Autonomia e Titolo V nelle pronunce della Corte DEFINTIVA · della Costituzione e sia stato...
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AUTONOMIA E TITOLO V NELLE PRONUNCE DELLA
CORTE COSTITUZIONALE
INTRODUZIONE:
Buon giorno a tutti.
Ringrazio gli organizzatori di questo Convegno per avermi dato
l’opportunità di partecipare ad un fondamentale momento di
riflessione; ringrazio anche i presenti per la pazienza che vorranno
prestare nell’ascoltare questa mia comunicazione che,
necessariamente, per i temi che tratterò, impone un tecnicismo che
mi auguro non vi annoi troppo.
Il tema che mi è stato assegnato, come avrete visto nella
brochure del Convegno, riguarda un'analisi dell’autonomia scolastica e
del titolo V alla luce delle pronunce della Corte Costituzionale.
A tal fine, quindi, è necessario che preliminarmente faccia
breve disamina, delle modifiche al titolo V introdotte dalla L.
Costituzionale n. 3 del 2001 e dell’istituto dell’autonomia scolastica in
modo da poter inquadrare le sentenze della Suprema Corte.
QUADRO GENERALE:
AUTONOMIA SCOLASTICA
Con la Legge 15 marzo 1997 n. 59, la c.d. “legge Bassanini”, si è
cercato di dare una prima risposta alla diffusa esigenza di rendere la
Pubblica Amministrazione più vicina al cittadino ed è stata prevista
una profonda trasformazione dell’assetto amministrativo del nostro
ordinamento nella direzione di un ampio trasferimento di competenze
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amministrative dallo Stato alle Regioni ed agli enti locali (c.d.
“federalismo amministrativo”).
E’ in questo contesto, fortemente innovatore, che abbraccia
l’intero sistema delle amministrazioni pubbliche, che s’inserisce la c.d.
“autonomia scolastica”, prevista appunto dall’art. 21 della legge
Bassanini n. 59/1997. Rispetto alle precedenti riforme che si
riferivano esclusivamente alla scuola, la riforma dell’autonomia
scolastica è, invece, prevista nel contesto di una più generale riforma
della P.A. volta a valorizzare le autonomie regionali e locali attraverso
una forma di ampio trasferimento di funzioni amministrative dallo
Stato alle Regioni ed agli Enti locali; la riforma della scuola rientra,
quindi, nel più ampio processo di riforma dell’azione amministrativa.
Con l’art. 21 della L. n. 59 del 1997 viene ridisegnato, quindi, il modello
di amministrazione scolastica imperniato sull’autonomia dei singoli
istituti, con più ampie competenze gestionali dell’attività didattica
disponendo di poteri di gestione e di organizzazione, finora
tradizionalmente mantenuti dalle varie articolazioni, centrali e
periferiche, dell’amministrazione della Pubblica Istruzione. Inoltre,
riconoscendo alle singole scuole nell’ambito degli indirizzi nazionali,
un’ampia autonomia didattica, organizzativa, di ricerca,
amministrativa e contabile, l’art. 21 ha consentito ad ogni singolo
istituto di darsi attraverso il c.d. P.O.F. (Piano dell’offerta formativa)
una propria fisionomia, la c.d. “identità culturale”.
Sulla base delle modifiche sin qui citate, però, lo Stato mantiene la
propria competenza legislativa in generale secondo il criterio di cui
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alla formulazione originaria dell’art. 117 della Costituzione
antecedente alla modifica di cui tra breve parlerò, ma molte materie
che rientrano nella competenza legislativa dello Stato, per le
competenze amministrative vengono trasferite alle Regioni ed agli
enti locali. E’ questo, dunque, il c.d. “Federalismo amministrativo”.
Tuttavia, varie sono ancora le materie escluse dal cd. decentramento,
previsto dai primi due commi dell’art. 1 L. n. 59/97; dette materie,
espressamente elencate nei commi 3 e 4 della medesima norma, sono
tra le altre, quelle indicate alla lettera “q: istruzione universitaria, gli
ordinamenti scolastici, i programmi scolastici, l’organizzazione
generale dell’istruzione scolastica e lo stato giuridico del personale”
tutte materie che, attengono ad aspetti rilevanti dell’istruzione
scolastica che, in considerazione del carattere nazionale della stessa,
rimangono alla competenza non solo legislativa, ma anche
amministrativa dello Stato.
Successivamente, in attuazione del citato art. 21, con il D.P.R. n. 275
dell’8 marzo 1999 sono state dettate le “norme in materia di
autonomia delle istituzioni scolastiche”, ma come specificato dall’art.
8 del citato D.P.R., al livello statale spetta la determinazione degli
obiettivi educativi generali e la fissazione degli standards di qualità
di livello nazionale.
L’art. 1, infatti, al comma 1 del citato D.P.R. n. 275/99, definisce
l’autonomia scolastica disponendo che le scuole sono autonome non nel
senso che sono al di fuori del sistema statale, ma nel senso che
svolgono la loro attività nell’ambito del sistema statale, e, quindi,
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nell’ambito delle norme generali e degli indirizzi nazionali, ma ciascuna
con una propria autonoma progettualità cd. autonomia funzionale.
Ciò, ovviamente, non comporta libero arbitrio come, invece, l’attuale
Ministro pensa che i fautori dell’autonomia scolastica intendano
sostenere; molte volte, infatti, anche di recente, ai sostenitori della
autonomia scolastica viene opposto il rispetto della legalità; molti
avvocati dello Stato ad esempio, al fine di convincere i Dirigenti
scolastici della regolarità della legittimità della figura del tutor (di
cui al Dl.vo 59 del 2004), hanno, ad esempio, sostenuto che il non
applicare la legge cd. Moratti avrebbe comportato una violazione di
legge primaria, quando invece, in nome dell’autonomia scolastica i
Dirigenti Scolastici sono tenuti ad osservare quanto deliberato dal
Collegio dei docenti. Questo per rispondere anche all’Onorevole
Ministro Moratti che, di recente, ha pubblicato un dossier dal titolo
“le bugie della scuola”, ove, tra le altre accuse mosse ai Sindacati ed
in particolare alla FLC, il Ministro afferma che coloro che non
applicano la legge Moratti, violerebbero una legge primaria e che ciò
sarebbe stato affermato anche dalla Corte Costituzionale. Sin da ora
è opportuno ribadire come la Corte Costituzionale con la sent. n.
13/04 abbia affermato il rilievo costituzionale dell’istituto
dell’autonomia scolastica, rilevando, ovviamente, come essa non debba
costituire libero arbitrio, ma sia da salvaguardare sia dalle leggi
regionali, che da quelle statali; mentre la sentenza n. 279/05, sempre
citata dal Ministro nel dossier di cui sopra, e della quale parlerò tra
poco, si è limitata ad affermare che lo Stato ha competenza sulla
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normativa generale relativa all’istruzione e che le regioni hanno
competenza sui principi generali dettati dallo Stato, respingendo,
quindi, un ricorso proposto dalla Regione Emilia che censurava il
Decreto Legislativo 59/04, confondendo, però, tra competenza
statale e competenza regionale.
Il concetto di “autonomia funzionale”, quindi, unitamente
all’attribuzione della personalità giuridica, ha indotto parte della
dottrina ad affermare che per effetto di tale “autonomia funzionale”
le istituzioni scolastiche acquistavano una piena autonomia non tanto
dagli esecutivi, quanto dall’Amministrazione statale; tale opinione
muove, però, dal presupposto secondo cui l’Amministrazione statale è
per sua natura monolitica ed è rappresentata solo ed esclusivamente
dal modello ministeriale con il relativo apparato burocratico.
Di conseguenza, secondo tale opinione, l’autonomia “funzionale”,
prevista dall’art. 21 L. n. 59/97 per le istituzioni scolastiche, si
collocherebbe nel quadro del “sistema dei poteri pubblici locali”; a
tale proposito è stata richiamata la nota sentenza della Corte
Costituzionale (sent. n. 477 del 2000) che ha definito le Camere di
Commercio “un ente pubblico locale dotato di autonomia funzionale,
che entra a pieno titolo, formandone parte costitutiva, nel sistema
dei poteri locali”; le istituzioni scolastiche, come le Camere di
Commercio, secondo tale opinione “si collocano in una posizione
intermedia tra lo Stato e gli Enti territoriali” e si precisa ancora che
“proprio tale collocazione intermedia rende le autonomie funzionali
forme di organizzazione che non sostituiscono, ma casomai
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“integrano” sia l’azione delle amministrazioni statali e sia quelle delle
amministrazioni territoriali”.
Il riferimento alle Camere di Commercio non pare, quindi, proponibile,
anche perchè come ha precisato la Corte Costituzionale nella citata
sentenza, la L. 580/93 attribuisce alle Camere di Commercio la
natura “di enti rappresentativi della rete dei soggetti che, secondo la
legge, costituiscono la struttura dell’economia provinciale e come tali
dotati anche di autonomia statutari”; si tratta di strutture che hanno
natura e collocazione del tutto diverse dalle istituzioni scolastiche;
difatti, nessuna norma costituzionale prevede la istituzione di
Camere di commercio statali.
Quindi, parlando l’accezione di “autonomia funzionale” deve essere
intesa in un senso limitato e contrapposto alle “autonomie locali”;
l’autonomia funzionale consiste, cioè, nell’attribuzione alle istituzioni
scolastiche di un ambito di competenze statali e che tali rimangono,
ma che meglio possono essere esercitate se affidate alle singole
scuole che meglio possono adattarle alle specifiche esigenze delle
diverse realtà e nel contempo possono in tal modo garantire con la
partecipazione di tutte le diverse componenti della scuola, il
pluralismo culturale e la libertà di insegnamento nella scuola.
TITOLO V
Passando adesso ad una breve disamina sul titolo V della
Costituzione, è opportuno ricordare come esso si trovi nella II parte
della Costituzione e sia stato modificato per effetto della legge
Costituzionale n. 3 del 18/01/2001 con la quale sono state introdotte
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alcune modifiche rilevanti anche in materia di istruzione.
L’aspetto più rilevante ed innovativo della riforma consiste
nell’attribuzione alle Regioni di una competenza legislativa, sia pure
concorrente, in materia di istruzione scolastica.
Tale attribuzione è, però, limitata poiché, ad oggi, rimane allo Stato,
in coerenza con il principio dell’art. 33 della Costituzione, la
competenza esclusiva di dettare le “norme generali sull’istruzione”
(art. 117 comma 2 lett. n); nel contempo la potestà legislativa delle
Regioni deve svolgersi nell’ambito dei “principi fondamentali” la cui
determinazione è riservata alla legislazione statale.
Occorre, quindi, come meglio vedremo nella sentenza n. 13 della Corte
Costituzionale, operare sin da ora una distinzione tra:
Competenza legislativa dello STATO ESCLUSIVA:
a) norme generali sull’istruzione
b) determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale (art. 117, II comma lettera n.)
Competenza legislativa delle REGIONI CONCORRENTE:
a) principi fondamentali la cui determinazione è
riservata alla legislazione statale (come
affermato dalla Corte nella sentenza n.
279/05).
Infine, come già rilevato, si deve tener conto anche della
“costituzionalizzazione” dell’autonomia delle istituzioni scolastiche
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che comporta una ulteriore limitazione alla potestà legislativa delle
Regioni.
L’ambito della potestà legislativa delle Regioni in materia di
istruzione scolastica si può, quindi, determinare in via residuale dopo
aver individuato l’ambito della potestà legislativa dello Stato sotto i
suindicati tre profili (oltre all’ambito riservato all’autonomia delle
istituzioni scolastiche):
a) norme generali sull’istruzione;
b) principi fondamentali;
c) livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali.
In astratto la distinzione prevista dalla riforma del titolo V della
Costituzione (art. 117 Cost.) tra le competenze legislative che
rimangono allo Stato e quelle attribuite alle Regioni potrebbe
apparire facilmente determinabile; nella realtà pratica, invece,
sorgono molti problemi, stante l’ambito incerto delle “norme generali
nell’istruzione” ed il difficile criterio distintivo tra queste ed i
“principi fondamentali”.
Anche la Corte Costituzionale nella sentenza n. 13 del 2004 citata, in
verità non fa alcun esempio chiarificatore, limitandosi a distinguere
le norme generali di competenza statale, dai principi fondamentale di
fonte regionale su determinazione statale.
Le norme generali, per opinioni concordi in dottrina, dovrebbero
riguardare gli aspetti ordinamentali (per esemplificare: gli
ordinamenti scolastici, i contenuti essenziali dei programmi necessari
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per il conseguimento del titolo di studio, il diritto di accesso di tutti
all’istruzione scolastica l’organizzazione generale dell’istruzione
scolastica costituita di scuole statali con personale statale, i
meccanismi di selezione del personale docente e non docente, lo
status del personale docente; il sistema di valutazione nazionale, le
garanzie a tutela delle libertà di insegnamento e il pluralismo
scolastico anche con riferimento al principio supremo della laicità
dello Stato ed ai diritti degli studenti e delle studentesse, la
disciplina della libertà di istituire scuole private).
Rispetto a tali materie il rapporto con la legge regionale è un
rapporto appunto di esclusione, nel senso che non dovrebbero esservi,
di regola, interferenze di quest’ultima su ciò che spetta alla legge
statale; ad escludendum, tutto ciò che non rientra negli aspetti
ordinamentali, invece, si deve ritenere attribuito alla competenza
legislativa concorrenti delle Regioni nell’ambito però dei “principi
fondamentali” che dovranno essere determinati dalle leggi dello
Stato.
Le “norme generali sull’istruzione” a differenza dei “principi
fondamentali” possono essere norme dettagliate in quanto devono
disciplinare in modo compiuto gli aspetti fondamentali del sistema
scolastico.
Difatti, la stessa maggioranza, che ha proposto in materia di
istruzione scolastica la “devoluzione” ha nel contempo approvato ed
emanato una legge di riforma del sistema scolastico (L. n. 53 del
28/03/2003 c.d. “legge Moratti”) che non si limita ad enunciare
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principi generali, ma che prevede una delega al Governo per una
disciplina più dettagliata della “norme generali”. Da qui, poi, l’equivoco
in cui è incorsa la Regione Emilia che ha proposto ricorso avverso il
Decreto Legislativo n. 59/04 sostenendo che c’era stata un’invasione
della competenza regionale, ma la Corte con la Sentenza n. 279/05 ha
affermato, non che la riforma sia cosa giusta e buona, come l’On
Moratti le ha fatto dire, ma che non vi è stata ingerenza nelle
competenze che erano statali.
I “principi fondamentali” che lo Stato deve dettare a garanzia del
carattere nazionale ed unitario del sistema scolastico dovrebbero
riguardare materie che rientrano nella potestà legislativa delle
Regioni che appunto nell’esercizio di tale loro potestà devono
attenersi “ai principi fondamentali” determinati con legge dello Stato.
Per esempio: l’organizzazione della scuola sul territorio e, quindi, il
dimensionamento delle istituzioni scolastiche che anteriormente alla
riforma del Titolo V rientravano nella competenza legislativa dello
Stato, dopo la riforma, per tali materie, allo Stato spetta la
determinazione dei “principi generali” nell’ambito di tali principi
generali le Regioni hanno una loro autonoma potestà legislativa.
Qualcuno potrebbe allora chiedersi, quale differenza c’è tra il
sistema pre-riforma e quello attuale?
La risposta è la seguente: mentre prima della riforma lo Stato poteva
disciplinare tale materia con una legge dettagliata, lasciando alle
Regioni una competenza, ex D.Lgs. n. 112/98, attuativa, ora, dopo la
riforma, lo Stato deve limitarsi a dettare i principi generali, lasciando
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la normativa più dettagliata alla potestà legislativa delle Regioni.
Si potrebbe quindi ritenere che, in materia di istruzione scolastica,
almeno nelle materie che, ai sensi del D.Lgs 112/1998 erano state
trasferite alle Regioni, queste ultime sono abilitate ad esercitare non
più solo una potestà legislativa di tipo meramente attuativo e/o
integrativo della legislazione dello Stato (così come è previsto dal
citato decreto, che alludeva alla possibilità che la legge dello Stato
demandasse alla Regione di emanare norme per la loro attuazione), ma
possono esercitare una potestà legislativa più ampia che faccia salvi
solo i principi fondamentali che al riguardo la legge dello Stato
contiene o di quelli che in futuro vorrà introdurre.
Infine l’art. 117, come si è prima rilevato, pone un ulteriore limite alla
potestà legislativa delle Regioni che devono osservare “i livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.
Poiché il diritto all’istruzione, ai sensi dell’art. 34, è un diritto che
deve essere garantito a tutti senza alcuna distinzione territoriale,
spetta allo Stato determinare i livelli essenziali delle prestazioni del
diritto allo studio ed alla ripartizione territoriale delle istituzioni
scolastiche, i criteri per la determinazione.
Si è già rilevato che l’art. 117, 2 comma ha “costituzionalizzato”
l’autonomia delle istituzioni scolastiche e si è già avuto modo di
osservare che la salvaguardia di detta autonomia rappresenta una
limite per lo stesso legislatore nazionale (v. sentenza Corte
Costituzionale n. 13/04), ma anche per il legislatore regionale.
L’ambito della potestà legislativa delle Regioni, quindi, non solo deve
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osservare i limiti delle “norme generali” e dei “principi fondamentali”
di competenza statale ed i “livelli essenziali delle prestazioni dei
diritti civili e sociali), ma deve anche osservare l’ambito che le norme
generali hanno demandato all’autonomia delle istituzioni scolastiche,
attualmente definito dall’art. 21 della L. n. 53/97 e dal D.P.R. n.
275/99.
Tutta l’attività organizzativa, amministrativa e didattica, nell’ambito
delle istituzioni scolastiche, come si deduce dal D.P.R. n. 275/99,
rientra nell’autonomia delle istituzioni scolastiche, e, quindi, è
sottratta a qualsiasi forma di intervento legislativo o anche
amministrativo delle Regioni (e quindi anche degli Enti Locali).
Da quanto prima esposto risulta evidente che l’individuazione in
concreto dell’ambito effettivo della potestà legislativa in materia di
istruzione scolastica è molto difficile; né un chiarimento in tal senso
è venuto dalla L. n. 131/03 del 05/06/2003 (cd legge “La Loggia”)
concernente “disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18/10/2001 n. 3).
Tale legge, difatti, non definisce gli ambiti riservati alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato laddove, come nel caso dell’istruzione
scolastica, tale competenza riguarda una materia demandata anche
alla potestà legislativa concorrente delle Regioni; quindi, l’ambito
della competenza legislativa dello Stato in materia di “norme generali
sull’istruzione” rimane pur sempre incerto.
La L. n. 131/03 interviene, per quanto riguarda la legislazione
concorrente, ma in modo non esplicativo; difatti all’art. 1 comma 3 si
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afferma: “nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le
Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi
fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto,
quali desumibili dalle leggi statali vigenti”.
Il Governo viene delegato ad “adottare uno o più decreti legislativi
meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle
leggi vigenti, nelle materie previste dall’art. 117, terzo comma, della
Costituzione, attendendosi ai principi di esclusività, adeguatezza,
chiarezza, proporzionalità ed omogeneità” (art. 1, comma 4).
Sulla legittimità costituzionale di un simile procedimento, la
maggioranza della dottrina ha subito espresso dubbi circa la
costituzionalità dello stesso con riferimento all’art. 76 della Cost.
che prevede, quale oggetto della legge delega, l’identificazione di
“principi e criteri direttivi” cui la fonte delegata deve sottostare,
impedirebbe che l’oggetto della delega sia costituito da principio, e
cioè da disposizioni di natura uguale a quelle della norma delegante
che dovrebbe guidarne le formulazione.
Ovviamente, se le leggi statali determinano i principi fondamentali
l’ambito residuale della potestà legislativa è facilmente individuabile;
ma se, come nella maggior parte dei casi, le leggi statali non indicano i
principi fondamentali spetta al legislatore regionale “desumerli” dalle
leggi statali con conseguenti conflitti e contraddizioni.
In conclusione, la L. n. 131/03 che avrebbe dovuto introdurre
elementi di certezza nel difficile criterio di riparto delle competenze
legislative tra Stato e Regioni, in tale senso non ha dato un concreto
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contributo.
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
Come già in parte rilevato, dopo la riforma del Titolo V della
Costituzione nel senso sopra delineato, la Corte Costituzionale, a
fronte di ricorsi proposti da alcune regioni, in via principale, ha
cominciato ad emettere le prime pronunce.
Già in precedenza, con le sentenze 407/02, 536/02 e 307/03 la
Suprema Corte era intervenuta con riferimento alla determinazione
dei “livelli essenziali” ed aveva affermato una competenza statale che
tende a limitare lo spazio della potestà legislativa delle Regioni;
soprattutto in relazione alla definizione “dei principi fondamentali” la
tendenza della Corte, con tali sentenze, sembra orientarsi ed
ampliarne il contenuto soprattutto in questa fase transitoria (v. in tal
senso le sentenze n. 303/03 e n. 361/03).
Corte Costituzionale n. 13 del 2004
La sentenza n. 13 del 2004 è stata pronunciata su di un ricorso
proposto in via principale dalla Regione Emilia Romagna.
La Corte Costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 22 della legge 28 dicembre 2001 n. 448 (legge finanziaria
per il 2002) nella parte in cui attribuisce all’Ufficio Scolastico
Regionale (organo periferico del Ministero dell’Istruzione, Università
e Ricerca) la definizione delle dotazioni organiche del personale
docente delle istituzioni scolastiche; la Corte, con la medesima
sentenza, ha inoltre precisato che per esigenze legate alla necessaria
continuità del servizio pubblico di istruzione, “l’art. 22, comma 3
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della legge n. 448 del 2001 deve pertanto continuare ad operare fino
a quando le singole Regioni si saranno dotate di una disciplina e di un
apparato istituzionale idoneo a svolgere le funzioni di distribuire gli
insegnanti tra le istituzioni scolastiche nel proprio ambito
territoriale secondo i tempi e i modi necessari ad evitare soluzioni di
continuità del servizio, disagi agli alunni e al personale e carenze nel
funzionamento delle istituzioni scolastiche”.
In tale sentenza, come è stato osservato, la Corte muove dalla
considerazione che in materia di programmazione territoriale delle
istituzioni scolastiche alle Regioni ex D.Lgs n. 112/98, in attuazione
della L. n. 59/97, erano state già trasferite funzioni amministrative e
quindi perviene alla giusta e logica conclusione “che a prescindere
dalla definizione delle rispettive sfere di applicazione e del tipo di
rapporto tra le “norme generali dell’istruzione” ed “i principi
fondamentali”, si può assumere per certo che il prescritto ambito di
legislazione regionale sta proprio nella programmazione della rete
scolastica”.
“E’ infatti implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto
spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita
nella forma della competenza delegata dall’art. 138 del decreto
legislativo n. 112 del 1998. Questo, per la parte che qui rileva,
disponeva che alle Regioni fossero delegate le funzioni
amministrative relative alla programmazione dell’offerta formativa
integrata tra istruzioni tra istruzione e formazione professionale,
alla suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali
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interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al
miglioramento dell’offerta formativa e soprattutto, alla
programmazione, sul piano regionale, nei limiti della disponibilità di
risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani
provinciali, assicurando il coordinamento con la programmazione
dell’offerta formativa integrata”.
“In una parola era conferito alle Regioni, nell’ambito della
programmazione e della gestione del servizio scolastico, tutto quanto
non coinvolgesse gli aspetti finanziari e la distribuzione del personale
tra le istituzioni scolastiche”.
“Una volta attribuita l’istruzione alla competenza concorrente, il
riparto imposto dall’art. 117 postula che, in tema di programmazione
scolastica e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito
dello Stato sia solo quello di fissare principi. E la distribuzione del
personale tra le istituzioni scolastiche, che certamente non è
materia di norme generali sull’istruzione, riservate alla competenza
esclusiva dello Stato, in quanto strettamente connessa alla
programmazione della rete scolastica, tuttora di competenza
regionale, non può essere scorporata da questa e innaturalmente
riservata per intero allo Stato; sì che, anche in relazione ad essa, la
competenza statale non può esercitarsi altro che con la
determinazione dei principi organizzativi che spetta alle regioni
svolgere con una propria disciplinare”.
Da più parti si è affermato che con tale sentenza la Corte avrebbe
affermato una sorta di regionalizzazione della gestione delle scuole
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e, quindi, anche del personale della scuola statale tanto che negli
uffici dei CSA, successivamente alla pubblicazione della sentenza si
sentiva dire che “i docenti saranno assegnati dalle regioni alle scuole”.
Sembra però di poter affermare che, invero, la Corte si sia limitata a
rilevare che le Regioni, che avevano già una competenza
amministrativa in materia di programmazione delle scuole nel
territorio ex D.Lgs. n. 112/98, per effetto dell’art. 117 Cost.
novellato abbiano ora, in tale materia, una competenza legislativa
nell’ambito dei principi fondamentali che spettano sempre allo Stato,
ed abbiano anche una competenza in materia di “distribuzione del
personale tra le istituzioni scolastiche”; limitatamente alla
determinazione degli organici.
Si deve ritenere che il citato “alla distribuzione del personale tra le
istituzioni scolastiche” abbia causato un equivoco; difatti, detta
formulazione ha indotto qualcuno a ritenere che la Corte abbia inteso
riconoscere alle Regioni una competenza legislativa in materia di
assegnazione del personale alle istituzioni scolastiche e, quindi, di
gestione del personale avviando in tal modo un processo di
“regionalizzazione” del personale della scuola statale.
Si deve, però, rilevare che la Corte ha esaminato la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 3 L. n. 448/01 che
riguarda la determinazione delle ”dotazioni organiche”, cioè i posti di
docenti delle istituzioni scolastiche e non l’assegnazione del personale
alle istituzioni scolastiche, né le relative procedure per la copertura
di tali posti che sono disciplinate dalle norme generali sul
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reclutamento e dai contratti collettivi; si deve, pertanto, ritenere
che la sentenza della Corte debba essere riferita non tanto alla
assegnazione del personale alle dotazioni organiche delle singole
istituzioni scolastiche, quanto alla determinazione delle dotazioni
organiche delle singole istituzioni nell’ambito della dotazione organica
assegnata a ciascuna regione.
La sentenza della Corte ha, difatti, molto opportunamente chiarito
che la materia della programmazione scolastica nel territorio e la
distribuzione delle dotazioni organiche tra le istituzioni scolastiche,
che è strettamente connessa alla programmazione, nell’ambito dei
principi generali definiti con legge statale, è attribuita alle Regioni
sia per quanto riguarda la funzione amministrativa, sia per quanto
riguarda quella legislativa; ma tali materie non implicano la gestione
del personale delle scuole statali; tale personale rimane statale ex
art. 33 Cost. e come tale deve essere gestito dallo Stato.
Sentenza Corte Costituzionale n. 33 del 2005
Sentenza Corte Costituzionale n. 34 del 2005
Con le sentenze in questione la Corte Costituzionale si è espressa su
due ricorsi, il primo proposto dalla Regione Lombardia ed il secondo
dal Presidente del Consiglio avverso una legge regionale dell’Emilia
Romagna.
Infatti, con la sentenza n. 33 del 2005, con riferimento alla sollevata
questione di legittimità costituzionale, da parte della Regione
Lombardia, delle norme di cui alla cd. legge di parità (L. 62 del 2000)
con riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, laddove
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l’intervento statale della Legge, ad avviso della Regione Lombardia
avrebbe leso la competenza regionale, in quanto l’art. 117 tra le
materie di competenza regionale includeva “L’assistenza scolastica” e
laddove sarebbe stato comunque “usato” male in quanto non
coordinato con le Regioni. 118 della Costituzione, la Corte ha respinto
il ricorso e tutte le censure in esso contenute.
Con la sentenza n. 34, invece, a contrariis, la Corte si è pronunciata
su di un ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri su
di una questione di legittimità costituzionale di alcuni articoli della
Legge della Emilia Romagna n. 12 del 2003 avente ad oggetto le
“norme per l’uguaglianza di accesso al sapere”, che in totale
abrogazione di una precedente legge regionale (la n. 3 del 1999 con
cui era stato delineato il sistema educativo regionale), si proponeva di
valorizzare la persona umana attraverso l’innalzamento dei livelli
culturali e professionali. Ad avviso della difesa erariale, però, la
Regione avrebbe travalicato le sue competenze violando con la
normativa in questione gli artt. 3, 97 e 117 della Costituzione in
relazione ai principi fondamentali dettati dallo Stato nella materia
dell’istruzione.
La Regione Emilia Romagna, infatti, nella propria legge regionale ha
trattato le varie tappe del sapere dalla scuola dell’infanzia ivi
compresa l’educazione degli adulti, ma la Corte, contrariamente a
quanto affermato nel ricorso la Presidenza del Consiglio, ha
dichiarato la manifesta infondatezza della questione ribadendo,
quanto già sopra delineato, e cioè l’importanza della competenza
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legislativa della regione di natura concorrente.
La Corte, infatti, ha affermato come la regione Emilia Romagna non
abbia scalfito la competenza legislativa in tema di istruzione dello
Stato dal momento che con la legge regionale in questione si è
limitata a dettare modalità di attuazione di nel rispetto dei principi
generali dettati dalla normativa statale.
Sentenza Corte Costituzionale n. 279 del 2005
Successivamente, alle predette sentenze, le regioni dell’Emilia
Romagna ed il Friuli Venezia Giulia, si sono inoltrate in un terreno
“scivoloso” e, diversamente, da come hanno operato i Sindacati, hanno
impugnato, avanti alla Corte Costituzionale, in via principale, la L. n.
53/03 (cd Legge Moratti) ed il D.Lgs. n. 59/04, attuativo della citata
legge per la parte relativa al primo ciclo di istruzione per violazione
dell’art. 117 Cost. in quanto detta legge avrebbe invaso l’ambito della
potestà legislativa delle suddette Regioni.
Invero, detta legge e soprattutto il D.Lgs. n. 59/04 presenta molti
dubbi di illegittimità costituzionale ad esempio per violazione dell’art.
76 Cost. in quanto disciplina materie non previste nella legge di
delega; ma soprattutto appaiono in palese contrasto con il principio
dell’autonomia scolastica molte disposizioni del D.Lgs. n. 59/04 ed in
particolare: le norme che disciplinano aspetti che rientrano
indubbiamente nell’ambito dell’autonomia scolastica (es. la
designazione del tutor nelle scuole del I ciclo, il cd “portfolio” ecc.) o
l’introduzione del sistema dell’istruzione e formazione professionale
che, invece, nell’ordinamento costituzionale (anche dopo la riforma
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del titolo V) fa parte del distinto sistema demandato alla competenza
legislativa esclusiva delle Regioni.
Se si esclude quest’ultima parte relativa all’istruzione e formazione
professionale, la lamentata (da parte delle Regioni) invasione
dell’ambito di competenza legislativa delle Regioni non pare fondata;
si tratta, difatti di una legge, che detta le norme generali
dell’ordinamento scolastico che in quanto tali rientrano nella
competenza esclusiva dello Stato.
La Corte Costituzionale, infatti, con la sentenza n. 279 del 2005 ha
espressamente affermato quanto sinora detto dichiarando: “La
questione da risolvere in via logicamente preliminare- sulla quale la
stessa difesa delle regioni non ha mancato di richiamare l’attenzione-
riguarda proprio la individuazione delle norme generali e la loro
distinzione non solo dalle altre norme, di competenza delle Regioni,
ma anche dai principi fondamentali di cui all’art. 117 III comma della
Costituzione.”
La Corte afferma che il discrimine si ritrova nella ratio che ha
indotto ad attribuire su certe materie la competenza allo Stato ed in
materia di istruzione le norme generali sono quelle sorrette, in
relazione al loro contenuto, da esigenze unitarie.
Quindi, nel caso in esame, la Corte non rinviene fondata alcuna
eccezione di invadenza da parte del legislatore statale nella
competenza regionale, ma solo la mancata osservanza del principio di
leale collaborazione tra organi dello Stato dal momento che per
quanto riguarda la questione degli anticipi nella scuola primaria, la
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Corte lamenta la mancata previsione del Decreto legislativo n. 59 del
2004 del parere della Conferenza Stato Regioni.
Ciò però, non vuol dire, come invece, viene di recente affermato dal
Ministero con il citato “dossier” che la sentenza abbia riconosciuto
legittimità costituzionale al Decreto legislativo n. 59 del 2004, dal
momento che tutti i dubbi di legittimità rimangono avuto riguardo
all’eccesso di delega è solo che le Regioni hanno puntato la loro
attenzione su aspetti diversi.
CONCLUSIONE
Al termine di questa breve disamina sembra poter affermare che con
riferimento, all’autonomia ed al Titolo V, l’incapacità del Governo di
aprire un confronto istituzionale vero su che cosa comporti
l’attuazione del Titolo V della Costituzione implica un ruolo sempre più
rilevante della Corte Costituzionale che con le sue Sentenze di fatto
supplisce ad una funzione che dovrebbe competere alla politica e che
fino ad ora sembra essere arrivata all’affermazione di tre importanti
principi.
il principio dell’autonomia scolastica quale principio
costituzionalmente garantito anche al fine di tutelare gli altri
principi costituzionali in materia di istruzione ed in particolare
l’art. 33;
competenza legislativa dello Stato in tema di istruzione con
riferimento ai livelli essenziali;
competenza regionale in tema di istruzione di dettaglio,
residuale rispetto a quella statale ed all’autonomia scolastica
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Infine, occorre rilevare come il testo del disegno di legge
costituzionale approvato dal Camera il 20 ottobre 2005 concernente
le modificazioni di articoli della parte II della Costituzione, per
quanto riguarda il titolo V, all’art. 39, espressamente, prevede al
punto 10 che il quarto comma dell’art. 117 della Costituzione è
sostituito dal seguente: « Spetta alle Regioni la potesta` legislativa
esclusiva nelle seguenti materie tra le quali al punto:
b) organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di
formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche;
c) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di
interesse specifico della Regione;
e) ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione
dello Stato ».
Se detto disegno di legge dovesse andare in porto, ovviamente, molte
sarebbero le discussioni da aprire ed incontri come quello odierno
meriterebbero di essere ripetuti in quanto le conseguenze che si
potranno avere richiederanno un’attenta riflessione da parte di tutti
gli operatori del settore.
Grazie
Avv. Isetta Barsanti Mauceri