Avevo deciso di vincere io

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Mi chiedo come si possa avere paura della notte; non posso neanche pensarlo

io, una di quelle persone che riesce a vederla come rifugio dell’anima, dei sogni. Non avevo paura della notte, io avevo paura del giorno, di cosa mi aspettasse, temevo di non essere abbastanza forte, di non fare di tutto per realizzare i miei sogni, gli stessi sogni di cui non parlavo, quelli che tenevo gelosamente racchiusi in fondo all’anima, quelli che durante la notte riuscivano a trovare la chiave per liberarsi e si moltiplicavano come funghi. Ero solo una 20enne e vivevo coni miei genitori, non sapevo cosa mi riservasse il futuro, ma ero certa di una cosa: prima o poi l’avrei urlata a tutti la mia infelicità. Sì, prima o poi sarei riuscita ad ammetterlo che la facoltà di medicina non faceva per me, che l’università non faceva per me; ma questo ancora non lo poteva immaginare nessuno.Come d’altronde avrebbero potuto

immaginare una cosa del genere i miei genitori? Avevano scelto tutto per me, solo che non avevano preso in considerazione il mio punto di vista, le mie aspirazioni. Io? Beh, io vivevo passivamente la mia vita, o almeno fino a quel 20 febbraio: me lo ricordo quel giorno, avevo dato un esame prendendo 26, ma loro, i miei genitori non potevano essere contenti, avrebbero voluto di più. No! Adesso basta! Sarei andata via da casa nell’arco di poche ore e non sarei più tornata. Ora sapevo esattamente cosa volevo e più nessuno mi avrebbe ostacolata. Suonavo il pianoforte da 10 anni ed era arrivato il momento in cui ciò che avevo sempre desiderato, doveva divenire realtà: dovevo diventare una pianista a tutti i costi. Fatte le valigie, mi ero fermata da un’amica e avevamo deciso di dividere le spese d’affitto. Avrei frequentato il conservatorio mantenendomi con un lavoretto, così qualche giorno dopo ero stata assunta in supermercato, reparto macelleria. All’inizio era molto bello, poi dopo qualche mese tutto divenne più pesante e sembrava quasi che il mio corpo non riuscisse a reggere lo sforzo. “Laura, sei stanca, dovresti prenderti qualche giorno di riposo”, mi suggeriva Elena, la mia coinquilina; ma io non volevo avere limiti, dovevo essere in grado di fare tutto. Così, nonostante la stanchezza, quel 16 maggio, ero andata a lavorare e a sforzo ero riuscita a tenere duro, resistendo fino alla fine del turno. Finalmente erano arrivate le 20.15, dovevo solo pulire l’affettatrice (una noia anche questa).“Laura ricordati di spegnere i macchinari sempre prima di pulirli, lava bene le mani, asciugale, stacca la spina e solo dopo pulisci”. Era stato molto chiaro, il mio capo Tommaso ed io fino a quel giorno l’avevo ascoltato. Ma ero sempre più convinta dell’inutilità di queste precauzioni. “Staccare la spina? E perché mai? Non si sarebbe mica attivata da sola la macchina”, pensavo. Quella sera, quindi,decisi di non ascoltare le parole di Tommaso, decisi di non perdere altro tempo e di non

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spegnere quella macchina:AVEVO DECISO DI VINCERE IO..O almeno

credevo che sarebbe stato così.. Ad un tratto, successe qualcosa di strano.. Non ricordo cosa, ricordo solo di non aver avuto il tempo di accorgermi di niente.. Mi svegliai il giorno dopo in ospedale senza una mano: avevano dovuto amputarla. Non volevo crederci, non potevo! Ed anche se miei genitori erano lì e facevano di tutto per consolarmi, io avevo capito che avrei dovuto rinunciare a tutto. Non era un incubo, avevo osato troppo, avrei dovuto riconoscere i miei limiti, ma non l’avevo fatto, ed ora era troppo tardi. Qualche mese più in là, dopo essere tornata a casa, avevo trovato nei miei genitori la forza di andare avanti riuscendo a finire il conservatorio nell’arco di quattro anni: mi ero diplomata in canto lirico.

Oggi, a 10 anni da quella brutta storia, sono un’insegnante di canto e sono felice. Il giorno non mi spaventa più ed ho capito l’importanza di regole e tutele. Non ero invincibile ed ora lo sapevo. Se sono spaventata dai limiti? Assolutamente no, ho imparato a volermi bene partendo proprio da quelli.