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Il gioco come mezzo d'adattamento sociale. Al giorno d'oggi il ruolo del gioco nello sviluppo psicofisico del bambino e' ampiamente riconosciuto, eppure fino agli anni settanta vi era un netto prevalere di quella visione adultomorfa secondo cui il gioco era un'attivita' futile, se non priva di senso. Una svolta verso la legittimazione scientifica del gioco proviene da una serie di ricerche e contributi sullo studio etologico dei primati per i quali l'attivita' ludica rappresenta una spinta molto forte nella loro evoluzione. Nel 1968 un equipe di studiosi guidata da Jane Goodall formulo' la prima ipotesi di teoria funzionale del gioco studiando gli scimpanze' selvaggi di una riserva in Tanzania. Per questi ultimi l'esercizio ludico di modalita' comportamentali osservate negli adulti (ad es. lotta che diviene una danza) costituiva un importante tasello del loro processo d'adattamento. Dunque l'adattamento dipendeva proprio dalla capacita' di apprendere attraverso il gioco, poiche' in esso si scaricano quelle tensioni e frustrazioni legate all'esecuzione di un atto. Similmente diversi studi hanno mostrato come bambini messi in condizione di sperimentare liberamente dei materiali sul piano ludico riuscissero poi piu' facilmente nello svolgimento di un compito. Una sperimentazione condotta da Corinne Hutt ha dimostrato che i bambini con una scarsa attitudine al gioco non sviluppano poi capacita' creative e un altra ricerca condotta da Erikson ha rivelato che i soggetti con una vita ricca di stimoli e soddisfazioni vivono una realta' fortemente centrata sul senso del gioco. Sempre legato alla funzione sociale del gioco come strumento di adattamento e quindi di trasmissione di convenzioni sociali e culturali, studi antropologici hanno mostrato come diverse culture incoraggiano forme di giochi differenti. Qui subentra il discorso delle regole, in quanto ogni gioco ha un suo preciso sistema di regole, che cambia a seconda della cultura che lo produce, proprio come il linguaggio. In questo senso c'e' anche un rapporto tra quest'ultimo e il gioco, che in qulche modo ne e' precursore, possibilita'

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  • Il gioco come mezzo d'adattamento sociale.

    Al giorno d'oggi il ruolo del gioco nello sviluppo psicofisico del bambino e' ampiamente

    riconosciuto, eppure fino agli anni settanta vi era un netto prevalere di quella visione

    adultomorfa secondo cui il gioco era un'attivita' futile, se non priva di senso.

    Una svolta verso la legittimazione scientifica del gioco proviene da una serie di ricerche e

    contributi sullo studio etologico dei primati per i quali l'attivita' ludica rappresenta una

    spinta molto forte nella loro evoluzione.

    Nel 1968 un equipe di studiosi guidata da Jane Goodall formulo' la prima ipotesi di teoria

    funzionale del gioco studiando gli scimpanze' selvaggi di una riserva in Tanzania.

    Per questi ultimi l'esercizio ludico di modalita' comportamentali osservate negli adulti

    (ad es. lotta che diviene una danza) costituiva un importante tasello del loro processo

    d'adattamento.

    Dunque l'adattamento dipendeva proprio dalla capacita' di apprendere attraverso il gioco,

    poiche' in esso si scaricano quelle tensioni e frustrazioni legate all'esecuzione di un atto.

    Similmente diversi studi hanno mostrato come bambini messi in condizione di

    sperimentare liberamente dei materiali sul piano ludico riuscissero poi piu' facilmente

    nello svolgimento di un compito. Una sperimentazione condotta da Corinne Hutt ha

    dimostrato che i bambini con una scarsa attitudine al gioco non sviluppano poi capacita'

    creative e un altra ricerca condotta da Erikson ha rivelato che i soggetti con una vita ricca

    di stimoli e soddisfazioni vivono una realta' fortemente centrata sul senso del gioco.

    Sempre legato alla funzione sociale del gioco come strumento di adattamento e quindi di

    trasmissione di convenzioni sociali e culturali, studi antropologici hanno mostrato come

    diverse culture incoraggiano forme di giochi differenti. Qui subentra il discorso delle

    regole, in quanto ogni gioco ha un suo preciso sistema di regole, che cambia a seconda

    della cultura che lo produce, proprio come il linguaggio. In questo senso c'e' anche un

    rapporto tra quest'ultimo e il gioco, che in qulche modo ne e' precursore, possibilita'

  • avvallata da osservazioni svolte da Brumer e dai suoi collaboratori che mostrano come il

    gioco possa fungere da veicolo di apprendimento linguistico.

    L'approccio antropologico alla teoria del gioco.

    Per giungere a queste considerazioni che riconoscono al gioco una sua valenza sociale,

    dobbiamo fare un passo indietro e riconoscere il contributo del precursore di questo

    approccio antropologico sul fenomeno gioco: lo studioso olandese Johan Huizinga che

    nel suo “Homo Ludens” del 1939, analizza il significato del gioco nella sua totalita'.

    In questa analisi Huizinga individua alcune caratteristiche peculiari del gioco:

    – Il gioco e' un atto libero, in quanto tale non puo' essere imposto. Solo quando il gioco

    assume una funzione culturale, subentrano i concetti di compito e impegno.

    – Il gioco si distingue dalla vita vera, da quella ordinaria. In esso si afferma il concetto

    di “finzione” che pur essendo chiaro a chi gioca non ne sminuisce per questo la sua

    importanza.

    – Il gioco e' un'attivita' disinteressata. In questo senso e' una “ricreazione” che non

  • soddisfa i bisogni primari dell'individuo ma bensi quelli di espressione della vita

    collettiva, di cui trasmette i legami spirituali, sociali e culturali.

    – Il gioco e' limitato nel tempo e nello spazio. Pertanto il limite temporale viene

    compensato dalla capacita' del gioco di essere tramandato nel tempo, sia pure con delle

    varianti ( e' il caso dei giochi tradizionali).

    – Il gioco e' creatore di ordine e armonia. Avendo al suo interno un ordine proprio e

    assoluto esso realizza una perfezione, seppur temporanea e limitata.

    – Ogni gioco ha le sue regole, anche quello spontaneo, senza le quale il gioco crolla.

    – Infine vi sono altri tre apetti del gioco che vanno sottolineati: quello della tensione che

    spinge ciascun giocatore a dare il meglio di se', quello del rafforzamento del senso

    della comunita' che si verifica nel caso del gioco sociale come anche per i bambini

    nonche' in alcuni riti dei popoli primitivi e di feste tradizionali quali appunto il

    Carnevale dove convive un' altra caratteristica del gioco, quella del sentirsi diverso che

    si esprime attraverso il travestimento.

    Dopo aver analizzato i modi in cui il gioco si manifesta Huizinga tratta altri due apetti del

    gioco molto importanti: la “gara” e la “rappresentazione” che sono presenti in varie

    manifestazioni culturali e sociali. Ad esempio nel diritto della pratica giudiziaria, si

    possono ritrovare caratteristiche del gioco quali la competizione, la rappresentazione e il

    travestimento. La stessa filosofia deriva dal gioco, in particolare da quello degli

    indovinelli e degli enigmi. Inoltre Huizinga fa discendere dal gioco il culto religioso, la

    poesia, l'arte e la guerra stessa.

    Molte critiche sono state mosse alle teorie di Huizinga. Roger Callois, suo

    contemporaneo, individua dei limiti nella sua impostazione allargando le categorie

    entro le quali il gioco si puo' inscrivere. Nella classificazione di Callois abbiamo:

    – “Alea”, ovvero il rischio dell'abbandono dovuto al caso ( ad es nei giochi d'azzardo).

  • – “Agon”, ovvero la volonta' di prevalere nel confronto ( ad es nelle gare sportive).

    – “Mimicry”, ovvero il gusto per il travestimento.

    – “Illinix”, ovvero la vertigine, l'eccesso e l'estasi.

    Tali funzioni del gioco rispondono a loro volta a due principi opposti che sono

    “la paida” vista come il divertimento sfrenato e incontrollabile e il “ludus” inteso come

    esigenza di contenere la paida in vista di un risultato auspicato.

    Infine per Callois sono le regole il fattore determinante del gioco che ne governano lo

    svolgimento rispondendo al grado di sviluppo della cultura in cui si attua.

    In epoca piu' recente sono state mosse critiche radicali alle speculazioni di Huizinga.

    Umberto Eco individua un limite e una contraddizione di fondo nel rapporto tra gioco e

    cultura, ove secondo Huizinga il primo e' espressione del secondo: ne deriva una visione

    della storia che vede nel progresso un impoverimento della sua funzione ludica.

    Di fatti la societa' civile va perdendo nel tempo molte delle sue componenti ludiche

    originarie (che invece sono molto forti nelle culture primitive) ma se ammettiamo che il

    gioco e' fonte di cultura la societa' dovrebbe arricchirsi di momenti ludici e non

    impoverirsene. E' questa la contraddizione e il limite di Huizinga, il non riconoscere al

    gioco una funzione critica rispetto alla cultura stessa.

    Una teoria antropologica del gioco non puo' considerarlo isolatamente dalla realta' e dalla

    cultura di cui fa parte ma considera i tre aspetti come facenti parte della stessa

  • problematica.

    Sempre in una prospettiva antropologica alcuni studiosi come LeviStrauss e Lanternari

    hanno messo in luce che alcuni giochi infantili come ad esempio il girotondo e gli stessi

    giochi di forza risalgono a riti primitivi.

    L'antropologia sociale ha focalizzato i suoi interessi di studio sul rapporto tra il gioco e le

    istituzioni sociali nelle varie culture. Se l'interesse degli adulti rispetto al gioco e' quello

    di trasferire cultura, cioe' di imprimere nel bambino quei valori condivisi dalla societa', i

    giochi si fanno veicolo di questa operazione. Inoltre essi fungono anche da occasione di

    interazione sociale e quindi influiscono nei rapporti sociali in termini di equilibrio tra

    gruppi e sottogruppi di una societa'.

    Uno studio comparato sul gioco ad opera di Robert e SuttonSmith ha mostrato che gran

    parte dei giochi trasmessi nelle varie culture sono imitazioni di attivita' sociali.

    Nella stessa direzione si sono mossi alcuni teorici della sociopedagogia che hanno

    studiato il fenomeno gioco proprio in relazione di quelle variabili sociologiche e

    ambientali che ne influenzano i modi. In questa lettura il gioco e' visto come un abitudine

    sociale che varia a seconda dei valori, dei modelli educativi e delle mode. Quindi il gioco

    e' visto come processo di apprendimento di modelli sociali e comportamentali.

    La prospettiva psicologica verso una teoria del gioco come apprendimento.

    Un altro approccio sul fenomeno gioco che sottolinea la sua importanza in tutta la vita

    dell'individuo e' quello di tipo psicopedagogico.

    Qui sono numerosi gli studi e le

    ricerche che da Freud in poi si sono susseguiti.

    Per riallacciarsi al discorso del gioco come forma di apprendimento e' fondamentale il

    contributo dello psicologo svizzero Jean Piaget, i cui sudi hanno influenzato gran parte

    delle teorie psicopedagogiche piu' recenti.

  • Piaget individua tre principali stadi del gioco:

    – Il gioco d'esercizio, appartenente al periodo senso motorio, dove c'e' una ripetizione di

    quelle attivita' d'adattamento a scopo di divertimento. Sono proprio le prime

    esperienze senso motorie a gettare le basi del futuro sviluppo intellettivo.

    – Il gioco simbolico che e' il momento di massima espressione delle funzioni del gioco,

    in cui le pressioni ambientali vengono meno e lasciano spazio alla libera espressivita'

    del bambino. Sulla scia di Freud, Piaget afferma che il bambino ricorre al gioco per

    costruire il suo sistema di simbolico nel quale i conflitti inconsci (paure, angosce,

    interessi sessuali) vengono liquidati.

    – Il gioco con regole che corrisponde allo stadio operativoconcreto dove c'e' una

    progressiva emancipazione dall'egocentrismo. In questa fase i giochi con regole

    tendono a sostituirsi o affiancare il gioco simbolico. Da qui in poi si entra nella sfera

    sociale. Sono tali i giochi istituzionali come quelli della tradizione infantile, e quelli

    spontanei che pure sono strutturati su degli accordi tra i partecipanti.

    Piaget riconosce al gioco un valore fondamentale nello sviluppo cognitivo, affettivo e

    sociale del bambino. Egli afferma che il gioco e' prima di tutto assimilazione che domina

    l'accomodamento. Il bambino adatta le cose a se stesso per poi giungere ad un suo

    adattamento ai modelli che la societa' gli richiede. Un esempio in questo senso e' proprio

    il linguaggio, un codice che il bambino acquisisce in forma precostituita. E' quindi

  • importante che il bambino ricorra ad un proprio sistema di significati che sia in grado di

    evocare secondo la sua volonta': e' appunto il sistema dei simboli del gioco usati in

    funzione di un assimilazione ludica.

    Tra le critiche alla concezione piagetiana, vi e' quella di svalutare la finzione vista come

    evasione dal quotidiano, mentre secondo alcuni psicopedagogisti rappresenta uno

    strumento per riprodurre il reale. Inoltre, secondo Vygotskij (1979), nel gioco infantile in

    genere , sono comunque presenti delle regole e man mano che il bambino cresce tali

    regole si fanno sempre piu' forti finche' non raggiungono lo status di “contratto sociale”.

    In tal senso anche il gioco simbolico si puo' gia' considerare un attivita' sociale in quanto

    le regole sono gia' presenti seppur non esplicite.

    A Piaget va comunque conferito il merito di aver sottolineato che l'apprendimento non

    puo' essere separato dal momento del gioco, attraverso il quale il bambino costruisce la

    sua identita'. In concordanza con le tesi di Piaget, Jean Cheateau approfondisce il suo

    punto di vista sulla funzione del gioco simbolico: attraverso una padronanza dei simboli,

    l'uomo si affranca dalla sua componente animale e forma la sua personalita' morale.

    Il gioco quindi, lungi dall'essere un semplice apprendistato, e' la prima di quelle attivita'

    che costituiscono la cultura dell'uomo (scienza, arte, sport, religione derivano proprio dal

    gioco). In particolare e' attraverso il gioco collettivo che il bambino puo' superare il suo

    egocentrismo, accettando e condividendo quelle regole che creano la societa' infantile e

    pongono le basi per una convivenza civile.

    Dalle osservazioni compiute dagli psicopedagogisti si deduce che il bambino e' portato ad

    apprendere meglio quando si tiene conto delle sue motivazioni e tendenze. Li' dove

    prevale il luogo comune di contrapporre il momento del gioco a quello del lavoro si tende

    a svalutare l'attivita' ludica come momento d'apprendimento. La conseguenza e' quindi

    una diminuizione della motivazione. Eppure e' ormai evidente che obiettivi pedagogici

    quali l'apprendimento, la maturazione cognitivo affettiva e la socializzazione si possono

    efficacemente raggiungere li dove c'e' una motivazione del bambino che come abbiamo

    visto e' vissuta pienamente attraverso l'esperienza ludica.

  • Pertanto e' importante sottolineare che i momenti ludici sono tanto piu' liberatori quanto

    piu' slegati dalla programmazione scolastica. Abbiamo due considerazioni al riguardo:

    in primo luogo il “gioco si autocrea”, indipendentemente dalle intenzioni educative il

    gioco e' bisogno di comunicazione, dove tale bisogno e' rappresentato dall'esigenza di

    sperimentare il gusto di non essere costretto a fare tale esperienza. Si gioca per stabilire

    una connessione con gli altri: il bambino sceglie spontaneamente con chi giocare in base

    alle sue simpatie.

    In seconda battuta l'attivita' ludica e' una forma di comunicazione con le cose.

    Abbiamo detto che attraverso il gioco il bambino impare ad usare le cose, fino ad entrarne

    in possesso, ed e' proprio queso tipo di energia che l'individuo riportera' poi nei vari

    campi di indagine e di attivita' umana.

    La comunicazione ludica diventa specchio di quanto avviene intorno a noi.

    In questo senso la scuola offre un punto di vista privilegiato, in cui e' ancora possibile

    applicare la distinzione tra “jocus” e “ludus”, dove il primo termine indica un

    passatempo, un'attivita' piacevole cui dedicarsi con impegno e il secondo, piacere sfrenato

    in cui le regole si riducono al minimo e il risultato finale e' affidato al caso.

  • Nella lingua italiana tale distinzione non esiste piu', sicche' nel linguaggio comune la

    parola “gioco” li include entrambi mentre nella letteratura scientifica l'aggettivo “ludico”

    indica appunto quell'attivita' interiore o relazionale dove le norme sono minime.

    Tornando alla scuola i momenti di “jocus” sono quelli stabiliti da tempi, regole e obiettivi

    pedagogici, mentre quelli “ludici” sono quanto piu' possibile svincolati da norme se non

    quelle del rispetto reciproco, nonche' del rispetto per le cose. E' importante partire da tale

    distinzione prima di andare ad analizzare il gioco dal punto di vista educativo.

    I modelli pedagogici.

    Dal momento che ciascun pedagogista si ispira alla scuola di pensiero in cui

    maggiormente si riconosce, non e' possibile elaborare una teoria generale sul gioco.

    Possiamo pero' individuare tre modelli di pensiero pedagogici impegnati a conferire al

    gioco il suo posto di diritto all'interno degli spazi istituzionali dedicati all'infanzia.

    – Il modello funzionale considera il gioco come un processo continuo di apprendimento.

    Si afferma che il bambino impara giocando e di conseguenza piu' l'insegnamento crea

    dei momenti ludici in funzione dell'apprendimento piu' aumenteranno le sue

    possibilita' di successo.

    Tale modello e' accreditato tanto dalla corrente cognitivista che dalle psicologie che

    lavorano sull'affettivita' del bambino e del ragazzo.

    La scuola deve essere per il bambino un momento di benessere (poiche' trova

    piacevole se non divertente frequentarla) in cui la psiche ne e' influenzata

    positivamente recando un giovamento anche nel rapporto con gli altri.

    La personalita' del bambino, che occupa qui un ruolo centrale, si formera' quindi in

    un ambiente rassicurante sia dal punto di vista emotivo che dell'apprendimento.

    In questo modello joci e luci convivono serenamente.

    – Nel modello occasionale il gioco e' un momento importante ma speciale.

  • L'attivita' didattica non e' impostata sul gioco, cui e' riservato uno spazio a se, separato

    dal resto (la ricreazione, le gite, le feste). Ne consegue che il bambino tendera' a

    riappropiarsi del gioco nei momenti piu' impensati e meno adatti. Questo e' il modello

    adottato nella scuola tradizionale, che tende a considerare l'apprendimento come una

    cosa seria e che intende cosi' trasmettere al bambino il senso della vita, vista come

    percorso in cui i momenti ludici non si confondono con il vivere quotidiano fatto di

    fatica e impegno. Qui joci e luci si separano nettamente.

    – Il modello delegato nega i precedenti, ritenendo il primo in parte ipocrita e il secondo

    troppo autoritario. Esso non ritiene che la scuola possa adempiere in pieno a tutte le

    esigenze ludiche del bambino ma ritiene che essa debba aprirsi a tali esperienze con

    degli spazi ad hoc, vere e proprie “botteghe della fantasia”, quali sono ad esempio

    laboratori artistici e teatrali, animazioni e momenti di gioco puro. Questo sia facendo

    ricorso a strutture presenti nel territorio che inserendo nella programmazione scolastica

    un sistema di iniziative che insegnino, magari anche divertendo, ragazzi e insegnanti.

    La scuola diventa quindi sede di attivita' ludiche, aprendosi al territorio che entra nella

    scuola per partecipare a quanto di ludico si possa fare al suo interno.

    Pur essendo diversi tra loro, i tre modelli pedagogici possono coesistere all'interno della

    stessa scuola, e talvolta dello stesso insegnante. In particolare il modello funzionale e

  • quello delegato possono avere dei punti di contatto, e si puo' affermare che una scuola o

    un insegnate in grado di ricreare una giusta dialettica tra gli “ joci” e i “ludi” realizzano

    la vera essenza del bisogno ludico infantile. La sfida che si pone qui non e' tanto quella di

    trasformare la scuola in una sorta di paese dei balocchi ma piuttosto di rendere

    l'insegnamento meno noioso possibile, ma al contrario affascinante nei confronti dei

    ragazzi e che lasci loro degli spazi in cui esprimere liberamente il proprio Io attraverso la

    parola, l'arte, il movimento corporeo. Questi spazi di espressivita' implicano da parte

    dell'insegnante/educatore il fatto di porsi in una “posizione d'ascolto” in cui il bambino o

    il ragazzo non si senta giudicato in quella che e' una manifestazione del suo mondo

    interiore.

    Gioco e psicomotricita'.

    Abbiamo sottolineato piu' volte che il bambino cresce attraverso il gioco. In questo

    processo di crescita il corpo entra in gioco fin dalla nascita e secondo le piu' recenti teorie

    di psicologia prenatale il nascituro apprende attraverso l'esperienza sensoria gia' durante

    la gestazione. Sono infatti proprio le prime esperienze sensomotorie (

    fase che Piaget

    riferisce ai primi due anni di vita del bambino) a gettare le basi del futuro sviluppo

    intellettivo. Dapprima il bambino entra in contatto con il proprio corpo e con quello della

    madre senza una chiara distinzione tra i due: e' questa la fase dei “ giochi autoerotici”

    secondo la definizione della psicologa Anna Freud.

    Successivamente il bambino elabora un primo distacco dalla madre facendo ricorso a

    quelli che Winnicott chiama “oggetti transizionali” (la coperta, l'orsacchiotto) e a quei

    giochi tipo il cucu' e il nascondino che lo aiutano ad elaborare tale distacco: coprirsi il

    viso per poi riscoprirlo, nascondersi dietro una coperta per poi ricomparire.

    Osservando i bambini molto piccoli e' possibile comprendere il legame stretto che c'e' tra

  • il pensiero e l'azione. E' noto che i bambini molto piccoli toccano tutto ed e' proprio

    attraverso questa continua interazione con il mondo degli oggetti filtrata dal proprio

    corpo che si costruisce la personalita' del bambino.

    Studiosi come Vayer, Wallen e Gesen hanno sottolineato il rapporto tra motricita' e

    psichismo. In tale ottica la parola stessa prima ancora di essere espressione di un pensiero

    e' il prolungamento di un gesto. Vayer asserisce che per parlare di educazione essa deve

    essere globale, dove corpo e psiche sono un considerati un tutt'uno e dunque per essere

    completa l'educazione deve essere psicomotoria.

    Bisogna osservare che questo pensiero

    ha influenzato buona parte degli indirizzi psicopedagogici piu' vitali.

    Un altro studioso, Le Boulch parte dal presupposto che l'educazione psicomotoria sia

    fondamentale per lo sviluppo di varie facolta' mentali e in questo senso e' utile a prevenire

    il disadattamento scolastico. Egli afferma che l'attivita' psicomotoria facilita la scioltezza

    dei comandi neuromotori e in tal modo sviluppa la volonta' e quindi il passaggio all'atto

    e la successiva ripetizione di atti semplici, complessi, simultanei e alternativi che sono

    necessari nell'esecuzione del lavoro scolastico. A tal proposito molti insegnanti segnalano

    una corrispondenza tra le abilita' in campo motorio (agilita', destrezza, equilibrio,

    possesso dello schema corporeo) e sviluppo intellettivo. Da queste considerazioni deriva

    l'esigenza di inserire l'educazione psicomotoria nei programmi scolastici, e

    particolarmente in quelli che precedono l'inserimento nella scuola dell'obbligo.

  • Una riflessione sul gioco collettivo di oggi.

    Qual'e' il significato del gioco oggi nella dimensione gruppale? La riflessione sul gioco

    collettivo si riallaccia alla concezione del gioco come veicolo di trasmissione di quelle

    regole che fanno parte della nostra cultura.

    Vorrei condurre una riflessione sul come sono cambiati i giochi collettivi di oggi

    partendo da una ricerca scientifica di recente commissionata dal Museo delle tradizioni

    popolari di Canepina e che ha portato alla pubblicazione del libro “I Giochi” di Maria

    Rita Mechelli. Qui l'autrice compie un indagine su aspetti sociali e culturali locali

    attraverso l'analisi della sfera ludica. In questa pubblicazione vengono raccolti, sia in

    forma di scheda che attraverso le fonti dirette, molti giochi appartenenti alla tradizione

    locale. Alcuni sono gli stessi della tradizione infantile piu' nota, altri sono invece legati al

    territorio, in particolare quei giochi che ad esempio utilizzano le castagne o le nocchie,

    che sono appunto dei prodotti locali.

    Alla luce delle attuali abitudini ludiche ne risulta una realta' che nell'arco di pochi decenni

    si e' trasformata radicalmente. La gran parte dei giochi rievocati dagli anziani che sono

    stati intervistati, si sono persi e sono quindi destinati ad estinguersi. Ne risulta un quadro

    che vede sempre piu' sfumata la differenza tra citta' e campagna in ragione dell'influenza

    dei massmedia,

    pensiamo alla televisione ma anche al computer e ai giochi da consolle

    (gameboy e playstation).

    Altri aspetti che emergono da questa indagine sono: il basso

    indice di coloro che si costruiscono da soli i giocattoli; la scomparsa di filastrocche e

    indovinelli che venivano tramandati come passatempi; l'identificazione del momento

    ludico con le attivita' motorie (sport); l'elevato tempo trascorso davanti alla TV; la

    perdita di confidenza del bambino con l'ambiente, se consideriamo tutti quei giochi in cui

    sono coinvolti gli elementi naturali.

    Sono partita da questa indagine benche' si concentri su una piccola comunita' locale,

  • perche' offre molti spunti di riflessione che si possono estendere su un piano piu' ampio e

    lasciano aperti alcuni problemi su cui vale la pena interrogarsi. Nel caso di Canepina

    ad essere minacciato e' proprio il legame di una comunita' con le sue radici, con la sua

    tradizione. Pier Paolo Pasolini asseri' che “il futuro e' nella tradizione” : di fatti se questa

    non si mantiene viva e' la nostra stessa identita' culturale che rischia di scomparire.

    Sembra evidente che la globalizzazione abbia mutato radicalmente le nostre abitudini

    incluse quelle ludiche. L' industria del divertimento crea di continuo nuovi stimoli ludici

    e bisogni di consumo veicolati da una pubblicita' diffusa e martellante: tali bisogni cosi'

    indotti nei nostri bambini, vengono rapidamente soddisfatti e talvolta anticipati da

    genitori incapaci di ascoltare i bisogni reali dei propri figli e non solo quelli materiali.

    Un altro cambiamento importante riguarda poi gli spazi del gioco, se nelle zone rurali si

    andava per campi o si giocava nelle piazze del paese, nelle citta' si giocava molto nei

    cortili ( e' di questi giorni una campagna di comunicazione pubblica del Comune di Roma

    per promuovere il ritorno al gioco nei cortili della citta', altrimenti abbandonati al

    degrado). Certamente anche questo cambiamento ha condizionato le abitudini di gioco di

    bambini e ragazzi, indirizzando i giochi motori verso lo sport e facendo perdere

    l'abitudine al gioco spontaneo, sicche' i ragazzi e con loro i bambini hanno sempre piu'

    difficolta' ad organizzare giochi collettivi spontaneamente.

    In questo quadro vale la pena di chiedersi in che modo sta cambiando la valenza

  • educativa del gioco, intesa come educazione fisiologica e psicologica del bambino e quali

    possono essere le conseguenze.

    Che senso ha per i nostri bambini trascorrere interi pomeriggi da Mcdonald's e come

    interpretare l'affermarsi sempre piu' preponderante di fenomeni come il “wrestling” cosi'

    avulsi dalla nostra cultura? Verso quali valori vengono indirizzati?

    In questo contesto che ruolo puo' svolgere la scuola visto che i bambini vi trascorrono

    gran parte del loro tempo?

    Proposta di giochi psicopedagogici nella scuola materna di Capranica.

    Quando dal gioco simbolico si passa al gioco con le regole si entra nella sfera della

    socializzazione e si prospetta per gli insegnanti/ educatori la possibilita' di portare avanti

    un progetto educativo: indirizzare i bambini verso un ventaglio di valori.

    In questo senso il gioco si offre come opportunita' per il bambino di apprendere in modo

    divertente quelle norme che sono alla base della nostra convivenza civile.

    Uno dei problemi maggiormente avvertiti all'interno della scuola e' proprio la mancanza

    di regole. A questo riguardo sembra che un educazione troppo permissiva da parte dei

    genitori, abbia prodotto bambini, non solo insofferenti nei confronti dei limiti che

    comunque si trovano di fronte all'interno della scuola, ma anche incapaci di collaborare

    con i loro compagni e quindi di rapportarsi con gli insegnanti e con il gruppo in un ottica

    di rispetto reciproco.

    La nostra societa' attribuisce un valore assoluto alla competizione, di conseguenza i

    bambini imparano presto a paragonare i propri risultati a quelli degli altri. Sebbene sia

    stato dimostrato che i bambini apprendono meglio in situazioni di cooperazione gran

    parte del sistema scolastico e' basato sulla competizione, cosi' come i giochi sono spesso

    in forma di gara.

  • Eppure i bambini non sviluppano il concetto della competizione fin quando viene loro

    insegnato. Dal punto di vista educativo e' importante riflettere su come trasmettere questo

    valore attraverso il gioco, in modo che si focalizzi il valore della competizione in

    funzione della sfida e della collaborazione all'interno della squadra, e quindi del gruppo,

    senza prendere troppo sul serio il risultato finale.

    Da queste considerazioni nasce l' idea di sperimentare all'interno della scuola materna di

    Capranica una serie di giochi psicopedagogici, in parte appresi durante il master 'La vita

    in gioco” sulle attivita' ludicoespressive,

    in parte appartenenti alla nostra tradizione

    infantile.

    Ne ho quindi parlato alle maestre che mi hanno offerto la loro disponibilita' anche nella

    conduzione dei giochi e abbiamo concordato di svolgere gli incontri negli spazi della

    palestra che tra l'altro sono molto ampi e luminosi.

    La classe, che in parte conosco poiche' frequentata da mia figlia, e' composta di circa 25

    bambini in eta' compresa tra i quattro e i cinque anni. Nell'ultimo incontro con i genitori

    le maestre hanno lamentato che i bambini presi singolarmente riescono a seguire le

    attivita' ma nella dimensione gruppale sono molto indisciplinati anche nei giochi, a

    questo riguardo ha tra l'altro invitato le mamme a non lasciarli guardare programmi

    televisivi come il wrestling, visto che poi li riproducono in classe con la conseguenza che

    possono farsi male. In sostanza i bambini hanno difficolta' ad accettare le regole della

  • convivenza civile, come ad esempio aspettare il proprio turno, non spingere quando si e'

    in fila, gridare per ottenere qualcosa, etc... Aggiungo di mio, desumendo questa

    conclusione dai racconti di mia figlia, che nella classe si sono formati vari sottogruppi

    all'interno dei quali ci sono delle gerarchie. Tanto tra i maschi che tra le femmine ci sono

    elementi che tendono a comandare sugli altri con diverse modalita': in un caso basandosi

    piu' sullo scontro fisico nell'altro su quello verbale.

    Ho dunque proposto alle maestre una serie di giochi psicopedagogici che hanno

    l'obiettivo di rafforzare lo spirito di gruppo minimizzando la competizione a favore della

    cooperazione. A seguire riporto in forma di scheda i giochi da noi sperimentati nell'arco

    di quattro incontri di circa un ora e mezza ciascuno, e quindi le mie osservazioni sulle

    dinamiche del gioco.

    Scheda n.1

    SERPENTI VOLANTI.

    Modalita' di esecuzione del gioco

    I bambini vengono divisi in due o tre gruppi e disposti in fila indiana. In ciascun gruppo

    ci sara' un capogruppo ( il primo della fila) con funzione di guida e un ultimo che portera'

    alla cinta dei pantaloni un fazzoletto. Dal momento del VIA i “serpenti” inizieranno a

    correre cercando di non rompere le fila. Il capogruppo dovra' cercare di afferrare il

    fazzoletto di uno dei serpenti avversari.

    Finalita' formative del gioco

    Questo e' un gioco che sviluppa la coesione, la sincronia, la prontezza di riflessi e

    soprattutto la collaborazione aal'interno del gruppo.

    Scheda n.2

    BANDIERA CON I COLORI E LE SEDIE

    Modalita' di esecuzione del gioco

    E' una variante del vecchio rubabandiere, con la differenza che i giocatori anziche' stare in

  • piedi debbono stare seduti per scattare quando viene estratta la bandierina del proprio

    colore. Inoltre il giocatore che afferra la propria bandiera dovra' tornare al proprio posto

    mentre l'altro anziche' toccarlo, cerchera' di occupare il suo posto.

    Finalita' formative del gioco

    Il rubabandiere e' un gioco che mette in gioco tutta la struttura neuromuscolare e dunque

    investe varie abilita' tra cui la coordinazione e la prontezza dei riflessi, destrezza nella

    corsa e prontezza di riflessi. Da un punto di vista socioeducativo,

    favorisce lo spirito di

    gruppo e il lavoro di squadra, la capacita' di competere accettando i propri limiti. La

    variante delle bandierine colorate favorisce la distinzione dei colori, quella delle sedie,

    favorisce il cambiamento di ruolo.

    Scheda n.3

    GIOCO DELLA SCOSSA

    Modalita' di esecuzione del gioco

    Si formano due squadre che si allineano in fila tenendosi per mano. Il conduttore

    si colloca al centro tenendo per mano i primi bambini di ciascuna fila. Dal lato opposto

  • della stanza si metteranno due sedie che gli ultimi bambini di ciascuna fila dovranno

    raggiungere in corsa e occupare non appena riceveranno la scossa. La scossa altro non e'

    che una stretta di mano che viene data come input dal conduttore ai due bambini che tiene

    per mano, a seguire ciascun bambino dovra' trasmettere la scossa al suo compagno fino

    ad arrivare all'ultimo che dovra' scattare non appena la riceve per raggiungere in corsa la

    sedia.

    Finalita' formative del gioco

    Oltre a stimolare l'attenzione e la prontezza dei riflessi questo gioco rafforza la coesione

    del gruppo e insegna a lavorare insieme.

    Scheda n.4

    STREGA COMANDA COLORE

    Modalita' di esecuzione del gioco

    Un bambino o l'insegnante/educatore, rappresentano la strega che chiama un colore, tutti i

    bambini scappano finche' non toccano il colore comandato dalla strega.

    Finalita' formative del gioco

    Oltre a mettere in gioco la destrezza nella corsa e la prontezza di riflessi, sviluppa

    l'attenzione e il riconoscimento dei colori. Inoltre favorisce il superamento della

    competitivita'.

    Scheda n.5

    PASSA PAROLA

    Modalita' di esecuzione del gioco

    Questo e' un gioco della tradizione infantile che si puo' svolgere in cerchio, bisbigliando

    una parola all'orecchio del compagno. La parola corre lungo il filo immaginario del

    telefono e viene infine riportata ad alta voce dall'ultimo bambino. La regola da rispettare

  • in questo caso e' di non pronunciare ad alta voce la parola prima che finisca il giro.

    Finalita' formative del gioco

    Oltre a sviluppare l'attenzione il passaparola contribuisce a rafforzare il senso di

    collaborazione con i compagni ed inoltre non meno importante a rompere il ghiaccio e

    socializzare con un sorriso.

    Scheda n.6

    CHI E' LA PECORELLA

    Modalita' di esecuzione del gioco

    Il gioco si svolge in cerchio e inizia con una conta per stabilire chi esce per indovinare chi

    e' la pecorella. Una volta uscito uno dei bambini si mette al centro del circolo coperto da

    un telo. Si fa dunque rientrare il bambino che era fuori e che dovra' indovinare chi dei

    compagni si nasconde sotto la coperta usando i seguenti comandi:

    “Pecorella bela!”; “Pecorella mostra la zampetta” e cosi' via finche' il bambino riesce ad

    individuare chi e' la pecorella.

    Finalita' formative del gioco

    Questo gioco sviluppa la percezione uditiva e visiva e facilita la capacita' di

    discriminazione. Sviluppa inoltre la memoria, l'attenzione e la concentrazione e

  • favorisce il processo di identificazione dell'individuo rispetto al gruppo.

    Scheda n.7

    TOPOLINO, TOPOLINO....

    Modalita' di esecuzione del gioco

    I bambini si dispongono in circolo con le braccia in alto e al centro due giocatori

    rappresentano il topolino e il padrone del giardino. In coro i bambini recitano la

    filastrocca: P. “Topolino, topolino cosa fai nel mio giardino?” T. “Mangio l'uva”

    P. “E il permesso?” T. “ Fa lo stesso” P. “E la chiave?” T.”E' sotto il trave” P.” E il

    chiavino” T. “E' sul camino” P.”E se io ti prendo?” T. “Io scappo”.

    A questo punto il topolino scappa e il padrone del giardino cerca di prenderlo, entrando e

    uscendo dal cerchio.

    Finalita' formative del gioco

    Questo gioco facilita la destrezza nella corsa, l'astuzia e la prontezza dei riflessi. Dal

    punto di vista educativo, favorisce il superamento della competitivita', la memoria e la

    capacita' di misurarsi con gli altri accettando i propri limiti.

    Scheda n.8

    IL GIOCO DELLO SCATOLINO

    Modalita' di esecuzione del gioco

    Disposti in ordine sparso i bambini si rannicchiano su se stessi ad imitare gli scatolini

    chiusi. La maestra/educatore alterna i comandi “Dagli scatolini escono...” e “scatolino

    chiuso!”. I bambini fanno le imitazioni per poi richiudere lo scatolino a comando.

    Finalita' formative del gioco

    Il gioco sviluppa le capacita' motorie e l'attenzione. Educa il bambino all'autocontrollo e

  • ad adeguarsi ai comandi con rapidita'. Offre la possibilita' di esercitare la mimesi.

    Scheda n.9

    LA CHIOCCIA CHIAMA

    Modalita' di esecuzione del gioco

    Un bambino impersona la volpe che deve acchiappare i pulcini mentre camminano nel

    prato. Non appena la volpe scatta per acchiappare i pulcini la mamma chioccia che si

    trova in un area delimitata del campo comincia a chiamarli e i pulcini corrono da lei per

    non farsi acchiappare. Se la volpe riesce a catturarne uno questo diventa la volpe e il

    gioco ricomincia.

    Finalita' formative del gioco

    Anche questo gioco favorisce la destrezza e la prontezza di riflessi per reagire a situazioni

    improvvise. Aiuta inoltre il bambino ad inserirsi in una dinamica di gruppo e ad accettare

    cambiamenti di ruoli.

    Relazione degli incontri e osservazioni conclusive.

    Il primo incontro con i bambini e' avvenuto in classe dove mi sono presentata dicendo che

    ero li' per proporre loro dei giochi da fare tutti insieme, ho inoltre spiegato che questi

    giochi sono molto vecchi e che anche i loro genitori e le maestre li facevano.

  • Come di consueto i bambini si sono disposti in fila indiana per raggiungere la palestra

    imitando il verso del serpente. Giunti in palestra c'e' stato un primo approccio per

    conoscere i nomi dei bambini con la variante dell'uso della palla. Puo' parlare solo chi ha

    in mano la palla, gli altri dovranno cercare di rimanere in silenzio ed aspettare il proprio

    turno per presentarsi. La regola e' stata osservata da tutti.

    Abbiamo dunque iniziato con il gioco dei “serpenti volanti”, ottimo da usare sia come

    riscaldamento che per avvicinarsi e cominciare a lavorare insieme. In questo gioco e'

    tanto importante riuscire a prendere il trofeo ( il fazzoletto) che non farsi prendere il

    proprio, pertanto per una buona riuscita e' necessario che ci sia coesione.

    All'inizio c'e' stata molta confusione in quanto i serpenti non riuscivano a rimanere

    “uniti”, specialmente nella corsa. La maestra ha invitato i bambini a partire camminando

    per poi accellerare il passo e infine correre al mio VIA, mentre commentava l'azione

    descrivendo il movimento del serpente che striscia tra l'erba lentamente poi sempre piu'

    veloce. Pertanto al momento della corsa le fila si disfacevano quasi sempre, visto che

    c'era chi correva troppo e staccava il resto del gruppo. La seconda variante funzionale a

    far tener uniti i serpenti, e' stata quella di far agganciare i bambini alla maglietta anziche'

    con le mani sulle spalle: tra magliette che si allungavano di un metro e code vacanti, il

    gioco si e' risolto spesso con qualcuno che afferava il trofeo pur non essendo il

    capogruppo.

    Il secondo gioco, quello della “scossa” , al primo tentativo non e' riuscito affatto, poiche' i

    bambini non riuscivano a passarsi la scossa. Anche qui una semplice variante come alzare

    il braccio del vicino anziche' stringere la mano, ha facilitato lo svolgimento del gioco.

    Nel terzo gioco, il rubabandiere ci sono state delle difficolta' soprattutto nel primo

    incontro, dovute alla memorizzazione dei colori, sicche' per il secondo incontro la

    maestra ha realizzato dei cartoncini colorati da appendere al collo di ciascun bambino.

    La seconda variante, quella di occupare la seggiolina del compagno non e' stata presa in

    considerazione da nessuno, semmai c'e' stato chi si e' tuffato addosso all'avversario nel

    tentativo di appropriarsi del trofeo.

  • Tirando le somme, in questi primi due incontri ci sono state delle difficolta' dovute in

    parte al fatto che come mi facevano notare le maestre i bambini non sono piu' abituati a

    partecipare a questi giochi di gruppo, e dunque e' stato per loro il primo approccio al

    gioco con regole. Al riguardo ho constatato come scorporando dal gioco alcune regole, e

    focalizzandone lo svolgimento solo su una, il gioco ha una buona possibilita' di riuscita.

    In generale c'e' stata partecipazione e ilarita', anche se un vero e proprio entusiasmo c'e'

    stato solo per l'ultimo gioco, la “strega comanda colore” che non a caso e' quello in cui le

    regole sono ridotte al minimo e il bambino e' piu' libero di sfogarsi.

    Partendo da queste considerazioni, ho scelto per i successivi incontri due giochi che

    lasciano al bambino la possibilita' di esprimersi liberamente e su consiglio del maestro

    dei giochi del Master, Nicola Titta, ho introdotto dei giochi da svolgere in cerchio,

    modalita' che e' del tutto mancata nei precedenti incontri.

    Il cerchio ha aiutato molto i bambini a creare uno spirito di gruppo e ad inserirsi in una

    dinamica di gioco collettiva. Abbiamo iniziato con il passaparola: anche qui ci sono state

    delle difficolta', la linea cadeva spesso, anche se l'intervento della maestra ha consentito

    la ripresa del flusso comunicativo. Il secondo e terzo gioco si sono svolti pure in cerchio.

  • Nel gioco della “pecorella” ci sono state molte risatine specialmente quando a

    nascondersi sotto il telo e' stata la maestra. I bambini hanno risposto molto bene a questo

    gioco rispettando la regola di non rivelare chi e' la pecorella, forse perche' avevamo detto

    loro “il cerchio e' un recinto e i recinti non parlano”. Anche il terzo gioco “topolino,

    topolino...” ha coinvolto molto i bambini, che hanno partecipato recitando in coro la

    filastrocca che precede l'acchiapparella. Alcuni hanno poi infranto la regola di tenere le

    braccia alzate, e abbassandole hanno finito per avvantaggiare uno dei due compagni.

    Nel gioco dello “scatolino” i bambini si sono trasformati in animali che camminano,

    saltano, volano, strisciano, ruggiscono e pigolano, in elementi naturali e in oggetti

    familiari, esercitando cosi' le loro capacita' di mimesi anche interagendo tra loro. In alcuni

    momenti c'e' stata un'imitazione reciproca ad esempio quando ho detto “dagli scatolini

    escono dei frullatori”, dapprima i bambini hanno riprodotto suoni e azioni originali, poi

    hanno imitato una bambina che ha cominciato a girare su se stessa con le braccia

    spiegate. Il comando “scatolino chiuso” e' stato rispettato da tutti anche se non veniva

    eseguito subito, infatti anziche' rannicchiarsi sul posto in cui si trovavano, i bambini

    tendevano o a ritornare al punto da cui erano partiti o ad avvicinarsi gli uni agli altri.

    Sulla scorta di quanto appreso nel Master, nell'ultimo incontro con la classe ho condotto i

    bambini a sperimentare il passaggio da un elemento all'altro: la nuvola che diventa

    pioggia che va nel fiume per immergersi nel mare, oppure ho detto loro di essere un

    albero le cui foglie sono mosse dal vento finche' non arriva la pioggia, etc...

    L'ultimo gioco “la chioccia chiama”, molto simile a quello della “strega”, e' stato il piu'

    gradito a detta dei bambini stessi che al termine del terzo incontro ho richiamato in

    cerchio, per chiedere loro, sempre con la modalita' della palla, quale gioco preferivano.

    Dopo i “pulcini”, i piu' gettonati sono stati nell'ordine “il topolino”, “la pecorella”, la

    “scossa” e “rubabandiera”. Anche se nessuno ha menzionato il gioco dello “scatolino”,

    alcuni hanno nominato degli animali che avevano imitato in quel gioco.

    In conclusione, sebbene quasi tutti i giochi proposti ( ad eccezione della scossa e dei

    serpenti volanti), siano indicati nel manuale per gli educatori “Giocando s'impara” come

  • giochi per la scuola materna, alcuni erano meno adatti di altri, che non lo erano affatto

    almeno per questi bambini. Inoltre ho sperimentato un concetto che forse e' chiaro a chi

    l' educatore lo fa di mestiere, e che nel mio caso e' stata una scoperta e cioe' che nel gioco

    c'e' un osservazione continua, ed e' questo il punto di partenza per apportare poi dei

    cambiamenti: le varianti dei giochi sperimentati in questo contesto. Del resto non avrebbe

    senso pretendere che un gioco riesca al primo colpo, la parte piu' interessante di questo

    lavoro e' stata per quanto mi riguarda proprio sperimentare i modi per far funzionare i

    giochi. Infine, sono molto soddisfatta della collaborazione con le maestre, che mi hanno

    agevolato nel compito della conduzione, e di come hanno risposto i bambini, che hanno

    partecipato ai giochi e in alcuni casi li hanno eletti come propri. Sono rimasta infatti

    piacevolmente sorpresa nel vedere che, durante una festicciola extrascolastica dove

    erano presenti molti bambini della classe, il gruppo delle bambine stava giocando a

    “rubabandiera” con l'aiuto di una bambina piu' grande che deve aver illustrato loro come

    usare i numeri al posto dei colori. I maschi invece hanno voluto mostrarmi il loro gioco

    “prendi e mangia”, una sorta di acchiapparella. Nel corso della festa, hanno poi giocato a

    “passaparola” e a “chi e' la pecorella”, il tutto spontaneamente e in piena autonomia.

  • BIBLIOGRAFIA

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    – LUIGI GALLI, Giocando s'impara, “Editrice Berti”, 1998

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