AUTONOMIA FINANZIARIA DEL GOVERNO LOCALE

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Fondazione Agnelli Quaderno 31/1979

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AUTONOMIA FINANZIARIA DEL GOVERNO LOCALE

GIORGIO BROSIO - GIANCARLO POLA - MARIO REY

la finanza locale nelle esperienze dei principali paesi occidentali

La Fondazione Giovanni Agnelli intende favorire un approccio innovativo alla ricerca, che superi il momento puramente analitico/descrittivo e di « denuncia », per assumere contenuti direttamente propositivi, utili a fornire stimoli e suggerimenti non solo al dibattito culturale ma anche a chi ha responsabilità operative.

La collana dei « quaderni » è uno degli strumenti con cui si intende favorire il dibattito e fornire agli operatori un contributo di informazione e di stimolo.

Vi trovano spazio ricerche, saggi, estratti di volumi più ampi, resoconti di convegni, relazioni, suggerimenti di intervento operativo, proposte sperimentali.

I a quaderni » vogliono essere, cioè, oltre che un canale di divulgazione, uno strumento di lavoro per seminari, incontri, convegni.

Le opinioni espresse non riflettono necessariamente quelle della Fonda-zione ed impegnano, naturalmente, solo gli autori.

© maggio 1979, edizioni della fondazione s.r.l. Via Ormea 37 - 10125 Torino 299867

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GIORGIO BROSIO - GIANCARLO POLA - MARIO REY

La finanza locale nelle esperienze dei principali Paesi occidentali

$ Fondazione

Giovanni Agnelli

SOMMARIO

Giorgio Brosio

Il sistema della finanza locale in Canada, Francia, Germania federale pag. 3

1. L'articolazione territoriale delle strutture di governo 5 2. L'evoluzione quantitativa dei rapporti fra i diversi livelli

di governo 7 3. Evoluzione qualitativa dei rapporti fra governi di diverso

livello 10 4. La struttura dei sistemi di entrata 18 Appendice 34 Bibliografia 37

Giancarlo Pola

La finanza locale britannica 39

1. L'organizzazione degli enti e delle loro funzioni 41 2. Le entrate correnti di natura tributaria 45 3. L'attuale assenza di compartecipazioni tributarie con il

sistema della finanza centrale e le proposte in merito 48 4. Il sistema dei grants 50 5. Il conto capitale e l'indebitamento 56 6. Le politiche tariffarie 59 7. Evoluzione del settore locale nel contesto 61 Appendici 69 Bibliografia 76

Mario Rey

Il finanziamento degli enti sub-centrali di governo e le relazioni finanziarie intergovernative negli Stati Uniti d'America 77

1. Introduzione 79 2. Il numero e la struttura degli enti di governo 80 3. Responsabilità e poteri in materia tributaria. Le fonti di

carattere tributario 85 4. Il sistema dei trasferimenti intergovernativi 102 5. Il principio commerciale: i prezzi pubblici 111 6. Il debito pubblico degli Stati e degli enti locali 113

GIORGIO BROSIO

IL SISTEMA DELLA FINANZA LOCALE IN CANADA,

FRANCIA, GERMANIA FEDERALE

1. L'articolazione territoriale delle strutture di governo

1.1. Il Canada possiede un sistema di governo di tipo federale, artico-lato in dieci Province. La divisione dei poteri fra governo federale e governi provinciali è sancita nell'atto costituzionale del 1867 (« British North-America Act »). Le preferenze dei redattori della Costituzione verso un governo federale dotato di forti poteri sfociarono nell'attribu-zione alle Province di funzioni legislative e amministrative in settori con-siderati al tempo di scarso rilievo: istruzione, assistenza ospedaliera, polizia locale, amministrazione della giustizia e funzioni varie di inte-resse esclusivamente locale. Alle Province venne anche riconosciuto un potere impositivo auto-nomo nel settore della tassazione diretta, allora considerata impopolare e scarsamente produttiva di gettito. La struttura territoriale dell'amministrazione canadese è completata dagli enti locali la cui organizzazione, in relazione sia alle funzioni esercitate che alle fonti di finanziamento, è definita interamente dalle Province. Data la completa autonomia delle Province in materia, la configurazione degli enti locali canadesi è estremamente diversificata. Si passa infatti dai governi metropolitani delle città maggiori, ai municipi urbani, a quelli rurali, alle contee, ai distretti, alle parrocchie, per finire ai consorzi fra enti minori per la prestazione di servizi specializzati. A questa proliferazione di enti fa parallelo un'uguale diversità nella ripartizione delle competenze fra governi provinciali e governi locali, che è sovente dettata dalla necessità di assicurare, mediante l'intervento della Provincia, un minimo di servizi pubblici.

1.2. Lo Stato francese mantiene tuttora una struttura fortemente cen-tralizzata. L'articolazione territoriale si esprime a tre diversi livelli di strutture, piuttosto diseguali fra loro per l'ambito e l'incisività delle com-petenze attribuite. Le Regioni, in numero di 22, esercitano essenzialmente competenze di

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programmazione delle opere pubbliche ad interesse regionale ed interre-gionale. Esse costituiscono, come si avrà modo di vedere, più un ente pubblico a vocazione territoriale, che un vero e proprio livello di governo autonomo. I dipartimenti, in numero di 100, rappresentano un ente locale inter-medio dotato di poteri amministrativi (al loro modello sono state ispi-rate le Province italiane) con un ambito di competenze piuttosto specia-lizzate e concentrate nel settore della viabilità e dei servizi sociali. I comuni rappresentano la vera cellula, o struttura di base, dell'ammini-strazione locale francese. Essi hanno un ambito di competenze a voca-zione generale. I servizi prestati variano infatti in funzione, da un lato, dei bisogni espressi dai cittadini e, dall'altro, dei mezzi per soddisfarli. Ai servizi decisi autonomamente dai Comuni si aggiungono quelli addos-sati ad essi obbligatoriamente dallo Stato. Una delle caratteristiche salienti della rete comunale francese è la sua eccessiva frammentazione. Dei 36.398 Comuni censiti a fine 1975, 26.217, pari al 73 per cento, erano inferiori ai 700 abitanti. Poiché la dimensione territoriale dei Comuni è stata nettamente superata dalla evoluzione economica e sociale, sono state cercate con insistenza negli ultimi anni forme associative fra i Comuni, che permettessero di assicurare la prestazione dei servizi ad un livello dimensionale più conve-niente.

1.3. La Repubblica Federale Tedesca è composta di 11 Stati (Lànder) dotati del potere di emanare leggi per tutti i settori non riservati alla competenza del governo federale dalla Costituzione. L'articolazione a livello territoriale della repubblica federale tedesca è completata dagli enti locali. Questi si compongono di un ente intermedio il « Circondario » (Bezirk) e degli enti di base costituiti dai « Distretti rurali » (Landkreise), che raggruppano i centri di piccole dimensioni nelle zone rurali e dalle città non riunite in distretti (Kreisfreiestadte). L'organizzazione dei governi locali rientra nelle competenze dei Lànder, si registrano conseguentemente ampie differenze nelle strutture organiz-zative dei singoli enti. Le competenze principali dei Lànder, sotto il profilo della gestione am-ministrativa, riguardano l'amministrazione della giustizia, la protezione civile, la protezione dei diritti individuali, le autostrade e le strade prin-cipali, nonché l'insegnamento superiore e quello professionale. I Lànder dividono poi con gli enti locali le competenze in materia di servizi di polizia, di urbanistica e di servizi sociali e sanitari. I servizi di prevalente

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interesse locale sono di esclusiva competenza, e a totale carico, degli enti locali. Ad essi è pure addossato il servizio dell'istruzione primaria.

2. L'evoluzione quantitativa dei rapporti fra i diversi livelli di governo

Le diversità istituzionali fra i due Stati federali, Canada e Germania Federale, e quello centralizzato, cioè la Francia, si ripropongono nettis-sime al livello della spesa. Nei due Stati federali la percentuale di spesa pubblica assorbita dal governo centrale è inferiore attualmente al qua-ranta per cento, mentre essa si raddoppia praticamente nel caso della Francia, dove gli enti locali assorbono, agli inizi degli anni '70, poco più del venti per cento della spesa pubblica complessiva. Il fatto è tanto più rimarchevole se si pensa che il metodo utilizzato per il computo delle quote relative (riportate nella tabella n. 2) è quello della contabilità nazionale: i trasferimenti da parte dei livelli di governo superiori sono imputati come spesa ai governi beneficiari. Abbastanza interessante è l'osservazione della evoluzione della distribu-zione della spesa nel corso di questo intero secolo. Per tutti e tre i paesi la percentuale di spesa assorbita dal governo centrale si gonfia nei periodi bellici, in corrispondenza del resto ad un accrescimento della quota di prodotto nazionale assorbito dalla spesa pubblica (vedi tabella n. 1). La spiegazione del fenomeno è ovvia. In secondo luogo, la percentuale di spesa assorbita dai governi locali e regionali si mantiene agli inizi degli anni '70 sugli stessi livelli che aveva al principio del secolo. Soltanto per il Canada si osserva una certa riduzione « secolare » della quota di spesa pubblica assorbita dal governo centrale. In sostanza, l'osservazione dei tre paesi non apporta acqua, né al mulino dei sostenitori della centralizzazione progressiva della spesa pubblica, né a coloro che sostengono, al contrario, una continua espansione della spesa locale. In effetti, le discussioni sulle tendenze o meno alla centralizzazione non tengono conto dell'evoluzione del settore della sicurezza sociale, che è nella totalità dei paesi il comparto di gran lunga più dinamico dell'intero settore pubblico. Eliminando il comparto della sicurezza sociale (che fra l'altro non è sempre tenuto separato nelle statistiche ufficiali) dal con-fronto non vi è dubbio che le spese dei governi regionali e locali hanno un'espansione nettamente più accentuata di quelle statali. Soprattutto,

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Tabella 1 - Andamento della spesa pubblica complessiva in relazione al prodotto nazionale lordo in Canada, Francia e Germania Federale (1900-1971).

Canada Francia Germania Federale

1900 9,5 15,2 14,9 a

1910 11,4 13,7 12,8 b 1920 16,1 25,1 31,3c

1930 18,9 19,1 22,2 1938 23,1 26,6 17,7 d

1950 22,1 34,4 29,8 1960 29,7 40,5 23,3 1965 29,7 40,2 28,5 1971 37,7 37,5 27,8

a 1901; b1913; c 1925; d 1937. Fonte ; W. W. POMMEREHNE, Quantitative Aspects of Federalism: A Study of Six Countries, in Wallace E. Oates (ed.), The Politicai Economy of Fiscal Federalism, Lexington, Heath, 1977.

Tabella 2 - Distribuzione fra i governi di diverso livello della spesa pub-blica (1900-1971).

Canada Francia Germania Federale c R L C R L C R L

1900 57,1 — — 70,5 5,8 23,7 39,7 33,2 27,1a

1910 50,0 27,6 22,4 66,3 8,7 25,0 36,7 27,2 36,1 b

1920 59,2 17,0 23,8 81,5 3,5 15,0 35,3 27,8 36,9c

1930 32,1 24,6 43,3 71,9 7,1 21,0 40,1 25,1 39,6 1938 34,3 36,1 29,6 74,9 10,9 14,2 45,8 19,9 34,3 d

1950 52,2 25,2 22,6 85,6 4,9 9,5 48,4 30,2 21,4 1960 50,5 24,1 25,4 83,2 4,7 12,1 39,9 33,2 26,9 1965 43,1 28,7 28,2 81,7 5,5 12,8 40,3 30,9 28,8 1971 37,1 37,9 25,0 76,9 5,6 17,5 37,9 33,2 28,9

Leggenda : C = governo centrale, R = governi regionali (nel caso della Francia si tratta dei dipartimenti, in realtà più assimilabili agli enti locali). L = governi locali. I trasferimenti fra i diversi livelli di governo sono registrati nella spesa dei governi beneficiari, a 1901; b1913; c1925; d1937. Fonte: W. POMMEREHNE, Quantitative Prospects of Federalism: A Study of Six Countries, in W. E. Oates (ed.), Fiscal Federalism, Lexington, Heath, 1977.

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ciò che importa mettere in evidenza è la crescente differenziazione del tipo di spesa realizzato dai governi di diverso livello. Nelle spese dei governi centrali tendono ad avere spazio sempre più ampio le operazioni di trasferimento, sia a favore degli individui e delle imprese, che degli altri comparti del settore pubblico. Per contro, i governi locali e regionali tendono ad avere una quota sempre più elevata di spese di trasformazione, cioè di quelle dirette alla produzione di beni e servizi, sia correnti che d'investimento. Soprattutto è in quest'ultimo settore che il ruolo dei governi regionali e locali è ormai divenuto preponderante. In Canada la loro quota è ormai (1971) superiore all'85 per cento del totale, in Germania all'81 per cento, nella Francia centralizzatrice quasi il 60 per cento degli investimenti pubblici è ormai realizzato dagli enti locali (vedi tabella n. 3). In altre parole, i governi di livello inferiore sono ormai diventati i centri principali della produzione pubblica. Il riflesso naturale, sul lato delle entrate, di questa evoluzione è la pro-gressiva centralizzazione presso lo Stato di quelle di natura tributaria. Le esigenze di uniformità territoriale nella struttura delle imposte e il maggior uso dello strumento fiscale nelle manovre di stabilizzazione

Tabella 3 - Distribuzione fra i governi di diverso livello delle spese cor-renti e in conto capitale, 1930-1970.

1930 Corr. 33,8 35,1 31,1

1938 Corr. 24,7 53,1 22,2 Cap. 19,3 16,6 64,1

Canada C R L C

Francia C R L

n.d.

n.d.

Germania Federale C R L

11,7 15,7 72,6 33,1 30,7 36,2

n.d. Cap. 27,0 16,6 46,8

1950 Corr. 15,9 39,4 44,7 Cap. 47,9 20,3 31,8

n.d. 13,5 25,0 61,5 48,5 32,7 18,8

1960 Corr. 15,1 40,5 44,4 80,3 Cap. 45,9 18,7 35,4 47,0

1965 Corr. 14,4 42,2 43,4 79,4 Cap. 33,8 30,1 36,1 45,4

1971 Corr. 13,9 44,4 41,7 79,8 Cap. 27,0 38,7 34,3 42,6

19.3 18,8 20,6 60,6 53,0 35,1 39,1 25,8 20,6 16,8 19,7 63,5 54,6 37,7 37,5 24,8 20,2 18,4 20,2 61,4 57.4 31,2 41,8 27,0

Fonte: vedi tabella 1. Corr.: spese correnti. Cap. : spese di investimento.

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hanno portato ad incrementare la quota di gettito fiscale prelevata dai governi centrali. Nei tre paesi, qui esaminati, la quota di imposte prele-vate dal governo centrale era nel 1971 pari al 52,0 per cento in Canada, all'85,7 per cento in Francia, e al 58,7 per cento nella Germania Fede-rale. Quarant'anni prima le cifre corrispondenti erano rispettivamente: 41,4, 83,6 e 38,9 per cento (vedi tabella n. 4). Si delinea in definitiva un accentramento nel processo di prelievo delle risorse che vengono poi distribuite a favore degli altri comparti del set-tore pubblico, specificamente i governi regionali e locali, per l'impiego finale.

3. Evoluzione qualitativa dei rapporti fra governi di diverso livello

3.1. La storia dei rapporti fra governi di diverso livello in Canada è piuttosto movimentata e per questo fatto particolarmente interessante. I conflitti fra il governo federale e quelli provinciali, originati sia da fattori economici-finanziari, che dalle spinte autonomiste o indipenden-tistiche delle zone francofone, hanno trovato una faticosa soluzione in una serie ormai lunga di accordi che segnano le tappe dell'evoluzione del federalismo fiscale canadese. II contenzioso e le sue soluzioni hanno riguardato quasi esclusivamente il problema del finanziamento e in misura solo marginale le funzioni di spesa, la cui ripartizione fra i diversi livelli di governo, fissata dall'atto costituzionale del 1867, non è stata modificata su punti importanti. L'attribuzione iniziale alle Province di fonti di entrata non particolar-mente cospicue e dinamiche, come erano le imposte dirette nel secolo scorso, richiese immediatamente la concessione di sussidi integrativi da parte del governo federale, che furono commisurati al numero degli abitanti, e furono integrati, per le Province più povere, da contributi speciali. Si tratta, indubbiamente, di uno dei primi esempi di trasferi-menti intergovernativi. L'espansione delle necessità di spesa delle Province provocata, nei primi decenni di questo secolo, dall'industrializzazione e dall'urbanizzazione si scontrò con la concorrenza esercitata dal governo federale nel settore delle imposte dirette, che era riservato alle Province. La mancanza di una precisa definizione dei poteri impositivi e di ogni cooperazione fra centro e periferia diede origine ad una vera e propria giungla impositiva caratterizzata dalla concorrenza fra più livelli di governo sulla stessa

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Tabella 4 - Distribuzione del gettito fiscale fra i diversi livelli di governo. 1930-1970.

Canada

anni v.a. C

% v.a. R

% v.a. L

%

1930 296 41 ,4 123 17,2 296 41 ,4

1938 4 3 9 47 ,7 201 21 ,8 279 30,5

1950 2 .260 65,7 677 19,7 503 14,6

1955 4 .346 70,6 9 6 0 15,6 851 13,8

1960 5 .542 63,8 1.688 19,4 1.458 16,8

1965 7.811 56,3 3 .925 28,3 2 .134 15,4

1970 14.015 52,0 9 .168

Francia

34,0 3.758 14,0

anni c R L

anni v.a. % v.a. % v.a. %

1930 448 83,6 3 0 5,6 58 10,8

1938 468 77 ,6 5 0 8,3 85 14,1

1950 17.115 86,1 8 4 0 4 ,2 1.916 9,7

1955 34 .886 86,6 1 .582 3,9 3 .807 9,5

1960 53 .999 87,9 2 .091 3,4 5.339 8,7

1965 99 .996 87,2 4 .410 3,8 10.196 9 ,0

1970 122.316 85,7 5 .256 3,7 15.038 10,5

Germania Federale

anni c R L

anni v.a. % v.a. % v.a. %

1930 4 .872 38 ,9 3 .249 25 ,9 4 .390 35 ,2

1938 13.074 65,7 2 .219 11,1 4 .591 2 3 , 2

1950 9 .876 52,5 6 .294 33 ,4 2 .649 14,1

1955 22 .585 57,9 10.794 27,7 5 .627 13,4

1960 33 .809 52,9 21 .471 33,6 8 .562 13,5

1965 59 .030 56,5 32 .366 31,0 13.063 12,5

1970 83 .597 58,7 4 0 . 4 8 2 28,4 18.240 12,9

Fonte: vedi tabella 1. a 1933; b 1939; c 1929; d 1956; <= 1959; f 1968.

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base imponibile, da aliquote elevatissime, da duplicazioni di strutture amministrative, da comportamenti contrastanti nei confronti delle ma-novre congiunturali, che allungarono gli effetti della grande depressione degli anni Trenta. Dall'inizio della II guerra mondiale ad oggi le relazioni fra i governi di diverso livello sono state regolate da una serie di veri e propri accordi di durata quinquennale fra governo federale e Province, in merito alla ripartizione delle fonti di entrata disponibili e alla armonizzazione delle stesse su tutto il territorio nazionale. Il periodo 1941-47 è stato caratterizzato dagli accordi di « Tax-Rental ». In base ad essi i governi provinciali hanno concesso in affitto al governo federale il potere impositivo di cui disponevano nel settore delle imposte dirette in cambio di trasferimenti commisurati alla popolazione e alle situazioni di bisogno, o alternativamente al gettito prima riscosso dalle Province sulle medesime imposte e variamente integrato a seconda delle situazioni locali. Il sistema del « Tax-Rental » è stato parzialmente mo-dificato negli anni 1957-62 da quello del « Tax-Sharing ». Il mancato gettito per le Province derivante dalla non applicazione delle imposte dirette veniva compensato da una quota del gettito incassato su di esse dal governo federale, le cui aliquote erano ovviamente assai superiori di quelle applicate dalle Province. Si introduceva, inoltre, un meccanismo di egualizzazione dei gettiti che allineava le entrate delle Province più povere al livello di quelle delle Province più ricche. Notevole sviluppo avevano inoltre nel frattempo i trasferimenti specifici collegati cioè allo svolgimento di determinate fun-zioni di spesa. Con la venuta al potere dei conservatori a livello federale agli inizi degli anni '60 iniziava un processo inverso di redistribuzione del potere impositivo dal governo federale a favore di quelli provinciali. Un pro-cesso tutt'altro che agevole, data la riluttanza di questi ultimi ad assu-mere il peso dell'impopolarità derivante dalle imposte dirette. A partire dal 1962 viene introdotto il sistema, tuttora in vigore nelle sue linee fondamentali, della divisione della responsabilità impositiva fra il governo federale e quelli provinciali. Più precisamente, il governo federale ha introdotto un abbattimento, variabile di anno in anno, delle proprie aliquote, al fine di lasciar spazio all'imposizione autonoma da parte delle Province.

Queste ultime sono comunque libere di fissare aliquote che eccedono lo spazio lasciato dal governo federale, che si incarica anche dell'ammini-

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strazione delle imposte provinciali nel caso che la base imponibile sia del tutto uguale a quella determinata per l'imposta federale. Parallelamente alla riappropriazione della capacità impositiva, le Pro-vince iniziavano a rimettere in discussione il sistema dei trasferimenti specifici, diventato una delle più importanti fonti di finanziamento delle spese nel settore della sicurezza sociale. L'attribuzione di trasferimenti, condizionata al rispetto dei criteri di spesa fissati dal governo federale, veniva considerata come una seria diminuzione del grado di autonomia delle Province. Le rivendicazioni trovavano parziale accoglimento con il sistema « dell'opzione ». In base ad esso le Province interessate possono ottenere, in cambio della rinuncia ai trasferimenti specifici, una ridu-zione mediante abbattimento delle aliquote dello spazio occupato dal governo federale nelle imposte dirette. In sostanza, il finanziamento delle spese viene assicurato mediante un aumento dell'imposizione autonoma delle Province. Va detto che di questo sistema si sono avvalse naturalmente le Province più ricche e quella ad orientamento più autonomista, cioè il Quebec, che aveva sempre rifiutato negli anni precedenti di delegare al governo federale il proprio potere tributario, ritenuto un corollario indispensa-bile dell'autonomia politica. Sul lato delle spese la trasformazione più importante è rappresentata dalla progressiva assunzione da parte del governo federale delle spese per le pensioni e di quelle per il sostegno alla disoccupazione, assun-zione che le Province hanno agevolato di buon grado data l'onerosità di queste funzioni. L'intervento del governo federale in questi settori è stato dettato — come comprensibile — da motivi di stabilizzazione congiun-turale e dalla necessità di rendere più uguali le condizioni di reddito sul territorio nazionale.

3.2. La politica dello Stato francese nei confronti degli enti locali ha continuato ad essere impostata in questo dopoguerra al principio che il sistema della finanza locale deve essere concepito e quindi modulato in relazione esclusiva alla prestazione dei servizi pubblici. Lo sviluppo territoriale e l'egualizzazione delle condizioni economiche delle diverse Regioni non sono state perseguite con la decentralizzazione delle competenze agli enti locali. In effetti, la politica di sviluppo econo-mico e territoriale di questo dopoguerra è stata basata sul meccanismo della « deconcentrazione », della delega cioè dei poteri decisionali alle autorità decentrate dello Stato. Tranne una limitata partecipazione con-sultiva degli enti locali e dei rappresentanti delle categorie economiche

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alla regionalizzazione del Piano, il processo di deconcentrazione ha teso principalmente a migliorare la qualità dei servizi e delle decisioni prese dallo Stato. Allo stesso criterio di migliorare l'efficienza senza però diminuire il potere del governo centrale va ricondotta la creazione delle nuove con-figurazioni di enti locali, cioè le comunità urbane, i distretti e i consorzi a vocazione multipla. Si tratta in tutti e tre i casi di forze associative o federative fra Comuni esistenti. L'esperienza più interessante è quella delle comunità urbane. Si tratta di un ente di governo delle aree metropolitane, formato da rappresentanti dei consigli municipali dei Comuni ricompresi, cui sono devolute tutte le competenze necessarie per la programmazione urbanistica e dotato di risorse proprie (sovraimposte alle tasse locali e quote parte dei trasfe-rimenti statali ai Comuni). Le comunità sono state ideate con una doppia finalità: servire da freno all'esodo verso la regione parigina e fare da contrappeso alla capitale. Che il numero delle comunità create assommi a nove, di cui quattro create obbligatoriamente per legge, indica a suffi-cienza la scarsa accoglienza fatta a una soluzione, che ha incontrato il favore dei Comuni maggiori e l'opposizione di quelli minori, destinati a essere assorbiti. Ancora meno incisiva l'esperienza dei distretti, federazioni di Comuni rurali e urbani ideate per rallentare l'esodo e quindi la desertificazione della campagna francese. Come già nel caso delle comunità urbane, i distretti hanno competenze strettamente limitate alla fornitura dei ser-vizi. È evidente però che la semplice razionalizzazione dei servizi non è in grado di invertire una tendenza alla distribuzione della popolazione determinata da forze ben più incisive, né di stimolare le energie locali, attraverso la partecipazione dei cittadini alle scelte che influiscono sullo sviluppo. Soltanto con la creazione delle Regioni si è intrapreso un primo, e molto timido, passo verso una maggiore partecipazione delle istanze locali alla determinazione della politica di sviluppo. Un passo molto timido, perché il meccanismo indiretto di elezione del-l'organo di governo regionale, la limitatezza delle funzioni assegnate e le ridottissime capacità finanziarie fanno delle regioni francesi più degli enti pubblici a vocazione territoriale (« Établissement Publique Régio-nal » è infatti la loro denominazione ufficiale) che non degli enti auto-nomi di governo. Sotto il profilo della struttura istituzionale, i nuovi enti si discostano dal modello tradizionale di rappresentatività e autonomia degli enti locali.

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Il Consiglio Regionale è infatti per una parte scelto con un metodo di elezione indiretta (da parte dei consigli municipali e di dipartimento) e per la restante è formato da rappresentanti delle categorie economico-sociali. Le funzioni esecutive sono poi affidate direttamente al « Pre-fetto di Regione », ovviamente nominato dal governo centrale. Dal canto loro, le competenze delle regioni sono limitate alla pianifica-zione regionale delle opere pubbliche e all'esecuzione di talune opere di interesse regionale e interregionale. Le possibilità di intervento della Regione sono però limitate dalla fissazione di un tetto massimo (attual-mente 45 franchi) al prelievo fiscale da essa operato, che costituisce la principale fonte di entrata corrente. Oltre alla « prudenza » ha giocato nella fissazione del tetto la preoccupazione che il nuovo ente potesse allargare le disparità regionali, ritenute già eccessive. Sulla struttura delle Regioni hanno pesato gravemente le vicende poli-tiche del momento in cui sono state varate, particolarmente la boccia-tura al momento della sottoposizione al referendum del primo progetto di regionalizzazione che era stato abbinato a quello della riforma del Senato. Nonostante le varie forze politiche si siano pronunciate per un accrescimento dei poteri regionali, l'attribuzione di un ruolo più incisivo alle regioni rimane ancora lontana nel tempo. Il Rapporto Guichard, la più recente proposta governativa di riforma del sistema di governo locale, non contiene infatti alcuna proposta innovativa per le Regioni. Anche nei confronti degli enti locali inferiori, Comuni e Dipartimenti, il controllo esercitato dal centro rappresenta la chiave di volta del sistema francese di governo locale. Esso si concentra, come già per la politica di Piano, sugli investimenti. L'impossibilità pratica degli enti locali di finanziare gli investimenti con le entrate correnti e la necessità di ricor-rere ai trasferimenti specifici del governo centrale e ai prestiti apre le porte al controllo del governo centrale. Le caratteristiche principali del sistema sono: 1) le decisioni relative alla concessione dei trasferimenti (circa il 20 per cento delle spese locali d'investimento) e ai prestiti (le fonti principali e più accessibili per le condizioni applicate sono rappresentate dalla « Caisse des Dépòts et Consignations » e dalla « Caisse d'Aide à l'Équipement des Collectivités Locales ») sono prese al di fuori di un programma coerente con priorità definite; 2) i prestiti sono accordati solo dopo la concessione del sussidio. In breve, la sequenza è: senza sussidio, nessun prestito, nessun investi-mento. Nel complesso la politica seguita in questo dopoguerra è stata rivolta al perseguimento di due obiettivi principali: 1) porre in grado il governo

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centrale di realizzare una politica del territorio, intesa a ridurre le dispa-rità interregionali aumentando la dotazione di infrastrutture nelle Re-gioni più arretrate; 2) facilitare il perseguimento della politica di stabi-lizzazione congiunturale, assegnando al governo centrale maggiori poteri di controllo sull'insieme degli enti territoriali. Secondo buona parte della letteratura (ved. per un esame, Prud'homme, 1975) si è trattato in effetti più di possibilità teoriche che reali. Per quanto concerne il primo punto, infatti, gli investimenti realizzati non paiono essere stati distribuiti secondo i criteri annunciati. Cioè le regioni che hanno avuto più della loro quota di investimenti, ponderata sulla base della popolazione, non coincidono con quelle che avrebbero dovuto avere più della loro quota. L'esiguità della documentazione rende difficile la risposta al secondo punto. Tuttavia, i confronti effettuati fra i tassi di sviluppo del prodotto lordo, da un lato, e quelli degli investimenti locali in opere pubbliche, dall'altro, mostrano per gli anni recenti una correlazione positiva, ciò che suggerisce che, se si è riusciti ad effettuare con gli strumenti in esame una politica anticiclica, questa è stata di lieve momento.

3.3. Passando alla Germania, la struttura di Stato federale adottata nel dopoguerra, sulla quale è interessante concentrare l'attenzione, è in evi-dente contrasto con le tendenze tradizionali dello Stato tedesco. Si af-ferma infatti che la storia costituzionale della Germania si è costante-mente mossa in direzione di una maggiore unità e di un minore decen-tramento. In effetti, la creazione del sistema federale con la Costituzione del 1948 è stata imposta dalle potenze di occupazione, come è dimostrato dalla delimitazione geografica degli Stati che è più rispettosa dei confini delle zone di occupazione alleate, che di quelli storici. In ogni caso, gli estensori della Costituzione tedesca si sono largamente preoccupati di predisporre strumenti in grado di rintuzzare i probabili attacchi da parte del governo federale all'autonomia decisionale dei sin-goli Lànder.

Sotto il profilo dell'architettura costituzionale, la creazione della seconda Camera (il Bundesrat), composta esclusivamente di rappresentanti dei governi dei Lànder, assicura non solo un'efficace tutela degli interessi locali, ma anche un'effettiva partecipazione dei governi statali alla deter-minazione della politica nazionale. Il Bundesrat ha infatti, fra l'altro, poteri di iniziative e di veto in tutte le materie in cui viene coinvolto l'interesse dei Lànder, in particolare in

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ogni aspetto dei rapporti finanziari. Questi poteri, uniti al fatto che la maggioranza che si forma al Bundesrat può essere ideologicamente e partiticamente diversa da quella della prima Camera (il Bundestag) che esprime il governo federale, hanno imposto la cooperazione continua fra il governo federale e quelli dei Lànder, che caratterizza la storia dei loro rapporti in questo dopoguerra. Illustrativo al proposito il caso della politica tributaria. Secondo la Costi-tuzione tedesca il governo federale e i governi dei Lànder hanno poteri concorrenti in materia tributaria, ma una volta che il governo federale si è appropriato di una data materia imponibile, i poteri concorrenti dei Lànder vengono a cessare. Ed infatti il governo federale si è immediata-mente impadronito di quasi tutti i terreni fiscali più fertili. Il concorso alle decisioni tributarie dei governi regionali, tramite la se-conda camera, ha però improntato la politica realizzata a tre princìpi fondamentali. Il primo è relativo all'uniformità su tutto il territorio fede-rale della struttura delle principali imposte, soprattutto di quelle suscet-tibili di influire sui movimenti dei fattori produttivi. Il secondo è che tutti i livelli di governo hanno un uguale diritto alle risorse fiscali per il finanziamento delle proprie spese. Il terzo, conseguenziale al primo, è che è necessario egualizzare le entrate percepite dai governi delle diverse regioni in modo da allineare le condizioni di vita nelle stesse. La politica del governo federale nei confronti di quelli statali e locali è stata dominata negli anni più recenti da tre problemi, comuni alle strut-ture di governo ampiamente decentrate. Essi sono: 1) la correzione degli effetti destabilizzanti (pro-ciclici) della politica di investimento effettuata dagli enti locali (in Germania — abbiamo visto — i quattro quinti di tutto l'investimento pubblico sono realizzati a livello locale); 2) la neces-sità di rendere compatibile con gli obiettivi di stabilizzazione la cre-scente domanda di servizi pubblici, che è generata dall'industrializza-zione e che si indirizza per il suo soddisfacimento prevalentemente a livello locale (cfr. D. Fick, 1976); 3) la riduzione, o perlomeno, il con-trollo delle disparità di condizioni economiche esistenti fra le diverse regioni, in presenza di tendenze di sviluppo spaziale piuttosto differen-ziate.

La soluzione ai problemi dianzi indicati è stata ricercata operando sia sul lato delle entrate, che su quello delle spese. Sul lato delle entrate, la riforma fiscale del 1971 ha ampliato sostanzialmente la quota del gettito delle imposte ad ampia base imponibile (imposte sul reddito e imposte sul valore aggiunto) ricevuta dai governi statali e locali. Il provvedimento ha alleviato le difficoltà finanziarie dei governi locali durante le reces-

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sioni e ha garantito al tempo stesso l'autonomia dei governi regionali e locali. Sul lato delle spese, la politica tedesca è stata indirizzata in due princi-pali direzioni. La prima è stata la creazione di programmi di intervento congiunto (« Gemeinschaftaufgaben ») fra il governo federale e quelli statali nei settori della promozione dello sviluppo economico regionale, delle costruzioni universitarie e della politica agricola. I programmi, finanziati principalmente dal governo federale, hanno cercato di conci-liare gli obiettivi di stabilizzazione con quelli di correzione degli squi-libri di reddito. Essi sono stati cioè prevalentemente realizzati nei periodi di rallentamento della congiuntura. La seconda direzione di intervento è stata la creazione, e l'inserimento nella stessa legge costituzionale, di un sistema di trasferimenti specifici dal governo federale agli Stati e agli enti locali nei settori dell'edilizia popolare, dei trasporti urbani, del rinnovo dei centri storici e delle costru-zioni ospedaliere. I trasferimenti in questione mirano a combinare gli obiettivi di stabilizzazione, da un lato, con quelli di soddisfare la do-manda più pressante di servizi sociali forniti dagli enti locali, dall'altro. È difficile fornire nello spazio di poche righe una valutazione degli effetti di una politica così complessa di « federalismo cooperativo ». La straordinaria stabilità delle variabili macroeconomiche, in questo dopoguerra, costituisce certo una prova del fatto che le necessità della fornitura di un volume crescente di servizi pubblici locali non hanno inciso sugli obiettivi di stabilizzazione. Inoltre, il trasferimento di una larga quota del gettito delle imposte ad ampia base imponibile a favore dei governi statali e locali ha certamente aiutato al mantenimento del-l'autonomia finanziaria di questi ultimi e quindi del loro potere deci-sionale.

4. La struttura dei sistemi di entrata

4.1. L'ampia varietà di fonti di entrate ordinarie per gli enti locali può essere classificata in cinque categorie. Il criterio di classificazione, che si intende qui seguire, premia il grado di autonomia decisionale goduto dagli enti locali rispetto alle caratteristiche istituzionali o tecniche delle forme di entrata. La prima categoria è composta da quelle entrate fiscali le cui aliquote, o la cui base imponibile, sono controllate dagli enti locali al fine di variare discrezionalmente il gettito. Si tratta sia di imposte amministrate

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direttamente dagli enti locali, o in congiunzione con il governo centrale, che di imposte amministrate dal governo centrale, le cui aliquote sono fissate a livello locale. La seconda categoria è formata dalle imposte il cui gettito può essere variato dagli enti locali attraverso un processo di contrattazione con il governo centrale o con gli altri livelli di governo che partecipano ugual-mente al gettito di queste imposte. La terza categoria consiste di sistemi generali di trasferimenti dai livelli di governo superiori. L'ammontare complessivo trasferito è normalmente calcolato con riferimento al gettito di una o più imposte percepite dal-l'ente che effettua il trasferimento o sulla base dei fabbisogni degli enti beneficiari. Esso può essere distribuito in base ad un'ampia varietà di criteri: caratteristiche socio-economiche degli enti beneficiari, sforzo fiscale, parametri redistributivi. La quarta categoria consiste di trasferimenti specifici dagli altri livelli di governo. La quinta categoria ha carattere residuo, ma non per questo è meno im-portante: sono infatti comprese le tariffe applicate sui servizi di pubblica utilità, i redditi dei patrimoni posseduti dagli enti locali, i contributi pagati dai privati, i trasferimenti gratuiti, ecc.

Tabella 5 - Distribuzione delle entrate dei governi regionali e locali.

Francia Germania Germania Canada Canada (Stati) (Gov. loc.) (Province) (Enti loc.)

1972 1973 1973 1974 1974

1. Imposte locali 34,9 15,0 9,8 55,1 42,1 2. Imposte

in compartec. 40,2 32,8 — —

3. Trasferimenti generali 26,9 16,0 | f - 7,7 6,3

4. Trasferimenti 1 specifici 26,2 21,3 1 [ 35,2 14,7 41,2

5. Entrate varie 12,0 7,5 22,2 12,5 10,4

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonti : Per la Francia, Statistiques financières des collectivités locales, Statistiques & Études Financières, n. 316, Parigi, 1975. Per la Germania Federale, Statistiches Jahrbuch fiir die Bundesrepublik Deutsch-land, 1977. Per il Canada, Canadian Tax Foundation, Provincial and Municipai Finances, Ottawa, 1977.

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Il processo di centralizzazione delle imposte rende sempre più importante il ruolo assunto dai trasferimenti generali nel finanziamento dei governi di livello inferiore. Ad essi sarà pertanto dedicata una maggiore atten-zione in questa rassegna. I trasferimenti generali non solo assicurano una frazione in espansione delle spese dei governi regionali e locali, ma attra-verso ad essi, i governi centrali possono controllare, modificando i cri-teri di distribuzione, non solo la dimensione complessiva dell'attività finanziaria di questi governi, ma anche le capacità relative di spesa. Più precisamente negli Stati a struttura federale, la grossa percentuale di spesa pubblica realizzata dai governi regionali e locali può essere all'ori-gine, in assenza di meccanismi correttivi, di ampie differenze nei livelli di fornitura dei servizi pubblici e quindi nelle condizioni di vita. Questo spiega perché in tali Stati il governo centrale tenda ad intervenire con peso accresciuto in direzione dell'egualizzazione delle entrate percepite dai governi di livello inferiore. Per contro, nei paesi ove il ruolo delle autonomie locali è più ridotto e altrettanto la loro spesa, i trasferimenti generali hanno soprattutto una funzione integrativa delle entrate locali. Gli obiettivi redistributivi passano dunque in secondo piano anche per-ché le possibilità di ampi scostamenti nei livelli di vita originati dai di-versi livelli di fornitura nei servizi pubblici sono contenute dalla più ridotta dimensione della spesa.

I tre paesi esaminati rispecchiano piuttosto da vicino lo schema ora delineato. In particolare, l'obiettivo di egualizzazione delle capacità di spesa degli enti locali informa in maniera dominante il sistema delle en-trate dei Lander e degli enti locali in Germania. Ad esso sono ispirati in Canada quasi tutti i trasferimenti a carattere generale del governo fede-rale. Di particolare interesse è poi il sistema tedesco per il fatto che i trasferimenti di egualizzazione sono in parte minore erogati dal governo federale e per il resto dai governi regionali più ricchi. Si tratta cioè di un sistema di redistribuzione di tipo orizzontale.

4.2. Il sistema di entrate dei governi locali canadesi si basa — come si è visto — sulle imposte proprie. Esse rappresentano per le Province più della metà, precisamente il 55,1 per cento, del totale delle entrate; per gli enti locali la percentuale scende al 42,1 per cento, che rimane pur sempre ragguardevole. Come accennato, la potestà impositiva delle Province è riconosciuta per le imposte dirette dallo stesso testo costituzionale. Gli enti locali, per contro, ricevono tale potestà solo per delega dalle Province.

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Tutte le Province canadesi applicano attualmente l'imposta sul reddito delle persone fisiche e quella sul reddito delle persone giuridiche. Le aliquote delle due imposte, fortemente variabili da Provincia a Provincia, sono espresse in termini delle corrispondenti imposte federali. Alle im-poste dirette che da sole assicurano più del 60 per cento del gettito tributario complessivo, si aggiunge una varietà piuttosto ampia di im-poste indirette (1), fra le quali prevalgono per importanza di gettito, l'imposta generale sulle vendite e l'imposta sui carburanti. I trasferimenti generali dal governo federale hanno la funzione di egua-lizzare e di stabilizzare le entrate fiscali delle Province. Essi hanno dun-

Tabella 6 - Effetti redistributivi nel « sistema di egualizzazione » cana-dese sulle entrate di natura fiscale delle Province.

Anno 1976-77

Entrate fiscali Trasferimenti Entrate fiscali pro-capite prima pro-capite di pro-capite dopo

dell'egualizzazione egualizzazione l'egualizzazione

Quebec * 1.417,6 1.262,3 2.679,9

Alberta 2.010,7 — 2.010,7

Ontario 1.131,7 — 1.131.7 British Columbia 1.326,4 1.326,4

Manitoba 954,6 200,9 1.155,5 Saskatchewan 1.306,6 39,1 1.345,7

Prince Edward Island 747,1 70,3 817,4

New Brunswick 777,0 275,6 1.052,6

Nova Sestia 734,2 349,5 1.083,7

Newfoundland 512,0 269,3 781,3

Fonte: elaborazioni su: per la prima colonna, Statistics Canada, Provincial Go-vernment Finance, Revenue and Expenditures (Estimatesi, 1976, Ottawa, 1976; per la seconda colonna, Treasury Board, Government of Canada, How Your Tax Dottar is Spent, Ottawa, 1977. * L'applicazione alla Provincia del Quebec del sistema dell'egualizzazione, nono-stante che essa abbia un gettito fiscale pro-capite molto elevato, è dovuta al fatto che l'elevatezza di tale gettito si spiega con la rinuncia del Quebec ad alcuni trasfe-rimenti specifici, che è stata compensata da una maggiorazione della quota di imposta sul reddito spettante alla Provincia.

(1) Poiché la costituzione canadese esclude la potestà impositiva delle Province nel settore dell'imposizione indiretta, queste sostengono che si tratta — sia nel caso delle loro imposte generali sulle vendite, che in quello delle accise — di imposte dirette sugli acquirenti dei beni tassati, per le quali il venditore dei beni tassati ha funzione di agente del fisco nei confronti delle Province.

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que sotto il profilo quantitativo un ruolo piuttosto limitato rappresen-tando solo il 7,7 per cento delle entrate complessive. I trasferimenti sono erogati in base a due meccanismi principali, rispettivamente il « sistema di egualizzazione » e il « sistema di stabilizzazione », che è opportuno esaminare con un certo dettaglio. Il sistema dell'egualizzazione ha lo scopo di livellare il gettito incassato dalle Province su un gruppo di ventidue entrate di natura fiscale (2). Per ognuna di queste entrate il governo fiscale individua una base impo-nibile teorica standard che rifletta il più fedelmente possibile la base effettiva di questa fonte di gettito. Si procede quindi a dividere il gettito incassato da tutte le Province per la base imponibile standardizzata e si ottiene in tal modo un'aliquota media nazionale. Questa aliquota media è quindi applicata, per ogni provincia, alla base imponibile standardizzata ed il gettito, che si ottiene, è diviso per la popolazione. Si ottiene quindi il valore pro-capite che si avrebbe, per quella fonte di reddito, con l'applicazione di un'aliquota uniforme alla base standardizzata. Il valore pro-capite ottenuto è quindi confrontato con il gettito, pure pro-capite, medio nazionale. La differenza, moltipli-cata per la popolazione, dà origine ad un pagamento di egualizzazione di uguale importo. Lo stesso calcolo è ripetuto per ognuna delle ventidue fonti di gettito e si fa quindi la somma algebrica dei risultati ottenuti; laddove il saldo globale è positivo, esso dà luogo ad un trasferimento a titolo di egualiz-zazione. Il sistema produce un allineamento sostanziale dei livelli pro-capite di entrate fiscali (vedi la tabella n. 6). In effetti, per le Province più sfavo-rite i trasferimenti a titolo di egualizzazione sono superiori alla metà delle entrate fiscali complessive. In sostanza, si tratta di un sistema di egualizzazione della capacità fiscale e non semplicemente del gettito, poiché esso pone a confronto il gettito teorico delle entrate di natura fiscale — che è ottenuto applicando la pressione fiscale media alla base imponibile standardizzata e che tiene conto delle potenzialità di gettito

(2) Si tratta precisamente : dell'imposta personale sul reddito delle persone fisiche; delle imposte sulle vendite e gli spettacoli; delle imposte sul tabacco, sulla benzina e sul gasolio; dell'imposta di circolazione sui veicoli; dei proventi netti derivanti dalla vendita di liquori, vini e birra (effettuata in condizioni di monopolio dalle Province); dei contributi per l'assicurazione all'assistenza medica ed ospedaliera; delle imposte sulle corse; dei redditi forestali; delle concessioni minerarie e di uso dell'acqua a scopi idroelettrici; dell'imposta sui premi assicurativi; dell'im-posta sulla proprietà; dei ricavi delle lotterie; infine di un gruppo molto etero-geneo di tributi minori.

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di ogni singola Provincia — con il gettito medio nazionale. Il risultato è che il sistema non penalizza lo sforzo fiscale delle singole Province, poiché il maggior gettito ottenuto con un inasprimento delle aliquote non riduce direttamente il trasferimento di egualizzazione. Esso può solo ridurlo indirettamente, nella misura in cui aumenta il gettito medio na-zionale che è assunto come riferimento per il calcolo dei trasferimenti. Inoltre, nel caso in cui tutte le Province (o un gruppo di esse che copra una quota sostanziale del gettito nazionale) procedano ad inasprimenti fiscali, anche questo effetto secondario viene a cadere. Una dimostrazione indiretta del fatto che il sistema non penalizza lo sforzo fiscale è costituito dal fatto che, anche dopo i trasferimenti in questione, i livelli pro-capite di entrata rimangono abbastanza differen-ziati. Il sistema della stabilizzazione delle entrate è invece diretto a proteggere le Province da riduzioni nei livelli di entrate provocate da cadute nel-l'attività economica. Più precisamente, tramite esso il governo federale assicura che la riduzione registrata in un anno nel gettito comples-sivo delle entrate di natura fiscale, rispetto a quello precedente, viene completamente colmata con trasferimenti, di stabilizzazione appunto, a carico del proprio bilancio. I trasferimenti specifici del governo federale rappresentano il 14,7 per cento del totale delle entrate. Come si è visto, essi interessano quasi tutti i settori di spesa con una particolare accentuazione per quello relativo ai servizi sociali. Nonostante l'apporto sostanziale ai bilanci provinciali, il sistema dei trasferimenti specifici non gode però di un'eccessiva popolarità fra le Province canadesi. Quantunque l'adesione ai programmi di spesa finan-ziati con i trasferimenti specifici sia del tutto libera, la rinuncia ad essi non è, né politicamente, né finanziariamente, fattibile. Le Province per-derebbero infatti con essa un'entrata cospicua e una opportunità impor-tante di spesa. Una volta, poi, che i programmi di spesa sono stati ini-ziati, i governi provinciali si trovano praticamente obbligati a continuarli con il rischio, data la lievitazione continua dei costi, di una crescente rigi-dità del proprio bilancio. Di qui le rivendicazioni avanzate dalle Pro-vince, e in parte accolte, di una possibilità di opzione fra trasferimenti specifici e restringimento del prelievo tributario operato dal governo federale. L'ultima categoria, quella residuale delle entrate varie, ha una rilevanza notevole costituendo un quarto circa delle entrate delle Province. I suoi componenti principali sono rappresentati dai diritti pagati per lo sfrutta-

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mento delle risorse naturali, dalle concessioni di licenze e dalla vendita di beni e servizi, nonché dai profitti delle imprese — di pubblici servizi — di proprietà dei governi provinciali. Passando alle entrate dei governi locali, il gettito di quelle di natura fiscale rappresenta poco meno della metà del totale ed è apportato quasi esclusivamente dall'imposta sulla proprietà. In effetti, in tutte le Province gli enti locali si avvalgono di questa imposta, che viene amministrata normalmente dal governo della Provincia e la cui base imponibile è costituita dalla proprietà fondiaria, cui si aggiungono in taluni casi i valori degli immobili e dei macchinari delle imprese, nonché le proprietà personali. L'imposta è tuttora applicata con il sistema della ripartizione, l'aliquota viene cioè determinata in base al rapporto esistente, per ogni ente locale, fra il gettito richiesto dagli impegni di spesa e la base imponibile ac-certata. La fonte di entrata più importante per gli enti locali è però rappresentata dai trasferimenti, concessi quasi esclusivamente dalle Province. Tali trasferimenti costituiscono attualmente circa un quarto della spesa provinciale e circa il 40 per cento delle entrate degli enti locali. Di gran lunga prevalenti sono i trasferimenti di tipo specifico, che inte-ressano praticamente tutti i settori di attività degli enti locali. I trasferimenti generali, assai più limitati nelle dimensioni, assumono forme molto diverse da Provincia a Provincia, passando dai contributi calcolati sulla base della popolazione a quelli collegati allo sforzo fiscale, infine ai semplici rimborsi dell'imposta sulle proprietà che gli enti locali non applicano sugli immobili posseduti dalle Province. L'ultima categoria, le entrate varie, ha un ruolo non trascurabile ed è costituita, come sempre, dai prezzi imposti sui servizi pubblici venduti, dai profitti delle aziende pubbliche locali, da licenze, permessi, ammende e altre entrate varie. Non vi è dubbio che i problemi finanziari degli enti locali assumono, soprattutto per quelli urbani, una connotazione di maggiore gravità di quella registrata per le Province. L'imposta sulle proprietà si è dimo-strata chiaramente insufficiente a sopperire ai fabbisogni a meno di un aumento ritenuto inaccettabile del suo carattere regressivo. L'aumento degli interventi di sostegno, con trasferimenti specifici operati dalle Pro-vince, risolve parzialmente i problemi del finanziamento, ma riduce l'autonomia decisionale dei governi locali, che spingono per un aumento dei trasferimenti generali e in qualche caso per l'attribuzione di una facoltà impositiva nel settore dell'imposizione personale sul reddito.

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Ad un giudizio complessivo, appare comunque evidente che, nonostante le frequenti controversie con il governo federale, il sistema di entrate dei governi provinciali e locali canadesi si è dimostrato in grado di assi-curare una sufficiente espansione della spesa, mantenendo al contempo una discreta autonomia decisionale grazie al peso delle imposte auto-nome. L'autonomia decisionale si sta attualmente allargando per effetto del progressivo rifiuto dei trasferimenti specifici. La rivitalizzazione dell'autonomia tributaria delle Province ha dato però origine a comportamenti diversificati, sia nella scelta delle aliquote che, in taluni casi, nella definizione della base imponibile, non privi certa-mente di influenze sulle scelte di localizzazione delle persone e delle imprese. Questi effetti sull'allocazione delle risorse si sono accordati solo raramente con gli indirizzi di sviluppo territoriale perseguiti dal governo federale, che ha di conseguenza accresciuto i propri interventi di riequilibrio. Il lato più debole del sistema di entrate locali canadesi riguarda comun-que i problemi della stabilizzazione congiunturale. Le manovre di stabi-lizzazione perseguite dal governo federale si sono quasi sempre scon-trate con il comportamento pro-ciclico delle Province, sia per quanto concerne la politica tributaria che quella della spesa. L'utilizzo dei trasferimenti specifici si è rivelato insufficiente a guidare la politica di spesa delle Province, anche per l'insufficiente tempestività delle risposte. Il governo federale, dopo aver avocato a sé il settore dei trasferimenti alle famiglie, che è strategico ai fini delle politiche di stabi-lizzazione, tende attualmente a coordinare le politiche provinciali con la propria mediante la convocazione sempre più frequente (a ritmo annuale o semestrale) di conferenze fra responsabili governativi federali e delle Province per la definizione di una politica coordinata. Seppure ad un livello non istituzionalizzato la cooperazione, o perlo-meno il confronto, fra il governo centrale e quelli locali viene conside-rata come uno strumento essenziale per la coordinazione delle politiche finanziarie dei governi di diverso livello.

4.3. In Francia la principale fonte di entrate è costituita dalle imposte locali. Si ha così la combinazione, oggi abbastanza rara, di un sistema fortemente accentrato per quanto concerne le competenze di spesa con un'ampia autonomia tributaria per gli enti locali. Il grosso del gettito delle imposte locali è fornito da quattro imposte che rappresentano la versione aggiornata delle vecchie imposte dirette istituite durante la Rivoluzione. Esse sono: un'imposta sulla proprietà fondiaria edificata

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(« taxe foncière sur les propriétés bàties »); un'imposta fondiaria sulle proprietà non edificate (« taxe foncière sur les propriétés non bàties »); un'imposta indiziaria sul reddito basata sul valore dell'abitazione occu-pata, cioè in sostanza un'imposta sul valore locativo (« taxe d'habita-tion ») e un'imposta sulle attività industriali e commerciali (« taxe pro-fessionnelle »), che costituisce una versione aggiornata dell'imposta di patente, la cui base imponibile è costituita da una combinazione del monte salari pagato e del valore del capitale reale delle imprese. Le quattro imposte sono amministrate dallo Stato, ma le aliquote sono fissate dagli enti locali, che hanno pure una certa facoltà di personaliz-zare il carico tributario, nel caso dell'imposta d'abitazione. Lo Stato provvede poi alla devoluzione del gettito agli enti locali desti-natari. Da sottolineare il fatto che le imposte locali francesi sono tuttora applicate con il metodo della ripartizione. Il sistema assicura certezza di gettito agli enti locali, ma possiede alcuni non trascurabili inconvenienti. Il principale è costituito dall'esistenza di scarti assolutamente erratici fra le aliquote applicate sulle diverse im-poste. Infatti, il gettito complessivo è distribuito fra le varie imposte secondo una chiave di ripartizione fissata inizialmente, per ogni Comune, in relazione alla base imponibile teorica di ogni imposta e che viene modificata ogni anno sulla base dei nuovi accertamenti. Ogni modifica nella base imponibile altera dunque la chiave di ripartizione, il gettito fornito da ogni imposta e, quindi, le aliquote applicate. Il primo effetto di questo sistema è l'assenza di ogni possibilità di redistribuire il carico fra le varie imposte; il secondo — assai più importante — è una forte differenziazione delle aliquote e quindi della pressione fra le diverse col-lettività: i divari superano in taluni casi il 100 per cento. Oltre ai pro-blemi distributivi, si pongono inevitabilmente problemi di natura alloca-tiva, derivanti dalle differenze di convenienza alla localizzazione delle attività e della residenza. Non esistono nel sistema francese compartecipazioni ad imposte fra lo Stato e gli enti locali: la seconda categoria è cioè vuota. La terza categoria, composta dai trasferimenti a carattere generale da parte del governo centrale, ha continuamente accresciuto la propria im-portanza, secondo una tendenza generale. Essa si ripartisce in due componenti. La prima è costituita dai trasferi-menti effettuati a titolo del V.R.S.T. (« Versement Répresentatif de la Taxe sur les Salaires »). La seconda dalle attribuzioni provenienti dal F.E.C.L. (« Fonds d'Équipement des Collectivités Locales »).

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I trasferimenti del V.R.S.T. sono quantitativamente più importanti (il doppio) di quelli del secondo fondo. L'ammontare complessivo è determinato ogni anno in relazione al get-tito teorico dell'imposta sui salari, che è stata soppressa nel 1968 ed esso viene distribuito mediante un procedimento molto complesso che distin-gue tre componenti. La prima componente è definita « attribuzione di garanzia », la sua quota relativa sul totale del fondo viene diminuita di cinque punti per-centuali ogni anno, una diminuzione che assicura la sua scomparsa nel-l'anno 1988, quando entrerà in vigore il sistema definitivo del V.R.S.T. L'attribuzione di garanzia viene distribuita fra Dipartimenti e Comuni sulla base delle somme da essi introitate a titolo dell'imposta sui salari prima della sua abolizione. La seconda componente è invece commisurata allo sforzo fiscale degli enti locali. Il suo ammontare complessivo viene aumentato di cinque punti percentuali all'anno: il risultato finale sarà dunque quello di distri-buire il fondo V.R.S.T. (tranne un residuo del 5 per cento) sulla base dello sforzo fiscale. Lo sforzo fiscale — questo è il termine utilizzato nella definizione uffi-ciale — è in realtà semplicemente il gettito percepito l'anno precedente dagli enti locali sulle tre imposte locali dirette a carico delle famiglie, cui si aggiunge la tassa raccolta rifiuti solidi. Ora, il gettito effettivo è una combinazione dello sforzo fiscale, cioè delle aliquote applicate, e della ricchezza degli enti locali. Vi è da menzionare, prima di passare all'esame della terza componente, che le prime due sono ripartite secondo formule alquanto più complesse per gli enti locali della regione parigina e dei dipartimenti d'oltre mare. La terza componente, infine, è rappresentata dal « Fondo per l'Azione Locale », cui è attribuito il residuo 5 per cento del totale. Malgrado la sua esiguità il Fondo viene ripartito secondo quattro mec-canismi diversi. Una prima parte di esso viene utilizzata per attribuire ad ogni collettività locale un minimo garantito, determinato ogni anno dal governo. Si ha quindi un molto parziale allineamento delle dotazioni di ciascun ente. Una seconda parte, pari all'uno per cento del V.R.S.T., viene distribuita ai Comuni turistici, sulla base della disponibilità di posti letto per abitante, per tener conto dell'onere addizionale provocato dalla popolazione fluttuante. Una terza parte, il cui ammontare è determinato ogni anno dal comitato di gestione del fondo, viene distribuita a tutte le collettività sulla base di una formula in cui l'ammontare della popolazione viene corretto con

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un indicatore effettivo dello sforzo fiscale, espresso dal rapporto fra il gettito incassato e la base imponibile delle imposte locali. La quarta parte, infine, viene distribuita secondo criteri variabili formulati dal Comitato di gestione, a favore soprattutto delle comunità urbane. La varietà delle formule e degli indicatori in esse utilizzati esprime chia-ramente un disegno politico di accontentare il maggior numero di situa-zioni possibili, in maniera però scarsamente aderente alle situazioni dei singoli enti, data l'assenza di indicatori puntuali dei fabbisogni di spesa. In secondo luogo, la funzione egualizzatrice del V.R.S.T. è praticamente nulla, data la scarsa incidenza del minimo garantito, del tutto insuffi-ciente a realizzare un effettivo allineamento delle situazioni. Il punto analiticamente più interessante è però relativo al collegamento esistente fra gli introiti del V.R.S.T. e lo sforzo fiscale sostenuto dagli enti locali. L'inclusione di un indice di pressione fiscale nelle formule di riparto dei trasferimenti generali a favore degli enti locali rappresenta una soluzione largamente caldeggiata dagli esperti, che vedono in essa un mezzo per accrescere l'efficienza e il senso di responsabilità degli enti locali. L'esperienza francese ne ha nondimeno messo in evidenza alcuni punti deboli, che è opportuno ricordare. Il primo è che l'inclu-sione dello sforzo fiscale, per essere efficace, o meglio per avere effetti duraturi, comporta un'inevitabile rigidità nel sistema tributario. Le modificazioni nella struttura dei tributi apportate, ad esempio, per rendere più equo e meglio distribuito il carico fiscale, costituiscono un disincentivo all'azione degli enti locali, quando esse si traducano in una diminuzione della base imponibile. Si introduce quindi una contrappo-sizione di interessi fra gli obiettivi generali della politica tributaria dello Stato e la ricerca di fonti di entrata da parte degli enti locali. Il secondo inconveniente è rappresentato dal fatto che quando, come per il V.R.S.T., l'ammontare delle somme trasferite viene determinato annualmente in una somma globale fissa, il meccanismo costituisce un gioco a somma nulla: l'aumento della pressione fiscale locale non conduce, quando sia generalizzato, a un aumento delle somme introitate dai singoli enti locali. Questi addiverranno inevitabilmente, con accordi taciti o espliciti, a una moderazione dei loro sforzi, rivelatisi inutili.

L'origine del secondo Fondo di trasferimenti generali (F.E.C.L.) è più re-cente: 1975. Il Fondo è destinato ad agevolare il finanziamento degli investimenti in infrastrutture e rappresenta un correttivo al ricorso mas-siccio operato dallo stato francese ai trasferimenti specifici, che, se ha permesso di indirizzare puntualmente la politica di investimento degli enti locali, ne ha però mortificato considerevolmente l'autonomia. Il

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Fondo viene distribuito attualmente sulla base della formula generale utilizzata per il precedente Fondo per l'Azione Locale. I trasferimenti a carattere specifico, cioè la quarta categoria di entrate, sono concessi quasi unicamente a scopo di investimento e hanno un carat-tere condizionato. Infatti i trasferimenti specifici per il finanziamento di spese correnti hanno un ruolo del tutto marginale. Il fatto che il potere di attribuzione di tali trasferimenti sia diviso fra i singoli ministri compe-tenti rende impossibile il perseguimento di un disegno generale di redi-stribuzione dei fondi, malgrado sia questo un obiettivo comune a parec-chi dei singoli provvedimenti istitutivi. Come accennato, negli ultimi anni, i trasferimenti specifici hanno co-perto circa il 20 per cento della spesa d'investimento degli enti locali francesi. Anche se la percentuale non è elevata, essa ha comunque permesso di indirizzare con precisione l'attività degli enti locali, grazie al ricordato meccanismo del collegamento dei prestiti alle sovvenzioni. La quinta categoria, i redditi di diversa natura, ha un'importanza con-tenuta, anche perché i proventi di alcune attività, che sono frequente-mente introitati come tariffe, rivestono invece nel caso francese la forma di imposte locali, tipiche quelle sulla raccolta di rifiuti e sulla pulizia delle strade. La caratteristica principale del sistema francese è senza dubbio la man-canza di un effetto redistributivo. Questo è considerato in Francia l'aspetto peggiore dell'intero sistema, che sotto il profilo del gettito e soprattutto della sua dinamica è invece piuttosto soddisfacente: il tasso di incremento medio della prima e della terza categoria di entrate è stato infatti nell'ultimo decennio superiore a quello dell'imposta personale sul reddito, reputata normalmente fra le più dinamiche per il gioco della progressività. Il sistema in effetti dà luogo a due tipi di disparità. Il primo è fra le giurisdizioni locali ricche e quelle povere. In generale, sono svantaggiate le regioni occidentali, meno sviluppate, e avvantaggiate quelle dell'est e la regione parigina. Il secondo è fra le aree industriali e commerciali, da un lato e quelle puramente residenziali, dall'altro. Poiché, come abbiamo visto, l'effetto redistributivo dei trasferimenti del governo centrale è pra-ticamente inesistente, gli enti locali più poveri sono sovente obbligati ad aumentare le aliquote applicate. I dati relativi alla pressione fiscale pro-capite nelle 20 maggiori città francesi, ad esclusione di Parigi, mo-strano per il 1972 una differenza massima del 100 per cento fra le città più tassate e quelle meno (cfr. Frèville, 1973). Il criterio dell'equità orizzontale è chiaramente violato. Anche perché la concordanza fra la

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ricchezza di un ente locale e la dimensione dei suoi fabbisogni di servizi collettivi è più una pretesa della teoria economica della finanza locale che una realtà osservabile. Per evidenti effetti di imitazione e per la stessa fissazione di standard minimi di servizio, gli enti locali sono infatti obbligati ad erogare, indipendentemente dalle loro risorse, un livello minimo di servizi sociali e di investimenti collettivi. Il sistema francese di finanze locali si concilia meglio con i criteri allo-cativi, data la prevalenza delle imposte fondiarie o basate sul criterio del beneficio. Ciononostante, l'elevata variabilità nelle aliquote applicate dai diversi enti, che si è inoltre ampliata negli ultimi anni, produce effetti ritenuti distorsivi sulla mobilità e sull'utilizzo delle risorse. Infine, il sistema francese pare soddisfare piuttosto bene le necessità delle politiche di stabilizzazione. In primo luogo, perché, come abbiamo già visto, le entrate della prima e della terza categoria si sono dimostrate più elastiche delle imposte nazionali. In secondo luogo, la predominanza delle entrate di natura fiscale e la cui quota non può essere variata con un processo di contrattazione con il governo centrale, elimina gli effetti inflazionistici della finanza locale, anche per i limiti posti all'accensione dei prestiti. In terzo luogo, le fonti di entrata locali non mostrano un'elevata sensibilità alle fluttuazioni congiunturali. La predominanza nella tassazione locale di una base imponibile collegata ai valori della proprietà fondiaria garantisce un flusso continuo di gettito anche du-rante le recessioni. In effetti, il gettito delle imposte locali sembra essere più sensibile ai cicli politici (esso diminuisce all'approssimarsi delle elezioni) che a quelli economici.

Nel complesso, dunque, nonostante rappresenti la continuazione di un modello tradizionale, il sistema francese di entrate locali presenta in-dubbi elementi positivi. Quelli negativi, relativi soprattutto agli aspetti distributivi, possono essere corretti con trasferimenti dal governo centrale senza snaturare necessariamente la sua essenza. È d'altronde in questa direzione che si vanno appuntando i provvedimenti emanati negli ultimi anni.

4.4. Il sistema di entrate locali tedesche è caratterizzato dalla compar-tecipazione dei governi di diverso livello al gettito delle imposte a larga base imponibile, cioè l'imposta sul reddito delle persone fisiche, quella sul reddito delle società, l'imposta sul valore aggiunto e l'imposta di patente. Occorre esaminare separatamente la situazione degli Stati da quella degli enti locali.

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Per i primi, le imposte autonome assicurano meno di un quinto del totale complessivo. Esse consistono nell'imposta sul patrimonio, nella tassa di circolazione sugli autoveicoli, nell'imposta di fabbricazione sulla birra e in alcune imposte minori, quali quelle sulle scommesse. La fonte principale di entrata è fornita dal gettito delle tre maggiori im-poste dirette riscosse in compartecipazione, con il governo federale e con gli enti locali. Più precisamente, si tratta dell'imposta sul reddito delle società, divisa al 50 per cento con il governo federale, dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, divisa con quote del 43 per cento fra gli Stati e il governo federale e del 14 per cento a favore dei governi locali e, infine, dell'imposta di patente, di cui il 60 per cento circa del gettito è attribuito agli enti locali ed il resto in parti uguali fra Stati e governo federale. La terza categoria — trasferimenti generali — è formata da tre compo-nenti. La prima di esse è rappresentata da una quota variabile (35 per cento nel 1973, 37 nel 1974 e 38 nel 1975) del gettito dell'imposta sul valore aggiunto. Nelle statistiche ufficiali questa entrata è assimilata alle altre imposte in compartecipazione, i sistemi di ripartizione la fanno però includere nella categoria dei trasferimenti generali. Infatti, circa il 75 per cento della quota spettante agli Stati viene ripartita in proporzione al numero degli abitanti di ogni Stato e il rimanente 25 per cento (definita la « quota supplementare ») viene attribuita a quegli Stati il cui gettito delle due imposte sul reddito e delle imposte proprie è inferiore alla media del totale degli Stati. La seconda componente è rappresentata dalle cosiddette « aggiunte com-plementari ». Si tratta di trasferimenti generali, il cui ammontare è og-getto di contrattazione politica fra il governo federale e i Lànder, distri-buiti secondo una formula di ripartizione fissata nel 1972 ai soli Lànder più poveri. Il loro ammontare complessivo è stato ragguagliato negli ultimi anni ad una quota fissa, 1,5 per cento, del gettito dell'imposta sul valore aggiunto. La terza componente è rappresentata dai trasferimenti dei singoli Lànder, operati qui sul sistema della « compensazione finanziaria », che sarà analizzato in dettaglio più avanti. I trasferimenti specifici, concessi per fini d'investimento, rappresentano un quinto circa del totale delle entrate. Essi sono attribuiti con tre mec-canismi diversi. Il primo è rappresentato dai finanziamenti dei pro-grammi di spesa congiunti. Il secondo dai trasferimenti per programmi a finalità congiunturale. Il terzo dai contributi per spese di investimento

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in infrastrutture. Spazio molto maggiore hanno invece, come vedremo, i trasferimenti specifici a favore degli enti locali. Leggermente diverso è il sistema di entrate degli enti locali. Le imposte locali — rappresentate dall'imposta sulla proprietà immobiliare, dalla imposta di patente, commisurata sostanzialmente al monte salari e da altri tributi di minore importanza — forniscono poco meno del dieci per cento del gettito complessivo. Le imposte in compartecipazione — quelle ad ampia base imponibile — danno circa un terzo del totale. La loro quota ha avuto negli anni recenti una costante espansione, che è stata ottenuta mediante un aumento delle percentuali del gettito asse-gnate agli enti locali. In effetti, gli enti locali hanno rappresentato il punto più delicato dell'intero sistema della finanza locale data la mag-giore dinamica delle loro necessità di spesa. I trasferimenti a carattere generale sono attribuiti agli enti locali diretta-mente dai Lànder secondo schemi di ripartizione variabili. La Costitu-zione tedesca obbliga infatti i Lànder a fornire agli enti locali finanzia-menti adeguati alle necessità di spesa, ma lascia alla loro discrezionalità la decisione circa l'ammontare di tali trasferimenti. Esso ha comunque oscillato negli ultimi anni in una dimensione com-presa fra il 16 e il 22 per cento del gettito delle imposte in comparteci-pazione. I trasferimenti generali hanno una finalità preminentemente perequativa. Normalmente essi vengono attribuiti mediante un tipo di formula in cui si confronta un indice, detto di base, che tiene conto delle necessità di spesa degli enti ed è calcolato in riferimento al livello delle spese sostenute e di alcuni indicatori socio-demografici, con un altro indice relativo invece alla capacità fiscale dell'ente locale. Se l'indice di base è superiore a quello della capacità contributiva, l'ente locale si vede riconosciuto un contributo. I contributi specifici, concessi nuovamente soprattutto dai Lànder, sono collegati alle spese di investimento e rappresentano una delle fonti di entrata più cospicue dei governi locali. I redditi vari, fra cui sono comprese le tariffe, rappresentano invece più di un quinto del totale. Contrariamente a quello francese, la caratteristica principale del sistema tedesco è data dal ruolo essenziale svolto dagli schemi redistributivi. Essi operano sia a livello di rapporti governo federale-Stati, che fra i singoli Stati. In particolare, oltre alla « quota supplementare » e alle « aggiunte supplementari » dell'imposta sul valore aggiunto già menzio-nate, che operano al primo dei due livelli, il sistema della « compensa-

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zione finanziaria fra Stati » è rivolto ad assicurare a tutti i Lànder un livello pari al 95 per cento della media delle entrate fiscali pro-capite. Il sistema complesso, ma piuttosto interessante, è basato su un confronto fra un « indice di capacità fiscale », che è determinato per ogni Land sulla base delle entrate fiscali proprie e di quelle degli enti locali in esso compresi, e un « indice di egualizzazione fiscale », che è determinato sulla base del gettito fiscale pro-capite medio nazionale relativo alle entrate su cui opera il meccanismo di egualizzazione, ponderato con alcuni indicatori di costo e di fabbisogno (vedi per il dettaglio l'Appen-dice). Se, una volta effettuati i computi, l'indicatore della capacità fiscale di un Land è superiore all'indicatore di egualizzazione, il Land è obbli-gato ad effettuare dei pagamenti di egualizzazione, e viceversa. Il risultato finale dell'operare congiunto della « quota suplementare » dell'imposta sul valore aggiunto e del sistema della « compensazione finanziaria fra Stati » è illustrato nella tabella n. 7.

Tabella 7 - Egualizzazione delle entrate fiscali per i Lànder tedeschi. Entrate fiscali Entrate fiscali Entrate fiscali

pro-capite prima pro-capite dopo pro-capite della la redistribuzione dopo la

redistribuzione dell'IVA, in % « compensazione Stati dell'IVA, in % della media finanziaria

della media fra Stati fra Stati », in % fra Stati della media

fra Stati

(a) (b) (c) Amburgo 164,3 145,7 132,5 Brema 123,0 113,5 124,0 Assia 110,7 106,9 101,3 Baden-Wurttemberg 100,0 105,5 100,1 Renania del Nord-Westfalia 104,7 102,2 100,3 Baviera 94,5 96,0 97,0 Palatinato 86,4 89,3 94,7 Schleswig-Holstein 81,0 87,3 95,8 Bassa Sassonia 77,3 88,3 96,9 Saar 72,2 84,2 101,7

(a) compresa la quota attribuita ad ogni Stato delle imposte in compartecipazione. (b) somma di (a) più l'IVA. (c) somma di (b) ± i pagamenti di egualizzazione. Fonti : EEC, Study Group on the Role of Public Finance in European Economie Integration: Budget Equaìization and other Unconditional Redistribution between Federai and State Governments, Bruxelles, 1975.

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Come si vede, le differenze fra Lànder sono considerevolmente ridotte. Il sistema, nel complesso, pone in grado i Lànder di finanziare un livello minimo uniforme — ma piuttosto prossimo alla media — di servizi pubblici. Esso, inoltre, dovrebbe estendere i propri effetti anche agli enti locali, che sono beneficiari di una quota rilevante di trasferimenti specifici effettuati dai Lànder. Infine, il sistema è in grado al tempo stesso di tener conto, sia pure servendosi di indicatori piuttosto globali quali la popo-lazione e la densità, utilizzati nella ponderazione dell'indice di egualiz-zazione, dei differenziali di costi e di fabbisogni di spesa nei singoli Stati. Per quanto concerne l'aspetto allocativo del sistema tedesco, è evidente che la ridottissima possibilità di fissazione delle aliquote da parte dei Lànder e degli enti locali — essa è infatti circoscritta ai tributi minori — permette di eliminare gli effetti distorsivi e i problemi amministrativi dell'imposizione locale. Il compito è del resto facilitato dalla politica di riaccorpamento degli enti minori. Per quanto concerne il problema della stabilizzazione, è evidente che la crescente partecipazione dei governi locali e statali al gettito delle im-poste nazionali ad ampia base imponibile ha forse ridotto ma non eliminato la tendenza ai comportamenti pro-ciclici. Gli enti locali non dispongono infatti delle fonti di entrata extra-fiscali del governo fede-rale. La funzione di orientamento anticiclico è comunque svolta dai pro-grammi di intervento congiunto finanziati con i trasferimenti federali. Infine, il fatto che le quote di ripartizione del gettito delle due imposte personali sul reddito (che forniscono da sole la metà esatta delle entrate fiscali complessive degli Stati e degli enti locali) siano fissate nella Costi-tuzione, riduce la possibilità di pressioni inflazionistiche derivanti da una continua contrattazione fra governo centrale e enti subordinati per l'accaparramento di una quota maggiore del gettito fiscale.

Appendice

L'ammontare dei trasferimenti di egualizzazione è calcolato — secondo una formula introdotta dal 1955 — mediante il confronto fra l'indicatore di capacità fiscale e quello di egualizzazione. L'indicatore di capacità fiscale di uno Stato è costituito dalla somma delle entrate fiscali proprie dello Stato, e di quelle ricevute in comparteci-pazione con il governo federale e con gli enti locali (imposta di patente).

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In sostanza, la prima e la seconda categoria di entrate. Ad esse si aggiun-gono le analoghe entrate degli enti locali, compresi nello Stato, ma cal-colate al solo 50 per cento. L'indicatore di egualizzazione è in realtà la somma di due indicatori distinti calcolati separatamente in riferimento allo Stato e ai suoi enti locali. I due indicatori sono calcolati partendo dal gettito medio pro-capite nazionale delle entrate che sono soggette al processo di egualizza-zione, cioè quelle calcolate per l'indicatore precedente, gettito che viene moltiplicato per la popolazione dello Stato, con alcune modificazioni per tener conto delle particolari situazioni di fabbisogno e di costo. In primo luogo, alcuni Stati sono autorizzati ad effettuare talune dedu-zioni dal loro indicatore di capacità fiscale per tener conto di alcuni oneri specifici (ad esempio, la manutenuzione del sistema portuale negli Stati-Città di Amburgo e Brema). In secondo luogo, la popolazione degli Stati viene ponderata con alcuni indici di dimensione assoluta e di densità, nella supposizione che queste due grandezze si riflettano positivamente, cioè in aumento, sui costi. In particolare, per il calcolo dell'indicatore di capacità riferito agli Stati, alla popolazione delle Città-Stato di Amburgo e Brema viene dato un fattore di ponderazione di 1,35, in confronto a 1,0 per tutti gli altri Stati. Per il calcolo dell'indicatore di capacità riferito ai Comuni, viene attri-buito alla popolazione di ciascuno di essi un fattore di ponderazione così scalato:

da 0 a 5.000 abitanti 100 » 5.001 a 20.000 » 110 » 10.001 a 100.000 » 115 » 100.001 a 500.000 » 120 » 500.001 a 1.000.000 » 125 » 1.000.001 e oltre » 130.

Inoltre, ai Comuni superiori ai 500.000 abitanti è riconosciuto un fattore di maggiorazione addizionale. Esso è pari al 2 per cento della popolazione per gli Stati con densità da 1.500 a 2.000 abitanti per km2; al 4 per cento per una densità di più di 3.000. I pagamenti dagli Stati eccedentari (dove l'indicatore di egualizzazione è superiore a quello di capacità fiscale) a quelli deficitari sono effettuati applicando percentuali scalate agli scaglioni di eccedenza fra i due indi-catori. Ad esempio, per una capacità fiscale compresa fra il 100 e il 102 per cento dell'indicatore di egualizzazione non si effettuano pagamenti; se la capacità fiscale è superiore fra il 102 e il 110 per cento all'indicatore

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di ugualizzazione, il pagamento richiesto è pari al 70 per cento della differenza e così via. Le somme da attribuire agli Stati deficitari sono calcolate con un ana-logo sistema di aliquote scalate in funzione della differenza fra l'indica-tore di egualizzazione e quello della capacità fiscale. Il risultato, cui si perviene eventualmente con aggiustamenti secondari, è che la percentuale di entrate fiscali di ogni Stato non deve mai cadere al di sotto del 95 per cento di quella media nazionale.

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GIANCARLO POLA

LA FINANZA LOCALE BRITANNICA

1. L'organizzazione degli enti e delle loro funzioni

L'attuale struttura organizzativa del Regno Unito risale al 1° aprile 1974. In tale giorno cessava un lungo lavoro di elaborazione teorica iniziato nel 1960 e che si era già tradotto, dopo circa cinque anni, nella riorganiz-zazione del governo di Londra. Gli studi per la revisione del sistema amministrativo locale erano poi ripresi nel 1966 con la Commissione Redcliffe-Maud, la quale concludeva nel 1969 i suoi lavori con l'ormai noto ed omonimo Rapporto da cui, salve le qualificazioni di cui si dirà, è scaturito l'ordinamento odierno di tutto il sistema locale del Regno Unito. L'applicazione della nuova normativa a tutto il Regno deriva dal fatto che fino a questo momento, e nonostante pressanti richieste in contrario avanzate oggi dalla Scozia (e in minor misura dal Galles) il Regno Unito è uno Stato a struttura unitaria e non federale. Non è quindi contemplato alcuno status speciale per nessuna delle quattro Province del Paese (oltre alle due menzionate, l'Inghilterra e il Galles): ciò, tuttavia, non significa che non esistano piccole differenziazioni tra gli ordinamenti locali, ad esempio, dell'Inghilterra vera e propria e della Scozia. Per semplicità, tuttavia, faremo riferimento alla situazione vigente in In-ghilterra. Fino al ricordato 1° aprile 1974 la struttura essenziale degli enti locali era di due tipi:

1) A Londra e nelle zone rurali vigeva una struttura a due gradi, che faceva perno, al primo livello, su un reticolo di enti, autorità, organismi vari formatisi per stratificazioni secolari e aventi funzioni non omogenee a livello nazionale (grosso modo si occupavano di edilizia, sanità, rates); e, al secondo livello, su contee amministrative rette da consigli di Contea (County Councils) che avevano poteri esclusivi in materia di ur-banistica, istruzione, viabilità principale.

2) Il secondo tipo di struttura amministrativa locale concerneva le grandi

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aree urbane ed era costituito dai Distretti di Contea, unità amministra-tive aventi almeno 100.000 abitanti e il cui governo (District Council) era dotato di poteri e competenze molto vasti.

La riforma del governo di Londra del 1965 fornì in un certo senso il modello per la riforma generale del 1974, che è imperniata sul concetto di governo a due livelli separati e non gerarchicamente ordinati. Questa distinzione vale sia per Londra che per il resto del Paese. Dello status di Londra, tuttavia, si parlerà fra breve: vogliamo dare la precedenza alla situazione generale. La distinzione fondamentale che occorre ricordare nello studio della finanza e organizzazione locale inglese è quella tra aree metropolitane (esclusa Londra) e aree non metropolitane. I due livelli di governo che vi coesistono sono la contea e il distretto, retti rispettivamente dal Consiglio di Contea (County Council) e dal Consiglio di Distretto (.District Council). Le 6 contee metropolitane includono 36 distretti; le 47 contee non metropolitane abbracciano 333 distretti. Questo vale per Inghilterra e Galles; in Scozia al posto delle contee si hanno le Regioni (che sono 9), le quali includono 53 distretti. Nelle aree non metropolitane sono ri-maste in vita anche le parrocchie, mentre nelle piccole isole l'autorità è unica e onnicomprensiva (cfr. tabella n. 1).

Tabella 1 - La riorganizzazione del governo locale inglese dal 1-4-1974.

Prima della riforma *

N B C U D C R D C c c CB Totale

Galles 32 73 59 13 4 181 Inghilterra 227 449 409 45 79 1.209 Londra 33 — — 1 — 34

Dopo la riforma Distretti Contee Totale

Galles 37 8 45 Inghilterra: — non metropolitana 296 39 335 — metropolitana 36 6 42 Londra 33 1 34

* Significato dei simboli: NCB = Non County Borough; U D C = U r b a n District Council; R D C = Rural District Council; CC=County Council; CB=County-Borough.

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Occorre poi ricordare che per fini diversi da quelli della finanza locale (sanità, programmazione economica e del territorio, approvvigionamenti idrici, curati da un ente monofunzionale di nuova costituzione, la Water Authority) il territorio inglese è suddiviso anche in Regioni, le cosiddette Standard Regions. È appena il caso di ricordare che esse non hanno nulla che vedere con le Regioni italiane o i Lander della Germania. L'attuale organizzazione amministrativo-territoriale inglese è (al pari dei Landkreise della Germania Occidentale) quanto di più « tecnocra-tico » si possa immaginare: le dimensioni e i confini degli enti attuali sono stati infatti « ricavati » secondo criteri di efficienza economica e di ottimalità: ad esempio, per le contee non metropolitane si è scelta (letteralmente) la dimensione media di 500 mila abitanti. Più elevata la dimensione media delle contee metropolitane, quasi sempre a causa della maggiore densità per unità di superficie. Passiamo ora ad un esame più analitico delle singole situazioni (cfr. tabella n. 2).

Tabella 2 - La dimensione degli enti locali dopo la riforma.

Distretti Contee . . Caratteristiche Inghilterra Galles Scozia Inghil- Galles g l 0 n i

metr. non Londra terra metr.

in Scozia

Popolazione (migliaia) Massima 1.086 419 330 285 905 1.440 540 2.527 Minima 172 24 5 19 9 111 100 99

Area (migliaia di acri) Massima 139 531 37 510 1.669 2.053 1.425 6.210 Minima 16 5 0,7 24 9 94 103 325

Contee metropolitane. Il baricentro del potere e delle spese locali sta, nell'Inghilterra metropolitana, nei Consigli di Distretto più che nei Consigli di Contea. Questi ultimi hanno poteri esclusivi in materia di piani urbanistici della contea, di rete autostradale, di traffico, di prote-zione dei consumatori e di nettezza urbana. In concorrenza con i Con-sigli di Distretto essi esercitano poteri in materia di musei, di piscine, di parchi pubblici, ecc. Nelle stesse aree i Consigli di Distretto hanno poteri esclusivi in ma-

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teria di edilizia, controllo dello sviluppo urbanistico, regolamentazione dei fabbricati, raccolta rifiuti, inquinamento atmosferico, sicurezza do-mestica, istruzione, occupazione giovanile, assistenza sociale e biblio-teche. Nel complesso essi spendono all'incirca l'80 per cento del totale erogato dagli enti locali nelle aree metropolitane, il resto essendo speso dai Consigli di Contea (cfr. tabella n. 3).

Tabella 3 - Spesa degli enti locali della Gran Bretagna suddivisa per livello di governo (1975-76).

Suddivisione geografica

Numero degli enti

locali

Suddivisione della spesa in percentuale

per ente per livello di governo

Aree non metropolitane 381 50 Contee Distretti

85 15

Aree metropolitane 42 20 Contee Distretti

20 80

Area di Londra 34 20 Greater London Inner London Outer London

45 15 40

Scozia 65 10 Regioni Distretti

85 15

Totale Gran Bretagna 522 100

Fonte: Rapporto Layfield, appendice 9.

Contee non metropolitane. In questo caso il rapporto tra poteri, anche di spesa, si rovescia completamente. I Consigli di Contea spendono circa l'85 per cento, il rimanente 15 per cento essendo demandato ai Consigli di Distretto. La divisione dei poteri tra i due livelli differisce da quella precedente per il fatto che in questo caso istruzione, occupa-zione giovanile, assistenza sociale e biblioteche sono affidate ai Con-sigli di Contea anziché a quelli di Distretto. Ciò conferma la maggiore pienezza di poteri dei County Councils nelle aree non metropolitane rispetto a quelle metropolitane. Londra. Quanto a Londra, si è già detto come la città abbia ricevuto per prima, fin dal 1965, una soluzione amministrativa basata sul doppio « bi-nario »: governo metropolitano - governi di quartiere. Al vertice si ha il Greater London Council (Consiglio della Grande Londra), che è sicuramente l'ente locale più potente del Regno Unito. Esso ha ampi poteri in materia di strade metropolitane, urbanistica, fognature, sca-

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rico delle acque di scolo, protezione antincendio, difesa territoriale. Alla base stanno 32 distretti, chiamati tradizionalmente Boroughs, retti ciascuno da un Borough Council, e la City of London, che è riu-scita a mantenere un trattamento particolare. La principale differenza che separa la soluzione londinese da quella delle altre aree metropolitane del Regno Unito è, a parte lo status speciale della Metropolitan Police, collegata al settore dell'istruzione. Infatti, nei 12 distretti urbani della « inner London » l'istruzione è responsabilità della lnner London Education Authority, che è un comi-tato speciale del Greater London Council. I trasporti, poi, come noto, sono affidati alla London Transport, che è pure una emanazione mono-funzionale del Greater London Council. Nella sede opportuna verranno esaminate le differenze, rispetto al resto del Paese, in materia di imposizione immobiliare.

2. Le entrate correnti di natura tributaria

Le uniche imposte locali del Regno Unito sono i locai rates. Questa imposta colpisce la proprietà immobiliare ed ha una tradizione ormai plurisecolare (la sua introduzione si fa convenzionalmente datare al 1601, l'anno del Poor Relief Act). Col tempo il tributo è venuto acqui-stando un ruolo di primo piano nel sistema fiscale inglese ed ancora oggi condivide, insieme con i grants e le tariffe, il ruolo di pilastro della finanza locale britannica. Infatti, il suo gettito è oggi dell'ordine dei 4.000 milioni di sterline, una massa che è seconda solo a quella generata dall'income tax (cfr. tabella n. 4).

Tabella 4 - Gettito dei rates e delle altre imposte (R.U., milioni di ster-line).

1974-75 1975-76

Imposta sul reddito (income tax) 10.250 14.000 Rates 3.100 4.200 Imposta sui profitti 2.850 2.125 IVA 2.500 3.275 Accise su: — benzina 1.550 1.550 — tabacchi 1.345 1.675

La materia imponibile è data, come si diceva, dal patrimonio immo-biliare, eccezion fatta per le case coloniche, la terra ad uso agricolo e i luoghi di culto.

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Vaccertamento del tributo è, dal 1948, demandato allo Stato, che vi provvede tramite gli uffici dell'Inland Revenue. La revisione delle basi imponibili dovrebbe avvenire per legge ogni 5 anni ma, nonostante l'imponente apparato tecnico-amministrativo preposto all'accertamento, si è costretti da qualche tempo a ricorrere alla proroga automatica. L'ente locale non ha alcuna partecipazione in tale processo di accerta-mento, limitandosi a recepire i dati del Ministero nel momento in cui deve applicare le aliquote (cfr. infra). La base imponibile dell'imposta è data dal c.d. « valore netto annuale » della proprietà immobiliare cioè — secondo la recente formulazione avanzata dalla Commissione Layfield — dalla rendita (o, meglio, dal canone) alla quale si può ragionevolmente attendere che verrebbe ceduta la proprietà se l'affittuario sopportasse i costi di riparazione, assicurazione e mantenimento. I metodi, peraltro, sono diversi a se-conda del tipo di proprietà colpita dal tributo. Per le case di abitazione, in particolare, la legge prevede che si debba tenere conto di tutti quegli elementi di riferimento che possono dedursi dal mercato degli affitti nell'area ove è ubicato l'immobile. Anche le spese di manutenzione e riparazione debbono essere incluse nei conteggi. La massa di valore imponibile esistente all'interno di ciascun ente locale (rateable value) costituisce il punto di partenza nell'attuale si-stema di finanziamento degli enti locali del Regno Unito. Nel 1974 essa è stata, in Inghilterra e Galles, di oltre 6.600 milioni di sterline, pari a circa 10 mila miliardi di lire (cfr. tabella n. 5).

Tabella 5 - Imponibile e gettito dei rates.

Categorie di imponibile Base imponibile Gettito 1975-76 1974

Immobili uso abitazione (domestic property) 3.204 1.515

Immobili commerciali e industriali

(commercial and industriai property) 2.822 1.900

Altri immobili 634 430

Totale 6.660 3.845

Il riferimento, tuttavia, viene costantemente fatto non già al valore assoluto del rateable value dell'ente locale, ma al suo valore pro-capite. Come si può vedere dall'Appendice 1, il valore medio pro-capite della base imponibile dei rates era, nel 1974, di 118 sterline nelle contee non

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metropolitane dell'Inghilterra, ma scendeva a 88 sterline nel Galles e raggiungeva quota 263 nell'area metropolitana di Londra. Così come sono di competenza centrale le norme relative all'accerta-mento dei valori imponibili, spetta alle autorità centrali la individua-zione dei casi nei quali accordare particolari esenzioni (il c.d. derating). Di questa possibilità il governo inglese ha fatto uso sovente, sicché oggi vi è una consistente aliquota di proprietari di abitazioni apparte-nenti ai ceti più disagiati che non pagano l'imposta, causando all'ente locale una perdita di gettito per la quale, come si vedrà, è prevista una compensazione erogata dal centro. È all'ente locale che spetta sia l'applicazione del tasso di imposta (rate poundage) che la vera e propria riscossione del tributo. Per motivi pratici, e per lunga tradizione, la riscossione è effettuata dalle sole Rating Authorities, le quali si prendono carico anche dell'imposta degli enti non autorizzati, mediante l'istituto detto del precept. Al di fuori di Londra le Rating Authorities sono le contee non metropolitane e i distretti metropolitani; a Londra la competenza a riscuotere è dei boroughs e della City. Il GLC « precetta » per le sue imposte i boroughs e la City. Inoltre, esso « precetta » gli stessi enti per quanto riguarda i mezzi con cui fronteggiare le spese sostenute dalla Inner London Education Authority. (È solo da ricordare il maggior valore imponibile che le proprietà hanno nell'ambito dell'area londinese). Come definiscono Yaliquota gli enti locali? Il processo di fissazione del tasso d'imposta ha cadenza annuale e fa parte integrante del « rito » del bilancio. Il primo passo consiste nella conoscenza preventiva (ancorché appros-simativa) dell'ammontare dei contributi che l'ente riceverà dallo Stato nell'esercizio finanziario (vedi più avanti), nonché l'ammontare delle somme riscosse dalle tariffe e tasse locali. Il secondo passo consiste nella stima della spesa globale da sostenersi nello stesso esercizio finan-ziario. Tenendo presente che in Gran Bretagna vige l'obbligo del pareggio di parte corrente (problema su cui si avrà modo di tornare in seguito), si ha che la differenza tra le due somme costituisce l'am-montare delle entrate che l'ente locale « deve » introitare tramite i rates: l'aliquota risulta così determinata in via residuale come rapporto tra le entrate necessarie « a pareggio » e la massa imponibile, assog-gettata ai rates, esistente nell'ambito dell'ente locale. Molto dibattute sono, in Gran Bretagna, le questioni e della natura intrinseca dei rates e della loro progressività. Non è questa la sede per addentrarci nell'argomento. Tuttavia si deve brevemente osservare che,

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per quanto concerne la natura, le opinioni sono discordanti: alcuni accettano il loro aspetto prima facie di tributo immobiliare; altri, sca-vando nel passato, tendono a considerarli ancora una specie di contri-buti di miglioria, ciò che sicuramente erano in origine; altri infine, li considerano puramente e semplicemente un'imposta sul reddito. Sicuramente si tratta di un prelievo che finisce con il ricadere sul red-dito, quale che sia la sua natura: e al proposito si sostiene tradizional-mente che si tratta di un prelievo regressivo al crescere del reddito familiare complessivo. Tale fondamentale regressività è stata recente-mente confermata da studi speciali della Commissione Layfield; la regressività non opera solo nel caso dei redditieri che godono di completa esenzione.

3. L'attuale assenza di compartecipazioni tributarie con il sistema della finanza centrale e le proposte in merito

Gli enti locali britannici non dispongono di alcuna forma di entrata tributaria avente la natura di coimposizione e/o di compartecipazione. Ciò però non significa che simili soluzioni non siano esistite in passato né che ad esse non si pensi per il futuro, nel quadro di una più vasta riorganizzazione dell'attuale sistema di finanze locali. Al riguardo sono state avanzate negli ultimi venti anni svariate pro-poste, tutte miranti ad accrescere la quota di entrate « proprie ». Ad esempio, in un Green Paper del 1971 dedicato alla « futura configura-zione della finanza locale » (The future shape of locai government finance) si prendevano in considerazione essenzialmente le forme alter-native di imposizione seguenti:

— un'imposta locale sui redditi (locai income tax, LIT d'ora in avanti); — un'imposta locale sul valore aggiunto; — un'imposta locale sui ruoli paga; — un'imposta sulla benzina o sui veicoli.

Non è questa la sede per riferire sui dettagli l'andamento del dibattito; preme piuttosto rilevare che la sola proposta sopravvissuta e recepita nel recente Rapporto Layfield è quella della LIT; ed è su di essa che vogliamo spendere qualche parola in più. Bisogna innanzitutto precisare che la proposta della LIT viene avan-zata dalla Commissione Layfield nel quadro di una risistemazione delle

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funzioni e dei poteri finanziari tra centro e periferia, che sia accompa-gnata da una chiara ripartizione delle responsabilità. Una Locai Bi-corne Tax è vista come necessaria per dare maggior forza agli enti locali, mentre non sarebbe richiesta in un sistema basato sulla centra-lizzazione, nel quale sarebbero i grants a conservare un ruolo di primo piano nel contesto della finanza locale. Nel Rapporto Layfield dunque la Locai Income Tax è vista più come fonte alternativa che aggiuntiva di risorse locali, nel senso di sosti-tuirsi ai grants (strumento attraverso il quale si esercita, comunque, il condizionamento centrale). In definitiva la introduzione della LIT viene esaminata:

1) al posto del rating; 2) come fonte aggiuntiva di reddito locale, nelle seguenti tre versioni: a) come sola imposta locale a livello di contea, rimanendo il rating la sola fonte autonoma di entrata per i distretti; b) come la sola imposta locale dei più importanti enti di spesa, rima-nendo il rating la sola entrata tributaria degli altri; c) come la seconda fonte di reddito (insieme al rating) per i « grandi spenditori », essendo riservati agli altri i soli rates.

Riportiamo a titolo di esempio (cfr. tabella n. 6) l'assetto di entrate che, secondo il Rapporto, si avrebbe nell'ipotesi b) (cfr. pp. 472-474).

Tabella 6 - Ipotetico assetto delle entrate degli enti locali nell'ipo-tesi 2b).

Aree metropolitane Aree non metropolitane Totale Contee

Contee Distretti Contee Distretti e D i s t r e t t j

(Entrate pro-capite in vai. ass. e %) Lst. % Lst. % Lst. % Lst. % Lst. %

LIT — — 82 51 82 48 — — 82 41 Rating 18 45 — — — — 18 60 18 9

18 45 82 51 82 48 18 60 100 50

Grant 22 55 78 49 88 52 12 40 100 50

Totale 40 100 160 100 170 100 30 100 200 100

Come si può constatare dal confronto della tabella 6 con la precedente tabella 3, il quadro è stato impostato nell'ipotesi del mantenimento delle proporzioni di spesa attuali tra contee e distretti, da un lato, e

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tra aree metropolitane e non metropolitane, dall'altro (le proporzioni sono, infatti, 40/160 e 170/30, e cioè ricalcano i rapporti 20/80 e 85/15 della tabella 3). Altra ipotesi fondamentale è che l'ammontare dei trasferimenti dallo Stato non superi, dopo la riforma, il 50 per cento delle risorse necessarie agli enti (tale percentuale arriva però al 60 per cento nel caso dei distretti non metropolitani). In un contenuto siffatto, la LIT verrebbe ad acquisire un ruolo assolu-tamente preminente quale fonte di autonomia fiscale locale, costituendo l'82 per cento delle entrate tributarie. Si tratta, è bene ripeterlo, di una delle tante ipotesi avanzate e sulle quali è, oggi, vivissimo il dibattito.

4. Il sistema dei grants

Se i rates sono stati e sono storicamente il perno attorno a cui ruota l'intero sistema della finanza locale britannica, i sussidi governativi

Tabella 7 - Ripartizione percentuale delle fonti di finanziamento della spesa locale in Gran Bretagna distinte per livello di governo (1975-76).

Totale A r e f . Londra I n g h i l "

metropolitane

Grants

Aree

„ „ , „„ metropolitane terra metropolitane p

e Galles Distretti Contee Distretti Contee Bor- GLC

roughs

Fabbisogno ì — 39 43 — 50 — 34 Risorse R.S.G. 30 15 19 26 3 2 16 Domestico J 11 7 5 7 6 7 8 Specifici 6 7 1 23 3 16 9

Totale 47 68 68 56 62 25 67

Rates Abitazioni 24 14 13 18 11 22 13 Non domestici 29 18 19 26 27 53 20

Totale 53 32 32 44 38 75 33

Entrate totali * 100 100 100 100 100 100 100

* Riferite alle sole risorse costituite da rates e grants (esclusi quindi gli introiti i tariffe). Fonte : Rapporto Layfield, appendice 9.

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(grants) costituiscono da un trentennio il pilastro più robusto dell'im-palcatura, costituendo oggi all'incirca il 50 per cento delle entrate cor-renti totali, contro il 25 per cento circa delle due restanti voci, rates e tariffe (cfr. paragrafo 7). Se queste ultime non vengono conteggiate, l'incidenza sul totale residuo dei grants è pari al 67 per cento (cfr. ta-bella n. 7). Soltanto per il Greater London Council il peso dei sussidi centrali può essere considerato trascurabile. Il sistema dei grants risale alla fine degli anni '20, ma è stato radical-mente riformato in più occasioni, l'ultima delle quali nel 1966. In tale anno tutti i precedenti spezzoni di sussidi erogati sotto i titoli più vari agli enti locali sono stati organicamente riuniti in un unico coacervo di risorse chiamato Aggregate exchequer grant. Nell'anno finanziario 1975-76 sono rientrati sotto questa voce, come si vede dalla tabella, quasi otto miliardi di sterline (cfr. tabella n. 8).

Tabella 8 - Spesa di riferimento (Relevant expenditure) e « grant aggre-gato di bilancio » (Aggregate exchequer grants) per il 1976-77 (in milioni di sterline).

Tipi di grants e spesa di riferimento Inghilterra e Galles

1. « Spesa di riferimento » stimata 10.461 2. Grant aggregato di bilancio 6.852 3. Grants specifici 643 4. Grants supplementari 288 5. Rate Support Grant 5.921

Scozia Regno Unito

1.195 11.656 884 7.736

61 704 288

823 6.744

Praticamente tutti i tipi di grants teorizzati dagli studiosi convivono sotto lo stesso tetto dell'Aggregate exchequer grant, e cioè:

— sussidi specifici, relativi a particolari servizi; — sussidi generici; — sussidi legati alla spesa effettuata; — sussidi legati alle necessità dell'ente locale; — sussidi parziali; — sussidi totali;

e così via. Il ruolo predominante è detenuto, tuttavia, nella finanza locale britan-nica di trasferimento, dal cosiddetto Rate Support Grant, che è un sus-sidio generico (contrariamente a quanto è avvenuto fino a pochi anni

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or sono), corrisposto all'ente locale in proporzione a una previamente definita « spesa di riferimento » (relevant expenditure). La spesa di riferimento non identifica tutta la spesa dell'ente, ma solo una quota convenzionale di essa, nella quale non entra la parte coperta da tariffe ed entra invece, come elemento aggiuntivo (evidente in ciò l'incentivo all'oculatezza nella spesa) l'avanzo di bilancio corrente. Dei 7.736 mi-lioni di sterline erogati sotto forma di trasferimento nel 1975-76, ben 6.744 sono stati pagati come Rate Support Grant. Letteralmente il termine di Rate Support Grant significa « sussidio in-tegrativo dei rates » e tale è fondamentalmente la sua natura: esso integra le risorse proprie dell'ente locale in modo non condizionante. L'ammontare del RSG è, come quello degli altri, fissato ogni anno dal Governo dopo ampie discussioni con le rappresentanze degli enti locali: la conoscenza preventiva del probabile ammontare del sussidio è, come sappiamo, precondizione per le Rating Authorities per fissare le ali-quote dei rates. Il Rate Support Grant è il diretto successore del precedente Rate Equa-lization Grant, del quale recepisce integralmente il principio ispiratore essenziale, che è, appunto, la perequazione territoriale delle risorse pub-bliche. Esso, anzi, costituisce un po' la summa di tutte le precedenti esperienze in materia di sovvenzioni, la quintessenza del modo britan-nico di ispirare il governo della cosa pubblica a princìpi razionali. Il grant si compone di tre parti:

1) l'elemento « bisogno » (o « fabbisogno ») (need element):

2) l'elemento « risorse » (resources element):

3) l'elemento « domestico » (domestic element).

L'elemento « bisogni », come si è visto nella tabella 7, copre all'in-circa, su scala nazionale, la metà del grant, giungendo a rappresentare i 5/6 nell'area di Londra. Esso è corrisposto, nell'Inghilterra metro-politana, ai distretti; nelle aree non metropolitane alle contee e, a Londra, ai soli boroughs. In altre parole, è corrisposto ai « grandi spen-ditori » : agli altri enti locali non viene pagato, ma dei loro fabbisogni di spesa si tiene conto attribuendo le rispettive somme all'ente (contea o distretto) percipiente il grant. Scopo fondamentale del need element è di tenere conto delle differenze tra enti locali negli ammontari pro-capite di spesa necessari a procu-rare un livello standardizzato di servizi. Questa parte di grant è calco-lata secondo una formula distributiva, contenuta nel c.d. Rate Support

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Grant Order, che si basa su una relazione statistica (empiricamente sta-bilita) tra spese locali e quegli « indicatori di fabbisogno » che sem-brano più idonei a spiegare la variabilità della spesa stessa tra i vari enti. La formula distributiva può essere così stilizzata:

G' - mP + nC' + dS' + pO'

dove G' sta per l'ammontare del grant: F sta per la popolazione dell'ente locale; C sta per il numero dei bambini al di sotto dei 15 anni; S' sta per il numero degli studenti; O' sta per il numero degli anziani

e m, n, d e p rappresentano somme monetarie in sterline.

L'apostrofe sta a significare che i singoli fattori causali non vengono presi in considerazione quanto al loro livello, ma al rapporto in cui stanno con il totale nazionale. In definitiva, l'elemento « fabbisogni » include una componente-base (riferita alla popolazione) e altrettanti grants supplementari quanti sono i fattori specifici di costo presi in considerazione. Va precisato, tuttavia, che l'attribuzione della compo-nente « bisogni » non è rigidamente predeterminata dalla formula, ma può essere oggetto di un certo bargaining tra ente locale e governo centrale. Veniamo ora al secondo elemento (« risorse »). Esso è corrisposto a tutti gli enti il cui imponibile pro-capite (rateable value) sia inferiore a un certo livello standard fissato dall'autorità centrale. Nel 1976-77 questo valore è stato, per Inghilterra e Galles, pari a Lst. 176 (corri-spondenti a circa L. 260 mila pro-capite). Lo Stato cioè, interviene come un qualsiasi contribuente per far sì che l'ente locale non sia penalizzato da una sua eventuale deficienza di materia imponibile, facendo in modo che l'ente locale giunga alla quota capitaria di rateable value prefissata (cioè, per il 1976, le dette Lst. 176). Nello stesso anno finanziario sono stati solo 26, su oltre 500, gli enti locali che non hanno ricevuto alcuna integrazione a titolo di « risorse », e tutti concentrati nell'area di Londra.

L'aspetto interessante dell'» elemento risorse » è che esso intende pri-vilegiare ciò che la letteratura americana chiama « fiscal effort » (sforzo fiscale) dell'ente locale: infatti, se l'ente locale aumenta il poundage (l'aliquota dei rates) riceve un grant maggiore; viceversa se lo abbassa.

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In questo senso il sussidio è congegnato in modo che risulti incenti-vante. La ripartizione del Rate Support Grant tra gli elementi needs e resources è determinato dal ministro. L'ammontare minimo necessario per l'elemento « fabbisogno » è dato dalla somma degli ammontari per i quali i fabbisogni di spesa stimati di ciascun ente eccedono quelli dell'ente avente il fabbisogno minimo, che su questa base non riceve-rebbe alcuna componente « bisogni » (in Inghilterra e Galles questo ammontare è attualmente circa 1/3 del totale della componente « bi-sogni »). Tutte le somme extra dedicate ai « bisogni » sono distribuite proporzionalmente alla popolazione e così tendono ad avere un effetto uniforme nel ridurre il rate poundage locale. Un aumento della base imponibile pro-capite nazionale significherebbe che alcuni enti riceve-rebbero una maggiore componente « risorse », ma a detrimento dell'ele-mento « fabbisogni ». Rimane da dire brevemente della terza componente del RSG, che è 1'« elemento domestico ». Si tratta di una quota minima del grant (circa 12 per cento a livello nazionale, con scarsa variabilità nelle varie situazioni: cfr. sempre tabella 7) che ha lo scopo di compensare l'ente locale per la perdita di gettito da rates nella quale è « costretto » a incorrere nel momento in cui concede l'esenzione dal pagamento del-l'imposta (come prescritto centralmente) alle categorie più modeste dei proprietari immobiliari. Accanto al Rate Support Grant il governo centrale eroga a favore degli enti locali un certo numero di grants specifici, corrisposti con rife-rimento all'attivazione, da parte dell'ente, di particolari servizi ai quali esso è comunque vincolato. Tali grants sono comunemente, ma non necessariamente, pagati come percentuale della spesa, di cui nel 1976 costituivano circa il 9 per cento. Possono essere considerati una sottocategoria dei grants specifici i c.d. grants supplementari, concessi con riferimento ai servizi di trasporto e ai parchi nazionali. Anche qui il sussidio viene concesso dopo un'at-tenta valutazione del Segretariato di Stato per l'Ambiente e, nel caso del Transport Supplementary Grant, dopo che l'ente locale abbia for-nito un'accurata documentazione circa il piano quinquennale dei tra-sporti che intende realizzare. Un altro grant specifico di rilievo riguarda il finanziamento della polizia. Può essere interessante aggiungere che il Rate Support Grant è pagato solo ai boroughs e alla City of London, ma non al Greater London Council, che peraltro riceve alcune forme di grants specifici e supple-

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mentari; la Metropolitan Police riceve il suo grant specifico diretta-mente. Sempre per quanto riguarda Londra, è da ricordare che al suo interno funziona un secondo livello di redistribuzione delle risorse, nel senso che vi è uno schema in base al quale la parte più ricca della metropoli versa i proventi di un'imposta speciale a favore dei boroughs meno dotati di mezzi, generalmente situati alla periferia. È il c.d. London Equalization Scheme. Nonostante i suoi indubbi meriti, il descritto sistema di sussidi non è esente da critiche. Naturalmente, è soprattutto il Rate Support Grant ad essere sotto tiro. Dubbi e perplessità vengono sollevati su ciascuna delle sue componenti, o elementi. Per quanto riguarda, ad esempio, l'esempio « risorse », si fa notare che: 1) l'attribuzione di tale parte del grant è inversamente correlata con il pagamento dei rates domestici; 2) che esso cerca di perequare le aliquote d'imposta tra enti che sostengono eguali spese pro-capite, anziché gli oneri da rates: 3) che, in definitiva, esso non perequa in modo soddisfacente, perché rimangono pur sempre degli enti locali (26 nel 1975) che godono di una base fiscale molto più elevata della media. Più penetranti, forse, le critiche alla componente « bisogni ». In questo caso l'insoddisfazione nasce dalla riconosciuta problemati-cità della definizione dei « bisogni » di ciascuna area e dai dubbi sulla adeguatezza delle formule distributive di volta in volta escogitate dal governo centrale per « allocare » il sussidio ai vari enti. Sotto tiro è, ovviamente, l'apparente neutralità della formula statistica (la regres-sione) con cui i vari fattori causali dei bisogni vengono « spiegati » e quantificati. Si fa notare, ad esempio, che far derivare la quantifica-zione dei « bisogni » dai moduli di spesa nei vari servizi introduce nel discorso elementi di circolarità e che molto più efficaci si palesereb-bero metodi basati su opportune scale di « indicatori sociali ». L'inadeguatezza dell'attuale struttura del RSG è affermata anche in un saggio critico dei due noti studiosi di Cambridge Cripps e Godley (v. nota bibliografica). In via prioritaria essi affermano che il Governo dovrebbe adottare un più esplicito insieme di obiettivi e far conoscere poi, nel modo più aperto possibile, le vie attraverso le quali far combaciare i trasferimenti con tali obiettivi. « Il processo di attribuzione dei sussidi non dovrebbe essere il risultato di un processo di contrattazione quasi esclusivamente interno, del quale anche il pubblico più informato sa poco e che non può comprendere appieno ».

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Sul merito del RSG, i due autori suggeriscono possibili variazioni per ciascuno dei tre elementi di cui è composto:

1) l'elemento « risorse » (proprio in quanto non penalizza a sufficienza le aree « ricche ») dovrebbe trasformarsi in un trasferimento tra aree ricche e aree povere, senza alcun costo netto per il fisco centrale;

2) l'elemento « domestico » dovrebbe variare tra aree, per consentire « abbattimenti » dei rates differenziati a seconda della situazione preva-lente;

3) l'elemento « bisogni » dovrebbe coprire non più la spesa in sé, ma la differenza tra la « spesa standardizzata » di un'area e il gettito di un'aliquota dei rates, essa pure standardizzata.

5. Il conto capitale e l'indebitamento

In materia di bilanci degli enti locali, vige in Gran Bretagna il prin-cipio della più netta distinzione tra parte corrente e conto capitale. Tale distinzione, che è accolta con qualche riserva dalla Commissione Layfield per la difficoltà di distinguere tra spese a benefici immediati e spese a benefici mediati, ha in concreto la massima importanza per-ché gli enti locali possono essere autorizzati a indebitarsi per finanziare la parte capitale della spesa ma non, come sappiamo, la parte cor-rente. Sono iscrivibili, a norma della legislazione vigente, nel conto capi-tale spese dirette a: 1) acquistare o produrre beni suscettibili di essere venduti in un periodo successivo, come terreni e fabbricati; 2) a finan-ziare imprese produttrici di pubblici servizi possedute dall'ente locale; 3) a produrre per la collettività servizi per un periodo di più anni. Una minima parte delle attuali spese di investimento degli enti locali britannici viene finanziata con grants in conto capitale (all'incirca il 5-6 per cento). Al proposito si è suggerito che una estensione di tale quota sarebbe desiderabile, perché, così com'è strutturato, il Rate Support Grant non rende sufficiente giustizia alle differenze nei fab-bisogni di spesa in conto capitale delle singole aree. Tuttavia, si af-ferma anche, una nota a sfavore dei grants capitali è data dal diverso trattamento che in sede di controllo della spesa locale ricevono le spese correnti da un lato e quelle di investimento dall'altro. Una fonte più consistente di finanziamento del conto capitale è data

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dall'avanzo di parte corrente il quale, venendo computato nella base di calcolo del RSG, pone le basi per il riprodursi annuale di un suffi-ciente flusso di risorse da destinare all'investimento. Giungiamo quindi a quello che rimane lo strumento fondamentale di finanziamento delle spese in conto capitale, e cioè Vindebitamento. È bene dire subito che l'indebitamento è consentito agli enti locali britannici solo ed esclusivamente per spese di investimento. Dato il meccanismo, sopra descritto, di pareggio « istituzionale » del bilancio di parte corrente (quantomeno nella sua formulazione preventiva) il sistema italiano del « mutuo a ripiano » semplicemente non esiste. Tre sono essenzialmente i canali di finanziamento possibili per l'ente locale britannico che abbia deciso di ricorrere al debito:

A) il Public Works Loan Board (PWLB), che è il canale ufficiale, corrispondente alla nostra Cassa Depositi e Prestiti. Esso utilizza in-fatti fondi autorizzati dal Parlamento: l'ente locale può prendere a prestito una quota (30-40 %) della spesa d'investimento stimata e un'altra quota, minore, del servizio debito. Naturalmente i prestiti con-tratti con il PWLB non sono altrettanto « liberi » degli altri e un minimo di condizionamento viene applicato: ad esempio, vi sono restri-zioni circa il momento in cui far scattare il prestito, al fine di graduare le richieste durante l'anno. La durata minima del prestito è di 10 anni. A parte il suddetto tipo di prestito, detto quota loan, il PWLB eroga prestiti « di ultima istanza », allorché l'ente locale possa dimostrare di avere ottenuto il benestare governativo ma non sia riuscito a repe-rire i mezzi sul mercato. Il tasso di interesse praticato dal PWLB all'ente locale è di poco superiore a quello praticato dal Governo allo stesso PWLB. In questo senso si tratta di credito agevolato rispetto ai tassi di mercato (e che anche il PWLB pratica allorché il credito venga richiesto senza dimo-strare di avere fatto il possibile per ottenerlo fuori).

B) il mercato dei capitali interno. In questo caso l'ente può ricorrere al mercato dei capitali (moneta e /o obbligazioni) a breve, a medio e a lungo termine: banche, compagnie di assicurazione, building societies, fondi di quiescenza, ecc.;

C) mercato dei capitali internazionale. Gli enti in questo caso necessi-tano del permesso del Treasury, con le limitazioni eventuali che questo decidesse di imporre. Questo controllo del ricorso ai mercati stranieri dei capitali è dovuto non a considerazioni inerenti la posizione defici-taria degli enti, ma solo a considerazioni di bilancia dei pagamenti.

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L'accesso a ciascuno dei tre canali di provvista del debito è regolato dal Treasury o dalla Banca d'Inghilterra. La quota dell'indebitamento totale a lungo contratto presso il PWLB è di circa il 45 per cento. Grande importanza ha poi, anche nel sistema della finanza locale inglese, l'indebitamente a breve: solitamente si tratta di prestiti con-cessi per un termine massimo di 364 giorni, scaduto il quale si appli-cano sanzioni anche serie. I prestiti a breve possono raggiungere un tetto massimo pari al 20 per cento del debito a lunga, e pari ad un 15 per cento se si tratta di debiti inferiori ai tre mesi. Si è visto quanto sia importante l'ottenimento del benestare governa-tivo per poter accedere al mercato dei capitali: in effetti tale limita-zione fa parte del più generale sistema di controllo della spesa d'inve-stimento vigente in Gran Bretagna e che, pur attenuato rispetto al passato, è ancora oggi abbastanza penetrante. Fino al 1970 la prassi generalizzata era nel senso che l'ente locale doveva ottenere, per qualsiasi spesa capitale, la c.d. loan sanction. Oggi il controllo si è fatto più selettivo e si articola diversamente a seconda della categoria di spesa: 1) la categoria di spesa detta dei settori-chiave (key sectors), in quanto deve soggiacere ai visti tecnici centrali, non ha più bisogno della tradizionale loan sanction, perché l'approva-zione del progetto comporta l'automatico permesso di accesso al mer-cato dei capitali; 2) la spesa del cosiddetto « settore sussidiario » (,subsidiary sector) ha pure un accesso semi-automatico al finanzia-mento mediante indebitamento; 3) la spesa del settore « definito local-mente » (locally determined sector) soggiace a controlli annuali ai quali fa seguito, poi, una concessione in blocco del permesso di accesso al credito a livello di singolo ente locale. Come mostra la tabella 15, nel periodo 1964-76 la massa di debiti locali si è più che triplicata: oggi siamo probabilmente in prossimità dei 30 miliardi di sterline, pari a circa 45 mila miliardi di lire. La quota contratta con il PWLB è dell'ordine del 41 per cento. Il servizio del debito, pari al 12 per cento nel 1972-73, oggi è, con ogni proba-bilità, cresciuto ulteriormente. È da questa constatazione che anche in Inghilterra si è avanzato il suggerimento della « cancellazione » « writ-ing o f f ) del servizio del debito: questo fatto, riducendo la spesa cor-rente degli enti, si dice, permetterebbe una riduzione dei rates e/o dei trasferimenti governativi di bilancio. La Commissione Layfield, tuttavia, rigetta una tale proposta, temen-done gli effetti incentivanti sull'ulteriore ricorso al debito e paventan-done gli effetti benèfici diseguali sui vari enti a causa della quota

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diseguale di debito pregresso. In sostanza, afferma la Commissione, il debito contratto è equivalso a una acquisizione di benefici presenti o futuri; sicché « il servizio del debito è il prezzo che deve essere pa-gato » (p. 122).

6. Le politiche tariffarie

Il tema delle tariffe dei servizi pubblici è oggi, in Gran Bretagna, sog-getto ad un dibattito particolarmente vivace, come parte del vasto discorso che si riassume nell'alternativa: taxes or pricesl Nel 1974 il gettito complessivo da tasse, contributi, canoni e tariffe (generalmente indicati con il binomio fees and charges) fu di circa 1.400 milioni di sterline per Inghilterra e Galles (mancano dati per la Scozia), pari a circa il 15 per cento della spesa corrente di tale anno. La misura dei canoni e delle tariffe è molto spesso determinata a livello centrale, sia per ovvi motivi di omogeneità tra enti, sia per evi-tare che gli enti locali mettano in atto, attraverso una manipolazione « perversa » dei prezzi pubblici, politiche economiche contrarie a quella ufficialmente adottata dal Governo. In alcuni casi l'ente locale è obbli-gato a istituire tariffe, ad esempio per il servizio di trasporto rifiuti; in altri casi i parametri vengono variati centralmente di quando in quando. Le politiche tariffarie finora poste in essere nel Regno Unito hanno riposato sulla distinzione di principio tra servizi che meritano un pre-valente finanziamento tributario e servizi a prevalente finanziamento privato. Da ciò la distinzione fondamentale tra i rate fund services (servizi da coprirsi mediante i rates) e i c.d. trading services (servizi aventi natura commerciale, come i trasporti, i cimiteri, l'edilizia popo-lare, i cui costi dovrebbero venire coperti mediante corrispettivi). In effetti (cfr. tabella n. 9) nei rate fund services il finanziamento mediante ricorso a tasse, tariffe, ecc., è mediamente molto basso, in omaggio al principio economico-sociale secondo cui, quando il be-neficio è diffuso e l'utilità è prevalentemente collettiva deve essere usato lo strumento tributario generale. Si va così da un massimo di copertura « privata » del 60 per cento nel caso dei parcheggi e da una del 34 per cento per la refezione scolastica al minimo del 4 per cento nel caso del servizio rifiuti solidi. In media generale, la copertura da tariffe o tasse è del 7 per cento.

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Tabella 9 - Introiti da tasse, canoni e tariffe: rate fund services (Inghil-terra e Galles) 1973-74.

Istruzione: — istruzione superiore — refezione scolastica — altre voci

Servizi sociali personali:

Introiti Spesa (milioni di sterline)

Lst.

116,7 99.5 62.6

Lst.

675,3 294,1

2.387,4

Proporz. di spesa coperta

%

17 34

3

— asili 13,1 82,9 16 — case per anziani 46,8 139,5 34 — altre voci 16,1 300,0 5

Biblioteche, musei e gallerie 5,7 105,8 5 Raccolta rifiuti 7,4 166,9 4 Parcheggi 19,5 32,7 60 Altre voci 151,8 3.533,3 4

Totale 539,2 7.717,8 7

Tabella 10 - Introiti da tasse, canoni e tariffe: trading services (Inghil-terra e Galles).

Entrate Entrate Altre da tasse dal . , Spesa . , . entrate e canoni rate found

(in milioni di sterline)

Trasporto passeggeri 73,7 4,2 12,4 90,3 Cimiteri e crematori 6,8 11,6 1,8 20,2 Porti 12,4 0,3 1,6 14,3 Mercati 8,8 1,4 6,9 17,1 Macelli 2,7 1,3 1,5 5,5 Aerodromi 11,7 2,8 5,2 19,7 Aree industriali ed altro 23,5 18,6 53,5 95,6

Totale 139,6 40,2 82,9 262,7

Fonte: Rapporto Layfield, p. 134. Nota : gli acquedotti sono esclusi da queste tabelle.

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È tuttavia nei trading services che si può più propriamente parlare di tariffe. La successiva tabella (cfr. tabella n. 10) mostra che queste ultime coprono in questo settore, in media, il 50 per cento della spesa, anche se vi è da registrare la punta dell'80 per cento nei trasporti (ma oggi si è probabilmente giunti in prossimità del 100 per cento). Anche per ciò che concerne l'edilizia (Housing Revenue Account) il finanziamento da canoni non copre che una parte, e per di più decrescente, dei costi. Tornando ai trasporti, è solo da aggiungere che se oggi si è vicini al 100 per cento di copertura, lo si deve al fatto che la filosofia domi-nante è quella del ritorno a rigorosi criteri economicistici in tutto il settore delle comunicazioni (e quindi nelle poste, nei telefoni, nelle ferrovie dello Stato). L'obiettivo, stabilito centralmente anche per gli enti locali, è il pareggio se non l'avanzo: al raggiungimento di tale obiettivo vengono, ad esempio, condizionati i Transport Supplementary Grants, anche se (come nel caso del Greater London Council) tali « guide-lines » governative tendono ad essere contrastate o addirittura eluse. Si tratta di una politica di « rincari selvaggi » che ha comunque portato il costo dei trasporti ferroviari o metropolitani (a Londra) a livelli proibitivi, inimmaginabili nel nostro paese. Il caso dei trasporti è esemplare di un più generale movimento di idee che vorrebbe una estensione dell'uso della tariffa fin dove ciò sia possibile. Tale massiccio mutamento di politica, peraltro, non ha per ora possibilità di essere applicato nemmeno dal governo più conser-vatore, perché suppone, con le parole del Rapporto Layfield, « una sostanziale redistribuzione dei redditi », onde evitare che qualcuno sia privato della possibilità di accedere a un livello minimo di servizio. Appare chiaro come anche in Gran Bretagna sia reputato diffìcile di-scernere fin dove sia giusto che paghi il singolo e fin dove la collet-tività.

7. Evoluzione del settore locale nel contesto

La finanza locale è stata l'elemento più dinamico nel contesto della stagnante economia britannica del dopoguerra. L'espansione del set-tore pubblico inglese, a cui talune recenti analisi tendono ad attribuire la colpa della stessa suddetta stagnazione (1) è avvenuta in larga mi-t i ) Si v e d a ROBERT BACON e WALTER ELTIS, Britains' Economie Problem: Too Few

Producers, trad. it. Base produttiva e crescita economica: il caso inglese, prefaz. di Guido Carli, Etas Libri, 1976.

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Tabella 11 - Dinamica della spesa locale in Gran Bretagna dal 1949-50 al 1973-74; milioni di sterline.

Spesa corrente Spesa in conto capitale Anni Inghil- Galles Scozia G.B. Inghil- Galles Scozia G.B.

terra terra

1949-50 849 100 949 331 45 376 1950-51 887 108 995 369 47 416 1951-52 998 123 1,111 426 58 485 1952-53 1,062 134 1,196 498 69 567 1953-54 1,127 142 1,269 544 74 620 1954-55 1,225 157 1,382 526 73 599 1955-56 1,331 171 1,502 541 72 613 1956-57 1,411 86 195 1,692 524 31 71 626 1957-58 1,537 83 202 1,832 499 29 71 600 1958-59 1,631 100 213 1,944 483 29 71 583 1959-60 1,759 106 221 2,086 539 33 72 644 1960-61 1,904 115 242 2,261 584 37 78 699 1961-62 2,102 130 264 2,496 697 45 91 832 1962-63 2,307 140 282 2,729 745 49 100 893 1963-64 2,515 153 308 2,976 921 58 130 1,110 1964-65 2,736 167 333 3,236 1,159 66 147 1,373 1965-66 3,118 189 366 3,673 1,225 64 155 1,444 1966-67 3,416 206 407 4,029 1,339 73 187 1,599 1967-68 3,761 227 445 4,433 1,486 77 228 1,791 1968-69 4,080 242 491 4,813 1,513 84 262 1,859 1969-70 5,112 293 555 5,960 1,613 94 251 1,959 1970-71 5,841 344 641 6,826 1,942 108 251 2,301 1971-72 6,691 389 722 7,802 2,108 123 261 2,492 1972-73 7,563 442 842 8,847 2,631 164 304 3,098 1973-74 9,189 543 1,001 10,733 3,510 228 397 4,136

Fonte: Rapporto Layfield, p. 380. Note : (1) La spesa corrente include la spesa per i fondi di quiescenza locali. (2) Fino al 1955 la voce « Inghilterra » include anche il Galles. (3) Sono possibili discrepanze da arrotondamento.

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Tabella 12 - Occupati nel settore locale e forza lavoro totale a confronto (Gran Bretagna, 1952-1975).

Forze di lavoro Occupati nel settore Percentuale della totali i in mil. locale (mil.) popolazione attiva

Anni Maschi Femm. Tot. Maschi Femm. Tot. Maschi Femm. Tot.

1952 15,9 7,4 23,3 0,84 0,61 1,45 5,3 8,2 6,2 1953 15,9 7,5 23,4 0,85 0,62 1,47 5,3 8,2 6,3 1954 16,0 7,7 23,7 0,86 0,63 1,49 5,3 8,2 6,3 1955 16,1 7,8 23,9 0,86 0,65 1,51 5,3 8,3 6,3 1956 16,2 7,9 24,1 0,87 0,68 1,55 5,4 8,6 6,4 1957 16,2 8,0 24,2 0,89 0,70 1,59 5,5 8,7 6,6 1958 16,2 7,9 24,1 0,91 0,72 1,63 5,6 9,1 6,7 1959 16,2 8,0 24,2 0,93 0,74 1,61 5,7 9,2 6,9 1960 16,3 8,3 24,6 0,94 0,76 1,70 5,8 9,2 6,9 1961 16,4 8,4 24,8 0,96 0,79 1,75 5,8 9,4 7,1 1962 16,5 8,5 25,0 0,99 0,83 1,82 6,0 9,7 7,3 1963 16,5 8,6 25,1 1,03 0,86 1,89 6,2 10,0 7,5 1964 16,5 8,7 25,2 1,05 0,91 1,96 6,4 10,4 7,8 1965 16,6 8,9 25,5 1,07 0,96 2,03 6,4 10,8 8,0 1966 16,5 9,0 25,5 1,11 1,02 2,13 6,7 11,3 8,4 1967 16,4 8,9 25,3 1,14 1,07 2,21 6,9 12,0 8,7 1968 16,3 8,9 25,2 1,16 1,13 2,29 7,1 12,7 9,1 1969 16,1 9,0 25,2 1,15 1,19 2,34 7,1 13,2 9,3 1970 16,1 9,0 25,1 1,15 1,23 2,38 7,1 13,7 9,5 1971 15,8 8,7 24,5 1,17 1,29 2,46 7,4 14,8 10,0 1972 15,8 8,8 24,6 1,20 1,36 2,56 7,6 15,4 10,4 1973 15,8 9,2 25,0 1,25 1,45 2,70 8,0 15,8 10,8 1974 15,7 9,4 25,1 1,22 1,48 2,70 7,8 15,7 10,8 1975 . . 25,7 ,. 2,90 11,3

Fonte: Rapporto Layfield, p. 381. Note: (1) I dati includono sia i lavoratori full time che quelli part time. (2) Da tener presente che dal 1974 e 1975 si hanno dati non strettamente compa-rabili per la variazione subita dal contesto istituzionale.

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Tabella 13 - Composizione delle entrate correnti totali degli enti locali (Gran Bretagna, 1949-50 - 1973-74).

Anni Rates Grants Altre Entrate Rates Grants Altre entrate totali entrate

(milioni di sterline) Percentuale delle entrate

1949-50 326 332 308 966 34 34 32 1950-51 338 344 324 1.006 34 34 32 1951-52 370 394 358 1.122 33 35 32 1952-53 397 434 382 1.213 33 36 31 1953-54 443 469 413 1.325 33 36 31 1954-55 462 513 440 1.415 33 36 31 1955-56 477 567 481 1.525 31 37 32 1956-57 578 642 530 1.750 33 37 30 1957-58 621 700 570 1.891 33 37 30 1958-59 652 751 603 2.006 33 37 30 1959-60 729 802 651 2.182 33 37 30 1960-61 776 860 701 2.337 33 37 30 1961-62 842 943 754 2.539 33 37 30 1962-63 931 1.026 823 2.780 33 37 30 1963-64 1.031 1.158 901 3.090 33 37 29 1964-65 1.107 1.246 981 3.334 33 37 29 1965-66 1.258 1.417 1.092 3.767 33 38 29 1966-67 1.415 1.564 1.185 4.164 34 38 28 1967-68 1.474 1.788 1.293 4.555 32 39 28 1968-69 1.561 1.924 1.452 4.937 32 39 29 1969-70 1.692 2.199 1.620 5.511 31 40 29 1970-71 1.839 2.578 1.760 6.177 30 42 28 1971-72 2.139 2.994 2.060 7.193 30 42 28 1972-73 2.420 3.542 2.210 8.172 30 43 27 1973-74 2.682 4.422 2.660 9.764 28 45 27

Fonte: Rapporto Layfield, p. 384. Note: (1) Le « altre entrate » includono interessi, rendite e proventi da servizi, tariffe ecc. (2) I rates sono al netto dei ristorni e dell'elemento domestico del RSG. (3) Il termine « grants » include l'Exchequer grants, i sussidi alle abitazioni e i grants ai trading services.

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Tabella 14 - Composizione delle entrate destinate alla relevant expendi-ture (Gran Bretagna, 1964-65 - 1975-76).

Anni Grants Rates Totale Grants Rates (milioni di sterline) Percentuale

1964-65 1.156 1.107 2.263 51,1 48,9 1965-66 1.321 1.258 2.579 51,2 48,8 1966-67 1.457 1.415 2.872 50,7 49,3 1967-68 1.667 1.474 3.141 53,1 46,9 1968-69 1.784 1.561 3.345 53,3 46,7 1969-70 2.030 1.692 3.722 54,5 45,5 1970-71 2.377 1.839 4.216 56,4 43,6 1971-72 2.762 2.139 4.901 56,4 43,6 1972-73 3.303 2.420 5.723 57,7 42,3 1973-74 4.095 2.682 6.777 60,4 39,6 1974-75 5.023 3.100 8.123 61,9 38,1 1975-76 7.316 3.562 10.878 67,3 32,7 1976-77 ., ,. 66,4 33,6

Fonte: Rapporto Layfield, p. 385. Note : (1) Si ricorda che la relevant expenditure è la spesa finanziata solo dai rates e dal-l'aggregate exchequer grant: essa non comprende, cioè, gli introiti da tariffe, tasse ecc.

sura attraverso il suo « braccio » locale, su cui sono venuti ricadendo pressoché tutti i nuovi compiti del welfare state. Istruzione, edilizia, sanità e servizi personali sono, come sappiamo dal primo paragrafo, le voci di maggiore consistenza nei bilanci locali. La spesa locale era di appena 50 milioni di sterline nel 1890; nel 1938 era salita a 530 milioni di sterline. Ma è nel secondo dopoguerra che si verifica il ritmo di accrescimento più sostenuto: un miliardo di sterline di sola spesa corrente nel 1950-51, due miliardi nel 1959-60, quattro miliardi nel 1966-67, oltre dieci nell'ultimo anno delle allegate statistiche (cfr. tabella n. 11). Secondo l'ultimo « piano poliennale di spesa » (white paper nr. 6721) preparato a livello centrale, con l'eser-cizio finanziario 1976-77 si sarebbe raggiunto un « punto di svolta » nell'espansione monetaria della spesa. Nei piani governativi l'inversione di tendenza sarà più avvertita nel settore della spesa in conto capitale, che dai 4,1 milioni di sterline del 1973-74 dovrebbe ridursi a soli 2,3 milioni di sterline nel 1978-79 (cfr. tabella n. 16). Secondo lo stesso white paper, anche il complesso della spesa pub-

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Tabella 15 - Crescita dell'indebitamento globale cumulato e degli oneri da debito degli enti locali (Gran Bretagna, 1963-64 - 1975-76).

Residuo debito Interessi Quota passivi interessi

Anni Debito PWLB in %

e rimb. * come % del debito

Totale PWLB del totale totale

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Fonte: Rapporto Layfield, p. 390. Note: (1) Nell'indebitamento è inclusa ogni forma di indebitamento, a breve o a lunga, relativa alla spesa in conto capitale. * Sono cioè inclusi in questa voce sia gli interessi che le quote capitali di entrambe le parti del bilancio.

blìca dovrebbe avere raggiunto il suo tetto massimo nell'anno 1976-77, con quasi 52 miliardi di sterline, che scenderanno a meno di 51 mi-liardi nel 1978-79 (cfr. tabella n. 16). Se ne deduce che l'intenzione è di mantenere invariata sul 27-28 per cento del totale la quota di spesa pubblica effettuata a livello locale. Prescindendo dalla menzionata contrazione intervenuta negli ultimi anni per motivi di forza maggiore, le spese in conto capitale mostrano in Gran Bretagna una consistenza decisamente superiore a quella riscontrabile in Italia, anche se il settore locale è « gravato », oggi, da circa 3 milioni di dipendenti, di cui oltre un milione part time: gli enti locali britannici assorbono da soli oltre l'I 1 per cento della forza lavoro del paese! (cfr. tabella n. 12). Data una tale labour intensity si comprende come (v. App. 3) la spesa corrente sia rappresentata per il 47 per cento da salari e stipendi

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(media che sale però al 52 per cento se si considerano solo i veri e propri services). Per il resto, è a dire che, per la particolare natura dei compiti svolti, anche la quota dei trasferimenti alle persone (soprat-tutto grants agli studenti) diventa estremamente elevata se la si con-fronta con quella corrispondente italiana. I veri e propri acquisti di beni e servizi hanno costituito sin dal dopo-guerra una quota molto rilevante del reddito nazionale: dall'8 per cento del 1949-50 si è passati al 13,5 per cento del 1973-74. Se si tiene conto delle spese di trasferimento la quota detenuta dagli enti locali sul reddito nazionale si aggira oggi sul 17-18 per cento. Il « grande balzo » si è avuto dal 1965 in poi, durante i governi laburisti. A ritmo corrispondente alle spese sono andate aumentando le entrate: di fronte ai 966 milioni di sterline del 1949-50 stanno i 9.794 milioni del 1973-74, ripartiti come segue: 28 per cento rates; 45 per cento grants: 27 per cento tariffe, tasse e altre entrate proprie (nel 1949-50 le proporzioni erano, come si vede dalla stessa tab. 13, di 34; 34; 32). L'aumento ha interessato in quasi egual misura la spesa in conto capi-tale, anch'essa cresciuta di circa 11 volte rispetto al 1949-50. I riflessi che tale andamento ha avuto sulla situazione debitoria degli enti locali possono essere (parzialmente) colti nella tabella 15.

68

APPENDICI

Appendice 1

Fig. 1 - Inghilterra e Galles - Contee e Distretti.

Fonte: County Councils Gazette Aprii 1973 as reproduced in Locai Government Trends 1973.

69

Fig. 2 - Inghilterra - Regioni di pertinenza del National Health Service.

Fonte: County Councils Gazette September 1972 as reprinted in Locai Government Trends 1973.

70

Fig. 3 - Inghilterra - Regioni della Water Authority.

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BIBLIOGRAFIA

Per non appesantire in modo indebito lo scritto, che ha essenzialmente intenti informativi, si è rinunciato all'usuale prassi delle note bibliografiche a pié di pagina, se non in rarissimi casi.

Il saggio si appoggia in larghissima misura al c.d. Rapporto Layfield (cfr. infra) e in questo senso costituisce l'estensione di una nota dello scrivente apparsa recen-temente in altra sede (Commento al Rapporto Layfield sulla finanza locale, in « Economia Pubblica », 1-2, 1977).

Sono stati quindi tenuti presenti, nella stesura di questo saggio, i seguenti docu-menti : i,

1) Locai Government Finance, Report of the Committee of Enquiry, H.M.S.O., Cmnd 6453, May 1976;

2) IFS (Institute for Fiscal Studies), Locai Government Finance, Proceedings of a Conference, Publication nr. 10, 1973;

3) F. CRIPPS - W. GODLEY, Locai Government Finance and its Reform, A critique of the Layfield Committee's Report, Cambridge, 1976;

4) N. P. HEPWORTH, Locai Government and the economie situation, in « National Westminster Bank Quarterly Review », Feb. 1976;

5) Locai Government Trends, 1974, a cura del Chartered Institute for Public Finance and Accountance (CIPFA);

6) F. PICA, Le autonomie locali in Inghilterra (e in Italia), da « Scritti in onore di U. Caprara », Vallardi editore (estratto);

7) L. YARDLEY, La riforma del governo locale in Inghilterra, relazione presentata a Bergamo, al Convegno su « La finanza degli enti locali », nel maggio 1976;

8) G. F. FERRARI, Il Layfield Report e la riforma della Finanza locale in Gran Bretagna, in « Amministrare », 3/1977;

9) Regione Lombardia, Indagine sugli enti locali, in « Enti locali e programma-zione. le esperienze straniere », 2, 1975.

76

MARIO REY

IL FINANZIAMENTO DEGLI ENTI SUB-CENTRALI DI GOVERNO

E LE RELAZIONI FINANZIARIE INTERGOVERNATIVE

NEGLI STATI UNITI D'AMERICA

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1. Introduzione

Scopo di questa monografia è quello di offrire un sintetico quadro delle modalità di finanziamento degli enti sub-centrali di governo — Stati e enti locali — e delle relazioni finanziarie intergovernative negli Stati Uniti. Non rientra nelle finalità di questo rapporto quella di offrire una esposizione elaborata di una situazione molto complessa. Un rin-vio alla copiosissima letteratura e documentazione consentirà al let-tore desideroso di approfondimenti ampie opportunità in questo senso. Ci si propone essenzialmente di offrire alcuni spunti di confronto tra la situazione della grande federazione nord-americana e la problema-tica oggi in discussione nel nostro paese sul tema in esame. Sotto questo profilo si ritiene che gli studi e le esperienze condotte negli Stati Uniti meritino un'attenta valutazione per tre ordini di mo-tivi. In primo luogo il cosiddetto federalismo fiscale — inteso come quadro di una corretta impostazione delle relazioni finanziarie tra livelli di governo — non è solo il risultato tecnico di una struttura federale di governo, contrapposta ad una struttura statale unitaria, come è quella italiana. Da un punto di vista meno formalmente istituzionale, e più di carattere economico e decisionale si può definire governo fede-rale una organizzazione del settore pubblico, in cui esistono livelli deci-sionali sia centralizzati sia decentralizzati, e in cui le scelte compiute da ciascun livello di governo, riguardanti la fornitura dei servizi pub-blici, sono in larga misura determinate dalla domanda di questi servizi espressa dai residenti (e in taluni casi da chi vi svolge in qualche modo l'attività) nelle rispettive giurisdizioni (1).

(1) Si veda per un compiuto quadro generale di questa impostazione W. E. OATES, Fiscal Federalism, Harcourt Brace, New York, 1972. La definizione è a p. 17. Ancora vale la pena di ricordare U. Hicks per la quale nell'attuale situazione « a dispetto delle fondamentali differenze costituzionali, i problemi della finanza centrale e locale in uno Stato unitario e in una federazione differiscono più per la misura che per il tipo qualitativo », in Public Finance, J. Nisbet, London, 2a ed., p. 224.

79

In altre parole il federalismo fiscale, inteso come risvolto di tipo tecnico della filosofia del federalismo, diventa uno dei fondamentali strumenti con i quali una società intende perseguire, senza ambiguità e secondi fini, una serie ben precisa di valori: l'equilibrio dei poteri secondo l'ottica dei « checks and balances » ; la partecipazione dei cittadini e dei gruppi; il controllo democratico; la sperimentazione e l'innovazione delle scelte pubbliche, anche a scapito di, in taluni casi, valide esigenze di omogeneità, di coordinamento e di livellamento. Tutto questo ha una sua esatta traduzione nel quadro italiano nella concezione del « pluralismo sociale riflesso nell'ordine delle istituzioni » (2). Un secondo profilo sotto il quale l'esame degli studi e delle esperienze americane offre rilevanti spunti di interesse per l'osservatore italiano riguarda la realtà socio-economica su cui si calano da un lato e ven-gono condizionate dall'altro le strutture di governo ad ogni livello. Di questa realtà alcuni tra i fenomeni più salienti, che condizionano fortemente il tema in esame, sono certamente da identificarsi nella crescita delle aree metropolitane e negli squilibri economici territo-riali. Entrambi questi fenomeni sono all'origine di profonde sperequa-zioni orizzontali e verticali nella capacità degli enti di governo interes-sati a provvedersi di autonome risorse finanziarie e di fornire servizi pubblici adeguati. Un terzo ordine di motivi e di spunti di insegnamento nasce dalla fram-mentazione e la varietà degli enti di governo, rispetto alle quali la deprecata situazione italiana diventa un paradiso di razionalità carte-siana.

2. Il numero e la struttura degli enti di governo

La forma di governo nella federazione nordamericana identifica tre livelli, dei quali due, il governo nazionale o federale e il governo degli Stati (federati), facilmente precisabili quanto a struttura e competenze, e un terzo livello, quello del governo locale, rappresentato da una gran massa di entità fortemente differenziate per struttura, competenze, dimensione territoriale e demografica, risorse finanziarie. Queste diffe-renziazioni nascono vuoi da diverse tradizioni storiche vuoi dai diversi

(2) Cfr. G. BERTI, Gli enti locali oggi: problemi e prospettive istituzionali e di organizzazione, relazione svolta al Seminario su « L'Amministrazione locale, strut-ture compiti e servizi », FORMEZ, Napoli, maggio 1977.

80

comportamenti dei governi statali. La tab. 1 riporta i tipi di governo per denominazione e numero dal 1942 al 1972. Alcune distinzioni possono essere ugualmente introdotte. La più rile-vante è quella tra entità plurifunzionali — municipalità (Città), contee, township — e entità monofunzionali — distretti speciali e distretti scolastici. Inoltre tra quelle del primo tipo, le municipalità coprono generalmente aggregati urbani. Al contrario contee e township sono tipicamente unità di governo di aree non urbane. Pertanto sono le municipalità ad essere dotate del più vasto ventaglio di competenze, sono esse che provvedono ad una serie integrata di servizi e infrastrut-ture, ed hanno in molti casi vasti poteri finanziari autonomi. L'istituto della contea costituisce il « continente nero » del sistema di governo locale americano. Il suo ruolo muta sensibilmente da Stato a Stato. Essa è di scarso rilievo negli Stati della costa atlantica settentrionale. Assume maggiore importanza in quelli della costa medio-atlantica e negli Stati del Middle-West. Infine negli Stati dell'Ovest e del Sud la contea funge da agenzia locale per l'attività dei governi statali. La township si ritrova in 22 Stati principalmente delle aree settentrionali, centrali e occidentali del Paese. Poche di esse superano i 10.000 abi-tanti, e circa due terzi di esse sono inferiori ai 1.000 abitanti. La più importante categoria delle unità monofunzionali di governo locale è costituita dai distretti scolastici indipendenti. In 29 Stati la responsabilità dell'educazione pubblica è assolta da queste strutture. In 4 Stati del Nord Est essi non esistono. In altri sussistono forme miste. I distretti scolastici si differenziano grandemente per il tipo di servizio scolastico che provvedono. Un sesto di tutti i distretti non

Tabella 1 - Unità di governo negli Stati Uniti.

1942 1952 1957 1962 1967 1972

Governo nazionale 1 1 1 1 1 1 Stati 48 48 48 50 50 50 Contee 3.050 3.049 3.047 3.043 3.049 3.044 Municipalità (città) 16.220 16.778 17.183 18.000 18.048 18.516 Township * 18.919 17.202 17.198 17.142 17.105 16.991 Distretti speciali 8.299 12.319 14.405 18.323 21.264 23.886 Distretti scolastici 108.579 67.346 50.446 34.678 21.782 15.780

155.116 116.743 102.328 91.237 81.299 78.268

* Di diffìcile traduzione.

81

gestisce alcuna scuola. I 1.000 maggiori distretti coprono più della metà delle iscrizioni alle scuole pubbliche di tutto il Paese. I distretti speciali si occupano di una miscellanea di attività singole. Circa due terzi di essi si occupano di conservazione del suolo (il 16 per cento), di servizi antincendio (il 18 per cento), di fognature (il 15 per cento), di edilizia abitativa (il 7 per cento) e di cimiteri (l'8 per cento). I governi locali sono creature degli Stati dal punto di vista costitu-zionale, e gli Stati hanno dato vita ad un'ampia progenie. All'inizio degli anni '30 il totale delle unità di governo era circa di 175.000. Esse erano scese nel 1942 a circa 155.000, e nel 1972 assommavano a poco più di 78.000. Una importante caratteristica del governo a livello locale è la sovrapposizione di tre o quattro — e talvolta anche di sette o otto — tipi di unità di governo sulla stessa area geografica. Questa casualità si traduce altresì in una rilevante difformità di dimensione demografica media per unità di governo. Nel 1967 si passava dal South Dakota con 193 e dal North Dakota con 233 abitanti per unità di governo al Maryland e alla Virginia rispettivamente con 9.978 e 11.947 abitanti per unità mediamente. In termini di risorse finanziarie questo crea rilevanti disparità. Nelle aree rurali unità di governo piccole e sovrapposte spesso mancano delle risorse minime per svolgere qualsiasi funzione efficientemente. Nelle aree urbane unità di governo dotate di risorse finanziarie forte-mente differenziate non sono in grado di provvedere a servizi pubblici di livello relativamente uniforme. Il problema appare particolarmente difficile nelle aree metropolitane, costituite da alcune città centrali e da una varietà di unità di governo suburbane. Nel 1972 le 264 Aree Stati-stiche Metropolitane (Standard Statistical Metropolitan Areas, dette anche SMSA) includevano 22.185 unità di governo. Si ricorda ad esem-pio l'area metropolitana di Chicago che nel 1967 comprendeva 1.113 unità, di cui 6 contee, 113 township, 250 municipalità, 327 distretti scolastici, e 417 distretti speciali. Tuttavia come appare dalla tab. 1 la massa delle unità di governo locale è in continua trasformazione. Come si può leggere la drastica riduzione dal 1942 al 1972 delle unità di governo locale è dovuta alla netta diminuzione, oltre 90.000, dei distretti scolastici. Crescono lieve-mente le municipalità e diminuiscono di converso, quasi nella stessa misura, le township, segno questo della progressiva urbanizzazione. Si triplicano i distretti speciali. Questi distretti come si disse sono creati per assolvere ad un unico compito e si sovrappongono ad altre

82

unità e tra loro. A differenza dei distretti scolastici nella maggior parte dei casi non dipendono finanziariamente dalla tassazione locale. La loro crescita viene vista come un grave sintomo della debolezza degli enti locali nell'assolvere le loro funzioni, ma questo al tempo stesso ne è spesso la causa. Sia il governo federale che gli Stati sono certa-mente responsabili di questa situazione. Spesso una tendenza pragma-tica e tecnocratica messa in atto da parte degli Stati e delle agenzie federali per la convenienza immediata di reperire delle controparti locali, ha prevalso su più generali esigenze per un maggiore coordina-mento e per un rafforzamento dei governi locali multifunzionali. Tuttavia la spinta verso una più efficiente e democratica struttura del governo locale, specie nelle aree metropolitane ha formato oggetto di una imponente massa di studi, di concrete esperienze, e di precisi indi-rizzi in materia finanziaria (3). Tra questi ultimi va annoverato il programma di Revenue Sharing, cioè il piano di trasferimento di fondi federali varato nel 1972 sotto l'Amministrazione Nixon a favore degli Stati e degli enti locali di « governo generale », e con esclusione perciò dei distretti scolastici e speciali (4). Queste situazioni di sovrapposizione sono riflesse sia nella ripartizione delle competenze che nelle modalità di finanziamento. Tra i tre livelli di governo si può in via generale parlare sotto entrambi i profili — dei compiti come delle fonti — di prevalenze più che di ruoli esclusivi. Per quanto riguarda la ripartizione delle competenze si può unica-mente ritenere esclusivo il ruolo del governo federale nelle materie

(3) Si vedano gli studi dell'Advisory Commission on Intergovernmental Relations (ACIR), Alternative Approaches to Governmental Reorganisation, 1962; Perfor-mance of Urban Functions: Locai and Areawide, 1963; The Problems of Special Districts in American Government, 1964; Metropolitan Social and Economie Disparities: lmplications for Intergovernmental Relations in Central Cities and Suburbs, 1965; Pragmatic Federalism: the Reassignment of Functional Respons-ability, 1976; Improving Urban America: A Challenge to Federalism, 1976. Inoltre G. F. BREAK, Intergovernmental Fiscal Relations in the United States, The Brook-ings Institution, Washington, 1967, in particolare il capitolo V; J. A. MAXWELL, Financing State and Locai Governments, The Brookings Institution, 1969, cap. III. Con riferimento alla letteratura americana si veda il nostro, La finanza locale nelle aree metropolitane, in La finanza pubblica di una grande città, a cura di G. Zandano, Associazione Piemonte Italia, Torino, 1972; G. SARTORATI, La fi-nanza delle aree metropolitane: rassegna critica della letteratura, ILSES, Milano, 1969. Infine M. B. MOGULOF, Governing Metropolitan Area, The Urban Institute, Washington DC, 1971. (4) Si veda su questo tema D. S. WRIGHT, Revenue Sharing and Structural Features of American Federalism, in The Annals of the American Academy of Politicai and Social Science, voi. 419, maggio 1975, p. 100 e sgg.

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costituzionalmente riconosciutegli, in particolare la difesa ed i rapporti internazionali, e ancora le ricerche spaziali ed i servizi postali. Inoltre il governo federale ha un ruolo prevalente in taluni settori come quello dell'assistenza sociale (circa 3/5 della spesa pubblica), in particolare nei Income Maintenance Programs, dove il suo peso è crescente. Il settore statale e locale è invece prevalente nel campo scolastico ed in quello della grande viabilità. Per altro una valutazione più corretta va fatta tenendo presente il duplice punto di vista della spesa sotto il profilo del livello di governo da cui si origina e della spesa sotto il profilo del livello di governo che compie l'esborso finale. Come si dirà in seguito, il rilevante aumento dei trasferimenti intergovernativi negli ultimi lustri rende necessaria questa doppia valutazione. In sintesi un giudizio complessivo del settore pubblico negli Stati Uniti denota i seguenti tratti. Le spese pubbliche in percentuale sul Prodotto Nazionale Lordo sono salite dal 1954 al 1976 dal 26,5 al 34,2 (dal 13,6 al 26,8 se si considerano le sole spese per fini civili interni). Tra i maggiori programmi federali gli interventi per la sicurezza sociale e per sussidi agli Stati e governi locali sono le componenti che hanno registrato gli incrementi di maggiore rilievo negli ultimi 20 anni. Nel settore sub-federale, si è registrato un costante incremento della quota degli Stati. (Si veda la tab. 2). Il ruolo dei trasferimenti intergovernativi rispetto al volume della spesa è evidenziato dai grafici riportati nelle tabelle 3 e 4 relative agli anni

Tabella 2 - Evoluzione del sistema federale. Spese per livelli di governo a.

1954 1964 1976 (stime)

miliardi % miliardi % miliardi % di dollari PNL di dollari PNL di dollari PNL

Spese federali civili b 19,8 5,4 43,8 6,9 206,4 12,3 Spese statali 10,7 2,9 25,3 4,0 93,3 5,5 Spese locali 19,4 5,3 43,2 6,8 151,0 9,0

Totale spese civili 49,9 13,6 112,3 17,7 450,7 26,8

Totale spese pubbliche 97,0 26,5 176,3 27,7 575,6 34,2 a I trasferimenti intergovernativi sono imputabili al livello di governo che compie l'esborso finale. b Esclude le spese per la difesa, per gli affari internazionali, ricerca spaziale e tecnologica, e gli interessi sul debito imputabili a tali funzioni.

*

Fonte: ACIR, Significata Features of Fiscal Federalism, 1976-77, voi. II, 1977.

84

finanziari 1960 e 1975. I settori della grande viabilità, dell'istruzione e dell'assistenza sociale sono quelli che hanno ricevuto maggiore bene-ficio nella finanza di trasferimento, su cui ci soffermeremo più a lungo in seguito.

3. Responsabilità e poteri in materia tributaria. Le fonti di carattere tributario

La Costituzione federale è il documento fondamentale che ripartisce i poteri in materia fiscale tra i livelli federale e statale di governo: questo corrisponde alla divisione di poteri sovrani tra il governo nazio-nale e gli Stati. Esistono per altro importanti limitazioni ai due poteri federale e statale in materia di imposizione fiscale. Le principali limi-tazioni dei poteri federali sono: a) il governo federale non può stabilire imposte sulle esportazioni di beni; b) tutti i dazi, imposte ecc. devono essere uniformi su tutto il territorio degli Stati Uniti; c) nessuna per-sona verrà privata della vita, della libertà e della proprietà senza legale processo; in altre parole le imposte, in particolare quelle sulla pro-

Tabella 3 - Spese pubbliche per tipo e livello di governo e trasferimenti intergovernativi (1960, in miliardi di dollari).

GOVERNO FEDERALE

(89.6)*

Difesa nazionale/

Rapporti con l'estero

47,5

Imprese *» pubbliche

17,3 / {XZé

Servizio postale /Spese dirette per

Fonte: Bureau of the Census "Governmenta l Finances in 1 9 6 0 "

* Esclusi gli interessi su debito pubblico federale ( $ 7 ,7 miliardi) " Include i c. d. Trust Funds

GOVERNO DEI SINGOLI

STATI (31,6)

• •

GOVERNO DEGLI ENTI

LOCALI (38,9)

Imprese pubbliche 4,4 • •

GOVERNO DEGLI ENTI

LOCALI (38,9) Altre spese generali 6,0

GOVERNO DEGLI ENTI

LOCALI (38,9)

Spese dirette per istruzione, assistenza

GOVERNO DEGLI ENTI

LOCALI (38,9)

Spese dirette per istruzione, assistenza Imprese pubbliche 4,7 e grande viabilità 11,9 Altre spese

enti locali 9,3 13,4

Spese dirette per istruzione,

locali 0,6. assistenza e grande viabilità

20,8

85

Tabella 4 - Spese pubbliche per tipo e livello di governo e trasferimenti intergovernativi (1975, in miliardi di dollari).

GOVERNO FEDERALE

(316,5)*

GOVERNO DEI SINGOLI

STATI (156.2)

Spese dirette per istruzione, assistenza e

grande viabilità 54,7

GOVERNI DEGLI ENTI

LOCALI (162,3) Imprese

pubbliche 17,6

Altre spese generali

61,7

Istruzione 31,1 Trasferimenti Grande viabilità 3,2 governativi agli Assistenza 8,1 enti locali 51,0

Spese dirette per istruzione, assistenza e

grande viabilità 83,0

Fonte: Bureau of the Census 'Governmenta l Finances in 1 9 7 4 - 7 9 '

* Esclusi gli interessi del debito nazionale ( $ 524 ,2 miliardi) • • Include i c. d. Trust Funds

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prietà, non possono assumere carattere discriminatorio e arbitrario al punto di suonare come una confisca dei beni. Le limitazioni ai poteri fiscali degli Stati si originano vuoi dalla Costi-tuzione federale vuoi dalle Costituzioni dei singoli Stati. Tra le prime, accanto a quelle valide anche per il governo federale, vi è la proibi-zione ad imporre imposte, tasse, e diritti sul commercio e gli scambi interstatali, secondo le interpretazioni giudiziarie in atto. Inoltre gli Stati non possono tassare i beni strumentali (il termine, diffìcile da tradurre, è « instrumentalities ») del governo federale, e viceversa. Altre limitazioni possono sorgere dalla Costituzione di singoli Stati, anche se esiste una notevole diversità sulla natura ed estensione di tali limi-tazioni da caso a caso. Tra le principali limitazioni si possono ricor-dare: i vincoli alla scala delle aliquote, specie dell'imposta sulla pro-prietà; la istituzione di tributi di scopo come l'imposta sui carburanti destinata, in quota, alle spese per la grande viabilità; le esenzioni di imposta; le proibizioni di particolari forme di imposte come quelle sul reddito e le capitazioni, ecc. (5). Questa struttura di poteri dà origine ad un quadro notevolmente dif-forme da quello osservabile in altri Stati a struttura unitaria come il nostro. Il sistema tributario degli Stati Uniti non si presenta con carat-teri di uniformità, omogeneità, sistematicità, neppure nel senso di far ritenere come esclusiva per un certo livello di governo un particolare tipo di imposta. Tutto questo è il risultato al tempo stesso di una forte concezione dell'autonomia e dell'autogoverno, e di una rilevante respon-sabilizzazione economico-finanziaria. Nel campo della gestione finan-ziaria dei vari enti di governo si può ritenere dominante il riferimento ai princìpi del beneficio della tassazione, per cui i primi ad essere chiamati a pagare una certa spesa statale o locale sono coloro che se ne avvantaggiano (residenti e /o utenti). Questa è certo una conse-guenza di una più generale filosofia « market oriented » predominante nel sistema socio-economico americano. Solo negli ultimi tempi il go-verno federale si è assunto un ruolo perequativo interstatale, o inter-giurisdizionale, col proposito di conseguire una maggiore correzione degli squilibri orizzontali. Non per nulla per altro le forme di trasfe-rimento federali aventi un maggiore contenuto perequativo, come le forme di sussidi non condizionati, in particolare il Revenue Sharing

(5) Si veda R. K . CARR, M. H . BERNSTEIN, W . F . MURPHY, American Democracy in Theory and Practice, Holt, Rinehart & Winston, New York, 1965, e B. P. HER-BER, Modem Public Finance, Irwin Homewood, 1971, cap. 15, « Fiscal Institutions etc. ».

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ovvero i sussidi a destinazione vincolata nella forma « non matching granì », cioè a copertura totale, sono stati vivacemente criticati come interventi destinati a creare forme di deresponsabilizzazione e disincen-tivo negli amministratori statali e in particolare in quelli locali. Questa forte sottolineatura autonomistica, che esalta il rapporto tra am-ministratori e amministrati, e tende a sminuire le aspettative conflit-tuali verso gli enti di livello superiori (6), presenta alcuni significativi risvolti. In primo luogo, come si dirà in seguito, molta importanza viene attribuita alle entrate di natura tariffaria in alternativa al ricorso alle imposte locali, in particolare all'imposta sulla proprietà, con un continuo processo di confronto e di scelta tra queste due forme di finanziamento. In secondo luogo si è assistito alla progressiva adozione di forme impositive analoghe da parte dei vari livelli di governo. Questo ha dato origine da un lato a complesse situazioni di sovrapposizione, non dissimili da quelle osservate con riferimento alla struttura ed al numero delle unità di governo (il cosiddetto « Tax Overlapping »), e dall'altro a divari spesso sensibili di onere tributario tra giurisdizione e giurisdizione con fenomeni di mobilità per ragioni fiscali e di con-correnza fiscale tra enti contigui e anche non contigui. In terzo luogo, senza voler per nulla sminuire il ruolo dell'autogoverno anche in materia tributaria, notevoli sono gli interventi volti a miglio-rare l'efficienza, l'equità, ed il coordinamento delle varie strutture im-positive. In particolare questo ruolo è stato assunto sia dal governo federale sia da istituzioni intergovernative come la già menzionata Advisory Commission on Intergovernmental Relations. Questo processo di razionalizzazione e coordinamento, del tutto parallelo a quello già indicato con riferimento al numero ed alla struttura degli enti di governo, si traduce in varie forme, che vanno dalle semplici direttive all'introduzione di fattori di incentivazione nelle formule di alloca-zione dei sussidi. Questo quadro ha due conseguenze rilevanti. In primo luogo i pro-venti da fonti finanziarie e tributarie degli enti sub-centrali hanno un peso relativo cospicuo sul totale degli introiti del settore pubblico. In secondo luogo, per quanto riguarda la struttura del sistema tributario,

(6) Queste forme rivendicative sono tutt'altro che inesistenti. Esse hanno in parti-colare trovato voce in situazioni di forte tensione tra alcune grandi città e i rispet-tivi Stati di appartenenza. Tra i casi che hanno assunto maggiore vivacità di ac-centi giova ricordare le polemiche di J. V. Lindsay, Sindaco della Città di New York, nei confronti dello Stato di New York, e la sua proposta di costituire delle città-Stato per dare soluzione ai casi più drammatici di crisi delle città metropo-litane.

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non si può parlare di una netta applicazione del criterio della separa-zione delle fonti, cioè di una base imponibile attribuita in esclusiva ad un livello di governo. Tuttavia si possono individuare delle nette sfere di prevalenza: in particolare del livello federale, con riferimento all'imposizione sul reddito personale e societario; di quello statale ri-spetto all'imposizione sulle vendite e sui consumi; del livello locale rispetto all'imposizione sulla proprietà. Per quanto attiene agli aspetti di maggiore rilevanza macroeconomica, la tab. 5 offre un quadro del diverso peso delle entrate di carattere

Tabella 5 - Entrate federali statali e locali di carattere generale da fonti proprie a in percentuale sul Prodotto Nazionale Lordo.

1940 1950 1960 1970 1976 Entrate b: Federali 6,5 15,1 17,5 17,0 14,6 Statali e localic 9,1 7,0 8,7 11,3 12,4

Totale 15,6 22,1 26,2 28,4 27,0

Entrate statali - locali in % delle entrate federali 139,9 46,0 50,0 66,6 85,1

PNL (miliardi di dollari) 95,1 264,8 498,3 960,2 1.611,8

a Secondo la definizione General Revenue from own sources. b Include imposte e tasse. Esclude tariffe da servizi di pubblica utilità e contributi di assicurazioni obbligatorie (Insurance Trust Revenue). c Esclude trasferimenti federali.

Fonte: ACIR, Significant Features of Fiscal Federalism, 1976-77, voi. II, 1977.

generale da fonti proprie in percentuale sul Prodotto Nazionale Lordo e la rispettiva evoluzione nel tempo per il livello federale e quello statale-locale. Mentre nell'ultimo anno prebellico, il 1940, le entrate del settore statale-locale erano pari a circa il 9 per cento del PNL, contro il 6,5 per cento del settore federale, nel periodo post-bellico la situazione si in verte: nel 1950 le entrate del settore pubblico giungono al 22 per cento, di cui il 15 per cento imputabili al governo federale. La tendenza alla crescita delle entrate federali in peso rispetto al PNL, dopo un ulteriore lieve aumento, si in verte: tali entrate sono in regresso relativo negli ultimi anni, come dimostrano le cifre relative al 1976. Al contrario le entrate proprie statali e locali mostrano un netto recu-pero sia rispetto al PNL, passando dal 7 per cento nel 1950 al 12,4 per

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cento nel 1976, sia ovviamente rispetto alle entrate federali, in rela-zione alle quali sono cresciute da poco meno della metà nel 1950 a circa l'85 per cento nel 1976. Questo è un segno evidente dei minori impegni militari del governo federale, che vanno a tutto vantaggio di una espansione delle entrate proprie dei governi sub-centrali, oltreché ovviamente di un maggior intervento del governo federale in termini di trasferimenti verso gli enti inferiori. Tale tendenza trova ulteriore conferma dalla tab. 6 che illustra in im-porto assoluto e peso relativo le entrate proprie dei tre livelli di go-

Tabella 6 - Distribuzione delle entrate di carattere generale da fonti pro-prie.

Importi in milioni di dollari Totale Federali Statali Locali Città Contee Distretti Altri

scolastici locali di cui

1952 89.230 66.615 10.944 11.671 4.431 2.132 3.881 1.226 1957 112.723 78.403 16.454 17.866 6.445 3.165 6.543 1.714 1967 206.096 130.869 37.782 38.045 12.174 6.620 15.408 3.843 1975 403.208 222.067 96.784 84.357 26.422 15.813 32.931 9.191

In percentuale per livello di governo

1952 100,0 74,7 12,3 13,1 5,0 2,4 4,3 1,4 1957 100,0 69,6 14,6 15,8 5,7 2,8 5,8 1,5 1967 100,0 63,3 18,3 18,4 5,9 3,2 7,5 1.9 1975 100,0 55,1 24,0 20,9 6,6 3,9 8,2 2,3

Fonte : AC1R, Signifìcant Features of Fiscal Federalism, 1976-77, voi. II, , 1977.

verno, con ulteriori dettagli per i tipi di governo locale. Tre andamenti sono significativi: un marcato declino relativo del governo federale che dal 1952 al 1975 passa a coprire da quasi 3/4 delle entrate totali pro-prie a circa il 55 per cento; in secondo luogo la crescita delle entrate degli Stati, che scavalcano in peso relativo quelle dei governi locali, e passano da poco più del 12 al 24 per cento raddoppiando perciò la loro importanza; infine l'aumento meno accentuato delle entrate dei governi locali (dal 13 per cento al 21 per cento delle entrate locali), di cui si noterà la crescita modesta delle entrate delle città, segno non ultimo della loro crisi fiscale, rispetto al peso degli altri enti locali. Infine dalla tab. n. 7 si può osservare la distribuzione dell'aggregato più significativo delle entrate proprie, vale a dire le entrate tributarie.

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ricavando una precisa sensazione delle prevalenze e sovrapposizioni di cui prima si è fatto cenno. L'imposta sul reddito individuale, la c.d. Federai Income Tax, accentua negli ultimi 20 anni il suo ruolo di colonna delle entrate tributarie federali passando dal 51 per cento ai quasi due terzi di esse. Dimi-nuisce al contrario il peso della Corporation Income Tax e delle forme di imposizione federali da dazi, vendite, ecc. Gli Stati hanno nelle imposte generali sulle vendite e nelle accise l'asse portante delle loro entrate tributarie (oltre la metà), ma mostrano una crescente tendenza verso il potenziamento delle imposte sul reddito individuale. Infine i governi locali hanno nell'imposta sulla proprietà la fonte quasi esclu-siva di finanziamento di natura tributaria (oltre l'80 per cento). La valutazione dello stato attuale della divisione delle responsabilità in materia tributaria tra i livelli di governo esistenti negli Stati Uniti esige approfondimenti che vanno in tre direzioni. Una prima serie di consi-derazioni chiama in causa alcuni fenomeni relativi all'efficiente alloca-zione delle fonti tributarie e cioè: il problema dei differenziali geo-grafici di capacità e sforzo fiscale tra Stati e tra unità locali all'interno dello stesso Stato; le capacità amministrative di assolvimento della funzione tributaria; ed infine le interferenze sulla localizzazione delle attività economiche. In secondo luogo si rende necessario un giudizio sull'uso fatto dal set-tore statale-locale dei vari strumenti tributari. In terzo luogo occorre segnalare gli indirizzi che sono stati suggeriti in materia di coordina-mento tributario (7).

I. La ripartizione delle fonti tributarie tra i livelli di governo: problemi generali

Uno dei quesiti ricorrenti nei dibattiti su questi temi negli Stati Uniti concerne la validità e il grado di applicazione del principio della separazione delle fonti, in base al quale ciascun livello di governo

(7) Per una più approfondita analisi dei punti ora indicati si vedano G. F. BREAK, Intergov emmental Fiscal Relations etc., op. cit., cap. II; J. A. MAXWELL, Financing State and Locai Governments, op. cit., capp. IV, V e VI; B. P. HERBER, Modem Public Finance, op. cit., e D. NETZER, State-Local Finance and Intergovernmental Fiscal Relations, in A. S. BLINDER et al., The Economics of Public Finance, The Brookings Institution, Washington DC, 1974. Oltre a questi è utile la consulta-zione di alcuni testi istituzionali ormai classici quali il J. F. DUE, Government Finance, Irwin, Homewood, 1963, e J. M. BUCHANAN, The Public Finances, Irwin, Flomewood, 1965.

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dovrebbe fare riferimento ad una base imponibile diversa non utiliz-zata dagli altri livelli (8). Ora se da un lato fin dagli albori della Confederazione i governi statali e locali non hanno fatto ricorso a tariffe doganali, ed il governo nazionale non ha utilizzato forme di im-posta sulla proprietà, dall'altro lato, salvo poche eccezioni, la gran parte delle fonti principali di introito tributario sono utilizzate da al-meno due livelli di governo. Inoltre alcune forme impositive — come le imposte sul reddito personale e talune accise sui carburanti, sulle sigarette, e sull'utenza telefonica — sono addirittura utilizzate da tutti e tre i livelli. Per altro questo vale con riferimento al tipo ed al numero delle giurisdizioni. Se si guarda invece al volume di gettito, come già si disse, il grosso dei proventi federali deriva dalle imposte sul reddito, il grosso dei proventi statali dalle imposte sulle vendite e sui consumi, e gli enti locali hanno dell'imposta sulla proprietà i più cospicui pro-venti. Questo vale ovviamente con riferimento alle distinzioni legali di base imponibile. Un discorso diverso andrebbe fatto invece con rife-rimento alle fonti imponibili in termini economici. Questa sia pur relativa separazione di fonti, quanto meno in termini di prevalenza, si è andata riducendo per il diffondersi del ricorso ad imposte sulle vendite (generali o specifiche) e ad imposte sul reddito personale da parte di Stati e enti locali. Alcuni anni or sono si calcolò che circa il 30 per cento della popolazione era assoggettata ad imposte generali sulle vendite applicate da due livelli di governo, e circa un decimo della popolazione subiva imposte sul reddito da tre livelli di governo (9).

a) Capacità fiscale e sforzo fiscale Questo stato di cose può essere affrontato e valutato da più punti di vista. Un primo aspetto, assai rilevante anche per paesi come il nostro, riguarda le differenze geografiche di capacità fiscale e di sforzo fiscale esistenti negli Stati Uniti. Una statistica relativa all'anno 1967 indicava che il reddito medio pro-capite del paese era di 3.159 dollari, con lo Stato più ricco il Connecticut con quasi 4.000 dollari ed il più povero il Mississippi con circa 1.900 dollari di reddito pro-capite. Questa rile-vante variazione nel reddito pro-capite ha immediati riflessi sulle dif-

(8) Per questa analisi si veda in particolare D. NETZER, State-Local Finance ecc., op. cit., p. 386 e sgg. (9) ACIR, Tax Overlapping in the United States, 1964, e successivi aggiornamenti degli elementi quantitativi.

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ferenze di capacità fiscale (10). In base alle stime dell'ACIR del gettito di un sistema fiscale rappresentativo, il gettito oscillava dal 57 per cento della media nazionale per lo Stato di più bassa capacità fiscale al 161 per cento per lo Stato più elevato. Per altro le differenze sono assai diverse a seconda dei tipi di imposta. All'inizio degli anni '60 il coefficiente di variazione era ad esempio pari a 27,2 per l'imposta sulla proprietà, e pari a 35 per l'imposta sul reddito personale. Questi elementi scontano a loro volta sensibili squilibri nella capacità fiscale all'interno degli Stati specie nelle grandi aree metropolitane. In quest'ultimo caso non è fuori del comune trovare rapporti da 1 a 15 nel valore pro-capite della base imponibile dell'imposta sulla proprietà delle varie municipalità (11). Le differenze di capacità fiscali hanno rilevanza sullo sforzo fiscale delle varie unità amministrative. Taluni dei fattori che sono più indi-cativi di bisogno per servizi pubblici sono inversamente correlati alla capacità fiscale. Questo fa sì che sovente è stata rilevata nelle aree metropolitane una relazione inversa tra l'elevatezza delle aliquote del-l'imposta sulla proprietà e i valori della base imponibile pro-capite: in altre parole il maggiore sforzo fiscale viene registrato nella giurisdizione con capacità fiscale più bassa. Un'analoga correlazione inversa tra livelli di reddito pro-capite e sforzo fiscale (definito come rapporto tra il gettito fiscale e tariffario ed il red-dito pro-capite o altre misure di capacità fiscale potenziale) non è registrabile tra Stato e Stato. Vi sono Stati ricchi che registrano un elevato sforzo fiscale (California e New York), altri invece che mo-strano basso sforzo fiscale (New Jersey, Connecticut). A loro volta abbiamo tra gli Stati più poveri alcuni con elevato sforzo fiscale (Loui-siana e Mississippi) altri con basso sforzo fiscale (Kentucky e Ala-bama) (12).

b) Capacità amministrativa In linea teorica i fattori influenzanti differenti capacità di ammini-strazione fiscale sembrano avere scarso riferimento alla distinzione tra

(10) Si veda ACIR, Measures of State and Locai Fiscal Capacity and Tax Efforts, 1962, ed il successivo Measuring the Fiscal Capacity and Tax Effort of State and Locai Areas, 1971. (11) Si veda D. NETZER, The Economics of the Property Tax, The Brookings Institution, Washington DC, 1966, in particolare il capitolo « Geographic Differen-tials in Property Tax », p. 86 e sgg. Per i dati riportati si veda pp. 124-125. (12) Per un quadro aggiornato si veda ACIR, Signifìcant Features of Fiscal Fede-ralista, 1976-77, voi. II, 1977, pp. 46-47.

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livelli di governo. Le effettive differenze paiono avere connessioni più con la dimensione che con il livello di governo. Tuttavia in larga mas-sima parlare di livelli di governo significa altresì di dimensioni diverse. Verso la metà degli anni '60 solo 5 delle 118.000 municipalità e solo 16 delle 3.000 contee avevano una popolazione superiore al milione di abi-tanti, mentre 37 Stati superavano questa soglia. Questo ha conseguenze per una varietà di aspetti. Innanzitutto esistono economie di dimen-sione evidenti nell'amministrazione fiscale: alcuni dati, basati sul con-fronto tra spese per l'amministrazione finanziaria in rapporto alle en-trate riscosse, mostrano che i costi crescono rapidamente al diminuire della dimensione dell'unità di governo. Questo è particolarmente valido per le entità minori, che registrano costi superiori al 5 per cento delle entrate. Accanto a questo problema altri ne sorgono con riferimento al commercio interstatale ed ai fenomeni di evasione ed elusione delle imposte.

c) Differenziali fiscali e localizzazione delle attività Il tema dell'influenza dei diversi trattamenti fiscali sulla localizzazione delle attività economiche e delle residenze ha ricevuto ampia atten-zione negli Stati Uniti. In via generale si è concluso che la localizza-zione delle attività economiche tra Stati diversi non sia stata in misura rilevante influenzata da diversi comportamenti fiscali. Ancora una volta per altro tale fattore pare aver assunto importanza all'interno di sin-gole regioni socio-economiche, ed in particolare all'interno delle aree metropolitane. Differenti trattamenti fiscali delle attività economiche avrebbero stimolato la fuga dalle città centrali. Al contrario di quanto ora indicato sulla probabile influenza sulle decisioni di localizzazione delle attività economiche, le scelte relative alla residenza non sembrano molto sensibili ai diversi trattamenti fiscali. Tuttavia è stato rilevato che, ancorché considerate di scarsa rilevanza dagli economisti sulla base delle analisi empiriche, gli amministratori locali tengono in gran conto le influenze fiscali sulla localizzazione di attività e residenze. « La paura di perdere contribuenti a favore di altre giurisdizioni ossessiona la mente e blocca la penna dell'amministratore locale e statale, ed interessati patrocinatori hanno sviluppato ad alto livello l'arte di sfruttare tale paura » (13). Pertanto questo aspetto psi-

(13) L.L. ECKER-RACZ, Fiscal Crisis in an Affluent Society, in City Problems of 1966, The Annual Proceedings of the U.S. Conference of Mayors, Washington DC, 1966, pp. 103-109. Si veda inoltre ACIR, State-Local Taxation and Industriai Location, 1967; R . BARLOW, H . E. BRAZER, J. N . MORGAN, The Economie Behaviour of the A ffluent, The Brookings Institution, Washington DC, 1966, pp. 169-170.

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cologico, fondato o meno, è un elemento reale di politica fiscale, che, ad esempio, ha portato a parlare di « mercantilismo fiscale » in rela-zione alla tentazione di regolare a fini fiscali le scelte in materia urba-nistica.

II. La ripartizione delle fonti tributarie tra i livelli di governo: l'impiego dei singoli strumenti di imposta

È ora necessario fare un quadro più preciso dell'utilizzazione fatta dai governi statali e locali dei vari tipi di imposta:

a) Imposta sul reddito individuale (Individuai Income Tax). Si tratta di un tipo di imposta ritenuta valida a livello statale per quanto riguarda gli aspetti di efficienza amministrativa, sia per le dimensioni demografiche interessate, sia per la scarsa influenzabilità sulle decisioni di localizzazione da parte di eventuali trattamenti differenziali. Sotto il profilo equitativo, questa imposta viene considerata poco adatta ai governi sub-nazionali, qualora aliquote elevate e fortemente progressive interferissero con gli interventi di redistribuzione del reddito adottati in sede federale. Per altro questo non si verifica attualmente. Fino a qualche tempo fa gli Stati potevano essere divisi tra quelli in prevalenza rivolti all'imposizione sul reddito e quelli più propensi al potenziamento dell'imposta sulle vendite. Questa distinzione è andata scomparendo in relazione all'aumento dei fabbisogni finanziari. All'ini-zio degli anni '70 41 Stati avevano adottato una qualche forma di imposizione sui redditi personali. Varie ragioni giustificano l'adozione di questa forma di imposizione: il forte incremento della base impo-nibile; come conseguenza, lo spostamento verso l'alto nella scala delle classi di reddito di un numero crescente di popolazione; infine il dif-fondersi del metodo delle trattenute alla fonte e lo scambio di infor-mazioni con l'amministrazione federale. Tuttavia il ricorso allo stru-mento dell'imposta sul reddito è piuttosto prudente: taluni Stati adot-tano aliquote proporzionali, altri aliquote solo moderatamente pro-gressive. Per la maggior parte le imposte sul reddito degli Stati rassomiglia fon-damentalmente a quella federale. Esse prevedono varie forme di esen-zioni, riconoscendo sia deduzioni sia crediti di imposta per mitigare la regressività delle imposte sulle vendite e sulla proprietà. Inoltre vi è una tendenza da parte degli Stati all'adozione della stessa base impo-nibile della imposta federale.

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Per i governi locali l'imposta sul reddito non sembra uno strumento appropriato, specie per le piccole unità amministrative. Per le grandi città tale imposta può costituire un'alternativa migliore ad altre scelte fiscali, specie se si riescono a colpire anche i pendolari non residenti. In pratica per altro si ritiene che il ricorso delle grandi città all'im-posta sul reddito sia il risultato negativo delle pesanti responsabilità ad esse addossate per servizi pubblici redistributivi, e della scarsa assi-stenza data da parte dei governi superiori per questi compiti. Attual-mente l'imposta sul reddito da parte dei governi locali è permessa in 10 Stati, ed ha diffusione soprattutto nell'Ohio e in Pennsylvania. Solitamente essa viene applicata con aliquota proporzionale alquanto bassa (massimo 2 per cento) sui salari lordi e su altri proventi lordi di lavoro autonomo o di società di persone. Tuttavia il ricorso a tale imposta da parte delle città è crescente: nel 1955 solo 370 unità di governo locale vi facevano ricorso. Esse erano salite a 3.500 nel 1970.

b) Imposta sul reddito societario (Corporation Income Tax). Attual-mente 43 Stati più il Distretto di Columbia adottano una imposta sul reddito delle società. Inoltre tale imposta è altresì adottata da un certo numero di città, concentrate in pochi Stati. Nella maggior parte dei casi — di governi statali o locali — l'aliquota della imposta è propor-zionale e più bassa dell'aliquota federale. In genere si è osservata una tendenza a fare riferimento alla stessa base imponibile determinata ai fini della imposta federale. La sovrapposizione di due o tre imposi-zioni crea 1'« irritante » problema, per le oltre 125.000 imprese che svolgono attività in più di uno Stato, di ripartire la base imponibile tra i vari enti impositori. Si ritiene comunemente che in questo caso i differenti trattamenti fiscali possano avere influenza sulla localizzazione delle attività economiche (14).

c) Imposte selettive sui consumi. È assai diffìcile dare un quadro com-pleto della numerosa famiglia delle imposte su singoli consumi adot-tate dai governi di vario livello negli Stati Uniti. Il governo federale ha progressivamente limitato la sua tassazione a pochi consumi quali bevande alcoliche, carburanti, sigarette e simili, trasporti aerei, utenze

(14) La valutazione dei singoli strumenti tributari viene fatta con riferimento alle forme « legali ». Un'ottica diversa e forse più corretta potrebbe essere quella di partire dalla imposizione delle varie fonti economiche, come si è già detto. Per questa analisi si veda D. NETZER, State-Local Finance, op. cit., p. 408 e sgg. con riferimento alle imposte sulle attività di impresa.

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telefoniche; e pochi altri. All'opposto questo tipo di imposizione è « riserva di caccia » dei governi statali. Più in particolare: 1) imposte sui carburanti. A questo tipo di imposta fanno ricorso il governo federale, i 50 Stati, il Distretto di Columbia, ed alcuni governi locali (in cinque Stati); 2) imposte sulle bevande alcoliche. Anche questa accisa vede interes-sati il governo federale, tutti gli Stati, e alcuni governi locali. A queste forme di tassazione occorre aggiungere talune forme di imposta di licenza per l'apertura di spacci alcolici. Inoltre 17 Stati esercitano la distribuzione di alcolici e vini in regime di monopolio mediante eser-cizi di vendita statali;

3) imposta sui tabacchi. Oltre il 50 per cento del gettito delle imposte sui tabacchi, di cui la principale fonte è l'imposta sul consumo delle sigarette, va nelle casse del governo federale. Il resto viene ripartito tra Stati e enti locali. Il diverso trattamento fiscale ha fatto registrare anche fenomeni di contrabbando tra Stati.

d) Imposte generali sulle vendite. Questa forma di imposizione conce-pita di solito nella forma di monofase al dettaglio non è mai stata adottata dal governo federale nonostante che la cosa sia stata nume-rose volte presa in considerazione dal Congresso. Essa costituisce uno dei pilastri della tassazione degli Stati, anche se la sua adozione rappre-senta un fenomeno degli ultimi decenni. Dal 1932, quando l'imposta fu per la prima volta adottata dal Mississippi, altri 44 Stati si sono rivolti a questa imposizione. Da parte dei governi locali questa imposta è vista come alternativa ad un maggiore ricorso all'imposta sulla pro-prietà. Inoltre prima dell'ultima guerra mondiale solo le municipalità di New York e New Orleans avevano adottato tale imposta. Attual-mente 22 Stati hanno varato provvedimenti autorizzativi per l'ado-zione dell'imposta da parte degli enti locali. Per quanto il peso com-plessivo del gettito sia del tutto secondario rispetto a quello dell'im-posta sulla proprietà, tuttavia esso riveste molto rilievo per taluni governi. L'imposta è applicata con aliquote che vanno dal 2 al 6 per cento dagli Stati. Varie forme di cooperazione amministrativa tra Stati e le maggiori città che adottano tale imposta sono state varate e ten-dono a svilupparsi. Le imposte specifiche sui consumi e generale sulle vendite ripropongono alcuni problemi osservati anche in altre espe-rienze. In primo luogo la necessità di correggerne eventuali regressi-vità: in vari Stati vengono riconosciute forme di credito di imposta ai fini dell'imposta sul reddito. Inoltre per i governi locali sorgono feno-

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meni di incapacità amministrativa, corretta spesso da forme di delega agli Stati per la gestione dell'imposta per conto dei governi locali stessi. Infine specie nelle aree metropolitane gli effetti concorrenziali possono essere rilevanti: uno studio condotto dalla città di New York ha mostrato che per alcuni generi (mobilio e abbigliamento) ogni aumento di un punto percentuale dell'imposta era responsabile di una diminuzione di vendite del 6 per cento nella città a favore dei sob-borghi.

e) L'imposta sulla proprietà. Questa imposta costituisce una delle mag-giori eredità fiscali della vita della confederazione americana. La sua applicazione risale ai tempi coloniali, e nonostante le numerose modi-ficazioni che essa ha subito costituisce la colonna delle entrate tribu-tarie proprie dei governi locali. In realtà non esiste un'unica imposta sulla proprietà, ma una varietà estesissima di imposte sulla proprietà. Sotto il profilo che interessa in questa sede l'imposta sulla proprietà è appannaggio di due livelli di governo, di quello statale e di quello locale (anche se è soprattutto quest'ultimo che fa la parte del leone: nel 1975 50.040 milioni di dollari di riscossioni contro circa 1.450 mi-lioni per gli Stati), o meglio dei numerosi tipi di governi locali. Di conseguenza il contribuente paga numerose imposte sulla proprietà applicate alla stessa base fiscale: alle contee (nel 1975 il 18 per cento), alle città (il 23 per cento), ai distretti speciali e alle township (circa il 9 per cento) e soprattutto ai distretti scolastici, che negli ultimi anni si sono accaparrati oltre il 50 per cento del gettito. Per il fatto di essere eminentemente l'imposta locale applicata ai pro-prietari e in particolare ai residenti, essa — nella sua struttura, esen-zioni, aliquota, rapporto tra valore accertato e valore di mercato —, costituisce la fonte di introito che meglio si presta ad essere oggetto di dibattiti e di controversie sia rispetto alle altre fonti alternative di entrata, sia rispetto alle spese locali che essa è chiamata a coprire Come è stato detto questa valutazione riflette le variabili socio-econo-miche — reddito, attitudine verso l'ente di governo, altri fattori di stra-tegia politico-economica locale, di trattativa e di conflitto — che carat-terizzano le decisioni pubbliche. In quanto risultato di una lunga stratificazione storica la (e) imposta (e) sulla proprietà è soggetta a regimi molto differenziati di accertamento, di determinazione di aliquote, e di riscossione. Spesso gli accertatori locali sono scelti o per elezione diretta o per nomina degli organi di governo. Nella maggior parte degli Stati (28) l'unità locale delegata

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all'accertamento è la contea, in altri stati migliaia di città e villaggi dispongono di propri accertatori. Tuttavia negli ultimi tempi numerosi Stati hanno emanato disposizioni in materia, anche se solo le Hawaii hanno centralizzato a livello statale l'accertamento (15). L'aliquota fiscale è determinata da ogni ente beneficiario dell'imposta in base alla seguente procedura. Determinato l'ammontare delle spese, e stabiliti i proventi derivanti da altre fonti, residua la quota da coprirsi facendo ricorso all'imposta sulla proprietà. Questo fabbisogno diviso per i valori totali accertati offre all'ente impositore l'aliquota che deve applicare. La riscossione è a sua volta gestita in modi assai diversi: in 20 Stati provvede ad essa la contea con successiva ripartizione tra gli enti bene-ficiari. In altri Stati viene consentito alle città di provvedere alle pro-prie riscossioni. L'imposta sulla proprietà ha formato oggetto di numerose critiche. Si è obiettato che essa sarebbe fonte di forti disuguaglianze nelle oppor-tunità di istruzione tra varie comunità; che sarebbe nel complesso male amministrata; che probabilmente è regressiva; che discrimina penaliz-zando le spese per l'abitazione. Tuttavia nonostante che sul gettito fiscale complessivo del settore pubblico sia passata dal 51,4 per cento nel 1902 all'I 1,9 per cento nel 1970, essa resta la colonna delle entrate tributarie locali, e pertanto le varie proposte di riforma si sono rivolte più ad un suo miglioramento, specie attraverso un crescente ruolo direttivo degli Stati, che alla sua soppressione (16).

III. La ripartizione delle fonti tributarie tra i livelli di governo: i pro-blemi di coordinamento

Da quanto si è descritto il sistema fiscale della confederazione ame-ricana, con i vasti poteri autonomi degli enti sub-nazionali in ma-teria tributaria, impone due tipi di coordinamento. Il primo tipo è diretto a correggere fenomeni di sovrapposizione verticale (vertical tax overlapping) che si origina dal ricorso alla stessa base imponibile da parte di due o più livelli di governo. Il secondo tipo di coordina-mento si rende necessario a causa della mobilità delle attività econo-

(15) Si veda ACIR, The Rote of the States in Strenthening the Property Tax, 1963. (16) Si veda tra gli studi più completi il già citato D. NETZER, The Economics of the Property Tax, e tra la copiosa letteratura in materia H. F. LADD, The Rote of the Property Tax: a Reassessment, in Broad-Based Taxes: New Options and Sources, a cura di R. Musgrave, Johns Hopkins University Press, 1973.

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miche e delle residenze, che diventano interessate dai poteri fiscali di più entità di governo dello stesso livello (horizontal tax overlapping). Ad entrambi i fenomeni già si è fatto cenno nelle pagine precedenti. Il rimedio che potrebbe nascere da una drastica separazione delle fonti non appare né raggiungibile né desiderabile. Troppi tipi di im-posta, che sembrerebbero adatti all'adozione esclusiva di Stati ed enti locali, risentono di limiti di equità e di efficienza o entrambi (17). Al fine di superare gli inconvenienti delle sovrapposizioni che necessaria-mente nascono da una simile struttura così compenetrata sono state suggerite ed in parte sperimentate varie strade:

a) il coordinamento dell'amministrazione fiscale. Varie forme di col-laborazione e principalmente scambio di dati ed informazioni sono intervenute negli ultimi due decenni tra l'Internai Revenue System fede-rale e le amministrazioni finanziarie degli Stati. In molti casi è assai stretta la collaborazione tra gli Stati e le unità di governo locali, o tra queste ultime, in particolare in quelle situazioni in cui è la contea ad assumersi il compito di coordinamento delle unità minori (18);

b) coordinamento delle basi imponibili. Una delle strade che viene adottata in misura via via crescente è quella di una relativa uniformità di definizione della base imponibile. Questa situazione è particolar-mente significativa per le imposte sul reddito personale degli Stati rispetto a quella federale. Questo non solo agevola la collaborazione tra diverse amministrazioni fiscali, ma facilita l'assolvimento dell'obbli-gazione tributaria da parte del contribuente. Tuttavia questa via non è sempre facilmente percorribile: essa esige in primo luogo adattamenti legislativi e deliberativi a volte rilevanti; in secondo luogo essa può dare luogo a difficoltà di previsione di gettito; infine essa può suonare come una sorta di delega ad un altro livello di governo con conse-guenti limitazioni di autonomia. Ciononostante il coordinamento delle basi imponibili viene sempre più vista in modo favorevole da ammini-stratori statali e locali anche attraverso l'adozione di vari tipi di stru-menti fiscali: 1) forme di sovraimposizione a imposte di enti di governo di livello superiore, con riserva di autonoma determinazione

(17) Si veda D. H. ELDRIDGE, Equity, Administration and Compliance, and Inter-governmental Fiscal Aspects, in The Role of Direct and Jndirect Taxes in the Federai Revenue System, NBER and Brookings Institution, Princeton University Press, 1964, oltre a D. NETZER, State Locai Finance etc., op. cit. Per questa parte si veda in generale G. F. BREAK, Intergovernmental Fiscal Relations in the U.S., op. cit., cap. 2. (18) ACIR, 1966 State Legislative Program, 1965.

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delle aliquote ma senza i costi e le difficoltà della gestione fiscale; 2) deduzione delle imposte statali e locali dall'imposta federale sul red-dito; 3) credito di imposta;

c) centralizzazione dell'amministrazione di talune imposte. Si tratta di una proposta alquanto drastica. Proposte in questo senso sono state fatte per le imposte sulle sigarette, sulle successioni e donazioni e sugli utili societari.

4. E sistema dei trasferimenti intergovernativi

La complessa articolazione del sistema di governo federale trova riscon-tro altresì nel sistema dei trasferimenti intergovernativi. Tale flusso di fondi dal livello federale ai governi inferiori — Stati o direttamente agli enti locali — e a sua volta dagli Stati agli enti locali, è andato assumendo negli ultimi venti anni crescente importanza. Al di là degli aspetti quan-titavi, le implicazioni di carattere politico, sociale, ed economico-finan-ziario hanno formato oggetto di un dibattito di tale ampiezza da costi-tuire un vero e proprio ripensamento generale della struttura federale di poteri. Gli insegnamenti che possono derivare da questo serrato con-fronto vanno ben al di là dei confini della federazione americana, e pos-sono costituire una solida base di riferimento anche per realtà diverse. I grafici riportati nelle tabelle 3 e 4 hanno posto in luce la rilevanza dei flussi finanziari intergovernativi, e il ruolo crescente assunto dal governo federale. I trasferimenti agli enti inferiori di governo che costituivano nel 1950 il 5,3 per cento del totale delle spese federali (8,8 per cento delle spese civili interne) sono salite nel 1977 ad oltre il 17 per cento (23 per cento delle spese civili interne). Inoltre i fondi federali in rapporto alle spese statali-locali mostrano la stessa tendenza a rapida crescita, passando nell'arco di 25 anni a costituire da un decimo ad un quarto delle spese del settore degli enti sub-federali (tab. 8). La struttura dei trasferimenti intergovernativi ed in particolare di quelli federali al settore sub-centrale è fondamentalmente basata su trasfe-rimenti a destinazione vincolata (Conditional o Functional Grants). Solo a partire dal 1973 sulla base del provvedimento varato sotto l'Am-ministrazione Nixon, lo State and Locai Fiscal Assistance Act del 1972, ha preso il via dopo quasi un decennio di controversie il cosiddetto Revenue Sharing, cioè un programma di trasferimenti non condizionati

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Tabella 8 - Trasferimenti intergovernativi. Sussidi federali e spese statali e locali.

1950 1955 1960 1965 1970 1976 1977 (stime)

Sussidi federali in percentuale sul:

Totale spese federali 5,3 4,7 7,6 9,2 12,2 16,1 17,1 Spese federali usi civili 8,8 12,1 15,9 16,6 21,1 21,7 23,1 Spese statali e locali 10,4 10,1 14,7 15,3 19,4 24,7 26,7

In mi l ion i d i dol lari 2.253 3.302 7.020 10.904 24.018 59.037 70.424

Fonte: ACIR, Significarti Features of Fiscal Federalism, 1976-77, voi. II, 1977.

(Unconditional Grant) da parte del governo federale agli Stati e ai governi locali a finalità generale (con esclusione perciò di distretti scola-stici e distretti speciali). Esso deve il suo nome al concetto di essere una ripartizione del provento dell'imposta federale sul reddito individuale (in realtà non si tratta di una quota del gettito, ma di una percentuale della base imponibile). Nel 1976 su circa 60.000 milioni di dollari per trasferimenti, circa il 10 per cento, poco più di 6.000 milioni, era ripar-tito secondo lo schema dei trasferimenti incondizionati. Precisamente da questo stato di cose trae origine la corrente di pen-siero chiamata il New Federalism. Tale movimento volto a decentrare le decisioni finanziarie del sistema federale americano ha avuto come specifico obiettivo la sostituzione dei numerosi e macchinosi program-mi di sussidi condizionati con trasferimenti lasciati alla discrezione di spesa degli Stati e degli enti locali (19).

I) 7 trasferimenti condizionati

Il sistema di trasferimenti condizionati federali è certamente tra i più complessi, tra quelli in uso presso gli Stati federali (20). Alla fine degli anni '60 erano stati enumerati ben 495 diversi programmi di sussidi condizionati federali. I motivi di questa situazione sono stati indicati nelle inadeguatezze e/o disuguaglianze nei livelli dei servizi pubblici

(19) Si veda Financing the New Federalism, a cura di W. E. OATES, A Resource for the Future Book, The lohns Hopkins University Press, Baltimore, 1975. (20) Oltre ai testi più volte indicati si veda su questa parte, anche con confronti con altre situazioni, Commission of European Communities, Report of the Study Group on the Role of Public Finance in European Integration, voi. II, cap. VII, Specific Pur pose Grants in Four Federations, p. 189 e sgg.

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offerti dagli Stati e dagli enti locali, e nell'assenza di meccanismi fede-rali di perequazione finanziaria tra unità di governo di pari livello. L'individuazione dei sussidi condizionati come principale strumento federale di perequazione intergovernativa costituisce un processo ini-ziatosi nella grande depressione prebellica, e sviluppatosi a dismisura nel periodo della costruzione della « Grande Società » degli anni '60. All'inizio degli anni '70 il sistema è stato sottoposto a critiche severe, ed in alternativa si è individuato nei trasferimenti non condizionati la strada per semplificare, consolidare e decentrare gli interventi federali. I principali settori di intervento sono (cfr. tab. 9):

Tabella 9 - Trasferimenti intergovernativi. Sussidi federali per destina-zione di alcuni principali settori (milioni di dollari).

1960 1965 1970 1975 Settori principali di intervento federale:

Istruzione 950 1.677 5.844 8.959 Grande viabilità 2.905 3.997 4.608 4.754 Assistenza pubblica 2.070 3.098 7.574 14.352 Sanità 135 292 931 2.052 Affari urbani 226 676 1.609 2.734

Revenue Sharing — — — 6.130

Fonte: ACIR, Significant Features of Fiscal Federalista, 1976-77, voi. II, 1977.

a) L'istruzione. Questo settore copre circa un quinto della spesa per trasferimenti federali. I principali programmi si rivolgono a corsi pro-fessionali, a interventi nelle aree dove è rilevante la presenza delle attività federali, ad es. insediamenti militari, e alla scuola elementare e secondaria. Questi ultimi interventi vanno principalmente a vantaggio dei distretti scolastici in base a formule di ripartizione che tengono conto del reddito delle famiglie degli alunni.

b) Grande viabilità. Questo settore ha ricevuto negli ultimi anni circa il 10-12 per cento dei sussidi federali. Questi contributi sono finanziati da un fondo nazionale, lo Highway Trust Fund, alimentato da accise sulla circolazione e sui carburanti, e sono principalmente diretti alla grande viabilità interstatale ed ad altra viabilità primaria e secondaria. Si tratta di sussidi a copertura parziale (Matching Grants) con formule varie di allocazione.

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c) Assistenza Pubblica. È questa la più importante categoria di inter-vento. In questo settore vengono infatti destinati circa un terzo dei sussidi federali, anche per la sempre più accentuata tendenza alla fede-ralizzazione della pubblica assistenza, vista come il risultato di una primaria responsabilità del governo centrale nella politica di redistri-buzione dei redditi. Il programma di intervento più importante è costi-tuito daWAid to Families with Dependent Children (AFDP), cui se-guono altri schemi di intervento a favore degli anziani, degli invalidi, dei ciechi. Tali programmi prevedono una copertura parziale dei sus-sidi corrisposti dagli Stati ai beneficiari.

d) Sanità. Si tratta di un settore federale di intervento di minore entità (3-4 per cento del totale) che riguarda circa 30 diversi programmi. Tali programmi sono per altro di un certo interesse per l'applicazione ad essi della formula « Hill-Burton » che è stata successivamente estesa ad altri programmi (21).

e) Tra gli altri interventi conviene segnalare i sussidi raggruppati nel programma affari urbani che ha consolidato una miscellanea di vecchi programmi e di cui oggi sono beneficiari 500 città e 85 contee urbane. Questo complesso di quasi 500 schemi federali di sussidi condizionati sono stati di recente severamente criticati come si disse. In primo luogo la rapida proliferazione ha dato luogo a confusioni e duplica-zioni, tanto che Stati ed enti locali dispongono di uffici appositi ovvero si rivolgono a consulenti esterni per scoprire i segreti del sistema. Le procedure ed i requisiti per l'ottenimento dei sussidi sono spesso labo-riosi e complicati. Inoltre molti tipi di sussidio sono nella forma del « matching », cioè non sono a copertura totale ma richiedono una certa partecipazione finanziaria dell'ente beneficiario. Pertanto questi interventi sono spesso visti come una interferenza federale nelle deci-sioni di bilancio degli Stati e dei governi locali. Infine è facile che

(21) La formula Hill-Burton ripartisce i fondi in proporzione alla popolazione ponderata in base al quadrato dell'inverso del reddito pro-capite di ciascuno Stato. Più precisamente :

G ' = ^ t F d O V e A> = 1 0 ° - 5 0 W dove GÌ = ammontare del trasferimento dato allo Stato i

Pi = popolazione dello Stato i Yi = reddito pro-capite dello Stato i Y = reddito pro-capite nazionale F = ammontare del fondo da ripartire A, = fattore di ripartizione per lo Stato i.

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funzionari di agenzie federali ricerchino delle controparti burocratiche, trascurando l'autorità di sindaci o di altro personale elettivo. Tuttavia la logica di questi articolati schemi di intervento va ricer-cata nello sforzo delle autorità federali di finanziare servizi di interesse nazionale, mediante la correzione degli effetti esterni, ovvero servizi che devono essere assicurati a tutti i cittadini in misura minima. Queste motivazioni di carattere economico finanziario giustificano sia la com-plessa articolazione, sia i condizionamenti procedurali, sia infine la for-mula spesso usata della copertura parziale del sussidio con integra-zione dei governi beneficiari. Varie proposte di riforma sono state avanzate. Esse vanno da solu-zioni puramente tecniche di semplificazione, aggregazione, dei pro-grammi esistenti e delle relative procedure, ad altre consistenti in un maggiore decentramento decisionale ai governi sub-federali. Una di queste proposte, chiamata Special Revenue Sharing, comporta l'aggre-gazione di circa 130 programmi federali di sussidi condizionati in sei ampie aree di intervento, e precisamente: sviluppo delle comunità urbane; sviluppo delle comunità rurali; istruzione; addestramento pro-fessionale; trasporti; ordine pubblico. Caratteristiche di questo riordi-namento sono: a) l'unità di governo beneficiaria non è tenuta a prov-vedere a sua volta altri fondi; b) la ripartizione dei fondi avviene non discrezionalmente ma mediante una formula prefissata; c) il governo percipiente è libero di spendere la somma ricevuta in ogni tipo di attività ricadente nell'ampia definizione del campo di intervento. Questa proposta intende conciliare la rilevanza delle priorità nazionali in certi settori con un ampio decentramento decisionale. In realtà questo tipo di riorganizzazione modifica radicalmente la logica dei tra-sferimenti condizionati, e tende a far avvicinare lo Special Revenue Sharing a una sorta di finanziamento non condizionato in cui l'ente di governo percipiente è tenuto a spendere nel settore finanziato non meno di quanto erogato. Nulla assicura al contrario che il finanzia-mento federale si traduca in un maggiore volume di spesa nei settori di intervento (22).

(22) Il tema dei trasferimenti intergovernativi è come noto una feconda area di caccia per economisti e politologi. Sotto il profilo teorico una sintesi rigorosa del tema può ritrovarsi in W. E. OATES, Fiscal Federalism, op. cit., cap. Ili , « The Theory and Use of Intergovernmental Grants ». Con riferimento alla situazione americana si vedano i testi più volte citati, ed in particolare quello di G. F. BREAK, Intergovernmental Fiscal Relations in U.S., cap. Ili , « Functional Grants-in-Aid ». In tema di riforme si veda R. D. REISCHAUER, Special Revenue Sharing, in C. L. SCHULTZE et al., Setting National Priorities: the 1972 Budget, The Brookings

106

II) I trasferimenti incondizionati

Vi è nell'esperienza americana recente un apparente squilibrio tra la quantità di pagine scritte sui trasferimenti intergovernativi incondi-zionati (Unconditional Grants o più comunemente Revenue Sharing) e gli importi tutto sommato modesti che hanno formato oggetto dei primi provvedimenti federali di spesa varati dallo State and Locai Fiscal Assistance Act del 1972, e precisamente 2.065 milioni di dollari agli stati (pari al 2,6 % del loro gettito tributario) e 4.180 milioni di dollari agli enti locali (pari al 6,8 % del loro gettito tributario) per gli anni 1974 e 1975. Il motivo dell'attenzione riscossa dal dibattito sul Revenue Sharing, come già si disse, è da ricercarsi nel generale ripensamento cui esso ha dato origine sul sistema federale americano. A differenza infatti di altri paesi, come il Canada o la Gran Bretagna, gli Stati Uniti si sono rivolti a questa forma di trasferimento in tempi re-centi (23). In via generale l'ipotesi dei trasferimenti incondizionati — che si ap-plica sia ai sussidi federali agli Stati ed agli enti locali, sia a quelli dagli Stati agli enti locali, anche se è prevalentemente al primo caso che si rivolge l'attenzione — trae spunto da due considerazioni: a) in un sistema di governo a più livelli, vi è una dicotomia tra la capacità di dare vita ad una efficiente amministrazione fiscale, che tende a collocarsi ai livelli superiori, e le responsabilità di spesa appropriata-mente attribuite; b) in secondo luogo i divari tra capacità fiscali e bisogni possono essere assai diversi tra giurisdizioni di pari livello, costringendo i governi di livello superiore a interventi perequativi. A queste due finalità, che potremmo riassumere nella correzione di squi-libri verticali — dovuti all'andamento a forbice tra necessità e risorse che peserebbe sugli enti sub-centrali —• e di squilibri orizzontali — do-vuti all'influenza dei divari economici territoriali sulle capacità fiscali delle varie giurisdizioni —, storicamente una terza se ne è aggiunta, e anzi si può ritenere la prima ad aver dato innesco al dibattito sul Revenue Sharing: tale finalità discende dalla teoria dell'avanzo di bilancio di pieno impiego, per cui la crescita automatica del gettito delle imposte è più rapida dell'incremento del reddito nazionale. Ne

Institution, Washington DC, 1971. Infine per un'analisi dei contributi specifici nel sistema americano si veda C. L. SCHULTZE, Sorting out the Social Grant Programs: an Economist's Criteria, American Economie Review, maggio 1974, traduzione ita-liana in Problemi dell' Amministrazione Pubblica, a cura del FORMEZ, n. 1/1977. (23) Per un quadro comparativo si veda ISAP, La finanza degli enti locali nella dottrina contemporanea (1947-1967), Giuffrè, Milano, 1968.

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deriva nel lungo periodo un fenomeno di drenaggio fiscale con effetti glo-balmente restrittivi. Di qui la necessità di trovare sbocco a questo avanzo di bilancio federale (24). La tabella 10 riporta un'analisi condotta dall'ACIR (25) di sei modi alternativi di impiego di avanzi del bilancio federale, dei quali uno è costituito dal Revenue Sharing, visti sinotticamente sotto più punti di vista. Accanto all'individuazione delle finalità di un programma di trasferi-menti incondizionati e all'analisi delle alternative a tale sistema di finanziamento, il dibattito sul Revenue Sharing riveste un interesse più vasto per altri aspetti affrontati, e relativi: all'ammontare da ripartire; ai criteri di ripartizione tra gli Stati; ai vincoli ed alle restrizioni da imporre; alla previsione o meno di una successiva ripartizione all'in-terno degli Stati, per tenere conto in particolare dei problemi delle città. In sintesi:

a) La proposta varata sotto l'Amministrazione Nixon prevede la ripar-tizione di una quota pari all'I,3 per cento del reddito personale impo-nibile cioè circa 30,2 miliardi di dollari nel periodo 1972-76.

(24) N o n è un caso il fatto che all'inizio degli anni '60 i neokeynesiani propones-sero come terapia contro la stagnazione sia misure di riduzione delle imposte federali, sia provvedimenti di spesa pubblica mediante appunto il Revenue Sharing. Si veda la trattazione di uno dei patriarchi di questa visione keynesiana dei trasfe-rimenti intergovernativi W. W. HELLER, New Dimensions of Politicai Economy, Harvard University Press, Cambridge Mass., 1966, capp. II e III. La letteratura sul Revenue Sharing come si disse è assai copiosa; si vedano ACIR, Fiscal Balance in the American Federai System, 1967; Joint Economie Committee, Revenue Sharing and its Alternatives: What Future for Fiscal Federalismi, U.S.G.P.O., Washington, 1967; A A . VV., Financing State and Locai Governments, The Federai Reserve Bank of Boston, in particolare il contributo di J. A. Pechman a sostegno, e quello di R. A. Musgrave e A. M. Polinsky più critico; C. J. GOETZ, What is Revenue Sharings?, The Urban Institute, Washington DC, 1972; R. D. REISCHAUER, General Revenue Sharing, in Setting National Priorities: the 1972 Budget, op. cit. Per una rassegna di questa problematica fino all'entrata in vigore dei primi provvedimenti si veda il nostro 11 finanziamento degli enti locali; l'esperienza del « Revenue Sharing » negli Stati Uniti, in « Amministrazione e Società », n. 4, Torino, ottobre 1974.

Successivamente all'entrata in vigore dei primi provvedimenti di attuazione varie verifiche sono state compiute dei primi risultati. Si vedano R. P. NATHAN, A. D. MANVEL, S. E. CALKINS, Monitoring Revenue Sharing, The Brookings Institution, Washington DC, 1975; Financing the New Federalism, a cura di W. E. OATES, op. cit.-, S. H. BEER, The Adoption of General Revenue Sharing: a Case Study in Public Sector Politics, in Public Policy, voi. 24, n. 2, 1976, quest'ultimo di carat-tere politologico. (25) ACIR, Fiscal Balance in the American Federai System, op. cit.

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Tabella 10 - Quadro comparativo di sei possibili alternativi modi di impiego dell'avanzo di pieno impiego del bilancio federale, ognuno dei quali viene valutato sotto 8 punti di vista.

SEI ALTERNATIVE

MISURE FISCALI COMPEN-SATIVE - consistenti in ridu-zioni dell'imposta federale sul reddito e/o estinzione del debito generale.

EFFETTI SULLA IMPO-SIZIONE FEDERALE

Vantaggio per i contri-buenti che si a t tenderanno ulteriori sgravi

EFFETTI DI REDISTRI-BUZIONE DI RISORSE TRA GLI STATI

Nessun significativo effe t to

EFFETTI SULL'ONERE FISCALE COMPLESSIVO

Il sistema tributario diven-ta nel suo complesso meno progressivo, dovendo fare maggiore aff idamento sulla imposizione statale e locale proporzionale o regressiva per far f ronte a spese crescenti

EFFETTI DAL PUNTO DI VISTA DEGLI STATI E DEGLI ENTI LOCALI I vantaggi vanno in primo luogo ai contribuenti : solo in quanto tu t to questo aumenti l 'attività economi-ca, espandendo così la base fiscale, e solleciti una maggiore imposizione da parte degli enti inferiori, questi ne trarranno a loro volta beneficio

GRADO DI INTERVEN-TO FEDERALE NELLE DECISIONI DI SPESA STATALE E LOCALE

Nessuno

EFFETTI SULLE RELA-ZIONI FINANZIARIE INTERGOVERNATIVE

Diminuisce il ruolo dell'in-tervento federale, e compa-rativamente aumenta quel-lo degli stati e degli enti locali

VALUTAZIONE DAL PUNTO DI VISTA TECNICO-ECONO-MICO

Costituisce il piano più efficien-te, qualora si voglia ridurre: a) l 'onere dell'imposta federale sul reddi to : b) il ruolo del governo federale rispetto a quelli inferio-ri; c) la progressività del sistema tributario nel suo complesso; è del t u t to inefficace sot to il profilo dell'aiuto finanziario agli enti inferiori

VALUTAZIONE DAL PUNTO DI VISTA POLITICO

Rappresenta u n tipo di interven-t o preferito da tut te le posizioni moderate e conservatrici, e quello più criticato dalle com-ponenti liberali e progressiste

CREDITO DI IMPOSTA per i contribuenti dell 'imposta fede-

l i rale sul reddito per i tr ibuti (o alcuni di essi) pagati agli stati e ad i enti locali.

I contribuenti delle classi medio-basse avranno un maggior vantaggio nella mi-sura in cui comparativa-mente sopportano un one-re medio maggiore della imposizione statale e loca-le.

RIPARTIZIONE di una quota del gettito dell'imposta federale

III sul reddi to trasferendola agli stati in proporzione a quanto è stato prelevato nella loro giuri-sdizione.

Nessuno

TRASFERIMENTI di carattere IV generale non condizionati (Re- Nessuno

venue Sharing)

AUMENTO degli attuali pro-grammi di trasferimenti condi-zionati

Nessuno

Nessun significativo e f fe t to

Massimo vantaggio per gli stati più ricchi e minimo vantaggio per gli stati più poveri

L 'e f fe t to può essere mino-re o maggiore a seconda che la formula di riparti-zione sia puramente ba-sata sulla popolazione, ovvero includa riferimenti al reddito pro-capite o riservi una quota da ri-partirsi esclusivamente tra gli stati più poveri.

Gli effet t i potranno essere maggiori o minori a secon-da dei settori di interven-to e delle formule di ri-partizione dei fondi

Il sistema tributario è nel complesso più progressivo in quanto: a) le classi medio-basse sono avvan-taggiate); b) se il credito di imposte è riconosciuto solo per le imposte sul reddito statali e locali, questi enti sono incentivati a fare maggiore aff idamento su questo tipo di t r ibuto

Nessun significativo muta-mento, a meno che questi trasferimenti non sostitui-scano imposte statali e locali, in tal caso si potrà avere un certo aumento del grado di progressività

Nessun ef fe t to significati-vo, una maggiore progres-sività, ovvero una minore Progressività, a seconda che 1 trasferimenti non sostitui-scano imposte statali e locali, le sostituiscano, ov-vero - grazie a fat tori di sforzo fiscale - incoraggino maggiori imposizioni pro-porzionali e regressive

Nessun significativo effet-to, a meno che la quota di concorso richiesta agli enti inferiori non faccia aumen-tare le forme di imposizio-ne proporzionale e re-gressiva.

Il sistema è più efficiente delle riduzioni fiscali fede-rali nella misura in cui gli enti inferiori riescano ad aumentare a loro volta le loro imposte. Meno effi-ciente delle forme di trasfe-rimento diretto, in quanto 11 credito avvantaggia in primo luogo il contribuen-te

Costituisce un'efficiente modalità di sostegno, in quanto lascia libertà di scelta di come spende-re i nuovi proventi

Costituisce un'eff iciente modalità di sostegno in quanto lascia libertà di scelta dì come spende-re i nuovi proventi

Si trat ta di un sistema relativamente efficace: gii enti inferiori sono avvan-taggiati dai trasferimenti specifici, ma la modalità della copertura parziale tende a distorcere l'alloca-zione delle loro risorse tra settori finanziati e non.

Nessuno

Nessuno

Nessuno

Per i punto vante

motivi indicati al precedente : è rile-

Diminuisce il ruolo dell'in-tervento federale, e compa-rativamente può crescere in misura maggiore che non nel caso delle riduzioni fiscali 11 ruolo degli enti inferiori, in quanto questi riescano ad accrescere le loro entrate

Diminuisce il ruolo federa-le, aumenta quello degli stati; il peso degli enti locali potrà aumentare o diminuire a seconda che gli stati ri trasferiscano o meno parte o tutt i i fondi perce-piti

Diminuisce il ruolo federa-le, aumenta quello degli stati; il peso degli enti locali potrà aumentare o diminuire a seconda che gli stati ritrasferiscano o meno parte o tutti i fondi perce-piti

Il ruolo delle scelte com-piute a livello federale è decisamente maggiore, in-terferendo profondamente nelle decisioni degli stati e degli enti locali

Costituisce il sistema più effi-ciente se l 'obiettivo è quello di ridurre l 'imposizione federale aumentando al tempo stesso la progressività del sistema e 1 benefici indiretti per l 'imposi-zione statale e locale. Non crea alcun vantaggio per quanti non pagano l ' imposta federale sul reddi to; non ha effet t i di redistribuzione perequativa di risorse

Costituisce il modo più efficien-te di far fronte ai costi crescenti dei servizi statali e locali me-diante un finanziamento su scala nazionale che non riduca la responsabilità degli enti inferio-ri. Viene esclusa ogni finalità di redistribuzione delle risorse tra gli stati

Costituisce il modo più efficien-te di far fronte ai costi crescenti dei servizi statali e locali, che non riduca la responsabilità degli enti inferiori. La finalità redistributiva può essere rag-giunta in modo più o meno incisivo a seconda della formula di ripartizione

E' il sistema più efficiente se l 'obiettivo è quello di aiutare gli enti inferiori in specifici campi; può avere una maggiore o minore efficacia redistributiva, ma limita le disponibilità finan-ziarie degli enti minori per i settori non sostenuti

Può presentare una certa attra-zione per le posizioni moderate e conservatrici: a) come forma di compromesso tra gli sgravi fiscali e interventi diretti di aiuto federale agli enti minori ; b) come riforma che ponga il contribuente in una posizione migliore r ispetto ali"'eccessivo" gravame fiscale imposto dagli stati e dagli enti locali. Nono-stante le sue caratteristiche di miglioramento della progressivi-tà globale, può non piacere ai progressisti per la sua inefficacia rispetto a maggiori programmi di spesa federale.

Questo m o d o di intervento viene forse terzo nell 'ordine di scelta dei conservatori; può poi trovare una notevole opposizio-ne tra progressisti e liberali perchè tende ad accentuare le disparità fiscali tra stati ricchi e poveri. Può essere infine messa in discussione la necessità degli enti minori di un sostegno finanziario generalizzato da par-te del governo federale

Può costituire un buon punto di incontro a metà strada tra posizioni politiche opposte. Può essere infine messa in discussio-ne la necessità degli enti sub-fe-derali di un sostegno finanzia-rio generalizzato da parte del governo federale

Per le sue possibilità redistribu-tive e di intervento federale in settori di rilevante interesse nazionale trova notevole appog-gio da parte dei progressisti; al contrario i conservatori saranno contrari per il preponderante ruolo del governo federale nel-l 'uso dei fondi .

VI Maggiori spese federali Nessuno Maggiori o minori a secon-da dei settori di spesa e della loro localizzazione

Fonte: ACIR, Fiscal Balance in the American Federai System, voi. I, 1967.

Nessun effetto rilevante Rappresenta un aiuto indi-retto nella misura in cui solleva parzialmente o to-talmente gli enti inferiori di talune funzioni

Ridotto o nessuno Netto aumento del ruolo del governo federale rispet-to a quello svolto dagli altri enti subfederali

E ' il metodo più efficace per ricondurre l ' intervento federale su settori di primario interesse nazionale. E' inefficace come aiuto agli enti minori nello svolgimento dei loro compiti

Trova il massimo appoggio pres-so liberali e progressisti specie se consiste in interventi federali diretti di politica sociale; trova l 'opposizione dei conservatori perchè porta all 'aumento del-l ' intervento federale e preclude la possibilità di sgravi fiscali.

b) Il secondo quesito si riferisce alla formula di ripartizione dei fondi. Si è certo trattato di uno dei punti più dibattuti per i risvolti non solo tecnici, ma politici ed ideologici. Le varie formule avanzate hanno fatto riferimento in via generale a tre elementi: 1) indici di bisogno. Con tutte le riserve di grossolanità, la popolazione ha costituito il princi-pale elemento di misura di necessità; 2) indici di capacità fiscale. L'ACIR ha ricostruito varie misure di capacità fiscale: reddito pro-capite; reddito pro-capite al di sopra di un certo livello minimo; red-dito prodotto pro-capite; gettito di un sistema fiscale statale e locale rappresentativo; 3) indici di sforzo fiscale, rappresentati da misure di pressione fiscale, date dal rapporto tra entrate statali e locali di carat-tere fiscale e, secondo talune proposte, anche tariffarie e le misure miste di capacità-bisogno prima indicate. Si tratta di un elemento di particolare interesse, in quanto costituisce un elemento incentivante lo sforzo fiscale (e tariffario) autonomo. Su questo punto si tornerà più oltre.

c) Il dibattito sul Revenue Sharing ha affrontato la eventualità di apporre vincoli o restrizioni o particolari condizioni all'erogazione dei fondi, quali piani di modernizzazione, di riorganizzazione, di collabo-razione con altre giurisdizioni.

d) L'ultimo tema riguarda le predeterminazioni poste in essere da parte del governo federale sul modo in cui gli Stati devono ripartire a loro volta parte o tutti i fondi agli enti locali. La scelta più rilevante emersa è quella di riservare tali fondi agli enti di governo generale, cioè con esclusione dei distretti scolastici e speciali. La procedura di allocazione adottata comporta quattro principali pas-saggi:

1) determinazione dell'importo destinato a ciascuno dei 50 Stati; 2) assegnazione di un terzo di tale importo che va allo Stato; 2/3 agli enti locali dello Stato stesso; 3) ripartizione della quota destinata ai governi locali per area di contea; 4) determinazione della quota di ciascuna giurisdizione locale esistente nell'area della contea.

In questa sede ci limiteremo ad una sintetica descrizione della formula relativa all'allocazione tra gli Stati (26). Tale formula costituisce un

(26) Per una dettagliata esposizione della complessa procedura ripartitiva si veda R. P. NATHAN et al., Monitoring Revenue Sharing, op. cit., p. 44 e sgg.

109

compromesso tra gli indirizzi espressi dalla Camera dei Rappresen-tanti e dal Senato rispettivamente, la prima più incline a favorire le aree urbane, il secondo quelle rurali. La formula del Senato attribuisce uguale peso a tre fattori:

— popolazione; — sforzo fiscale, definito come rapporto tra il gettito complessivo delle imposte dello Stato e degli enti locali del medesimo ed il reddito per-sonale dei residenti dello Stato stesso (27); — reddito relativo, definito come rapporto tra il reddito nazionale pro-capite ed il reddito pro-capite dello Stato.

Nella formula del Senato la quota di ciascun Stato viene determinata moltiplicando i tre elementi rilevanti e dividendo il risultato per la sommatoria dei prodotti corrispondenti dei 50 Stati. Nella formula della Camera dei Rappresentanti, ciascun Stato riceve l'importo risultante dalla sommatoria di cinque elementi, ognuno dei quali risulta dalla quota percentuale dello Stato di un particolare fat-tore sul totale nazionale:

— popolazione (con peso 22 per cento); — popolazione moltiplicato il reddito relativo (definizione del Senato) (peso 22 per cento); — popolazione urbanizzata (abitanti delle aree urbane aventi nuclei di città con oltre 50.000 abitanti) (peso 22 per cento); — sforzo fiscale (definizione del Senato) (peso 17 per cento); — 15 per cento del gettito dell'imposta sul reddito personale statale, ma per ciascun Stato non meno dell'I per cento e non più del 6 per cento del debito dell'imposta federale sul reddito dovuta dai residenti dello Stato (peso 17 per cento).

In base ad una intesa tra le due Camere si convenne che l'importo dovuto a ciascun Stato fosse calcolato in base ad entrambe le formule, e che ogni Stato ricevesse l'importo ad esso più favorevole, salvo gli adeguamenti in diminuzione percentuale uniforme al fine di non supe-rare l'importo totale del fondo da ripartirsi.

(27) Si noti come siano state escluse dalla misura dello sforzo fiscale le entrate tariffarie. Questo potrebbe avere, secondo alcuni, distorgenti effetti di sostituzione di servizi pagati con tariffe con servizi gratuiti finanziati con imposte. Si veda R. E. WAGNER, The Fiscal Organization of American Federalism, Marham Pu-blishing Co., 1971, pp. 103-105.

Nel quadro del sistema fiscale federale il programma del Revenue Sharing costituisce un primo passo relativamente modesto in vista di una redistribuzione di tipo perequativo tra il governo centrale e quelli inferiori. Questo programma ha ancora una portata limitata rispetto a possibili schemi perequativi di bilancio (28). Tuttavia l'efficacia redi-stributiva a favore degli Stati a bassa capacità fiscale ed alto sforzo fiscale e a sfavore degli Stati ad alta capacità fiscale e basso sforzo fiscale è sensibile. Ad esempio lo Stato più povero, il Mississippi, con un reddito personale pro-capite pari al 62 per cento della media nazio-nale ricevette nel 1972 dollari 40 pro-capite, mentre il Connecticut con un reddito pro-capite pari al 125 per cento della media nazionale ricevette dollari 22. Resta in ogni caso il fatto che l'influenza relativa in questa perequazione è modesta in relazione alla limitatezza dei fondi trasferiti a questo titolo.

5. Il principio commerciale: i prezzi pubblici

Come si disse in un sistema economico ampiamente « market oriented » il sistema dei prezzi pubblici (charges, tuitions, fees, tolls, Utilities ecc.) e i proventi di gestioni pubbliche trova notevole applicazione specie a livello locale. La tabella 11 riporta una serie di dati di proventi non

Tabella 11 - Entrate extra-tributarie per livello di governo.

In miliardi di dollari:

Federale Statale Locale

In % su entrate totali da fonti propriea: Federale Statale Locale

1957

9.4 3,0 6.5

11,0 14,0 30,0

1966

14,4 6,5

13,2

12,0 19,0 38,0

1975

32,8 18,8 34,2

10,8 15,9 34,9

a Con esclusione dei trasferimenti intergovernativi.

Fonti: B. P. HERBER, Modem Public Finance, Irwin, Homewood, 1971 e ACIR, Signifìcant Features of Fiscal Federalism, 1976-77, voi. II, 1977.

(28) Si veda Commission of the European Communities, Report of the Study Group on the Role of Public Finance etc., op. cit., cap. VI, « Budget Equalization trough General Purpose Grants in Federations ».

Ili

tributari dei tre livelli di governo. Come si osserva mentre queste en-trate sono di peso modesto per il governo federale, esse coprono circa un terzo delle entrate totali da fonti proprie (cioè senza tener conto delle entrate da trasferimenti) dei governi locali. Data questa rilevanza si può comprendere la preoccupazione per la esclusione nello schema del Revenue Sharing dalle misure di sforzo fiscale dei proventi tariffari. A livello statale la maggiore entrata di tale carattere deriva da tasse scolastiche specie per l'istruzione univer-sitaria. A queste voci si possono aggiungere proventi dai pedaggi stra-dali e dalla gestione di spacci alcolici in regime di monopolio (in 17 Stati). A livello locale si devono segnalare i proventi della gestione degli acquedotti, della produzione e/o distribuzione del gas ed elettricità, di ospedali, di servizi educativi, di tunnels e ponti. Esiste una tendenza anche in questo settore per un più esteso e razio-nale uso del sistema dei prezzi pubblici, cioè con onere della spesa a carico dell'utente. Essi sono considerati uno strumento valido per tutti e tre i livelli di governo, se applicati ad un servizio dotato di appro-priate caratteristiche, cioè divisibilità tra gli utenti, assenza di rilevanti esternalità, e suscettibilità di applicazione del principio di esclusione. Inoltre l'uso dei prezzi pubblici è neutrale sotto il profilo localizzativo e non presenta in genere difficoltà amministrative. Tuttavia si ritiene che i prezzi pubblici non sempre vengano applicati quando si giustificherebbero, e se applicati non lo siano nella maniera appropriata. Si citano certi casi di prevenzione dall'inquinamento dell'aria e dell'acqua, di servizi fognari, di pedaggi stradali, come situazioni di non o impropria applicazione dei prezzi pubblici. In tale sede non si ritiene necessario entrare in maggiori dettagli di questi aspetti. Giova unicamente ricordare che proprio questi casi concreti han fornito ampio spunto di riflessioni teoriche e di proposte pratiche sulla scelta tra imposte, quali quella sulla proprietà, che ricevono ampia giustificazione sulla base dei benefici ricevuti dai residenti, e prezzi pubblici, nei quali in misura totale o parziale è l'utente ad essere chia-mato ad assicurare la copertura del costo dei servizi pubblici divisi-bili (29).

(29) Si veda a puro titolo indicativo W. W. VICKREY, General and Specific Financ-ìng of Urban Services, in Public Expenditure Decisions in the Urban Community, a cura di H. G. SCHALLER, A Resource for the Future Book, Johns Hopkins Uni-versity Press, Baltimore, 1963, pp. 62-90.

112

9> Il debito pubblico degli Stati e degli enti locali

L'evoluzione dell'indebitamento degli enti di governo sub-federali in rapporto al debito pubblico complessivo ha subito dall'inizio del secolo notevoli mutamenti di tendenza. Questo è un segno evidente del di-verso ruolo via via assunto dai governi dei vari livelli a seconda delle varie fasi storiche. All'inizio del secolo il debito pubblico americano si ripartiva rispettivamente per circa un terzo al governo federale e due terzi agli enti sub-nazionali, di cui circa il 57 per cento a quelli locali. Negli anni '30 il governo federale raggiungeva la quota del 50 per cento del totale dell'indebitamento pubblico, per salire a oltre il 90 per cento nella seconda metà degli anni '40 ed all'inizio degli anni '50, sintomo questo dell'enorme sforzo bellico. Gli anni successivi alla guerra vedono una costante crescita nell'attività debitoria da parte degli Stati ed enti locali il cui indebitamento passa dall'8,6 per cento nel 1950 al 32 per cento nel 1974 del debito pub-blico totale americano. Infine si nota un peso crescente dell'indebita-mento degli Stati all'interno del settore sub-federale. Gli enti locali passano dal 77 per cento al 68 per cento dell'indebitamento del set-tore statale-locale nel periodo 1960-74. Questa tendenza, sia pure non molto accentuata, è segno di un maggiore attivismo dei governi statali, già riscontrato, ad esempio, in sede tributaria. In altre parole gli Stati stanno riassumendo un ruolo significativo nel sistema federale ameri-cano (cfr. tab. 12).

Tabella 12 - Debito Pubblico statale e locale (in miliardi di dollari).

1950 1960 1970 1974 (A) Totale Pubblico e Privato 490,3 874,2 1.868,9 2.777,3 Totale Pubblico 239,4 308,1 484,9 642,9 Totale Statale e Locale 20,7 64,9 145,0 205,6

Statale e locale % sul totale pubblico 8,6 21,1 29,9 32,0

1952 1962 1970 1974 (B) Debito locale %

Totale Statale e Locale 77 73 71 68

Fonte: ACIR, Significant Features of Fiscal Federalism, 1976-77, voi. II, 1977.

113

L'indebitamento statale e locale può essere descritto in base a varie caratteristiche:

a) Tipo di indebitamento. Solitamente si tratta di forme di debito pubblico con ammortamento annuale di una quota costante di interessi e di rimborso della quota capitale.

b) Finalità dell' indebitamento. La maggior parte dell'indebitamento statale e locale è destinato a spese di investimento, anche se solo una quota variabile dalla metà a tre quarti delle spese di capitale sono finanziate con ricorso al debito. Tra le destinazioni principali del finan-ziamento con indebitamento vanno ricordati gli investimenti nella grande viabilità, nell'istruzione e nei servizi di pubblica utilità.

c) Durata dell'indebitamento. Oltre il 90 per cento dell'indebitamento statale e locale è a lungo termine, con durata variabile a seconda della vita attesa dell'opera finanziata. Ad esempio l'indebitamento per acque-dotti e fognature ha solitamente una durata di 30 anni.

d) Trattamento fiscale. Gli interessi sul debito statale e locale sono prati-camente la sola forma di reddito esente dall'imposta federale sul red-dito. Questo trattamento di particolare favore consente agli Stati ed enti locali in genere di emettere debito con rendimenti inferiori alle emissioni del settore privato.

e) Detentori di titoli di debito pubblico statali e locali sono in preva-lenza privati (circa un terzo negli anni '60) e banche commerciali (quasi il 40 per cento nello stesso periodo).

f) Limiti all'indebitamento. Limiti particolari vengono posti all'indebi-tamento degli Stati, che sotto questo punto di vista sono stati classifi-cati in tre gruppi. Nel 1958 in 21 Stati esisteva un divieto costituzio-nale all'indebitamento, salvo l'adozione di uno specifico emendamento alla Costituzione dello Stato. In altri 21 Stati, oltre alla decisione del-l'assemblea legislativa dello Stato, era richiesto un referendum popo-lare. Infine solo in 8 era sufficiente il voto dell'assemblea dello Stato. Oltre alle autolimitazioni al proprio indebitamento, gli Stati impongono a loro volta limitazioni all'indebitamento dei governi locali. Il vin-colo più in uso consiste nella determinazione di un tetto al debito complessivamente contraibile stabilito in percentuale della base impo-nibile dell'imposta sulla proprietà.

Un secondo vincolo assai comune è quello di richiedere che l'emis-sione di titoli di indebitamento sia approvato da referendum. I fini di

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tali limitazioni sono quelli di assicurare la solvibilità dell'ente interes-sato e di proteggere i creditori, ovvero, per dirla con l'ACIR, le fina-lità sono di consentire ai governi locali di far ricorso al debito — con prudenza ed in modo responsabile e rispondente alle esigenze della comunità locale — con mezzo di finanziamento delle loro esigenze (30). Vale la pena ricordare che il referendum sulla emissione di debito non è una formalità senza efficacia: nel 1974 venne col voto popolare approvato un importo di debito per Stati ed enti locali di circa 8 mi-liardi di dollari, pari al 62 per cento del totale importo posto in vota-zione. L'anno successivo solo 3,4 miliardi circa di dollari ricevettero l'approvazione popolare, pari al 29 per cento del totale sottoposto a referendum! (31) Pure le limitazioni e i vincoli in atto sono stati spesso sottoposti a cri-tica, e varie proposte di miglioramento e riorganizzazione sono state avanzate. Anzi si può dire, come conclusione generale, che questo con-tinuo processo di revisione e riforma sia uno dei dati costanti del sistema fiscale federale americano. Per molti aspetti tale confronto, spesso vivace, di posizioni di economisti e sociologi, politologi e parla-mentari, sindaci e governatori, funzionari dei vari enti ed agenzie, gruppi di vicinato e rappresentanze di minoranze razziali, è assai più ricco di insegnamenti ed illuminazioni, anche per i problemi di altri paesi, di quanto non siano spesso i risultati concreti che da esso deri-vano in una situazione così complessa ed articolata, ricca di fermenti, sperimentazioni e contraddizioni, ed in cui la gelosa tutela dell'auto-governo porta spesso a rigettare soluzioni dirette a conseguire mag-giori, e talvolta desiderabili, omogeneità.

(30) ACIR, State Constitutional and Statutory Restrictions on Locai Govern-ments Debt, 1961, p. 39. Sempre dell'ACIR si vedano le tavole relative al tema in esame in Signifìcant Features of Fiscal Federalism, 1976-77. Per una accurata disamina si veda J. A. MAXWELL, Financing State and Locai Governments, op. cit., il capitolo Vi l i , « State and Locai Debt ». (31) ACIR, Undestanding the Market for State and Locai Debt, 1976.

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QUADERNI PUBBLICATI

1. Censis, « Mobilità e mercato del lavoro », Ipotesi di revisione delle politiche di avviamento al lavoro e di garanzia economica per i disoccupati.

2. Censis, « Mobilità e mercato del lavoro », Ipotesi di un diverso regime dell'anzianità di lavoro.

3. Censis, « Mobilità e mercato del lavoro », Ipotesi di intervento sulla durata e distribuzione del tempo di lavoro.

4. Censis, « Mobilità e mercato del lavoro », Linee di intervento diretto a favore di una politica attiva della mobilità del lavoro. Linee di approccio a un'ipotesi di salario familiare.

5. Censis, « Mobilità e mercato del lavoro », / caratteri della partecipazione al lavoro nella società italiana.

6. «La programmazione regionale: il caso del Piemonte». A. Viglione, S. Lombardini, G. Frignani, C. Simonelli, Obiettivi e problemi della programmazione regionale piemontese.

7. «La programmazione regionale: il caso del Piemonte», G. Maspoli, G. Tamietto, B. Ferraris, Il rilancio dell'agricoltura piemontese.

8. «La programmazione regionale: il caso del Piemonte», R. Cominotti, S. Bajardi, A. Benadì, L'industria piemontese, soggetto attivo e utente della programmazione regionale.

9. R. Caporale, R. Dobert, « Religione moderna e movimenti religiosi ».

10. Istituto Affari Internazionali, « Prospettive dell'integrazione economica europea ».

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11. « La programmazione regionale: il caso del Piemonte », M. Rey, A. Gandolfi, L. Passoni, Finanza regionale e finanza locale.

12. G. Carli, G. Guarino, G. Ferri, U. Agnelli, « Libertà economiche e libertà politiche. Riforma dell'impresa e riforma dello Stato ». (Relazioni introduttive al Convegno del 17-18 giugno 1977).

13. «Regioni: verso la seconda fase», Sintesi di un dibattito.

14. « Lavoro manuale e lavoro intellettuale », E. Gorrieri, Il trattamento del lavoro manuale in Italia e le sue conseguenze.

15. « Libertà economiche e libertà politiche. Riforma dell'impresa e riforma dello Stato »,

Sintesi di un dibattito.

16. « Gestione decentrata dello sviluppo e le imprese minori », A. Bagnasco, P. Cucchi, E. Jalla, Organizzazione territoriale dell'industria manifatturiera in Italia.

17. « Gestione decentrata dello sviluppo e le imprese minori », B. Cori, G. Cortesi, Prato: frammentazione e integrazione di un bacino tessile.

18. « Lavoro manuale e lavoro intellettuale », Luigi Firpo, Il concetto del lavoro. Ieri, oggi, domani.

19. L. Levi, S. Pistone, D. Coombes, L'influenza dell'elezione europea sul sistema dei partiti.

20. C. Paracone, G. Nicoletti, S. Maurino, Servizi sociali: autonomie locali e volontariato. Un'ipotesi di lavoro.

21. R. B. Freeman, Declino del valore economico dell'istruzione superiore nel sistema sociale americano.

22. « Il modello di Torino », V. Caramelli, N. Rossi, V. Siesto, Prezzi e produzione nei settori produttori di beni commerciabili e non commerciabili in Italia: 1960-1976.

23. « Parlamento ed informazione », C. Macchitella, Gli apparati informativi del Parlamento inglese.

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24. G. Brosio, D. Hyman, W. Santagata, Gli enti locali fra riforma tributaria, inflazione e movimenti urbani. Un contributo all'analisi del dissesto della finanza locale.

25. « Il modello di Torino », V. Caramelli, Approcci alternativi alla bilancia dei pagamenti: alcune considerazioni sulla loro rilevanza per il caso italiano.

26. « Parlamento ed informazione », S. Vannucci, Gli apparati informativi del Congresso degli Stati Uniti d'America.

27. « Il modello di Torino », P. G. Motta, N. Rossi, La funzione dei salari in Italia: una rassegna della evidenza empirica.

28. « Il modello di Torino », P. G. Motta, La funzione del consumo: una breve rassegna della evidenza empirica per l'Italia.

29. « Autonomia finanziaria del Governo locale », B. Gatti, La finanza locale tra economia e istituzioni.

30. « Gestione decentrata dello sviluppo e le imprese minori », R. Artioli, R. Barberis, F. Iano, L'economia delle piccole e medie industrie in Italia.

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