attrezzature e materiali

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48 49 farlo io. Ho già studiato tutto: sistemo la cantina (un metro per due) e ci piazzo il banco di lavoro”. Gli incarichi - Io ricevetti lʼinca- rico di fare le prime ricerche via Internet e recuperai su un sito (naturalmente) americano il dettaglio (con relative foto e misure) della costruzione “fai-da-te” del planing form; Barbara (sua figlia) ebbe il compito della traduzione dal- lʼinglese; Guido (altro Pam) il compito di “perorare la causa” presso un amico che ha unʼofficina per la realizzazione dei pezzi; a Carlèn che lavorava nella stessa ditta di Paola (sua moglie), lʼin- combenza di trovare e saldare i tubi per la costruzione del forno (disegno e misure recuperate in Internet); a Paolo (suo nipote che fa il rappresentante di materiale idraulico) finì lʼincarico di procurare il tubo di rame con rela- tivo rubinetto di scarico, “vasca” per la verniciatura finale ad immersione. Queste sono solo le prime persone che Otzi mobilitò; in seguito la faccenda si è allargata a macchia dʼolio. Lui stesso costruì la macchina per legare assieme i sei listelli in una delle fasi più delicate: lʼincollaggio. Qui occorre fare una digressio- ne. Da vero “artista” qual è mi disse: “Ho già pensato come farla! Recupero quanto mi serve e la metto insieme”. La macchina è formata da una carrozzeria di plastica proveniente da un vecchio Un rod maker originale Otzi per gli amici, omonimo della mummia del Similaun, è lʼemblema della pura creazione artigianale, ove dimostra che il più spregiudicato “fai da te”, misto inventiva, ma soprattutto misto volontà, porta alle stesse creazioni artigianali più evolute ed… esoteriche. Cesare Mazzieri Foto Lucio Rossi quadro elettrico, il motore è quello di un tergicristallo dʼauto ed i guidafili sono i passanti di una vecchia canna da pesca alla bolognese: il risultato è semplice- mente sorprendente. Per evitare che du- rante lʼincollaggio i sei listelli prendano brutte curvature o peggio, subiscano delle torsioni, la legatura deve essere il più uniforme possibile ed a spire incro- ciate. Chiunque osservi una canna lega- ta può solo pensare che è stata realizzata con una macchina speciale! Otzi non è nuovo a tali imprese. Fra le sue realizzazioni ci sono: la prima macchina (oltre 10 anni fa) per fare il dubbing (realizzata con il motorino a pila di un giocattolo), un tornio (pro- prio così) costruito a trapano e lima e vari altri attrezzi (per non parlare del camper di suo nipote “assemblato” con il solo ausilio di un “Black & Decker”); ma la macchina lega-canne li batte tutti. Otzi è stupefacente sotto questo punto di vista. Tutti i suoi attrezzi nascono utilizzando materiali di recupero e tante ore di lavoro manuale: ha veramente le “mani dʼoro” anche se perennemente nere: di mestiere fa il gommista. La sua bottega, anche prima che cominciasse a costruire canne, è sempre stata meta di tutti coloro che avevano qualche pro- blema con canne e mulinelli: se cʼera una rottura o una modifica da fare (il suo primo soprannome era appunto “Modifica”), si andava da Emilio. Noi amici ci chiediamo spesso cosa avrebbe potuto combinare se avesse studiato, se avesse avuto la fortuna di poter andare allʼuniversità. Genesi di un soprannome - Anche il suo soprannome nasce in riferimento a quello che combina: una sera di tre anni fa eravamo a cena, dopo una pescata in Avisio, a Kaltenbrunn o, se preferite, Fontanefredde, con una coppia di amici di Parma (Davide e Virginia) che erano appena stati a vi- sitare, a Bolzano, il museo di Otzi (la mummia del Similaun). Davide era rimasto meravigliato dal corredo di attrezzi (lʼarco, le frec- ce, lʼascia in rame) di cui era dotato Otzi e disse: “É affascinante pensare come circa 6.000 anni fa senza nessu- na tecnologia a disposizione potessero produrre attrezzi così belli!” e qualcuno di noi rispose: “Quando fra altri 6.000 anni troveranno gli attrezzi di Emilio si meraviglieranno ancora di più. Fra lʼaltro cʼè anche una certa somiglianza fisica!” Io chiesi a Virginia (lʼargomento è delicato, ma necessario): “Ma come li ha, Otzi, gli organi genitali?” e lei rispo- se: “Non si vedono: si sono seccati!” A questo punto ci fu il coro: “Ma allora è proprio lui!” e da quel momento Emilio fu battezzato Otzi. Davide gli regalò il berretto che aveva acquistato al museo con lʼeffige di Otzi sulla visiera e lui, da allora, lo indossa sempre e con molto orgoglio, ad ogni uscita di pesca. L ʼamico originale - Questo non è un articolo tecnico, ma il racconto sia serio che scherzoso di come nascono inaspettatamente belle can- ne in bamboo. I patiti del lancio tlt, ddt (esiste?), tlx, sottomano, contromano, di polso, rolè o roller, doppia o quadrupla trazio- ne, evitino di proseguire nella lettura: non fa per loro. Sarà che Emilio Fragni da Parma (nome dʼarte Otzi) è uno dei miei più cari amici (mia moglie o i miei figli quando me lo passano al telefono non dicono: “Cʼè Emilio al telefono”, ma “La tua morosa ti cerca”), sarà che an- che lui è un malato incurabile di pesca a mosca e compagno di mille uscite, sarà che è una delle persone più spontanee che conosco, ma devo proprio raccon- tare ai lettori di Fly Line come realizza canne da mosca in bamboo refendù con mezzi e sistemi certamente non comuni. Tutto cominciò quando, un venerdì sera di cinque anni fa, un nostro conoscente invitò presso la sede del Club cui Otzi è iscritto, Marco Boretti, bravo e co- nosciuto rod maker. Marco quella sera mostrò i principali passaggi che servono per costruire una canna; chiaramente tale dimostrazione fu oltremodo velo- ce dato che, per costruire una canna in bamboo refendù occorrono, a mani esperte, oltre 60 ore di lavoro; tuttavia quel paio dʼore bastarono: Otzi rimase letteralmente folgorato. Il lunedì suc- cessivo, mi disse: “Voglio costruire can- ne in bamboo! Non è che poi serva un granché di attrezzatura, devo solo trova- re qualcuno che abbia una fresa per fare il planing-form, poi tutto il resto posso Pagina a lato: Emilio Fragni, alias Otzi (la mummia del Similaun) sta pre- parando un culmo di bambù. Qui a destra: forno e piallatrice autoco- struiti.

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attrezzature e materiali

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farlo io. Ho già studiato tutto: sistemo la cantina (un metro per due) e ci piazzo il banco di lavoro”.

Gli incarichi - Io ricevetti lʼinca-rico di fare le prime ricerche via Internet e recuperai su un sito (naturalmente) americano il dettaglio (con relative foto e misure) della costruzione “fai-da-te” del planing form; Barbara (sua figlia) ebbe il compito della traduzione dal-lʼinglese; Guido (altro Pam) il compito di “perorare la causa” presso un amico che ha unʼofficina per la realizzazione dei pezzi; a Carlèn che lavorava nella stessa ditta di Paola (sua moglie), lʼin-combenza di trovare e saldare i tubi per la costruzione del forno (disegno e misure recuperate in Internet); a Paolo (suo nipote che fa il rappresentante di materiale idraulico) finì lʼincarico di procurare il tubo di rame con rela-tivo rubinetto di scarico, “vasca” per la verniciatura finale ad immersione. Queste sono solo le prime persone che Otzi mobilitò; in seguito la faccenda si è allargata a macchia dʼolio. Lui stesso costruì la macchina per legare assieme i sei listelli in una delle fasi più delicate: lʼincollaggio.

Qui occorre fare una digressio-ne. Da vero “artista” qual è mi disse: “Ho già pensato come farla! Recupero quanto mi serve e la metto insieme”. La macchina è formata da una carrozzeria di plastica proveniente da un vecchio

Un rod maker originaleOtzi per gli amici, omonimo della mummia del Similaun, è lʼemblema della pura creazione artigianale, ove dimostra che il più spregiudicato “fai da

te”, misto inventiva, ma soprattutto misto volontà, porta alle stesse creazioni artigianali più evolute ed… esoteriche.

Cesare MazzieriFoto Lucio Rossi

quadro elettrico, il motore è quello di un tergicristallo dʼauto ed i guidafili sono i passanti di una vecchia canna da pesca alla bolognese: il risultato è semplice-mente sorprendente. Per evitare che du-rante lʼincollaggio i sei listelli prendano brutte curvature o peggio, subiscano delle torsioni, la legatura deve essere il più uniforme possibile ed a spire incro-ciate. Chiunque osservi una canna lega-ta può solo pensare che è stata realizzata con una macchina speciale!

Otzi non è nuovo a tali imprese. Fra le sue realizzazioni ci sono: la prima macchina (oltre 10 anni fa) per fare il dubbing (realizzata con il motorino a pila di un giocattolo), un tornio (pro-prio così) costruito a trapano e lima e vari altri attrezzi (per non parlare del camper di suo nipote “assemblato” con il solo ausilio di un “Black & Decker”); ma la macchina lega-canne li batte tutti. Otzi è stupefacente sotto questo punto di vista. Tutti i suoi attrezzi nascono utilizzando materiali di recupero e tante ore di lavoro manuale: ha veramente le “mani dʼoro” anche se perennemente nere: di mestiere fa il gommista. La sua bottega, anche prima che cominciasse a costruire canne, è sempre stata meta di tutti coloro che avevano qualche pro-blema con canne e mulinelli: se cʼera una rottura o una modifica da fare (il suo primo soprannome era appunto “Modifica”), si andava da Emilio. Noi amici ci chiediamo spesso cosa avrebbe

potuto combinare se avesse studiato, se avesse avuto la fortuna di poter andare allʼuniversità.

Genesi di un soprannome - Anche il suo soprannome nasce in riferimento a quello che combina: una sera di tre anni fa eravamo a cena, dopo una pescata in Avisio, a Kaltenbrunn o, se preferite, Fontanefredde, con una coppia di amici di Parma (Davide e Virginia) che erano appena stati a vi-sitare, a Bolzano, il museo di Otzi (la mummia del Similaun).

Davide era rimasto meravigliato dal corredo di attrezzi (lʼarco, le frec-ce, lʼascia in rame) di cui era dotato Otzi e disse: “É affascinante pensare come circa 6.000 anni fa senza nessu-na tecnologia a disposizione potessero produrre attrezzi così belli!” e qualcuno di noi rispose: “Quando fra altri 6.000 anni troveranno gli attrezzi di Emilio si meraviglieranno ancora di più. Fra lʼaltro cʼè anche una certa somiglianza fisica!” Io chiesi a Virginia (lʼargomento è delicato, ma necessario): “Ma come li ha, Otzi, gli organi genitali?” e lei rispo-se: “Non si vedono: si sono seccati!” A questo punto ci fu il coro: “Ma allora è proprio lui!” e da quel momento Emilio fu battezzato Otzi. Davide gli regalò il berretto che aveva acquistato al museo con lʼeffige di Otzi sulla visiera e lui, da allora, lo indossa sempre e con molto orgoglio, ad ogni uscita di pesca.

Lʼamico originale - Questo non è un articolo tecnico, ma il racconto sia serio che scherzoso di come nascono inaspettatamente belle can-

ne in bamboo.I patiti del lancio tlt, ddt (esiste?),

tlx, sottomano, contromano, di polso, rolè o roller, doppia o quadrupla trazio-ne, evitino di proseguire nella lettura: non fa per loro.

Sarà che Emilio Fragni da Parma (nome dʼarte Otzi) è uno dei miei più cari amici (mia moglie o i miei figli

quando me lo passano al telefono non dicono: “Cʼè Emilio al telefono”, ma “La tua morosa ti cerca”), sarà che an-che lui è un malato incurabile di pesca a mosca e compagno di mille uscite, sarà che è una delle persone più spontanee che conosco, ma devo proprio raccon-tare ai lettori di Fly Line come realizza canne da mosca in bamboo refendù con mezzi e sistemi certamente non comuni. Tutto cominciò quando, un venerdì sera di cinque anni fa, un nostro conoscente invitò presso la sede del Club cui Otzi è iscritto, Marco Boretti, bravo e co-

nosciuto rod maker. Marco quella sera mostrò i principali passaggi che servono per costruire una canna; chiaramente tale dimostrazione fu oltremodo velo-ce dato che, per costruire una canna in bamboo refendù occorrono, a mani esperte, oltre 60 ore di lavoro; tuttavia quel paio dʼore bastarono: Otzi rimase letteralmente folgorato. Il lunedì suc-cessivo, mi disse: “Voglio costruire can-ne in bamboo! Non è che poi serva un granché di attrezzatura, devo solo trova-re qualcuno che abbia una fresa per fare il planing-form, poi tutto il resto posso

Pagina a lato: Emilio Fragni, alias Otzi (la mummia del Similaun) sta pre-parando un culmo di bambù.Qui a destra: forno e piallatrice autoco-struiti.

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Il forno - Dopo qualche mese, molte ore di lima per rifinire il “pla-ning form”, tante telefonate e qualche pellegrinaggio al santuario di Boretti a Piacenza, il grosso dellʼattrezzatura era pronto e le prime prove di piallatura furono eseguite utilizzando un palo da bilancella fornito da Carlèn, pescatore con questo attrezzo. Le prove andarono abbastanza bene per quanto riguar-dava la piallatura, ma restava ancora il problema del forno: non riusciva a controllare la giusta temperatura in tutte le sezioni e allora, dopo aver bruciato un paio di asciugacapelli e qualche embrione di canna, decise di dotarsi di un phon professionale e di applicare al forno delle sonde (a diverse altezze) per meglio capire come si distribuiva il ca-lore allʼinterno. Per questa incombenza mise in moto un suo cliente appassiona-to di elettronica che gli procurò le sonde e relativi termometri (naturalmente e rigorosamente scarti industriali, come

il verricello che solleva lentamente la canna dalla vernice). A questo proposito sta già pensando (anzi, il disegno è già fatto) ad un forno non più alimentato ad aria calda, ma con resistenze elettriche, temporizzatori ed un ventilatore (prove-niente da una caldaia da riscaldamento che gli ho procurato io) per ottenere una temperatura uniforme ed un tempo di riscaldamento ottimali. Nel frattempo, utilizzando qualche moncone di canna, cominciarono anche le prove di legatu-ra dei passanti con filati di diametro e colori diversi. Quando me li mostrava per avere un giudizio, (io leggermente daltonico) lo rimbrottavo: “Se continui a farli senza prima lavarti le mani, sem-brano tutti grigi!”

La Numero 1 - Ottenne poi in prestito da Boretti qualche culmo di bamboo ed una serie di ghiere e, dopo circa un anno, la “Numero 1” era final-mente pronta. A questo proposito cʼè

da rimarcare che Otzi lavora alle canne solo nei ritagli di tempo ed il suo labora-torio è diviso in due: in bottega avviene la prima dissezione del fusto di bamboo, poi i listelli grezzi vengono portati a casa dove avviene la raddrizzatura, la prima piallatura e la legatura provviso-ria. Gli embrioni della canna vengono quindi riportati in bottega per la tempra (in cantina il forno proprio non ci sta: togliere le bottiglie del vino è impensa-bile anche per questo), poi ancora a casa dove avvengono tutte le lavorazioni suc-cessive. Quando la Numero 1 fu pronta ci fu una vera e propria processione di Pam verso la bottega di Otzi e, per un paio di giorni, gli automobilisti che pas-savano davanti al piazzale della stazione di servizio dove lavora avranno pensato ad un covo di pazzi: cʼera costante-mente un capannello di quattro-cinque persone attorno ad uno che si sbracciava con una canna in mano e molti, anche senza aver bisogno di fare rifornimento, si fermavano curiosi. La Numero 1, pur con qualche difetto di gioventù, lancia-va egregiamente anche a detta di coloro che passano per lanciatori provetti.

Dopo qualche settimana ci fu il battesimo del fuoco con unʼuscita di pesca nel Magra: la canna funzionò perfettamente sia in ferrata che nel recu-pero del pesce e, forte del suo successo, Otzi mise in cantiere altre canne. Le prime per saldare i debiti nei confronti di coloro che più si erano adoperati per le attrezzature, poi vennero quelle per gli amici: Mauro, Lucio e il sottoscrit-to e poi, finamente, una per lui stesso. Queste canne hanno una personaliz-zazione particolare: sullʼanello ferma-mulinello cʼè inciso il nome di battaglia. Mauro, alto e smilzo è Lunga Lancia, io piccolo e rotondo sono Canederlo, Lucio è Brenno (dal nome di uno dei personaggi che interpreta) e lui è, natu-ralmente, Otzi.

In alto: canna Otzi in bambù comple-ta di fodero.Qui a sinistra: canna in refendù con lʼazione della Hardy Riccardi, il modello di 7 ̓ad azione rapida che M. Riccardi proget-tò per la famosa ditta inglese. Otzi ha anche realizzato canne da spinning ad imitazione delle Pezon & Michel.

Successivamente si è fatto pren-dere dallʼinsana mania di realizzare personalmente ogni particolare (pas-santi, serpentine, portamulinelli) anzi-ché acquistarli come aveva fatto con le prime canne. Allora giù con nuovi attrezzi prima pensati e poi realizzati ed infine, con il contributo di Guido, rifatti a regola dʼarte in officina: lʼattrezzo per spaccare in dodici parti il fusto di bamboo, lo stampo per le coulisse a bicchierino, la macchina (manuale) per piegare il filo di metallo per i ponti del primo anello guidafilo con relativa dima per la saldatura (come anello vero e pro-prio utilizza i distanziali che recupera dalle catene da bicicletta), il necessario per costruire lʼanello (pardon, lo sliding ring) che serve a bloccare il mulinello, ecc. Questo ha spostato la consegna delle nostre canne allʼautunno 2002 in pieno “fermo biologico” per quanto riguarda lʼattività alieutica.

Il suo modello è ovviamente Marco Boretti ed il suo cruccio è quello di non riuscire a produrre canne “puli-te” come le sue. Cosa poi intenda con quellʼaggettivo lo sanno solo lui e Dio, perché a me sembrano perfette.

Il bamboo e il tornitore - Non sono mai cessate le ricerche (soprattutto in Internet) ed il coinvolgimento di altra gente. Prima la ricerca del bamboo: i più grossi commercianti sono negli USA ed il costo del bamboo non è eccessivo, ma il trasporto costa una fortuna ed allora provò ad organizzarlo tramite Beppe (PAM che per lavoro è spesso negli

Stati Uniti), poi sembrava esistesse un “rod maker” (con una buona scorta di bamboo) in Danimarca e proprio in quel periodo mia figlia si trovava là per motivi di studio, ma non riuscì a rintracciarlo. Ad un certo punto entrò in contatto con un francese il quale gli dis-se che era disponibile del materiale che qualcuno aveva ritirato quando la Pezon e Michel aveva chiuso. Finalmente, prima tramite Claudio (altro PAM che lavora per unʼindustria alimentare) e poi grazie a Julien (che vive a Parma, ma ha i genitori in Francia) riuscì ad organizzare il trasporto e, adesso, ha fi-nalmente una discreta scorta di bamboo di buona qualità. Ci fu poi il problema delle ghiere che sono realizzate in alpa-ca: una volta acquistate le barre e fatti i disegni (Davide col CAD), occorreva un tornitore disponibile a realizzarle. Dopo molti contatti infruttuosi, trovò un artigiano a qualche chilometro da Parma che si disse disposto a farle nei ritagli di tempo. La prima volta Otzi ci andò da solo ed il giorno dopo mi disse che que-sto signore (Carlo, detto Carlèn, anche lui pescatore ma non a mosca) aveva dei torni a controllo numerico magnifici e che realizzava cose bellissime anche se era un tipo un po ̓strano. Io che sono sempre stato appassionato di meccani-ca, la volta successiva mi aggregai più che altro per vedere come lavoravano i torni: la stranezza di Carlèn consiste nel fatto che, oltre ad essere un bravissimo artigiano, è un grande esperto e colle-zionista di vini e qui siamo incappati in una compagnia che forse batte la

nostra. Verso sera la sua officina (che è poi il garage sotto casa), si trasforma in una specie di osteria: arriva sempre qualche suo amico con un buon salame (o qualcosa di simile) e, mentre i torni lavorano, si fa baldoria. Quella sera tor-nammo a Parma dopo mezzanotte con gli incubi da palloncino. La terza volta si aggregò Lucio, autore di quasi tutte le foto di questo servizio (le più brutte le ho fatte io), il ritorno fu alle due di notte e le ghiere erano ancora da completa-re. Anche le impugnature in sughero sono autocostruite. E ̓ comunque già in progetto un “reel-seat” in radica. La ricerca di nuovi metodi di costruzione e lo studio di nuovi attrezzi continua tuttʼora e recentemente Otzi si è dotato di un tornio (si intravvede in una foto) acquistato da un ex rod-maker che ha deciso di dedicarsi ad altro.

Epilogo - Ecco, questa è la storia delle canne di Otzi, una storia che ci tenevo a raccontare perché lʼho vissu-ta (e la vivo) in diretta e perché dietro la passione per la pesca ci sono anche altre cose come lʼamicizia e lo stare in compagnia. Una persona che considero fra le più preparate nel panorama della pesca in Italia, il Dott. Lorenzo Betti (di Trento), in una risposta ad una mia lettera scrisse una frase che mi piace ricordare: “… è anche una questione di dignità della pesca, che non è un ripiego per perditempo, ma una grande passio-ne, coinvolgente ed educativa come po-che altre…” ed in questo caso penso che il senso di quelle parole sia esattamente centrato.

Ho volutamente omesso di parlare di taper e di azioni delle canne perchè non so se lʼazione della mia canna (e delle altre fin qui prodotte da Otzi) sia di punta, di pancia, di piede, parabolica, ellittica o a gomito, io vado sul fiume per pescare e questi sono problemi che lascio volentieri a Roberto Messori che ne capisce sicuramente più di me. Se vuole, da esperto qual è, potrà provarle e disquisire delle loro caratteristiche tecniche, penso che Otzi sia disponibi-lissimo a questo. Io so soltanto che sono bellissime.

Ghiere ed anelli realizzati in proprio.