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AUTO AIUTO Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici Poste Italiane Spa - Spedizione in abbo- namento postale - D.L. 353/2003 (Conv: in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 2, DCB Bolzano Reg. 3.7.1995, n. 17/95, Nr. 2/2010 INSERIMENTO LAVORATIVO VERSO UNA CITTADINANZA ATTIVA 27 aprile 2010

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Giornale - Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici, Bolzano (Italia)

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Auto Aiuto

Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici

Poste italiane Spa - Spedizione in abbo-namento postale - D.L. 353/2003 (Conv: in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 2, DCB Bolzano Reg. 3.7.1995, n. 17/95, Nr. 2/2010

INSERIMENTOLAVORATIVO

VERSOUNA CITTADINANZAATTIVA 27aprile2010

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Auto Aiuto

Indice

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pagina 16

Editoriale

Inserimento lavorativo Conversazioneconildott.Sinn

Inserimento lavorativo - legislazione

Cooperativa Sociale “Mebocoop”

“Punto di Sostegno” e inserimento lavorativo

La situazione in Alto Adige

Il lavoro è la miglior medicina...

L’angolo dell’ascolto Leemozioni

Parliamone insieme Sessualità

Verso una cittadinanza attiva 2010 Sonomalatopsichico.Eallora...?!

1° Giornata Ufologica Nazionale

La Salute Mentale in Italia: Manifestazione Nazionale

iMPRESSuM

opuscolo informativo quadrime-strale dell‘Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici

Registrato al tribunale di Bolza-no: Nr. 17/95 R.St. del 3.7.1995

Editore:Associazione Parenti ed Amici di Malati PsichiciVia G. Galilei, 4/a39100 Bolzanotel. 0471 260 303 Fax 0471 408 [email protected]

Responsabile:Prof.ssa Carla Leverato

Redazione:Martin Achmüller, Laura Kob, Lorena Gavillucci, Margot Gojer, Carla Leverato, Stefano Masche-roni, Alessandra Masiero

traduzione:Martin Achmüller, Margot Gojer, Carla Leverato

Foto:Archivio, Martin Achmüller, Mar-got Gojer, Carmen Premstaller

impostazione e veste grafica:Carmen Premstaller

Stampa:Karo Druck, Frangarto

La redazione ringrazia per la preziosa collaborazione tutti co-loro che hanno contribuito alla pubblicazione di quest‘edizione. Si riserva il diritto di effettuare abbreviazioni ai testi.

Con il sostegno della Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige Ripartizione alle Politiche Sociali

Con il sostegnodella Città di Bolzano

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EDitoRiALE

Cari lettori!Carla Leverato

Perladignitàdellapersona

I n questo periodo di crisi economica e di licenziamenti può capitare più

facilmente di riflettere sul significato del lavoro e della disoccupazione.

il lavoro è un diritto riconosciuto dalla costituzione italiana a tutti i cittadini, escludendo qualsiasi forma di discriminazione, e la mancanza di lavoro è mancanza di qualche cosa di vitale, di fondamentale per la dignità della persona umana, causa di disagio e sofferenza non solo per l‘interessa-to, ma per tutta la sua famiglia.

Nella vita di una persona è determi-nante ed essenziale avere un ruolo riconosciuto nella società, avere con-tatti sociali, avere il proprio tempo ritmato dall‘attività e dal riposo, esse-re autonomi e indipendenti, ricono-scersi capaci di intervenire sulla pro-pria vita, di avere attitudini, di sentirsi utili, realizzati.

Per non parlare della necessità di avere una remunerazione che per-metta di soddisfare almeno i bisogni fondamentali dell‘esistenza, come avere un‘abitazione, nutrimento, abi-ti, possibilità di imparare e perfezio-narsi, di impegnare con soddisfazione il proprio tempo libero...

tutto ciò crolla insieme con l‘au-tostima se non si ha la possibilità di lavorare.

La pensione di invalidità, che può essere in determinati casi l‘unica pos-sibilità di avere una sussistenza, non è certamente un sostituto di tutto quel-lo che rappresenta il lavoro.

Come si può leggere nei vari articoli che abbiamo raccolto in questa edi-zione della nostra rivista sul tema del lavoro, se questo può essere la miglior medicina, nella concreta realizzazione tante sono le difficoltà che si incontra-no, per i sani, un po‘ di più per i disabi-li e moltissimo per i malati psichici.

Non solo succede che non ogni me-dicina è adatta a tutti, ma le cautele, i presupposti, le condizioni perché la cura sia efficace sono tantissimi e se ne manca uno se ne distrugge l‘effica-cia quando addirittura non si aggrava la situazione.

Vale la pena di ricordare che tutti sia-mo coinvolti in questo percorso di in-serimento o reinserimento lavorativo dei malati psichici, che rappresentano la fascia più debole della società.

La dignità umana, se non deve rima-nere qualcosa fatto di vuote parole senza significato, richiede infatti per la sua costruzione e il suo manteni-mento il fattivo costante contributo di noi tutti.

Avere dignità significa essere merite-voli di rispetto, di considerazione e ciò deve valere per tutte indistintamente le persone.

La partenza allora è ancora e sempre l‘abbattimento dei pregiudizi, dello stigma, della paura; il coraggio inve-ce di credere nella possibilità che le persone, ogni persona, hanno di mi-gliorare la propria situazione di vita, di costruirsi un futuro, di realizzare le proprie aspirazioni, di occupare nella società un posto confacente, di dare il proprio contributo alla comunità, sani o malati che siano.

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Inserimento lavorativoDott.ssa Laura Kob in conversazione con il dottor Helmuth Sinn, direttore della Ripartizione Lavoro

A bbiamo incontrato il direttore della Ripartizione Lavoro della

Provincia Autonoma di Bolzano, dot-tor Helmuth Sinn (che qui cogliamo l’occasione di ringraziare vivamen-te per la gentilezza e la disponibilità manifestate), il quale ci ha fornito una panoramica sui servizi e le possibilità esistenti nell’ambito dell’inserimento lavorativo di persone disabili.

in primo luogo la premessa da cui è partito il dott. Sinn, una considera-zione maturata nella sua ampia espe-rienza, è un dato importante sul quale riflettere: nella prassi d’inserimento lavorativo delle persone disabili le dif-ficoltà maggiori si riscontrano proprio nella mediazione al lavoro di persone con disagio psichico e queste dipen-dono da un insieme di fattori, che possono riassumersi sostanzialmente nel timore delle aziende di non esse-re in grado di gestire la relazione ed i rapporti che ne conseguono e nella percezione del malato psichico come persona non affidabile.

“Esistono molti pregiudizi – ha affer-mato il dott. Sinn – e per la maggior parte delle aziende ci troviamo di fronte ad un vero e proprio tabù”.

Prosegue spiegandoci come ai pro-blemi quali la gestione delle relazioni interpersonali e la ventilata discon-tinuità nel servizio (sia come presen-za, che come prestazione lavorativa) vanno ad aggiungersi spesso fattori correlati alla qualifica professionale e alla formazione del malato psichico. infatti, sovente la persona con disagio psichico possiede una qualificazio-ne medio-alta (diploma, laurea) che determina un divario fra le effettive possibilità occupazionali e i requisi-ti del lavoratore con il conseguente mancato riconoscimento della stessa da parte dell’azienda.

Al malato psichico viene quindi spesso offerto un lavoro, che si situa a livelli inferiori rispetto non solo alle sue aspettative, ma anche alle sue competenze professionali. Questa situazione scaturisce dal fatto che le competenze professionali possedute non sono ritenute sufficientemente attendibili , sia perché più elevato è il ruolo ricoperto, più elevati sono i livelli di impegno richiesto e di stress e l’azienda presume che la persona con disagio psichico non sia in grado di poterli sostenere (la situazione può essere più ampia e complessa, varian-do fortemente da caso a caso n.d.r.).

Abbiamo chiesto al dott. Sinn quale sia il percorso che una persona “diver-samente abile” deve intraprendere per accedere al sistema dell’inseri-mento lavorativo.

La persona, che è in possesso di una certificazione di invalidità attestante una percentuale di riduzione della capacità lavorativa compresa fra il 46% e il 100%, può rivolgersi presso il Centro di mediazione lavoro del-l’ufficio Servizio Lavoro in cui insiste la propria residenza o domicilio che provvede, se il soggetto è disoccupa-to ed è alla ricerca di una occupazione compatibile con le proprie condizio-ni di salute, all’iscrizione nelle liste di disoccupazione. Successivamente la

persona disabile per poter iscriversi negli elenchi del collocamento mirato deve sottoporsi ad un accertamento da parte della competente commis-sione medica per la definizione delle linee progettuali per il collocamento mirato. La commissione medica pre-via acquisizione delle informazioni riguardanti la sfera sociale, scolastica, economica e lavorativa della persona disabile tramite una conferenza dei servizi stabilisce l’ambito lavorativo in cui è ipotizzabile l’inserimento, le eventuali misure da intraprendere per favorine l’integrazione lavorati-va, quantifica anche la più adeguata entità del carico lavorativo e del rela-tivo orario (full time o part time). inol-tre la medesima commissione medica stabilisce se la persona disabile sia maggiormente compatibile con un contesto occupazionale protetto (la-boratorio occupazionale, cooperativa sociale, etc.) rispetto al mercato del lavoro tradizionale.

Per le persone disabili le quali non possono concorrere immediatamen-te ad un reale contratto di lavoro, il Centro di mediazione lavoro – servi-zio inserimento lavorativo, attiva dei progetti occupazionali tramite una convenzione di affidamento nelle aziende pubbliche e private.

La convenzione di affidamento con-sente l’inserimento in azienda delle persone disabile che può durare da tre mesi fino a più anni. Durante la convenzione di affidamento la perso-na disabile viene seguita dai tecnici per l’integrazione lavorativa dei Cen-tri di mediazione lavoro nonché dagli assistenti al posto di lavoro delle co-munità comprensoriali. Questo tiroci-nio viene costantemente osservato e monitorato e sono previsti incontri periodici fra gli operatori del territorio, dei servizi specialistici e talora anche da ulteriori tutors fra cui la persona di riferimento in azienda. Quest’ultima figura oltre a impartire le istruzioni per l’esecuzione dei compiti previ-

Dottor Helmuth Sinn

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sti durante l’inserimento ha anche il compito di informare e sensibilizzare l’ambiente lavorativo in cui la persona è inserita, in modo da favorire le mi-gliori condizioni di accettazione.

La convenzione di affidamento in azienda può assumere tre finalità e qualificarsi pertanto quale

progetto d’inserimento lavorativo di osservazione e addestramentoprogetto d’inserimento lavorati-vo assistenziale o progetto d’inserimento lavora-tivo propedeutico all’assunzione

Attualmente oltre il 50% delle per-sone inserite in convenzione di affi-damento (complessivamente ca. 300 unità) fruisce di un inserimento lavo-rativo di tipo assistenziale.

E’ importante chiarire che questi progetti a medio o lungo termine non costituiscono un rapporto di lavoro in quanto sono uno strumento di abili-tazione/riabilitazione lavorativa e non prevedono l’instaurazione di un rap-porto di lavoro, ma sono un periodo occupazionale assimilabile a percorsi di formazione: il soggetto che é in possesso di pensione di invalidità continua a percepirla in quanto la convenzione di affidamento prevede per la persona disabile l’ottenimento di un premio-sussidio mensile (“ta-schengeld”) non assoggettabile iRPEF ed è prevista la copertura assicurativa contro gli infortuni sul lavoro.

Le persone che a seguito dello svol-gimento di questi percorsi riabilitativi al lavoro maturano i requisiti per aspi-rare ad un contratto di lavoro il per-corso convenzionale si conclude. A questo punto si giunge ad una assun-zione che è disciplinata dalla vigente normativa in materia di lavoro e vale a tutti gli effetti il contratto collettivo del settore in cui il soggetto è assunto: ciò significa stessi diritti e stessi doveri di tutti gli altri lavoratori, salvo quanto eventualmente previsto da specifiche normative come la legge 104/92 e

salvo l’obbligo del datore di lavoro di rispettare l’assegnazione di mansioni compatibili con lo stato di salute del lavoratore disabile.

Non sussistono, quindi, differenze di trattamento retributivo e previden-ziale rispetto agli altri lavoratori ed a questo proposito si ricorda come la pensione di invalidità non sempre sia cumulabile con lo stipendio qualora venga superata una determinata so-glia di reddito.

Abbiamo inoltre chiesto quante siano le aziende soggette all’obbli-go d’assunzione di persone disabili e quante le persone disabili coinvolte in progetti di inserimento lavorativo.

La legge 12 marzo 1999, n. 68 preve-de l’obbligo di assunzione di invalidi per le aziende private e le istituzio-ni pubbliche che occupano almeno quindici dipendenti; in particolare: da 15 a 35 dipendenti è previsto l’obbligo d’assunzione di una persona disabile; da 36 a 50 di due persone e oltre i 50 dipendenti il 7% in relazione al perso-nale occupato.

in provincia di Bolzano sono 1.202 le aziende private e 109 gli enti pubbli-ci soggetti a questa normativa; nelle aziende private sono assunte tramite il collocamento mirato 1.045 persone disabili e nei servizi pubblici 665, per un totale di 1.710 occupati.

La stima di quante persone disabili con disagio psichico siano assunte presso i datori di lavoro non è pos-sibile in quanto, per rispetto della privacy, la dichiarazione annuale del personale dipendente delle aziende soggette al collocamento mirato non contiene alcuna informazione in me-rito alla causa invalidante della per-sona disabile assunta. Al 31 dicembre 2009 le persone iscritte negli elenchi del collocamento mirato dei Centri di mediazione lavoro della Provincia di Bolzano e che aspirano ad una occu-pazione conforme alle proprie condi-zioni di salute erano 684, di cui 656 in-

validi civili. Sul versante delle persone disabili occupate in progetti di inseri-mento lavorativo è stabile una media di ca. 300 persone all’anno.

Comunque, a titolo di esempio, il dott. Sinn rappresenta la situazione presso il Centro di mediazione lavoro di Bressanone. in questa zona sono ca. 50 le persone disabili iscritte ne-gli elenchi del collocamento mirato. Fra le persone disabili iscritte sono 12 coloro che soffrono di un disagio psi-chico (24% delle persone iscritte). Fra queste 4 hanno una condizione di in-validità pura (solo disagio psichico) e le altre 8 mista (sia fisica che psichica). Per quanto attiene invece le persone con disagio psichico occupate in con-venzione di affidamento sono inserite in relazione a 26 unità complessive, 12 persone con disagio psichico (46% del totale degli inserimenti). in questo caso si tratta di 8 persone con invalidi-tà pura (solo disagio psichico) e altre 4 con invaliditá mista (sia fisica che psichica).

il dottor Sinn afferma che gli uffici competenti per l’integrazione lavora-tiva delle persone disabili lavorando anche per sensibilizzare e contattare le aziende con meno di 15 dipendenti, riscontrando anche in questo ambito una maggiore disponibilità da parte dei datori di lavoro ad avviare progetti con persone che non siano malati psi-chici. Per trovare una maggior apertu-ra e realizzare maggiori opportunità d’inserimento per persone con disa-gio psichico è necessario uscire dalla sfera del libero mercato ed entrare in quella delle cooperative sociali di tipo B, che per il loro stesso stato giuridico sono preposte all’inserimento lavora-tivo di persone diversamente abili.

Per concludere, sdrammatizzare e forse anche riflettere, mi viene in mente una scritta appesa ad una pa-rete dell’ufficio in cui lavoro: “per la-vorare qui non occorre essere pazzi, però aiuta.”

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A nche in provincia di Bolzano tut-ti i percorsi di inserimento lavo-

rativo legati alle cooperative di tipo B fanno riferimento alla legislazione nazionale, nel caso specifico la legge numero 381 dell‘8 novembre 1991 che detta la disciplina delle coop so-ciali relativamente a questi specifici interventi.

La definizione delle cooperative so-ciali di tipo B (articolo 1), ovvero le coop mirate all‘inserimento o reinse-rimento delle persone in situazione di svantaggio, è ampia: il legislatore ha previsto infatti „lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all‘inserimento lavorativo di persone svantaggiate“.

Nell‘articolo 4 viene poi precisato che „si considerano persone svantaggiate

Inserimento lavorativo - legislazioneLorena Gavillucci

C on Alberto Emer, una lunga e quotidiana esperienza nella coo-

perativa sociale “Mebocoop” (che ade-risce al consorzio Consis, Confcoope-rative Bolzano), parliamo di quale sia l‘applicazione reale dei principi di leg-ge sull‘inserimento lavorativo e delle differenze nell‘approccio al lavoro – se ve ne sono – fra persone che vivono diversi generi di disagio.

“Con la dura crisi economica che stiamo affrontando – così Emer – è lo svantaggio nel suo insieme, tutte le tipologie previste dalla legge 381, ad essere sicuramente a rischio. Le multe relative al mancato obbligo di inserimento sono basse, di conse-guenza l‘impresa ed in alcuni casi le stesse cooperative, trovano più facile pagare le sanzioni, in un momento in cui anche l‘ente pubblico mette a

disposizione questi impieghi col con-tagocce.”

L‘inserimento non è solo un fatto di carte, disposizioni e disponibilità di bilancio. “Mebocoop”, per esempio, collabora il più possibile col CSM, i Centri di salute mentale sul territorio, ma non è facile trovare e soprattutto mantenere nel tempo, soluzioni sem-pre differenti. infatti “ogni patologia ha la sua particolarità, una sua perso-nale risposta all‘impegno lavorativo. E‘ difficile inserire presso terzi perso-ne che possono naturalmente avere reazioni imprevedibili ad eventi nuo-vi, persone che per esempio, già in un precedente rapporto di lavoro prima del manifestarsi del disagio, hanno dimostrato grandi difficoltà a gestire situazioni di stress.”

il lavoro presso la cooperativa do-

vrebbe rappresentare solo un mo-mento di passaggio lungo un percor-so di autonomia, ma succede spesso che il disagio riesploda in tutta la sua gravità nel momento successivo alla conclusione – peraltro positiva – del percorso di inserimento.

un problema in più è legato proprio alla malattia mentale. “Nell‘esperienza di 'Mebocoop' proprio in queste situa-zioni, la quasi totale maggioranza del-le persone non riesce a tenere.“

Manca la consapevolezza che il la-voro che si sta facendo è per il ‘mio’ sostentamento, è un valore più impor-tante del ritorno a meccanismi di so-stegno conosciuti precedentemente.

E allora? Per queste particolari ne-cessità, secondo Emer, occorrerebbe incrementare il numero dei laboratori

Cooperativa sociale “Mebocoop”Lorena Gavillucci

gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i mino-ri in età lavorativa in situazioni di diffi-coltà familiare, i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzio-ne“ previste da altra legge.

Quanto all‘applicazione concreta di queste norme – cosa di non facile attuazione – la legge ha cercato di togliere qualche ostacolo alle coope-rative prevedendo, all‘articolo 5, che gli enti pubblici committenti di lavori e di servizi possano derogare „alla di-sciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione“ - quindi all‘obbligo della gara di appalto – e stipulare invece convenzioni „per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, pur-

chè finalizzati a creare opportunità di lavoro“ per queste persone.

un‘ulteriore sottolineatura del do-vere morale e contrattuale di dare dignità nel lavoro alle persone in si-tuazione di svantaggio, la troviamo anche nell‘articolo precedente dove si vincolano le cooperative riguardo alla base societaria: „le persone svan-taggiate devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa stessa.”

E‘ toccato poi alla Provincia istitui-re l‘albo delle cooperative sociali ed operare nel nostro territorio sul rac-cordo con i servizi socio-sanitari, con le attività di formazione professionale e di sviluppo dell‘occupazione.

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protetti – cosa complessa di fronte agli attuali tagli al bilancio degli enti pub-blici – e per questo motivo una pro-posta concreta e fattibile porta oggi il nome di “cantiere protetto“. il quale non ha rapporti col settore edilizio, è invece una struttura di riferimento in cui comunque si costruisce qualcosa.

Si costruisce un rapporto di lavoro a misura del disagio individuale, che offra la giusta collocazione alla perso-na e riferimenti per una reale attività produttiva, anche marginale rispetto a un trend economico più ampio, ma sicuramente “più produttiva“ nei fatti di quanto accade oggi in altre realtà

protette. una iniziativa del genere potrebbe

unire esperienze diverse ed avere qua-li promotori le associazioni e le coope-rative sociali di tipo B nel quadro di un rapporto nuovo con la lavoratrice e il lavoratore, con la realtà economica circostante, con l‘ente pubblico.

B arbara Morandell, la consulente incaricata del “Punto di Soste-

gno”, ci racconta la sua esperienza in proposito.

Le sue osservazioni ci presentano un interessante punto di vista, anche e soprattutto perchè ci vengono da una persona sensibile e molto attenta ai problemi dei malati psichici e delle loro famiglie.

Dal settembre 2009 al giugno 2010 per dodici volte è stato affrontato nei colloqui il tema dell‘inserimento lavo-rativo, sempre però su richiesta dei fa-miliari, fratelli, genitori, figli, ma anche di amici o vicini.

Pochi sono stati i “pazienti” che si sono rivolti al “Punto di Sostegno” per questo motivo e inoltre quasi esclusi-vamente per richieste su corsi di for-mazione o di istruzione.

Le persone che si rivolgono al “Punto di Sostegno” hanno in questo ambito soprattutto bisogno di concrete infor-mazioni su come e a chi rivolgersi.

il primo consiglio è naturalmente quello di rivolgersi al medico curante per la certificazione di idoneità al la-voro, e quindi all‘assistente sociale di competenza ed infine all‘ufficio del lavoro.

Qualche volta i familiari sono essi

stessi fonte di informazioni, quan-do raccontano tutti i passi già fatti, a volte tramite conoscenti, come quel-la signora che si è rivolta all‘ufficio Affari Sociali per chiedere aiuto per un ragazzo impedito dalla malattia sia a trovare un lavoro che a studiare, spe-rando di trovare qualcosa di adatto a lui tramite un progetto di inserimento lavorativo.

Chi soffre di più per la mancanza di lavoro non sono comunque i malati ma i familiari, che sono poi quelli che si sono rivolti al “Punto di Sostegno”.Sono genitori, fratelli, anche figli, che vivono con grande disagio e dolore lo stare a vedere il malato, di solito sui 40, che non si alza dal letto, non mostra né iniziative né qualsiasi tipo di motiva-zione, e gira fra bagno, frigo e letto ed inoltre non vuole assolutamente sentir parlare di proposte varie da assistenti sociali, distretti, cooperative ecc.

Non sopportano che proprio nessu-no riesca a motivarli, e magari anche in caso di bisogno a costringerli perlo-meno a provare. Perchè nel frattempo le capacità si riducono e il malato mo-stra sempre meno interesse per la vita che gli sta intorno.

E‘ capitato anche una paziente che si è lamentata dei gruppi di addestra-mento professionale: con la “paghet-

ta” che le danno si sente sfruttata e inoltre si sente trattata dagli assistenti come una bambina incapace.

Ai familiari bisogna chiarire subito che purtroppo non si può fare pro-prio niente senza la disponibilità del paziente. E‘ certo che tutto dispiace, e che procura dolore, rabbia, sconten-to, impazienza, tristezza, e che queste sono reazioni e sentimenti normali per i familiari, che però non solo non sono di nessun aiuto per il paziente, ma anzi gli procurano ulteriori sensi di colpa, dal momento che la forza per tirarsi su non ce l‘ha proprio. Qualche volta il tempo matura e guarisce. Così è successo ad una persona, che dopo una grave depressione, un tentativo di suicidio e un ricovero in ospedale si sta riprendendo, però deve impara-re ad accettare la situazione ed i suoi limiti fisici e psichici, cosa che sta fa-cendo, prima di interessarsi di un la-voro. Per il momento non è in grado di accettare le proposte che le hanno fatto i familiari, con tutte le più buone intenzioni.

Se è vero che bisogna aspettare che i tempi siano maturi è anche molto reale la paura dei familiari che se si va troppo in là è sempre più difficile, se non impossibile svegliare il paziente dal suo letargo.

“Punto di Sostegno” e inserimento lavorativoCarla Leverato

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La situazione in Alto Adigedal punto di vista di un utente, di un operatore e di due familiari.

S ul tema “inserimento lavorativo” abbiamo parlato con un utente, un operatore e inoltre con due familiari. Essi

hanno acconsentito volentieri all‘intervista, preferiscono però l‘anonimato.

FAMiLiARi

oPERAtoRE DELL‘iNSERiMENto

“Ci sono corsi diversi, del

KVW, dell‘ufficio per la for-mazione professionale, anche

dell‘ufficio del lavoro, ai quali noi inviamo i nostri clienti. Lì si bada

soprattutto alle capacità e ai limiti delle persone, si cerca

cioè di trovare il lavoro adatto.”

“Ci siamo trovati da soli un corso del KWV per il reinse-

rimento nel lavoro.”

“Abbiamo trovato un posto per mezzo di un buon conoscente. Ma quel lavoro era troppo faticoso e G. ha dovuto lasciarlo. Poi per otto mesi non ab-

biamo sentito più niente. Alla fine abbiamo trovato da soli una nuova possibilità.

L‘Ufficio del Lavoro non ne era contento.”

Tempi di attesa lunghi?

utENtE

“Nel 2007 ho frequentato un corso di sei

settimane del KVW, poi tramite una tutrice c‘è stato un corso di un anno

dell‘ESF con prova di ammissione e esame finale. Questo ha dato a me e ad altre nove persone da tutta la provincia delle buone

risorse per il reinserimento. il tutto in paralle-lo alla domanda di invalidità. Poi ho avuto

relativamente presto la possibilità di un tirocinio in una ditta privata.”

“L’attesa per i corsi non è molto

lungo. Ci sono molte offerte. Per il tirocinio dipende dal cliente: ci sono dei

lavori che a qualcuno non si possono proprio proporre. E‘ più difficile inserire chi è stato

malato a lungo, e con i malati psichici è generalmente ancora più

difficile.”“Per il

corso ho aspettato due mesi. Adesso non mi sembrano più così lunghi. Per “la paghetta”

ho dovuto aspettare mezzo anno.”

“Per il corso no. Fino al progetto è durato 1-2 anni.”

“Fino all‘inserimento ci sono voluti più di quattro mesi. Un‘eternità per noi genitori.

Insopportabile.”

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“i tutori hanno ogni 3 o 4 settimane contatto con

me e il datore di lavoro. Sembra che funzioni.”

“Viene una tutrice dall‘uffi-

cio del Lavoro che parla con l‘azienda.”

“Conta poco. E se non ci interes-siamo noi genitori non va bene

niente.”

E la situazione lavorativa?

La situazione sociale?

L‘accompagnamento?

“Da circa un anno in un ambito che corrisponde al lavoro pre-

cedente. Va bene.”

“Avremmo trovato qualcosa che potrebbe andar bene. E‘ bloccato. Al momento c‘è un corso con

alcune ore in settimana. Troppo poco.”

“Sono contento del mio lavoro. Riesco ad

affrontare i compiti. Ho anche fortuna con i miei colleghi

di lavoro.”

“Alcuni soffrono se non han-

no un lavoro e sono molto sollevati se trovano qualcosa.

Altri si rassegnano.”

“Con 2,50 euro all‘ora (uguale per qualsiasi lavoro!) c‘è

poco da stare allegri. Non c‘è assicu-razione sociale e questo sarebbe

assolutamente da risolvere da parte dell‘ente pubblico.”

“Dobbiamo essere contenti della situazione se

M. sta bene.”

“Impossibile con 350 euro al mese. E non c‘è assicurazione

sociale.”

“L’accompagnamento avviene attraverso i tutori dell‘ufficio

del Lavoro. Abbiamo buoni e frequenti con-tatti con tutti i servizi e lavoriamo bene insieme,

però abbiamo troppo poco personale. Cerchiamo per quanto possibile di coinvol-

gere i familiari. Per loro la possibilità di un‘occupazione è un grande

sollievo.”

“il compenso orario è molto basso, ma

io sono contento di poter avere almeno un‘occupazione. Mi man-

cano ancora 5 anni per il diritto alla pensione. Dovrei pagare tantissimo. in pratica non ce

la posso fare.”

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Chi decide?

“Lo fa l‘azienda.”

“Apparentemente la legge impersonale e il volere dei

burocrati.”

“il datore di lavoro decide se

“può aver bisogno di me”.

“Naturalmente decido-

no la diagnosi e le capacità del cliente. importante è anche la

collaborazione dei servizi.”

Un breve commento: “Nell‘inserimento lavorativo

abbiamo grossi problemi nella comunicazione con la Provincia e i Servizi.”

l’ope

rato

reUn breve commento:

“I corsi di formazione sono im-portanti. Io sono contento del lavoro e spero che mi sia pro-lungata la possibilità. Per quan-to riguarda la pensione ci sono molte difficoltà.”

Un breve commento:

“Ci siamo dati molto da fare. Va avanti bene. Ma gli anni di assicurazione sono persi.”

“Chi è veramente ammalato non ha nessuna chance.”i f

amili

ari

“Fra poche settimane decideranno se

posso rimanere.”

l’ute

nte

Prospettive future?

E l‘Ufficio del Lavoro o il tutore?

“Qualcosa funziona bene. tanti hanno paura del fu-

turo. Per alcuni clienti l’inserimento risulta più facile che per altri.”

“Fra un paio di mesi si deciderà se questo

lavoro può andare avanti o se c‘è un altro posto.”

“Il futuro ci sembra molto problematico, se certe persone bloccano tutto e se la prendono

anche con noi.“

“Quelli si interessano del possibile prolungamento, ma

non possono decidere e ancor meno costringere (si tratta di un‘azien-

da privata).”

“Si interessano abbastanza.”

“Secondo me li lavorano le persone sbagliate.““Hanno soprattutto

il compito di valutare realisti-camente insieme con i familiari

le capacità e possibilità del cliente.”

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Il lavoro è la miglior medicina...Martin Achmüller, Carla Leverato

E A PRoPoSito Di MEDiCiNE... ...NE VoRREi tANto uNA CHE...

forse per i miei disturbi non esiste nemmenosia più facile da sopportareabbia meno effetti collateralicuri la malattia e non solo i sintomisia su misura per la mia persona, la mia malattia, la mia diagnosinon distrugga la mia autostimadella quale io non sia già assuefatto

PERCHé:

qualche volta non sono capace di spiegare chiara-mente come mi sento e come stonon conosco tutti i sintomi della mia malattiaavrei bisogno di condizioni di vita completamente diversenon c‘è una medicina che si chiama “sentirsi a casa”

……………

……

……

...a patto che ci si ricordi che, come per tutte le medicine occorre: la prescrizione adatta, la giusta dose, l‘orario di sommi-nistrazione, la durata della cura... Altrimenti la medicina non solo non è efficace, ma può essere perfino dannosa.

DEVo PERCiò EVitARE Di...

arrivare al limite della mia resistenza e di conseguenza dello stressvoler a tutti i costi raggiungere obiettivi troppo alti per me anche se questi vanno bene per tutti gli altrifarmi schiacciare dalla monotonia che mi toglie ogni motivazione

……

E PiuttoSto SFoRzARMi, FACENDoMi ALL‘oCCoRRENzA AiutARE...

di trovare o ritrovare un senso nel mio lavoro, che mi può dare risultati soddisfacenti o successo, anche se al momen-to non sono in grado di accorgermenedi scoprire o riscoprire il valore del mio lavoro e della mia vitadi accettare che qualche volta può succedere nuovamente un ripresentarsi o un aggravarsi della mia malattia, anche se mi viene la paura che non guarirò maidi non confrontare il mio stipendio con quello di chi mi sembra guadagni di più e fatichi di menodi non soffermarmi sempre e soltanto a pensare che questa medicina è per me troppo caradi non sentirmi ancora più emarginatodi non lamentarmi che questa “medicina” è a disposizione soltanto degli altri, ma di fare in modo che lo sia anche per me

di verificare che ci siano tutti i presupposti per un uso efficace di questa “medi-cina”di riuscire a dire e far capire che ho bisogno soprattutto di comprensione, di qualche altra forma di riabilitazione e di accompagnamento, tutte cose che sono spesso la miglior medicina - ma non solo ogni tanto, bensì 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, 365 giorni all‘anno

……

…………

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Auto Aiuto

L e emozioni sono la lingua univer-sale dell‘uomo.

il dolore, la rabbia, la paura, il piace-re e l‘amore sono energie vitali che se ascoltate, espresse e condivise danno alla nostra vita valore e senso.

i bambini sono sempre in contatto con le loro emozioni, non le repri-mono ma le esprimono liberamente: piangono se cadono, si fanno male e provano dolore; gridano di rabbia se qualcuno prende il loro giocattolo o se si sentono comunque contrastati; urlano se spaventati; dimostrano gioia e piacere con tutto il corpo ridendo e correndo incontro alla mamma che abbracciano stretta.

Gli adulti invece pensano di doversi

controllare sempre, di poter domina-re razionalmente le emozioni.

in realtà le emozioni non si possono né impedire né tanto meno control-lare razionalmente: esse appartengo-no alla sfera corporea, sono reazioni strettamente collegate a quanto può mettere in pericolo la vita, come la paura, che ci avverte dei pericoli, la rabbia, che ci da l‘energia per reagi-re, e il dolore, che ci avverte che c‘è bisogno di aiuto. il piacere e l‘amore riguardano invece la promozione del-la vita e il benessere relativo.

Esse esistono e devo lasciare loro il diritto di esistere.

Chi è capace di impedirsi di provare paura se la propria vita è in pericolo, di provare dolore di fronte ad un lutto o di non gioire ed essere felice per un avvenimento lieto della vita?

Qualcuno è convinto di non prova-re emozioni e, nel caso le provasse, di riuscire benissimo a reprimerle e forse a furia di “esercitarsi” ci riesce anche.

A quale prezzo? Le emozioni repres-se si trasformano sempre in disagi, se non in vere e proprie malattie.

La rabbia repressa si trasforma in rancore, che avvelena chi lo prova. Se di fronte alla paura cerco di ingannare

me stesso e gli altri con sorrisi o rassi-curazioni faccio del male a me stesso e confondo le idee agli altri. Se in un momento di sofferenza faccio finta che non sia successo niente e che vada tutto bene mando, accanto al messaggio verbale rassicurante quel-lo corporeo (pallore, espressione del viso, postura del corpo...) che è molto più efficace ed immediato e che dice proprio il contrario.

Esprimere le emozioni non significa non controllare le proprie reazioni e aggredire tutte le persone che mi danno fastidio, con la scusa che biso-gna essere autentici per star bene.

Significa anzitutto ascoltare il pro-prio corpo e riconoscere di avere paura, di provare rabbia e dolore, ma anche piacere e d amore.

Significa anche riuscire a dire, a me stesso soprattutto, ma anche agli altri, che sono arrabbiato, addolorato, spa-ventato, pieno di gioia... Non è questo che disturba la comunicazione e rovi-na i rapporti, anzi, per poter avere una buona relazione con gli altri bisogna avere un buon contatto con le proprie emozioni, come passo indispensabile per conoscere se stessi e gli altri, per star bene con se stessi e con gli altri.

Carla Leverato

L’angolo dell’ascoltoLe emozioni

GiornataMondialeperlaSaluteMentale

10/10/10

in tutto l’Alto Adige si terrano numerose manifestazioni di sensibilizzazione.

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Auto Aiuto

Martin Achmüller

Parliamone insieme...Sessualità

Oggi vogliamo affrontare una difficile questione: la malattia psichica e la ses-sualità.

Mi piace che si discuta su questo tema. Si tratta di un duplice tabu e ciascuno di si essi da solo presenta molte difficoltà.

Una persona con problemi psichici ha ancora una sessualità?

Alcune premesse. La sessualità com-prende insieme con la propria identità di maschio o femmina anche gli ambiti di corporeità e mondo dei sentimenti.

Inoltre la sessualità è un diritto fonda-mentale della persona, che non deve essere negata a nessuno. “Fare sesso”, “avere sesso” è qualcosa di diverso.

Inoltre ciascuno ha la sua sessualità, o per meglio dire, il suo modo di rappor-tarsi con la sessualità: il suo immagina-rio e i suoi desideri, le sue paure e le sue riserve.

Allora ripropongo la questione: malati psichici, desiderio di corporeità e mon-do emozionale.

Un malato psichico si trova in uno stato psichico eccezionale: il sentire è spesso come sganciato, il mondo emo-zionale e la corporeità sono spesso re-pressi, trascurati...

Vuol forse dire che un disturbo della sfera sessuale appartiene di per se alla malattia psichica?

Si, ed anche frequentemente, spe-cialmente nelle persone depresse. Può addirittura insorgere come sintomo primario e presenta tutte le possibi-li varianti. E non è sempre certo che si riconosca che si tratta di depressione.

Esistono inoltre anche “disturbi del comportamento sessuale” con un fon-do psichico. Ed infine si conosce l‘effetto sulla sessualità degli psicofarmaci.

In che senso?Gli antipsicotici hanno spesso come

effetto secondario la diminuzione del desiderio sessuale. Si sa che per questo motivo molti interrompono la terapia. E‘ da supporre che sia da parte dei me-dici che dei pazienti si consideri e si af-fronti troppo poco questo tema.

Come se ne deve parlare?Le emozioni sono parte integrante del-

la psiche e della sessualità. Quindi par-larne dovrebbe assolutamente far par-te del trattamento, esattamente come lo è parlare del dosaggio dei medicinali e del prossimo appuntamento. Presup-ponendo naturalmente che esista un rapporto di fiducia paziente-medico.

Quante volte capita che si affronti questo discorso?

Molto raramente. Non se ne ha il co-raggio, non lo si considera così impor-tante... ma quante volte lo affrontano i partner o le persone sane? Quanta fatica costa prendere in considerazione una consulenza se si hanno problemi? E se i problemi non sono così evidenti o sono inconsapevoli?

E se ci si sforza di farlo?Allora il passo più importante è fatto.

Il passo seguente si chiama continua-re, e cioè, dopo un po‘ di tempo, se la situazione migliora (insieme con un miglioramento della malattia o una diminuzione degli effetti collaterali dei farmaci) un chiaro discorso con i pa-zienti e con i loro partner.

Cosa? Si devono coinvolgere anche i partner? E‘ possibile?

Proprio in questo campo così sensi-bile è necessario parlare di come ci si rapporta con la sessualità. Di piacere, desideri, bisogni, di quello che si prova e di come lo si manifesta, di fattori che favoriscono o inibiscono...

Chi ne è capace? Chi ne ha il coraggio? E non diventa tutto troppo personale?

La sessualità è qualcosa di personale, di intimo. Si tratta di emozioni, del mondo profondo dei sentimenti, di una “forza vitale”. Naturalmente occorre sincerità e apertura per parlare di questi temi. Ciò è possibile nell‘ambito di un trattamento psicologico, e ci sono persone che hanno una particolare formazione quali consu-lenti o terapeuti della sessualità.

E se uno non ce la fa?Come primo passo si può tentare di

parlarne con un medico, uno psicologo ma sopratutto con il proprio partner. Ma rimane sempre il fatto che la sessualità fa parte della mia psiche, della mia vita interiore. Non serve a niente ignorare i disturbi. Li si deve guardare in faccia e affrontare. Altrimenti è inevitabile che prima o poi i disturbi si aggravino.

Un’altra domanda importante: una sessualità positiva ha un‘influenza po-sitiva sul malato psichico?

La risposta è del tutto affermativa. La sessualità ben usata è una forza vitale, ha effetti positivi sull‘emozionalità soli-tamente messa da parte, influenza fa-vorevolmente il metabolismo cerebrale, va nel profondo dell‘interiorità, crea relazione e unione. Sessualità infatti è anche socializzare, e di conseguenza si pone al polo opposto dell‘emarginazio-ne così frequente per il malato psichico.

Mi suona come se essa possa essere un‘alternativa alla terapia.

Se per sessualità appagata intendo che accetto me stesso con tutte le mie sensazioni, che posso godere di qual-cosa di personalissimo... senza paura, senza sensi di colpa, senza rimprove-rare me stesso... tutto ciò si può proprio considerare alla stregua di una seduta terapeutica dall‘esito positivo, un entra-re in contatto con se stessi in un gruppo di auto aiuto, un partecipare ad un‘atti-vità artistica...

Come un psicofarmaco naturale?Se il malato risponde alla terapia.

GiornataMondialeperlaSaluteMentale

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Auto Aiuto

Verso una cittadinanza attiva 2010

Sono malato psichico. E allora...?!

S u proposta degli amici dell’APAMP

cercherò di raccontarvi il piacere e la soddisfa-

zione per quanto vissuto insieme a Salorno. Come

Presidente di Cittadinanzat-tiva e del tribunale per i Diritti

del Malato cerco spesso occasioni, per trasmettere i valori che portia-

mo avanti a favore della collettività. Ai giovani studenti abbiamo offer-to un’occasione per confrontarsi sul tema della diversità e del problema delle malattie psichiche e di come queste possono diventare pericolo-samente fonte di discriminazione. Da sempre, come anche in questa occa-sione, cerchiamo di difendere la “per-sona” in quanto tale.

il nostro obiettivo è l’attivazione di

un circuito virtuoso tra protagonismo e cittadinanza attiva, che possono rappresentare le due facce della stes-sa medaglia che danno valore alla presenza e alla partecipazione dei ragazzi nei contesti in cui vivono.

Ci proponiamo di la-vorare per favorire il protagonismo dei gio-vani potenziando la loro consapevolezza di sé e del proprio ruolo nella comunità, l’accrescimento delle competenze individuali, il miglio-ramento delle relazioni interpersonali tra pari e tra ragazzi e adulti, esercitan-do una libertà responsabile nel sce-gliere e nell‘agire responsabilmente .

Così il protagonismo di ciascuno diventa il presupposto all’esercizio di una vera cittadinanza attiva, che è

stata intesa come la predisposizione e la realizzazione di piccoli obbiettivi di cambiamento: delle dinamiche rela-zionali, riconoscimento delle compe-tenze e del protagonismo diretto dei

giovani, e dei conte-sti, facendoli diven-tare più “a misura” di ragazzi. Questo è successo a Salorno e siamo orgogliosi

dei risultati. Anche l’entusiasmo dei ragazzi era palpabile.

Ci auguriamo di poter collaborare ancora con l’APAMP associazione della quale condividiamo valori e metodo e con la quale possiamo veramente es-sere incisivi sul territorio dell’Alto Adi-ge per diffondere messaggi positivi.

Stefano Mascheroni

L ’Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici in collaborazione

con l’ASL, Cittadinanzattiva e tribuna-le dei diritti del malato ha partecipato, il giorno 27 aprile 2010 alla manifesta-zione, proposta a livello Europeo alle varie regio-ni appartenenti, dal titolo “Solidarietà e coraggio

civile” incontrando 40 ragazzi di terza su-

periore dell’isti-tuto tecnico

commerciale a indirizzo sociale “Claudia de Me-

dici”. La vista al centro di Riabilitazione “Gel-mini” a Salorno ha avvicinato i ragazzi ad un gruppo di persone a “rischio di emarginazione”. Dallo psichiatra Alessandro Svetti-

ni, responsabile del Centro, essi han-no appreso quali sono le principali malattie psichiche. Egli ha inoltre pre-sentato il nuovo progetto terapeuti-co chiamato “recovery”, che parte dal

considerare la guarigio-ne possibile ed ha come meta una vita soddisfa-cente. Lo stigma, che è fonte di sofferenza per il malato psichico, è stato un ulteriore importante tema affrontato con l’aiu-

to efficace concreto del dott. Martin Achmüller verso un approccio espe-rienziale di autenticità offerto per su-perare paure e pregiudizi. L’accento è stato posto sull’importanza della connotazione socioculturale riabilita-tiva dell’ambiente con il desiderio di inserire nel circuito della parola il “re-covery”, la soggettivazione dell’altro, troppo spesso considerato solo “og-getto bisognoso di cure“. La sfida più

importante data dalla necessità di ri-orientare le linee di tendenza in atto. Cercando attraverso meccanismi di partecipazione che annullino risposte precostituite di favorire il dialogo col-lettivo per contribuire a responsabi-lizzare ogni utente quale “attore“ del-la propria esperienza e permettere la trasmissione di un messaggio di recu-pero dell’etica di solidarietà per resti-tuire il disagio psichico alla società. Al termine della manifestazione i ragazzi tramite un questionario di gradimen-to ci hanno regalato una meravigliosa conferma di interesse, comprensione e attenzione tanto da sottolineare il desiderio di saperne di più.

Grazie a coloro che si sono donati all’iniziativa.

Alessandra Masiero

„Sono stato colpito e meravigliato

dall’argomento depressione, esposto

da una persona che la sta affrontando”

„La giornata è stata molto interessante in quanto nella

società si cerca sempre di meno di parlare di questa realtà.“

2010

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Auto Aiuto

CHi SoNo LE uFE?

G li uFE (utenti Familiari Esperti) sono tutti quei utenti e familiari

del Servizio di Salute Mentale di tren-to che acquisita la consapevolezza del loro sapere esperenziale trasformano la malattia in ricchezza da destinare e trasmettere alle persone che vengono a contatto con la malattia mentale.

Sono formalmente riconosciuti dal-l’ASL di trento e ricevono un compen-so tramite una associazione partner. Sono inseriti in varie strutture dell’ASL, della provincia e dei servizi sociali.

Questo orientamento strategico ha ricevuto la riconoscenza come mi-glior esempio di empowerment or-ganizzativo dall’Agenas (Agenzia Na-zionale per i Servizi Sanitari Regionali) e il best practice di Cittadinanzattiva, in quanto rientra tra i più moderni orientamenti rispetto alla qualità dei servizi.

trasformare gli interventi di un siste-ma indebolito, in processi di Welfare attivi, socialmente sostenibili privi-

legia la ristrutturazione del servizio attraverso la condivisione degli obiet-tivi da attuarsi mediante una coope-razione tra le parti in causa.

Gli uFE sono figli del fare assieme esperienza che il SSM di trento pro-muove da 10 anni.

LE LoRo AttiVità:

Le loro attività abbracciano vari am-biti: la consulenza telefonica, l’accom-pagnamento di familiari e/o pazienti sia in situazione di crisi che nella quo-tidianità e nel tempo libero. Essi inol-tre curano i gruppi di auto aiuto e di incontro e la sensibilizzazione della popolazione.

LA PRoPoStA

D a parte della direzione generale dell’Asl di trento, staff dell’unità

per la qualità, viene comunicato che nel documento preliminare infor-mato del Piano Sanitario Nazionale 2010-2012, considerato che la situa-zione dei Servizi di Salute Mentale in italia non è buona c’è l’intenzione di

ricercare l’eccellenza, risulta quindi fondamentale governare i processi attivando e sostenendo progetti che abbiano caratteristiche e capacità progressiste. il progetto uFE è stato preso come esempio essendo stato in grado di portare la propria esperienza anche fuori confine sbarcando in Cina a Pechino, in Germania a Berlino e in Svezia a Jönköping.

Rilevante è stato l’argomento rispet-to al bisogno impellente di proporre a livello legislativo non una riforma del-la 180 ormai consolidata e tutelata, bensì una 181 progene di questa che rissolevi l’interesse e riapra il dibattito su aspetti che in 32 anni non si sono voluti affrontare.

CoNCLuSioNi

L a formazione erogata è stata di grande qualità. i relatori Renzo

de Stefani e Roberto Cuni dall’ASL di trento, Matthew Chinman della RAND Corporation Pittsburgh (uSA), sono stati esaustivi e molto chiari. Fabio Folgheraiter, docente alla Fa-coltà di sociologia università Cattoli-

ca di Milano ha saputo orientare l’attenzione sulle dinamiche dei movimenti attenti al benessere sociale e dell’importanza di fare rete che non vuol dire fare squadra, del valo-re che acquisisce una società quando nei cambiamenti ci sono i presupposti dell’infor-mazione, formazione e verifica condivisi.

Gli uFE sono stati i protagonisti attivi del convegno, la condivi-sione, il protagonismo e la centralità del-l’utente nel percorso di cura hanno apportato un notevole valore ag-giunto al concetto di “recovery”..

11 giugno a Trento

1° Giornata Ufologica Nazionale Alessandra Masiero

Con il patrocinio della

Presidenza del Consiglio regionale

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Auto Aiuto

L a manifestazione si è tenuta a Roma alla fine di maggio, con la

presenza di circa 550 rappresentanti delle associazioni di familiari aderenti all‘u.N.A.SA.M., e di diversi altri gruppi di familiari e di utenti, di sindacati, di operatori e di personalità dell‘ambito psichiatrico.

Sono stati esposti nei vari interventi la realtà vera nella salute mentale e la diversità nella qualità degli interventi nell‘assistenza ai malati mentali.

Si è evidenziata una netta presa di distanza dalla proposta di legge dell‘onorevole Ciccioli per la riforma della leg-ge 180 (legge Basaglia), che tenderebbe in par-ticolare a introdurre il “tsop” (trattamento sanitario obbligatorio prolungato) della dura-ta di sei mesi, rinnova-bile. Questa che sembra solo la voglia di tornare a qualcosa che assomi-glia molto ai manicomi, oltre ad essere grave-mente dannoso per chi vive l‘esperienza della malattia mentale, spo-sterebbe in pratica sul privato le risorse per il buon funzionamento del servizio pubblico, è stato detto nei vari interventi.il 4 giugno l‘u.N.A.SA.M. informava in una lettera aperta, con meraviglia e grande preoccupa-zione, che l‘onorevole Ciccioli aveva annun-ciato che il 9 giugno si sarebbe tenuto a Roma un conve-gno dal titolo: “Finalmente al voto in Parlamento la riforma dell‘assistenza psichiatrica. Andare oltre la 180 nel-la direzione dei pazienti e delle loro famiglie”. Chiamati a relazionare non meglio precisati rappresentanti del-

La Salute Mentale in Italia: Manifestazione NazionaleMartin Achmüller

le Associazioni di familiari dei malati psichici e del volontariato, nonché diversi parlamentari non presenti alla manifestazione dell‘u.N.A.SA.M..

Questa iniziativa è stata definita semplicemente vergognosa, un boi-cottaggio verso l‘u.N.A.SA.M., (nem-meno invitata, anche se rappresenta 160 Associazioni e anche se da molto tempo chiede un‘audizione in Parla-mento), nonché una risposta di chiaro

sapore politico alla manifestazione di fine maggio, e in definitiva un affron-to contro ogni agire democratico.

Nella lettera indirizzata al Presidente della Camera Gianfranco Fini, al Mi-nistro della Sanità Ferruccio Fazio, al Presidente della Commissione Affari

U.N.A.SA.M.

Promosso da

«La tutela della salutefisica e psichicadeve avvenirenel rispetto

della dignitàe nella libertà

della persona umana »

Roma27maggio2010ore9,30SalaAuditoriumCentroCongressiFrentani

ViadeiFrentani,4

Segreteria organizzativa - Alessandra Tagliaferritel.051.5288526 - fax 051.521268

[email protected]

con il supporto

Centri di Servizo perVolontariato del Lazio

in collaborazione con

CittadinanzaAttiva

SaluteMentaleLeAssociazionidei Familiari e degli Utentidella SaluteMentalepresentano

le buone e cattive pratichenelle diverse realtà Regionali

Radio Ufficiale della Manifestazione

Sociali Giuseppe Palumbo e ai Com-ponenti della Commissione c‘è un chiaro appello affinché si prendano le distanze da tali operazioni poco cri-stalline, ripristinando la Commissione Ministeriale Salute Mentale, e garan-tendo le Linee Guida sulla Salute Men-tale e sul tSo, nel rispetto dei diritti e della libertà di tutte le persone.

E‘ sembrato in un primo momen-to che questa lettera aperta avesse

avuto successo: l‘u.N.A.SA.M. è stata in-vitata per una audizione davanti alla Commissio-ne Affari Sociali.

Purtroppo nella lettera inviata dall‘u.N.A.SA.M. al Presidente e ai Com-ponenti della Commis-sione, al Presidente del-la Camera e al Ministro della Sanità dal titolo “Abbiamo partecipato ad una farsa?” ben altra è la situazione descritta.

Dei 45 membri della Commissione cinque erano i presenti e la pre-siedeva proprio l‘ono-revole Ciccioli che ha dormito durante tutta l‘audizione e che alla fine dei lavori mentre tutti se ne andavano ha dichiarato che “an-drà avanti ferocemente sulla sua strada”. Ci si chiede nella lettera che senso abbia una audi-zione così organizzata e gestita se non si voglio-no conoscere le opinio-ni dei rappresentanti.

La lettera conclude con la richiesta di pren-

dere nella dovuta considerazione le questioni presentate dall‘u.N.A.SA.M. all‘onorevole Ciccioli e che la Commis-sione svolga un‘indagine conoscitiva andando nei luoghi deputati alla cura, alla assistenza e alla riabilitazione dei malati psichici.