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FORO ROMANO 5-6/2002 371 IL FATTO Avvocatura Romana Anno MMCCVII Allo scopo di valorizzare l’occasione del conferimento delle medaglie d’oro ai Colleghi che hanno raggiunto i 50 anni di immacolato esercizio professionale ed ai Capi degli Uffici Giudiziari che hanno lasciato il servizio nell’ultimo anno, sono state indette manifestazioni in due giorni – ve- nerdì 20 e sabato 21 dicembre 2002 – che sono state intito- late “Avvocatura Romana Anno MMCCVII” per enfatizzare la nostra qualificazione di essere l’Avvocatura più antica della civiltà giuridica occidentale: nell’anno 204 avanti Cristo fu infatti promulgata la Lex Cincia (o Lex Cinthia). Nella seconda giornata della manifestazione – impeccabil- mente organizzata da Goffredo Barbantini e Donatella Cerè – ai festeggiati Colleghi e Magistrati è stato rivolto il seguente discorso. Colendissimi Signori Giudici Costituzionali e Presidente emerito della Corte, Signor Vice Presidente del Consiglio Superiore della Ma- gistratura, Signor Sottosegretario, Collega nostro, Amico mio, Signor Presidente del Consiglio di Stato, Signori Presidenti della Corte di Appello e della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti, Colendissimi Amici Magistrati e caro e stimatissimo Ami- co Avvocato Generale dello Stato Plinio Sacchetto, che - gli uni e l’altro - per aver tanto bene operato avete raggiunto i vertici della carriera e siete oggi nostri graditissimi Ospiti, Carissimi Colleghi, Maestri nostri, che avete con onore svolto per 50 anni il ministero forense, ricevendo ieri sera la medaglia d’oro, nella solenne intimità della nostra Aula, Signori Familiari degli Onorati,

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IL FATTO

Avvocatura RomanaAnno MMCCVII

Allo scopo di valorizzare l’occasione del conferimentodelle medaglie d’oro ai Colleghi che hanno raggiunto i 50anni di immacolato esercizio professionale ed ai Capi degliUffici Giudiziari che hanno lasciato il servizio nell’ultimoanno, sono state indette manifestazioni in due giorni – ve-nerdì 20 e sabato 21 dicembre 2002 – che sono state intito-late “Avvocatura Romana Anno MMCCVII” per enfatizzare lanostra qualificazione di essere l’Avvocatura più antica dellaciviltà giuridica occidentale: nell’anno 204 avanti Cristo fuinfatti promulgata la Lex Cincia (o Lex Cinthia).

Nella seconda giornata della manifestazione – impeccabil-mente organizzata da Goffredo Barbantini e Donatella Cerè –ai festeggiati Colleghi e Magistrati è stato rivolto il seguentediscorso.

Colendissimi Signori Giudici Costituzionali e Presidenteemerito della Corte,

Signor Vice Presidente del Consiglio Superiore della Ma-gistratura, Signor Sottosegretario, Collega nostro, Amicomio, Signor Presidente del Consiglio di Stato,

Signori Presidenti della Corte di Appello e della SezioneGiurisdizionale della Corte dei Conti,

Colendissimi Amici Magistrati e caro e stimatissimo Ami-co Avvocato Generale dello Stato Plinio Sacchetto, che - gliuni e l’altro - per aver tanto bene operato avete raggiunto ivertici della carriera e siete oggi nostri graditissimi Ospiti,

Carissimi Colleghi, Maestri nostri, che avete con onoresvolto per 50 anni il ministero forense, ricevendo ieri sera lamedaglia d’oro, nella solenne intimità della nostra Aula,

Signori Familiari degli Onorati,

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IL FATTO

Chiarissimo Rappresentante del CNF,Colendissimi Professori, Maestri in rappresentanza delle

nostre gloriose Università romane,Avvocati e Magistrati romani, che tutti avete pieno titolo

per onorare i nostri “Seniores”, essendo anche Voi degnieredi della straordinaria tradizione culturale e professionalele cui origini affondano nel mito,

Amici in rappresentanza delle Associazioni Forensi che sistanno avvicinando con amicizia al Consiglio,

Giovani Colleghi, che assistete alla celebrazione dei meritidei nostri Grandi, comprendendo che i pregi dellaVostra giovinezza all’esordio professionale saranno più op-portunamente esaltati nella prossima luminosa primavera,benvenuti tutti a questa nostra manifestazione di amicizia,di considerata stima e di compiacimento non immodesto,ma da tutti pienamente meritato.

* * *Quale è il posto nel mondo dei nostri Avvocatie dei nostri Magistrati ?

Quando ancora potevo fare l’Avvocato e, particolar-mente, in un periodo giovanile allorché avevo la

fortuna di recarmi spesso in varie parti del mondo, osserva-vo, talvolta divertito, talaltra sbalordito, l’arretratezza cul-turale, il provincialismo etico-sociale di quegli altri ambientigiudiziari e forensi, pur appartenenti al mondo occidentaleo - comunque - a paesi cosiddetti civili.

In numerose altre occasioni già ho potuto segnalare mieesperienze a contatto con sistemi giuridici, giudiziari enegoziali, dalle connotazioni grottesche, ridicole: non riten-go di rinnovare qui, oggi, le mie invettive per quelle miserie,per tanta arretratezza.

Vi assicuro che le nostre due gloriose categorie professio-nali, oggi qui tanto degnamente rappresentate, sono davverole migliori del mondo. Ciò affermo con rigoroso senso di

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responsabilità e di misura.Anzitutto per senso del dovere - ed in attuazione della

giustizia distributiva e di quella retributiva cui siamo consa-crati - va riconosciuto, va conclamato che noi siamo all’avan-guardia etico-sociale e culturale nel nostro Paese, ma ancheoltre i nostri confini, dove non esistono le nostre punte didiamante del progresso giuridico, dove non sono statiancora raggiunti i traguardi della nostra avanzata civiltà:dove ancora esiste la pena di morte inflitta dallo stato (comein Cina), dove ancora si condanna un imputato senza unbriciolo di motivazione (come negli Stati Uniti), dove siapplica ancora il codice napoleonico (come in Belgio), dove ilgiudice istruttore che ha fatto incarcerare gli indagati faparte anch’egli del collegio del tribunale della libertà, dove sireclamizza tanto volgarmente la professione forense come inInghilterra, dove si leggono annunci economici di studi diprocuratori legali che vantano di essere i più bravi a “prepa-rare i testimoni” ……

Tale nostro primato viene appannato anzitutto dalla bene-detta attitudine ipercritica del nostro popolo, sempre prontoad illudersi che in altri paesi tutto sia migliore.

Certo è poi che il nostro stato contribuisce allo svilimentodella mirabile funzione difensiva, lasciandoci operare incondizioni avvilenti di asfissia nei locali giudiziari troppoaffollati, di demenziale attesa di 40 giorni per ottenere lacopia di una sentenza, di bieco soffocamento della nostravita per troppissime incombenze fiscalmente formali, di lottacontinua per ottenere ai cittadini nostri pupilli una giustiziain tempi meno biblici …… e via elencando.

Non meno sconfortanti sono le condizioni nelle quali ilMagistrato è costretto a svolgere una funzione che puredovrebbe essere considerata quasi sacrale.

E’ in tale devastante situazione che, pure, siamo riuscitia reclamare costantemente un progredire, di cui i principidel giusto processo sono soltanto una tappa pur importan-

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tissima, ma soltanto un traguardo, già superato nell’elabo-razione interpretativa e dalla febbrile speculazione su nuovie più avanzati principi.

E’ questo nostro mondo che oggi noi dobbiamo esaltare,avendo rifiutato la compagnia qui di personaggi pur impor-tantissimi, ma estranei alle nostre onorate categorie, perso-naggi che avrebbero cercato di fare qui una passerella,illuminandosi in questo evento che appartiene solo ai meri-tevoli.

Lex Cinthia

Di come noi Avvocati eravamo 2.207 anni fa - ed ancorprima - non possiamo dire molto in termini di certez-

ze: la funzione difensiva sfuma nel mito e se ne può soltantoimmaginare qualche iniziale connotato, inquadrandolanel mirabile sorgere dell’ordinamento giuridico, frutto del-l’originalissimo estro romano.

Altri oggi faranno qualche richiamo a quel periodo illumi-nato nel quale l’Avvocato doveva essere - ed era - vir bonuset dicendi peritus, proprio come deve essere - e come è - oggi.

Il futuro si costruisce guardando al passato.Nella locandina di questa manifestazione abbiamo per

vezzo menzionato la Lex Cynthia (ovvero, più filologicamente,ma meno eufonicamente: Cincia), legge promulgata nel 204avanti Cristo: è beffarda la constatazione che già allora ilcompenso dovuto dal cliente al patrono era per leggeinesigibile. Il cliente poteva tutt’al più “onorarsi” di sdebi-tarsi in qualche modo per il beneficio ricevuto da chi nonaveva diritto di pretendere alcunché.

Ora il nostro sistema tariffario, attualmente arretrato di oltre8 anni, è inflazionato di controlli, pareri obbligatori e calmieri,venendo le nuove tariffe proposte colpite da tanti ostacoli, postida varie leggi, tanto da far considerare più liberalizzata lavendita del pane del cui calmiere tutti sono a conoscenza.

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Da tanto livore nei nostri confronti noi siamo duramentecolpiti, ma andiamo orgogliosi del nostro coraggio di dire e dellanostra voglia di fare che da sempre fanno ombra al potere.

L’intollerante Napoleone avrebbe voluto tagliare la linguaagli Avvocati, all’Avvocato Cicerone tagliarono la testa, inmolti paesi del terzo mondo nostri Colleghi vengono perse-guitati, da noi ci rendono la vita penosa, colpendoci in ognimodo, perfino nei sacrosanti compensi.

Il ruolo dell’Avvocatura romana in Italia

Il Consiglio dell’Ordine attuale è un governo che piaceagli Avvocati romani: saremmo ciechi se non ce ne

fossimo accorti.Tanto evidente consenso è frutto soltanto della determina-

zione di riacquistare il prestigio che è l’unico capitale delsingolo Avvocato, così come dell’intero Ordine.

Le vicende che avevano portato al commissariamentodell’istituzione avevano attirato una luce negativa, ma già datanti anni l’attività consiliare in tutti gli Ordini forensi sitrascinava stancamente, senza offrire resistenza all’inva-denza di altre categorie, che fossero i periti di infortunisticastradale, così come i consulenti del lavoro, i commercialisti,i notai, le aziende straniere di consulenza ed assistenzastragiudiziale, che hanno colonizzato perfino il settore delleprivatizzazioni e delle dismissioni di patrimoni pubblici.

A fronte di tanto colossale, variegata rapina a danno dellacategoria forense registriamo da anni anche l’inserimentonel campo dell’assistenza legale stragiudiziale di sindacati,di patronati e da ultimo di alcune sedicenti organizzazioni dipretesa tutela di consumatori, in realtà spesso niente di piùdi aziendine familiari, dalle quali vengono tenuti lontani gliaspiranti soci, per tenere appunto l’affare in famiglia.

Grandi organizzazioni pubbliche e private, erogatrici diservizi pubblici, banche, istituti assicuratori, enti locali

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accettano però con entusiasmo simili “tutori” dei consuma-tori, agevolandone l’intervento, a danno di una vera, espertaassistenza legale professionale, perché a tali giganti dell’eco-nomia fa comodo trattare con sprovveduti, sedicenti sceriffi,che, per di più non sono controllati spietatamente da severeistituzioni forensi, ne’ da norme deontologiche sulla corret-tezza ed il conflitto di interessi.

Ma cosa hanno fatto proprio le istituzioni forensi - oltre adessere severe con i propri iscritti - dinanzi a tanto micidiale,corrosivo assedio . ?

Negli ultimi decenni le istituzioni forensi, anziché rivendi-care il primato dell’Avvocatura quasi ovunque trascuravanoaddirittura di coltivare l’orticello.

In molti Consigli di Ordini i componenti, anziché impegnarsiossessivamente - a favore dei cittadini e di tutti noi - acombattere il male di tanti surrogati dell’avvocatura, si limita-vano a fare gli avvocati, contenti del pennacchio di consiglieri.

E’ occorso allora un nostro impegno spasmodico, eccezio-nale, mentre - comunque - la nostra attività istituzionale“normale” è già di per sé ingigantita, sia per il lievitare di tuttele funzioni consiliari in dipendenza del costante aumento delnumero degli iscritti, sia per l’attribuzione legale di numero-si e gravosi nuovi compiti, quali l’organizzazione delle difesedi ufficio, l’ammissione al patrocinio a spese dello stato deinon abbienti, la pareristica nuova in tema di prestazionidifensive per i non abbienti: soltanto per le prestazionidifensive in campo penale per i non abbienti quest’annoabbiamo già emesso oltre 10.300 motivate delibere consiliarisulle note specifiche di onorati sottoposteci.

Di fronte agli importantissimi, quanto gravosi, nuovi ruoli,così attribuiti dalle leggi alle istituzioni forensi, ci sarebbe daschernire i malevoli che 2 e 3 anni fa fantasticavano disopprimere gli Ordini forensi.

L’impegno più appassionato è stato però dedicato daquesto Consiglio dell’Ordine forense romano, che da meno di

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due anni governa l’eletta schiera, all’affermazione di unnuovo rinascimento, alla conquista doverosa di una inevita-bile leadership tra le 165 istituzioni forensi meno grandi, conimpegno ossessivo a favore di tutta la categoria.

Tra le tante iniziative concrete merita menzione il succes-so nella resistenza al progetto di legge “Marzano-Valducci”,mirante a far abbandonare centinaia di migliaia di danneg-giati alla mercè degli istituti assicuratori, privandoli dell’as-sistenza legale nella fase stragiudiziale e privando cosìanche i legali di un grande settore di onesta attività chefinora aveva dato filo da torcere alle controparti. Non èpossibile delineare le enormi dimensioni di questa vittoria,che ha conservato ai cittadini il sacrosanto diritto all’assi-stenza legale e ad una rilevante percentuale di professio-nisti forensi l’onesto pane quotidiano.

Tale successo, ovviamente, giova non soltanto agli Avvo-cati romani, ma anche a quelli di ogni altro foro.

Potremmo analogamente vantare numerose altre iniziativedi ferma tutela dei cittadini e della categoria ma, per il limite ditempo che mi sono imposto, quale paradigma del nostroimpegno spasmodico dovrà bastare l’esempio di quel successo.

Non ci si è sottratti a scontri anche all’interno dellacategoria: non abbiamo esitato ad abbandonare l’Organi-smo Unitario dell’Avvocatura alla sua decadenza, dopoaverne constatato la verbosa inadeguatezza a rappresentarela categoria; gli attivisti forensi interessati a quell’Organi-smo Unitario ci hanno rivolto qualche contumelia, ma unamaggioranza “bulgara” di Colleghi romani ci ha confortatonella nostra scelta.

Altri contrasti sono sorti con il Consiglio Nazionale Forense,non volendo noi accettare che quell’organo giurisdizionalepretendesse pure di rappresentare la categoria (pretesaimbarazzantemente velleitaria per un organo giurisdizionale,organo che ha poche e precise attribuzioni legali, tra le qualinon vi è certo la rappresentanza della nostra categoria).

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Analogamente non abbiamo esitato a rifiutare di racco-gliere coattivamente per il Consiglio Nazionale Forense ilcontributo capitario annuo di 50.000 lire da ciascuno dellemigliaia di Colleghi romani, contributo preteso in forza diuna remota disposizione legale precedente e contrastantecon il sopravvenuto principio costituzionale in materia.

Anche per tale fermezza ci siamo attirate sorde polemichee minacce di azioni nei confronti dei nostri iscritti per lamancata nostra esazione di quel contributo. Pur umana-mente dispiaciuti per tale contrasto, non ci siamo piegati esiamo pronti a reagire con durezza se i nostri iscritti venis-sero attaccati. Peraltro, pur nella convinzione di essere nelgiusto, ci auguriamo sinceramente che si trovi una compo-sizione della controversia, che sia onorevole per il CNF e perl’Avvocatura romana.

Abbiamo tenuto alta la testa anche quando altri inaccet-tabili attacchi ci sono stati rivolti da qualche personaggio che- pur in alta posizione - avrebbe fatto meglio a non sentirsioffeso nella propria vanagloria da critiche sacrosanteall’operato ministeriale, oppure da critiche sacrosante al-l’inefficienza organizzativa giudiziaria.

La straordinaria attività del Consiglio in questi indimen-ticabili 22 mesi (appena) non è stata limitata a ricostituire ilprestigio, unico nostro capitale nella società, ma abbiamoanche costruito nei cuori un forte senso di appartenenza,inventando una enorme attività culturale, alla ricerca deisaperi di fronte al nulla che avanza.

Per tanto perseguire, abbiamo applicato ben sei Consiglierialle attività culturali ed a quelle sociali, che ci vengono da tuttiinvidiate e che spaziano dalle “sfrenate” iniziativeconvegnistiche e di ricerca scientifica del Centro Studi, allaformazione degli aspiranti Avvocati svolta superbamentedalla Scuola Forense Romana “Vittorio Emanuele Orlando”,dalla nostra gloriosa rivista “Temi Romana”, al Notiziario(pubblicazioni che nella nuova veste contenutistica e grafica

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ci dicono essere tanto apprezzati), dai corsi speciali perdifensori di ufficio, per curatori fallimentari, sul diritto minorile,alle attività culturali più classiche (quanto estrose: dall’artedrammatica alla concertistica, alle frequenti visite culturali)dagli intrattenimenti giovanili collettivi, alle frequenti spedi-zioni all’estero e, last but not least, una appassionante quantofortunata attività sportiva (dalla vittoria a Malta alcampionato mondiale di calcio per avvocati, prevalendo su 54squadre (contro giapponesi, argentini, tedeschi, olandesi,spagnoli: ero terrificato dalla loro bravura ma abbiamo vintonoi), alla vittoria alla corsa campestre, alle gare di vela di cuisono in corso le selezioni (con magistrati, notai, avvocati dialtri fori: abbiamo vinto noi).

Tanto noi facciamo, amministrando un numero di per-sone attivissime più che doppio di quello degli amministratidal CSM, solo che noi non abbiamo autisti, ne’ autovetturecon i lampeggiatori, ne’ palazzi, né tanti dipendenti.

La nostra attività è amatoriale e per questo tanto appas-sionata.

Il ruolo dell’Avvocatura romana all’estero

Abbiamo abbandonato gli schemi della distratta partecipazione a tante associazioni forensi internazionali,

che sono una scialba proiezione delle ben più vive associa-zioni forensi italiane: abbiamo assunto un ruolo di primis-simo piano nella costituzione dell’Ordine forense internazio-nale, guadagnandoci tale preminenza con il nostro fermoattacco al monopolio canadese delle migliaia di benremunerate difese di ufficio dinanzi ai Tribunali penaliinternazionali; abbiamo sostenuto le nostre ferme, osereidire magistrali, contestazioni affermando il nostro modelloistituzionale e professionale a Parigi, a L’Aja, Montreal,infliggendo il colpo di grazia al monopolio altrui lo scorsoluglio alla conclusione dei lavori della conferenza preparato-

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ria della Corte Penale Internazionale a New York e, pochigiorni dopo, alla conferenza intergovernativa di Roma.

Fra tre mesi sarà finalmente costituito l’Ordine forenseinternazionale con un nostro decisivo ruolo.

Insomma, non possiamo non compiacerci per quantoabbiamo ottenuto in termini di rispetto per l’Avvocaturaromana e di considerazione per il nostro modello istituziona-le e professionale, contro la colonizzazione nordamericanacui nessuno finora si era opposto.

In aggiunta a tali risultati va severamente ribadito che ètramontato il tempo del festaiolo turismo forense: non sideve andare più all’estero occasionalmente, per fare unagita a spese dei nostri Colleghi, senza neppure degnarsi disvolgere una relazione.

Lasciamo perdere, …… tanto le migliaia di Colleghi roma-ni non danno ascolto agli ormai pochissimi che rimpiangonoquelle gite.

Ancora in tema internazionale e fuori delle appartenenzealle dette inutili associazioni internazionali, possiamo citarela nostra entrata in gioco nella penetrazione cultural-giuri-dica nel mondo giuridico cinese, ove è stato adottato ilmodello civilistico italiano.

Ci hanno anche cercato per collaborare alla formazione diun nuovo corpo di giuristi nel distrutto Afghanistan, percooperare a far rifiorire la civiltà tra le macerie.

Ognuna di tali nostre attività meriterebbe una conferenza,ma valgano i cenni che ho fatto per far cogliere la possenteportata del nuovo interesse dell’Avvocatura romana in cam-po internazionale.

Le tante, recenti affermazioni dell’Avvocatura romanacostituiscono il serto di alloro che offriamo ai nostri“Senioners”, ai quali ieri pomeriggio e questa mattina rico-nosciamo il ruolo di nostri Maestri di cultura e di vita.

Oggi consegneremo le medaglie d’oro all’Avvocato Genera-le dello Stato ed ai Magistrati che hanno lasciato i vertici

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degli Uffici Giudiziari: li chiameremo per nome tra poco.Adesso è doveroso l’omaggio ai nostri Avvocati con 50 anni

di immacolato esercizio professionale: Ve ne leggo i nomi conemozione; in due casi l’emozione cede alla commozionetrattandosi di due Amici scomparsi pochi giorni fa, quasi allastessa ora.

Sono Paolo Agostinelli e Francesco Ciccotti, ne abbrac-ciamo i Familiari con devozione ed affetto.

Gli altri 41 Colleghi, che per 50 anni hanno subìto lafascinazione della consacrazione forense, sono:

Avv Franco Agostini, Avv Massimo Antinucci, Avv Alessan-dro Bazzani, Avv Sergio Belardini, Avv Mario BevigliaZampetti, Avv Francesco Caffarelli, Avv Sebastiano Calafiore,Avv Antonio Cauti, Avv Enrico Cesareo, Avv VincenzoColacino, Avv Otello Colapietro, Avv Lucio De Angelis, AvvNicola Maria De Angelis, Avv Francesco De Leva, Avv AndreaMattia De Marsanich, Avv Albero Dente, Avv Dario Di Gravio,Avv Giuseppe Frataccia, Avv Lorenzo Frattarolo, Avv UgoGenovese, Avv Agostino Guidone, Avv Aurelio Improta, AvvDante Martinelli, Avv Alessandro Mazzoni, Avv Mauro Mellini,Avv Antonio Montanaro, Avv Alberto Noé, Avv Aldo Pannain,Avv Maurizio Paoli, Avv Ennio Parrelli, Avv Attilio Pesaturo,Avv Enrico Primavera, Avv Renato Recca, Avv GiuseppeRizzacasa, Avv Mario Russo, Avv Aldo Sabelli, Avv GiuseppeSchillaci, Avv Vittorio Spinazzola, Avv Nicolino Stella, AvvGastone Tommassini, Avv Guido Varano.

* * *Amici carissimi, nell’augurarci di essere degni di Voi, il

Consiglio Vi ringrazia e Vi augura buon Natale.

f b

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APPENDICEDiscorsi, discorsi

di Ennio Parrelli del 21.12.2002 (pag. 382)di Giovanni Paleologo del 21.12.2002 (pag. 388)di Federico Bucci del 18.01.2003 (pag. 399)

Risparmiandoci il discorso reso dal nostro Presidentenell’Aula Avvocati del Palazzo di Giustizia il pomeriggio del20 dicembre 2002, in occasione del conferimento dellemedaglie d’oro ai Colleghi che avevano esercitato lodevol-mente la professione forense per 50 anni, merita segnalarela brillante allocuzione rivolta – a nome degli emozionatinostri Seniores – dal Collega Mauro Mellini, che non ne haredatto il testo.

* * *Per i nostri giovani Colleghi ho svolto un efficace interven-

to Simona Simeoni.* * *

L’indomani - sabato 21 dicembre - ha reso il suo interven-to un altro “medagliato”, nostro ex Consigliere Segretario, ilquale ha tratto le mosse dalla lex Cincia, alla quale eranointitolate le celebrazioni dei Colleghi nostri Maestri.

Ecco il testo appassionato, appassionante e dotto deldiscorso di Ennio Parrelli.

Gentili Signore, Signori, Autorità, Magistrati, Avvocatidello Stato e Colleghi del libero Foro, da ultimi, ma più

vicini al tema che mi è stato proposto e soprattutto dal miocuore.

Lo spunto per questo intervento mi è stato offerto con laLex Cincia che, come noto, non è riferibile al passeraceovariopinto di egual nome. E subito mi sono chiesto quale sia

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la specialità della legge e come possa oggi ricollegarsi agliavvocati e, in specie, agli avvocati che hanno concluso uncosì lungo arco di tempo professionale.

Vediamo un po’. È noto che la proposta legislativa risale al204 a.C. e propugnatore ne fu il Tribuno Marco CincioAliménto, debitamente sostenuto da Fabio Massimo (ilCunctàtor).

La normativa era diretta a regolamentare le donazioni e fuformulata non come divieto di donare, ma di ricevere dona-zioni oltre un certo importo.

Nel tempo la ragione fondante divenne la necessità dicontrastare gli eccessi di arricchimento di un soggetto aidanni di altri soggetti a lui estranei.

Sempre nel tempo, fu allargato il novero delle eccezioni aldivieto fino a diventare illimitato tanto da relegare la leggeCincia nella parte più nebulosa della storia, dalla quale oggi,e in questa sede, riemerge quale erudito divertissementsérieux. Vien da dire con Eschilo nel Prometeo “il tempo,quel vecchio perenne, insegna di tutto alla fine”.

Già, ma occorre anche dire che la legge era fin dall’originecatalogata tra le imperfette poiché il divieto delle donazioninon era sorretto da alcuna sanzione, salvo la facoltà dirivolgersi al Pretore e, quindi, di percorrere l’iter giudiziario.Ahinoi, sappiamo da sempre le lungaggini e gli incerti esitidelle liti congiunti alle stelle nel loro destino, se perfinoEsiodo se ne duole nelle “Opere e giorni”.

Non sarà che questo destino, direbbero i nostri detrattori,dalla nascita all’oblio della legge, trae cagione anche dal fattoche il divieto di ricevere donazioni si estese subito aicompensi degli avvocati per i quali si approdò perfino asostenere che le loro prestazioni on dovessero essere retri-buite, e da Augusto fino a… Nerone trovò sostenitori auto-revoli e potenti, alla fine, inani.

Ma prendiamola in positivo. Saltiamo, quindi, a Sant’Ivonenostro protettore e arcinoto per il suo “Advocatus et non latro

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res mirando populo” per approdare, con un salto necessitatodi limiti obiettivi di questo intervento, a Sant’Alfonso deLiguori che formulò, tra l’altro, per l’avvocato “le dodiciregole morali”nel suo aureo libretto “Degli obblighi de’giudici, avvocati, accusatori e rei”. Perché, come è ovvio ecome sappiamo in specie al tempo odierno, ci siamo tuttinella macchina giudiziaria e nei suoi guai.

Delle dodici regole morali la conclusiva riassume i fonda-mentali requisiti per un avvocato, validi ancora oggi, e liindica nella scienza, nella diligenza, nella verità, nellafedeltà e nella giustizia.

Non so se ci par poco! È, comunque, l’approdo al quale siperviene e si ancora tutt’oggi il buon esercizio della profes-sione forense, che a partire dall’antica memoria di Cincio épassato attraverso alterne vicende sempre più attivando ilsenso di responsabilità dell’avvocato verso se stesso, versoi colleghi, verso la giustizia e verso la società.

Sembra giusto ed equo rammentare che i nostri Consiglidell’Ordine hanno recepita ed estesa la vigilanza sull’esercizioprofessionale perché sia probo. E volentieri si dà atto che, inparticolare, il nostro Consiglio dell’Ordine è tra i più solleciti.

Non vorremmo passare sotto silenzio che il potere diautogoverno, particolarmente quello disciplinare, costitui-sce l’irrinunciabile presidio di cosa, incapace non solo didifendere l’altrui libertà, quanto la propria stessa che garan-tisce l’altrui. Se così non fosse, per la libertà dell’avvocatoavremmo un vulnus che, sia pure per diversi, ma paragonabilifini il Pagano ammoniva che “Né solo col fatto ma collapotenza eziandio, ancora che non si arrechi violenza alcuna,offendesi la libertà. La sua delicatezza si è pur tale e tanta,che ogni ombra l’offusca, ogni più lieve fiato l’aduggia”.

Come avvocati abbiamo la consapevolezza che partecipia-mo in ogni controversia ad una “contesa” nella quale non èmai facile separare la passione dalle ragioni. Ma noi dobbia-mo ricordare che la “Contesa” era una divinità che Esiodo

IL FATTO

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definisce “dal cuore violento… - e – odiosa…”, per ricercaree dipanare, con paziente onestà, il filo sincero che in ogni lite,attraverso le opposte ragioni, ci può condurre a prevenirla oquanto meno a scioglierne i nodi nel modo più possibilesereno.

Ed è nella lite che, in ruoli diversi, avvocati (sia dello Statoche del libero Foro) e magistrati concorrono ad attuare lalegge statuale che nel diritto in generale è il momento piùrilevante e cogente. Concorrono (se l’immagine mutuata daHegel, non appare azzardata) a realizzare il diritto quandoquesto rappresenta “l’ingresso di Dio nel mondo”.

La letteratura, maggiore e minore, con la storia è ridondan-te di invettive ed elogi anche per i magistrati. E, per accomu-narli agli avvocati anche nella citazione, potremo ricordareancora una volta Esiodo che inveisce contro le decisioniemesse da “giudici, divoratori di doni” per esortarli a dimen-ticare “per sempre le vostre (le loro” inique sentenze”.

E dunque, tante ombre per tutti noi, ma anche tanta luce;quella che accompagna le innumerevoli severe coscienzenelle quali si rispecchia il retto sentire in una con l’onestooperare, con la consapevolezza che l’adempimento del pro-prio dovere è sempre disadorno.

Quanti magistrati ho incontrato e quanti così ne ricordo.In alcuni casi sentii il dovere di scrivere ai giudicanti lodandola correttezza della loro decisione. Erano, peraltro, decisionisfavorevoli al mio cliente e rese da giudici di ben lontanidistretti e nei quali solo occasionalmente mi ritrovai adoperare. Ne ebbi sempre una risposta commossa e grata e,sia detto con rammarico, con loro non ho più avuto occasioned’incontro.

Anche ricordo, quando – recandomi in udienza, semprecon una certa trepidazione – sapevo che andavo ad appren-dere da quella che era la nostra palestra sperimentale.

Lo so, erano altri tempi, quando con l’abiurato vecchiocodice di procedura, dalla notifica della citazione al deposito

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della sentenza potevano passare persino dieci, dico…anni?,ma no, dieci mesi! Allora, però, i giudici avevano mediamen-te un carico sul ruolo di 500 cause!!

Alla fine di cinquanta anni di esercizio professionale debboammettere di dovere tanto, e tanto assai, alla mia attività diavvocato durante la quale ho certamente più appreso e presoche dato. Se dovessi riassumere il mio maggiore apprendi-mento direi, parafrasando Miguel de Unamuno, che l’attivitàdell’avvocato non ha certezze né riposo, ma può essere vissutain modo appassionantemente buono.

Non so quale debba essere attualmente l’approccio miglio-re, ma so quello che si riteneva per buono e che mi fuconsegnato e che ho cercato di praticare. Intendo riferirmi alprimo e fondamentale approccio, a quello cioè con il clienteil quale non è mai una pecora da tosare né può essereriguardato come semplice contribuente al raggiungimentodei nostri bilanci economici.

Egli è una persona che viene a confidarci un suo bisogno,una sua necessità che quasi sempre è umana ancor primache materiale.

So per esperienza che i compensi verranno e saranno datie ricevuti con consensuale soddisfazione se tra professioni-sta e cliente si sarà creato un comune sentire, solidale e dicorrettezza.

Non sarei sincero se non iscrivessi, in una sorta disintetico ricordo complessivo, il riconoscimento che la miavita di avvocato è stata anche pubblicamente piena. Edinfatti, ho svolto l’attività per l’allora Sindacato Avvocati (oraAssociazione Forense Italiana) in posizione esponenziale;sono stato tra i fondatori dell’O.U.A. – Organismo UnitarioAvvocati – di cui ho presieduto l’Assemblea permanentenazionale; sono stato delegato alla Cassa di Previdenza; sonostato Consigliere e Segretario del nostro Consiglio dell’Ordi-ne. In questo ultimo incarico, che specialmente ricordo, hopotuto approfondire la conoscenza dell’Ordine nel suo insie-

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me e i tanti casi dei singoli Colleghi; ho affinato la miasensibilità deontologica e ho avuto la fortuna di lavorare contanti bravi Colleghi, che nell’insieme calorosamente abbrac-cio. Senza voler far torto a chi non menziono, ricordo inparticolare Pietro d’Amelio, con il suo lucido e severo equi-librio, e Franco Coppi, maestro penalista al quale pubblica-mente confessavo di rimanere affascinato dal suo ragionaree dalle sue esposizioni, tanto che mi prendeva i desiderio diassistere a qualche sua lezione universitaria. Non possodimenticare, infine, l’amico Giovanni Cipollone che, talvoltaappare ingenuo solo perché è, appunto, libero e ha saputoconservare la freschezza del fanciullo nell’esserecompiutamente uomo.

Nello scorcio degli ultimi anni ho avuto anche la venturadi essere deputato della XIII legislatura, dove ritengo di averportato, sempre e con orgoglio, la mia testimonianza diavvocato.

Debbo, infine, dire che l’umiltà di essere disposti all’ascol-to per apprendere è una delle qualità essenziali che sirichiede all’avvocato, e che la vita a me ha insegnato, talvoltaaspramente quando ne ero dimentico.

Debbo pertanto ritenere che ai requisiti richiesti da Alfonsode Liguori sia opportuno aggiungere la riflessione di Jungerperché “è d’uopo distinguere fra il sapere qualcosa sempli-cemente e l’esserne persuasi”.

In modo particolare l’avvocato deve essere intimamentepersuaso che le sue scelte operose sono conformi a scienza,a diligenza, a fedeltà e giustizia.

E poiché chiudo con un saluto riconoscente a tutti ipresenti, mi sia permesso di chiedere venia per quanto possoaver detto errando, ma con un grazie a questa vita diavvocato che mi consente di dire con forza e allegria comeDanao quando esce di scena: “…Si sono vecchio, ma fresconel fondo di me, e sciolto di lingua”.

* * *

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Dopo l’interessante, brioso intervento di un giovane Avvo-cato, la Collega Cristina dello Siesto, ha preso la parola ilPresidente della IV Sezione Giurisdizionale del Consiglio diStato, Dott Giovanni Paleologo per i Magistrati che, nell’an-no scorso, avevano lasciato i vertici degli Uffici Giudiziari e… … lasciato uno straordinario ricordo, ricevendo anch’essila medaglia d’oro.

Le parole del nostro illustre ospite:

Signor Presidente, Signore e Signori!richiestod’esprimere i ringraziamenti dei magistrati

ordinari e dei membri del Consiglio di Stato e della Corte deiconti che ricevono alla cessazione delle loro funzioni unamedaglia-ricordo dall’Ordine degli Avvocati di Roma, non èsenza titubanza che prendo la parola dinanzi ad altri festeg-giati di anzianità maggiori della nostra.

Perché gli avvocati che l’Ordine intende egualmente ono-rare in un’unica cerimonia al compimento del cinquantenniodella loro professione esercitano evidentemente da più dicinquant’anni. Questo non può essere detto di me, laureatobensì nel luglio 1952 ma entrato in magistratura soltanto nel1955. Né di alcuno di noi.

E’ vero che la legge, anche quando fosse nel futuro un pocoampliata, difficilmente permetterebbe a pubblici dipendentidi restare nelle funzioni di giudice per oltre mezzo secolo!

Ad ogni modo, benché imbarazzantemente giovane, accol-go volentieri l’invito ad esprimere il nostro grazie sincero perun riconoscimento di cui conserveremo tutti memoria gra-tissima.

Ai ringraziamenti vorrei aggiungere alcune osservazioni.

* * *

Due cose sull’opera degli avvocati, rappresentati dall’Or-dine che ci ospita.

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Anzitutto ch’essa mi ha sempre colpito per la cordialitàverso i colleghi.

Eppure l’ufficio di patrono è quello di curare gli interessidell’assistito opponendosi come meglio sa e può a quellidell’avversario, ed all’attività del difensore di lui. Gli avvocatiadempiono a ciò con scrupolo, accanimento e trepidazione.Ma con quanta obiettività nel descrivere la situazione stori-ca, al fine di rappresentare i fatti pacifici in causa su cui, adesempio, si fonda largamente il mio processo, che è ilprocesso amministrativo!

E prima, durante e dopo il dibattito, con quante evidenticonsiderazione e stima per i colleghi che fronteggiano!

Che differenza rispetto ad altre professioni, le quali nonimplicano opposizione fra parti e mirano invece concorde-mente al benessere di ciascun membro del pubblico; profes-sioni i cui esercenti danno più spesso l’impressione di accesicontrasti e reciproca inimicizia!

Altro aspetto dell’opera degli avvocati al quale sono statosempre sensibile è l’equanimità di cui essi danno provaverso i provvedimenti del giudice.

Quante volte non sono rimasto io stesso sorpreso, neltrattare in camera di consiglio affari su cui avevo lungamen-te riflettuto, nel constatare la piega della discussione ed iltenore delle sue conclusioni! O perfino l’evoluzione degl’in-dirizzi generali del collegio, rispetto a date non lontane.Non tutte le ragioni considerate, anche in diritto, si riflettonodi norma in modo adeguato nella motivazione della pronun-zia. Né alcuno dei difensori potrebbe conoscere, prima delradicamento del grado di lite, quali saranno tali indirizzi, altempo futuro della decisione.

Eppure i patroni delle parti, sottoposti come sono al fuocodegli interessi, delle impazienze e delle passioni dei lorodifesi, ricevono e valutano con serenità sentenze sfavorevoliche non avrebbero potuto completamente prevedere. Ecredo giustifichino spesso in cuor loro i giudici, più di quanto

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quelli perdenti abbiano giustificato in camera di consiglio leopinioni contrarie.

Questa calma, questa accettazione e bontà d’animo,questo residuo dello sguardo del fanciullo senza il quale nonsi entra nel Regno dei Cieli, mi hanno sempre ammirato.

* * *

Nel lasciare l’attività giudiziaria anch’io faccio, come tutti,un riassunto sommario del tempo cui ho assistito.

Esso ha visto - mi pare - per la più gran parte del suo corsoun peggioramento del servizio.

Varie le ragioni di ciò. L’aumento complessivo della ric-chezza e della cultura, la loro distribuzione più larga e menoineguale, il sorgere d’innumerevoli persone e quasi-personegiuridiche, le regole e sanzioni capillari d’un mondo semprepiù stretto, il conseguente proliferare dei rapporti, la ricercaapprofondita di controllo sulle autorità, anche giudiziarie,hanno condotto ad un moltiplicarsi di giudizi, e d’incidentinel giudizio, che la Repubblica non ha saputo tempestiva-mente assorbire.

Da qui crescenti arretrati, con effetti varî ma tutti lontanidalla realizzazione della giustizia: smisurati vantaggi per lostato di fatto; lunghissime, debilitanti e dispendiose attese;ed infine soluzioni per il loro stesso ritardo insoddisfacenti,quando non ormai del tutto inutili, oppure fonti di dannisproporzionati ed ulteriori, anche per terzi.

La piena portata di questa situazione è apparsa ancor piùinsostenibile, quando confrontata con lo stato dei giudizi pressoi nostri sopravvenienti partners europei, e sottoposta al vagliodegli impegni internazionali che noi stessi avevamo volontaria-mente assunti nella materia. Non credo, infatti, alcun Paesedella Comunità abbia giudizî così lunghi come i nostri.

Ecco quindi un effetto certamente benefico della Comuni-tà Europea e dei movimenti internazionali di giustizia.

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Il nostro cinquantennio si chiude così con un impulsoverso il riordino dell’attività giudiziaria, con l’adozione deiprimi idonei provvedimenti legislativi ed anche - mi pare -con un’inversione di tendenza sui tempi di quell’attività.

* * *

Da qui l’altra parte di questo discorso: con quali speranzeio lasci la magistratura. Speranze che sono di necessitàesclusivamente personali.

Cessato dal servizio mi pare giusto ch’io esprima inquest’autorevole assemblea e per quello che valgono, alcuneopinioni.

Queste possono riassumersi in quattro punti.Anzitutto vorrei fosse, d’ora in poi, chiara ad ognuno la

differenza tra diritto come costruzione logico-dogmatica e comefenomeno storico-effettuale. Ed il fatto che ove una di questedue facce sia difettosa, il sistema nel suo complesso non va.

Il diritto è, da un lato, una costruzione logica aderente ai datifissati dalle norme esplicite e che fornisce, per via di successivecoerenti deduzioni, la valutazione di ogni stato di fatto.

In questo la dottrina italiana mi sembra effettivamenteavanzatissima. Ognuno ricorda libri splendidi che hannoaccompagnato la sua vita. Simile ad un romanzo giallo era perme quello sui titoli di credito di Asquini; e chiari come il nostromigliore giornalismo quelli, pur così profondi, di proceduracivile di Chiovenda o di frammenti d’un dizionario giuridico diRomano. Qui la semplicità è cartesiana e l’ordine perfetto.

Ma il diritto non è solo questo. E’ anche idoneità a venireeffettivamente applicato in tempo utile, e temuto e riverito datutti per l’immancabilità della sua attuazione: i giudici sonostati definiti, in Inghilterra, come i leoni sotto il trono. E’fonte di certezza legale. Legale perché non più discutibile eper ciò stesso superiore all’infinita accademia.

Va ripetuto che la giustizia è certezza. Non certezza

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arbitraria ed illogica. Ma neppure dibattito svolgibile persempre. La bontà e coerenza d’ogni soluzione restano in ognicaso opinabili. Il tempo impiegato a raggiungerla è invecemisurabile esattamente. Su di esso non possono esservidubbi. Da esso deriva buona parte degli effetti dell’interven-to statale. E’ qui che il nostro sistema fa acqua. Tale sistemaè creato per gli uomini. E gli uomini hanno vita finita edinteressi rivolti al futuro prossimo. Il meglio è nemico delbene. Il meglio tardivo è del resto in sé talora impossibile,quanto alla ricostruzione dei fatti. Comunque, è spessoinutile, e persino complessivamente dannoso.

Occorre invece distinguere gli affari per importanza, ancheeconomica, e per caratteri salienti. E prevedere per liti dinatura tanto diversa fra loro percorsi ugualmente dissimili.

A ciò stiamo cominciando a porre mano sul serio.Ben vengano i giudici di pace. Se ne amplî via via notevol-

mente il raggio d’azione. Li si educhi all’adempimento dicompiti di buon senso nella soluzione rapida dei conflittiminori. Io credo tutti accetteremo il rischio di subire in queicasi - trasgressioni stradali, altri piccoli reati, affari civili dipoca consistenza - decisioni rapide ma forse non rispondentiappieno ai dettami del diritto, purché si sia certi che nellecontroversie maggiori i tribunali più alti possano ascoltarcisubito ed attentamente, e presto più finemente decidere.

Si dice talvolta che l’opera dei giudici onorari sta assairivalutando nell’opinione pubblica quella dei giudici togati.A me pare invece che i primi rappresentino, sotto il profiloquantitativo, il futuro della nostra giustizia.

Sempre del resto ci sono state note le ragioni che induconoa preferire la giustizia onoraria in date materie, come inquella tributaria salvo l’eccezionale possibilità di controllifinali da parte di corti supreme. Per similmente complesseragioni vi sono materie, come il giudizio amministrativo, chenon si prestano mai all’intervento della giustizia onoraria.

Certo, anche l’opera di questi giudici va curata e migliora-

IL FATTO

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ta. E gli avvocati possono in larga parte cooperare adirrobustirne le fila.

* * *

Secondo. Il doppio grado di giudizio è effettivamente utile,almeno di regola. Benché molti giudici che ne sottolineanola generale necessità - come la nostra Corte costituzionale,la Corte di giustizia della Comunità europea e la Corteeuropea dei diritti dell’uomo - giudichino poi essi stessi,sempre o molto spesso, in unica istanza.

Il doppio grado sembra più discutibile in casi piccolissimiod - all’opposto dello spettro - in quelli che non tollerinoritardo o rovesciamento di pronunzie.

Comunque, tutto sta a vedere come s’intenda il principio.Allo stesso modo ha bisogno d’interpretazione la regola per cuiogni parte interessata al giudizio debba essere rappresentatain ogni suo stadio: in qualche Paese si crede perfino che debbaessere effettivamente presente, sicché basterà restare lati-tanti perché il giudizio penale non possa celebrarsi.

Infiniti sono poi i soggetti potenzialmente interessati adogni affare. Non per questo - mi sembra - può richiedersi chesiano tutti chiamati in giudizio, o consentirsi che tuttiimpugnino la sentenza resa fra altre persone. E tanto menopuò farsi decorrere il tempo loro dato per impugnare, dallaconoscenza effettiva di questa.

Ad una personalità straniera che ho avuto occasione diconoscere era stato chiesto in Italia come mai nel suo Paesei giudizi penali durassero poco, e nel nostro moltissimo. “Nonso se questo sia vero - essa rispose - ma nei Paesi latini simira a fare giustizia. Da noi si chiede solo se l’accusa abbiaprovato il suo caso contro l’imputato.”

Fare giustizia, sta bene. E’ il nostro obiettivo. Purché nonsia un’operazione resa impraticabile dalle complicazioniprocessuali, e magari resa da queste distruttiva di altri

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settori della vita pubblica.Il doppio grado non può dar luogo di regola ad una doppia

verità, cui possa magari aggiungersi una terza, od una quarta.Non per questo vorrei accettare sistemi altrui, fosse anche

del Paese che abbia il più alto prestigio giudiziario. Il più dellevolte, neppure al dettaglio. Perché tutti gli ordinamentihanno coerenze e compensazioni interne oltre che stretticollegamenti con la struttura della società cui ineriscono; enon si prestano a venire sbriciolati. Non per questo dobbia-mo tenere gli occhi chiusi: ci spetta anzi di vegliare permigliorare le cose in Italia. Secondo i detti di Seneca: volo peraliena castra transire non ut transfuga sed ut explorator.Meum est quod bonum est.

* * *

Terzo: la nostra Costituzione dice che contro ogni senten-za - a parte le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte deiconti - è sempre ammesso ricorso per cassazione per viola-zione di legge. Questo è dunque ora un pieno diritto dellaparte. Dà così adito ad una terza ordinaria istanza, con lasola esclusione delle questione di puro fatto.

Ciò deprezza l’opera di quella Corte, riducendola a giudicegenerale dei diritti in terzo grado. Ne moltiplica necessaria-mente i componenti, diminuendone la qualità ed il prestigio.E le rende impossibile di svolgere con cura adeguata il ruolodelle Corti supreme dei Paesi meglio organizzati, di soluzionedefinitiva ed esemplare dei pochi, pochissimi, casi di ecce-zionale importanza.

Mi pare che sul punto la Costituzione dovrebbe essereemendata. Due gradi di giudizio debbono ordinariamentebastare. La Costituzione dovrebbe disporre, per esempio,che la Corte di Cassazione scelga quali ricorsi ammettere fraquelli che siano ad essa proposti per violazione di leggecontro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà

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personale, pronunziati dagli organi giurisdizionali. Salvesempre le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerraed i ricorsi per regolamento di giurisdizione. Se l’attualecomposizione dei giudici di secondo grado non sia idonea adare affidamento di adeguata e conforme interpretazione deldiritto per quasi tutte le liti, occorrerà rimediarvi. Occorre,infatti, che tutti i giudici ed in ispecie quelli delle liti piùimportanti, mantengano un sempre più alto livello qualitativo.

* * *

Il che ci ha condotto al mio ultimo punto: la qualità dimagistrati ed avvocati.

Vale appena ripetere che il rapporto fra numeri e meritoè di proporzione indiretta: maggiori i primi, via via minore -a supporre la razionalità delle nomine - il secondo. Appuntoper ciò si riserva a pochi il giudizio sui casi più importanti.

Sui magistrati ed avvocati italiani può dirsi ed oggi in partesi è detto, molto di bene.

In un breve volume di memorie pubblicato nel 1969Jemolo osserva che la magistratura italiana fa miracoli, sesi considera che essa progredisce in sostanza non per meritoma per anzianità, e che la resa d’ognuno è in buona partefacoltativa, in quanto non adeguatamente controllata.

Nell’esprimere la speranza che il servizio migliori ancora,è tuttavia evidente che occorra concentrarsi sui punti deboli.

I magistrati non sono nominati per preferenze e votazionipopolari, ma per obiettivi meriti di cultura. Mi pare imman-cabile ch’essi debbano venire selezionati per avanzamentoin modo simile, potendosi anzi ormai aggiungere al giudiziosulla scienza quello, non meno rilevante, sul carattere.

E se la magistratura dev’essere indipendente, l’avanza-mento deve essere fatto dall’interno, cioè dai magistrati manmano più capaci, ossia, dai più alti.

Per i soli magistrati ordinari, senza dubbio in ragione della

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loro tanto maggiore consistenza numerica, la Costituzioneprevede che essi siano amministrati da un organismo elettivo,prevalentemente interno. La legge ha poi disposto nellostesso senso anche per altre magistrature.

Occorre ovviamente disciplinare tali organismi in modo ido-neo ed assicurarne il buon funzionamento, tenendo pure contodel fatto che corpi elettorali via via più piccoli possono esserespinti a richiedere agli eletti di curare gli interessi della categoriapiuttosto che quelli del pubblico. Ed in essa, gli interessi dellamedia; non dei migliori, che sono quindi demotivati.

Occorre conciliare l’indipendenza del singolo magistratocon la necessità che qualità e quantità del suo lavorovengano sottoposti a valutazione.

Bisogna cioè evitare che l’indipendenza trasmodi alcune voltein indifferenza, o che l’imparzialità si cangi in irresponsabilità.

Non v’è potere senza responsabilità. I magistrati debbonoconsiderarsi un corpo solidalmente responsabile verso lacittadinanza che rappresentano e servono. Quelli penali nondebbono sprecare il tempo giudiziario - e degli ausiliari dellagiustizia ed il denaro del pubblico - né sottoporre ingiusta-mente privati a pregiudizi ed ansie, avviando azioni che nonabbiano sufficiente probabilità di successo conclusivo.

Tutti debbono adeguarsi lealmente alla giurisprudenzadei giudici superiori, per ridurre la possibilità di successodelle impugnative e dunque per disincentivare le parti aproporle. I cambiamenti di giurisprudenza che paiano alpubblico opportuni potranno essere apportati con legge. Equelli che sembrino assolutamente necessari ai giudicisuperiori potranno essere introdotti da loro una volta pertutte. Gli innovatori degli altri gradi di giudizio potrannodunque aspettare di passare per meriti alla Corte superioreprima d’aspirare al pericoloso privilegio.

Pericoloso perché anche quelli supremi debbono rispetta-re la loro giurisprudenza, per non contraddire - per di più,con effetto retroattivo - le certezze da loro stessi fornite al

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Paese. Infatti i membri dei collegi giudiziari non sono pretoriche debbano occuparsi solo degli affari su cui riferiscono edignorare gli atti. Né i collegi sono monadi, indipendenti dalledecisioni adottate anteriormente. Rese cioè da predecessoriche non vanno sottovalutati, ma seguiti con fiducia, e le cuiragioni non sono talvolta esplicitamente esposte perché ciòera stato fatto da altri e spesso da molti altri ancor prima,con pronunzie che non ci si cura di ricercare.

Il ripetuto cambiamento dell’assetto dei rapporti contenziosidà luogo ad effetti deleteri. E l’appello ritarda in sé lagiustizia. Attualmente nel mio processo, cioè in quelloamministrativo, la proporzione degli appelli accolti rispettoa quelli proposti in Italia e più che doppia a confronto dellaFrancia. Ciò ridonda a svantaggio e demerito del nostroPaese, ed ha prodotto infiniti drammi privati e pubblici,ignoti alla comunità.

In ogni campo il criterio della buona gestione del tempo deiprocessi, cioè del rapido andamento della giustizia, dev’es-sere sempre tenuto presente da tutti.

Questo vale pure per gli avvocati. Non ho alcun titolo peroccuparmi della parte della loro attività che concerne icontatti con i clienti. Ma anche a parlare solo dei rapporti conil giudice, essi debbono ricordare sempre d’essere indispen-sabili co-autori della giustizia. Non soltanto di quella checoncerne il loro caso attuale: della giustizia tutta intera.Debbono porsi ad ogni istante nei panni del giudice. Di cosaha esso bisogno?

Anzitutto dell’esposizione immediata ed esauriente dei fatti:si ricordi che il collegio non ne conosce alcuno. Soccorre dinuovo il richiamo ai migliori giornalisti. Ma non - si spera - allastoriella talvolta ripetuta: buoni giornalisti sono quelli cherendono chiare agli altri le cose che essi stessi non capiscono.

Poi la brevità e chiarezza delle tesi di diritto, da controllaresempre portandole alle conseguenze ultime; e la ricerca accu-rata ed ovviamente fedele, dei precedenti di giurisprudenza.

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Non è compito degli avvocati essere imparziali. Spetta loroinvece di fornire una soluzione della lite favorevole alla parte,attendibile e per quanto possibile semplice, nella speranzache essa sia condivisa. In ciò è controproducente essereverbosi: gli scritti brevi vengono studiati con cura maggiore epiù facilmente ricordati. Quelli lunghi ed astrusi tentano dimascherare la mancanza di ragioni. Del resto gli avvocati sonotenuti in coscienza non già a fare buona impressione sulcliente sprovveduto, ma a risparmiare il tempo del giudice,sottoponendogli solo argomenti attendibilmente utili.

V’è un terrorismo qualche volta praticato pure da Studinoti, e forse segno dell’alterigia intellettuale di chi creda diessere superiore alla norma, che consiste nella confezione discritti illeggibili per mole, per complessità e financo perdisordine, di cui si suppone il giudice non potrà liberarsi senon accogliendo una qualunque delle tesi dell’altrimentiincontenibile espositore, e dando così ragione alla parte da luirappresentata. Questa pratica va adeguatamente colpita.

Nel seguire la via contraria gli avvocati renderanno, aprezzo d’ulteriori sacrificî - perché l’essere breve costa tempoe fatica - nuovi servizi all’Italia. Collaboreranno sempremeglio a che il nostro Paese acquisti anche nel campo dellarapidità della giustizia la posizione di preminenza nel mondoche gli spetta per la sua storia e ch’esso tiene attualmente intanti altri settori. Ed a che i nostri concittadini siano serviticome meritano.

* * *

Ecco dunque le mie speranze. Ambiziose, ma non volte alfuturo necessariamente immediato.

Quelle esposte a minori delusioni si riferiscono forse acose che giudici ed avvocati possono fare da sé, senza attesedi ricambi legislativi o costituzionali. Perché mentre ognicambiamento ha dei costi, il progetto d’innovazioni legisla-

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tive ha in più pericoli suoi propri.Speranze forse sbagliate. Ma non ignobili. Espresse men-

tre si attenua od annulla il rischio d’interessi personali, sineira et studio, quorum causas procul habeo.

I magistrati in rappresentanza dei quali ho inadeguata-mente parlato oggi mi perdoneranno se esse non coincidonodel tutto con le loro, come forse avverrà anche per quelledegli avvocati premiati insieme a noi, da cui abbiamo cosìspesso appreso e nella cui gradita ed onorevole compagniaabbiamo in tanti decenni lavorato.

Reitero il nostro ringraziamento all’Ordine di Roma ed alsuo Presidente.

Prima di me ha parlato brillantemente la rappresentantedei giovani avvocati romani. Voglia credere che a lei ed a lorovanno la nostra simpatia ed il nostro augurio. Le loro forze,il loro ottimismo, la loro buona volontà costituiscono lanostra consolazione.

* * *

Infine ha preso la parola altro nostro ex Consigliere, nonancora in età da “medaglia d’oro”, il Prof Franco Coppi checi ha affascinati con la sua oratoria, emozionandoci con lanarrazione dei fasti dell’Avvocatura romana.

Di quella sinfonia non abbiamo il testo, restando così deiprivilegiati i suoi ascoltatori.

* * *

Pubblichiamo infine il discorso del nostro Presidente inoccasione dell’apertura dell’anno giudiziario 2003 della Cor-te di Appello di Roma.

Signori Giudici Costituzionali, Signor Cardinale, Signori Rappresentanti del Governo del Nostro Paese, Si-

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FORO ROMANO 5-6/2002400

gnori Parlamentari, Signor Presidente del Consiglio di Stato,Signor Presidente della Corte dei Conti, Signor Primo Presi-dente Emerito della Corte Suprema, Signor Rappresentantedel Consiglio Superiore della Magistratura, Signor Presiden-te della Corte di Appello, Signor Avvocato Generale,Autoritàcivili e militari, Colendissimi Magistrati del distretto di Romae della Regione Lazio, carissimi Colleghi, Signore e Signori.

La relazione del Titolare attuale della posizione apicaledella Procura Generale merita vivissimo apprezzamento perla diligenza scrupolosa nella elencazione di fatti e per ladeduzione intelligente delle cause - nel nostro distretto -delle patologie della società in generale e dell’amministrazio-ne della giustizia in particolare.

Ma, soprattutto, la relazione che abbiamo ascoltato meri-ta vivissimo apprezzamento per le coraggiose denunciepioneristicamente rivolte alle esiziali leggi “Breganze” ed allaincredibile mancata applicazione della legge sulla responsa-bilità civile dei Magistati.

Parlando con la franchezza degli Avvocati, dobbiamosconfortantemente prevedere che, anche quest’anno, tantoammirevole sforzo del Reggitore della Procura Generalerisulterà vano.

Non ci resta che esprimere la gratitudine dell’Avvocaturaper la tanto pregevole relazione.

È una esigenza deontologica aggiungere, alla lode sentitaper l’opera del Relatore che mi ha preceduto, l’espressionedella gratitudine e dell’apprezzamento per l’opera quotidia-na di tutti gli altri Magistrati del distretto, con i quali gliAvvocati sono coautori della Giustizia.

Esemplare al riguardo è il rapporto di permanente coope-razione - dettata da stima e considerazione - tra la Presiden-za della Corte ed il Consiglio dell’Ordine forense più impor-tante d’Europa.

Un anno fa, in occasione dell’inaugurazione dell’annogiudiziario della nostra Corte territoriale, stavo introducen-

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do, dinanzi al Ministro della Giustizia, il tema del grandevalore della nostra Magistratura, ma fui interrotto ad unamia osservazione amichevolmente ironica.

Dunque oggi ho il dovere di riprendere quel discorso edaffermare il primato indiscutibilmente mondiale della no-stra Magistratura e della nostra Avvocatura.

Ciò posso affermare, ciò debbo affermare in piena coscien-za, a ragion veduta dopo 33 anni di esperienza professionaleanche all’estero, e dopo 18 anni di esperienza consiliare,fruendo così di un impareggiabile osservatorio.

Il grande Avvocato Piero Calamandrei, docente universi-tario, costituente, poeta e pittore, mi ha fatto un torto: è sual’opera intitolata “Elogio dei Giudici scritto da un Avvocato”.

Il torto che quel nostro Grande mi ha fatto è stato scriverlolui, per primo, quel libro: l’ “Elogio dei Giudici scritto daun Avvocato”. Non mi resta che scrivere… il secondovolume.

Non è consentibile che, per la solita attitudine nazionaleall’ammirazione per tutto ciò che è straniero, si favoleggi dimeriti altrui, non riconoscendo il primato etico, culturale eprofessionale della nostra Avvocatura e della nostra Magi-stratura.

In altre occasioni ho riferito in dettaglio le evidenzedell’altrui provincialismo, dell’altrui modestia e, in alcunicasi, addirittura dell’altrui barbarie, dinanzi alla nostraciviltà giuridica che, non a caso, è sorta proprio qui, mirabil-mente, duemila e cinquecento anni fa, mentre altri, peroltre un millennio, hanno continuato a pascolare le capre.

Questa è invece l’occasione per osservazioni puntualisullo stato dell’amministrazione della giustizia nel nostroambito territoriale, anche se - per riguardo a tutti e, soprat-tutto, per riguardo verso gli illustri Relatori che mi seguiran-no - debbo limitarmi a non dipingere un affresco, ma a pochicenni, ahimè alcuni critici.

Cinque giorni fa il Procuratore Generale presso la Corte di

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Cassazione ha fatto notare che i problemi gravissimi che cioccupano non dipendono da carenze di qualità personali,ma da inefficienza.

È vero.Impostomi di limitarmi a cenni, per quanto riguarda

l’amministrazione della giustizia dinanzi al Giudice di Pacedi Roma, menzionerò il dato assurdo della durata di oltre dueore, in locale asfissiante, della fila per poter chiedere l’iscri-zione a ruolo di una causa dinanzi quell’Ufficio Giudiziarioromano.

Oltre due ore di fila … oltre due ore di vita … ogni giorno.C’è da gridare: aiuto!Ma questo è soltanto l’inizio dell’attività dell’Avvocato

dinanzi al Giudice di Pace di Roma, secondo quanto ciappresta l’organizzazione giudiziaria.

Dovendo esprimermi per cenni, passo direttamente alTribunale di Roma, la cui organizzazione in preteso, costan-te, vertiginoso miglioramento è ricorrentemente esaltata daun quotidiano romano.

Nel settembre dell’anno 2001, tra le tante carenze - chesmentivano fastidiose, quanto croniche vanterie - lamen-tammo l’indecenza del ritardo di 40 giorni nel rilascio dellacopia di una sentenza e l’indecenza dell’affollamento dell’Uf-ficio Copie; dopo un miglioramento della situazione el’interessamento del Consiglio Superiore della Magistratu-ra, dopo 15 mesi siamo d’accapo: la fila per chiedere ilrilascio della copia di una sentenza straripa fuori dellastanza, lungo il corridoio.

Per l’iscrizione di una causa a ruolo il Tribunale di Roma- con un’ora di fila -non batte l’Ufficio del Giudice di Pace, maanche un’ora di vita, così persa nel Tribunale della Capitaleper chiedere l’iscrizione di una causa a ruolo, batte proba-bilmente ogni record mondiale.

Anche ottenere l’informazione dai terminalisti su una causapendente nel Tribunale di Roma comporta un’ora di fila.

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E’ desolante, …Nella relazione svolta cinque giorni fa dal Procuratore

Generale presso la Corte Suprema, in occasione dell’inaugu-razione dell’anno giudiziario di quell’Ufficio, è stato riferito,con compiacimento, un dato probabilmente segnalato dalTribunale di Roma: la riduzione del 25% - mi sembra - delcarico delle cause pendenti dinanzi a quell’Ufficio Giudizia-rio romano.

Poiché in ore di punta sono sempre più intasati i corridoidegli edifici delle sezioni civili del Tribunale di Roma, aprescindere da considerazioni sulle esigenze di igiene esicurezza del lavoro, c’è da chiedersi se il ProcuratoreGenerale presso la Corte di Cassazione o, prima ancora, chigli ha fornito il dato promozionale della riduzione del caricodelle cause pendenti abbia tenuto conto dell’enorme sgraviodi un bacino di utenza di circa 500.000 cittadini, le contro-versie dei quali non competono più al Tribunale di Roma, maa quello di Tivoli (con 79 comuni), al Tribunale di Civitavecchia(per il comune di Fiumicino che ha l’enorme contenziosoanche laburistico derivante dalla sede aeroportuale) ed alTribunale di Velletri (per la popolosa zona di Pomezia).

Se non si fosse tenuto conto di tali notevoli sottrazioni nonci sarebbe da esultare per la riduzione del carico delle causependenti dinanzi al Tribunale di Roma.

Lasciamo perdere.Non è piuttosto ammirevole il riserbo che da qualche anno

è stato imposto a tutta la Procura della Repubblica di Romadal suo Capo ... ?

A Roma dunque non va tutto male: anche l’organizzazio-ne del TAR e del Consiglio di Stato costituiscono quelli sìmodelli da imitare.

Invece, l’organizzazione dell’amministrazione della giusti-zia ordinaria è gravemente carente in ogni ufficio, perfinonella sezione distaccata di Ostia del Tribunale di Roma: lìil Presidente di quella sezione non si vanta, manifestando

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FORO ROMANO 5-6/2002404

anzi coinvolgente costernazione per la sottrazione di perso-nale amministrativo precario, che indurrà un calo di effi-cienza in quella oasi, che tanto mirabile prova ha dato nelbreve tempo da quando è stata istituita.

Una pur breve menzione merita la situazione in campopenalistico, vista dagli Avvocati.

Dall’aprile 2001 gli Ordini forensi sono stati onerati, dallalegge di riforma della difesa di Ufficio e dalla legge sulpatrocinio dei non abbienti, di un compito immane, quellocioè di dare concreta attuazione - senza alcun contributofinanziario da parte dello Stato - alla organizzazione:

1) della nuova pareristica consiliare per i giudizi di congruitàsugli onorari dei difensori di ufficio e dei difensori deicittadini ammessi al patrocinio a spese dello Stato, nuovalegge pareristica che ad oggi ha complessivamente superatole 13.000 unità;

2) formazione degli elenchi dei difensori di ufficio neiprocessi penali e dei difensori dei non abbienti nei processipenali, civili ed amministrativi, la cui costituzione è subor-dinata alla valutazione dei requisiti di ciascun richiedente laiscrizione;

3) della formazione dei difensori di ufficio, attraverso laorganizzazione del corso annuale abilitante.

4) di uno sportello aperto al pubblico, per la presentazionedelle domande dei cittadini non abbienti di ammissione alpatrocinio a spese dello Stato nelle controversie civili edamministrative, e della preparazione delle relative pratiche;

5) delle delibazioni di tali istanze, attraverso il vaglio deirequisiti di ammissibilità formale e, soprattutto, di proponibilità- nel merito - dell’azione giudiziaria che si intende assumereda parte dell’istante. Tale ultima attività impone che ilConsigliere di volta in volta delegato alla istruttoria riferiscaal Consiglio le questioni poste dalle singole pratiche, il cuinumero non è mai inferiore alle cinquanta settimanali,numero peraltro certamente destinato a crescere.

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Questi compiti aggiuntivi gravosissimi, del tutto inediti,stanno cambiando - hanno già cambiato - il ruolo e lafunzione stessa del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, cheha assunto decisamente i connotati di una pubblica istitu-zione così sempre più protagonista nel presidio del dirittofondamentale di ogni persona, il diritto alla difesa.

Parallelamente a questo sforzo, il Consiglio dell’Ordine diRoma, che è divenuto un vero e proprio punto di riferimentonazionale in queste materie, sta adeguando e rafforzando lapropria vigilanza disciplinare, con specifico riguardo alla cor-rettezza professionale degli avvocati che assolvono un munuspubblico, quali i difensori di ufficio, o comunque una attivitàche, in quanto destinata ad essere remunerata dallo Stato,deve essere ispirata a criteri di assoluta limpidità deontologica,oltre che alla più generosa abnegazione personale.

A fronte di tale impegno, tuttavia, dobbiamo rilevare, nonsenza amarezza, una considerazione non sempre adeguatada parte della Autorità Giudiziaria.

In molti casi, anzi, dobbiamo registrare, in più di unsegmento della Magistratura romana, piuttosto che la neces-saria collaborazione in questo aggiuntivo sforzo istituzionaledavvero improbo, una sorta di resistenza passiva, espressio-ne in realtà di un atteggiamento critico rispetto a queste dueriforme, quando non atteggiamenti esplicitamente ostili.

Non sapremmo infatti come altrimenti considerare laquasi sistematica indifferenza - nella liquidazione deglionorari dei difensori di ufficio o dei non abbienti - al pareredi congruità da noi pur espresso con scrupolo ed attenzione,secondo criteri di rigorosa aderenza alle ormai vecchissimetariffe professionali. Assistiamo - e si tratta della assolutamaggioranza dei casi - a decurtazioni degli onorari tantoimponenti (spesso fino al 60 o 70% in meno del valore da noiritenuto congruo) quanto sostanzialmente (e non di radoanche letteralmente) immotivate.

Allo stesso modo, vorremmo che le pur legittime critiche

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alla operatività - per esempio - del Call Center da noiorganizzato per la indicazione informatizzata dei nominatividei difensori di ufficio richiesti dalla Autorità Giudiziaria sitraducesse in una più convinta collaborazione (per esempiosollecitando gli Uffici a servirsi dell’accesso informatico conle passwords, già da noi generate, piuttosto che ingolfareil centralino con le chiamate telefoniche, per poi lamentarela lentezza delle risposte).

Insomma, auspichiamo davvero che gli Uffici Giudiziariromani assumano, in queste delicate questioni, un atteggia-mento di piena, fattiva collaborazione con l’Ordine forense,scevra di riserve mentali o resistenze passive, nel comuneinteresse del funzionamento della macchina giudiziaria.

Nel concludere questo mio dire, rivolto per senso deldovere e con sincero spirito di cooperazione per il benecomune, non posso ignorare un problema apparentementeestraneo all’amministrazione della giustizia.

I parcheggi.Per il cittadino e per il suo avvocato rivolgersi all’ammini-

strazione giudiziaria significa innanzitutto raggiungere gliuffici giudiziari, i quali - nella capitale d’Italia, tra le piùimportanti metropoli mondiali - hanno subìto una devastan-te diaspora, con spaventose complicazioni di spostamenti edi parcheggio.

Valga per descrivere l’inammissibile situazione di degradoorganizzativo terzomondista l’ultima ... perla.

Non mi riferisco a quanto è stato fatto, anzi mal fatto,improvvidamente fatto anni fa, ma ad un ennesimo attenta-to alle coronarie del cittadino e del suo avvocato, attentatoperpetrato poco tempo fa con effetti … permanenti.

Mi riferisco al trasferimento della Sezione Lavoro dellaCorte di Appello, dall’edificio di via Lepanto-Viale GiulioCesare ad un nuovo apposito edificio in via Rossetti, proprioqui di fronte: mentre fino a pochi mesi fa le cancellerie e leaule di udienza delle sezioni lavoro e Previdenza del primo

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grado e del secondo grado erano distanti davvero pochimetri, immediata trasferibilità degli Avvocati da un’Aula diudienza all’altra e con facilissimo trasferimento dei fascicolidalla cancelleria della Sezione Lavoro e Previdenza delTribunale a quella della Corte di Appello, il tutto con rapiditàe sicurezza, ora tutto è stato assurdamente complicato,senza che coloro che hanno avuto una tale alzata di ingegnosi fossero consultati preventivamente, doverosamente nelmomento progettuale con le istituzioni forensi: Consiglidegli Ordini di Roma, Cassino, Civitavecchia, Frosinone,Latina, Rieti, Tivoli, Velletri, Viterbo, anche se è intuitivoche il danno di gran lunga maggiore lo subiscono i cittadinie gli avvocati romani, per i quali i giudici laburisti di primogrado erano a pochi metri da quelli del secondo grado.

L’edificio di Via Lepanto-Viale Giulio Cesare era ed èraggiungibile con numerosi mezzi pubblici, compresa lametropolitana, mentre quello della nuova sistemazione dellaSezione Lavoro della Corte di Appello qui di fronte, ènotevolmente distante dalla fermata di pochi autobus; ma- soprattutto - è stato creato un problema di traffico e quellotremendo del parcheggio, problema di assurdità colossale.

Invero, un avvocato laburista che debba comparire ad unaudienza del Tribunale-Lavoro e ad altra udienza della Cortedi Appello-Lavoro non potrà che desolatamente lasciare ilparcheggio faticosissimamente trovato nei pressi di vialeGiulio Cesare e venire allo sbaraglio qui, in via Rossetti,dove già alle 8.30 di mattina i penalisti che debbono raggiun-gere la città giudiziaria non trovano posto, neppure per unciclomotore, e tantomeno - più tardi - i civilisti, per i quali leudienze in Corte d’Appello in via Rossetti iniziano alle 9.30.

Ora gli avvocati laburisti si aggiungono alla moltitudinedei colleghi in cerca di un improbabile parcheggio nella zonadella città giudiziaria.

Il trasferimento della Sezione Lavoro della Corte d’Appelloriguarda quotidianamente centinaia di avvocati laburisti e

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danneggia ulteriormente i penalisti ed i civilisti che debbonovenire in questo edificio delle Sezioni Civili della Corte diAppello.

Appreso, un anno e mezzo fa, un tale disegno ordito giàprima dell’insediamento dell’attuale Presidente della Corte,che non ne ha responsabilità, il Presidente dell’Ordi-neforense romano, protestò vibratamente contro la cata-strofeprogettata e, forse, per quelle sacrosante contumelie iltrasferimento non fu allora attuato, ma poi, improvvi-samente, pochi mesi fa, è avvenuto il trasloco, anzi, inlinguaggio penalistico si è ... “consumato” il trasloco.

Lascia sbalorditi la gravità di tale ennesimo colpo inferto… innanzitutto al buon senso.

La clandestinità del progetto, a lungo mantenuta, deve farpensare che coloro che ne erano gli ideatori si aspet-tavanoil forte biasimo della pubblica istituzione forense.

Il tema potrebbe apparire pedestre ma la giustizia siraggiunge ... potendo raggiungere gli uffici giudiziari.

In conclusione gli avvocati sono essi stessi cittadini che,per di più, hanno l’onore e l’onere, l’orgoglio e la responsa-bilità, di difendere altri cittadini.

E’ dunque ovvio che è nell’interesse dei cittadini checontestiamo le non condivisibili riforme dell’amministra-zione giudiziaria, riforme che da anni vanno privando gliutenti della giustizia di garanzie, quali la garanzia dellacollegialità delle decisioni.

La soluzione ai mali della giustizia e, per tutti, la soluzioneall’abominevole ritardo biblico nella definizione delle causecivili è -invero- semplicissima; bastano tre elementi: l’au-mento del numero dei magistrati, il controllo intelligente -giammai vessatorio o condizionante - della loro efficienza e lapuntualità della condanna della parte soccombente al rim-borso pieno delle spese di lite: basterebbe perfino applicarele pur ridicole, vecchie tariffe forensi, ferme all’anno 1994.

E’ ora di finirla con il lasciare illecitamente l’onere dei costi

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della giustizia sulla schiena di chi ha avuto ragione, mentrela parte che ha avuto torto -ed a volte si tratta di organizza-zioni poderose, finanziarie, imprenditoriali, sinda-cali- puòimpunemente continuare a promuovere ulteriori gradi digiudizio, insegnando a tutti che il torto la fa franca.

Tanto poco basterebbe a stroncare il pretestuoso proli-ferare di liti giudiziarie. Perché il legislatore ed i giudici nonci sentono ... ? Le energie così guadagnate ben potrebberoallora applicarsi al settore penale.

I torti che per neghittosità, leggerezza, supponenza, su-perficialità si fanno - pur non dolosamente - agli avvocatisono torti fatti ai rappresentanti dei cittadini italiani, innome dei quali pure si amministra la giustizia.

Le istituzioni statali in genere, giudiziarie e ministeriali inparticolare, debbono ascoltare la voce, il monito, la solleci-tazione delle pubbliche istituzioni forensi, o almeno ...dovrebbero, perchè nella realtà non lo fanno.

Sempre per limitarmi ad un solo conclusivo esempio,menziono una delle tante Commissioni ministeriali, compo-sta senza la designazione, l’apporto delle istituzioni forensi,senza il patrimonio di conoscenza di coloro che, a titoloonorifico, con passione e competenza, si prodigano per ilbene comune.

Faccio l’esempio della c.d. “Commissione Vietti”, che hacurato e concluso la predisposizione di un progetto di leggedi riforma-quadro delle professioni intellettuali.

Ebbene, non mi risulta che in quella Commissione ilMinistero abbia pensato di chiamare gli esponenti dei Con-sigli degli Ordini forensi, governi territoriali di 140.000onorati galantuomini.

In tale situazione non sorprende che il testo di un taleprogetto, che tanto incide sulla nostra vita, non ci sia statosomministrato - neppure dopo - dal Ministero, ne’ dallaCommissione Vietti, ma ci sia stato accidentalmente comu-nicato da una piccola associazione professionale.

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Ad un nostro collega, l’Avv. Marco Tullio Cicerone, taglia-rono la testa, Napoleone voleva tagliare la lingua agli avvo-cati … gli attuali reggitori della cosa pubblica ci voglionocambiare la vita … senza neppure informarcene.

Ora basta.Noi non apprezzeremmo i Magistrati che scendessero in

piazza, ma se qualcuno attentasse all’indipendenza deinostri Giudici e dei nostri Procuratori della Repubblica, essinon dovranno sbracciarsi, basteremo noi a fare le barricate.

Considereremmo un attentato all’indipendenza dellaMagistratura - ove mai perpetrato in un futuro remoto ebarbaro - come un attentato a tutti noi.

È appena il caso di far rilevare che la nostra occhiutavigilanza, a salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenzadella Magistratura, in alcun modo sminuisce l’esigenzaassoluta della separazione delle carriere tra il giudice terzoe l’altra parte: l’evidenza di tale esigenza, anzitutto etica,non può che essere certamente da tutti condivisa.

Infine, e con il nostro deferente saluto, intendo fermamen-te assicurare che, pur oppressi ingiustamente da tantiproblemi, gli onorati galantuomini che appartengono ainostri Fori continueranno ad impegnarsi, con sacrificio,lealtà e passione per il bene del Paese.

IL FATTO