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Capitolo 1 AZIENDA ED ECONOMIA AZIENDALE Sommario: 1. Attività economiche. – 2. Unità economiche e aziende. – 3. Caratteri distintivi dell’azienda. – 4. Missione e classi di aziende. – 5. L’ambiente: definizione e struttura. – 6. Ambiente e azienda «responsabile». – 7. Il rischio e l’ambiente: definizioni e tipologie di rischio. – 8. L’azienda in crisi. Dissolvimento, recupero. – 9. L’Economia Aziendale. Origi- ne e principi (cenni). 1. ATTIVITÀ ECONOMICHE Nella sua esistenza, l’uomo manifesta di continuo bisogni o desideri di va- ria natura, per soddisfare i quali si attiva nella ricerca di beni e servizi, ossia risorse e mezzi, atti ad appagarli. Alcuni di tali bisogni sono essenziali o indif- feribili, poiché connaturati alla stessa sopravvivenza; altri, invece, si definisco- no voluttuari o differibili; questi ultimi possono facilmente mutare nel tempo o subire condizionamenti esterni, e occupano pertanto posizioni variabili nella scala dei valori dei singoli individui o di un’intera società umana, pres- so cui si collocano di conseguenza in un ordine gerarchico, soggetto a modi- ficazioni. Appartengono alla prima categoria bisogni quali il nutrimento, il riposo, e così via. Rientrano nella seconda i bisogni del divertimento, della cultura, e così via. Dunque, nel momento in cui percepisce la carenza di certe condizioni, ossia avverte un bisogno o desiderio, l’uomo si adopera per soddisfarlo, cioè agisce, pone in essere una data attività che gli consenta di ottenere beni o ri- sorse indispensabili allo scopo. Notava giustamente Amodeo 1 che «biso- gno, in significato economico, non vi è ove non vi sia carenza dei mezzi che potrebbero soddisfarlo; e non vi è nemmeno quando quei mezzi siano asso- lutamente inesistenti. Il bisogno presuppone il mezzo di soddisfazione e ne postula la carenza presso il soggetto che il bisogno avverte». 1 D. AMODEO, Ragioneria generale, p. 4.

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Capitolo 1

AZIENDA ED ECONOMIA AZIENDALE

Sommario: 1. Attività economiche. – 2. Unità economiche e aziende. – 3. Caratteri distintivi dell’azienda. – 4. Missione e classi di aziende. – 5. L’ambiente: definizione e struttura. – 6. Ambiente e azienda «responsabile». – 7. Il rischio e l’ambiente: definizioni e tipologie di rischio. – 8. L’azienda in crisi. Dissolvimento, recupero. – 9. L’Economia Aziendale. Origi-ne e principi (cenni).

1. ATTIVITÀ ECONOMICHE

Nella sua esistenza, l’uomo manifesta di continuo bisogni o desideri di va-ria natura, per soddisfare i quali si attiva nella ricerca di beni e servizi, ossia risorse e mezzi, atti ad appagarli. Alcuni di tali bisogni sono essenziali o indif-feribili, poiché connaturati alla stessa sopravvivenza; altri, invece, si definisco-no voluttuari o differibili; questi ultimi possono facilmente mutare nel tempo o subire condizionamenti esterni, e occupano pertanto posizioni variabili nella scala dei valori dei singoli individui o di un’intera società umana, pres-so cui si collocano di conseguenza in un ordine gerarchico, soggetto a modi-ficazioni. Appartengono alla prima categoria bisogni quali il nutrimento, il riposo, e così via. Rientrano nella seconda i bisogni del divertimento, della cultura, e così via.

Dunque, nel momento in cui percepisce la carenza di certe condizioni, ossia avverte un bisogno o desiderio, l’uomo si adopera per soddisfarlo, cioè agisce, pone in essere una data attività che gli consenta di ottenere beni o ri-sorse indispensabili allo scopo. Notava giustamente Amodeo

1 che «biso-gno, in significato economico, non vi è ove non vi sia carenza dei mezzi che potrebbero soddisfarlo; e non vi è nemmeno quando quei mezzi siano asso-lutamente inesistenti. Il bisogno presuppone il mezzo di soddisfazione e ne postula la carenza presso il soggetto che il bisogno avverte».

1 D. AMODEO, Ragioneria generale, p. 4.

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Ora, com’è noto, beni o risorse sono distinguibili in due classi: non eco-nomici ed economici. I primi sono quei beni disponibili in natura in quantità illimitata, liberamente e agevolmente acquisibili, e possono pertanto soddi-sfare senza limitazioni i bisogni di chiunque li ricerchi.

I beni economici sono invece scarsi rispetto alle esigenze degli individui; i quali non possono facilmente acquisirli e sono pertanto indotti di continuo a compiere scelte e a ingegnarsi e adoperarsi per riuscire ad appagare i biso-gni avvertiti.

L’attività umana è dunque diretta alla soddisfazione di bisogni o desideri, attraverso la ricerca di beni o risorse di ogni tipo. Essa viene definita attività economica, allorché diventa indispensabile l’uso di beni, risorse ovvero mez-zi che sono scarsi. L’attività umana è sempre fatta di scelte; quando è di na-tura economica, nel senso che deve confrontarsi con il limite della scarsità dei mezzi disponibili, le scelte sono scelte economiche. Queste tendono co-stantemente verso l’obiettivo di cogliere il miglior rapporto possibile tra mezzi (scarsi) e bisogni da soddisfare (secondo un dato ordine gerarchico).

Prima di proseguire, si rendono a questo punto opportune due puntua-lizzazioni:

a) come si è visto, al termine beni si sono talvolta accostati altri termini quali risorse e mezzi. Ciò per rendere palese che quando si parla di beni, in particolare di quelli economici, non si fa riferimento soltanto a qualcosa prov-visto di materialità, quale può essere un’auto o una scatola di biscotti. Ma vi si comprendono, in primo luogo, tutti i servizi possibili (da quelli commerciali, a quelli professionali e artigianali di ogni specie, da quelli sanitari a quelli con-nessi alla formazione e all’istruzione, e così via); e, poi, i beni immateriali o, più in generale, ogni tipo di risorsa intangibile: si pensi alle conoscenze, alle informazioni, ma anche alle rappresentazioni artistiche, alle manifestazioni di carattere religioso, agli eventi musicali e culturali, e così via. Insomma a tutto ciò che può appagare sul piano fisico, psichico e spirituale l’uomo moderno. Anzi, i bisogni del giorno d’oggi spingono verso l’espansione, come si vedrà più avanti, della produzione di risorse immateriali e intangibili;

b) è stato chiarito che le scelte economiche sono scelte umane, ma parti-colari. Ne discende che esse, in quanto tali (umane), sempre e inevitabilmente risentono dell’influenza di molteplici fattori extraeconomici, di natura cultu-rale, etica, religiosa, sociale, ideologica, nonché legati all’esperienza, alle pre-ferenze individuali o alle convinzioni politiche. Non si tratta dunque, se non raramente, di scelte in cui il calcolo economico gioca un ruolo esclusivo. Spes-so non sono neanche del tutto razionali, come pure qualcuno, in astratto, potrebbe essere indotto a ritenere.

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2. UNITÀ ECONOMICHE E AZIENDE

Nel sistema economico odierno svolgono attività economica diversi sog-getti: singoli individui, gruppi di persone, entità diversamente organizzate e complesse. Essi sono tutti unità economiche, dalle più semplici a quelle di più vaste dimensioni e di più varia composizione. In tutte ritroviamo compor-tamenti tesi a minimizzare l’uso delle risorse in vista del raggiungimento di dati risultati, o a massimizzare i risultati impiegando al meglio date risorse. In esse si consumano risorse (intendendo per tali, come s’è detto, beni mate-riali, servizi, intangibili), o si producono risorse, o, ancora, si trasferiscono ri-sorse ad altre unità, essendo forti e frequenti le relazioni e i legami tra loro intercorrenti. Consumi, produzioni e trasferimenti sono, appunto, momenti tipici dell’attività economica.

Se si vuole individuare l’azienda, oggetto centrale dell’Economia Azien-dale, bisogna riferirsi, tra quelle prima indicate, alle unità economiche costi-tuite da entità organizzate e complesse. Queste, mentre consentono di sod-disfare i bisogni di coloro che a vario titolo ne fanno parte o che comunque contribuiscono allo svolgimento della loro attività, hanno come obiettivo fondamentale quello di apprestare beni economici da cedere ad altri sogget-ti (anche interni), così che questi possano a loro volta soddisfare propri bi-sogni.

Ciò che ora sinteticamente si è detto, meglio sarà chiarito e sviluppato più avanti. Ma intanto è opportuno subito precisare che non è azienda ogni unità economica di questo tipo. È azienda l’unità economica provvi-sta di determinati caratteri, mancando i quali l’unità economica resta una non azienda.

3. CARATTERI DISTINTIVI DELL’AZIENDA

Secondo quanto prevalentemente oggi si ritiene, un’unità economica può considerarsi un’azienda, se possiede i seguenti caratteri:

a) coordinazione sistemica; b) economicità; c) autonomia.

A prima vista, sapere che una realtà osservata sia un’azienda o una sempli-ce unità economica potrebbe sembrare irrilevante; non lo è invece per l’azien-

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dalista. Difatti, occorre essere coscienti del fatto che soltanto alle aziende sono applicabili i principi, le regole e gli strumenti elaborati dalle discipline aziendali. L’adozione dei concetti e dei modelli dell’organizzazione e della ge-stione delle attività, l’implementazione dei sistemi di controllo e, in genere, dei sistemi informativi, sono soltanto alcuni esempi di principi e strumenti che sono preclusi alle non aziende.

Dalle argomentazioni appena sviluppate consegue la possibilità di confi-gurare un continuum tra le unità economiche più complesse e articolate: tra i due estremi – aziende e non aziende – trovano collocazione tutte le attività economiche, da quelle provviste di tutti i requisiti prima indicati fino a quel-le prive di qualcuno di essi o di tutti.

Infine, in merito ai suddetti caratteri si osserva che la dottrina più avve-duta li considera elementi di un nucleo centrale, composto per l’appunto dalla coordinazione sistemica, dall’economicità e dall’autonomia, tra loro stret-tamente collegati, che consentono all’azienda non solo di essere tale, ma an-che di conservare la condizione d’esistenza fondamentale ed essenziale, che è la durabilità, ovvero la continuità del suo funzionamento in prospettiva nel tempo. Intorno a tale nucleo, possono individuarsi altre caratteristiche e condizioni identificative, alcune, a ben vedere, implicite nel concetto stesso di attività economica

2. Ora si approfondisce meglio il significato attribuibile agli indicati caratteri.

2 Secondo Viganò, un’attività economica configura un’azienda se, unitamente alla coordi-nazione sistemica: «1. attua processi economici di acquisizione, di produzione, di scambio e di erogazione, misu-

rabili o meno monetariamente; 2. c’è gestione per operazioni e funzioni; 3. è composta di beni e persone. Si forma un patrimonio; 4. c’è coordinazione spazio-temporale (sistema); 5. si pone finalità mutevoli; 6. con la sua attività soddisfa automaticamente bisogni umani di natura economica; 7. è autonoma e duratura; 8. tende all’efficienza del suo funzionamento; si pone obiettivi che tende a conseguire; 9. vi è un’innata componente di rischio:

a) esterna (mercato, ambiente); b) interna;

10. vi è un soggetto economico, specifico e consapevole, in grado di incidere sul funzionamen-to e sulle finalità dell’azienda senza peraltro sovvertirne la forza di esistenza autonoma;

11. vi è una governance: a) diretta; b) in rapporto con la proprietà;

12. c’è una regolamentazione giuridica esplicita per il suo vestito; 13. rispetta regole di condotta (etica)».

E. VIGANÒ, Il concetto generale, pp. 635-636.

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a) Coordinazione sistemica

L’azienda è composta da un insieme di elementi interagenti e interdi-pendenti, vale a dire legati tra loro da relazioni e rapporti di dipendenza re-ciproca. In tal senso essa costituisce un sistema.

I due elementi fondamentali che compongono la struttura di un’azienda sono il lavoro e il patrimonio. Il primo s’identifica con il personale che vi opera, mentre il secondo con i beni necessari allo svolgimento delle attività. Può trattarsi di beni materiali, particolarmente presenti in aziende in cui si attuano produzioni tecniche, ma anche, e sempre più spesso, di risorse im-materiali, talvolta meglio definibili intangibili. Ci si riferisce a: modelli, for-mule, know how, software, diritti, ma anche a conoscenze e competenze spe-cifiche, a risorse legate all’informazione, alle relazioni sviluppate, a prassi e culture costruite nel tempo.

Posto preliminarmente ciò, si osserva che, nel momento in cui nasce un’azienda, la qualità e la quantità delle risorse apportate, monetarie o d’altra natura, sono il frutto di complesse decisioni, volte a individuare la combinazione più conveniente in rapporto all’ambiente e ai risultati che s’intendono ottenere. Tale condizione deve conservarsi per tutta la vita dell’azienda, giacché la scelta di ogni suo elemento o fattore non può mai essere casuale ma, viceversa, discendere da attente valutazioni che tengono conto della compatibilità di ciascuno di essi con tutti gli altri che partecipa-no alle vicende produttive, così che, in modo coordinato, assicurino la for-mazione di un insieme armonico, in grado di generare valore e utilità.

Tutto questo determina che gli elementi della struttura aziendale e, an-cora prima, le decisioni dalle quali promanano tali elementi, si trovino in stretta correlazione tra loro. L’azienda, in tal modo, assume l’immagine di una coordinazione sistemica che è, a ben vedere, una conseguenza della co-mune finalità verso cui tendono tutti gli elementi della combinazione, cioè della finalizzazione del sistema, che meglio sarà chiarita in seguito.

In effetti, la visione sistemica è prima di tutto un atteggiamento mentale di tutti quelli che a vario titolo e livello partecipano alla vita dell’azienda. Atteg-giamento che si forma lentamente, attraverso la formazione, la cultura e l’espe-rienza; ecco perché un’azienda, di qualsiasi tipo essa sia, risulta mal condotta se mancano le necessarie competenze.

Le decisioni e gli elementi strutturali del sistema aziendale consentono di attuare operazioni e processi, che vanno naturalmente creati anch’essi in maniera non casuale, ma tenendo conto dei legami che sussistono con ope-razioni e processi già in precedenza avviati e con quelli che si ha in animo di intraprendere in futuro. Anche in tal caso i legami che sussistono tra le ope-razioni aziendali derivano dal comune orientamento che le pervade.

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Infine, l’azienda è un sistema di tipo aperto. È inserita come ogni sistema in un ambiente, col quale costantemente interagisce: nel senso che dall’am-biente esterno provengono i suoi input, e a esso vanno i suoi output. Poiché l’ambiente è in continuo movimento, l’azienda è tenuta a essere molto di-namica e flessibile, adattando con frequenza e rapidità le proprie combina-zioni produttive alle mutazioni delle condizioni esterne.

All’azienda è sempre più chiesto, altresì, di porre le esigenze dei soggetti cui il suo output è destinato, e dell’ambiente in generale, al centro della sua attenzione e dei suoi comportamenti.

b) Economicità

È un carattere non semplice, e quindi non definibile facilmente, se non a rischio di darne un’idea approssimativa. Esso poi assume connotati differen-ti secondo il tipo di azienda, la natura della sua attività, il contesto in cui la stessa agisce. Comunque, come s’è detto, l’azienda è un sistema finalizzato. Ogni decisione, ogni comportamento deve trovare ispirazione in un orien-tamento generale di fondo che conduce verso un obiettivo generale, decli-nato volta per volta in obiettivi più immediati, per giunta da rettificare di continuo.

L’obiettivo di fondo perseguito dalle aziende di ogni specie è di operare in una stabile condizione di equilibrio.

È per questa ragione che il requisito dell’economicità risulta garantito, in primo luogo, quando si pone l’azienda in grado di funzionare nella condi-zione di equilibrio, economico finanziario e monetario

3. L’esistenza di tale condizione, però, non è valutabile se non con riferimento a un orizzonte temporale piuttosto lungo, poiché non avrebbe alcun senso che essa sia sol-tanto provvisoriamente raggiunta o comunque mantenuta per un limitato periodo. Si aggiunga che tale condizione, una volta acquisita, tende per sua natura a non conservarsi costante nel tempo, a causa del dinamismo sia

3 In capitoli successivi saranno approfonditi i temi dell’equilibrio economico e di quello fi-nanziario. A questo punto è sufficiente dire che la gestione aziendale può riguardarsi sotto due principali aspetti: economico e finanziario. Nel primo, essa risulta osservata con riguardo all’ef-fetto che le sue operazioni determinano sulla complessiva ricchezza aziendale, nel secondo con riguardo agli effetti che si hanno sull’andamento delle risorse finanziarie disponibili. Ciò pre-messo, l’equilibrio economico è assicurato se la gestione produce effetti positivi sulla complessi-va ricchezza aziendale; l’equilibrio finanziario si ha quando la naturale alternanza tra acquisi-zioni e impieghi di risorse finanziarie è tale da consentire all’azienda di essere sempre capace di fronteggiare i suoi impegni di pagamento. Se, nell’ambito delle risorse finanziarie, si osservano solo gli andamenti delle risorse liquide (liquidità immediate o pressoché tali) si evidenzia l’aspetto monetario della gestione, di cui può parimenti apprezzarsi l’equilibrio.

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dell’ambiente, sia dello stesso sistema aziendale. Essa è perciò destinata a essere continuamente compromessa da ostacoli, interferenze, fattori ed even-ti contrari, di origine sia esterna, sia interna. Si pensi, per esempio, quali conseguenze può avere per l’azienda l’ingresso nel mercato di un nuovo com-petitor ovvero il sopraggiungere nel consumatore di nuovi bisogni non anco-ra soddisfatti.

Ecco il motivo per cui si richiedono all’azienda scelte e comportamenti fondati su una convinta e persistente tensione verso la condizione di equili-brio, da attuarsi con tempestività così da poterlo ripristinare in tempi rapidi ogni volta che si mostri intaccato. In definitiva, una condotta, da parte dei re-sponsabili del governo aziendale, che voglia essere avveduta, richiede consa-pevolezza dell’incertezza, capacità di percepire per tempo i rischi sapendoli poi fronteggiare, competenza nell’individuare carenze e disfunzioni, volontà di assumere con rapidità e flessibilità decisioni conseguenti e appropriate.

Il principio di economicità comporta, poi, che l’azienda sappia attrarre le risorse che meglio siano compatibili con le proprie esigenze, assicurandose-le al massimo livello di convenienza economica; il che si ottiene se essa è in grado di stabilire con i fornitori delle risorse (beni e servizi) relazioni che ven-gono ritenute soddisfacenti, nel senso che chi fornisce tali risorse si ricono-sca adeguatamente remunerato. In questo modo l’azienda riesce a ricevere apporti di mezzi produttivi consoni ai propri modi di operare, e provvisti di elevata convenienza, in quanto a regolarità, qualità, tempi e condizioni.

Economicità significa altresì che l’azienda sappia utilizzare nel modo più vantaggioso possibile i mezzi produttivi di cui si procura la disponibilità, riuscendo a ottenere, con il loro impiego, il massimo risultato possibile (effi-cienza operativa).

Significa ancora che i processi produttivi aziendali, per il modo con cui sono selezionati, impostati e attuati, siano in grado di pervenire a risultati, ovvero output, che soddisfino al meglio, cioè al massimo livello possibile, le attese dei soggetti cui sono destinati (efficacia strategica). Sicché dai destina-tari essa si metta in condizione di ricevere il massimo consenso

4. In merito a quest’ultimo punto, tuttavia, c’è da osservare che la configu-

razione dei processi produttivi aziendali non è soltanto una conseguenza dei

4 I concetti di efficienza e di efficacia saranno anch’essi chiariti in capitoli successivi. Intanto, sinteticamente si ricorda che, per efficacia, s’intende la capacità di raggiungere gli obiettivi e, per efficienza, la capacità di minimizzare l’impiego di risorse nel raggiungimento degli obiettivi.

Se, dunque, per strategia s’intende la definizione degli obiettivi e degli indirizzi fondamen-tali dell’azienda, nonché le scelte e le politiche, atte a conseguirli, assunte dai massimi vertici aziendali, risulterà chiaro il significato di efficacia strategica, quale capacità di elaborare scelte strategiche idonee: cioè di saper fissare e centrare gli obiettivi aziendali.

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mutamenti intervenuti nell’ambiente e, in particolare, nelle esigenze dei soggetti destinatari degli output aziendali. Una simile accezione di efficacia strategica sottintende, a ben vedere, un rapporto dell’azienda con l’ambien-te esterno soltanto di tipo «reattivo», giacché considera i mutamenti in es-so avvenuti alla stregua di impulsi che, captati e poi selezionati alla luce delle risorse interne possedute, i responsabili aziendali recepiscono nella propria condotta, adeguando a essi i processi produttivi, nonché gli assetti struttura-li dell’intera azienda. Negli ultimi anni invece sono sempre più frequenti i casi di aziende che riescono a indirizzare l’ambiente verso i cambiamenti che sono loro più congeniali in relazione alle competenze e alle conoscenze di cui sono dotate, così che possano crearsi vantaggi rispetto ai concorrenti che ne siano invece sprovvisti. In tali casi, le aziende da reattive diventano proat-tive o anticipative e le condotte intraprese non sono più condizionate esclu-sivamente dall’ambiente.

In definitiva, da quanto sin qui, seppure brevemente, detto, si ritiene che sia emerso con chiarezza quanto sia complesso il concetto di economicità. Nel quale perciò sono da considerare rientranti: condizione di equilibrio (non provvisorio) considerato in tutti i suoi aspetti, adeguata remunerazio-ne dei fattori produttivi acquisiti, efficacia strategica in relazione agli obiet-tivi di risultato da raggiungere, efficienza operativa nell’uso delle risorse. Ciò implica che complessa è anche la valutazione che se ne riesce a dare; in ef-fetti, questa è fattibile solo se si utilizza un insieme articolato e differenziato di strumenti rilevatori, di natura, sia quantitativa, sia anche qualitativa, come sarà successivamente meglio esposto. Sin da ora, però, deve essere chiaro che la presenza di un’adeguata economicità nella gestione aziendale non può es-sere valutata limitandosi all’analisi dei risultati di bilancio o comunque dei soli dati economico-finanziari. Un risultato positivo, o una serie di risultati positivi, conseguiti a un certo momento o anche per un breve periodo di tem-po, non garantiscono l’esistenza di economicità. E ciò sia perché tali risultati assumono un significato solo parziale in relazione ai contenuti dell’econo-micità, sia perché sono indicatori il cui orizzonte temporale di riferimento si esaurisce nel breve termine.

c) Autonomia

L’autonomia rappresenta lo stato dell’azienda che agisce in vista del con-seguimento dei suoi obiettivi, in cui comportamenti e decisioni sono assunti in piena indipendenza e tenendo di mira l’esclusiva convenienza dell’azien-da stessa, senza essere in alcun modo assoggettati agli interessi o alle in-fluenze dei soggetti che la governano, o che a vario titolo vi operano.

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Naturalmente i comportamenti e le decisioni aziendali sono sempre il frut-to di volontà personali; di qui l’esigenza, specialmente avvertita nelle azien-de di certe dimensioni, di istituire, al proprio interno, meccanismi e proce-dure che, limitando azioni arbitrarie, impediscano l’adozione di condotte devianti.

Negli ultimi anni si sta insistendo in modo particolare sull’uomo quale vero motore dell’azienda; su come l’azienda ne possa rappresentare uno stru-mento per il raggiungimento di propri fini; su come gli obiettivi assunti dal-l’azienda debbano essere preliminarmente condivisi dai soggetti che vi ope-rano e poi trovare diffusione a ogni livello organizzativo. In tal modo si ga-rantisce quel processo di allineamento tra le finalità dell’azienda e quelle dei soggetti che vi partecipano e si creano i presupposti per assicurare a essa continuità nel tempo.

Quello dell’autonomia è un requisito che un’attività economica riesce a garantirsi con molta difficoltà: l’autonomia presuppone innanzitutto l’indi-pendenza economica; cioè evitando che la possibilità di continuare ad attuare gli ordinari processi produttivi sia sistematicamente subordinata al contributo di risorse fornite da terze economie.

È l’azienda che, con il suo operare, deve mostrarsi in grado di riavviare, via via che giungono a compimento, i suoi processi produttivi, grazie al ri-fluire delle risorse in precedenza investite. Gli interventi di sostegno da par-te di altre economie possono anche ammettersi, anzi sono spesso indispen-sabili, purché abbiano natura temporanea e non forniscano sistematici ag-giustamenti a gestioni generatrici di perdite, cioè distruttrici di ricchezza.

Dalle considerazioni testé presentate emerge come l’autonomia costitui-sca un carattere intimamente legato a quello dell’economicità. Un’azienda è autonoma quando riesce a operare in condizioni di economicità, e quando, conservando la capacità di decidere in maniera indipendente, può attuare ogni azione che favorisca, in ogni tempo, il mantenimento di tali condizioni.

Un’ultima annotazione concerne la relatività del concetto di autonomia. Come da più parti si osserva, nell’attuale fase dello sviluppo economico il

confine delle aziende spesso non può individuarsi in modo netto e certo. In effetti, il successo di un’azienda, mai come in questa epoca, si mostra spesso dipendente dalle relazioni che essa è in grado di istituire con altre aziende, e dalle quali inevitabilmente provengono poi condizionamenti. Si pensi alle molteplici forme d’intese e di alleanze fra aziende, grazie alle quali si riescono a scambiare risorse, know how, capacità e conoscenze. Da esse possono talvol-ta derivare, insieme a molti vantaggi, anche condizionamenti, se non veri e propri vincoli, nell’espletamento di alcune tipiche funzioni aziendali, come, per esempio, gli acquisti o la distribuzione dei prodotti.

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L’autonomia presenta connotati ancora più sfumati (quando non manca del tutto) se l’azienda fa parte di un gruppo, nel quale, com’è noto, a una pluralità di aziende giuridicamente distinte si accompagna di regola un go-verno accentrato presso la capogruppo (v. successivo capitolo, par. 4).

4. MISSIONE E CLASSI DI AZIENDE

È stato giustamente affermato che «l’azienda – quali che siano le finalità che la orientano, le attività svolte e le condizioni di contesto – deve inten-dersi sempre e comunque come un “fatto di produzione”»

5. La funzione di produzione – di beni e di servizi, ovvero, più in generale,

di utilità e di valore – è ciò che accomuna ogni tipo di azienda, qualunque sia la sua attività: dalla fabbrica di occhiali alla banca, dal supermercato al museo, dall’agenzia di pubblicità all’Azienda Sanitaria Locale. Indipenden-temente dalla forma giuridica assunta, dalle caratteristiche del mercato in cui opera, dal modello di governo adottato, ogni azienda si trova a fronteg-giare analoghi problemi strategici, operativi, organizzativi, di relazioni con il personale, e così via; e in modo simile si confronta con l’ambiente esterno, con le altre aziende, con i tanti altri soggetti esterni con cui entra in contatto o in relazione, e infine con l’incertezza e con i vari rischi.

La funzione di produzione può definirsi la sua missione. L’azienda è uno strumento per soddisfare bisogni umani, in quanto produce output utili a tale scopo. Ma nel contempo soddisfa i bisogni di chi ne è titolare, di chi vi lavora, di chi a essa apporta risorse e fattori produttivi.

I bisogni pertanto determinano e condizionano la funzione di produzio-ne delle aziende, ne influenzano modalità attuative e configurazioni. Ma può anche accadere, in determinate condizioni, che vi siano aziende che rie-scono a suscitare nuovi bisogni o a modificare quelli esistenti.

La funzione produttiva prevede tre momenti tipici, idealmente distin-guibili:

l’acquisizione all’esterno di ogni tipo di risorsa (finanziaria, umana, ma-teriale, intangibile) necessaria a impostare e intraprendere l’attività pro-duttiva;

il consumo delle risorse acquisite per eseguire e portare a termine i pro-

5 SOCIETÀ ITALIANA DEI DOCENTI DI RAGIONERIA E DI ECONOMIA AZIENDALE (SIDREA), Manifesto dei soci fondatori, in Appunti per un dibattito sulla cultura aziendale, p. 5. Documento pubblicato sul sito www.sidrea.it.

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cessi produttivi. Il consumo avviene attraverso il più conveniente utilizzo coordinato di tali risorse, attuando appunto le cosiddette combinazioni produttive, secondo le modalità più idonee in relazione all’output cui l’azienda è finalizzata;

la destinazione all’esterno di quanto ottenuto. Il che può avvenire me-diante scambio o erogazione: – lo scambio sottintende la presenza di mercati in cui i partecipanti dan-

no luogo a libere negoziazioni. Lo scambio, naturalmente, presuppo-ne un corrispettivo, generalmente monetario;

– l’erogazione è una cessione degli output in assenza di negoziazione, e potrebbe anche consistere, in certe aziende, in atti di pura liberalità.

Le classi di aziende

Se è vero che le aziende hanno tutte una medesima missione e affrontano quotidianamente problematiche generali assai simili, è altrettanto incontro-vertibile che le modalità attuative della funzione produttiva possono essere differenti, come di diverso tipo possono essere gli output generati. Ciò im-plica che a questo punto la presente esposizione, per svilupparsi in modo pro-ficuo, debba tener conto di tali specificità, passando quindi a distinguere dif-ferenti classi di aziende.

Un criterio utile e convincente per tracciare una tale classificazione, già adottato da altro autorevole autore

6, è quello secondo il quale le aziende vengono distinte in base alla modalità con la quale si rapportano al mercato e in considerazione della conseguente via di misurazione del valore creato at-traverso la propria attività produttiva. Al riguardo, è opportuno separare, da tutte le altre, quelle aziende (dette, come si vedrà, imprese) in cui è possibile apprezzare la creazione di valore utilizzando, da un lato, i valori di scambio che si determinano al momento dell’acquisizione delle risorse produttive e, dall’altro, i valori di scambio che si formano all’atto della cessione dei pro-dotti ottenuti. Ciò naturalmente si realizza quando gli scambi, attraverso i quali, da un lato si ottengono gli input e dall’altro si cedono gli output, av-vengono sul mercato, nel quale gli uni e gli altri ricevono una oggettiva misu-razione di valore. Nelle altre aziende, invece, l’apprezzamento della creazio-ne di valore è ben più difficile, poiché, in assenza totale o parziale di scambi di mercato, occorre fare riferimento ad altri parametri valutativi di natura quan-titativa e/o qualitativa, rinunciando a un indicatore sintetico qual è il prezzo di mercato.

6 E. CAVALIERI, Economia Aziendale, p. 126.

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► Economia Aziendale 12

In sintesi, le aziende possono così essere distinte:

– Imprese; – Aziende appartenenti a Cooperative; – Aziende appartenenti ad Associazioni e Fondazioni (dette talvolta, in sen-

so ampio, organizzazioni non profit); – Aziende appartenenti ad Amministrazioni pubbliche.

Si definiscono imprese quelle aziende che acquisiscono con liberi scam-bi di mercato (alle condizioni per loro più convenienti) le risorse produttive necessarie e cedono al mercato, sempre con liberi scambi e alle migliori con-dizioni possibili, il risultato delle loro produzioni. Le imprese operano in competizione sui mercati. In sostanza vivono di mercati e di concorrenza e ne affrontano i rischi. Ricercano altresì, attraverso l’attività, il profitto, cosic-ché possa determinarsi un’adeguata remunerazione per coloro che ne de-tengono la proprietà.

Talora, si afferma che il fine delle imprese è la massimizzazione del pro-fitto; tale affermazione va correttamente interpretata al fine di non cagiona-re fraintendimenti. Per utilizzare le parole di un autorevole studioso, l’obiet-tivo dell’impresa deve essere quello di «dominare in certi ambiti concor-renziali grazie ad un vantaggio competitivo difendibile, scaturente da com-petenze distintive soggette a un continuo rinnovarsi», svolgendo un ruolo «fondato non già su posizioni di privilegio o di rendita di varia natura, ma su una superiore capacità di soddisfare il cliente, che si costruisce avanzando su di un sentiero di apprendimento imprenditoriale fecondo»

7. Con ciò si vuol dire che l’impresa non può e non deve (pena la sua stessa sopravviven-za) ricercare a ogni costo la massimizzazione del profitto, magari penaliz-zando fornitori, dipendenti

8, e quanti altri forniscono il loro contributo al-l’attività da essa svolta; anzi, gli apporti di tutti questi soggetti sono da re-munerare in misura equa. Né l’impresa, per quanto riguarda le cessioni, può approfittare di eventuali condizioni di forza per imporre ai clienti prezzi su-periori al valore del prodotto offerto. Insomma, deve condividersi una visio-ne più «sociale» e «plurifinalistica» rispetto alla semplice massimizzazione del profitto, affermando che una condotta eticamente e socialmente respon-sabile non solo può portare nel lungo periodo alla migliore redditività pos-sibile, ma addirittura è condizione della stessa sopravvivenza dell’azienda come sistema sociale duraturo.

7 V. CODA, L’orientamento strategico di fondo, p. 201. 8 In una economia di mercato funzionante, un’azienda non può permettersi di remunerare

in misura non adeguata il personale, i fornitori, e così via, rispetto alle loro prestazioni, poiché costoro rivolgerebbero la propria offerta lavorativa ad altre aziende.

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All’interno della categoria delle imprese si possono, poi, individuare sva-riate tipologie.

Per esempio, secondo l’attività produttiva svolta si può distinguere tra imprese manifatturiere (che trasformano con la propria attività materiali di-versi in prodotto finito); commerciali (all’ingrosso o al dettaglio) che rendo-no disponibili in tempi e luoghi differenti un determinato bene senza svol-gere processi di trasformazione tecnica (se non, talvolta, in misura poco si-gnificativa); di servizi (trasporto, credito, assicurazione, informazione, pub-blicità, comunicazione, e via dicendo).

Le aziende appartenenti a cooperative si contraddistinguono per opera-

re, dal lato della domanda o dell’offerta (secondo il tipo), su mercati parti-colari e limitati, caratterizzati dal fatto che i fornitori di alcuni importanti fattori della produzione o i clienti destinatari dei prodotti ottenuti coincido-no con gli stessi proprietari. I soci della cooperativa, difatti, mentre sono ti-tolari di una quota del capitale, assumono, al contempo, la veste di:

– conferenti fattori specifici della produzione (materie e prestazioni di la-voro), nelle cooperative cosiddette di trasformazione e in quelle di lavoro;

– destinatari dei beni o servizi prodotti, nelle cooperative cosiddette di con-sumo.

S’intuisce quindi che nelle cooperative (che sono, come si è visto, di tre tipi) l’interesse alla remunerazione delle quote di capitale di proprietà ap-portato dai soci è del tutto secondario rispetto al bisogno economico che con l’appartenenza alla cooperativa i soci intendono soddisfare. Il quale con-siste nella maggiore remunerazione che i soci conferenti realizzano nel ce-dere beni e prestare servizi alla propria cooperativa, e nel risparmio di spesa che i destinatari dei prodotti o servizi ottengono nell’acquistare dalla pro-pria cooperativa. Nelle cooperative, quindi, gli acquisti o le vendite (secon-do il tipo) avvengono attraverso uno scambio mutualistico, a differenza del-le imprese che, come si è detto, attuano scambi nel libero mercato.

Naturalmente, quanto detto vale con riferimento alle cooperative pro-priamente intese, la cui attività è orientata, almeno in prevalenza, alla mu-tualità. Non vale viceversa per tutte quelle aziende che, pur denominate for-malmente cooperative, sono nei fatti imprese vere e proprie (vedi, per esem-pio, molte imprese cooperative della grande distribuzione, o molte banche di credito popolare) che operano sul mercato in piena competizione, dal la-to della domanda e dell’offerta, riservando ai soci cooperatori poche margi-nali facilitazioni, oltre che, naturalmente, la remunerazione del capitale con-

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ferito a titolo di proprietà. In tali «cooperative» prevale il fine di lucro, non certamente quello mutualistico

9. Il fatto che nelle cooperative propriamente intese, come si è precisato, il

valore di quanto si acquista o il valore di quanto si cede non si forma attra-verso un libero scambio di mercato, andrebbe sempre ricordato quando s’intende determinare la loro capacità di creare valore.

Infine, si osserva che il mantenimento in vita della cooperativa si giustifi-ca finché la sua attività apporta ai soci cooperatori benefici economici (ai quali si è accennato) superiori a quelli diversamente ottenibili.

Le aziende appartenenti ad associazioni e a fondazioni 10, invece, acqui-

siscono gratuitamente la disponibilità di alcuni fattori della produzione e/o cedono gratuitamente beni e servizi a talune categorie di utilizzatori. In ge-nerale, in questa categoria si possono comprendere tutte quelle aziende, spesso dette organizzazioni non profit (ONP) o del «terzo settore»

11, che pur producendo beni e servizi di rilevanza pubblica (quali la gestione di un museo pubblico, di un impianto sportivo o l’assistenza ai disabili di una cer-ta comunità territoriale) non appartengono alla pubblica amministrazione. Esse sono unità economiche private che beneficiano del volontariato, di ap-porti gratuiti (e comunque non derivanti da scambi di mercato) dei fattori della produzione, oppure dell’esistenza di un patrimonio gratuitamente conferito; e non cedono la produzione (beni, servizi, liberalità) a condizioni di mercato, proprio in quanto la loro azione è fondata sull’altruismo, sulla solidarietà, sulla produzione di socialità. Il fatto che tali aziende non perse-guono affatto il profitto, o non possono distribuire gli eventuali utili ai con-

9 Naturalmente non possono escludersi casi di cooperative, che potremmo definire di tipo «misto», ovvero che operano sia nell’ambito dei propri soci, sia sul mercato.

10 Le associazioni sono costituite da gruppi di persone che si riuniscono per soddisfare biso-gni condivisi di natura culturale, scientifica, religiosa, politica, sportiva o per la migliore difesa d’interessi e diritti comuni, ma senza scopo di lucro. I costi per il loro funzionamento sono ri-partiti tra gli associati. Le fondazioni si costituiscono per gestire un patrimonio lasciato da per-sone dette appunto «fondatori», che intendono con tale scelta permettere il perseguimento di un determinato obiettivo, che non sia il lucro. Può trattarsi dell’avanzamento della ricerca scientifica, della conservazione di beni artistici e d’interesse storico, di scopi sanitari e di utilità sociale, della promozione dello sviluppo economico, e così via. I costi per la loro attività sono sostenuti con i frutti del patrimonio conferito.

11 Per Terzo settore si intende quell’insieme di organismi (di natura privata) che si collocano tra lo Stato (e altre istituzioni pubbliche) e il Mercato, quali fonti di beni e servizi a destinazione pubblica o collettiva e che non operano a scopo di lucro. Nel suo ambito si trovano organismi dal-le forme più diverse. Le persone che ne fanno parte o che vi collaborano, con spirito puramente altruistico, tendono a individuare bisogni che non vengono soddisfatti (o, almeno, non adegua-tamente soddisfatti) né dall’azione pubblica, né dal mercato. Di qui la denominazione.

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ferenti il patrimonio sociale, ha spinto a definirle, come si è detto, non profit; si è giustamente notato peraltro che tale denominazione non deve indurre a ritenere che la gestione di queste organizzazioni non debba essere impron-tata a criteri di efficacia, efficienza e, più in generale, di economicità

12. Altri-menti non sarebbero più aziende.

Sebbene la frequente mancanza di scambi monetari renda problematica la determinazione del valore degli input consumati e degli output ceduti, re-sta fermo che anche per tali aziende la condizione di sopravvivenza è legata al fatto che il valore (l’utilità) dell’output ceduto (erogato e non scambiato, in questo caso) sia maggiore del valore degli input consumati (il cui approv-vigionamento, anch’esso, non è avvenuto a condizioni di mercato). Le fon-dazioni e le associazioni potranno sopravvivere nella misura in cui riescono a soddisfare i bisogni istituzionali cui sono finalizzate; occorre acquisire la consapevolezza che la possibilità di tali aziende di accedere alle risorse (finan-ziarie e non) è largamente condizionata dal livello di efficienza dei processi produttivi attuati e dal grado di efficacia dell’azione esplicata per il raggiungi-mento delle finalità istitutive. Anch’esse, insomma, devono saper creare utili-tà, valore.

Infine, si ricordano le aziende facenti parte dell’amministrazione pub-blica in generale. In tale ambito si comprendono unità economiche che ce-dono gratuitamente o a prezzi «politici» e, quindi, per nulla remuneratori i propri servizi alla collettività organizzata su un territorio. Può trattarsi di aziende appartenenti ad amministrazioni pubbliche centrali (per es., Mini-steri, Agenzia delle Entrate, ANAS), ad amministrazioni territoriali (per es., Regioni, Province, Comuni, Università, Organismi sanitari), a enti di previ-denza e assistenza (per es., INPS, INAIL). Lo Stato e le sue articolazioni ter-ritoriali sono tenuti a contemperare obiettivi di natura economica con altri di carattere politico e sociale della comunità di riferimento. Anche le pub-bliche amministrazioni, che spesso operano in condizioni di monopolio na-turale, non trovano nei valori di scambio la misura della loro economicità; la valutazione della qualità della loro performance deve essere pertanto ricerca-ta ricorrendo ad altri indicatori (per esempio, la misurazione del grado di soddisfazione degli utenti dei servizi), certamente assai meno semplici da ri-levare dei prezzi che si formano su mercati competitivi

13.

12 E. CAVALIERI, Economia Aziendale, p. 127. 13 Sul punto, v. R. MUSSARI, Amministrazioni pubbliche, cap. 3.

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5. L’AMBIENTE: DEFINIZIONE E STRUTTURA

Dopo aver detto delle aziende, occorre ora volgere lo sguardo all’am-biente, cioè al contesto nel quale esse si trovano e vivono. Pressoché una-nimemente, l’ambiente è definito come l’insieme delle condizioni e delle circostanze, di varia natura, nelle quali le aziende operano, e dei fenomeni e degli aspetti del mondo circostante, che si riflettono poi nei loro com-portamenti.

Il successo di un’azienda si misura solitamente in termini di sintonia con il contesto ambientale di cui fa parte. Contesto che, come si è già ricordato, è fortemente dinamico. Nel suo stato normale, l’azienda è orientata ad ade-guarsi alle evoluzioni e ai continui mutamenti dell’ambiente circostante, e dovrebbe essere pronta a recepirne le innovazioni e a coglierne le opportu-nità. Talvolta semplicemente l’azienda subisce i cambiamenti, altre volte può anche tentare di contrastarli o di influenzarli: naturalmente ciò dipende dalle dimensioni e dalle capacità di cui dispone.

Ma non si esclude che in certe fasi l’azienda possa resistere al condizio-namento delle variabili ambientali, ripiegando temporaneamente su se stes-sa per favorire il proprio assestamento, tentando altresì – se ne ha le possibi-lità – di avvicinare la conformazione di tali variabili alle proprie esigenze.

Nell’ambiente sono anzitutto individuabili una serie di sistemi (in realtà meglio definibili sottosistemi del macrosistema ambiente) con i quali più di-rettamente il sistema aziendale entra in relazione e dialoga. I sottosistemi ambientali a più diretto contatto con l’azienda sono rappresentati dai vari mercati presenti al suo esterno: mercato del lavoro, mercato dei capitali, mercato delle materie prime e dei servizi, mercato della tecnologia, mercati di sbocco.

Il sistema azienda e tali sottosistemi si trovano poi tutti inseriti nel ma-crosistema rappresentato dall’ambiente fisico, politico, sociale, culturale, le-gislativo, ed economico generale

14. Naturalmente l’azienda è immersa totalmente nell’ambiente, non è a es-

so estranea, anzi ne è parte. Nell’ambiente ritrova gli altri soggetti che in es-so esistono e operano: si pensi agli acquirenti, ai fornitori, agli investitori e ai finanziatori, ai prestatori di lavoro, agli organi d’informazione, alle autorità pubbliche, e via dicendo. Con essi intreccia relazioni e interloquisce, natu-ralmente a livelli e con modi differenziati.

Il sistema ambientale determina, indubbiamente, tutta una serie di con-

14 Un’analisi di questo tema si trova sviluppata in G. FERRERO, Impresa e management, cap. IV. Si rinvia altresì al contributo di F. RANALLI, Sistema ambientale, e agli autori ivi citati.

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dizionamenti sulla struttura e sul comportamento dell’azienda, riconducibi-li, come input che essa riceve, alle note due fondamentali tipologie delle «opportunità» e dei «vincoli» (questi ultimi, di legge e di fatto).

A sua volta, l’azienda genera output che immette nell’ambiente, non sol-tanto sotto forma di beni e servizi, o di erogazioni di liquidità, ma anche sot-to forma di comportamenti, la cui influenza non si limita ai soli mercati, ma si estende anche ai subambienti politici, sociali, culturali, fisici

15. L’interdipendenza impresa-ambiente viene, così, concepita in termini di

relazioni input-output tra sistemi (sistema impresa e sistema ambiente). Poiché è il rapporto che riesce a instaurare con l’ambiente a determinare

il grado di successo di un’azienda, specialmente di un’azienda-impresa, un primo importante passo per analizzare le prospettive di un affare d’impresa è costituito dall’esame del macrosistema ambientale, rappresentato essen-zialmente dal contesto socio-economico all’interno del quale essa agisce. Normalmente, tale contesto appare regolato da una serie di condizioni poli-tiche, legislative, sociali, culturali ed economiche, che producono, come s’è detto, vari vincoli e opportunità allo svolgimento dell’attività aziendale.

Approfondimento 1.1 L’analisi dell’ambiente

I fattori ambientali possono avere un impatto positivo o negativo sull’azienda e tra-

dursi, quindi, in opportunità o minacce, che vanno valutate parallelamente ai suoi punti di forza e di debolezza. È quanto si richiede allo strumento della SWOT analysis (Strength-Weakness-Opportunity-Threat, cioè: forza-debolezza-opportunità-minaccia) attraverso il quale si delineano quelle decisioni strategiche che consentono di massimizzare i punti di forza, di eliminare i punti di debolezza, sfruttare le opportunità e neutralizzare le minacce.

I fattori ambientali potrebbero, ad esempio, per un’impresa operante nel settore del turismo, essere distinti in quattro categorie:

1. fattori tecnologici (sviluppo di internet, innovazione tecnologica, sviluppo delle co-municazioni): essi potrebbero ridurre le barriere all’entrata e i costi di distribuzione, permettendo l’offerta di servizi più efficienti o veloci, o più personalizzati e differen-ziati rispetto alla concorrenza;

2. fattori politici (apertura dei mercati nell’Unione Europea, liberalizzazione e deregula-tion dell’industria aerea, terrorismo e conflitti in diversi Paesi del mondo considerati a rischio turistico, lotta per il controllo delle risorse energetiche mondiali): potrebbero, da

15 A tal riguardo, Ferrero ricorda «comportamenti» quali il «tipo e grado di “apertura socia-le”, varia sollecitudine ai problemi ecologici, maggiore o minore sensibilità ai problemi di “genera-le benessere”, di “pubblico interesse”, ecc.». G. FERRERO, Impresa e management, p. 128.

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un lato, accrescere la domanda turistica, dall’altro, scoraggiare i flussi verso specifiche destinazioni «a rischio»;

3. fattori socio-culturali (maggiore attenzione ai problemi ecologici-ambientali, crescita del numero degli utenti di internet, tendenza a dedicare maggior tempo ai viaggi, ma difficoltà a trovare il tempo per organizzarli e prenotarli, decremento del tasso di natali-tà e aumento delle aspettative di vita): possono determinare i comportamenti dei con-sumatori e quindi della domanda;

4. fattori economici (introduzione della moneta unica, maggiori costi di materie prime o di taluni servizi come le assicurazioni e le commissioni agli intermediari): possono in-durre l’impresa a ribaltare i maggiori oneri sulla clientela, a condizione che ciò non comprometta la posizione nei confronti dei concorrenti (competitività).

6. AMBIENTE E AZIENDA «RESPONSABILE»

Dalle cose fin qui dette, anche se talvolta in maniera necessariamente sintetica, risulterà chiaro che il rapporto con l’ambiente è alla base dell’an-damento e dei risultati di qualsiasi azienda. E che, quindi, un buon rapporto assicura all’azienda propizie condizioni per un’evoluzione positiva della sua esistenza, mentre, al contrario, a essa viene a mancare ogni prospettiva favo-revole di sviluppo quando il rapporto, per cause imputabili, o no, agli stessi responsabili aziendali, si deteriora. D’altra parte, il medesimo si constata per i singoli individui: è di comune osservazione, per esempio, che ha successo chi ha saputo ben contestualizzare i propri comportamenti, creare appro-priate relazioni, raccogliere vasto consenso; e questo, talvolta, anche indipen-dentemente dai meriti realmente posseduti. Nel caso dell’azienda, ciò me-glio si comprende, se dicendo dell’ambiente non si faccia semplice riferimen-to a un generico complesso di variabili esterne, ma si guardi invece al con-creto intreccio di interessi, aspettative, domande e bisogni provenienti da ben identificati soggetti che vivono nel mondo circostante e che gravitano intorno alla singola azienda.

Approfondimento 1.2 Una possibile classificazione dei comportamenti aziendali

Le relazioni azienda-ambiente non possono essere approfondite se non partendo da

definite ipotesi sulla funzione che l’azienda svolge come «parte integrante del suo stesso ambiente»: in questo senso, l’indagine può anche utilizzare categorie quali la flessibilità

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(o, al contrario, la rigidità) delle strutture aziendali e la variabilità (o, al contrario, la costan-za) del contesto ambientale di riferimento. Categorie che rimandano, rispettivamente, ai comportamenti adattivi (che rispondono ai mutamenti ambientali), e a quelli attivi (che, in qualche modo, anticipano i cambiamenti o, talora, li «guidano», anche grazie al pote-re che eventualmente l’azienda abbia saputo conquistare nel contesto in cui vive).

Ma, al di là di una generica loro distinzione, tuttavia, inquadrare i comportamenti dell’impresa verso l’ambiente in tipologie ben definite può essere, peraltro, arduo, a cau-sa della estrema variabilità degli stessi e della generale compresenza, nei concreti atteg-giamenti di cui si ha esperienza nella realtà, di intenti concreti riconducibili a entrambe le indicate categorie.

Concentrando il discorso sulle aziende che sono imprese, si può dire che

un’impresa virtuosa è quella che riesce a generare reddito, dopo essere stata in grado di remunerare adeguatamente tutti i soggetti che hanno arrecato contributi alla sua attività (apportatori di capitali, dirigenti, dipendenti, forni-tori, e così via) e dopo che abbia soddisfatto le attese dei vari altri interlocuto-ri economici e sociali (consumatori, istituzioni pubbliche, sindacati, comunità locali, e così via), di cui ricerca il consenso. Tutto un insieme di soggetti, quel-li ora indicati, comunemente definiti, come sappiamo, stakeholders

16. Si è già per altro notato, in un precedente paragrafo, che un’impresa che

si limitasse esclusivamente a conseguire il proprio profitto (nel rispetto na-turalmente delle norme di legge ed etiche generalmente accettate), convinta che solo questo sia il proprio unico obiettivo, non solo comprometterebbe prima o poi la sua redditività, e quindi la capacità di durare nel tempo, ma arrecherebbe svantaggi o danni anche a molti stakeholders. Difatti, rimar-rebbero del tutto a essa estranei i bisogni e le esigenze sociali ed etiche ma-nifestati dai soggetti esterni che vivono nel mondo circostante; bisogni ed esigenze, dei quali, in una tale visione egoistica, esclusivamente lo Stato do-vrebbe occuparsi.

Sennonché, oggi non sono più trascurabili domande e attese di natura sociale, etica e ambientale, che richiedono all’impresa comportamenti social-mente responsabili e quindi la necessità di porre, accanto al profitto, anche obiettivi connessi al benessere comune. Nasce dunque la cosiddetta Corpo-rate Social Responsibility (CSR).

Solo per fornire qualche esempio di condotte aventi finalità di benessere collettivo, si indicano le seguenti: a) nei confronti dei dipendenti: appresta-re ambienti di lavoro confortevoli, strutture per il tempo libero, facilitazioni

16 Si ricordi in proposito ciò che si è detto nel precedente paragrafo 3 in merito all’economicità.

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per gli alloggi, forme varie di tutela e di sostegno, formazione continua e non limitata soltanto alle esigenze delle funzioni produttive assegnate, even-tuali remunerazioni superiori ai minimi contrattuali, e così via; b) verso l’am-biente: impiego razionale dell’energia, riciclo degli scarti di lavorazione, at-tenzione alle emissioni verso l’esterno (compreso lo smaltimento dei rifiuti), preferenza dei trasporti su rotaia rispetto a quelli su gomma, e così via; c) verso i consumatori: un’impresa alimentare che garantisce l’uso di materie prime il più possibile naturali e non nocive alla salute, un produttore di gio-cattoli che s’impegna all’impiego di prodotti non pericolosi per la salute dei bambini; d) nei riguardi dei fornitori: assicurarsi che coloro da cui ci si ap-provvigiona non impieghino manodopera minorile o condizioni di lavoro inique; e) verso tutti gli stakeholders: fornire ampie e dettagliate informazio-ni su principi e condotte di ispirazione etica e sociale che si dichiara di per-seguire.

Invero, la nozione di CSR si è evoluta nel tempo, nel senso che è stata in-terpretata sempre più come un progressivo abbandono della concezione che di essa tradizionalmente si aveva, consistente semplicemente nell’affer-mare la separazione tra «affari» ed «etica». Partendo da un tempo in cui la Responsabilità Sociale era unicamente intesa come attività sostanzialmente filantropica, che si affiancava eventualmente alla normale attività d’impresa, si è passati a una concezione che vede nell’attenzione alle problematiche eti-che e sociali, e in generale alle attese e agli interessi – di ogni natura, quindi anche culturali, spirituali e ambientali – di tutti gli stakeholders, una precisa strategia. Strategia che soprattutto la grande impresa persegue allo scopo, in definitiva, di rafforzare nel lungo termine la propria posizione competitiva e la sua reputazione, attraendo così più larghi consensi, e, quindi, alla fine mi-gliorando i propri risultati. Infine, un’idea ancora più allargata vede oggi nel-la CSR un atteggiamento morale fortemente sentito dall’impresa, che coin-volge tutti i suoi processi e le principali funzioni, con l’obiettivo di affrontare le problematiche etiche, sociali e ambientali, a prescindere dai risultati in ter-mini di profitto, che ne potrebbero scaturire: semplicemente perché s’inten-de recare benefici alla società.

Lasciando da parte il dibattito teorico che si è acceso sul tema, che non è qui il luogo per approfondire

17, e pur convinti che una concezione forte-

17 Su questo tema si dispone ormai di un’ampia letteratura. Per fornire qualche indicazione, si ritiene utile segnalare due raccolte di contributi che affrontano i vari aspetti e le varie pro-blematiche suscitate dalla Responsabilità sociale d’impresa: R.E. FREEMAN, G. RUSCONI, M. DORIGATTI (a cura di), Stakeholder; A. ALFORD, G. RUSCONI, E. MONTI (a cura di), Responsabili-tà sociale.