sua cele-bre lirica “Dora Markus”:

«... La tua irrequietudine mi fa pen-sare agli uccelli di passo che urta-no ai fari nelle sere tempestose...»

L’avvicinamento alla fonte diluce produce un momentaneo ac-cecamento in conseguenza del fat-to che gli occhi degli uccelli in volosono adattati a condizioni di oscu-rità. Esiste altresì evidenza del fattoche anche la luce diffusa dalle areeurbane, quella che nella letteratu-ra anglosassone è detta “horizonglow”, può risultare attrattiva. Espe-rimenti eseguiti in laboratorio sulpasseriforme Zonotrichia leucophrysForster (Williams, 1978) documen-tano come l’effetto disturbante del-la luce diffusa si manifesti in misu-ra diversa in relazione all’età degliindividui: quelli immaturi mostra-no un evidente disorientamento, adifferenza degli adulti. Luci d’oriz-zonte sono inoltre un ben noto fat-tore di attrazione per uccelli testatiin “gabbie d’orientamento” comegli imbuti di Emlen, deviando lescelte direzionali dalla giusta rottadi migrazione (Baldaccini e Bezzi,1989).

L’influenza esercitata dalle

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luci artificiali disposte lungo la co-sta (fari) o in mare aperto (es. lucidi navi) sugli uccelli marini o sualtre specie ornitiche in fase di mi-grazione è nota già da fine ’800,tanto da costituire un elemento uti-le allo studio delle rotte migratorie(Gauthreaux e Belser, 2006). Unaricerca svolta nel secolo scorso pre-se in esame 45 fari costieri sullacosta della Columbia Britannica,evidenziando che nove di essi risul-tavano pericolosi per gli uccelli intransito, tanto da causare la mortedi circa 6.000 esemplari/anno (Mun-ro, 1924). Un’altra indagine (Mer-riam, 1885) sui fari disposti sullecoste degli Stati Uniti e dell’Ameri-ca centrale e meridionale rivelò cheil fenomeno delle collisioni non simanifestava in maniera omogenea,ma interessava le aree di maggioreaddensamento delle correnti migra-torie, come ad esempio le coste set-tentrionali di Cuba.

Con il procedere dell’urbaniz-zazione è cresciuta la tendenza acostruire edifici di notevole altezzae questa caratteristica architettoni-ca può costituire un problema pergli Uccelli. In un report del WWFcanadese si legge che «... la collisio-ne di uccelli migratori contro edifi-ci e vetrate è un problema esistentesu scala mondiale che si traduce inuna mortalità annuale nell’ordinedi milioni di individui nel solo NordAmerica» (Evans Ogden, 1996). Cheil fenomeno sia di assoluta rilevan-za lo testimonia il numero di ricer-che ad esso dedicate: una monogra-fia sull’argomento pubblicata daAvery et al. (1980) riporta oltre mil-le riferimenti bibliografici. L’altez-za rappresenta un fattore criticoanche per manufatti come le an-tenne e le torri utilizzate per latrasmissione di segnali radio o dialtro tipo, come le luci di avverti-mento per i mezzi aerei. In passatouno dei dispositivi di più largo uti-lizzo era dato dalla collocazione di

luci rosse continue alternate conluci lampeggianti del medesimo co-lore. A partire dal 1970 sono stateintrodotte anche luci bianche in-termittenti e sincronizzate, dispostea diverse altezze. Allo stato attualeentrambi i dispositivi sono in uso.Gauthreaux e Belser (2006) hannoesaminato le traiettorie degli Uccel-li che hanno sorvolato nella prima-vera e nell’autunno 1986 un’areadella Georgia in cui è posta untorre alta 366 metri. Sulla torreerano collocate luci bianche inter-mittenti. Grazie a un confronto conun’area di controllo priva di luciartificiali, sono state rilevate diffe-renze significative nelle traiettoriedi volo, con la tendenza degli uc-celli ad abbandonare traiettorie li-neari in prossimità della torre periniziare a girare intorno all’ostaco-lo o ad assumere un volo orientatosecondo linee curve. Sempre nelcorso del 1986 i medesimi ricerca-tori studiarono in parallelo la mi-grazione autunnale di uccelli chetransitavano nei pressi di una torreper la trasmissione di segnali tvdotata di luci rosse e di una torreprovvista invece di luci bianche aintermittenza in Sud Carolina, po-nendole a confronto con un’areache fungeva da controllo. I risultatiindicarono che in prossimità dellatorre con luci rosse gli uccelli de-viavano la loro traiettoria avvici-nandosi alle sorgenti luminose e ilvolo cessava di essere lineare; ilfenomeno si manifestava con mag-giore frequenza rispetto a quantoavveniva nei pressi della torre illu-minata con le luci bianche inter-mittenti. Rispetto all’area di con-trollo, tuttavia, anche la torre conluci bianche, se pure in misurainferiore, interferiva con il volo mi-gratorio. Sempre in tema di fontiluminose e qualità dell’orientamen-to, uno studio di Wiltschko e Wilt-schko (2002) ha analizzato l’in-fluenza delle frequenze luminose

con il meccanismo di magneto-rice-zione che guiderebbe gli uccelli pas-seriformi durante la migrazione.Secondo questo studio, che ha pre-so in esame tre specie di passerifor-mi, frequenze corrispondenti allacomponente blu-verde non hannoeffetti significativi sul meccanismodi orientamento, al contrario dellecomponenti gialla e rossa.

Interferenze con le rotte mi-gratorie possono venire dalle fiam-me prodotte da raffinerie o pozzimetaniferi. Sage (1979) rilevò fortiperdite di Uccelli in migrazione sulMare del Nord che include nume-rose piattaforme per l’estrazionepetrolifera. La pericolosità di que-st’area è stata confermata in tempipiù recenti da Poot et al. (2008). Inletteratura è disponibile ancheun’osservazione riferita al territo-rio italiano (Tornielli, 1951) e rela-tiva a un pozzo metanifero in fiam-me. Analogo pericolo è stato riscon-trato anche nel caso di uccelli ma-rini stanziali, uccisi per effetto del-le ustioni provocate dalla fonte dicalore che li aveva attratti (Wiese etal., 2001; Burke et al., 2005). Anchele luci delle imbarcazioni possonoessere motivo di morte per collisio-ne: negli inverni tra il 2006 e il2009 sono stati documentati per leacque marine della Danimarca 41episodi di collisione, che nel 78%dei casi avevano avuto luogo entro4 Km dalla costa (Merkel e Johan-sen, 2011). Non meno pericolosiper le rotte migratorie sono gli im-pianti di illuminazione notturna aservizio degli aeroporti; a tal propo-sito va ricordato lo studio promos-so dal Parco Lombardo della Valledel Ticino (Fornasari, 2002) sul-l’impatto dell’aeroporto di Malpen-sa. La struttura aeroportuale è di-sposta in un punto nevralgico, cheinterseca due importanti rotte mi-gratorie autunnali che si dipartonodall’alta pianura dopo che gli Uc-celli provenienti da nord hanno

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volato attraverso le valli alpine. Daosservazioni svolte a partire dal2000 risulta che l’illuminazionedelle piste e delle torri di controllointerferisce in vario modo. Anzitut-to il volo migratorio può subireuno stop in conseguenza del fattoche gli uccelli attratti dalle sorgentiluminose atterrano nei loro pressi.Sono inoltre possibili deviazionidelle rotte migratorie al punto dadeterminare, in alcuni casi, un’in-versione del percorso.

La mortalità indotta dalle fon-ti artificiali di illuminazione è mol-to deleteria per specie il cui statusconservazionistico è già precario pereffetto di fattori di minaccia diversidall’inquinamento luminoso. Nelcaso degli Uccelli marini, Monte-vecchi (2006) stila un elenco di 9specie minacciate per le quali èstata riconosciuta una particolarevulnerabilità. Nel caso di due rarespecie endemiche delle Hawai (Puf-finus newelli Henshaw e Pterodro-ma sandwichensis Henshaw), adesempio, i nidiacei possono soccom-bere per effetto delle luci artificialinella fase in cui abbandonano ilnido (realizzato nell’entroterra) esi dirigono per la prima volta versola costa (Day et al., 2003). Nell’iso-la hawaiana di Kauai fu accertatonel 1981 che la metà degli indivi-dui di queste specie periti per effet-to dell’attrazione a luci artificialiera stata uccisa dall’impianto diilluminazione di un hotel posto inprossimità dello sbocco in mare delfiume Huleia, lungo la rotta che inidiacei seguivano per portarsi dal-le colonie di nidificazione verso lacosta (Telfer et al., 1987). La filtra-zione e la riduzione della dispersio-ne della luce verso l’alto determinòuna netta riduzione dei livelli dimortalità. Incoraggiata da questorisultato, la Contea di Kauai attivòun programma finalizzato a filtra-re le fonti di illuminazione artifi-ciale allo scopo di tutelare gli uc-

celli nella fase più delicata, ovveroquella che coincide con l’involodegli uccelli giovani verso la costa(Day et al., 2003).

Anche gli Uccelli che popola-no gli ambienti terrestri sono po-tenzialmente esposti agli effetti ne-gativi derivanti dall’esposizione allaluce artificiale, in particolar modole specie legate agli ambienti aper-ti, come le praterie. Di particolareinteresse, in tal senso, è uno studiocondotto in Olanda (De Molenaaret al., 2000) sugli effetti di un siste-ma di illuminazione stradale a ca-rico della pittima reale (Limosa li-mosa L.) specie ben diffusa in Olan-da. Questa specie è considerata unbuon indicatore della capacità por-tante delle praterie umide nei con-fronti dell’avifauna. Fino al 1990il contingente nidificante in Olan-da (50.000 coppie) rappresentavala metà della popolazione mondia-le e dunque la conservazione diquesta specie nel territorio olande-se è da considerare un’azione prio-ritaria. L’area scelta per lo studio(230 ettari di superficie) è gestita daun’associazione olandese per laconservazione della natura e in essala densità delle coppie nidificanti(50 nidi/100 ettari) è la più elevatatra quelle rilevate su scala nazio-nale. L’area è attraversata da unastrada a forte scorrimento (90.000veicoli/anno). Diversa la conforma-zione del paesaggio agrario ai duelati della strada: a ovest un am-biente più aperto, con prevalenzadi vegetazione erbacea bassa, a estuna distesa di praterie schermatada siepi che funzionavano ancheda filtro nei confronti delle lucistradali. Gli autori avevano la pos-sibilità di spegnere le luci ai latidella strada e inoltre avevano posi-zionato una fila aggiuntiva di lucialimentate da un gruppo di genera-tori elettrici all’interno dell’areaposta a est rispetto alla strada. Fu-rono messi a confronto i dati sulla

nidificazione riferiti al 1998 (annoin cui furono tenute spente tutte leluci artificiali) e il 1999, anno incui invece era funzionante sia l’il-luminazione stradale che quellaposizionata nell’area a est della stra-da. I risultati indicarono che l’illu-minazione artificiale non determi-nava effetti significativi sulla consi-stenza della colonia riproduttiva esulla distribuzione dei nidi. Il soloaspetto che sembrava risentire del-l’inquinamento luminoso, per al-tro in misura contenuta, era quellolegato alla fenologia in fase ripro-duttiva: i nidi disposti più vicinialle fonti luminose venivano rea-lizzati più precocemente rispetto aquelli disposti a distanze crescentidalle sorgenti luminose. Secondogli Autori, la fedeltà al sito ripro-duttivo e la elevata qualità dell’ha-bitat sono efficaci fattori di com-pensazione in grado di neutralizza-re i possibili effetti perturbanti del-l’inquinamento luminoso. In am-bienti riproduttivi più soggetti a fat-tori di stress antropogenici di varianatura, invece, il disturbo dato dal-l’inquinamento luminoso non vie-ne tamponato a dovere. Lo dimo-strano gli studi di Reijnen (1995)sulla pittima reale che in contrastocon le risultanze di De Molenaar etal. (2000) hanno rilevato un impat-to diretto dell’impianto di illumi-nazione artificiale a servizio di untratto autostradale sulla scelta deisiti per la nidificazione.

MammiferiLa totalità dei pipistrelli, la

gran parte dei roditori, i piccolicarnivori, il 20% dei Primati e l’80%dei marsupiali hanno abitudininotturne. Non poche specie di Mam-miferi, inoltre, sono attive sia digiorno che di notte. Per diverse spe-cie con abitudini notturne è stataaccertata una sensibilità nei con-fronti dei livelli luminosi naturalicorrelata alle diverse fasi del ciclo

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lunare (Beier, 2006). Al crescere dellivello di luminosità che culminacon la fase di luna piena, si rileva-no riduzione dell’attività o restri-zione dell’area di foraggiamento,fenomeni che sarebbero da ricon-durre alla necessità di compensarecon una minore attività l’accresciu-to rischio di predazione. Se la lucenaturale ha questi effetti, non devesorprendere il fatto che i Mammife-ri siano un gruppo faunistico mol-to esposto anche agli effetti dell’in-quinamento luminoso (Beier, 2006).

Come per altri Vertebrati, me-tabolismo e comportamento deiMammiferi sono regolati da un oro-logio biologico sincronizzato da di-scontinuità ambientali giornalieree/o stagionali. Per alcune specie diUngulati, addirittura, è stata sugge-rita l’esistenza di cicli correlati allediverse fasi lunari in grado di sin-cronizzare l’estro (Skinner e vanJaarsveld, 1987).

Nel corso dell’evoluzione, icicli endogeni si sono modificatiper massimizzare l’efficienza delleattività trofiche, ridurre il rischiodi predazione, migliorare le cureparentali. Una loro non correttasincronizzazione con gli eventiambientali può dunque incidere sututti questi aspetti della biologia diuna specie. Esperienze di laborato-rio dimostrano che esposizioni an-che brevi –nell’ordine di 10-15 mi-nuti– a luce da lampade a bulbo oincandescenti corrispondenti a li-velli di luminosità pari a 0,3 luxpossono determinare nei micromam-miferi uno spostamento delle attivi-tà giornaliere nell’ordine di 1-2 ore(Halle e Stenseth, 2000). Variazio-ni nei ritmi di attività e dilazioninell’ordine di 40’ delle attività gior-naliere sono state osservate altresìin condizioni di laboratorio ancheper lo scoiattolo volante Glaucomysvolans L. in risposta ad esposizionea luce artificiale (De Coursey, 1986).Il ritmo circadiano ha notevole im-

portanza sulla produzione di mela-tonina. Dauchy et al. (1997) hannodimostrato che l’esposizione a luceanche di modesta intensità duran-te la notte può bloccare la produ-zione di questo ormone, favorendola crescita di tumori in topi di labo-ratorio. Malgrado l’osservazionenon riguardi animali selvatici, essasuggerisce l’ipotesi che la luce arti-ficiale possa avere effetti significati-vi sullo stato fisiologico dei Mam-miferi anche in natura. Si conside-ri che negli esperimenti sopra citatisono stati riprodotti livelli di lumi-nosità molto bassi, inferiori o ugualia 1 lux, mentre in media gli stan-dard di illuminazione stradali pre-vedono che il livello di illumina-mento a terra sia di almeno 4 voltesuperiore.

In condizioni naturali, comead esempio in risposta alle fasi diluna piena, i Mammiferi possonomodulare la loro attività trofica con-centrandola nelle ore più buie del-la notte, ma in risposta a luci artifi-ciali fisse, questa forma di adatta-mento è impossibile. In tal caso glianimali possono essere costretti adalimentarsi anche in prossimità difonti luminose artificiali per fron-teggiare periodi in cui il cibo èscarso, rinunciando temporanea-mente alle loro attitudini foto-fobi-che. È il caso ad esempio di Hystrixindica Kerr (Alkon e Saltz, 1988)che in tal modo si espone però adun accresciuto rischio di predazio-ne. Soluzione alternativa da partedi altre specie è quella di compen-sare l’aumentato rischio di preda-zione evitando qualsiasi attività diforaggiamento in condizioni di lu-minosità non ottimale, comporta-mento che in laboratorio è statoosservato nel caso di Phyllotisdarwini Waterhouse (Vasquez,1994). Se questo roditore viene espo-sto a un’intensità luminosa che si-mula quello della luna piena, essoreagisce trasferendo nel rifugio che

ha a disposizione –al riparo dallaluce– il 40% del cibo messo a dispo-sizione, mentre tale comportamen-to è raro quando gli animali sonotenuti in condizioni di oscurità.L’ipotesi è che per alcune speciefotofobiche non esistano soluzioniadattative alla presenza di luci arti-ficiali e dunque in tal caso la pre-senza di fonti luminose artificialipotrebbe significare una inevitabi-le restrizione delle aree di foraggia-mento. Una conferma in tal sensosembra arrivare da due studi svoltiin natura. Il primo (Kotler, 1984)ha documentato come la comunitàdi quattro specie di roditori viventiin ambiente desertico fosse influen-zata in negativo dalla presenza diuna fonte luminosa artificiale chedeterminava una riduzione pari al21% della quantità di semi raccoltinell’area illuminata artificialmen-te. Il secondo (Bird et al., 2004) èstato condotto sulla costa della Flo-rida e ha preso in esame il roditorePeromyscus polionotus leucocepha-lus Howell. Lungo transetti illumi-nati da lampade a bassa pressioneal sodio furono disseminati bocco-ni di cibo e la stessa operazione fucondotta in un’area buia che fun-geva da controllo. La quantità dicibo raccolta lungo i transetti postiin condizioni di oscurità era signi-ficativamente superiore rispetto aquella che gli animali asportavanodai transetti esposti alla luce artifi-ciale.

L’illuminazione stradale puòcondizionare il rischio di collisio-ne dei Mammiferi contro i veicoli.In linea teorica, luci più intensedovrebbero ridurre la mortalità dan-do migliori possibilità al guidatoredi vedere l’animale in fase di attra-versamento e dunque di evitarlo.La realtà non sembra confermarequesta ipotesi: il potenziamento deisistemi di illuminazione stradale,che pure ha avuto luogo negli StatiUniti, non ha sortito alcuna dimi-

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nuzione degli incidenti da collisio-ne con i cervi (Beier, 2006). Latipologia e l’intensità delle luci ar-tificiali possono rendere difficolto-so per gli animali evitare le collisio-ni. I bastoncelli presenti nell’oc-chio di molte specie di Mammiferiprettamente notturni vengono pron-tamente saturati dalla barriera diluce che affianca la sede stradale.Malgrado esistano Mammiferi not-turni dotati anche di un rudimen-tale sistema a coni che può essereattivato nell’arco di pochi secondi,in quei secondi si determina unaccecamento temporaneo che puòrisultare fatale. Per queste specieanche l’uso di lampade che ripro-ducano le lunghezze d’onda dellaluce solare non produce vantaggidi sorta. In compenso, si ritiene chel’utilizzo di lampade al sodio a bas-sa pressione (589 nm) possa costi-tuire il compromesso migliore perridurre il rischio di collisione, dalmomento che tali dispositivi garan-tiscono una buona visione da partedel guidatore e nel contempo sem-brano minimizzare l’interferenzacon il sistema visivo degli animali(Beier, 2006).

Un aspetto di notevole rile-vanza sotto il profilo conservazio-nistico riguarda l’eventualità chel’inquinamento luminoso possa in-terferire con la continuità delle retiecologiche. Studiando la popolazio-ne di puma (Puma concolor L.) del-la California meridionale Beier(1995) ha scoperto che gli individuiimmaturi di questo felino durante iloro movimenti di esplorazione delterritorio tendono a evitare percor-si che –pur più favorevoli per quan-to riguarda la topografia e la strut-tura vegetazionale– sono interessa-ti dal fenomeno della luce diffusa.In più occasioni gli animali mo-stravano di arrestare il loro percor-so in presenza di barriere costituiteda luci artificiali per aggirarle, tran-sitando attraverso fasce di territo-

rio non illuminate.I pipistrelli, animali simbolo

della notte, si sono adattati in talu-ni casi in maniera opportunistica asfruttare le luci artificiali per trar-ne un vantaggio diretto. Concen-trando il loro volo intorno alle fon-ti luminose, sono in grado infatti diapprofittare dell’addensamento diinsetti attratti dalle sorgenti lumi-nose (Rydell, 2006). Il fenomenodell’attrazione dei pipistrelli e delleloro prede verso le luci artificiali simanifesta in tutto il Mondo e nonsono poche le specie che ricavanobuona parte del loro cibo proprioda questa modalità di predazione,che è da considerare un adatta-mento assai recente ed è prova diplasticità comportamentale. Poichénumerose specie di pipistrelli sonominacciate di estinzione (Patriarcae Debernardi, 2010) indagare le di-namiche di questa modalità preda-toria è importante anche ai finidella loro conservazione. Per altronon va dato per scontato che taleabitudine sia unicamente portatri-ce di vantaggi. La luce artificialeinfatti interferisce in fase di migra-zione, aumenta il rischio di preda-zione, genera disordini metabolicilegati alle variazioni degli orologibiologici. Inoltre l’attrazione versole luci artificiali non è un fenome-no generalizzato all’interno delgruppo: esistono anzi specie di pi-pistrelli totalmente fotofobe che daesse si tengono lontane, come adesempio le specie afferenti al gene-re Myotis sp. e Plecotus sp. (Furlon-ger et al., 1987; Rydell, 1992). Ana-logo comportamento è esibito inInghilterra da Rhinolophus ferrume-quinum Schreber, il cui territorio dicaccia può includere strade illumi-nate da lampade a vapori di mercu-rio, senza che però gli individui diquesta specie si avvicino alle sor-genti luminose (Jones et al., 1995).

Tornando alle specie che sfrut-tano le luci artificiali per la preda-

zione di insetti, Rydell (2006) liclassifica in tre categorie in relazio-ne al tipo di volo. Alla prima appar-tengono le specie di taglia maggio-re (da 30 a 100 grammi in peso, es.Eumops perotis Schinz o Tadaridateniotis Rafinesque) che perlustra-no strati di atmosfera elevati dispo-sti al di sopra di manufatti in gradodi emettere verso l’alto fasci di lucediffusa, come ad esempio impiantisportivi o aeroporti. Il secondo grup-po comprende specie appartenentiai Vespertilionidi (es. Lasiurus sp. oNyctalus noctula Schreber) di me-dia grandezza (10-30 grammi) chetipicamente volano seguendo tra-iettorie tendenzialmente rettilineeappena al di sopra delle file di lam-pioni stradali. Un terzo gruppo com-prende le specie di taglia minore (<10 grammi) che catturano gli inset-ti volteggiando intorno ai singolilampioni o attraversando il cono diluce che gli stessi proiettano versoil basso. Queste specie di Chirotteriin grado di sfruttare la presenzadella luce artificiale sono favoritedalla presenza di impianti di illu-minazione realizzati con lampadeai vapori di mercurio e, in misurainferiore, con lampade ai vapori disodio ad alta pressione, in ragionedel fatto che sono queste le lampa-de più attrattive nei confronti degliinsetti (Rydell, 1992).

Grazie all’introduzione dei batdetector e della tecnica radio track-ing è stato possibile dimostrare cheper talune specie la concentrazi-one di individui in caccia in pros-simità di aree illuminate artificial-mente è superiore a quella ril-evabile in ambienti non illuminati.È quanto rilevato ad esempio perEptesicus nilssonii Keyserling e Bla-sius e Vespertilio murinus L. in Scan-dinavia: la densità di queste speciein strade illuminate artificialmenteera da 3 a 20 volte maggiore rispet-to ad aree prive di lampioni (Ry-dell, 1992). In linea generale, tali

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differenze si misurano soprattuttoin aree abitate suburbane o rurali,dove la densità di pipistrelli in pros-simità dei sistemi di illuminazionestradale è massima, mentre essa ten-de a diminuire nei centri cittadini,presumibilmente perché in essi èpiù bassa la densità di insetti intor-no ai lampioni e maggiore è ladisponibilità di punti luce.

Dallo studio appena citatosvolto in Scandinavia da Rydell(1992) su Eptesicus nilssonii emergeche l’efficienza di cattura degli in-setti intorno alle lampade è piùbassa rispetto a quella che si regi-stra al buio. La maggiore densitàdegli insetti in prossimità delle luci,tuttavia, compensa la minore effi-cienza e inoltre le prede sono piùgrandi: tipicamente farfalle nottur-ne, mentre lontano dalle luci artifi-ciali prevale la cattura di Ditteri eColeotteri. Il risultato è che la quan-tità di cibo prelevata dai pipistrellivicino ai lampioni (e l’energia daessa ricavabile) è maggiore di quel-la che gli stessi potrebbero ottenerein aree prive di luci artificiali. Lamaggiore facilità di cattura di pre-de più grandi in prossimità dei lam-pioni non è da mettere in relazionealla sola attrattività che essi eserci-tano sulle falene, ma anche al fattoche, come dimostra uno studio diAcharya e Fenton (1999), la luceartificiale, in particolare quella cheproviene da lampade ai vapori dimercurio, inibisce i meccanismi didifesa degli insetti, come ad esem-pio il cambio della traiettoria divolo o il lasciarsi cadere a terra.Alcuni autori (Rydell, 1992; Arlet-taz et al., 2000) ipotizzano che al-cune popolazioni europee di pipi-strelli (es. Eptesicus nilssonii e Pipi-strellus pipistrellus Kaup) siano inespansione proprio in risposta allaprogressiva diffusione di impiantidi illuminazione notturna. Èun’ipotesi difficile da dimostrare perla difficoltà che si incontra nell’ot-

tenere stime numeriche affidabili.In letteratura esiste però una ricer-ca, condotta in alcune vallate dellaSvizzera, che dimostra come la rea-lizzazione di nuovi impianti di il-luminazione artificiale in un terri-torio possa favorire una specie ascapito di un’altra. In seguito al-l’introduzione di impianti di illu-minazione notturna (Arlettaz et al.,2000) la specie Rhinolophus hipposi-deros Bechstein (già vittima di undeclino generalizzato nel suo area-le) si è infatti estinta a vantaggio diPipistrellus pipistrellus, a dimostra-zione del fatto che gli effetti dell’il-luminazione artificiale si possonomanifestare anche a livello ecologi-co, alterando ad esempio le dina-miche di competizione fra le spe-cie.

Di recente è stato dimostratoche Myotis myotis Borkhausen pos-siede un meccanismo bussolaremagnetico (Wang et al., 2007) uti-lizzato per l’orientamento, unita-mente ad altri sistemi di riferimen-to, come le variazioni di luminosi-tà del cielo legate al tramonto delsole, come accade per uccelli mi-gratori su lunga distanza (Marchet-ti et al., 1998). Questa scoperta, seconfermata per altre specie di pipi-strelli, renderebbe necessari studipiù approfonditi per valutare l’in-terferenza dell’inquinamento lumi-noso e delle luci d’orizzonte in par-ticolare con le strategie di orienta-mento presenti in questi micromam-miferi.

Per i pipistrelli il rischio diessere predati può aumentare incondizioni di alterata luminosità.Lo dimostrano le osservazioni svol-te in Piemonte da Debernardi et al.(2010): in ambienti usati come po-satoi diurni e soggetti anche solo auna debole illuminazione la preda-zione di individui di Myotis emargi-natus Géoffroy da parte della gazza(Pica pica Brisson) determinava unadispersione delle colonie. L’intro-

duzione di luci artificiali in grotteo altri ambienti usati come posatoidiurni e invernali è annoverata frai fattori che più di altri possonodeterminare come effetto l’abban-dono del sito da parte dei pipistrellie ciò rappresenta un fattore di cuitenere conto quando gli ambientiutilizzati come posatoi (es. grotte)sono meta di fruizione turistica(Laidlaw e Fenton, 1971). Un fatto-re di disturbo altrettanto importan-te è dato dalla collocazione di luciartificiali all’esterno degli accessiai posatoi diurni attraverso i qualiperiodicamente i pipistrelli sonoobbligati a transitare (Erkert,1982). Myotis emarginatus può uti-lizzare come rifugio diurno edificidotati di illuminazione esterna; intal caso i giovani hanno un pesoinferiore rispetto a quello dei natiin colonie non sottoposte all’inter-ferenza della luce (Boldogh et al.,2007). Secondo Patriarca e Deber-nardi (2010) si tratta di un dannosignificativo, dal momento che ilpeso al termine della fase di svezza-mento è fondamentale in prospetti-va della sopravvivenza nella suc-cessiva fase di ibernazione.

CONCLUSIONIL’impatto dell’inquinamento

luminoso sui viventi è un proble-ma ancora in parte sottovalutato emisconosciuto (Lyytimäki, 2013).Gli organismi regolano i loro ritmidi attività principalmente sulla basedella disponibilità quotidiana e sta-gionale di luce solare e dunque lasua influenza sugli orologi biologi-ci è notevole. Malgrado questa con-siderazione sia sorretta da numero-se evidenze sperimentali, per de-cenni si è dato per scontato che lacontinua e crescente immissione diluce artificiale nella parte più bas-sa della troposfera potesse essereimpunemente tollerata dalle com-ponenti biologiche, specie umanacompresa. Non poche evidenze epi-

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demiologiche documentano per al-tro danni alla salute umana, an-che gravi, come un aumento del-l’incidenza del tumore al seno e alcolon (Chepesiuk, 2009). Per nonparlare delle implicazioni econo-miche del problema. Stime elabora-te da un gruppo di ricerca dell’Uni-versità del Missouri ha quantifica-to in 7 bilioni di dollari, pari acirca 5.300 miliardi di euro/anno,il costo (impatto su salute umanaed ecosistemi, spreco energetico,ecc.) dell’inquinamento luminoso(Gallaway et al., 2010).

La popolazione mondiale ècresciuta in modo esponenziale ne-gli scorsi decenni e l’aumento nonmostra nell’immediato alcuna ten-denza ad esaurirsi. L’espansionedelle aree urbane che ne deriverà èdestinata ad aumentare la dotazio-ne di impianti di illuminazionenotturna. È dunque da prevedereuna recrudescenza degli effetti delfenomeno su scala planetaria chesi sovrappone a un quadro già oggipreoccupante. Secondo i dati di Cin-zano et al. (2001a) nel 61,8% delterritorio degli USA e nell’85,3%dell’Unione Europea la luminositàdei cieli notturni è di almeno il10% superiore a quella naturale.Anche aree apparentemente distan-ti dal problema, in realtà ne sonocoinvolte. Il monitoraggio degli ef-fetti della luce diffusa a danno del-la barriera corallina (Aubrecht etal., 2008) ha ad esempio evidenzia-to che le acque marine al largo delPorto Rico e ampie aree del MarRosso e del Golfo Arabo già allostato attuale sono soggette a dannigravi.

Quali le azioni praticabili perfronteggiare il problema? Soluzioninell’ambito della progettazione de-gli impianti di illuminazione in gra-do quanto meno di ridurre le di-spersioni di luce erogata dagli im-pianti sono già state individuate erisultano praticabili (Cinzano,

1997; Di Sora, 2009). Fino a nonmolto tempo fa l’illuminotecnicaha avuto come obiettivo quello didimensionare impianti rispondentia standard qualitativi di natura fun-zionale ed estetica. Il risparmio ener-getico, ad esempio, solo in tempirecenti ha guadagnato l’attenzioneche merita. Attenzione che per al-tro non si è ancora pienamentetradotta sul territorio nazionale innorme utili a evitare situazioni dideleterio e ottuso spreco. La rifles-sione in corso sulla necessità diridurre i consumi di energia (e conessa i costi) è comunque un’oppor-tunità importante anzi tutto sottoil profilo culturale. Da essa puòscaturire un nuovo modello di pro-gettazione nel campo dell’illumi-notecnica capace di integrare i cri-teri estetici e funzionali con le esi-genze di risparmio e di riduzionedell’inquinamento luminoso a tu-tela anche degli ecosistemi. Un ap-proccio di questo tipo significhe-rebbe progettare con criteri piùmoderni il nuovo, ma avviare unariqualificazione di quanto già esi-ste. In tempi di crisi ciò potrebbefare da volano per la creazione dinuove competenze professionali eapplicazioni tecnologiche: un esem-pio di green economy, che tuttaviafino ad oggi non sembra trovarespazio reale di sviluppo. Anche iltentativo di approvare una leggenazionale per il contenimento del-l’inquinamento luminoso (DDL1296/92) non è andato a segno el’elaborazione della norma tecnicaUNI 10819 “Requisiti per la limita-zione della dispersione verso l’altodel flusso luminoso” non ha soddi-sfatto le richieste di chi chiedevanorme davvero efficaci per affron-tare il problema (Di Sora, 2010).Oggi buona parte delle Regioni ita-liane sono dotate di normative inmateria, ma il quadro è assai diso-mogeneo e alcune di queste leggiappaiono inadeguate (Di Sora,

2009). Sono attivi anche regolamen-ti comunali che tuttavia non sonoestesi all’intero territorio naziona-le e non sempre trovano piena ap-plicazione (Di Sora, 2010). L’ema-nazione di leggi da parte delle Re-gioni è il risultato di una encomia-bile mobilitazione delle associazio-ni astrofile italiane. Non a caso iprovvedimenti legislativi di solitofissano fasce di rispetto per le areecircostanti gli osservatori astrono-mici. L’impatto ecologico è unaspetto che rimane in secondo pia-no, anche se non viene ignorato: lalegislazione lombarda, ad esempio,contiene riferimenti ai possibili dan-ni da inquinamento luminoso al-l’interno delle aree naturali protet-te. La dotazione di norme legislati-ve e tecniche, per quanto non an-cora sufficientemente incisive, è daconsiderare un primo passo impor-tante.

Va sottolineato però che lasola revisione dei criteri di proget-tazione da applicare in ambito illu-minotecnico non è in prospettivauna misura di per sé sufficiente perattivare politiche efficaci ed utiliad aggredire il problema. Problemache nell’ambito delle politiche diconservazione delle risorse biologi-che finora è stato sostanzialmenteignorato, e non solo in Italia. Perusare le parole di Rich e Longcore(2006): «... se ci svegliassimo unamattina e capissimo che tutto losforzo messo in atto nell’ambitodelle politiche di conservazione de-gli ultimi trent’anni ha riguardatosolamente la metà del mondo bio-logico, vale a dire gli organismi conabitudini diurne?». Affrontare glieffetti ecologici dell’inquinamentoluminoso richiederà giocoforza nonsolo un ripensamento delle politi-che di conservazione della natura,ma anche dell’intera pianificazio-ne urbanistica e territoriale. L’in-quinamento luminoso è infatti unproblema che necessita anche e so-

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prattutto di un approccio su scaladi paesaggio: un’espansione urba-na in un’area considerata di scarsopregio naturalistico, solo per fareun esempio, può compromettere laconservazione di specie interessan-ti collocate in aree adiacenti pereffetto del fenomeno della luce dif-fusa. Non meno dannosa può esse-re la realizzazione di un impiantodi illuminazione che vada a inter-secare un corridoio ecologico stra-tegico per i movimenti di specie diinteresse naturalistico. È necessa-rio che la consapevolezza dei dan-ni indotti dalla luce artificiale pos-sa entrare tra i fattori critici oggiutilizzati come criteri di riferimen-to nei piani territoriali, con la stes-sa dignità di altri parametri, comela frammentazione degli habitat ola degradazione della vegetazionespontanea. Per rimanere nell’am-bito delle misure di natura pianifi-catoria, misura oltre modo urgenteper la riduzione dell’inquinamen-to luminoso è il contenimento del-l’urban sprawl (città diffusa), feno-meno che è stato oggetto di atten-zione anche da parte dell’UnioneEuropea (European EnvironmentAgency, 2006). Ugualmente prezio-si possono essere interventi di miti-gazione studiati per risolvere pro-blematiche di carattere locale, comenel caso già descritto a propositodella messa a terra dell’illumina-

zione stradale a tutela dei siti ripro-duttivi delle tartarughe marine inFlorida (Bertolotti e Salmon, 2005).Anche l’utilizzo di sorgenti lumi-nose meno attrattive e disturbantiper la fauna selvatica o la lorofiltrazione può sortire effetti positi-vi, ma va detto che questo tipo diintervento richiede un’attenta co-noscenza e valutazione delle prio-rità conservazionistiche su scalalocale. Non esiste purtroppo unasorgente luminosa in assoluto pocooffensiva per gli organismi viventi;solo per fare un esempio, le lucigialle sono la soluzione meno im-pattante per gli insetti e le tartaru-ghe marine, ma hanno effetto diso-rientante sulle salamandre (Lon-gcore e Rich, 2006). Certamente l’ef-fetto sulla componente biologica diuna sorgente luminosa dovrà dive-nire uno dei criteri per valutarne laqualità; nuove applicazioni tecno-logiche, come ad esempio la pro-spettata adozione di sistemi di illu-minazione a led che possono ga-rantire interessanti vantaggi sottoil profilo del risparmio energetico,dovranno essere opportunamentestudiate anche per quel che riguar-da i loro effetti sulla componentebiologica. Non è per nulla scontatoinfatti che l’introduzione di nuovesoluzioni tecnologiche sia di per séindolore per gli esseri viventi e perla salute umana. Una recente ana-

lisi comparativa sugli effetti a cari-co della salute umana della luceemessa da diverse sorgenti lumino-se dimostra ad esempio che la lucebianca emessa da led ha l’effetto disopprimere la produzione di mela-tonina in misura cinque volte su-periore rispetto a lampade attual-mente in uso, come quelle ai vapo-ri di sodio ad alta pressione (Falchiet al., 2011). In definitiva il proble-ma è complesso, ma questo nontoglie che soluzioni finalizzate acontenere le ricadute negative delfenomeno siano possibili. Allo sta-to attuale un ostacolo non trascu-rabile all’avvio di azioni efficaciper fronteggiare il problema è l’in-sufficiente percezione della sua gra-vità. Il mondo dell’astronomia si èspeso molto in tema di divulgazio-ne, ottenendo primi risultati moltoimportanti, ma il percorso è ancorairto di ostacoli. La crescente dispo-nibilità di dati sui danni ecologicie sanitari offre l’opportunità almondo della biologia e della medi-cina di impegnarsi per contribuirea costruire una maggiore conoscen-za e consapevolezza collettiva delproblema.

RingraziamentiUn grazie a Monica Masanta, adAllison Schwer, a Cristina e StellaVerdi e ai Revisori per le loro prezio-se indicazioni.

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Biologia Ambientale, 28 (n. 1, 2014)

Informazione & Documentazione

Primi dati sulla presenza di Hystrix cristataLinnaeus, 1758 (Mammalia, Rodentia, Hystricidae)nel Piemonte sud-occidentale (nord-ovest Italia)Moreno Dutto1*, Sergio Rinaudo2, Gianni Moino3, Emiliano Mori4

1 Contrattista Entomologia e Zoologia Medica, Servizio Igiene e Sanità Pubblica, Dipartimento di Prevenzione ASL CN1, Cuneo

2 Servizio Veterinario, Dipartimento di Prevenzione ASL CN1, Cuneo

3 Corpo Forestale dello Stato, Comando Stazione, Saluzzo

4 Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Siena, Via P.A. Mattioli, 4 – 53100 Siena

* Referente per la corrispondenza: [email protected]

INTRODUZIONEL’istrice Hystrix cristata L.,

1758 è un roditore istricide di grossedimensioni con corologia mediter-ranea e sub-sahariana. L’areale diorigine, seppur con qualche discon-tinuità, si estende per tutto il NordAfrica, dal Marocco alla Libia, e asud del Sahara, dal Senegal alla

Tanzania Centrale. La presenzadella specie in Egitto è dubbia(Hoath, 2003).

Nel continente africano, a sudè vicariata da una specie simile,l’istrice del Capo Hystrix africae-australis Peters, 1852, mentre inAsia è presente l’istrice indiano

Hystrix indica Kerr, 1792.La presenza in Italia, unica

nel continente europeo, sembraessere dovuta primariamente adintroduzioni umane a fini alimen-tari e venatori (Ghigi, 1958; Scor-tecci, 1961). Recenti osservazionidella specie in Portogallo (Mori et

RiassuntoNel presente articolo, gli autori segnalano per la prima volta la presenza di Hystrix cristata L. in due località del Piemontesud-occidentale (provincia di Cuneo). La presenza è stata accertata in seguito al reperimento di aculei, di un esemplareinvestito e successivamente soggetto a necrofagia da parte dei cinghiali e da un avvistamento da parte di un cacciatore.I nuovi riscontri permettono di spostare ad ovest di circa 78 km in linea d’aria l’areale di diffusione dell’istrice nel nord-ovest dell’Italia. I dati attualmente disponibili fanno supporre un’origine antropocora della popolazione senza però poterescludere una diffusione autonoma dalle provincie di Asti ed Alessandria dove la specie è stata segnalata a partire dal 2003.

PAROLE CHIAVE: istrice / provincia di Cuneo / origine antropocora / espansione dell’areale

First data of the presence of Hystrix cristata Linnaeus, 1758 (Mammalia, Rodentia, Hystricidae) in the south-westernPiedmont (northwest Italy).In this work, authors report the first occurrency data of Hystrix cristata L. in two sites in western Piedmont (Cuneo province,Northern Italy). The presence has been confirmed by the findings of a road-killed individual subsequently subjected tonecrophagy by wild boars and by an observation by a local hunter. These reports expands the extent of occurrence of thisspecies by over 78 km (linear distance) to the north-weast. The data available up to now lead authors to suggest anantropochorous origin of this population. However, a natural range expansion from the provinces of Asti and Alessandria(eastern piedmont), where the species is recorded since 2003, is not to be excluded.

KEY WORDS: crested porcupine / Cuneo province / antropochorous origin / range expansion

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Informazione&Documentazione

al., in stampa) potrebbero essereriferite ad individui sfuggiti allacattività.

In Italia, dati paleontologici egenetici farebbero supporre che l’in-troduzione sia avvenuta in più epo-che e non risalga al periodo roma-no, quanto invece all’epoca medio-evale (Trucchi e Sbordoni, 2009;Masseti et al., 2010).

Attualmente la specie risultaampiamente diffusa in Italia nelleregioni centro-meridionali (Amoriet al., 2009), inclusa la Sicilia, men-tre si hanno solo da alcuni anni iprimi dati per la Sardegna (Angeli-ci et al., 2009). Il limite di diffusio-ne nord-occidentale, fino agli anni

’70, era rappresentato dalla Tosca-na (fiume Arno) (Tomei e Cavalli,1976), con alcune segnalazioni inLiguria centro-occidentale (Ballet-to, 1977) a seguito di fuga acciden-tale da una riserva di caccia. Apartire dal 1999 una serie di ricer-che mirate ha permesso di confer-mare la presenza stabile della spe-cie nella Liguria centrale ed occi-dentale (Borgo e Doria, 2013).

Negli ultimi anni si è potutaregistrare una progressiva espansio-ne nord-occidentale della specie(Mori et al., in stampa), anche aseguito di introduzioni mediate dal-l’uomo (Angelici et al., 2009; Ga-gliardi et al., 2012).

Per quanto riguarda il Pie-monte (Fig. 1), la specie è stataosservata a partire dal 2003 in pro-vincia di Alessandria, in seguito aprobabili sconfinamenti della spe-cie dal versante ligure dell’appen-nino (Silvano, 2004; Sindaco, 2006;Sindaco e Seglie, 2009; Silvano,2010); successivamente (2011) è sta-ta segnalata la presenza anche inprovincia di Asti (Loc. Mombaruz-zo; Mori et al., in stampa).

Nel presente lavoro gli autorisegnalano due nuove stazioni inprovincia di Cuneo (Piemonte sud-occidentale) spostando nettamentepiù a ovest l’areale della specie inquesta regione.

MATERIALI E METODILe segnalazioni qui riportate

sono state raccolte e verificate dadue degli autori (M. Dutto e S. Ri-naudo) a seguito di attività di servi-zio in collaborazione con il perso-nale ispettivo del Corpo Forestaledello Stato. Le coordinate delle va-rie stazioni, rilevate attraverso rice-vitore GPS (GPSmap 60Cx, Garmin),sono state riportate su carta trami-te ArcMap 10®.

RISULTATII primi punti di presenza del-

la specie per il Piemonte centralesono riportati di seguito, con ladata e la tipologia dell’osservazio-ne:1. Peveragno (CN). 44,331053°N;07,604739°E. Ottobre 2012. Avvi-stamento da parte di un cacciato-re.2. Castellar (CN), 44,633033°N;07,447200°E. Giugno 2013. Riscon-tro di 4 aculei di contatto allabase di Quercus sp. I reperti sonoconservati presso il Museo CivicoStoria Naturale “G. Doria” (Geno-va);3. Castellar (CN), 44,642500° N;07,457283° E. Agosto 2013. Ri-scontro di resti (arti anteriori e 42

Fig. 1. Distribuzione aggiornata dell’istrice in Piemonte. La linea tratteggiataracchiude le nuove segnalazioni, rappresentate con l’asterisco. I cerchi rappre-sentano popolazioni sicuramente introdotte, i triangoli punti di presenza rag-giunti autonomamente.

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Informazione&Documentazione

aculei di difesa e contatto) in se-guito ad investimento automobili-stico e successiva predazione daparte di cinghiali (Fig. 2). I reper-ti sono conservati presso il MuseoCivico Storia Naturale “G. Doria”(Genova).

L’areale attuale della speciein questa regione è riportato infigura 1.

CONCLUSIONII dati raccolti permettono di

ampliare a ovest l’areale di diffu-sione della specie in Piemonte. Finoal 1970 circa, la distribuzione del-l’istrice in Italia includeva solo leregioni centrali e meridionali, Sici-lia inclusa, con particolare riferi-mento al versante tirrenico (Amoriet al., 2009).

In seguito, la normativa na-zionale (Legge 968/1977 e successi-ve leggi relative alla fauna selvati-ca omeoterma) e quella comunita-ria (Direttiva Habitat All. IV e Con-venzione di Berna All. II) hannomesso sotto tutela questa specie,ancora braccata per le carni, gliaculei (Scortecci, 1961) e per i dan-

ni lamentati alle colture all’inter-no dell’areale storico. Favorita an-che dal regime protezionistico, laspecie avrebbe dapprima oltrepas-sato l’Appennino, raggiungendoUmbria e Marche, dove l’espansio-ne al Nord avrebbe avuto inizio,diffondendosi dunque, cronologica-mente, verso l’Emilia Romagna, laLiguria, la Lombardia, il Veneto, ilPiemonte e il Trentino Alto Adige(Mori et al., in stampa). Fattori sto-rici e sociali legati alla progressivaurbanizzazione e il conseguente ab-bandono dell’uso tradizionale delsuolo sulle montagne sono le causeche, probabilmente, hanno favori-to l’espansione dell’areale di que-sta specie attraverso boschi e campiincolti.

Considerate le limitate capa-cità di dispersione e il comporta-mento spaziale di questa specie (Lo-vari et al., 2013), le località segnala-te per la provincia di Cuneo risul-tano troppo lontane dall’areale pe-ninsulare e dalle aree di sconfina-mento; è quindi ipotizzabile che sitratti di una popolazione di origineantropocora. Nonostante quanto

espresso in precedenza, sebbene isegni di presenza siano inequivoca-bili, la specie è notturna, solitaria eparticolarmente elusiva (Scortecci,1961; Santini, 1983) e di conse-guenza non si può escludere com-pletamente a priori la conquistanaturale dell’area né la presenzanei territori intermedi tra le locali-tà già note in provincia di Asti e lenuove località in provincia di Cu-neo.

Dal punto di vista biologico èimportante sottolineare che la spe-cie non va in letargo e la ricerca dicibo su territorio nevoso potrebbecostituire un impedimento alla co-lonizzazione dell’intero arco alpi-no, come suggerito anche da unmodello di distribuzione della spe-cie costruito ad hoc (Mori et al., instampa).

Sebbene l’InternationalUnion for Conservation of Nature(IUCN) classifichi la specie come“a minor preoccupazione” (www.iucnredlist.org; accesso del 20 set-tembre 2013), una conoscenza det-tagliata della sua distribuzione èraccomandata in quanto specie diinteresse non solo conservazionisti-co, ma anche gestionale: nell’arealestorico della specie sono lamentatidanni a diverse colture agricole (cu-curbitacee, girasoli, tabacco e mais)(Amori et al., 2009); inoltre in Ital-ia, a parte il lupo che potrebbeinteragire con l’istrice nella fasciadella media collina, non sono notipredatori autoctoni della specie allostadio adulto (Scortecci, 1961).

Figura 2. Aculei di difesa e contatto recuperati a Castellar (agosto 2013) (foto M.Dutto).

RingraziamentiGli autori vogliono ringraziare per lacollaborazione prestata la Sig.raManuela Molineris (Verzuolo), il per-sonale in servizio del Corpo Forestaledello Stato (Comando Stazione diSaluzzo e Comando Provinciale di Cu-neo) e del Servizio Veterinario Area Adell’ASL CN1 (Saluzzo).

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Biologia Ambientale, 28 (n. 1, 2014)

Considerazioni su alcuni casi di infestazioni domestichesostenute da coleotteri carabidi (Coleoptera, Carabidae)in Piemonte (nord-ovest Italia)

Moreno Dutto

Contrattista Entomologia e Zoologia Medica, Servizio Igiene e Sanità Pubblica, Dip. di Prevenzione ASL CN1, Via del Follone – 12037 Saluzzo (CN).E-mail: [email protected]

RiassuntoNel presente articolo vengono analizzati 9 casi di infestazioni domestiche sostenute da coleotteri carabidi nel sud delPiemonte negli anni 2008-2013. Le infestazioni analizzate hanno visto quali responsabili Harpalus dimidiatus (1 caso) ePseudoophonus rufipes (8 casi); in tutti i casi le cause dell’infestazione sono state ricondotte a: i) prossimità di coltivazionierbacee (prati stabili) o ii) presenza di fattori attrattivi in prossimità delle abitazioni quali, ad esempio, fari dell’illumina-zione pubblica dotati di lampade a vapori di mercurio.La gestione delle infestazioni deve prevedere primariamente l’adozione di barriere anti-intrusione alle aperture dell’abi-tazione ed eventualmente l’impiego –solo in prossimità di porte e finestre– di piretroidi distribuiti a striscia. Assolutamentesconsigliati ed inutili i trattamenti insetticidi diffusi in tutta l’abitazione o il trattamento delle aree esterne infestate.

PAROLE CHIAVE: Harpalus / Pseudoophonus / infestazioni domestiche / abitazioni / carabidi

Considerations on some cases of domestic infestations sustained by ground beetles (Coleoptera, Carabidae) inPiedmont (northwest Italy).In this article are analyzed 9 cases of domestic infestations incurred by carabidae beetles in southern Piedmont in the years2008-2013. Infestations have analyzed seen as responsible Harpalus dimidiatus (1 case) and Pseudoophonus rufipes (8 cases);in all cases the causes of infestation have been traced to: i) close to herbaceous crops (meadows), or ii) the presence of factorsattractants in the vicinity of the housing such as, for example, headlights of public lighting lamps with mercury vapor.The management of infestations must provide primarily the adoption of anti-intrusion barriers to the openings of thedwelling and possibly the use, only in the vicinity of doors and windows, of pyrethroids distributed to strip. Absolutely notrecommended and unnecessary insecticide treatments spread throughout the home or treatment of external infested areas.

KEY WORDS: Harpalus / Pseudoophonus / domestic infestation / home / ground beetles

INTRODUZIONEI coleotteri carabidi rappre-

sentano una famiglia composta daspecie con esigenze ambientali etrofiche nettamente diversificate; ilregime alimentare, negli adulti, va-ria dalla fitofagia alla zoofagia piùo meno specializzata. Date le esi-genze ambientali e trofiche dellevarie specie nessuna può essere con-siderata quale infestante tipico (clas-sic pest) degli insediamenti umani.

Negli agroecosistemi gli appar-

tenenti alla sottofamiglia Harpali-nae rappresentano importanti com-petitori biologici (Harrison e Gal-landt, 2012) seppure possano esse-re anche particolarmente dannosiad alcune specie coltivate, in parti-colare alla fragola e ai seminativi(Tremblay, 2000).

Le infestazioni delle abitazio-ni da parte di specie appartenentiai carabidi sono molto sporadichee in letteratura sono ascritti casi a

Ophonus spp. (Grandi, 1951), Pseu-doophonus rufipes (De Geer, 1774)(Brandmayr et al., 2005) , Gynan-dromorphus etruscus (Quensel, 1806)e Carterus fulvipes (Latreille, 1817)(Fabbri e Contarini, 2009) che sonospecie ad ampia diffusione e di fa-cile reperimento nei coltivi (Bazoket al., 2007).

La presenza, anche imponen-te, nelle abitazioni è solo ed esclu-sivamente un fattore di dispersio-

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DUTTO - Infestazioni domestiche da Carabidi 95

Informazione&Documentazione

ne/migrazione dovuta a variazioniclimatiche (periodi caldo-secchi pro-lungati) (Grandi, 1951), modifica-zioni degli habitat (operazioni col-turali) e/o a fattori attrattivi qualipossono essere fonti di radiazioniUV-A. Le radiazioni ultraviolettegiocano un ruolo attrattivo moltoimportante, essendo gli Harpalinaelucifugi, ma caratterizzati da spic-cato fototropismo positivo alla luceartificiale.

Nel presente studio vengonoriportati e descritti sommariamente9 casi d’infestazioni domestiche ene vengono analizzate le implica-zioni nelle attività antropiche.

MATERIALI E METODISono stati analizzati i casi

pervenuti, nel periodo compreso fragennaio 2008 e ottobre 2013, alServizio di Igiene e Sanità Pubbli-ca dell’ASL CN1 sia per competen-za territoriale che per supporto spe-cialistico ad altre strutture del Ser-vizio Sanitario Nazionale (SSN) oa ditte di disinfestazione operantinell’ambito territoriale della Regio-

ne Piemonte.L’infestazione, ai fini dell’in-

serimento come “caso” nel presentestudio, doveva possedere i seguentirequisiti: i) interessare ambienti do-mestici/lavorativi in ambiente urba-no o rurale, ii) protrarsi per almeno5-6 giorni consecutivi e iii) caricainfestante >10 esemplari/giorno ri-scontrati di sera o al mattino. Sononaturalmente stati esclusi dal pre-sente studio i casi inerenti il ritrova-mento di singoli esemplari o quellinon ascrivibili ad artropodi apparte-nenti alla famiglia dei carabidi.

Ogni caso ha previsto la rac-colta di campioni (almeno 2-4 esem-plari), successivamente preparati asecco su cartellino entomologico, el’accertamento ambientale riguar-dante: condizioni del sito infestato,caratteristiche degli ambienti ester-ni, caratteristiche della componen-te vegetale urbana e presenza/as-senza e caratteristiche delle fontid’illuminazione. I dati sono statiraccolti ed elaborati attraverso fo-gli di calcolo Microsoft Excel®.

Gli esemplari raccolti, studiati

allo stereomicroscopio (Olympus,VMZ) con illuminazione incidente,sono stati determinati mediante icaratteri proposti da Freud et al.(2004) seguendo l’impianto sistema-tico della checklist della fauna d’Ita-lia (Vigna Taglianti, 1993, 2005).

RISULTATI E DISCUSSIONEI risultati dei casi pervenuti

all’osservazione del personale esper-to in entomologia dell’ASL CN1sono riassunti nella tabella I. Neglianni compresi fra il 2008 e il 2013sono stati trattati in complesso 9casi; per certo tale dato è sottosti-mato in quanto il ricorso alle strut-ture del SSN è limitato a casi diparticolare intensità e non rispon-denti ai classici trattamenti insetti-cidi.

In tutti i casi si è potuto ac-certare un uso indiscriminato eimproprio delle formulazioni inset-ticide utilizzate senza un’appropria-ta diagnosi dell’infestante, conside-rato che nei casi 1 e 4 gli insettiriscontrati erano stati precedente-mente determinati quali blatte.

Tab. I. Infestazioni da coleotteri carabidi riscontrati nel periodo 2008-2013. VM: lampada vapori di mercurio.

N. Specie Località Periodo Osservazioni

1 Pseudoophonus rufipes Cuneo (città) Luglio 2008 Infestazione alloggio 2° piano. Presenza di faro (VM) del-l’illuminazione pubblica sul balcone. Aiuole a circa 200 m.

2 Pseudoophonus rufipes Saluzzo (città) Giugno 2009 Infestazione alloggio 1° piano. Presenza di faro (VM) del-l’illuminazione pubblica sul balcone. Aiuole a circa 600 m.

3 Harpalus dimidiatus Dronero Agosto 2009 Infestazione locali piano terreno attigui al giardino roccioso.

4 Pseudoophonus rufipes Alba Sett. 2009 Infestazione appartamento 1° piano. Colore chiaro (bianco)delle pareti esterne. Finestre affacciate su prato stabile polifita.

5 Pseudoophonus rufipes Verzuolo Agosto 2010 Infestazione pareti esterne (bianche) abitazione rurale.Presenza punto illuminazione pubblica (VM).

6 Pseudoophonus rufipes Moncalieri Ottobre 2010 Infestazione locali industriali in prossimità di area incoltacon elevata presenza di graminacee.

7 Pseudoophonus rufipes Savigliano Luglio 2012 Infestazione locali commerciali attigui ad aiuole ornamentali.

8 Pseudoophonus rufipes Biella Sett. 2012 Infestazione locali piano terreno e 1° piano abitazionerurale prossima ad incolto. Presenza faro ad incandescenzailluminazione privata.

9 Pseudoophonus rufipes Scarnafigi Sett. 2013 Infestazione locali piano terreno abitazione ruraleprossima a prato polifita.

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DUTTO - Infestazioni domestiche da Carabidi96

Informazione&Documentazione

Dall’analisi della casistica èpossibile dedurre che l’infestanteriscontrato con maggior frequenzaè Pseudoophonus (=Harpalus) rufi-pes (De Geer, 1774) e in un solocaso è stato possibile riscontrareHarpalus dimidiatus (Rossi, 1790).Ambedue le specie, allo stadio adul-to, presentano un comportamentotrofico fitofago, in alcuni casi spe-cializzato alla spermofagia basatasu semi di piante spontanee e colti-vate (es. fragole).

L’infestazione degli ambientidomestici/lavorativi rappresenta unevento localizzato che interessa,anche per più anni, siti caratteriz-zati da particolari condizioni favo-renti; tali condizioni predisponentisono rappresentate dalla presenzadi fonti attrattive quali le radiazio-ni UV-A tipiche delle ormai obsole-te lampade a vapori di mercurio edalla presenza di aree di sviluppoquali prati stabili, fragoleti, giardi-ni ecc.

Si è potuto constatare che lapresenza di radiazioni luminoserappresenta un fattore d’attrazione

favorente le infestazioni domesti-che prevalentemente nel periodoestivo quando la temperatura per-mette il massimo dell’attività di voloe molte specie sono nel picco mas-simo delle popolazioni.

Sotto il profilo igienico-sani-tario le specie che hanno dato ori-gine alle infestazioni non sono pe-ricolose e non hanno un ruolo rile-vante quali vettori; in ambito do-mestico in molti casi una delle pro-blematiche riscontrate era l’inten-so odore acre generato dagli esem-plari morti.

Nell’industria alimentare que-sti infestanti possono essere una cau-sa di aumento della contaminazio-ne biotica nelle matrici lavorate.

Dal punto di vista pratico, alfine di limitare le infestazioni è ne-cessario primariamente individuarequali siano le cause; qualora l’infe-stazione sia correlata alla presenzadi lampade ad elevata emissione UV-A è necessario sostituire queste lam-pade con lampade al sodio.

Nei casi in cui invece le causesiano legate alla prossimità di aree

coltivate è necessario adottare mi-sure antiintrusione alle aperture(zanzariere, spazzole sottoporta,ecc.) oppure utilizzare insetticidi daapplicare in striscia limitatamenteai potenziali punti d’ingresso (da-vanzali, soglie d’ingresso, ecc.). Frai principi attivi che hanno dato imigliori risultati nella gestione del-le infestazioni riassunte nella ta-bella I si può annoverare la perme-trina (0,25%, soluzione pronta al-l’uso) e la deltametrina. Trattamentiinsetticidi generalizzati risultanoinutili, concorrendo solo ad aumen-tare la contaminazione chimicaambientale.

BIBLIOGRAFIA

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RingraziamentiL’autore esprime i più sinceri ringra-ziamenti al dott. Gianni Allegro (CRA -PLF Unità di Ricerca per le Produzio-ni Legnose Fuori Foresta, CasaleMonferrato, Italia) per la revisione cri-tica del manoscritto e alla Sig.raManuela Molineris (Verzuolo, Italia)per la collaborazione prestata nell’ana-lisi della casistica.

Page 99: Ba 2014-1 Copertina 205x270 - CISBA · Volume 28 Numero 1 Aprile 2014 SOMMARIO 3 15 25 39 57 LAVORI ORIGINALI INFORMAZIONE & DOCUMENTAZIONE Brighenti S., Bona F. - Impronta idrica

Biologia AmbientaleBiologia AmbientaleBiologia AmbientaleBiologia AmbientaleBiologia Ambientale NorNorNorNorNorme per gme per gme per gme per gme per gli autorili autorili autorili autorili autoriManoscritti. I lavori proposti per la pubblicazione nella sezione Lavorioriginali, accompagnati dalla dichiarazione che l’articolo non è già statopubblicato né sottoposto ad altro editore, vengono sottoposti a referee.Compatibilmente con il loro contenuto, devono essere suddivisi neiseguenti paragrafi: Introduzione, Materiali e metodi, Risultati,Discussione, Conclusioni, Ringraziamenti (opzionale), Bibliografia. Lerassegne (review) possono essere strutturate diversamente, a discrezionedell’autore. Qualora il lavoro sia già stato pubblicato o sottopostoall’attenzione di altri editori, la circostanza deve essere chiaramentesegnalata: in tal caso il lavoro potrà essere preso in considerazione peressere pubblicato, in forma sintetica, nella sezione Informazione &Documentazione. Quest’ultima, essendo finalizzata a favorire lacircolazione di informazioni, idee ed esperienze, accoglie anche lavoriche non soddisfano interamente i requisiti dei Lavori originali e che,perciò, non sono sottoposti a referee.

Titolo e Autori. Il titolo deve essere informativo e, se possibile, conciso; deveessere indicato anche un titolo breve (massimo cinquanta caratteri) dautilizzare come intestazione delle pagine successive alla prima. Il titolo deveessere seguito dal nome (per esteso) e dal cognome di tutti gli autori. Di ogniautore (contrassegnato da un richiamo numerico) deve essere riportatol’indirizzo postale completo dell’Istituto nel quale è stato svolto lo studio. Ilnome dell’autore referente per la corrispondenza con i lettori deve esserecontrassegnato anche da un asterisco; il suo indirizzo di posta ordinariadeve essere seguito anche dal numero di telefono e dall’indirizzo di postaelettronica; tramite quest’ultimo verranno inviate le bozze per la correzione.

Riassunto, parole chiave, titolo inglese, abstract e key words sonorichiesti per tutti gli articoli. Il riassunto (lunghezza massima 250 parole)deve sintetizzare lo scopo dello studio, descrivere la sperimentazione, iprincipali risultati e le conclusioni; deve essere seguito dalle parole chiave(massimo 5), separate da una barra obliqua. Devono essere altresì riportatiin lingua inglese il titolo e un abstract (massimo 250 parole), seguiti dallekey words separate da una barra obliqua.

Figure e tabelle. Le figure, con la relativa didascalia e numerate connumeri arabi, possono essere inserite direttamente nel testo. Le tabelledevono essere complete di titolo e numerate con numeri romani. Occorrecurare titoli, legenda e didascalie in modo da rendere le tabelle e le figureautosufficienti, cioè comprensibili anche senza consultare il testo. Per lefigure (grafici, disegni o fotografie di buona qualità), si raccomanda diverificare con opportune riduzioni l’aspetto finale e la leggibilità dellescritte, tenendo conto che saranno stampate riducendone la base a 8 cm(una colonna) o 17 cm (due colonne). Non inviare carte, tavole o grafici acolori senza essersi accertati che la loro stampa in bianco e nero assicuricomunque l’agevole riconoscibilità delle diverse sfumature o retinature.Nella scelta degli accorgimenti grafici privilegiare sempre la facilità eimmediatezza di lettura agli effetti estetici.

Bibliografia. Al termine del testo deve essere riportata la bibliografia inordine alfabetico. Ad ogni voce riportata nella bibliografia devenecessariamente corrispondere il riferimento nel testo e viceversa. Per laformattazione e la punteggiatura, attenersi strettamente ai seguenti esempi:Dutton I.M., Saenger P., Perry T., Luker G., Worboys G.L., 1994. An

integrated approach to management of coastal aquatic resources. Acase study from Jervis Bay, Australia. Aquatic Conservation: marine andfreshwater ecosystems, 4: 57-73.

Hellawell J.M., 1986. Biological indicators of freshwater pollution andenvironmental management. Elsevier Applied Science Publishers,London and New York, 546 pp.

Pulliam H.R., 1996. Sources and sinks: empirical evidence and populationconsequences. In: Rhodes O.E., Chesser R.K., Smith M.H. (eds.),Population dynamics in ecological space and time. The University ofChicago Press, Chicago: 45-69.

Corbetta F., Pirone G., (1986-1987) 1988. I fiumi d’Abruzzo: aspetti dellavegetazione. In: Atti Conv. Scient. “I corsi d’acqua minori dell’Italiaappenninica. Aspetti ecologici e gestionali”, Aulla (MS), 22-24 giugno 1987.Boll. Mus. St. Nat. Lunigiana 6-7: 95-98.

Proposte di pubblicazione. Gli articoli devono essere inviati in formatodigitale a [email protected]. Qualora le eccessive dimensionidei file non ne consentano l’invio per posta elettronica, inviare i singolifile in messaggi separati, oppure scrivere una e-mail alla redazione chemetterà a disposizione un altro servizio di consegna (es. via FTP). Dopouna preliminare valutazione redazionale, i manoscritti dei Lavorioriginali saranno sottoposti alla lettura di revisori scientifici (referee);l’autore indicato come referente per la corrispondenza sarà informatodelle decisioni dalla redazione. Per evitare ritardi nella pubblicazionee ripetute revisioni del testo, si raccomanda vivamente agli autori diprestare la massima cura anche alla forma espositiva che deve essereconcisa, chiara, scorrevole e in buon italiano, evitando neologismisuperflui. Tutte le abbreviazioni e gli acronimi devono essere definitiper esteso alla loro prima occorrenza nel testo. I nomi scientifici dellespecie devono essere in corsivo e, alla loro prima occorrenza, scritti peresteso e seguiti dal nome dell’autore, anche abbreviato (es. Arvicolaterrestris Linnaeus, 1758, oppure Arvicola terrestris L.). Nelle occorrenzesuccessive, il genere può essere sostituito dalla sola iniziale e il nomedell’autore può essere omesso (es. A. terrestris). Per i nomi volgari deigeneri e delle specie usare l’iniziale minuscola (es. l’arvicola, l’arvicolaterrestre); per le categorie tassonomiche superiori al genere usarel’iniziale maiuscola quando sono intese in senso sistematico (es.sottofamiglia Arvicolinae, fam. Muridae o Muridi), mentre quando sonointese nel senso comune è preferibile usare l’iniziale minuscola (es. imammiferi, i cladoceri, le graminacee).La redazione si riserva il diritto di apportare ritocchi linguistici e graficie di respingere i manoscritti che non rispettano i requisiti delle presentinorme per gli autori. Le opinioni espresse dagli autori negli articolifirmati non rispecchiano necessariamente le posizioni del C.I.S.B.A.

Bozze ed estratti. Le bozze di stampa saranno inviate all’autore indicatocome referente per la corrispondenza, che deve impegnarsi ad unacorrezione molto accurata e al nuovo invio alla redazione entro 5 giornilavorativi; trascorso tale periodo, il lavoro può essere pubblicato con lesole correzioni dell’editore. All’autore referente per la corrispondenzasarà inviato il numero della rivista e, tramite posta elettronica, il filedell’articolo in formato PDF (a colori, qualora lo sia l’originale),utilizzabile per la diffusione telematica e per riprodurre il numerodesiderato di estratti a stampa. Gli autori si impegnano a non diffondereil PDF dell’articolo prima della distribuzione della rivista; eventualieccezioni motivate possono essere concesse richiedendo l’autorizzazionealla redazione.

Formato dei file. Per assicurare la compatibilità con i programmi divideoscrittura e di impaginazione, il file va inviato in formato Microsoft®Word (*.DOC, preferibilmente salvato nel formato della sua penultimaversione commerciale) o Rich Text Format (*.RTF). I grafici sarannostampati in bianco e nero; per quelli realizzati con fogli elettroniciinviare il file contenente sia i grafici che i dati di origine (preferibilmentesalvato nella penultima versione commerciale di Microsoft® Excel) alfine di consentirne il ridimensionamento o eventuali modifiche alformato, volte a migliorarne la leggibilità. I file delle figure al trattovanno inviati preferibilmente in formato *.TIF; quelli delle fotografiepreferibilmente in formato *.JPG (con risoluzione minima 300 dpi ebase 8 o 17 cm). Per formati di file diversi da quelli sopra indicati,precisare il software utilizzato. Importante: i grafici e le illustrazioniinseriti in un file DOC non sono sufficienti per la realizzazionetipografica (comportano una perdita di nitidezza e difficoltà in fase diimpaginazione); è perciò necessario inviare sempre anche i grafici ele figure come file indipendenti. Per chiarimenti tecnici contattareGiuseppe Sansoni (tel. 0585 841592, [email protected]).

Foto di copertina. Oltre alle illustrazioni a corredo del proprio articolo,gli autori possono inviare una o più foto candidate alla copertinadella rivista (complete di una breve didascalia, dell’anno e del nomedell’autore della foto stessa e preferibilmente attinenti al lavoropresentato). La redazione si riserva di scegliere, tra le foto pervenute,quella ritenuta più adatta al numero in uscita.

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volume 28 numero 1 ••••• aprile 2014

Brighenti S., Bona F. - Impronta idrica a scala di bacino: il casostudio dell’alta Valle Arroscia

Naldi M., Fagioli L., Lovo S., Paesanti F., Turolla S., Viaroli P. -Potenzialità e limiti della digestione anaerobica delle biomasse

derivanti dalle fioriture macroalgali nella Sacca di Goro

Salmaso F., Quadroni S., Romanò A., Compare S., Gentili G., Crosa G.- Definizione dello stato ecologico secondo il D.M. 260/2010 in duefiumi di pianura (Adda e Ticino) interessati dal Deflusso Minimo

Vitale

Forneris G., Merati F., Pascale M., Perosino G.C. - Riflessioni sull’ap-plicazione degli indici di valutazione dello stato delle comunità

ittiche in Piemonte

Gippoliti S. - Animali esotici negli zoo e valutazione del loro benes-

sere: un approccio olistico

Camerini G. - Impatto dell’illuminazione artificiale sugli organismiviventi

Dutto M., Rinaudo S., Moino G., Mori E. - Primi dati sulla presenza diHystrix cristata Linnaeus, 1758 (Mammalia, Rodentia, Hystricidae)nel Piemonte sud-occidentale (nord-ovest Italia)

Dutto M. - Considerazioni su alcuni casi di infestazioni domestichesostenute da coleotteri carabidi (Coleoptera, Carabidae) in Piemonte(nord-ovest Italia)

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