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Quaderno di lavoro e riflessione per ragazzi in ricerca vocazionale a cura dei Salesiani.

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INPUT

IL SOFFIO

Spirito del Padre vieni a vivere in noi: alleluia canteremo per le strade della vita.

• Vieni Padre dei poveri, vieni luce splendida.

• Scendi amico degli umili, forza per i deboli.

• Tu conforti chi è solo, salvi dai pericoli.

• Tu creatore dei mondi, ami la mia vita.

• Vieni a darci la pace, pace che ci libera.

IL CORPONON TUTTI ALLO STESSO MODO

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consacrare con l’unzione due nuovi re ed un profeta – rispettivamente Hazaèl, Ieu ed Eliseo - perché compiano la mis-sione che voleva affi dare loro. Dio infatti ha custodito per sé un piccolo resto del popolo (settemila persone) che è rima-sto fedele ed ora deve pensare a loro affi dando una missione specifi ca a de-gli uomini da lui scelti. Questi tre accet-teranno la propria vocazione e, come si legge nei successivi capitoli del Libro, svolgeranno il compito loro affi dato.

3. CHE RISPOSTA DIO SI ATTENDE DA ME?Davanti alla diffi coltà noi siamo tentati di fare come Elia, cioè fuggire, chiuderci in noi stessi e lasciarci andare. Al contra-rio l’agire di Dio, che fa tornare indietro il profeta e suscita tre nuovi chiamati, è sorprendente. Quando la situazione si fa complessa e le diffi coltà aumentano la risposta giusta è vivere bene la pro-pria vocazione.

Per provvedere a quella piccola por-zione di Israele rimasta fedele Dio su-scita, tramite Elia, due re ed un nuo-vo profeta; similmente nella Chiesa, il nuovo popolo di Dio, il Signore chiama ciascuno a vivere la propria specifi ca vocazione per il bene di tutti e per l’e-difi cazione della comunità. Ciò era sta-to ben compreso da don Bosco, che ha impegnato molte delle sue energie nell’accompagnare i suoi ragazzi nella scoperta della propria vocazione; il frut-to di questo lavoro, che fu per don Bo-sco motivo di grande fatica ma anche di grande gioia, si vede nelle migliaia di ragazzi dell’Oratorio di Torino che sono diventati salesiani, oppure preti dioce-sani, oppure sono partiti per le Missioni.

Tanto il popolo di Israele quanto la co-munità cristiana vive momenti di diffi -coltà e di infedeltà a Dio, per cui i “chia-

mati” hanno davanti a sé un compito arduo. Tuttavia la certezza che è Dio che chiama dona pace e forza per af-frontare il compito che viene affi dato per il bene di tutti.

4. IN SINTESI…Il Signore in questo passo ci ricorda quattro elementi di vitale importanza.

1. Momenti di diffi coltà, di peccato, di incomprensione sono sempre esistiti nella storia del popolo di Israele, della Chiesa e di ciascun cristiano.

2. Dio non si dimentica di chi vuole ri-manergli fedele e pensa a noi.

3. La vocazione, specifi ca ed originale per ciascuno di noi, è anzitutto un’ope-ra di Dio, che ci chiama ad una missio-ne.

4. Tale vocazione/missione ha lo sco-po di custodire il bene di tutti ed edifi -care la comunità; al contrario, rifi utare la propria vocazione specifi ca signifi ca lacerare la comunità e causare soffe-renze non solo a noi stessi, ma anche alle persone a noi vicine.

L’ECO

LA PAROLA

1 RE 19,15-1815Il Signore disse ad

Elia: «Su, ritorna sui

tuoi passi verso il de-

serto di Damasco;

giunto là, ungerai Hazaèl come

re di Aram. 16Poi ungerai Ieu, fi -

glio di Nimsi, come re di Israele

e ungerai Eliseo fi glio di Safàt, di

Abel-Mecola, come profeta al tuo

posto. 17Se uno scamperà dalla

spada di Hazaèl, lo ucciderà Ieu;

se uno scamperà dalla spada di

Ieu, lo ucciderà Eliseo. 18Io poi mi

sono risparmiato in Israele set-

temila persone, quanti non han-

no piegato le ginocchia a Baal e

quanti non l’hanno baciato con la

bocca.

1. DOVE CI TROVIAMO?Il passo che abbiamo letto è tratto da Primo Libro dei Re, opera storica dell’Antico Testamento, che narra le vi-cende del popolo di Israele dalla morte del Re Davide (970 a.C.) alla metà del secolo successivo. Si tratta di un pe-riodo in cui si alternano fedeltà a Dio e deviazioni verso il culto degli idoli, po-tenza politico/militare e lotte intestine, che culmineranno nella divisione politi-ca (l’unico Regno, forte ed unito sotto Davide e Salomone, si spacca nel Re-gno di Giuda ed in quello di Israele) e nello scisma religioso.

In questo diffi cile contesto svolgono la loro missione i profeti di Dio: Elia ed Eli-seo.

2. CHE COSA MI DICE DIO?Elia si trova nel deserto, dove è fuggito poiché l’empia regina Gezabele, che aveva condotto il marito, il re Acab, a lasciare la fede in YHWH per adorare Baal (l’idolo), aveva intenzione di ucci-derlo. Giunto al monte Oreb si sfoga con Dio, dicendogli che da un lato è pieno di zelo e di amore per lui, dall’al-tro però gli Israeliti hanno abbandonato la fede dei padri, hanno assassinato i profeti ed ora questa sorte tocchereb-be a lui, che è rimasto solo.

Davanti a questa situazione molto dif-fi cile Dio non inizia a consolare Elia e neppure lo invita a continuare la sua fuga per mettersi in salvo. Al contrario gli ordina di tornare sui propri passi e

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IL GRIDO

L’IMPEGNO

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1. Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco. Dio invita Elia a non scoraggiarsi ed a tornare indietro, in mezzo al popolo a cui era stato inviato. Come vivi le diffi coltà, le incomprensioni, le fatiche? Ti succede di lasciarti andare e non vivere bene il compito che Dio ti ha affi dato?

2. Ungerai Hazaèl come re di Aram. Poi ungerai Ieu, fi glio di Nimsi, come re di Israele e ungerai Eliseo fi glio di Safàt, di Abel-Mecola, come profeta. Tre personaggi, ciascuno con una propria vocazione specifi ca. Sei conscio di avere una tua vocazione specifi ca nella Chiesa? Ti sei mai interrogato su questo punto? Sai che dal modo con cui vivrai la tua vocazione dipende la felicità tua e di tante persone che ti sono accanto?

3. Io poi mi sono risparmiato in Israele settemila persone. Dio pensa al piccolo resto che gli è rimasto fedele. Ti accorgi delle necessità delle persone che ti sono vicine? Ti metti in gioco per venire loro incontro e prestare un aiuto concreto?

4. Dio chiama Hazaèl, Ieu ed Eliseo tramite il profeta Elia. Quali sono per te le mediazioni che ti aiutano a capire qual è la tua specifi ca vocazione?

PER LA TUA VITA

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cifi ca. La missione specifi ca dei ministri ordinati (vescovi, presbiteri e diaconi), è quella di continuare nel tempo il ministe-ro apostolico, cioè la guida del Popolo di Dio, l’insegnamento della Parola, e l’am-ministrazione dei Sacramenti. Le per-sone consacrate (per esempio religiosi e religiose), che abbracciano i consigli evangelici, hanno come missione spe-cifi ca quella di fare propria – nella casti-tà, nella povertà e nell’obbedienza - la forma di vita praticata personalmente da Gesù e da lui proposta ai discepoli”. (GIOVANNI PAOLO II, Vita consacrata. Esortazione apostolica post-sinodale, Roma 25 Marzo 1996)

3. LA SPECIFICITÀ VOCAZIONALE Cosa stai facendo della tua vita? Come ti poni dinanzi al tuo futuro? Quali carte stai giocando o quale atteggiamento stai assumendo per entrare da prota-gonista nella sfi da dell’esistenza?

Qui ne va della tua felicità, di quella sen-sazione di pienezza che è legata alla consapevolezza d’aver camminato per la strada giusta e d’esser giunto a dare il meglio di te. Per noi cristiani questa sen-sazione di felicità è connessa a una pre-cisa condizione: realizzare il piano di Dio. E qual è, allora, il sogno di Dio su di te? Anzitutto che tu creda che Dio ti chiama e ti sta chiamando, senz’alcun dubbio, che tu pensi alla tua vita e al tuo futu-ro in questa prospettiva, non come a un progetto solo tuo, o pensato dentro categorie piccole e meschine (come, ad es., la categoria della prospettiva economica, del benessere materiale, dell’appagamento affettivo, della sca-lata professionale...), ma come risposta e accoglienza di un progetto che viene dall’alto e che si concretizza in una scel-ta vocazionale specifi ca.

“Dio sa bene qual è lo scopo che cia-

scuno di noi deve realizzare nella sua vita per essere felice! Sa anche quale sarebbe la via migliore per realizzar-lo. Tuttavia, non ci obbliga: non siamo macchine, siamo persone e la sua volontà non è destino, è Provvidenza! La strada per arrivare alla felicità, Dio la vuole costruire con noi, rispettando le nostre scelte, anche quando sono sbagliate, anche quando ci allontana-no dalla meta. Dio però non cessa di mandarci dei segni per indicarci la stra-da giusta: a noi l’intelligenza di saperli cogliere, di saperne approfi ttare! Nella vita possiamo sbagliare molte cose ma non possiamo sbagliare la vocazione, non è lecito sbagliare le scelte fonda-mentali perché ne andrebbe della no-stra felicità. Se uno sbaglia vocazione, non va all’inferno! Però, non sarebbe così felice come se realizzasse la sua vera vocazione. Come vedi, Dio che ti ha creato, non ti molla un momento, ti tiene sempre per mano per farti rea-lizzare il desiderio di amore e di felicità che c’è in te.” (Mons. Giuseppe Mani, Vivere... è rispondere).

“Solo una cosa è certa: che ognuno che segue la sua vocazione specifi ca e le rimane fedele non viene abbandona-to da Dio. Incerto rimane invece quan-to a lungo la pazienza di Dio continua a seguire uno che fa resistenza e che si chiude. C’è nella vita normale dei cri-stiani una sovrabbondanza di pazienza divina, ma il conferimento di una voca-zione specifi ca può sopraggiungere solo una volta, in un’ora decisiva. Se l’uomo la perde, perde la sua missione; e Dio non mancherà di farlo presente a colui che rifi uta. Colui che risponde di no si tira dietro un’incalcolabile sventura, perché egli non dice mai no solamen-te per se stesso, ma per tutti quelli che dipendono dalla sua missione. La vita di colui che non segue la sua vocazio-ne specifi ca rimane necessariamente

1. LA VOCAZIONE ALL’AMORE“L’amore non è semplicemente un de-siderio di Dio e neppure un consiglio: è un comandamento. Chi non ha l’amore è a tal punto caduto fuori dalla sua vo-cazione che egli, pur essendo vivente quanto al corpo, è morto. La vocazione all’amore è assoluta, non tollera alcuna eccezione, è di tale necessità che il non adempimento di questa vocazio-ne equivale ad un assoluto andare in rovina.” (Balthasar, Gli stati di vita del cristiano, pp. 21-22).

2. LE DIVERSE VOCAZIONI“La parola vocazione nel suo senso let-terale non vuol dire altro che chiamata. Viene in primo luogo la gran chiamata che tutti già abbiamo avuto alla religio-ne cristiana. (...) Questa parola si usa specialmente per indicare la chiamata che il Signore fa a ciascun uomo riguar-do all’elezione del suo stato. (...) In due grandi gruppi si dividono queste vie; chi

intraprende a servir Dio nello stato se-colare e chi è chiamato a servir Dio nel-lo stato ecclesiastico o religioso.” (MB XI, pag. 573)

“Tutti i cristiani condividono una comu-ne dignità, sono chiamati alla santità e cooperano all’edifi cazione della Chie-sa. Questa comune dignità è fondata sul Battesimo e sulla Cresima ed è raf-forzata dall’Eucaristia.

Ma è opera dello Spirito anche la pluri-formità. E’ lui che costituisce la Chiesa nella diversità di vocazioni, carismi e mi-nisteri. La vocazione alla vita laicale, al ministero ordinato e alla vita consacra-ta si possono considerare dei “model-li”, dal momento che tutte le vocazioni particolari si richiamano o si riconduco-no ad esse.

Tutti nella Chiesa sono consacrati nel Battesimo e nella Cresima, ma il mi-nistero ordinato e la vita consacrata suppongono ciascuno una distinta vo-cazione ed una specifi ca forma di con-sacrazione, in vista di una missione spe-

ACTIO

LA RISPOSTA

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è facile descriverla. Personalmente ho avuto la grazia di “leggere” tante anime, aiutandole a discernere la propria vo-cazione e mi sono fatto una convinzio-ne: la vocazione è il piacere, il desiderio di fare una determinata cosa. Il desi-derio, il bisogno di sposarsi, esprime la vocazione al matrimonio; il desiderio, il bisogno di consacrarsi a Dio, quella di sposarsi con Dio. Ogni ulteriore spiega-zione mi sembra superfl ua. Ma come si scopre la propria vocazione? Ecco cin-que regole che proponevo ai bambini, per indovinare cosa avrebbero dovuto fare in futuro.

PRIMA REGOLA: devo fare ciò che mi piace di più, cioè quello che rea-lizza il desiderio più profondo nascosto nel mio intimo e che, quasi mai, è il pri-mo che salta in mente; anzi, di solito è quello che mi fa più paura di tutto.

SECONDA REGOLA: sce-gliere ciò che mi costa di più: la vita è impegno e responsabilità ed è solo attraverso lo sforzo che si realizza il meglio di noi stessi. A questo pro-posito, ricordo un giovane sacerdote che, dopo una collaborazione di di-versi anni con me, prima di partire per un altro servizio, mi lasciò un biglietto sul quale aveva scritto: “Ti ringrazio, perché mi hai chiesto sempre più di quanto pensavo potessi dare”.

TERZA REGOLA: preferire sempre ciò che serve di più agli altri: in-fatti chi ama la propria vita, la perde; chi dona la propria vita, invece la trova.

QUARTA REGOLA: sceglie-re solo ciò che mi dà la vera pace del cuore: la scelta più autentica, anche se molto diffi cile, è quella che, sia quan-do la immagino che quando l’attuo, è quella che dà pace al mio cuore inquie-to, facendomi sentire al giusto posto.

QUINTA REGOLA: consultarmi con una persona adulta e che mi cono-

sce bene, per verifi care se ho applica-to correttamente le regole precedenti e se sono suffi cientemente obiettivo nel mio giudizio. Attenzione! Applicare queste regole, vuol dire contestare il comune modo di pensare che, invece, preferisce ragionare così: “Se vuoi es-sere pienamente realizzato, scegli solo ciò che ti fa guadagnare di più e con meno fatica possibile!”” (Mons. Giu-seppe Mani, Vivere... è rispondere).

IL METODO DI DISCERNIMENTO PROPOSTO DA DON BOSCO AI SUOI RAGAZZI

GUARDARSI DENTRO

“Ora per vedere se uno sia chiamato a vivere nel secolo, io direi:

- Tu ti senti inclinato ai commerci, ai la-vori, ai negozi?

- Io per me, sì ho molta propensione per queste cose.

- Ancora: Non ti piacerebbe servir Dio da ecclesiastico? Non ti dan gusto i servizi di chiesa? Non ti senti inclinato a questo?

- Per me, non ho alcuna inclinazione a queste cose.

- Non ti pare che, stando ritirato, con-durresti una vita migliore? Che invece così ti trovi esposto a mille pericoli? Anzi a diverse cadute?

- Oh questo poi sì.

- Allora qui comincia a farsi luogo a dubbio; ma non basta ancora. Ho an-cora una domanda a farti prima di dir-ti che puoi star tranquillo nel tuo stato laicale. (...) ti sei già sforzato colla pre-ghiera, colla frequenza ai sacramenti, colle buone opere di conoscer questa tua vocazione? (...) Se tu non hai an-cora fatto ciò, come vuoi che il Signore abbia potuto farti sentire la sua voce?

incompiuta, desiderio vuoto, che non attende più nulla. La sorte di colui che rifi uta è dominata da questa inutilità.” (Balthasar, Gli stati di vita del cristiano, pagg. 380.405.407.437.439).

“Dice S. Agostino, che il Signore co-sparge delle sue grazie la strada per cui ci chiama, e che chi si mette per quella via per cui è chiamato, va avanti tranquillo; chi invece vuol fare il reniten-te, resta per lo più infelice su questa terra.” (MB XI, pag. 575)

4. IL DISCERNIMENTO VOCAZIONALE“Il giovane in ricerca sa che deve aspettare, che non può amministrare e orientare la sua vita defi nitivamen-te, poiché Dio ha forse in mente di compiere con lui qualcosa di specia-le. Sarebbe sbagliato dare inizio al di-scernimento vocazionale come se si provassero possibili forme di vita come vestiti, per vedere quale mi sta meglio, mi soddisfa di più e mi va a genio. Alla volontà di Dio ci si avvicina il meglio possibile eliminando tutti i punti di vi-sta egoistici. Questo avvicinamento rimane per il giovane in ricerca per lo più graduale: ogni piccola obbedienza a Dio, anche se apparentemente non è in connessione alcuna con la scel-ta della vocazione, è un passo verso il grande e decisivo atto che riesce solo se si ha già imparato ad obbedire. Dio non pone nessuno davanti ad una scelta di vita impreparato: se lo scolaro fallisce, questo è solo perché egli già da tempo stava rispondendo di no. Per percepire chiaramente la chiama-ta di Dio nella quotidianità del mondo non si richiede niente di più che il puro, semplice atteggiamento della fede: “per fede Abramo ubbidì alla chiama-ta di Dio”. Se non si frappone nessuna disobbedienza da parte del giovane

in ricerca o delle guide responsabili - genitori, maestri, preti - Dio rischiarerà talmente la conoscenza, che una scel-ta esatta diventa inevitabile.” (Baltha-sar, Gli stati di vita del cristiano, pagg. 412.428.431.399.421).

COME DISCERNERE I PROGETTI DI DIO? “Nella vita quotidiana, il discernimento è la capacità di distinguere ciò che nelle mie azioni è secondo lo Spirito di Cristo e ciò che gli è contrario. Spirito di Cristo è attenzione all’umiltà, all’accettazione della prova, alla carità, alla pazienza, alla benignità, alla gioia. Spirito contrario a Cristo è volontà della realizzazione di sé, gusto della mondanità, ricerca del successo e pretenziosità.

Il discernimento ci dà la consapevo-lezza di essere continuamente sotto la mozione dello Spirito Santo (che ci spinge a vivere le Beatitudini) e sotto la mozione dello spirito maligno (che ci spinge all’ambizione, alla vanità, al successo, al parlar male degli altri). Il discernimento è la capacità di non agi-re per impulso, di capire da dove viene quell’impulso e se produce amarezza, invidia, irritazione, oppure pace, gioia, serenità, desiderio di pregare.

Questo discernimento quotidiano crea l’abitudine al discernimento vocaziona-le; a discernere, nell’insieme dell’impo-stazione della mia vita, che cosa è più conforme allo Spirito di Cristo. I nostri progetti sono dunque conformi a quelli di Dio quando corrispondono ai proget-ti di Cristo. Per questo è assolutamente importante l’esercizio della lectio divina, che ci permetto di conoscere, giorno dopo giorno, come Gesù agiva, pen-sava, amava, godeva, voleva, serviva, si donava.” (Card. Carlo Maria Martini)

“Riconoscere una vocazione è l’espe-rienza più personale che esista e non

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LA DOMANDA

1. Senti già oggi la Chiesa come la casa in cui sei chiamato a trovare il tuo, e solo tuo, posto? O la Chiesa ti è comoda a volte e scomoda altre?

2. Davanti a quello che ti accade ogni giorno nasce in te la domanda: ”Signore, cosa vuoi che io faccia?”

3. Nella tua esperienza cosa ti è utile per riconoscere la volontà di Dio? Quali dei consigli su cui abbiamo rifl ettuto ti sembra il più utile ed urgente per te?

- Conosciuto che uno non è chiama-to allo stato ecclesiastico o religioso, allora di poca importanza sarà il fare piuttosto il fabbro che il falegname, il calzolaio che il sarto, l’impiegato che il negoziante.

Ora veniamo all’altro. Esso dice:

- Io vorrei sapere se ho la vocazione ecclesiastica o religiosa.

- Hai tu desiderio o propensione a farti prete o religioso?

- L’ho.

- Seconda domanda: ti compiaci nel servizio delle funzioni, nell’ascoltar messa, accostarti ai sacramenti, impa-rar cerimonie?

- Mi compiaccio.

- Allora io vengo alla terza domanda: come stai riguardo a probità di costu-mi? (...)

- Mi pare che colla grazia del Signore non mancherò contro questo.

- Allora bene. (MB XI, pagg 573 - 574)

DEVOZIONE ALLA MADONNA

“Riguardo alla vocazione, Maria Vergi-ne aiuta molto: ed uno che da solo fa poco, coll’aiuto di Maria fa molto.” (MB XII, pag. 578)

CONFESSIONE STABILE

È un consiglio, o miei cari fi gliuoli, che io dò e che danno anche i Santi, che ciascuno dovendo trattare d’una cosa di tanta importanza, quale è quella di conoscere la chiamata del Signore, deliberi intorno a ciò col suo confesso-re ordinario. Questi, conoscendo già la condotta da noi tenuta per l’addietro ed inoltre essendo munito dei lumi che il Signore gli suole mandare in siffatte circostanze, più facilmente e più sicu-ramente potrà discernere fra le altre la

via tracciata da Dio.” (MB XI, pag. 234)

DIREZIONE SPIRITUALE

“Ora venendo a conchiudere qualche cosa di pratico, se io dovessi dare un consiglio a costoro che si sentono dubbiosi nella vocazione, il mio consi-glio sarebbe questo. Non si prendano risoluzioni senza essersi ben consigliati. Le altre decisioni prese sarebbero im-mature. E a chi domandar consiglio? Io credo che nessuno possa consigliar meglio che il Direttore della propria co-scienza.” (MB XI, pag. 300)

CORRISPONDERE SUBITO

Il Signore ci mette in circostanze tali che noi non abbiamo che da andare avan-ti, solo che noi corrispondiamo. Riesce diffi cile a conoscersi, quando non si ha voglia di seguirla, quando si rigettano le prime ispirazioni: è lì che s’imbroglia la matassa.Uno comincia a non seguire la sua vocazione e poi non sa: gli pare, non gli pare... Si segua il primo impulso della grazia e le cose cambieranno d’a-spetto. Vedete, quando uno è indeciso se abbia da farsi religioso o no, io vi dico apertamente, che costui ebbe la voca-zione, non l’ha seguita subito e si trova ora un po’ imbrogliato, un po’ indeciso. Ditegli pure che preghi, che si consigli; ma fi n che non dà un calcio a tutto e si getta nelle mani di Dio unicamente, co-stui sarà sempre irrequieto. Fate che si decida a farsi religioso; egli entra, e con quell’atto fi niscono tutte le sue irrequie-tudini. (MB XI, pagg. 511 - 512)

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OUTPUT

1. Riprendere in mano la regola di vita scritta nei primi due anni del GRADO, verifi carla e aggiornarla alla luce delle indicazioni relative al di-scernimento vocazionale.

2. L’anno del GxG è l’anno di ap-profondimento sul carisma salesia-no. Il modo per conoscerlo, capirlo e amarlo è viverlo: chiedi al tuo sa-lesiano di riferimento quale incarico puoi prenderti per quest’anno a tutto don Bosco.

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IL CAMMINODI SANTITÀSALESIANA

2INPUT

Spirito di Dio riempimiSpirito di Dio battezzamiSpirito di Dio consacramivieni ad abitare dentro me Spirito di Dio guariscimiSpirito di Dio rinnovamiSpirito di Dio consacramiVieni ad abitare dentro me Spirito di Dio riempiciSpirito di Dio battezzaciSpirito di Dio consacraciVieni ad abitare dentro noi (2 v.)

IL SOFFIO

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L’ECO

LA PAROLA

LECTIO GEN 37,1-81Giacobbe si stabi-

lì nella terra dove suo

padre era stato fore-

stiero, nella terra di

Canaan. 2Questa è la

discendenza di Giacobbe.

Giuseppe all’età di diciassette anni

pascolava il gregge con i suoi fra-

telli. Essendo ancora giovane, sta-

va con i fi gli di Bila e i fi gli di Zilpa,

mogli di suo padre. Ora Giuseppe

riferì al padre di chiacchiere ma-

ligne su di loro. 3Israele (Giacob-

be) amava Giuseppe più di tutti i

suoi fi gli, perché era il fi glio avuto

in vecchiaia, e gli aveva fatto una

tunica con maniche lunghe. 4I suoi

fratelli, vedendo che il loro padre

amava lui più di tutti i suoi fi gli, lo

odiavano e non riuscivano a parlar-

gli amichevolmente. 5Ora Giuseppe

fece un sogno e lo raccontò ai fra-

telli, che lo odiarono ancora di più.

6Disse dunque loro: «Ascoltate il

sogno che ho fatto. 7Noi stavamo

legando covoni in mezzo alla cam-

pagna, quand’ecco il mio covone si

alzò e restò diritto e i vostri covoni

si posero attorno e si prostrarono

davanti al mio». 8Gli dissero i suoi

fratelli: «Vuoi forse regnare su di noi

o ci vuoi dominare?». Lo odiarono

ancora di più a causa dei suoi sogni

e delle sue parole.

DOVE CI TROVIAMO?Il libro della Genesi, dopo aver lunga-mente narrato –a partire dal cap. 12- le vicende dei Patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe/Israele, ora dedica una lunga sezione (capp. 37-50) alla tradi-zione di Giuseppe, fi glio di Giacobbe. All’antefatto (Giuseppe venduto dai suoi fratelli invidiosi agli Aramei, i quali a loro, volta lo vendono a Potifar, consi-gliere del Faraone; cap. 37, che stiamo leggendo) seguono le disavventure di Giuseppe nella casa del funzionario (cap. 39), la manifestazione della sua capacità di interpretare i sogni (capp. 40-41), la sua ascesa nella corte fara-onica (cap. 41), le due discese dei suoi fratelli in Egitto a causa della carestia e la manifestazione di Giuseppe (capp. 42-45), la discesa di Giacobbe e l’in-contro con Giuseppe (capp. 45-47), gli ultimi atti di Giacobbe in Egitto (capp. 48-49), la morte di Giacobbe e di Giu-seppe (capp. 50).

CHE COSA MI DICE DIO?L’adolescente Giuseppe è oggetto di predilezione da parte di suo padre, il quale gli fa dono di un abito principe-sco (la “tunica dalle lunghe maniche”), che non permette il lavoro manuale; da parte sua Giuseppe si guadagna la stima del padre non solo per il fatto di esser il “fi glio avuto in vecchiaia”, ma

anche per la sua rettitudine, per cui gli riferisce tutte le denigrazioni che face-vano gli altri fratelli (cfr. v. 2).

Giuseppe è oggetto di predilezione da parte di Dio stesso, che gli fa dono dei sogni e della profezia: Giuseppe infat-ti vede fi n dall’adolescenza il progetto grandioso che il Signore ha su di lui e che si realizzerà in Egitto, quando, go-dendo della sua posizione di privilegio nella corte faraonica, accoglierà i suoi fratelli, che dovranno chiedergli asilo ed aiuto a causa della carestia.

CHE RISPOSTA DIO SI ATTENDE DA ME?L’elezione da parte di Dio (cioè la sua predilezione) non può essere ignora-ta o nascosta; è un dono che l’uomo riceve perché compia una missione a favore dei fratelli.

Per questo motivo Giuseppe condivide il suo sogno con i suoi fratelli, i quali, es-sendo già maldisposti nei suoi confron-ti ed invidiosi per l’affetto particolare di Giacobbe, trovano un appiglio defi ni-tivo per tramare contro di lui (infatti lo rapiranno, lo spoglieranno e lo vende-ranno come schiavo).

Viene in mente la vicenda di Giovanni Bosco, che, pur nella sua situazione di disagio (è orfano e vive con la madre vedova e povera), tuttavia riceve un segno di predilezione da parte di Dio, che con i sogni, che caratterizzano la sua vita fi n dall’età di 9 anni, lo guida ad una missione nuova e speciale; come Giuseppe Giovannino condivide con la sua famiglia questo “sogno che viene da Dio” e come Giuseppe non è com-preso (se non da sua madre), anzi è oggetto di ancor maggiore ostilità da parte del fratello Antonio.

IN SINTESI…Dal passo che abbiamo lette possiamo ricavare alcuni tratti fondamentali della predilezione che Dio manifesta verso l’uomo quando gli fa dono di un “cari-sma” speciale.

1. La predilezione di Dio si rivela anzi-tutto nella vita e negli incontri quotidia-ni (cfr. il dono della tunica da parte del padre).

2. La predilezione è un “dono che vie-ne dall’alto”, un dono gratuito e non meritato, un dono eccezionale (cfr. i sogni profetici di Giuseppe).

3. Questi doni che Dio ci fa sono per la costruzione di un progetto più gran-de a favore delle persone a noi vicine (cfr. le imprese che Giuseppe compirà in Egitto).

La tradizione cristiana ha un’espressio-ne sintetica per dire questa realtà: ca-risma. E’ il dono speciale (cioè di predi-lezione) che Dio fa ad alcune persone, perché lo coltivino per il bene dei fra-telli. Don Bosco ha ricevuto un carisma speciale (quello salesiano), che a sua volta noi riceviamo da lui nella forma della Spiritualità Giovanile Salesiana.

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1. Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi fi gli… e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe. La predilezione di Dio per noi si manifesta nella nostra storia quotidiana. Fa’ l’eser-cizio di trovare i “segni di predilezione” che il Signore ha disseminato nella tua vita.

2. Ora Giuseppe fece un sogno... Giuseppe riceve “dall’alto” un dono speciale. Fa’ un secondo esercizio: trova i doni che hai ricevuto frequentando la casa salesiana, conoscendo don Bosco, appro-fondendo la sua storia e la sua spiritualità.

3. … e lo raccontò ai fratelli. Giuseppe non tiene per sé il dono che ha ricevuto dall’alto, ma lo condivide con i fratelli. Fa’ un terzo esercizio: passando in rassegna i doni che hai trovato poco sopra, vedi quali valorizzi per il bene degli altri, quali tieni solo per te, quali addirittura ignori e non fai fruttifi care.

4. Noi stavamo legando covoni in mezzo alla campagna, quand’ecco il mio covone si alzò e restò diritto. Il sogno di Giuseppe è per una missione più grande che egli deve compiere. Ti sei mai interrogato su che cosa vuol dirti Dio disseminando la tua vita di “segni di pre-dilezione”? C’è qualcuno che ti aiuta a cogliere il senso della tua storia e delle tua appartenenza alla casa salesiana?

PER LA TUA VITA

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1. PREMESSAParliamo della santità salesiana: ogni santo ha un proprio modo di incontra-re Dio, diverso dagli altri. Così anche don Bosco e Madre Mazzarello han-no un modo di vivere la santità, simile tra loro ma diverso da altri santi che conosciamo. In don Bosco, come in ogni altro san-to fondatore, lo Spirito ci mostra un cammino originalissimo di santità, cioè di perfezione cristiana, che vuol donare a tutta la chiesa.A quali tratti del vangelo don Bosco è stato più sensibile? Quali vie par-ticolari percorre la strada salesiana alla santità? Quali le tappe essenziali di questo cammino che don Bosco ha percorso per primo sotto la guida dello Spirito Santo e che ora ci viene donato a noi?Sono queste le domande a cui voglia-mo rispondere. Perché la chiesa ci ri-corda che la vocazione alla santità è per ogni battezzato, ma ognuno deve

capire lungo quale via di santità il Si-gnore desidera condurlo.Nella vita del nostro caro don Bosco scopriamo ad ogni passo, fatti, det-ti, testimonianze che ci svelano tutta la specifi cità di questo cammino che col tempo ha assunto sempre più una coloritura tutta particolare, fi no al punto di poter parlare giustamente di spirito salesiano; cioè quei particola-rissimi tratti della fi sionomia umana e spirituale che don Bosco e i suoi fi gli hanno vissuto e che la chiesa ha rico-nosciuto come autentiche vie di san-tità dichiarando santo il fondatore e approvando le costituzioni salesiane.

2. LO SPIRITO SALESIANO NELLA VITA DI DON BOSCOCi mettiamo ora in umile ascolto di alcuni episodi emblematici della vita di don Bosco per lasciarci istruire su quali siano questi specifi ci tratti evan-gelici che disegnano la via salesiana alla santità.

ACTIO

LA RISPOSTA

IL GRIDO

L’IMPEGNO

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DON BOSCO LADRO?È il 1847, l’oratorio si è stabilizzato a Val-docco da solo un anno e don Bosco inizia ad organizzare in maniera sem-pre più stabile l’oratorio; appena don Bosco ha fatto incominciare la cate-chesi domenicale ecco che non si ac-contenta dei ragazzi che sono arrivati…Quando ogni classe, anche quella del coro, aveva il proprio catechista ed un predicatore era pronto a sostituirlo, egli [don Bosco] percorreva un largo spa-zio della regione all’intorno, in cerca di pecorelle randagie, ossia di quei giova-notti ai quali non era facile far intendere ragione.Costoro, invece di andare alle parroc-chie, si radunavano nei prati, nei viali e specialmente sotto ai portici delle case campestri a giocare. Egli si avvicinava bel bello a questi gruppetti e con aspetto indifferente stava osservando il gioco. In mezzo, sopra una sedia o il più sovente per terra, avevano steso un fazzoletto che serviva da tavoliere sul quale met-tevano i danari della partita. Si giocava disperatamente alle carte: a tresette, all’asina, alla capra, e alcuni di questi gio-chi, come per esempio la capra, erano proibiti dalle leggi. Sul fazzoletto si trova-vano ammucchiate da 15 a 20 e più lire per giocata. Non era raro il caso che una questione di gioco fi nisse a coltellate.D. Bosco quindi si intrometteva nel loro divertimento, e talora vi prendeva parte egli pure. Ma quando vedeva il fazzoletto ben provvisto di lire e i gio-catori scaldati nel gettar le carte, velo-ce come un lampo, prendeva i quat-tro angoli del fazzoletto e avvolgendo danari e carte, il tutto prendeva con sé fuggendo via con rapidità.I giovani sbalorditi si alzavano e gli cor-revano dietro gridando: - I danari, ci restituisca i danari! - Ma non poteva-no raggiungere D. Bosco, il quale nella corsa aveva pochi che potessero star-gli a paro. Di quando in quando egli si

voltava dicendo loro: - State sicuri; non voglio rubarvi i danari; venite con me, correte, raggiungetemi. Vi restituirò il danaro, anzi vi darò altri regali dei quali voi sarete contenti. Venite, correte.E così l’uno fuggendo e gli altri inse-guendolo giungevano alla porta dell’O-ratorio.La cappella era piena di giovani. Il Teol. Carpano, o il Teol. Borel, era in pulpito che già predicavano. Ma al giungere di D. Bosco con quella nuova turba di monelli, era indispensabile prendere un fare spigliato e giocoso. Si trattava di calmare quei giocatori irritati dal-la sorpresa poco gradita che loro era stata fatta, e di attirarli in chiesa, e farli restare alla predica. D. Bosco entrava fi ngendosi ora un negoziante, ora un giovinastro mandato per forza dalla madre a udire la predica, ora uno invita-to dal Direttore a venire all’Oratorio, ora anche un buon compagno che aveva condotti altri suoi bravi amici. I giovani già in chiesa si volgevano ridendo, e contenti della scena, che si preparava, si alzavano in piedi per vedere.D. Bosco si avanzava talvolta come se fosse un venditore ambulante e gri-dando. - Torroni, torroni! Chi compra torroni!Il predicatore dal pulpito si rivolgeva a lui: Ehi, disperato: esci di chiesa! E for-se questa la piazza del mercato? - Oh bella! Io faccio i miei affari dove c’è da guadagnare. Ho visto qui tanti giovani e ho pensato di vendere i miei torroni. - E questo è il rispetto che porti alla casa di Dio?I due interlocutori parlavano in piemon-tese con espressioni vivacissime di questo dialetto e, o si proseguiva l’ar-gomento in corso, ovvero s’interrom-peva, per intrattenersi sul rispetto alla chiesa, sulla santifi cazione delle feste, sul giuoco, sulla bestemmia, sulla con-fessione.

I giocatori, entrati in chiesa, all’udire quell’inaspettato battibecco si ferma-vano, prestavano attenzione, rideva-no, fi nivano con sedersi se vi era ancor posto, e stavano tranquilli fi no alla fi ne del dialogo. Per questo genere di pre-dicazione D. Borel e D. Bosco, facen-do l’uno da maestro e l’altro da allievo, disponevano di tanta destrezza ed ar-guzia da farla durare anche un’ora e mezzo, sì che i giovani provavano rin-crescimento quando fi niva.Si incominciava quindi il canto delle lita-nie. D. Bosco, era sempre in fondo alla chiesa in mezzo a’ suoi merlotti. Qual-cuno di quei garzoni gli diceva sotto voce. - Quando mi restituisce i soldi? - E D. Bosco: - Ancora un momento; lascia che si dia la Benedizione. - Allora invitava quei giovani a uscire con lui, li conduceva nel cortile, loro restituiva il danaro, aggiungeva qualche bel dono, si faceva promettere che sarebbero venuti tutte le domeniche all’Orato-rio, e che non avrebbero più giocato come prima. Loro, faceva vedere i bei divertimenti che vi erano all’Oratorio, e li salutava in modo tale che innamorati delle sue maniere, diventavano pre-sto suoi amici. E la domenica seguen-te iniziavano a venire all’Oratorio. (MB III,122-125)

CACCIATO DA ALTRI COLLEGIOgni ragazzo che entrava a far parte dell’oratorio di San Francesco di Sales, specie se stava lì come interno, cioè giorno e notte, veniva sempre accom-pagnato da una lettera di presentazio-ne del parroco o dai genitori. Non sem-pre le premesse erano le migliori, ma don Bosco non si spaventa…

D. Bosco un mattino dalla chiesa saliva in camera sua; sul balconcino incontrò un signore che lo attendeva. Al suo fi anco stava un ragazzino, vestito pu-

litamente, di graziosa fi sonomia, con occhi vivaci che mostravano un’intelli-genza non comune. Entrato in camera, quel signore venne introdotto e il ra-gazzino rimase appoggiato alla ringhie-ra del balcone, osservando la ricreazio-ne animata degli alunni in cortile. Quel signore intanto diceva a D. Bosco: - Ha visto quel giovane che ho condotto con me? - Sì; l’ho visto e mi ha fatto piacere il vederlo, perchè mi pare di carattere aperto. - Ebbene: quel giovane è mio fi glio, ma se lei sapesse quanti dispiaceri mi provoca! - Possibile? - Ascolti: prima l’ho collocato nel col-legio di C... e poi in quello di R... Non so come sia andata la cosa, ma le so dire che è divenuto tanto cattivo, che io non so più come fare a gestire i suoi senti-menti. Ha letto di tutto, ha visto di tutto, parla di ogni cosa senza riguardo, e ne ha fatte di ogni colore. Specialmente contro la religione nutre un astio del quale non so darmi spiegazione, per-chè in famiglia la religione è rispettata e praticata. Ma vi è d’altro ancora. Torna-to dal collegio in paese per le vacanze autunnali, entrò in casa e non salutò nè padre nè madre e uscito dopo pochi istanti andò difi lato al caffè vicino e si mise a giocare a bigliardo e poi ai ta-rocchi. Li stette fi no a notte avanzata... Non vuole udire osservazioni, risponde insolentemente, si rifi uta con franchez-za di obbedire, disprezza le pratiche di pietà e non vuol saperne di chiesa. Io e sua madre siamo desolati. Non sappia-mo dove sbattere la testa. Le misure di rigore, ne siamo certi, non serviran-no che ad irritarlo. Come fare quindi? Oh D. Bosco! Io le ho esposto since-ramente lo stato di mio fi glio. Ci aiuti lei! Abbiamo pensato che solamente D. Bosco potrebbe riuscire a fargli un po’ di bene. Tenti una prova! Se avesse

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la bontà di riceverlo in mezzo agli altri suoi ragazzi, chi sa che ciò non possa ricondurlo sulla buona strada. Gli avvisi suoi, gli esempi dei compagni potreb-bero infl uire sopra il suo animo indurito. Lo accetterebbe?D. Bosco per qualche momento rima-se pensoso, mentre quel signore lo guardava con viva ansia, e disse fi nal-mente: - Quanti anni ha? - Quattordici anni appena, rispose il padre. - Don Bosco rifl ettè ancora; e poi rispose sorridendo: perchè no? - Oh sì, D. Bosco, faccia la prova la pago quanto vuole: non guardo a spe-sa; con quest’opera di carità renderà felice un povero padre e una povera madre, che si trovano oppressi, da un dolore che non si può immaginare. - Ebbene! volentieri! Ma il suo fi gliolo vorrà fermarsi qui? - In quanto a questo ci penso io. Ora glielo presenterò; lo interroghi, gli parli, e quindi io gli farò la proposta. - Quel povero padre allora fece entrare il fi glio, il quale si presentò a D. Bosco con di-sinvoltura, che dopo alcune parole di-venne amorevolmente espansiva. D. Bosco non gli fece alcun cenno di ciò che più gli stava a cuore, cioè dell’a-nima sua, ma prese a parlargli di varie cose che prevedeva avrebbero incon-trato il suo genio, e con quell’attrattiva che era tutta sua propria, seppe inte-ressarlo in modo che ne rimase incan-tato. Rise, interrogò, raccontò e rimase preso di affetto per D. Bosco.Nell’uscire il padre gli disse: - Ebbene, fi glio mio, ti piace D. Bosco? - Se mi piace? Mi ha parlato di tan-te belle cose! Ne ho visti pochi uomini buoni ed amorevoli come lui! Quanto è diverso dagli altri preti che ho cono-sciuti in quei convitti! E poi non mi ha detto una sola parola di religione. Dav-vero sono rimasto contento d’avergli parlato. - Così continuarono ancora

quel dialogo per qualche istante, e il padre, vedendo che Don Bosco ave-va fatta tanta impressione su di lui, uscì a proporgli il progetto che meditava; e gli disse: - È necessario che tu non in-terrompa gli studi. In paese non abbia-mo le scuole che vadano bene per te. Dal collegio, dove quest’anno ti avevo messo, mi hanno scritto dicendomi di non avere più alcun posto per te. Quin-di, dimmi, ti piacerebbe questo colle-gio? Saresti contento di stare con D. Bosco? - Per me non avrei diffi coltà. - E se io davvero ti mettessi qui con D. Bosco? - Per parte mia non ho niente in con-trario... anzi... però a tre condizioni. - Sentiamo. - La prima che non mi parlino mai di confessione la seconda che io sia di-spensato dall’andare in chiesa, perchè non vi voglio metter piede; la terza di poter fuggire quando voglio! Altrimenti no.Il padre storse un po’ le labbra; ma co-noscendo con chi aveva da fare, non credette opportuno opporsi a simile programma. Rientrò pertanto da D. Bo-sco, e, temendo, un rifi uto, fece note con esitazione le condizioni poste dal fi -glio. D. Bosco le udì senza minimamen-te scomporsi, e sorridendo gli rispose: - Ebbene: dica a suo fi glio che accetto. - Il padre era fuori di sè per la gioia, e lasciò il fi glio all’Oratorio esso pure soddisfat-to. D. Bosco prese a trattarlo, con tutta bontà, come se fosse uno degli alunni migliori, ma senza dirgli una sola paro-la di religione, conoscendo che in quel momento sarebbe stato inutile. Tutta-via quel disgraziato, avendo occhi ed orecchie, era costretto a vedere i san-ti esempi de’ suoi compagni e udire le buona notte e le altre ammonizioni che D. Bosco indirizzava alla comunità. Nella prima settimana, quando la campana suonava per andare in chiesa, il ragazzo

si ritirava a passeggiare sotto i portici e a volte canticchiava canzoni profane.Ma siccome nessuno lo rimproverava o lo invitava a stare alla regola, inco-minciò ad essere quasi stizzito per la noncuranza che gli sembrava dimo-strassero per i fatti suoi; ed anche a provare noia per la solitudine alla quale egli si condannava in quell’ora. Quindi, anche per curiosità, decise di entrare in chiesa. Senza fare atto di riconosce-re la santità del luogo, si piantò in piedi in un angolo e osservava i compagni che pregavano, il confessionale attor-niato da penitenti e coloro che anda-vano alla santa comunione. - Imbecilli! brontolava a voce sommessa, ma in modo che qualcuno l’udì: Imbecilli! - Egli in questo modo voleva dimostrarsi di spirito indipendente e forse cercava di ribellarsi ad un nuovo sentimento che si faceva strada nel suo cuore, e al quale voleva resistere ad ogni costo. Così la cosa procedette per un po’ di tempo, continuando egli ad andare in chiesa, ma sempre con un contegno indifferente o sprezzante. Alcuni giova-ni però, fra i più adulti della compagnia di S. Luigi e fra i più sicuri nella virtù, se l’erano fatto amico conversando e gio-cando con lui di modo da tenerlo iso-lato da chi avrebbe potuto riceverne scandalo. D. Bosco intanto pregava, e faceva pregare per lui.I consigli dei nuovi e leali amici, alcune di quelle parole di Don Bosco che la-sciavano nel suo cuore una incancel-labile traccia, a poco a poco lo fecero rinsavire. Aveva posto tanto amore in D. Bosco, che gli sembrava di non po-ter vivere senza di lui. Incominciò a ra-gionare fra sè: - I miei compagni vanno in chiesa, si confessano, si comunicano e sono tanto allegri e si divertono tanto di cuore! Ed io... - Rifl ettè seriamente, decise, andò in chiesa con quelli della sua classe e pregò.

Ed ecco un giorno lo si vide avvicinar-si a poco a poco al confessionale ove era D. Bosco, ed inginocchiarsi. Viene il suo turno e si confessa, quindi si ritira dal confessionale come trasfi gurato e gli occhi aveva pieni di lacrime. La sua fi sionomia naturalmente molto bella, aveva preso un’espressione tale, che sembrava quella di S. Luigi. Ritornato in chiesa al suo posto, pregò a lungo, si confessò ancora due o tre volte e fi -nalmente fece la comunione con molto fervore.Da quel momento egli divenne un alu-no fra i più esemplari. (MB V, 367ss)

MEDITAZIONE O DORMIZIONE?Fin da ragazzo sembra risplendere in Giovanni un modo tutto particolare di pregare che unisce ad un sodo e sa-crifi cato lavoro, il continuo e semplice ricordo a Dio, ecco alcuni racconti che ci mostrano come già da giovane con-tadino avesse coltivato un non comu-ne spirito di preghiera.

Soventi volte infatti fu sorpreso in casa e fuori assorto nell’orazione. Un gior-no pascolava le vacche poco distante dalla cascina. Ad un tratto la padrona Dorotea Moglia, col cognato Giovanni Moglia, lo videro nel mezzo del prato giacente immobile e che appariva per le ondulazioni del suolo come disteso per terra. Credendo dormisse al sole, lo chiamarono per nome; ma, accortisi che non si muoveva, Giovanni Moglia s’incamminò per andargli vicino, con-tinuando a chiamarlo di tratto in tratto ad alta voce. Bosco non rispondeva. Arrivato a breve distanza, vide che il giovanetto era inginocchiato e che teneva un libro penzoloni fra le mani: gli occhi aveva chiusi: la faccia teneva rivolta al cielo e con tale grazia da far stupire l’osservatore. Giovanni Moglia lo toccò leggermente sovra la spalla e

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gli disse: - Perchè dormi così al sole? - Bosco si scosse e rispose: - No, no; io non dormiva. - E così dicendo si alzò tutto confuso per essere stato scoper-to nell’atto di meditare.Il giovinetto non dimenticava mai di farsi il segno della croce avanti e dopo il cibo, e questa usanza coll’aggiunta di una breve orazione l’introdusse in quella generosa famiglia, la quale, pri-ma che egli venisse, trascurava talvol-ta questa pia pratica: d’inverno non la si tralasciava mai, non così però d’e-state, quando si era stanchi dal lavoro. Curò allo stesso modo che fosse re-citata tre volte al giorno la salutazione dell’Angelo al suonare della campana. Un giorno d’estate, il vecchio Giusep-pe tornava a casa tutto sudato e col-la zappa sulle spalle. Erano le 12 ore; suonava in lontananza la campana, ma egli non pensava a dire l’Angelus, chè, oppresso dalla stanchezza, gettatosi a sdraio, riposava. Quand’ecco vide in cima ad una scala il giovinetto Bosco, rientrato poco prima, che in ginocchio recitava l’Angelus, e ridendo esclamò: - Guarda là: noi che siamo i padroni, dobbiam logorarci la vita dal mattino alla sera e non ne possiamo più, e lui tutto tranquillo sta lassù pregando in santa pace. È così che si fanno i meriti pel paradiso con tutta facilità! - Bosco fi nì la sua prece, scese la scala e rivolto al vecchio: - Sentite, gli disse, voi siete testimonio che io non mi sono rispar-miato sul lavoro: è certo però che io ho più guadagnato a pregare che voi a lavorare. Se pregate, da due grani che voi seminate ne nasceranno quattro spighe; se non pregate, seminando quattro grani raccoglierete due sole spighe. Pregate adunque anche voi, e invece di due spighe ne raccoglierete voi pure quattro. Che cosa vi costava fermarvi un istante, deporre la zappa e dire la preghiera? E così avreste ac-quistato lo stesso merito che acquisto

io. - Quel bravo uomo oltremodo me-ravigliato esclamò: - Oh poffarbacco! che io abbia da prender lezione da un giovanetto? Eppure io sento di non poter più mettermi a tavola, se prima non dico l’Angelus. - E d’allora in poi non dimenticò più questa preghiera (MB I,196).

NON NE POSSO PIÙ!Chi ha fatto l’animatore sa quante ener-gia richieda stare autenticamente con i ragazzi senza risparmiarsi, don Bosco veramente era senza misura…ecco il racconto della fi ne di una domenica di oratorio festivo come tante altre.

Dopo una giornata trascorsa in mezzo a tante occupazioni, e per il pranzo e la cena frugale che aveva consumato, D. Bosco non poteva quasi più muoversi. I giovani artigiani, che erano gli ultimi a partire, poichè gli studenti ritornavano a casa ad ora meno tarda, gli dicevano spesso: - Ci accompagni fuori! - Ma io non posso, rispondeva D. Bo-sco. - Faccia un solo passo con noi. - E tan-to lo pregavano che usciva. Andato per lo spazio di un tiro di pietra, accenna-va a ritornare indietro, ma i giovani che non sapevano staccarsi da lui: - Ven-ga ancora per un piccolo tratto; venga con noi fi no a quegli alberi. - E D. Bosco pazientemente li compiaceva. Giunto al luogo indicato, si fermava, e quei tre-cento e più ragazzi, piccoli e grandi, gli facevano intorno corona e tutti aspet-tavano affi nchè si decidesse a raccon-tare un fatto. D. Bosco si scusava, di-cendo: - Ma basta; lasciatemi andare a casa, sono stanco morto. - No, no, rispondevano. Noi cantere-mo una lode; lei intanto si riposerà e poi ci racconterà un bell’esempio. - Ma non ne posso più - Un solo e poi basta.

- Ma non sentite che non ho quasi più voce! - Un fatto breve! - La folla intanto cre-sceva intorno a D. Bosco, perchè la gente passando si fermava e così pure molti soldati che uscivano dai locali. Tutti stavano per udire che cosa avreb-be detto il prete. I giovani cantavano due o tre strofe della canzone Lodate Maria; quindi Don Bosco, salito sopra un sedile di pietra o sopra un tumolo di sabbia, diceva: - Ebbene! vi racconto ancora un fatto e poi andate a casa. E raccontava, concludendo…e ora ba-sta; buona notte.I giovani con tutta l’altra folla risponde-vano: Buona notte! - e mandavano un ultimo assordante grido di evviva a D. Bosco. Tutti si muovevano per ritornare alle loro famiglie, o al luogo dove abi-tualmente riposavano; ma prima cia-scuno voleva avvicinarsi a D. Bosco per salutarlo ancora una volta. Allora alcuni dei più adulti sostenendolo sulle loro braccia e cantando a squarciagola la nota canzone: Andiamo, compagni, D. Bosco ci aspetta, lo riportavano a casa. Entrato nella sua camera, si sentiva così privo di forze che, più volte venen-do Mamma Margherita per invitarlo a cena, egli le rispondeva: - Lasciate che mi riposi un po’. - E si addormentava profondamente; ed anche se scosso, non lo si poteva svegliare. Talvolta an-dava a cena, e dopo il primo cucchiaio di minestra, restava preso dal sonno, sicchè la testa cadeva sulla scodel-la. Allora, dopo qualche istante, Bro-sio Giuseppe ed altri giovanotti, che si erano ivi fermati per fargli compagnia, presolo quasi di peso lo trasportava-no nella sua stanza, ed egli così vestito com’era si gettava sul letto e non era più capace di voltarsi sul fi anco nè di muovere un braccio od una gamba. Aveva lavorato continuamente dalle 4 del mattino fi no alle 10 e più della sera.Ma quando lungo la settimana cade-

vano altre feste di precetto, ognuno può immaginare in quale stato venis-se ridotto D. Bosco, non ancor riavu-tosi dalle fatiche della domenica. Sua madre avvertita alla sera del suo av-vicinarsi dai canti marziali dei giovani che lo riconducevano dal Rondò, gli andava incontro sulla porta e gli dice-va: - Sei ancora vivo? - Ma il fi glio sem-brava quasi che non sentisse, saliva in camera e, sedutosi sulla prima sedia, o baule, o panca nella quale si imbatte-va, subito si addormentava; e talvolta si destò solamente sul far dell’alba. Certe altre mattine si svegliò mezzo vestito, appoggiato col dorso al letto e coi piedi puntati contro il muro.Così ogni istante della giornata di D. Bosco era segnato da un atto di sacri-fi cio che diremo eroico. Nè solo per le fatiche; perchè non bisogna supporre che talvolta non lo ferissero dispiaceri anche gravi. Ciò conoscono per espe-rienza quanti si prendono cura della gioventù. Ma egli ricordava aver detto N. S. Gesù Cristo: “Guadagnerete le anime vostre mediante la pazienza”. Infatti in mezzo a’ suoi giovani, pieno di fi ducia nell’aiuto di Dio e nell’effi cacia di un’istruzione schiettamente cattolica, soleva esclamare:“- Spero di potervi vedere tutti un gior-no riuniti in cielo!” (MB III,133)

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LA DOMANDA

1. Quali scoperte hai fatto confrontando il tuo cammino di santità con quello di Don Bosco? In quali aspetti di questa spiritualità ti senti più a casa tua? Quali sono le diffi coltà maggiori che incontri?

2. Hai un esempio di persona (salesiano, laico,…) che vive o ha vis-suto in maniere chiara ed esemplare qualcuno degli aspetti della spi-ritualità salesiana?

3. La via della spiritualità salesiana in soli 150 anni ha già dato grandi frutti di santità. A quali di questi maestri mi nutro, leggendo, conoscen-do, imitando? Sento don Bosco, Madre Mazzarello, Domenico Savio, etc… come amici ai quali ricorrere per la mia vita?

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OUTPUT

1. Scruto i salesiani che mi sono intorno e cerco in loro i tratti della spiritualità salesiana.

2. Cerco un santo salesiano per amico, per assorbire sempre più questa “holy salesian way”.

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3LA VOCAZIONE ALLA CARITÀ NEL CARISMA SALESIANOANIMAZIONE E SISTEMA PREVENTIVO

INPUT

IL SOFFIO

Spirito di Dio, scendi su di noi.

Spirito di Dio, scendi su di noi.

• Rendici docili, umili, semplici.• Guidaci, Spirito, salvaci, formaci!• Suscita vergini, donaci apostoli!• Libera i poveri, dà pace ai popoli.

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L’ECO

LA PAROLA

GER 1,4-104Mi fu rivolta questa

parola del Signore: 5«Prima di formarti

nel grembo materno,

ti ho conosciuto, pri-

ma che tu uscissi alla

luce, ti ho consacrato; ti ho stabili-

to profeta delle nazioni». 6Risposi:

«Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non

so parlare, perché sono giovane». 7Ma il Signore mi disse: «Non dire:

“Sono giovane”. Tu andrai da tutti

coloro a cui ti manderò e dirai tut-

to quello che io ti ordinerò. 8Non

aver paura di fronte a loro, perché

io sono con te per proteggerti».

Oracolo del Signore. 9Il Signore

stese la mano e mi toccò la boc-

ca, e il Signore mi disse: «Ecco, io

metto le mie parole sulla tua boc-

ca. 10Vedi, oggi ti do autorità so-

pra le nazioni e sopra i regni per

sradicare e demolire, per distrug-

gere e abbattere, per edifi care e

piantare».

1. DOVE CI TROVIAMO?Ci troviamo all’inizio del ministero pro-fetico di Geremia che si svolge nel Re-gno di Giuda dal tempo del Re Giosia (626 a.C.) fi no alla presa di Gerusalem-me da parte dei Babilonesi, la distru-zione del Tempio e la deportazione dei suoi abitanti (587 a.C.). Si tratta di un periodo diffi cile per la storia di Israele, poiché il popolo nutriva molte speranze nel re Giosia, ma queste vengono bru-talmente deluse; il profeta, nonostante la sua delicata sensibilità, preannuncia sventure e “grida” la rovina che incom-be sul popolo, rimanendo purtroppo inascoltato.

2. CHE COSA MI DICE DIO?La scena è ambientata ad Anatòl, il villaggio natale di Geremia, situato a pochi chilometri da Gerusalemme. Il profeta è giovane, inesperto e non “sa parlare”, ma a Dio questo non fa pro-blema poiché dice a Geremia tre cose importanti:

• pensavo a te fi n da quando eri nel grembo materno e per te ho pensato una bellissima vocazione;

• non avere paura, ma svolgi il compito che ti affi do poiché io sono con te;

• il compito che ti affi do è per il bene dei tuoi fratelli che hanno bisogno di un profeta che annunzi loro la Parola di Dio, anche se è dura, anche se “abbat-te e sradica”.

Dio mette “la sua fi rma” sulla vocazio-

ne di Geremia toccando con la propria mano le sue labbra, poiché da quel mo-mento in poi Geremia non parlerà più a suo nome, ma a nome del Signore.

3. CHE RISPOSTA DIO SI ATTENDE DA ME?

Geremia oppone al grande progetto di Dio il suo limite; è giovane (cioè, nel contesto giudaico, ha meno di 30 anni) e quindi non può e non sa parlare in pubblico in nome di YHWH.

Si tratta di un atteggiamento contrad-ditorio, poiché non tiene conto che Dio sceglie chi vuole e che nei nostri limiti si manifesta tutta la potenza della sua mi-sericordia. Se guardiamo a Giovannino Bosco, vediamo che la sua è la storia di un ragazzo “in diffi coltà” orfano di pa-dre e appartenente ad una famiglia in gravi disagi economici. Eppure lui non si è opposto al progetto di Dio ed è di-ventato padre per tanti ragazzi poveri ed abbandonati.

IN SINTESI…

Il Signore in questo passo sottolinea al-cuni aspetti fondamentali per chi vive il carisma salesiano.

1. Dio coinvolge anche i giovani nella missione di salvezza; così ha fatto don Bosco alle origini della Congregazione, i cui “padri fondatori” erano dei giova-ni di 18 anni, cresciuti all’Oratorio, così fanno ancora i salesiani che condivido-no con tanti ragazzi l’animazione dei più piccoli.

2. Dio si fa garante di questa chiamata a collaborare con lui, per cui i nostri limiti non gli fanno problema.

3. La chiamata è per “distruggere e per edifi care”, cioè per aiutare i nostri fratelli a sconfi ggere il male a crescere nel bene; si tratta di un compito impegnativo, che costa molta fatica a chi è chiamato.

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1. Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo.Prova a ripercorrere le tappe principali della tua vita in cui hai percepito la presen-za di Dio che ti guidava e che era accanto a te.

2. Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare.Quali sono le principali diffi coltà che opponi quando ti viene richiesto un servizio impegnativo di animazione (ad es., in oratorio)?

3. Ecco, oggi ti costituisco sopra i popoli e sopra i regni per sradi-care e demolire, per edifi care e piantare…Il compito di educatore e di animatore può richiedere molta fatica, poiché biso-gna accompagnare un ragazzo nella crescita. Sei sempre disponibile a questo servizio, oppure ti tiri indietro, quando devi svolgere una parte poco gratifi cante o poco bella?

PER LA TUA VITA

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1. I CARE: DAL SERVIZIO ALL’IMPEGNOIl servizio può essere visto come un’e-sperienza tra le tante della vita (come la scuola, gli amici, la famiglia, lo sport…). Ma alla luce del Vangelo occorre fare un cambiamento: dal servizio come una cosa da fare al servizio come at-teggiamento, come stile di vita.

La vita nel Vangelo è intesa come coin-volgimento, condivisione, comunione, compassione. Gesù invita i suoi a se-guirlo su questa strada che lui ha per-corso per primo. Egli ci chiama dall’es-sere spettatori al diventare protagonisti dell’amore.

Per il Vangelo incominci a vivere quan-do cominci a dare, a donare te stesso. Fare servizio per un cristiano è rispon-dere alla voce di Cristo che lo chiama a vivere, a realizzarsi sulla strada dell’a-more. Servire è la logica dell’Eucaristia, della comunità cristiana; è la logica del-la vita!

Ci manda Gesù! C’è una passione

dentro di noi che non può essere im-brigliata da un orario perché è eterna, che non può essere pagata da alcuno perché non ha prezzo, che non può essere limitata da alcun muro perché ha sete di infi nito.

Gesù ti manda affi nché questa tua passione viva, affi nché tu viva. Gesù ti manda affi nché questa passione scop-pi in ogni uomo. Questa passione si chiama amore.

2. IL SERVIZIO NELLA TRADIZIONE SALESIANACi mettiamo in ascolto di tre esperien-ze diverse, tutte raccontate da un don Bosco ormai maturo, che hanno una chiara funzione esemplare sia per i ra-gazzi che per i salesiani stessi. Guarda-re questi racconti ci permette di capire che tipo di cammini di servizio don Bo-sco ha vissuto da adolescente e quali proponeva ai suoi ragazzi, per poterne apprezzare la perenne freschezza ed attualità anche per i giorni nostri.

ACTIO

LA RISPOSTA

IL GRIDO

L’IMPEGNO

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2.1 GIOVANNI BOSCO ADOLESCENTE

Imparare a proprie speseNelle prime quattro classi dovetti im-parare a mie spese a trattare con i compagni. Li avevo divisi mentalmen-te in tre categorie: buoni, indifferenti, cattivi. I cattivi, appena conosciuti, li evitavo assolutamente e sempre. Gli indifferenti li avvicinavo se ce n’era bi-sogno e li trattavo con cortesia. I buoni cercavo di farmeli amici, li trattavo con familiarità.

All’inizio, in città non conoscevo nes-suno. Tenevo quindi una certa distan-za con tutti. Dovetti tuttavia lottare per non diventare lo schiavetto di nessuno. Qualcuno voleva portarmi in un teatro, un altro a giocare a soldi, un terzo a nuotare nei torrenti. Un tizio voleva ar-ruolarmi in una banda che faceva man bassa di frutta negli orti e nella campa-gna. Un tale fu così sfacciato da invi-tarmi a rubare un oggetto prezioso alla mia padrona.

Mi sono liberato da tutti questi squallidi compagni evitando rigorosamente la loro compagnia man mano che sco-privo di che pasta erano fatti. A tutti di-cevo che mia madre mi aveva affi dato alla padrona di casa, e che per amore di mia madre non potevo andare da nessuna parte senza il permesso della signora Lucia.

Questa mia volontaria dipendenza dalla signora Lucia mi procurò anche un utile fi nanziario. Vedendo che poteva fi darsi di me, mi affi dò suo fi glio. Era di carat-tere irrequieto, gli piaceva moltissimo il gioco, pochissimo lo studio. Anche se frequentava una classe superiore alla mia, sua madre mi pregò di dargli ripetizioni. Lo trattai come un fratello. Con gentilezza, giocando con lui, riu-scii a portarlo in chiesa a pregare. Nel-lo spazio di sei mesi cambiò. A scuola

riuscì ad accontentare i professori e a prendere buoni voti. La madre fu così contenta che mi condonò la pensione mensile.

Ero stimato e obbedito come il capi-tano di un piccolo esercito. Mi cerca-vano da ogni parte per organizzare trattenimenti, aiutare alunni nelle case private, dare ripetizioni. La divina Prov-videnza mi aiutava così a procurarmi il denaro per i libri di scuola, i vestiti e le altre necessità, senza pesare sulla mia famiglia. (MO VIII)

Capitano di un piccolo esercitoQuelli che avevano cercato di farmi partecipare alle loro squallide imprese, a scuola erano un disastro. Così co-minciarono a rivolgersi a me in maniera diversa: mi chiedevano la carità di pre-stare loro il tema svolto, la traduzione fatta.

Il professore, venuto a conoscere la faccenda, mi rimproverò severamente. « La tua è una carità falsa - mi disse -, perché incoraggi la loro pigrizia. Te lo proibisco assolutamente».

Cercai una maniera più corretta per aiutarli. Spiegavo ciò che non avevano capito, li mettevo in grado di superare le diffi coltà più grosse. Mi procurai in questa maniera la riconoscenza e l’af-fetto dei miei compagni. Cominciarono a venire a cercarmi durante il tempo libero per il compito, poi per ascoltare i miei racconti, e poi anche senza nes-sun motivo, come i ragazzi di Morialdo e di Castelnuovo.

Formammo una specie di gruppo e lo battezzammo Società dell’Allegria. Il nome fu indovinato, perché ognuno aveva l’impegno di organizzare giochi, tenere conversazioni, leggere libri che contribuissero all’allegria di tutti. Era vietato tutto ciò che produceva malin-conia, specialmente la disobbedienza alla legge del Signore. Chi bestemmia-

va, pronunciava il nome di Dio senza rispetto, faceva discorsi cattivi, doveva andarsene dalla Società.

Mi trovai così alla testa di un gran nu-mero di giovani. Di comune accordo fi s-sammo un regolamento semplicissimo:

1. Nessuna azione, nessun discorso che non sia degno di un cristiano.

2. Esattezza nei doveri scolastici e reli-giosi. (MO VIII)

«Se non hai un amico che ti corregga, paga un nemico»Nella Società dell’Allegria c’erano gio-vani splendidi. Ricordo Guglielmo Gari-gliano di Poirino e Paolo Braje di Chieri. Essi partecipavano volentieri ai nostri giochi, ma prima di tutto eseguivano con impegno i doveri di scuola. En-trambi amavano i giochi rumorosi, ma amavano pure raccogliersi nel silenzio a parlare con Dio.

Nei giorni di festa, dopo le adunanze che si tenevano nella scuola, ci reca-vamo nella chiesa di sant’Antonio. I Gesuiti, che gestivano questa chiesa, ci facevano stupende lezioni di cate-chismo. Raccontavano fatti ed esem-pi che ricordo ancora oggi. Lungo la settimana, la Società dell’Allegria si ra-dunava nella casa di uno dei soci per parlare di religione. Vi interveniva libe-ramente chi voleva. Garigliano e Braje erano tra i più assidui. Durante quelle riunioni alternavamo giochi allegri, con-versazioni su argomenti cristiani, lettu-ra di buoni libri, preghiere. Ci davamo a vicenda buoni consigli, ci aiutavamo a correggere i difetti personali. Senza saperlo, mettevamo in pratica quelle grandi parole di Pitagora: «Se non hai un amico che ti corregga, paga un ne-mico che ti renda questo servizio».

Non facevamo soltanto riunioni. An-davamo anche insieme ad ascoltare la parola di Dio, alla confessione e alla santa Comunione. (MO IX)

2.2 DOMENICO SAVIO, UN APOSTOLO

Un grosso omoneLa prima cosa che gli fu consigliata per farsi santo fu di impegnarsi per far del bene alle anime. È la cosa più gradita a Dio: per salvare le nostre anime, infatti, Gesù sparse tutto il suo sangue prezio-so. Domenico capì l’importanza di que-sto impegno, e più volte disse: «Se po-tessi far diventare amici di Dio tutti i miei compagni, sarei felice». Nelle occasioni opportune dava buoni consigli, correg-geva chi diceva parole o faceva azioni che non piacevano al Signore.

La cosa che più lo spaventava e che lo faceva veramente star male era la be-stemmia e il pronunciare il santo nome di Dio senza rispetto. Se per le vie della città o in qualche altro posto sentiva pa-role di questo genere, tutto addolorato abbassava la testa, e diceva con affetto: «Sia lodato Gesù Cristo».

Una volta, tornando da scuola, Dome-nico udì un omaccione bestemmiare in maniera orribile. Tremò, chiese perdono a Dio per quel pover’uomo, poi fece un gesto magnifi co. Con aria molto rispet-tosa si avvicinò al bestemmiatore e gli domandò se per piacere poteva indi-cargli la strada per l’Oratorio di Don Bo-sco. Davanti a quella faccia innocente, l’omaccione perse la rabbia che lo agi-tava tutto. Disse:

- Non lo so, caro ragazzino, mi dispiace.

- Se non sapete dirmi la strada, forse potete farmi un altro piacere.

- Volentieri, sentiamo.

Domenico gli andò vicino perché nessu-no lo sentisse, e bisbigliò:

- Mi farete un grande piacere se quando siete arrabbiato non bestemmiate il san-to nome dì Dio.

Quell’uomo grande e grosso lo fi ssò con stupore e ammirazione.

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Poi disse:

- Bravo! Hai proprio ragione. Devo per-dere quel maledetto vizio.

Inghilterra o Valdocco?La vita dei santi che avevano lavorato per la salvezza delle anime era la sua let-tura preferita. Parlava volentieri dei mis-sionari che spendono anni e fatiche per far del bene alle anime. Poiché non po-teva mandar loro aiuti materiali, pregava per loro ogni giorno, e una volta alla set-timana offriva la sua santa Comunione per loro. Più volte l’ho sentito dire:

- In Inghilterra ci sono tante anime che aspettano il nostro aiuto. Se avessi forza e capacità, vorrei andarci subito, e gua-dagnare quelle anime al Signore predi-cando e dando buon esempio.

Lo rattristava il poco impegno che molte persone mettono nell’insegnare il cate-chismo ai fanciulli. Ne parlava con i suoi amici.

Diceva:

-Appena sarò chierico andrò a Mon-donio, radunerò tutti i fanciulli sotto una tettoia e spiegherò loro il catechismo. Racconterò degli esempi così belli che farò nascere in loro la voglia di farsi santi. Quanti poveri fanciulli rischiano di perdersi perché non c’è nessuno che li istruisca nella fede cristiana!

Non erano solo parole. Sebbene giova-nissimo e ancora studente delle prime classi, faceva con piacere scuola di ca-techismo ai ragazzi che venivano all’O-ratorio. Se qualcuno ne aveva bisogno, era pronto ad istruirlo nella religione cri-stiana in qualunque giorno e in qualun-que momento, e questo unicamente per parlargli di Dio e fargli capire l’impor-tanza di salvare la propria anima.

Un giorno stava raccontando un bel fat-to durante la ricreazione. Un compagno lo interruppe in maniera scortese:

- Che t’importa di queste cose?

- Che m’importa? - rispose Domeni-co -. Mi importa perché le anime dei miei compagni sono costate il sangue di Gesù. M’importa perché siamo tutti fratelli, dobbiamo volerci bene e aiutar-ci a salvare le nostre anime. M’importa perché Dio ci ha comandato di aiutarci a vicenda. M’importa perché chi salva un’anima mette al sicuro la salvezza dell’anima sua.

Durante il breve tempo delle vacanze che passava al suo paese, l’impegno per far del bene alle anime non dimi-nuiva. Durante l’anno, a scuola e nelle feste, era stato premiato con libri, me-daglie, crocifi ssi, belle immagini. Dome-nico metteva tutto da parte per le va-canze. Prima di partire, se la sua scorta non era abbondante, chiedeva ai su-periori altri oggetti «per far stare allegri i miei amici del paese».

Quando era a casa, molti ragazzi pro-vavano piacere a stare con lui, piccoli e grandi. E Domenico, nei momenti op-portuni, faceva loro un po’ di catechi-smo. Ai migliori donava quei piccoli pre-mi. Molti, attirali dalla sua maniera di fare allegra e gentile, lo accompagnavano in chiesa e pregavano con lui.

Una persona del suo paese mi raccon-tò che per istruire nel catechismo un compagno, impegnò molto tempo. Gli diceva: «Se riuscirai a fare bene il segno della croce, ti donerò una medaglia. Poi andremo dal parroco che ti rega-lerà un bel libro. Ma devi farlo proprio bene: mentre dici le parole, la mano de-stra deve toccare la fronte, poi il petto, poi la spalla sinistra e quella destra. Alla fi ne devi congiungere le mani dicendo Amen». Tante volte i cristiani, invece di fare il segno della croce, fanno uno scarabocchio, un gesto senza senso. Domenico ci teneva che i suoi amici lo facessero bene, perché è il segno che ricorda la passione e la morte del Si-gnore. Lo faceva adagio davanti a loro,

e poi li invitava ad imitarlo.

Durante le vacanze si prendeva cura in modo particolare dei fratellini (nel 1855 Giovanni aveva 5 anni, Guglielmo 2).

Insegnava loro a leggere, a scrivere, a recitare il catechismo, diceva con loro le preghiere del mattino e della sera. Li conduceva in chiesa, li aiutava a pren-dere l’acqua benedetta e a farsi il segno della croce. Più che scorrazzare per le colline, a Domenico piaceva stare ac-canto alla sua famiglia, agli amici, e rac-contare ciò che aveva fatto e sentito nella casa di Don Bosco.

Anche durante le vacanze, ogni giorno faceva una visita a Gesù in chiesa, ed era contentissimo se un suo amico ac-cettava di accompagnarlo. Posso dire che non si lasciava sfuggire una sola occasione per fare un’opera buona, dare un buon consiglio, fare del bene a qualcuno. (Vita del giovinetto Savio Do-menico, cap. XI).

Con il grosso bastone sulle spalleAlcuni giovani dell’Oratorio, che vole-vano far del bene ai loro compagni, formarono un gruppo. Il loro scopo: rendere migliore il comportamento dei ragazzi diffi cili. Domenico faceva parte del gruppo, e si dava da fare sul serio.

Se riusciva ad avere delle caramelle, dei ciondoli, li metteva da parte. Al mo-mento opportuno li tirava fuori sotto lo sguardo di questi ragazzi:

- C’è qualcuno che lo vuole? - doman-dava. I pretendenti erano subito tanti, e lui:

- Lo do a chi sa rispondere a questa do-manda del catechismo.

Aveva così l’occasione di interroga-re quelli che in chiesa non si facevano mai vedere. Appena la loro risposta era passabile, li premiava.

Con altri usava maniere diverse. Cor-reva, camminava, giocava con loro. E

intanto sì parlavano. Gli piaceva moltis-simo giocare alla lippa: con il grosso ba-stone sulle spalle sembrava un piccolo Ercole. Ma ad un certo punto interrom-peva la partita e diceva al compagno: «Sabato, vieni a confessarti?». Sabato era lontano, e per non interrompere la partita quello rispondeva dì sì. Domeni-co riprendeva il gioco, ma non dimenti-cava la promessa. Ogni giorno, per un motivo o per l’altro, gliela ricordava, e lo preparava a confessarsi bene. Arrivato il sabato, Domenico l’accompagnava in chiesa, si confessava prima di lui, rac-comandava al confessore di trattarlo con pazienza e bontà, e lo aspettava per fare insieme il ringraziamento. Que-sti fatti erano frequenti, gli davano mol-ta soddisfazione e facevano un bene grande ai suoi compagni. Con la sua azione delicata e costante, Domenico otteneva più di tante prediche fatte in chiesa. (Vita del giovinetto Savio Do-menico, cap. XII)

“Compagnia dell’Immacolata”L’8 giugno 1856, era nato il capolavo-ro di Domenico Savio: la Compagnia dell’Immacolata.

La Compagnia si mise al lavoro ed in una delle prime adunanze si decise di affi da-re ad ogni socio un particolare cliente.

Uno dei primi «clienti» di Domenico Sa-vio fu Francesco Cerruti, che sareb-be poi diventato un celebre salesiano. Ecco ciò che scrisse:

«Ero entrato nell’Oratorio la sera dell’11 novembre e mi trovavo molto in pena per il pensiero di mia madre, che avevo lasciata sola. Il giorno dopo il mio arrivo, mentre dopo pranzo mi sentivo triste ed ero appoggiato ad una colonna, mi venne incontro un giovane sereno e pieno di bei modi, il quale mi disse:

- Chi sei? Come ti chiami?

- Cerruti Francesco - risposi io.

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- Di che paese?

- Di Saluggia.

- Che scuola fai?

- Seconda Grammatica (seconda me-dia, pressappoco).

- Allora sai il latino! Sai da che cosa deri-va «sonnambulo»?

E ci mettemmo a chiacchierare. D’un tratto gli domandai:

- Ma tu chi sei?

- Sono Savio Domenico, di Mondonio. Saremo amici, vero?

- Sicuro.

Da quel momento ebbi occasione di trovarmi con lui tante volte ed in tante circostanze anche intime. Domenico fu per me un vero amico».

Presto la Compagnia scelse anche una seconda categoria di clienti: i ragazzi più indisciplinati, quelli che avevano la be-stemmia facile e menavano volentieri le mani. Anche questi clienti più diffi cili, i soci dell’Immacolata se li divisero tra loro, per metterli sulla buona strada con bontà e delicatezza. Non sempre era facile. Domenico fu a volte ricambiato con insulti, parolacce e anche schiaffi .

Dal giorno della fondazione della Com-pagnia dell’Immacolata, nell’Oratorio molte cose cominciarono ad andar me-glio. Don Bosco era molto contento, e chiamava la Compagnia la sua “Guardia Imperiale”.

Nelle conferenze trattavano del modo di celebrare le novene delle maggiori so-lennità, si ripartivano le comunioni, che ciascuno avrebbe avuto cura di fare in giorni determinati della settimana, si as-segnavano a vicenda quei giovani che avevano maggior bisogno di assistenza morale e ciascuno lo faceva suo cliente, ossia protetto.

Le norme pratiche di tale assistenza si ispiravano a prudenti riguardi. Si faceva

l’elenco di quei giovani che erano dissi-pati, negligenti nei loro doveri, trascurati nella frequenza dei sacramenti e nelle altre pratiche di pietà, sospettati di te-ner cattiva condotta; si studiavano i e le naturali inclinazioni dei clienti, e poi si raccomandavano a quelli la cui indo-le più si adattava col loro carattere. Ed ecco all’opera i membri della Compa-gnia dell’Immacolata, i quali sapevano adoperare tutti i mezzi che suggerisce la carità cristiana per avviare alla virtù un giovane; e nella conferenza della se-guente settimana davano relazione in-torno a quell’uno o più giovani che loro erano stati dati in custodia. Esponevano ciò che si era ottenuto, ricevevano con-sigli per continuare con maggior profi tto la loro assistenza, e conferivano cogli al-tri attorno alle cose che sembravano più convenienti al buon andamento dell’O-ratorio. La Compagnia era una società come quella degli Angeli Custodi, che opera e non si vede. Ciascuno di essi non perdeva d’occhio l’anima affi data-gli, le girava intorno, cercava di farsela amica, senza che gli altri quasi se ne av-vedessero, e neppur quegli che era og-getto delle sue cure. Gli era al fi anco se gli pareva che avesse formato un croc-chio sospetto, osservava che cosa leg-gesse, gli imprestava o regalava buoni libri, giocava di preferenza con esso. Guadagnatosi il suo cuore colla dolcez-za dei modi e, se era opportuno, coi più industriosi e generosi sacrifi ci veniva ai consigli ed alle esortazioni, lo eccitava al bene o, scelto il momento opportuno, lo consigliava e poi lo invitava ad andarsi a confessare.

Con tale arte, quante anime si salvaro-no. (MB V, 484)

«Tisicone che sei!»Don Bosco scrive: «Quelli che conob-bero da vicino (Domenico) sanno che nel suo contegno c’era tanto sforzo umano, aiutato dalla grazia di Dio».

Don Bosco, purtroppo racconta mol-to poco per provare questa sua af-fermazione. E a volte Domenico, a chi legge soltanto le pagine di Don Bosco, sembra un «santino senza sforzo», una «statuina di zucchero». Fortunatamen-te i suoi compagni di tutti i giorni, con testimonianze deposte sotto giura-mento, affermano che Domenico era tutt’altra cosa.

Ecco il racconto di Francesco Cerruti:

«Nell’inverno dell’anno 1857, qualche-duno si divertiva a tirare pallottole di neve entro il porticato, anzi nell’unico luogo riparato dove c’era una vecchia stufa, l’unica in tutto l’Oratorio, dove potevano ricoverarsi dal freddo i giova-ni, soprattutto quelli che andavano alla scuola in Torino.

Uno di essi, un artigiano, entrò corren-do e tirando pallottole dentro, seguito da qualche compagno. Domenico dis-se a costui con tutta buona grazia: “Non tirare qui dentro, sai che Don Bosco ieri sera l’ha proibito”. Il compagno, che era un poco buon soggetto, a queste pa-role lo investì d’inscienze e di minacce, dandogli inoltre, mi pare, degli schiaffi . Io ero presente, vidi Savio venir rosso e rimanersene tranquillo e calmo senza pur dire una parola contro quel com-pagno. E sì che questo gli aveva detto tra le altre ingiurie: “Tisicone che sei!”. Il detto compagno, mandato all’Oratorio di Don Bosco perché questi lo facesse buono, ne uscì qualche tempo dopo, ed occupa attualmente una delle prin-cipali cariche dello Stato».

2.3 MICHELE MAGONE IL GENERALE

Mi faresti un regalo?Allo spirito di viva fede, di fervore, di de-vozione verso la Beata Vergine Maria, Magone univa la più furba carità verso

i suoi compagni. Sapeva che l’eserci-zio di questa virtù è il mezzo più effi ca-ce per accrescere in noi l’amore di Dio. Questa massima egli praticava in ogni più piccola occasione. Alla ricreazione prendeva parte con tale entusiasmo che non sapeva più se fosse in cielo o in terra. Ma se gli capitava di vedere un compagno desideroso di giocare, gli cedeva subito i suoi giochi, contento di continuare altrimenti la sua ricreazio-ne. Più volte io l’ho veduto a desistere dal giocare alle bocce, per rimetterle ad un altro; più volte scendere dai trampoli per lasciarvi salire un compagno, che egli in bel modo assisteva affi nché il gio-co fosse più divertente, e nel tempo stesso senza pericolo. Vedeva un com-pagno triste? Gli si avvicinava, lo pren-deva per mano; lo accarezzava; gli rac-contava mille storielle. Se poi giungeva a conoscere la causa di quella tristezza, procurava di confortarlo con qualche buon consiglio, e, se era il caso, se ne faceva mediatore presso i superiori o presso chi l’avesse potuto aiutare.

Quando poteva spiegare una diffi coltà a qualcuno, aiutarlo in qualche cosa, servirlo di acqua, aggiustargli il letto, erano per lui occasioni di grande pia-cere. In tempo d’inverno un compa-gno, soffrendo i geloni, non poteva fare ricreazione, né adempiere i suoi doveri come desiderava. Magone gli scriveva volentieri il tema della scuola, ne face-va copia sulla pagina da consegnare al maestro; di più, lo aiutava a vestirsi, gli aggiustava il letto, e infi ne gli dava i suoi medesimi guanti perché si po-tesse meglio riparare dal freddo. Che cosa poteva fare di più un giovanetto di quella età? Di carattere focoso com’e-ra, non di rado si lasciava trasportare ad involontari impeti di collera; ma ba-stava dirgli:

— Magone, che fai? È questa la ven-detta del cristiano? — Ciò bastava per

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calmarlo: se ne dispiaceva tanto che andava egli stesso a domandare scusa al compagno pregandolo di perdonarlo.

Ma se nei primi mesi che venne all’Ora-torio aveva spesso bisogno di essere corretto nel temperamento passiona-le, con la sua buona volontà giunse in breve a vincere se stesso e divenire pacifi catore dei suoi compagni mede-simi. Perciò, nascendo risse di qualsiasi genere, egli, sebbene piccolo di perso-na, tosto si lanciava tra i litiganti, e con parole, ed anche con la forza, procura-va di calmarli:

— Noi siamo ragionevoli — soleva dire — dunque in noi deve comandare la ragione e non la forza. — Altra volta ag-giungeva:

— Se il Signore appena offeso usasse la forza, molti di noi saremmo stermi-nati sull’istante. Dunque se Dio onnipo-tente che è offeso usa misericordia nel perdonare chi lo percuote col pecca-to, perché noi miserabili non useremo la ragione tollerando un dispiacere ed anche un insulto senza subito farne vendetta?

Faceva di buon grado il catechismo; si prestava molto volentieri a servire ma-lati, e chiedeva con premura di passare anche le notti presso di loro, quando ne fosse stato necessario.

Un altro compagno assai divagato era più volte stato causa di dispiacere ai superiori. Costui fu in modo particola-re raccomandato a Magone, affi nché studiasse il modo di condurlo a buoni sentimenti. Michele si accinge all’ope-ra. Comincia per farselo amico; fa ricre-azione insieme a lui, gli fa dei regali, gli scrive avvisi in forma di bigliettini e così giunge a farselo amico, senza però parlargli di religione.

Cogliendo poi l’occasione della festa di San Michele, un giorno Magone gli par-lò così:

— Di qui a tre giorni ricorre la festa di San Michele; tu dovresti portarmi un bel regalo.

— Sì che te lo porto: soltanto mi rincre-sce che me ne abbi parlato, perché speravo di farti un’improvvisata.

— Ho voluto parlartene perché vorrei che questo regalo fosse anche di mio gusto.

— Sì, sì: di’ pure, sono pronto a fare quanto posso per compiacerti.

— Sei disposto?

— Sì.

— Se ti costasse molto, lo faresti ugual-mente ?

— Te lo prometto, lo fo egualmente.

— Vorrei che per il giorno di San Mi-chele mi portassi per regalo una buona Confessione, e se ne sei preparato una buona Comunione.

Attese le fatte e replicate promesse il compagno non osò opporsi a quell’a-michevole progetto: si arrese, ed i tre giorni precedenti a quella festa furono impiegati in pratiche particolari di pietà. Magone si impegnò in tutti i modi per preparare l’amico a quell’incontro spiri-tuale, e nel giorno stabilito si accostarono ambedue a ricevere i Santi Sacramenti con vera soddisfazione dei superiori, e con buon esempio dei compagni.

Magone passò tutto quel giorno in alle-gria col suo amico; giunta poi la sera gli disse:

— Abbiamo fatto una bella festa, ne sono contento: mi hai fatto veramente piacere. Ora dimmi: sei tu pure contento di quanto abbiamo fatto quest’oggi?

— Sì, ne sono contentissimo; e lo sono specialmente perché mi sono ben preparato. Ti ringrazio dell’invito che mi hai fatto; ora, se hai qualche buon consiglio da darmi, lo riceverò con vera gratitudine.

— Sì che avrei ancora un buon consiglio da darti; perché quanto abbiamo fatto è soltanto la metà della festa ed io vorrei che mi portassi l’altra metà del regalo. Da qualche tempo, mio caro amico, la tua condotta non è come dovrebbe esse-re. Il tuo modo di vivere non piace ai tuoi superiori, dà dispiacere ai tuoi genitori, inganna te stesso, ti priva della pace del cuore e poi... un giorno dovrai rendere conto a Dio del tempo perduto.

Dunque d’ora in avanti fuggì l’ozio, sta’ allegro fi n che vuoi, purché non trascuri i tuoi doveri.

Il compagno, già vinto per metà, lo fu interamente. Divenne amico fedele di Magone, prese ad imitarlo nell’esatto adempimento dei doveri del suo stato, e specialmente, per diligenza e morali-tà, forma la consolazione di quanti han-no relazione con lui.

Ho voluto corredare questo fatto con più minute circostanze sia perché esso rende sempre più luminosa la carità di Magone, sia per trascriverlo nella sua integrità quale me lo espose il compa-gno che vi ebbe parte. (Vita di Michele Magone cap. X)

Un ragazzo matto…?Era un giorno in conversazione con i suoi compagni, quando alcuni introdus-sero discorsi che un giovane cristiano e ben educato dovrebbe evitare. Magone ascoltò poche parole; quindi, messe le dita in bocca, fece un fi schio così forte che squarciava a tutti il cervello.

— Che fai — disse uno di loro — sei paz-zo? — Magone nulla dice e manda un’al-tra fi schiata maggiore della prima.

— Dov’è la civiltà — ripigliò un altro — è questo il modo di trattare? Magone al-lora rispose:

— Se voi fate i pazzi parlando male, perché non posso farlo io per impedire i vostri discorsi? Se voi rompete le leg-

gi della civiltà introducendo discorsi che non convengono ad un cristiano, perché non potrò io violare le medesime leggi per impedirli?

« Quelle parole — assicura uno di quei compagni — furono per noi una potente predica. Ci guardammo l’un l’altro; nes-suno più osò proseguire in quei discorsi, che erano mormorazioni. D’allora in poi ogni volta che Magone si trovava in no-stra compagnia ognuno misurava bene le parole che gli uscivano di bocca per paura di sentirsi stordire il cervello con uno di quegli orribili fi schi ».

Accompagnando un giorno il suo supe-riore per la città di Torino giunse in mez-zo a piazza Castello, dove udì un ragaz-zo bestemmiare il santo nome di Dio. A quelle parole parve andare fuori di testa: più senza pensare né al luogo né al pe-ricolo, con due salti vola sul bestemmia-tore, e gli da due sonori schiaffi dicendo:

— È questo il modo di trattare il santo nome del Signore? — Ma il ragazzo, che era più alto di lui, senza badare al rifl es-so morale, irritato dal vociare dei com-pagni, dall’insulto pubblico e dal sangue che in abbondanza gli colava dal naso, si avventa arrabbiato sopra Magone; e qui calci, pugni e schiaffi non lasciavano tempo né all’uno né all’altro di respira-re. Fortunatamente corse il superiore e si mise tra i due belligeranti, riuscì, non senza diffi coltà, a stabilire la pace con vicendevole soddisfazione. Quando Mi-chele fu padrone di sé si accorse dell’im-prudenza fatta nel correggere in questo modo quello sconsiderato. Si pentì del trasporto e assicurò che sarebbe stato più prudente, limitandosi a richiamarlo verbalmente.

Un’altra volta alcuni giovani discorreva-no sull’inferno, ed uno di essi in tono di scherzo disse:

— Procureremo di non andarci; se poi ci andremo, pazienza! — Michele fi nse di

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non aver inteso; ma intanto si allontanò da quel gruppo, cercò un fi ammifero e, come lo trovò, corse nella compagnia di prima. Lo accese quindi, destramente lo pose sotto la mano che il compagno te-neva dietro.

Al primo sentirsi scottare:

— Che fai? — disse subito. Sei matto?

— Non sono matto — rispose — ma vo-glio solamente mettere alla prova la tua eroica pazienza; perché se ti senti di sopportare con pazienza l’inferno per una eternità, non devi preoccuparti per la fi ammella di un fi ammifero che è cosa di un momento. — Tutti si misero a ri-dere; ma il compagno scottato disse ad alta voce:

— Si sta veramente male all’inferno.

(Vita di Michele Magone cap. XI)

3. LA SUMMA EDUCATIVA DI DON BOSCO: LA LETTERA DA ROMA.• L’animazione nasce da un desiderio: “Uno solo è il mio desiderio, quello di ve-dervi felici nel tempo e nell’eternità.”

• L’animazione è un chiodo fi sso: “Voi siete l’unico e continuo pensiero della mia mente”.

• Il primo oratorio: “Mi pareva di essere nell’antico oratorio: cordialità, confi den-za, famigliarità.”

• Il secondo oratorio: “Non udivo più grida di gioia, ma noia, spossatezza, musoneria, diffi denza, freddezza nei sacramenti.”

• Il primo cardine dell’animazione è l’a-morevolezza: “Bisogna rianimarli con la carità: che i giovani non solo siano ama-ti, ma essi stessi conoscano di essere amati.”; “Chi sa di essere amato ama e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani.”

• L’amore dell’animatore deve essere libero da vanagloria, amor proprio, ge-

losia, mormorazione, sdolcinatezze, ti-more di correggere.

• Il secondo cardine dell’animazione è l’assistenza: ascoltare tutto, presenza continua, vedere tutto, cercare il bene, buona cera.

• Il terzo cardine dell’animazione è la fede: “Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sé e non ha pace con gli altri.”

• Maestra dell’educazione è Maria: “Basta che un giovane entri in una casa salesiana perché la Vergine SS. lo pren-da subito sotto la sua protezione spe-ciale.”

• “Ritornino i giorni felici dell’oratorio; I giorni dei cuori aperti, della carità e dell’allegria. Ho bisogno che mi conso-liate dandomi la speranza e la promes-sa che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre.”

1. Per quale motivo ho accettato degli incarichi di servizio nei confronti dei più piccoli?

2. Il mio impegno nell’animazione è passatempo, hobby, o è “…l’unico e continuo pensiero della mia mente”?

3. Amorevolezza: ho mai fatto esperienza sulla mia pelle di questa amorevolezza salesiana? Riesco a metterla in pratica con tutti i ragazzi (simpatici e scomodi) a me affi dati?

4. Assistenza: sono capace di stare con i ragazzi, amando ciò che amano per prevenire il male e guidarli al bene? Anche quando costa fatica e non sembra ci siano risultati?

5. La pace con Dio: che ruolo ha Dio nel mio rapporto con i ragazzi a me affi dati? Che spazio di intervento gli offro nella mia e loro vita?

LA DOMANDA

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OUTPUT

1. Leggere la lettera da Roma.

2. Leggere l’identikit dell’animatore salesiano e auto-valutarsi.

3. Dedicare maggiore impegno alle attività con i ragazzi, specialmente con quelli più diffi cili.

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...PER CONTINUARE

Fare l’animatore è una cosa seria, pro-prio perché serio è il comandamento dell’amore che Gesù ci ha consegnato.

Prova a valutarti da 1 a 10 sulle seguenti caratteristiche irrinunciabili per un ani-matore nello stile salesiano.

Un innamorato di Cristo [……]

Una condizione indispensabile per es-sere animatori è essere cristiani e te-stimoniare l’amore di Cristo: è questo ciò che ci distingue dagli animatori dei villaggi turistici. Il fuoco che arde nel cuore di un animatore è l’amore per Lui! E’ questo fuoco che accompagna l’animatore in ogni momento del suo servizio!

Un giovane che prega [……]

Un viaggiatore che deve intraprende-re un lungo cammino deve avere la borraccia piena d’acqua: così tu ti devi continuamente dissetare alla sorgente d’acqua viva. Prega sempre, instanca-bilmente, ogni istante, riconoscendo nell’altro il volto di Cristo; ogni tuo atto sia, così, una preghiera.

In cammino con gli altri [……]

Il sole scalda e dà vita perché è com-posto da tanti raggi. L’armonia di un grest è data dal lavoro di squadra, dalla comunione di tutti gli animatori. L’ani-matore non deve mai agire in maniera individuale ma deve sempre aver pre-sente che fa parte di un gruppo.

Un giovane per i giovani [……]

“Basta che siate giovani perché vi ami assai.”: sono queste le parole scolpite nel cuore di un vero animatore secon-do l’esempio di don Bosco. L’incontro

con ogni giovane è indimenticabile. E’ ai giovani che l’ animatore dedica la propria vita; non si è, infatti, animatori solo per un paio di mesi ma lo si è per tutta la vita. L’essere animatore deve fare parte del tuo DNA!

Educatore [……]

L’animatore deve tirar fuori il bene che c’ è dentro ogni ragazzo. Non esistono ragazzi cattivi ma in ogni ragazzo c’è un punto accessibile al bene. E’ que-sto punto che l’animatore deve scova-re per far divenire i giovani a lui affi dati “buoni cristiani e onesti cittadini”.

Uno che sa ascoltare [……]

Stando con i ragazzi, devi essere sem-pre pronto ad ascoltare i loro problemi, senza mai banalizzarli. Sarai un giovane veramente disposto ad ascoltare gli al-tri solo se sarai capace di fermarti nel tran-tran della tua attività per metterti in ascolto della Parola che Dio ti vuole comunicare ogni giorno.

Umile [……]

Non crederti già arrivato! Forse è più quello che impariamo dai ragazzi di quello che possiamo offrire…Devi inol-tre sapere accogliere volentieri quello che i più esperti ti dicono sia in positivo che in negativo. Anche tu sei qui per imparare. Non stai dimostrando la tua bravura ma devi servire in modo gratu-ito e generoso i ragazzi e la comunità. Al centro non siamo noi ma gli altri. Non vergognarti mai a chiedere un consiglio a chi ha più esperienza.

Responsabile [……]

L’animatore è cosciente del compito che gli è stato affi dato e fa di tutto per non deludere chi ha avuto fi ducia in lui! Sa che ogni suo comportamento può avere conseguenze sui ragazzi quindi agisce sempre con coscienza e intel-ligenza!

Coerente [……]

“L’educatore deve aver ben chiaro che a incidere maggiormente non è ciò che dice, bensì ciò che egli stesso è e fa”(Romano Guardini). Ciò che colpi-sce maggiormente i ragazzi non sono le belle parole ma il tuo esempio. Rima-ni sempre saldo ai principi in cui credi: solo così farai breccia nel cuore di ogni ragazzo.

Allegro [……]

Che salesiani saremmo altrimenti? La gioia che hai dentro deve espandersi a macchia d’olio, contagiando tutti colo-ro che incontri! Fai tuo l’invito di Dome-nico Savio:“Noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri”!

Entusiasta [……]

Colui che si lamenta sempre non può essere un buon animatore! Svolgi ogni compito che ti è stato affi dato sempre con entusiasmo e con gioia! Quando arrivi al grest non dimenticare di indos-sare il sorriso, è il miglior modo per co-municare la gioia che devi avere dentro di te. Non ti lamentare quindi se fa caldo o se fai attività sotto il sole ma ricorda la gioia che si prova nel donarsi agli altri.

Uno che non molla mai [……]

Non sarà sempre rose e fi ori il tuo servi-zio, avrai momenti di diffi coltà in cui vor-rai mollare tutto ma in quel momento ricorda le parole di Pietro “Signore ho pescato fi nora e non ho preso niente ma sulla tua parola getterò le reti”. Non sei mai solo, accanto a te c’è sempre Maria che ti protegge sotto il suo man-to di madre.

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4SOLO DIO CHIAMAMARIA E LA VOCAZIONE

INPUT

IL SOFFIO

Spirito del Padre vieni a vivere in

noi: alleluia canteremo per le strade

della vita.

• Vieni Padre dei poveri, vieni luce splendida.

• Scendi amico degli umili, forza per i deboli.

• Tu conforti chi è solo, salvi dai pe-ricoli.

• Tu creatore dei mondi, ami la mia vita.

• Vieni a darci la pace, pace che ci libera.

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L’ECO

LA PAROLA

GV 19,25-3025Stavano presso la cro-

ce di Gesù sua madre,

la sorella di sua madre,

Maria madre di Clèopa e

Maria di Màgdala. 26Gesù

allor a, vedendo la madre e accan-

to a lei il discepolo che egli ama-

va, disse alla madre: «Donna, ecco

tuo fi glio!». 27Poi disse al discepolo:

«Ecco tua madre!». E da quell’ora il

discepolo l’accolse con sé.28Dopo questo, Gesù, sapendo che

ormai tutto era compiuto, affi nché

si compisse la Scrittura, disse: «Ho

sete». 29Vi era lì un vaso pieno di

aceto; posero perciò una spugna,

imbevuta di aceto, in cima a una

canna e gliela accostarono alla

bocca. 30Dopo aver preso l’aceto,

Gesù disse: «È compiuto!». E, chi-

nato il capo, consegnò lo spirito.

1. DOVE CI TROVIAMO?Siamo al culmine del “Libro dell’Ora”, cioè la seconda parte del IV Vangelo (dal cap. 13 in avanti): Gesù è conse-gnato nelle mani dei peccatori ed è inchiodato sulla croce; egli sta dando compimento alle Scritture, cioè al pro-getto di Salvezza del Padre. Maria è presente ed è chiamata da lui “donna” (cfr. v. 26), così come era presente all’i-nizio della sua missione, alle nozze di Cana (cfr. cap. 2), quando Gesù si era sempre rivolto a lei sempre con il me-desimo appellativo, “donna” (cfr. 2,4).

Al principio ed al compimento della missione di Gesù troviamo Maria, che non appare altrove nel testo giovan-neo; lei non è mai una semplice “com-parsa”, ma è protagonista degli eventi che riguardano suo fi glio.

2. CHE COSA MI DICE DIO?La lettura del racconto della passione –il momento della sconfi tta e dell’oscuri-tà- paradossalmente ci fa capire la vera identità di Gesù:

• Gesù è colui che dà compimento alle Scritture, cioè al progetto di salvezza che Dio ha sempre avuto per l’uomo peccatore;

• Gesù è sempre cosciente della pro-pria missione, non è mai in balia degli aventi, per cui può affermare “tutto è

L’ECO

compiuto”;

• Gesù sembra essere inerme nel-le mani dei suoi crocifi ssori, in realtà è sempre Signore e con un ultimo gesto sovrano abbassa il capo e ci “conse-gna lo spirito”, cioè la sua vita;

• Gesù, che sembra abbandonato da Dio, in realtà è sempre in rapporto col Padre suo che è nei cieli giacché in quei momenti cruciali non si dispera, ma prega secondo la tradizione di Isra-ele (cfr. Sal 22, cui allude il grido del v. 28);

• Gesù, che pure era abbandonato dagli uomini (a parte quei soldati roma-ni che, con un gesto di misericordia, gli hanno bagnato le labbra con una spugna imbevuta da una bevanda to-nifi cante; cfr. “aceto” del v. 29) non si dimentica di Maria e di Giovanni ed ha cura di loro, consegnandoli l’una all’al-tro.

3. CHE RISPOSTA DIO SI ATTENDE DA ME?Davanti alla croce tutti fuggono, an-che Pietro, che pure aveva il primato nella comunità apostolica; solo Maria e Giovanni perseverano fi no alla fi ne. Infatti occorre rimanere sotto la croce, non rifi utarla, se si vuole comprendere il mistero della Pasqua di Cristo. A chi rimane fedele nell’amore (come Ma-ria, sua madre, ed il discepolo amato, che aveva la più grande intimità con lui) Gesù apre il proprio cuore, manifesta la propria identità, consegna un dono prezioso.

Gesù si attende che un giovane in ri-cerca della propria vocazione sia capa-ce di stare sotto la croce, come Maria, sia capace di resistere nei momenti critici della vita, quando tutto diventa duro. Gesù non delude questa perse-veranza, poiché dalla croce egli si mo-

stra per quello che è e ci dona la Ma-donna come madre.

IN SINTESI…Il passo che abbiamo letto ci fa capire in che senso un cristiano non può che essere “mariano” (cioè deve avere un legame con Maria).In primo luogo osserviamo come Maria sia presente nei momenti nodali della storia di Gesù, all’inizio ed al compi-mento (Cana e Golgota); in secondo luogo Maria è la prima dei credenti, che persevera fi no alla fi ne e rimane fedele sotto la croce; infi ne Gesù stesso con-segna Maria al discepolo amato e que-sti la accoglie nella propria vita come dono del Signore. Da Maria, insomma, impariamo che cosa vuol dire seguire Gesù e prendere la croce.

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1. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». Nel mistero della croce si compie la rivelazione di Gesù e la salvezza dell’umanità. Quando la croce ha visitato la tua vita, che cosa è successo? Hai compreso di più chi è Gesù o sei stato tentato di abbandonarlo? Dopo quella fatica hai visto qual-cosa di nuovo e di bello per te e per le persone che sono accanto a te?

2. Stavano presso la croce. Solo Maria e Giovanni “non mollano” sotto la croce poiché avevano un’intimità unica con Gesù. Chi o che cosa ti aiuta a rimanere fedele nel momento della fatica?

3. «Donna, ecco tuo fi glio!»… «Ecco tua madre!». Gesù crocifi sso, con un gesto di estrema attenzione, dona la cosa più preziosa che ha, Maria sua madre, al discepolo prediletto. Sei cosciente di avere Maria come Madre? Che rapporto hai con lei? Lo coltivi? Che cosa impari dalla vicenda di Maria?

4. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. Giovanni accoglie Maria tra le cose più preziose. Preghi la Vergine Maria? Fai cre-scere la tua devozione a lei?

PER LA TUA VITA

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IL GRIDO

L’IMPEGNO

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0. IL SOGNO DI DIO E I NOSTRI SOGNI L’esitenza cristiana si gioca tutta nello spazio creato tra il Sogno di Dio e i nostri sogni. C’è su ciascuno di noi un Sogno di Dio, che chiamiamo vocazione, che ci precede in ogni pas-so e appunto ci chiama suscitando la nostra risposta. Spesso però a tale So-gno si sovrappongono altri nostri sogni, piccoli, a volte meschini, con la “esse” minuscola. Tutta la vita cristiana non è altro che lasciare che i nostri piccoli so-gni, si aprano all’ascolto stupefatto del Sogno di Dio sulla nostra vita. È curioso osservare come nel-la vita di don Bosco questo processo di scoperta del sogno di Dio sia media-to da sogni veri e propri che indicano la strada e rinsaldano nel cammino. In questi sogni la protagonista indiscussa e la Madre di Dio tanto amata da don Bosco. Verso la fi ne della sua vita ripe-teva spesso: “Ha fatto tutto lei”. Provia-mo ora a metterci in ascolto di Maria in

questi sogni per capire come sia fon-damentale la sua presenza per scopri-re il Sogno di Dio, la sua volontà, sulla nostra vita.

1. MARIA MADRE DELLA VOCAZIONE: IL SOGNO DEI 9 ANNI Ecco come don Bosco racconta un sogno, avuto all’età di nove anni, quan-do ormai di anni ne ha ben 58 e l’opera salesiana è sviluppata già oltre confi ne e si prepara a solcare il pacifi co verso l’Argentina e la Patagonia. In questo sogno, ripetutosi più volte dopo, rico-nosce l’origine di una vocazione spe-cialissima a favore della gioventù.“A quell’età ho fatto un sogno che sa-rebbe rimasto profonda mente impres-so nella mia mente per tutta la vita.Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una grande quantità di ragazzi. Alcuni rideva no, altri giocavano, non pochi be-stemmiavano. Al sentire le be stemmie,

ACTIO

LA RISPOSTA

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mi slanciai in mezzo a loro. Cercai di farli tacere usando pugni e parole.In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito no bilmente. Un manto bianco gli copriva tutta la perso-na. La sua faccia era così luminosa che non riuscivo a fi ssarla. Egli mi chia mò per nome e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi. Aggiunse:- Dovrai farteli amici con bontà e carità, non picchiando li. Su, par-la, spiegagli che il peccato è una cosa cattiva, e che l’amicizia con il Si-gnore è un bene prezioso.” La vocazione di Giovanni par-te dal cuore di quest’uomo maestoso, Gesù, che lo chiama per nome, proprio come i profeti della bibbia, e gli ordina di mettersi a capo di quei ragazzi per mo-strare loro la bellezza dell’amicizia col Signore. É una missione che certo gli appare impossibile...del resto Giovan-nino ha solo 9 anni ed è un semplice contadino.“Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo povero e ignorante, che non ero capace a parlare di religio-ne a quei mo nelli.In quel momento i ragazzi cessarono le risse, gli schiamazzi e le bestemmie, e si raccolsero tutti intorno a colui che parlava. Quasi senza sapere cosa di-cessi gli domandai:- Chi siete voi, che mi comandate cose impossibili?- Proprio perché queste cose ti sem-brano impossibili - ri spose - dovrai ren-derle possibili con l’obbedienza e ac-quistando la scienza.- Come potrò acquistare la scienza?- Io ti darò la maestra. Sotto la sua guida si diventa sa pienti, ma senza di lei anche chi è sapiente di-venta un povero ignorante.- Ma chi siete voi?- Io sono il fi glio di colei che tua madre

ti insegnò a salu tare tre volte al giorno.- La mamma mi dice sempre di non stare con quelli che non conosco, sen-za il suo permesso. Perciò ditemi il vo-stro nome. - Il mio nome domandalo a mia madre.In quel momento ho visto vicino a lui una donna maestosa, vestita di un manto che risplendeva da tutte le par-ti, come se in ogni punto ci fosse una stella luminosissima. Vedendomi sem pre più confuso, mi fece cenno di andarle vicino, mi pre-se con bontà per mano e mi disse:- Guarda.Guardai, e mi accorsi che quei ragazzi erano tutti scompar si. Al loro posto c’e-ra una moltitudine di capretti, cani, gat-ti, orsi e parecchi altri animali. La donna maestosa mi disse:Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Cresci umi le, forte e robusto, e ciò che adesso vedrai succede-re a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei fi gli.Guardai ancora, ed ecco che al posto di animali feroci com parvero altrettan-ti agnelli mansueti, che saltellavano, correva no, belavano, facevano festa attorno a quell’uomo e a quella signo-ra.” Se la vocazione parte dal Cuo-re di Gesù buon pastore è certo che però passa dalle mani di Maria sua ma-dre. Ella è madre della vocazione per-chè per le sue mani passa la chiamata di Dio; anzi è Gesù stesso che la con-segna a noi come garanzia di riuscita della vocazione. Sembra di rivedere Gesù che sulla croce dice a Giovanni: «Ecco la tua madre! » (Gv 19,27) con-segnadogli ciò che di più prezioso ave-va: sua Madre, la donna del sì pieno, la garanzia che il dono fatto non vada perduto. Proprio da questo capiamo per qual motivo sia indispensabile invocare Ma-

ria se davvero vogliamo capire quale sia la nostra vocazione, perchè lei desi-dera il nostro sì ancora di più di quanto noi lo desideriamo, perchè lei è vera-mente l’esperta della volontà di Dio pri-ma di tutto: «Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto». (Lc 1, 38). 

La preghiera: AngelusV. L’Angelo del Signore portò l’annun-zio a Maria;R. Ed ella concepì per opera dello Spirito Santo. Ave Maria...

V. Eccomi, sono la serva del Signore.R. Si compia in me la tua parola. Ave Maria...

V. E il Verbo si fece carne.R. E venne ad abitare in mezzo a noi. Ave Maria...

V. Prega per noi, santa Madre di Dio.R. Perché siamo fatti degni del-le promesse di Cristo. 

Preghiamo:Infondi nel nostro spirito la Tua gra-zia, o Padre: Tu che all’annuncio dell’Angelo ci hai rivelato l’Incar-nazione del Tuo Figlio, per la Sua Passione e la Sua Croce guida-ci alla gloria della Risurrezione. Per Cristo nostro Signore. R. Amen.

2. MARIA MAESTRA DELLE VOCAZIONI:

Il sogno del pergolato di rose In tutti i numerosi sogni di don Bosco Maria appare sempre come colei che indica il cammino. Sa mostra-re la strada passo passo a don Bosco perchè le diffi coltà non lo impediscano.

Non elimina le diffi coltà, ma mostra per quale strada si possano superare. Par-ticolarmente signifi cativo è il sogno del pergolato di rose dove Maria indica il duro cammino, le sue diffi coltà, il modo per superarlo e il premio che attende a chi perseverà. «C’era un pergolato che si prolungava a vista d’occhio, fi ancheg-giato e coperto da rosai in piena fi oritura. Anche il suolo era tutto coperto di rose. La Beata Vergine mi disse:- Togliti le scarpe! -, e poiché me le ebbi tolte, soggiunse:- Va’ avanti per quel pergolato; è quella la strada che devi per-correre.Cominciai a camminare, ma subito mi accorsi che quelle rose celavano spine acutissime, cosicché i miei piedi san-guinavano. Quindi fatti appena pochi passi, fui costretto -a ritornare indietro.- Qui ci vogliono le scarpe -, dissi allora alla mia Guida.- Certamente - mi rispose -; ci vogliono buone scarpe.

Mi calzai e mi rimisi in via con un certo numero di compagni, che ave-vano chiesto di seguirmi. Il pergolato appariva sempre più stretto e basso. Molti rami si abbassavano e si alzava-no come festoni; altri pendevano per-pendicolari sopra il sentiero. Erano tutti rivestiti di rose, e io non vedevo che rose ai lati, rose di sopra, rose innanzi ai miei passi. Mentre ancora provavo vivi dolori ai piedi, toccavo rose di qua e di là, sentendo spine ancor più pun-genti; e mi pungevo e sanguinavo non solo nelle mani, ma in tutta la persona. Al di sopra anche le rose che pendeva-no celavano spine pungentissime, che mi si infi ggevano nel capo. Tuttavia, incorag giato dalla Beata Vergine, pro-seguii il mio cammino.»

Giunti alla fi ne del diffi cile cammino la Vergine si premura affi nchè don Bo-sco abbia compreso il signifi cato di ogni cosa a benefi cio della sua missione.

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“Allora la Vergine SS. che era stata la mia guida, mi interrogò:

- Sai che cosa signifi ca tutto ciò?- No - risposi - vi prego di spiegar-

melo.Allora Ella mi disse:- Sappi che la via che hai percor-

so tra le rose e le spine signifi ca la cura che tu hai da prenderti della gioven-tù: tu vi devi camminare con le scarpe della mortifi cazione. Le spine per terra rappresentano le affe-zioni sensibili, le simpatie e le antipatie umane che distraggono l’educatore e lo distolgono dal vero fi ne, lo feriscono, lo arrestano nella sua missione, gli im-pediscono di raccogliere meriti per la vita eterna. Le rose sono simbolo della carità ardente che deve distinguere te e tutti i tuoi coadiutori. Le altre spine si gnifi cano gli ostacoli, i patimenti, i di-spiaceri che vi toccheranno. Ma non vi perdete di coraggio. Con la carità e la mortifi cazione tutto supererete e giun-gerete alle rose senza spine. Appena la Madre di Dio ebbe fi nito di parlare, rin-venni in me e mi trovai nella mia came-ra.” (MB III,32).

Proprio così don Bosco può cam-minare sicuro della presenza della sua celeste madre che nelle continue dif-fi coltà non abbandona mai. Partico-larmente interessante è notare come Maria non solo indichi con precisione il campo di lavoro di don Bosco, ma gli offre anche un cammino di ascesi ade-guato per tale missione, cioè una serie di indicazioni spirituali necessarie per mettersi al servizio dei giovani secondo lo spirito del vangelo.

La preghiera: MemorareRicordatevi, o pietosissima Vergine Maria, che non si è inteso mai al mon-do che alcuno, ricorrendo alla vostra protezione, implorando il vostro aiuto, e chiedendo il vostro patrocinio, sia stato da Voi abbandonato. Animato io

da una tal confi denza, a Voi ricorro, o Madre, Vergine delle vergini, a Voi ven-go, dinanzi a Voi contrito mi prostro a domandar pietà. Non vogliate, o Madre del Verbo, disprezzare le mie preghie-re, ma benigna ascoltatemi ed esaudi-temi. Così sia.

S. Bernardo

Maria aiuto dei cristiani: Il sogno delle due colonne

Al culto e alla preferenza per Maria Ausiliatrice don Bosco approda solo verso il 1862 quando è ormai vici-no ai cinquant’anni. In questo titolo ma-riano egli vede l’antidoto ai veleni che insidiano la Chiesa universale, ma an-che il baluardo nelle tentazioni di ogni cristiano, una forza per reggere agli as-salti del nemico delle anime. Il famoso sogno delle due colonne illustra mira-bilmente come non ci sia potenza ne-mica capace di resitere alla Chiesa se ancorata saldamente all’eucarestia e a Maria. Così racconta don Bosco:

“In mezzo all’immensa diste-sa del mare si elevano dalle onde due robuste colonne, poco distanti l’una dall’altra. Sopra di una vi è la statua della Vergine Immacolata,, ai suoi pie-di pende una largo cartello con questa iscrizione: “Auxilium Christiano-rum”; sull’altra, sta un’Ostia…e sot-to un altro cartello con le parole “Salus Credentium”. Il comandante supremo della grande nave, che è il Romano Pontefi ce, vedendo il furore dei nemici e il mal partito nel quale si trovano i suoi fedeli, convoca intorno a sé i piloti delle navi secondarie…il papa sta al timone e tutti i suoi sforzi sono diretti a portare la nave in mezzo alle due colonne.[...]Il papa, superando ogni ostacolo, gui-da la nave in mezzo alle due colonne, quindi con una catenella che pende dalla prora, le lega a un’ancora della colonna su cui vi è l’Ostia ed un’altra a quella su cui è collocata la Vergine Im-

macolata. Allora succede un gran ri-volgimento: tutte le navi nemiche fuggono, si disperdono, si urtano, si fracassano a vicenda.” (MB VII,169)

Se Maria è difesa della nostra vita cristiana contro le tentazioni, quan-to più non lo sarà della vocazione di chi è chiamato alla vita religiosa o al sacer-dozio. Don Bosco ne è così persuaso che sovente esclama: “Riguardo alla vocazione, Maria Vergine aiuta molto: ed uno che da solo fa poco, coll’aiuto di Maria fa molto.”Ne era così convinto da dare da con-siderarla veramente il baluardo ultimo.

“Uno, legato da quattro anni negli Ordini sacri, teneva una vita pessi-ma, era proprio nell’anticamera dell’in-ferno. Venne costui da Don Bosco e gli confi dò intieramente ogni cosa. Don Bosco gli disse: - Lasciamo da parte la teologia, la morale, la mistica, l’asceti-ca:, rispondimi sinceramente: hai di-vozione a Maria?- Veramente. mi rispose egli, non ci ho mai pensato sul serio.- Allora di’ tre Ave Maria matti-na e sera; e sovente, ma spe-cialmente nei pericoli, questa giaculatoria: Maria, Auxilium Chrístianorum, ora pro me.Promise di farlo e se n’andò. Alcuni anni dopo ci trovammo a caso ed egli fu molto contento di vedermi e mi pa-lesò come da quel giorno che mi ave-va confi dato la sua coscienza, fosse vissuto sempre col cuore tranquillo: “ Lei ha un buon mezzo, mi disse, per far guarire. Raccomandi sempre la di-vozione alla Madonna. Specialmente ai principianti nel servizio di Dio inculchi di raccomandarsi alla Madonna per es-sere liberati dai pericoli. Ognuno infatti coll’aiuto di Maria può tutto, da essa ottiene qualunque fa-vore. E’ l’onnipotente per grazia, e noi dobbiamo invocarla ad ogni istante, e ci darà la forza necessaria per vincere

tutti i nemici delle nostre anime.”Certamente un giovane che deci-

de di darsi totalmete a Dio e si mette in ricerca della sua vocazione, troverà ostacoli, tentazioni e prove che il Nemi-co della anime sa architettarre. Troppo grande è il suo guadagno nell’impedi-re una vocazione, perchè con essa si impediscono anche tutti i frutti di quel-la vocazione. Per questo don Bosco insegna ai suoi ragazzi l’invocazione, Maria Auxilum Christianorum ora pro nobis, per questo compone una pre-ghiera a lei dedicata che è un inno alla lotta contro il nemico e per que-sto costruisce una grande chiesa a lei dedicata. Chissà quanti giovani hanno “rotto le corna al demonio” piegando le proprie ginocchia davanti all’altare prin-cipale della Basilica di Maria Ausiliatrice e contemplando il volto sicuro e forte di Maria nel quadro del Lorenzone e affi dando a lei le proprie sofferenze e fatiche.

La preghiera: Maria Vergine potenteO Maria, Vergine potente, Tu grande illustre presidio della Chiesa;Tu aiuto meraviglioso dei Cristiani;Tu terribile come esercito schierato a battaglia; Tu sola hai distrutto ogni ere-sia in tutto il mondo; Tu nelle angustie, nelle lotte, nelle strettezze difendici dal nemico e nell’ora della morte accogli l’anima nostra in Paradiso! Amen.

(Don Bosco)

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LA DOMANDA

1. Una speciale chiamata passa per le mani di Maria. Che spazio ha Maria nella mia vita spirituale?

2. Prova a dare un punteggio (0-110L) alla presenza di Maria nella tua vita (ogni Sì vale 10)

Hai una immagine di Maria in camera tua? Sì NoHai una medaglietta di Maria al collo o in tasca? Sì NoHai un tuo rosario? Sì NoQuanti canti a Maria conosci a memoria? 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,...Partecipi alle processioni mariane del tuo paese? Sì NoHai visitato un Santuario Mariano quest’anno? Sì NoPreghi ogni giorno le tre Ave Maria prima di dormire? Sì NoPreghi il santo rosario? Sì NoNelle tentazioni invochi: ”Maria Aiuto dei cristiani prega per me”? Sì NoDopo la confessione o la messa fai il tuo ringraziamento da Lei Sì NoHai mai desiderato consacrarti a Lei per viviere da vero cristiano? Sì No

3. Quale delle virtù di Maria ti colpisce ed attrae maggiormente? Perché?

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OUTPUT

1. Prendo l’abitudine di chiedere a Maria ogni sera, nelle tre Ave Maria, il dono di comprendere la mia vocazione e rispondervi generosamente.2. Prendo in mano personalmente in mano i primi 4 capitoli del vangelo di Luca e rifl etto, prego guardando alla fi gura di Maria.3. Cerco il santuario dedicato a Maria più vicino a casa mia e oraganizzo un “mini pellegrinaggio” con i miei amici o famigliari.

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5LA STORIA DI DON BOSCOE LA NOSTRA STORIAI SEGNI DELLA VOCAZIONE

INPUT

IL SOFFIO

Spirito del Padre vieni a vivere in

noi: alleluia canteremo per le strade

della vita.

• Vieni Padre dei poveri, vieni luce splendida.

• Scendi amico degli umili, forza per i deboli.

• Tu conforti chi è solo, salvi dai pe-ricoli.

• Tu creatore dei mondi, ami la mia vita.

• Vieni a darci la pace, pace che ci libera.

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L’ECO

LA PAROLA

1SAM 3,1-10Il giovane Samuele conti-

nuava a servire il Signo-

re sotto la guida di Eli. La

parola del Signore era

rara in quei giorni, le vi-

sioni non erano frequenti.

In quel tempo Eli stava riposando

in casa, perché i suoi occhi comin-

ciavano a indebolirsi e non riusciva

più a vedere. La lampada di Dio non

era ancora spenta e Samuele era

coricato nel tempio del Signore,

dove si trovava l’arca di Dio. Allo-

ra il Signore chiamò: «Samuele!» e

quegli rispose: «Eccomi», poi corse

da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato,

eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho

chiamato, torna a dormire!». Tornò

e si mise a dormire. Ma il Signore

chiamò di nuovo: «Samuele!» e Sa-

muele, alzatosi, corse da Eli dicen-

do: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma

quegli rispose di nuovo: «Non ti ho

chiamato, fi glio mio, torna a dormi-

re!». In realtà Samuele fi no allora

non aveva ancora conosciuto il Si-

gnore, né gli era stata ancora rive-

lata la parola del Signore. Il Signore

tornò a chiamare: «Samuele!» per

la terza volta; questi si alzò ancora

e corse da Eli dicendo: «Mi hai chia-

mato, eccomi!». Allora Eli compre-

se che il Signore chiamava il giovi-

netto. Eli disse a Samuele: «Vattene

a dormire e, se ti si chiamerà an-

cora, dirai: Parla, Signore, perché il

tuo servo ti ascolta». Samuele andò

a coricarsi al suo posto. Venne il Si-

gnore, stette di nuovo accanto a lui

e lo chiamò ancora come le altre

volte: «Samuele, Samuele!». Sa-

muele rispose subito: «Parla, per-

ché il tuo servo ti ascolta».

1. DOVE CI TROVIAMO?Ci troviamo nella prima sezione del Li-bro di Samuele (capp. 1-7) in cui vengo-no narrati gli eventi principali della vita di questo eroe della storia di Israele:

- la sua prodigiosa nascita da Anna, che era sterile;

- il suo servizio presso il Santuario di Silo;

- la sua vocazione (è il passo che stia-mo leggendo);

- il compito che svolge come profeta e come giudice (cioè come guida politica del popolo).

Il “fi lo rosso” che lega tutti questi even-ti è unico ed è dato dalla mano di Dio, che accompagna Samuele fi n dalla sua infanzia e lo prepara alla vocazione che desidera affi dargli.

2. CHE COSA MI DICE DIO?La scena è ambientata a Silo, nella ten-da del Convegno, ove è conservata l’Arca dell’Alleanza (sede della presen-za divina, da cui Dio parla ai suoi servi) e dove il giovane Samuele presta il suo servizio sotto la guida del sacerdote Eli, a cui era stato affi dato dai genitori. Sia-mo in un’ora non molto lontana dall’al-ba, quando la lampada, che ardeva per tutta la notte, era ancora accesa.

E’ un periodo diffi cile per Israele, poiché

L’ECO

la parola di Dio era rara e mancavano profeti che parlassero in nome suo; in-fatti Samuele non riesce a riconosce-re dietro quell’appello che sente nella notte la voce del Signore, che per ben tre volte lo ha chiamato. Solo fi dandosi dell’esperienza di Eli, che lo aiuta a ri-conoscere la vocazione di Dio dietro quella chiamata nella notte, il giovane può dare la sua risposta di fede: “Parla o Signore, che il tuo servo ti ascolta”.

3. CHE RISPOSTA DIO SI ATTENDE DA ME?Samuele non aveva ancora compreso lo straordinario progetto che Dio aveva su di lui e che si era manifestato fi n dal-la sua nascita eccezionale; non era an-cora riuscito a leggere i segni nella sua vita. Può uscire da questa situazione di “blocco” poiché si affi da ad una guida, Eli, che lo ascolta con attenzione e ri-conosce in ciò che stava accadendo quella notte l’intervento di Dio, che sta-va passando nella vita del giovane, e gli consegna un metodo per rispondere bene alla sua chiamata. Infatti Dio pas-sa per la quarta volta, lo chiama ancora per nome, ed ecco fi nalmente Samue-le può dare la sua risposta di fede. Un po’ come è accaduto al giovane Gio-vanni Bosco, che ha ricevuto dei segni straordinari (come il sogno dei 9 anni), ma che non è riuscito a “decodifi carli” fi nchè non si è fatto aiutare da don Ca-fasso, la sua guida.

IN SINTESI…La vicenda di Samuele è signifi cativa per ogni giovane, poiché ci fa vedere che:

1. la vocazione non è un evento “pun-tuale” che cade nella nostra vita come un “meteorite”, ma è riconoscibile dai segni che Dio ha disseminato lungo

tutta la nostra esistenza;

2. la voce di Dio si fa sentire solo in un contesto di intimità con lui, come capita a Samuele, che vive nella tenda del convegno alla presenza del Dio Al-tissimo, il quale, come abbiamo letto, si mette “accanto a lui”;

3. per riconoscere questa voce e que-sti segni è necessario avere una guida che ci accompagni e che ci aiuti.

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1. Il giovane Samuele continuava a servire il Signore. Coltivi l’intimità con il Signore Gesù? Sei fedele alla preghiera quotidiana, all’Eucarestia domenicale ed alla confessione regolare?

2. Il Signore tornò a chiamare: «Samuele!» per la terza volta. Il Signore dissemina la nostra vita di “segni”, che ci interpellano e ci fanno comprendere la missione cui siamo chiamati. Hai mai rifl ettuto su questo? Hai mai provato ad individuarli e ad interpretarli?

3. Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovinetto. L’intervento di Eli è determinante per la storia di Samuele. Hai qualcuno con cui confrontarti e che ti aiuti a “leggere” i segni che ci sono nella tua vita? Con quanta frequenza ti incontri con lui? Hai mai trattato con lui la questione della tua scelta vocazionale?

PER LA TUA VITA

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1. NECESSITÀ DI UNA LETTURA DI FEDE DELLA PROPRIA STORIAIl papa di don Bosco, Pio IX, chiede a Giovanni Bosco di scrivere le sue me-morie per lasciare una preziosa eredità ai suoi fi gli salesiani. Leggere come Gio-vanni Bosco racconta la sua storia è ve-ramente istruttivo, ci fa capire con quale sguardo i santi vedono la propria storia. “Sono nato nel giorno in cui si festeggia la Madonna Assunta in Cielo. Era l’anno 1815. Vidi la luce a Morialdo, frazione di Castelnuovo d’Asti.”Il primo riferimento assoluto per la pro-pria nascita è una festa mariana, e ben sappiamo quanto sia insuperabile l’im-portanza di Maria nella storia di Giovan-ni Bosco; egli vede in quella nascita un segno particolare della protezione che la madre celeste volle dargli fi n dal pri-mo istante della sua vita. Poi prosegue nel racconto dal primo ricordo che ha, il più antico, e forse anche il più doloroso:Non avevo ancora due anni, quando

Dio misericordioso ci colpì con una grave sventura. Mio papà era nel pieno delle forze, nel fi ore degli anni, ed era impegnato a darci una buona educa-zione cristiana. Un giorno, tornando dal lavoro pieno di sudore, scese senza pensarci nella cantina sotterranea e fredda. Fu assalito da una febbre vio-lenta, sintomo di una grave polmoni-te. Fu inutile ogni cura. In pochi giorni la malattia lo stroncò. Nelle ultime ore ricevette i santi Sacramenti e racco-mandò a mia madre di avere fi ducia in Dio. Cessò di vivere a 34 anni. Era il 12 maggio 1817. Di quei giorni ho un solo ricordo, il primo ricordo della mia vita: tutti uscivano dalla camera dove mio papà era mancato, ma io non volevo seguirli. Mia mamma mi diceva:- Vieni, Giovanni, vieni con me.- Se non viene papà, non vengo - ri-sposi. - Povero fi glio, non hai più papà.Così dicendo, mamma scoppiò a pian-gere, mi prese per mano e mi portò fuori. (MO I)

ACTIO

LA RISPOSTA

IL GRIDO

L’IMPEGNO

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Il primo ricordo è anche un ricordo di acuto dolore. Ma stupisce vedere come dietro questa sventura, agli occhi di un don Bosco ormai maturo e tutto dedito alla missione salesiana, veda la mano di Dio Misericordioso.Allora se vogliamo capire le Memorie dell’Oratorio a fondo e se vogliamo ini-ziare a capire qualcosa dei segni che Dio ha posto nella nostra storia, colti-viamo lo stesso sguardo che ha don Bosco nel guardare alla sua storia: uno sguardo di vera fede che invoca da Dio la capacità di vedere le tracce, talvolta dolorose e nascoste, del provvidente passaggio di Dio nella nostra vita.

2. LA FAMIGLIA E I BENEFATTORI Tutta la nostra storia è costellata di persone, che come veri angeli custo-di, senza che lo meritassimo, ma per amore gratuito ci hanno accudito, sfa-mato, cresciuto, educato, corretto, guidato. Presi in sé e per sé sono per-sone come le altre, ma nel progetto più grande che Dio ha su di noi, sono ve-ramente voce di Dio per noi. Vediamoli all’opera nella vita di Giovannino.

MAMMA MARGHERITARicordo che fu lei a prepararmi alla pri-ma confessione. Mi accompagnò in chiesa, si confessò per prima, mi rac-comandò al confessore, e dopo mi aiu-tò a fare il ringraziamento. Conti nuò ad aiutarmi fi n quando mi credette capace di fare da solo una degna confessione. Avevo undici anni quando fui ammes-so alla prima Comu nione. Conoscevo ormai tutto il catechismo, ma nessuno veni va ammesso alla Comunione pri-ma dei dodici anni. Poiché la chiesa era lontana, non ero conosciuto dal parro-co. L’istruzio ne religiosa me la procu-rava quasi soltanto mia mamma. Essa desiderava farmi compiere al più pre-

sto quel grande atto della nostra santa religione, e mi preparò con impegno, facendo tut to quello che poteva.Durante la quaresima mi mandò ogni giorno al catechismo. Al termine diedi l’esame, fui promosso, e venne fi ssato il gior no in cui insieme agli altri fanciulli avrei potuto fare la Comu nione di Pa-squa.Durante la quaresima, mia mamma mi aveva condotto tre volte alla confes-sione. Mi ripeteva:- Giovanni, Dio ti fa un grande dono. Cerca di compor tarti bene, di confes-sarti con sincerità. Domanda perdono al Si gnore, e promettigli di diventare più buono. (MO IV)

Per i genitori…Come la Provvidenza si è presa cura della vocazione di vostro fi glio? C’è qualche episodio, magari dell’infanzia che lo rivela emblematicamente?

Per noi…1. Quali sono i ricordi più forti che ho della mia infanzia?2. Quali persone la Provvidenza mi ha messo vicino e che riconosco come miei “angeli custodi”?3. I doni personali e i desideri…traccia della Sua volontà in noi.

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DON CALOSSOCi fu una « missione predicata » nel pa-ese di Buttigliera. […] Una di quelle sere tornavo a casa mescolato a molta gen-te. Tra gli altri, c’era un certo don Calos-so, di Chieri, che da poco era venuto come cappellano a Morialdo. Era un prete molto buono, anziano. Cammi-nava tutto curvo, eppure faceva tutta quella strada per ascoltare con noi la « missione ».Vedendomi così giovane (ricordo che ero piccolo di statura, avevo la testa scoperta, i capelli ricciuti, e stavo in silenzio in mezzo agli altri) mi guardò per qualche istante, poi cominciò a parlarmi:- Di dove sei, fi glio mio? Sei venuto an-che tu alla missione? - Sì, sono stato alla predica dei missionari.- Chissà cos’hai capito! Forse tua mamma ti avrebbe potuto fare una predica più opportuna, non è vero?- E’ vero, mia mamma mi fa sovente delle buone prediche. Ma mi pare di avere capito anche i missionari.- Su, se mi dici quattro parole della pre-dica di oggi, ti do quattro soldi.- Vuole che le dica qualcosa sulla prima o sulla seconda predica?- Ciò che vuoi. Mi bastano quattro pa-role. Ti ricordi l’argomento della prima predica?- Sì: la necessità di essere amici di Dio, di non ritardare la propria conversione.- E che cosa disse il predicatore? - ag-giunse il vecchio prete che cominciava a meravigliarsi.- Ricordo perfettamente. Le recito tut-ta la predica. Senza diffi coltà esposi l’introduzione, poi i tre punti dello svol-gimento: colui che ritarda la propria conversione corre il rischio che gli man-chi il tempo, la grazia di Dio o la volontà. Don Calosso mi lasciò esporre per oltre mezz’ora mentre camminavamo tra la gente. Poi mi domandò:- Come ti chiami? Chi sono i tuoi geni-

tori? Hai frequentato molte scuole?- Mi chiamo Giovanni Bosco. Mio padre è morto quando ero ancora un bambi-no. Mia madre è vedova con tre fi gli da mantenere. Ho imparato a leggere e a scrivere.- Non hai studiato la grammatica lati-na? - Non so che cosa sia.- Ti piacerebbe studiare? - Moltissimo.- Che cosa te lo impedisce? - Mio fra-tello Antonio.- Perché tuo fratello Antonio non vuole che studi?- Dice che andare a scuola vuol dire perdere tempo. Ma se potessi anda-re a scuola, io il tempo non lo perderei. Studierei molto.- E perché vorresti studiare? - Per di-ventare prete.- E perché vuoi diventare prete?- Per istruire nella religione tanti miei compagni. Non sono cattivi, ma lo di-venteranno se nessuno li aiuta. Io vo-glio stare vicino a loro, parlare, aiutarli.Queste mie parole schiette e franche fecero molta impressione su don Ca-losso, che continuava a guardarmi. Giungemmo così a un incrocio dove le nostre strade si separavano. Mi disse queste ultime parole:- Non scoraggiarti. Penserò io a te e ai tuoi studi. Domenica vieni a trovarmi con tua madre, e vedrai che aggiuste-remo tutto.La domenica seguente entrai nella sua casa insieme a mia mamma. Si mise-ro d’accordo che mi avrebbe fatto un po’ di scuola ogni giorno. Il resto della giornata l’avrei passato lavorando nei campi, per accontentare Antonio. Mio fratello fu d’accordo, perché avrei co-minciato le lezioni dopo l’estate, quan-do il lavoro nei campi non è più urgen-te. (MO IV)

3. I DONI PERSONALI E I DESIDERI…TRACCIA DELLA SUA VOLONTÀ IN NOI.

Mano mano che cresciamo sentiamo dentro noi sorgere delle predisposizio-ni che ci spingono a dedicarci nei cam-pi più svariati, ci accorgiamo di avere qualità belle, che altri non hanno, fi no a scoprirci informati di una personalità assolutamente unica. Alla luce di Dio essi appaiono come autentici doni per i quali sentiamo nascere un appello a spenderli nel migliore dei modi: come vuole Lui.

PRETI LONTANIIo vedeva parecchi buoni preti che lavoravano nel sacro ministero, ma non poteva con loro contrarre alcuna familiarità. Mi avvenne spesso di in-contrare per via il mio parroco col suo viceparroco. Li salutava da lontano, più vicino faceva un inchino. Ma essi in modo grave e cortese restituivano il saluto continuando il loro cammino. Più volte piangendo diceva fra me, ed anche con altri: Se io fossi prete, vorrei fare diversamente; vorrei avvicinarmi ai fanciulli, vorrei dire loro delle buone parole, dare dei buoni consigli. Quan-to sarei felice se potessi discorrere un poco col mio prevosto”. (MO VI)

LE CARCERIDon Cafasso da sei anni era ormai la mia guida spirituale. Se ho fatto qual-cosa di bene nella vita lo devo a lui. Do-mandavo il suo consiglio in ogni scelta, ogni progetto, ogni orientamento del mio lavoro sacerdotale.Egli cominciò a condurmi a visitare i carcerati. Nelle prigioni imparai a cono-scere quanto è grande la malignità e la miseria degli uomini. Vedere un nume-ro grande di ragazzi tra i 12 e i 18 anni,

sani, robusti, intelligenti, vederli là ozio-si, tormentati dalle cimici e dai pidocchi, senza pane e senza una parola buona, mi fece inorridire.Quei giovani infelici erano una macchia per la nostra patria, un disonore per le famiglie. Erano umiliati fi no alla perdita della propria dignità. Quello che più mi impressionava era che molti, quando riacquistavano la libertà, erano decisi a vivere in maniera diversa, migliore. Ma dopo poco tempo fi nivano di nuovo dietro le sbarre.Cercai di capire la causa, e conclu-si che molti erano di nuovo arrestati perché si trovavano abbandonati a se stessi. Pensavo: «Questi ragazzi do-vrebbero trovare fuori un amico che si prende cura di loro, li assiste, li istrui-sce, li conduce in chiesa nei giorni di festa. Allora forse non tornerebbero a rovinarsi, o almeno sarebbero ben pochi a tornare in prigione ». Comuni-cai questo pensiero a don Cafasso, e col suo aiuto cercai il modo di tradurlo in realtà. Avevo molta confi denza nel Signore, perché sapevo che senza il suo aiuto ogni nostro sforzo è vano. (MO II,11)

LA SOCIETÀ DELL’ALLEGRIAFormammo una specie di gruppo, e lo battezzammo Società dell’Allegria. Il nome fu indovinato, perché ognuno aveva l’impegno di organizzare giochi, tenere conversazioni, leggere libri che contribuissero all’allegria di tutti. Era vietato tutto ciò che produceva malin-conia, specialmente la disobbedienza alla legge del Signore. Chi bestemmia-va, pronunciava il nome di Dio senza rispetto, faceva discorsi cattivi, doveva andarsene dalla Società.Mi trovai così alla testa di un gran nu-mero di giovani. Di comune accordo fissammo un regolamento semplicis-simo:

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1. Nessuna azione, nessun discorso che non sia degno di un cristiano.2. Esattezza nei doveri scolastici e re-ligiosi.Questo avvenimento mi diede una certa celebrità. Nel 1832 ero stimato e obbedito come il capitano di un picco-lo esercito. Mi cercavano da ogni parte per organizzare trattenimenti, aiutare alunni nelle case private, dare ripetizioni.La divina Provvidenza mi aiutava così a procurarmi il denaro per i libri di scuola, i vestiti e le altre necessità, senza pesa-re sulla mia famiglia. (MO VIII)

Per i genitori…a. Raccontateci delle passioni e dei desideri di vostro fi glio.b. Invece quali erano i punti deboli sui quali ha dovuto “tagliare”?

Per noi…1. Quali i desideri più grandi che ho sentito nella mia vita? Come si manife-stano? Con quali sentimenti?2. Quali dei tuoi doni personali senti spendibili per una missione?3.Hai mai percepito le tue qualità come un luogo concreto dove comprendere la Volontà di Dio?

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4. I DISTACCHI PER UNA METANel febbraio 1828, in uno dei periodi più critici per i gravi problemi economici e le tensioni con il fratello Antonio, mam-ma Margherita ritiene opportuno allon-tanare momentaneamente Giovanni-no da casa. Passerà così 3 anni presso la cascina Moglia. Ecco allora che una meta chiara, studiare per diventare prete, chiede il suo prezzo. Solo chi ha il coraggio di pagare anche un prezzo elevato per un sogno che porta nel cuore, può sperare di fare qualcosa di grande nella propria vita.

CASCINA MOGLIAMargherita, vedendo che le opposizio-ni di Antonio [al desiderio di studiare di Giovanni] divenivano sempre più con-tinue ed insistenti, risolse di mandare Giovanni per qualche tempo presso alcune sue persone conoscenti; e se in casa di costoro non avesse trovato ac-coglienza, designava il suo rifugio alla Moglia di Moncucco, regione distante due miglia da Chieri.Questa masseria apparteneva a certi signori Moglia, i quali non conoscevano mamma Margherita se non per fama. I Moglia erano ricchi, i Bosco invece poveri. Incoraggiata tuttavia Marghe-rita dallo spirito cristiano, che informa-va tutti i personaggi di quella casa, e dall’essere la padrona della famiglia dei Filippelli di Castelnuovo, non esitò. Chiamato Giovanni, gli diede le istruzio-ni necessarie con quello stesso affetto, col quale Rebecca congedava Gia-cobbe sul punto di partire per la Cal-dea. Margherita inviò il fi glio senz’altra raccomandazione che quella di affi dar-lo al suo angiolo custode.Era il mese di febbraio del 1828. Gio-vanni si allontanava dalla casa materna con un involto sotto il braccio, conte-nente alcune camicie e qualche libro di religione, che gli aveva donato D. Ca-

losso. L’aria fredda, il suolo coperto di neve accresceva la mestizia de’ suoi pensieri. Da casa sua più nulla poteva sperare per l’ostinazione del fratella-stro, il quale avea proibito a Margherita di spedirgli cosa alcuna. Bisognava che andasse in cerca di lavoro per procac-ciarsi il vitto col sudore della sua fronte, senza più avere il conforto di vedersi vicina la madre che amava sviscerata-mente. (MB I, 191)

Per i genitori…Quali sono le cose più preziose che ha dovuto abbandonare vostro fi glio per seguire la meta che aveva riconosciuto?

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Per noi…1. Senti di avere una meta verso la quale camminare?2. Sei disposto a rinunciare a qualcosa di prezioso (tempo, amici, passioni, in-clinazioni negative…) per raggiungerla?3. Per quali cose o persone o situazio-ni sei disposto a sopportare qualche sacrifi cio?

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5. FAI DA TE O FIDATI DI LUI?Seguire la Sua strada per noi ci chiede ad un certo punto, quando Lui sa che ne abbiamo le forze, di fare un salto, affi dando il nostro cammino non alle nostre forze, ma a Lui stesso lascian-do che non noi siamo gli artefi ci della nostra vita, ma Lui per mezzo di chi vuol metterci accanto.

IL DISCERNIMENTO DI GIOVANNI Mi avviavo al termine dell’anno di uma-nità. Anche per me era giunto il tempo di pensare seriamente a cosa avrei fat-to nella vita.Il sogno che avevo fatto ai Becchi mi era sempre fi sso in mente. Devo anzi dire che quel sogno si era rinnovato più volte, in maniera sempre più chiara. Se volevo credere a quel sogno, dovevo pensare a diventare sacerdote. Avevo anche una certa inclinazione a diventarlo.Ma non volevo credere ai sogni. E poi la mia maniera di vivere, certe abitudini che avevo preso, la mancanza totale delle virtù che sono necessarie ai sa-cerdoti, mi rendevano molto incerto. La mia era una scelta molto diffi cile.Quante volte avrei voluto avere una guida spirituale che mi aiutasse in quei momenti. Per me sarebbe stato un vero tesoro, ma questo tesoro mi mancava. Avevo un buon confessore che mi aiutava ad essere un cristiano onesto, ma non volle mai parlare di vo-cazione.Rifl ettei a lungo. Lessi alcuni libri sulla vocazione alla vita religiosa e sacerdo-tale. Alla fi ne decisi di entrare tra i Fran-cescani. Ragionavo così: - Se divento prete in mezzo al mondo, corro il rischio di fal-lire. Diventerò prete, ma non vivrò in mezzo alla gente.Mi ritirerò in un convento, mi dedicherò allo studio e alla meditazione. Nella so-litudine mi sarà più facile combattere le

passioni, specialmente l’orgoglio, che ha già messo profonde radici nel mio cuore. […] Proprio in questo tempo ca-pitò un fatto che mi mise nell’impossi-bilità di entrare subito tra i Francescani. Credevo fosse una diffi coltà passeg-gera, invece arrivarono altri ostacoli an-cora più grandi.Decisi allora di confi darmi con il mio amico Luigi Comollo. Ecco il suo con-siglio: fare una novena e scrivere una lettera a suo zio parroco.L’ultimo giorno della novena, in sua compagnia ho fatto la confessione e la Comunione. Poi, nel duomo, ascoltam-mo una Messa e ne servimmo un’altra all’altare della Madonna delle Grazie. Tornati a casa, trovammo una lettera con la risposta di don Comollo, lo zio di Luigi. Diceva:- Tutto considerato, io consiglierei il tuo compagno di non entrare in conven-to. Vesta l’abito dei chierici, e mentre proseguirà gli studi verrà a conoscere sempre meglio ciò che Dio vuole da lui. Non abbia paura di perdere la voca-zione. Con la ritiratezza e le pratiche di pietà supererà ogni ostacolo.Ho seguito quel consiglio sapiente, e cominciai a fare letture e rifl essioni che mi aiutassero nella preparazione a in-dossare l’abito dei chierici. (MO XVI)

Per i genitori…Raccontateci di come ha fatto a capire che questa vocazione era per lui.

Per noi…1. In quali ambiti della tua vita sei tenta-to di fare da te?2. Quando devi affrontare decisioni importanti con chi ti confronti?3. Conosci un sacerdote, che puoi chiamare vero amico della tua anima, al quale non nascondi nulla di te?4. Perché don Bosco insiste così tanto sulla necessità di una guida per un gio-vane che tratta di vocazione?

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OUTPUT

1. Interroga i tuoi genitori, nonni, fratelli maggiori sulla tua infanzia.

2. Prega e ringrazia il Signore per quelle persone che ti hanno custodito come “angeli custodi”

3. Sta per iniziare l’estate: se non l’hai già fatto inizia la lettura delle Memorie dell’Oratorio

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