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ATTO AMMINISTRATIVO COMUNITARIO E SINDACATO GIURISDIZIONALE.
In particolare lo sviamento di potere nel sindacato della Corte di Giustizia.
CAPITOLO I. L’atto amministrativo comunitarioPagg. 3-53I.I Premessa...pag. 3I.II L'atto amministrativo nell'ordinamento italiano...pag. 3I.III Esiste l'atto amministrativo comunitario?...pag. 9I.IV L'“indistinzione” tra funzione normativa e funzione esecutiva come causa della difficile individuazione dell'atto amministrativo...pag. 13I.V Le novità derivanti dalla ratifica del Trattato di Lisbona...pag. 24I.VI Riflessioni finali sull'esistenza dell'atto amministrativo nell'ordinamento comunitario...pag. 35I.VII La decisione...pag. 45
CAPITOLO II. I caratteri dell’atto amministrativo comunitarioPagg. 54-73 II.I I tratti distintivi della comunitarietà di un atto amministrativo secondo la dottrina tradizionale...pag. 54II.II I procedimenti di rilevanza comunitaria...pag. 57II.III I criteri identificativi, elaborati dalla giurisprudenza, della comunitarietà di un atto amministrativo...pag. 60II.III.I In particolare, i procedimenti composti...pag. 61II.III.II I procedimenti top down e bottom up...pag. 62II.IV Schema riassuntivo per l'identificazione dell'atto comunitario...pag. 65II.V L'atto nazionale “anticomunitario”...pag. 66
CAPITOLO III I vizi di legittimità comunitari. Lo sviamento di potere Pagg. 74-114III.I Premessa...pag. 74III.II Lo sviamento di potere nei più importanti Paesi aderenti all'Unione Europei...pag. 75III.II.I L'esperienza francese...pag.76
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III.II.II L'esperienza tedesca...pag.84III.II.III Lo sviamento di potere nell'esperienza italiana...pag.87III.III Lo sviamento di potere nell'Organizzazione comunitaria...pag. 89III.III.I Parametri per la definizione di sviamento di potere...93
CAPITOLO IV Le differenze tra lo sviamento di potere comunitario e l'eccesso di potere italiano creano un vuoto di tutela giurisdizionale a livello comunitario?Pagg. 115-172IV.I L'eccesso di potere italiano...pag. 115IV.II Brevi cenni sull'eccesso di potere negli ordinamenti dei Paesi Europei...pag. 133IV.III Lo sviamento di potere in ambito comunitario consente un sindacato di minor estensione ed intensità sulla discrezionalità amministrativa rispetto all'eccesso di potere nazionale?...pag. 134IV.IV I principi generali dell'ordinamento europeo...pag. 137IV.V Il principio di proporzionalità...pag. 142IV.V.I Elementi costitutivi del principio di proporzionalità di diritto comunitario...pag. 145IV.V.II L'effetto “spill-over” del principio di proporzionalità nel sistema italiano...pag. 150IV.V.III Conclusioni sul principio di proporzionalità...pag. 155IV.VI Il principio di uguaglianza e di non discriminazione...pag. 158IV.V Principio di certezza giuridica e di tutela dell'affidamento...pag. 164IV.V.VI Principio di buona amministrazione...pag. 167
CAPITOLO V Conclusioni...pag. 173
BIBLIOGRAFIA...pag. 186
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CAPITOLO I
L’atto amministrativo comunitario
I.I Premessa - Prima di approfondire
l'oggetto della presente ricerca, occorre
puntualizzare alcuni concetti di base necessari
per le successive analisi. Così,
preliminarmente, occorre chiedersi se esiste un
atto comunitario qualificabile come atto
amministrativo, secondo la definizione
conosciuta nel nostro ordinamento.
Per dare una qualsiasi risposta a questo
interrogativo occorre chiedersi, tuttavia, cosa
corrisponda al concetto di atto amministrativo
nell’ordinamento giuridico nazionale.
I.II L'atto amministrativo nell'ordinamento italiano
Per la dottrina tradizionale1, l'atto
amministrativo va individuato applicando un
duplice criterio di classificazione, il primo
oggettivo ed il secondo soggettivo.
1 E' la tesi dell'atto materialmente amministrativo del potere esecutivo: per tutti, SANTI ROMANO, Prime pagine, 1990, 431. Sul punto si veda, D. VAIANO, Gli atti amministrativi, in Codice della Giustizia amministrativa a cura di G. MORBIDELLI, Milano, 2008, 147 e ss.
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Quanto al primo aspetto, l'atto
amministrativo è quello rivolto alla cura di
interessi pubblici predeterminati ed individuati
dalla legge operando in una sfera subordinata a
quella in cui si svolge il potere politico;
quanto al secondo, si caratterizza per l'essere
adottato da organi del potere esecutivo.
Altra autorevole dottrina, sostanzialmente
sulla stessa linea ricostruttiva2,definisce
l’atto amministrativo3 come qualsiasi
manifestazione di volontà, desiderio, giudizio o
conoscenza compiuta da un soggetto della
pubblica amministrazione nell’esercizio di una
potestà amministrativa.
Tale definizione è, a ben vedere, molto
generale e conseguentemente incapace di
distinguere dall’atto amministrativo4 quella sua
species che è il provvedimento amministrativo.
Sono seguite, quindi, una serie di tesi5
che hanno cercato di ovviare a questo
inconveniente: hanno avuto un particolare
seguito quella c.d. negoziale e la teoria della
2 E’ la definizione di ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, v. I, Milano, 1954, 245.
3 Per uno sguardo alle nozioni di atto amministrativo presenti negli ordinamenti europei si veda: C.CHAPELLE, Acte administratif et justice administrative en Europe, in Revue Française de droit administratif, n. 2, 2008, 258 ss.
4 Sull'impugnabilità dei meri atti amministrativi si rinvia ancora a D. VAIANO, Gli atti amministrativi, in Codice della Giustizia amministrativa a cura di G. MORBIDELLI, Milano, 2008, 180 e ss.
5 Per F. BENVENUTI, Appunti di diritto amministrativo, parte generale, Padova, 1987, 21 e ss., il provvedimento amministrativo è esercizio di un potere, ossia è una manifestazione concreta di un potere di impero capace di costituire, modificare o estinguere posizioni giuridiche; il mero atto è, invece, esercizio di una semplice facoltà.
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c.d. procedimentalizzazione e funzionalizzazione
dell’attività amministrativa.
Per la tesi negoziale, atto e
provvedimento amministrativo non differirebbero
nella loro struttura essenziale da un qualsiasi
atto negoziale di diritto privato.
Al pari dei negozi giuridici, essi si
comporrebbero di una parte soggettiva, di una
oggettiva, della causa, della forma e della
volontà.
Proprio l'elemento volontaristico
differenzierebbe i provvedimenti dagli atti
amministrativi, essendo presente nei primi
(sotto forma di discrezionalità) e non nei
secondi.
Questa teoria, che ha sicuramente – almeno
in parte – condizionato il legislatore della l.
n. 15/2005 (modificativa della l. n. 241/1990),
è stata sottoposta a numerose osservazioni
critiche, tra le quali la più incisiva è quella
che sottolinea la profonda differenza che
intercorre tra un atto amministrativo ed un atto
negoziale.
Il primo, appartenente ad un regime di
diritto pubblico, è vincolato al perseguimento
degli interessi pubblici indicati nella legge
attributiva del potere; il secondo, soggetto al
regime privatistico, è espressione di autonomia
privata, per definizione libera nei fini e
limitata – in negativo – dalla legge6. 6 F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2006, pag. 899 osserva che: “l'attività amministrativa
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Volendo sintetizzare in un'unica
espressione le critiche che sono state mosse
alla tesi negoziale, si è detto che ogni
parallelismo tra atto amministrativo e atto
negoziale risulta impedito dalla profonda
differenza che intercorre tra la
discrezionalità7, tipica dell’atto
amministrativo, e l’autonomia negoziale, tipica
degli atti di diritto privato.
La dottrina prevalente ha così sviluppato
la tesi che potremmo definire funzionale-
procedimentale.
Quest'ultima pone in evidenza una
caratteristica essenziale dell’esercizio
dell’attività amministrativa: la sua
procedimentalizzazione. Ossia, sottolinea che
l’attività amministrativa si esplica attraverso
una serie di singoli atti concatenati l’uno
all’altro e diretti funzionalmente
all’emanazione di un atto finale, il
provvedimento per l’appunto, l’unico capace di
manifestare all’esterno la volontà della
Pubblica Amministrazione e idoneo ad incidere
unilateralmente nella sfera giuridica dei terzi.
incontra così limiti ben maggiori di quelli posti all'autonomia privata: mentre i limiti negativi (mantenere l'attività nei confini della liceità) sono propri anche delle attività dei privati, quelli positivi assumono caratteri specifici per la pubblica amministrazione in quanto diretti al mantenimento dell'attività nell'ambito dei fini pubblici che l'amministrazione deve perseguire (limiti dell'attività amministrativa).
7 Un originale Autore francese, alla ricerca di una nozione di potere discrezionale, precisa che occorrerebbe distinguere tra la discrezionalità giuridica tipica della funzione amministrativa e quella politica tipica di quella funzione autonoma definibile come fonction gouvernementale: M. DENDIAS, Contribution à la notion du pouvoir discretionnaire et du détournement de pouvoir, in Festschrift di Rudolf Laun, Gottingen, 1962, 79.
1
Per questa tesi, dunque, la nozione di
atto amministrativo andrebbe ricostruita in via
residuale essendo atto tutto ciò che non è
provvedimento.
Sono atti amministrativi, in quest’ottica,
gli atti che sono manifestazione di scienza,
giudizio, conoscenza e che sono – di norma –
connotati dalla loro natura servente,
strumentale, preparatoria dell’atto finale del
procedimento: il provvedimento.
L’atto amministrativo, secondo questa
tesi, ha una rilevanza meramente interna, non è
idoneo a ledere le posizioni giuridiche dei
terzi8 e non è autonomamente impugnabile9.
Principio del diritto amministrativo e
tratto caratterizzante dell’ordinamento di tipo
strutturale ad atto amministrativo è, peraltro,
quello dell’esecutorietà. Il potere di signoria
dello Stato, espressione della sovranità, si
manifesta con caratteri peculiari specialmente
nel momento della coazione, dal momento che esso
dispone di quei mezzi di coercizione che
integrano il meccanismo di coazione di
determinati atti.
Si può già anticipare che, invece, nel
sistema comunitario, questo meccanismo, che
funge da sostegno all’operatività tipica
dell’atto amministrativo, si frattura e si
scinde per effetto della struttura stessa degli
8 In questo senso: E. CASETTA, cit., 489.9 Per una ricostruzione più ampia delle varie tesi sulla nozione di atto amministrativo si veda F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2006, 1025 ss.
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organismi comunitari e della natura del loro
potere10. Il “riflesso” di questa peculiarità
degli atti comunitari per una possibile, o meno,
ricostruzione di una figura comunitaria di atto
amministrativo sarà, peraltro, oggetto di
approfondimento nel prosieguo del lavoro.
Tenendo in considerazione quanto premesso
circa la distinzione nazionale tra atti e
provvedimenti, è bene precisare sin da subito
che oggetto di questo studio (nel quale si
intende analizzare il sindacato giurisdizionale,
specie di quello sotto forma di sviamento di
potere, della Corte di Giustizia sull’atto
amministrativo comunitario) è quel particolare
atto amministrativo comunitario che
nell’ordinamento interno verrebbe qualificato
come provvedimento amministrativo.
Pur con questa doverosa specificazione,
per comodità, si farà riferimento nel prosieguo
del lavoro più genericamente all’atto
amministrativo, da considerare come una
terminologia (di genere, per l'appunto)
comprensiva anche della species provvedimento.
10 Ci si è riportati fedelmente al pensiero di G. SACCHI MORSIANI, Il potere amministrativo delle Comunità Europee e le posizioni giuridiche dei privati, Milano, 1965, 81 e ss.
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I.III Esiste l’atto11 amministrativo comunitario?
Preliminarmente, occorre domandarsi se
esiste nell'ordinamento comunitario la figura
dell'atto amministrativo.
La risposta a questa domanda, che oggi
potrebbe apparire scontata, ha invece diviso
per un certo periodo la dottrina.
Autorevole parte di questa12 ha ritenuto
che l’ordinamento comunitario13, così come gli
altri ordinamenti internazionali14 ai quali,
pur nella sua originalità, quest’ultimo
andrebbe assimilato, non conoscerebbe una
figura giuridica qualificabile come atto
amministrativo. Anzi, ancor più radicalmente, 11 G. SACCHI MORSIANI, cit., 104, osserva che le difficoltà principali per una teoria giuridica degli atti delle Istituzioni nell’ordinamento comunitario derivano essenzialmente dalla novità delle formule che reggono l’organizzazione dei poteri. Questi ultimi non sono attribuiti seguendo i principi degli ordinamenti degli Stati membri nei quali vige una divisione dei poteri ispirata da principi differenti da quelli che informano l’ordinamento comunitario.
12 M.S.GIANNINI, Profili di un diritto amministrativo delle Comunità Europee, in Riv. trim. dir. pubbl., IV, 2003, 979, testo tratto dalla registrazione della Conferenza tenuta il 14 aprile 1967, nell’ambito del seminario su L’ordinamento delle Comunità Europee nei suoi rapporti con il diritto internazionale ed il diritto interno, promosso dalla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Roma, d’intesa con le Comunità Europee, Ufficio per l’Italia, e con la Società italiana per l’organizzazione internazionale.
13 Di sistema profondamente sovrannazionale parla M. FRAGOLA, “Governance” dell’Unione Europea, sovrannazionalità e modelli applicabili: un tentativo di riordino alla luce della Costituzione dell’Unione Europea, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali n. 3/2006, 427.
14 Più che ad un ordinamento internazionale l’ordinamento comunitario viene ricondotto dai più ad un ordinamento sopranazionale.
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esso non conoscerebbe un ramo della
normazione qualificabile come diritto
amministrativo15.
Secondo questa tesi, invero espressa
quando l’ordinamento comunitario era agli
albori, non sarebbe concepibile un diritto
amministrativo16 tecnicamente inteso laddove
nell’ordinamento preso in considerazione non
si riscontri la presenza di due requisiti
strutturali:
1) la generalità dei fini e
2) la plurisoggettività individuale17.
15 Recentemente si è aperta una diatriba in Francia tra accademici. Una folta schiera di autorevoli Professori di diritto hanno inviato una lettera al Presidente della Repubblica nella quale invitano a non studiare il diritto comunitario che, a loro dire, non costituirebbe un vero e proprio diritto. A questo durissimo attacco rivolto al diritto comunitario ha risposto altra parte del mondo accademico francese sempre con una lettera rivolta al Capo dello Stato. Le lettere sono pubblicate in Il diritto dell’Unione Europea n. 2/2007, 455 e ss.
16 già nel 1965 G. SACCHI MORSIANI, cit., pag. 7 e ss., aveva intuito la genesi di un diritto amministrativo comunitario, tant’è che così si esprimeva: “…ciò tuttavia non significa ancora che ci troviamo in presenza di ordinamenti a diritto amministrativo; ipotesi questa che sembra per ora giustificarsi soltanto sulla constatazione assai evidente, ma di per sé ovviamente non decisiva, che l’ordinamento comunitario ha preso vita e forma per iniziativa di Stati continentali europei caratterizzati da ordinamenti “a regime amministrativo”.
17 Deve ritenersi che le conclusioni cui pervenne l'Illustre Autore furono influenzate dall'osservazione che le Comunità europee nacquero come insieme di organismi sopranazionali specializzati. CLAUDIO FRANCHINI, Les notions d'administration indirecte et de coadministration in Droit Administratif Européen sotto la direzione di JEAN BERNARD AUBY E JACQUELINE DUTHEIL DE LA ROCHÈRE, Bruxelles, 2007, 245 e ss., ha osservato come tra le idee europeiste dei Fondatori, ossia tra quelle di Monnet e quelle di Altiero Spinelli (quest'ultimo immaginava la costruzione di uno Stato federale, ossia l'edificazione di un'Europa politica), prevalsero le idee del Francese.
1
L’Illustre sostenitore di questa tesi
concludeva la sua analisi sostenendo, quindi,
che l’ordinamento comunitario non avesse i
due requisiti sopra elencati e che i
riferimenti ai vizi degli atti comunitari
contenuti nell’art. 230, II comma, del
Trattato – ora art. 263 paragrafo II del TFUE
- (violazione di legge, sviamento di potere,
incompetenza, violazione delle forme) e ad
altri istituti tipici del diritto
amministrativo non fossero altro che
suggestioni dovute al trapianto
nell'ordinamento comunitario, meramente
terminologico peraltro, di tali figure dagli
ordinamenti degli Stati membri, e da quello
francese in particolare.
Come detto, tale conclusione risentiva
inevitabilmente del periodo, ormai datato,
nel quale tale tesi è stata formulata.
Recente dottrina18 l’ha quindi
rivisitata, giungendo a conclusioni opposte,
alla luce dell’evoluzione dell’ordinamento
comunitario mantenendo fermo, peraltro,
l’assunto di teoria generale che regge la
lezione gianniniana: l’esistenza dell’atto
amministrativo è concepibile solo in
ordinamenti a fini generali ed a
plurisoggettività individuale19. 18 S.STICCHI DAMIANI, L’atto amministrativo nell’ordinamento comunitario. Contributo allo studio della nozione, Torino, 2006, pag. 9.
19 Nella presentazione al testo di M.S.GIANNINI, cit., STEFANO BATTINI conclude nel senso che l’evoluzione del diritto comunitario lascia pochi dubbi circa l’esistenza di un diritto amministrativo europeo e che tale convinzione è patrimonio comune della scienza giuridica contemporanea. Anche la dottrina più recente (si veda per
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Occorre osservare, peraltro, che il
tema, nei termini appena esposti, ha perso
gran parte della sua attualità. Oggi,
infatti, non si discute più dell’esistenza o
meno di un diritto amministrativo
comunitario20; viceversa, dandone per scontata
la sua esistenza21, si discorre circa i
rapporti di questo con i singoli ordinamenti
nazionali22 e ci si interroga su cosa ci sia
di nuovo, rispetto ai diritti amministrativi
nazionali, nel diritto amministrativo
europeo23.
tutti CASSESE, I lineamenti essenziali del diritto amministrativo comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1991, 3) qualifica l’ordinamento comunitario come “sistema a fini tendenzialmente generali”.
20 R. MANFRELLOTTI, L’Amministrazione europea: l’evolversi di un modello, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario n. 3-4/2005, 1179, sostiene “l’ampliarsi dei compiti attribuiti alla Comunità ha determinato la crescita della struttura amministrativa di quest’ultima ed il sorgere di un diritto amministrativo europeo”.
21 In termini più generali si è osservato che in ambito europeo si assiste ad un “diritto amministrativo senza lo Stato” (così G. DELLA CANANEA, Diritto amministrativo europeo, Principi ed istituti, Milano, 2006, pag. 8 e ss.; di “Costituzione senza Stato” parla L. TORCHIA, in Dir. pubb., 2001, 405 e ss. con riferimento al processo costituzionale avviato con le Dichiarazioni di Laeken); ad un diritto amministrativo figlio, a differenza dei diritti amministrativi nazionali, non del dispotismo ma dell’esigenza quanto mai pragmatica di garantire le libertà ed i diritti dei privati. Tali peculiarità, come si vedrà, si riverberano in maniera originale sulla ricostruzione delle figure giuridiche così come conosciute dalle tradizioni giuridiche nazionali.
22 S. CASSESE, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, seconda lettura della Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, tenutasi il 17 maggio 2002, presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca, in Riv. ital. Dir. pubbl. comunitario, 2002, 291 e ss.
23 S. CASSESE, Il diritto amministrativo europeo presenta caratteri originali?, in Rivista di diritto pubblico, 2003, 35 e ss. per il quale “sotto l’apparente somiglianza con i diritti amministrativi statali, vi è un tratto originale del diritto amministrativo europeo. Questo è costituito dall’adozione, nell’area europea, dell’interest representation model e dalla sua utilizzazione anche nei riguardi degli Stati. Questi ultimi, catturati nel dialogo e nel contraddittorio, sono, però, sia pur parzialmente, ridotti al rango di centri di
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I.IV. L'indistinzione tra funzione normativa e funzione esecutiva come causa della difficile individuazione dell'atto amministrativo
Tanto premesso occorre dire che,
anticipando in parte ciò che si cercherà di
dimostrare in seguito, è abbastanza
problematica un’assimilazione dell’atto
amministrativo comunitario con quello
nazionale in considerazione del fatto che
nell’ordinamento comunitario è difficile la
stessa individuazione di un atto
amministrativo essendo incompleta, a monte,
la stessa distinzione tra normazione e
amministrazione24 25.
Tale fenomeno era particolarmente
evidente nella prima fase di vita delle
Comunità nel quale, a fianco ad un chiaro e
riconoscibile potere giurisdizionale
attribuito alla Corte di Giustizia, non si
riscontrava un titolare unico del potere
esecutivo e di quello normativo e,
soprattutto, non si riscontrava una linea di
cura di interessi privati”.24 G. DELLA CANANEA, cit., Milano, 2006, pag. 46. 25 G. DELLA CANANEA, cit., pagg. 52 e s. ha osservato, ulteriormente, che a livello di studio del diritto comunitario non esiste neanche quella separazione che la scienza giuridica nazionale ha ormai coltivato da tempo tra il diritto amministrativo ed il diritto costituzionale.
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demarcazione tra gli atti normativi e quelli
esecutivi26.
Ciò era addebitato ad una serie di
fattori; tra i tanti, particolare “peso”
aveva il timore degli Stati nazionali di
creare un potere esecutivo “forte” capace di
offuscare i singoli poteri esecutivi
nazionali; il tutto sul presupposto che il
Governo e l’apparato esecutivo fossero il
centro27 del potere da conservare gelosamente.
26 G. SACCHI MORSIANI, cit., 108 e ss, osserva che l’“indifferenziazione” dei poteri e dei relativi atti porta ad affacciarsi alla coscienza dei giuristi un fenomeno che riflette lo sviluppo di figure che mettono in crisi taluni canoni propri del metodo classico degli studi giuridici; canoni derivanti dai concetti di astrattezza e generalità della norma in contrapposto alla concreta operatività che è propria dell’atto amministrativo. Tale “indifferenziazione” è, secondo questa dottrina, evidente anche nella realtà dell’ordinamento nazionale dove l’esercizio di attività a contenuto generale e particolare, astratto e concreto, venga cumulativamente attribuito, in base a criteri di pratica opportunità, indifferentemente ad organi del legislativo o dell’esecutivo e possa esplicarsi attraverso molteplici categorie di atti (legge, legge-provvedimento, regolamento, provvedimento generale a carattere non normativo ecc.) in una situazione nella quale, in larga parte dei casi, l’ordine secondo l’aspetto formale non corrisponde all’ordine secondo l’aspetto contenutistico. L’Illustre Autore nota, inoltre, che lo sviluppo di queste figure è propria in particolare dell’evoluzione del potere amministrativo dello Stato in relazione all’attività economica privata e cita, sul punto, il pensiero espresso da V.SPAGNUOLO VIGORITA in Attività economica privata e potere amministrativo, Napoli, 1962 e Aspetti giuridici della disciplina dell’iniziativa privata, in Il diritto dell’economia, 1955, 986 e ss.
27 Gli Stati Nazione sono stati costruiti intorno al potere esecutivo. Gli Organi legislativi e giudiziari sono addizioni successive. D’altronde, mentre il potere legislativo e giudiziario statale è normalmente frazionato tra più centri di potere, due camere o più organi giurisdizionali, il potere esecutivo è tradizionalmente riconducibile ad un centro unitario. Così, nella sostanza, S. CASSESE nelle lezioni di “European Adminstrative Law” tenute alla New York University School of law dal 24 agosto al 14 ottobre 2004 e tradotte ed aggiornate da M. SAVINO, in G. DELLA CANANEA, cit., pagg. 169 e ss.
1
In quest’ottica va letta l’originaria
volontà di costruire una Comunità Europea con
fini limitati e apparati amministrativi
snellissimi che, per il loro funzionamento,
necessitavano dell’apporto delle
amministrazioni nazionali28.
In questa prima fase di vita
dell’ordinamento comunitario ha avuto,
infatti, una particolare importanza la
procedura di amministrazione cd. indiretta29,
caratterizzata dall’utilizzo “comunitario”
delle amministrazioni nazionali e, viceversa,
non è quasi mai risultata adoperata la
procedura di amministrazione cd. diretta,
caratterizzata dalla cura dell’interesse
comunitario a livello sopranazionale,
presupponendo quest'ultima un’organizzazione
di mezzi e uomini all’epoca assente.
28 Si v. E. CHITI e G.DELLA CANANEA, L’attività amministrativa, in G. DELLA CANANEA, cit., 89 e ss., dove si osserva che, ancora oggi, “priva com’è di uffici periferici e di mezzi finanziari paragonabili a quelli di cui di cui dispongono le amministrazioni degli Stati federali, l’amministrazione europea non può fare a meno dell’apporto delle burocrazie nazionali. Inoltre essa è priva di un elemento che contraddistingue le potestà delle pubbliche amministrazioni nei Paesi continentali”, ossia quella che nel nostro ordinamento viene designata come autotutela. Nell’ordinamento comunitario, infatti, per ottenere “che i pubblici poteri nazionali rispettino gli obblighi che discendono dall’appartenenza all’Unione, la Commissione deve rivolgersi al giudice.”
29 questo modulo organizzativo appare la coerente applicazione dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. In particolare, per il rispetto del principio di sussidiarietà, l’amministrazione comunitaria ha il potere di eseguire il diritto comunitario solo se l’ampiezza o gli effetti dell’azione proposta rendono i poteri statali insufficienti: il potere esecutivo dell’Unione Europea è perciò residuale e non monopolistico. Così S. CASSESE, ult. cit., 173.
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Acuta dottrina30, peraltro, osserva che
un’altra causa dell’indistinzione
comunitaria31 tra funzione normativa e
funzione amministrativa è da rinvenire
nell’assenza “a livello comunitario di un
potere legislativo che possa, al pari di
quello statale, disporre direttamente di un
residuo di sovranità, nel senso che sia
libero di determinarsi nei soli limiti
fissati dalla Costituzione.”
In sostanza, non esisterebbe un rapporto
“Trattati/normativa derivata” assimilabile al
rapporto “Costituzione/leggi ordinarie”
tipico dei sistemi nazionali.
A livello comunitario la normativa
derivata è legittimata da un esplicito32
riferimento contenuto nei Trattati; la
normativa primaria statale, invece, è libera
nei fini ed incontra un limite meramente
negativo nella Carta Costituzionale.
30 G. SACCHI MORSIANI, cit., 124 e ss.31 Nella Dichiarazione di Laeken del 14 e 15 dicembre 2001, con la quale si è convocata la Convenzione per l’Europa, è individuata tra le “sfide le riforme in un’Unione rinnovata” l’esigenza di “una semplificazione degli strumenti dell’Unione” ed è anche segnalata la necessità di verificare se “gli strumenti dell’Unione non possano essere circoscritti meglio e se il loro numero non possa essere ridotto” e, infine, se occorre “introdurre una distinzione tra misure legislative e misure di attuazione”. Così B. DE MARIA, Legge europea e sistema delle fonti, in Il Trattato costituzionale nel processo di integrazione europea a cura di M. SCUDIERO, t.I, Napoli, 2005, 572. Si veda, altresì, G.GRECO, Profili di diritto amministrativo e ruolo della Commissione nel progetto di Costituzione Europea (note a prima lettura), in Riv. it. dir. pubbl. comunitario n. 3-4/2005, 1113.
32 E' il portato del principio di attribuzione, sancito nei previgenti Trattati e ribadito, da ultimo, nel Trattato di Lisbona. Il principio di attribuzione, peraltro, fa salvo l’uso dei cd. poteri impliciti di cui al previgente art. 308 del Trattato.
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In un sistema comunitario così descritto
il concetto di funzione esecutiva (dei
Trattati) si amplia e diviene capace di
inglobare la funzione normativa e quella
amministrativa. O, sotto altra visuale, la
stessa funzione normativa è parte della più
ampia funzione esecutiva attribuita agli
Organi comunitari33.
Si comprende, dunque, la scelta del
legislatore comunitario di elencare all’art.
263 paragrafo II del Trattato sul
funzionamento dell'Unione Europea una serie
di vizi riferiti a provvedimenti34
(regolamenti, direttive, decisioni,
raccomandazioni e pareri) dei quali non è
33 a livello di atti non si è discusso, per lungo tempo, di atto legislativo bensì di atti a contenuto normativo la cui “funzione esecutiva dei Trattati” li avvicina, non solo nel nome, ai regolamenti conosciuti nel diritto nazionale. La questione potrebbe essere rivisitata non solo alla luce della considerazione che il Trattato di Lisbona ha attributo ad alcuni atti comunitari la valenza di atti legislativi ma sulla base di una rivisitazione – accennata da una parte della dottrina – del rapporto, all'interno dei sistemi nazionali, tra Costituzione e leggi. Queste ultime andrebbero considerate come esecuzione della prima.
34 G.GRECO, cit., 1123, nel notare che quest’elencazione dei vizi degli atti comunitari è ripresa in blocco nella Costituzione per l’Europa, osserva “…Si tratta dunque – come per il passato – della patologia tipica degli atti amministrativi (illegittimità-annullabilità) e conferma che nel sistema dell’Unione il regime dell’atto amministrativo non solo è presente, ma è anche esteso agli atti di normazione primaria e cioè alle leggi….Con il che risultano smentiti numerosi preconcetti e prese di posizione, che assumono il sistema ad atto amministrativo come recessivo nel contesto comunitario, che prospettano la necessità di disapplicazione degli atti amministrativi contrastanti col diritto comunitario o addirittura riconnettono ad atti così viziati la patologia più radicale della nullità ritenuta consona al tipo di norma violata. La privatizzazione dell’attività amministrativa, auspicabile o meno che sia, non costituisce una necessità comunitaria. E la miglior conferma è data proprio dal regime degli atti comunitari, ove anzi si registra – come si è visto – un carattere pervasivo di tale regime in quanto applicato anche alle leggi.
1
sempre agevole scorgerne la natura normativa
o amministrativa: l’“indistinzione” tra
funzioni normative e funzioni esecutive si
ripercuote emblematicamente, quindi, sugli
atti giuridici.
Non è senz'altro possibile, del resto,
distinguere gli atti normativi da quelli
amministrativi facendo affidamento sul
criterio “soggettivo”, ossia riferendosi
all’Istituzione emanante.
In primo luogo non è facile attribuire
ad una sola Istituzione comunitaria
rispettivamente la qualifica di Organo
legislativo e di Organo esecutivo; basti
pensare che se è vero che, almeno nella
versione originaria dei Trattati comunitari,
la funzione normativa primaria era
sicuramente attribuita al Consiglio, la
funzione esecutiva35 non era in toto
attribuita alla Commissione36.
Anzi, a ben vedere, la funzione
esecutiva è attribuita al Consiglio (art.
202)37; quest'ultimo, peraltro, può (ed entro
certi limiti “deve”) sottoporre tali
competenze, determinandone le modalità, alla
Commissione (art. 211). La compartecipazione
35 Autorità amministrativa, nel disegno della Costituzione per l’Europa, sono Consiglio dei Ministri e Commissione, escluse particolari fattispecie per le quali sono riconducibili a tale categoria anche BCE e Consiglio Europeo: così G. GRECO, cit., 1114,
36 K. CAUNES, Et la fonction exécutive europeénne créa l’administration à son image… Retour vers le futur de la comitologie, in Revue trimestrielle de droit europeén, n°2 avril-juin 2007, 297 ss.
37 R.BARATTA, Le principali novità del trattato di Lisbona, in Il Diritto dell’Unione Europea 1/08, pagg. 21 e ss.
1
soggettiva38 delle medesime istituzioni
all’interno di funzioni differenti continua,
dunque, nonostante i descritti cambiamenti,
ad essere un tratto caratterizzante del
sistema comunitario che impedisce di
qualificare le singole istituzioni solo come
legislative o solo come esecutive39.
Gli atti esecutivi, infatti, che sono
gli atti più facilmente assimilabili agli
atti amministrativi di diritto nazionale,
sono emanati tanto dal Consiglio quanto dalla
Commissione; al fine di enuclearne un
criterio discretivo non è, quindi, dirimente
un criterio che faccia esclusivo riferimento
all’origine soggettiva dell’atto emanato.
Anche se, ed è questa una prima
conclusione cui si può giungere, gli atti
emanati dalla Commissione sono senz'altro
riconducibili a funzioni di carattere
essenzialmente esecutivo40.
Come si avrà modo di verificare,
peraltro, tale conclusione non può indurre a
pensare che la Commissione agisca sempre
tramite atti che, con una terminologia
nazionale, potremmo definire amministrativi.
La migliore dottrina ha, infatti, rimarcato
38 di esecutivo europeo “bicefalo” con “due teste”ed al tempo stesso “nomade” potendo i poteri esecutivi essere conferiti dal Consiglio alla Commissione parla S. CASSESE nelle lezioni di “European Adminstrative Law” tenute alla New York University School of law dal 24 agosto al 14 ottobre 2004 e tradotte ed aggiornate da M SAVINO, in G. DELLA CANANEA, cit., 169 e ss.
39 testualmente, S.STICCHI DAMIANI, cit., 151.40 Anche nel progetto di Costituzione per l’Europa: così, G.GRECO, cit., 1113.
1
come nella funzione esecutiva comunitaria
debba ricomprendersi quella funzione
normativa terziaria che, sempre utilizzando
una terminologia nazionale, si esprime
attraverso i regolamenti di esecuzione.
E’ evidente, allora, come tutto il
quadro sistematico così delineato sia dotato
di un’originale complessità: volendo, in modo
improprio ma latamente comparatistico,
schematizzare il sistema comunitario potremmo
affermare che il Consiglio può emanare atti
che nell’ordinamento interno qualificheremmo
come “leggi, regolamenti ed atti
amministrativi”, mentre la Commissione potrà
emanare “regolamenti ed atti amministrativi”.
Tale complessità risulterà ancora più
articolata ove si consideri che gli atti
comunitari hanno una natura di per sé stessa
“ibrida”: il regolamento comunitario,
infatti, potrà essere utilizzato tanto per
l’esercizio di una funzione normativa (dal
carattere secondario-legislativo) quanto per
l’esercizio di una funzione esecutiva (dal
carattere terziario-regolamentare); la stessa
decisione avrà normalmente una natura
esecutiva ma, non di rado, assume la veste
tipica dell'atto normativo41.41 A testimonianza di questa natura “ambivalente” delle decisioni, nell’ottica di semplificazione e riordinamento del sistema delle fonti comunitarie, il Presidente del IX Gruppo di lavoro della Convenzione per l’Europa (Giuliano Amato) – nella presentazione della relazione finale di detto gruppo alla sessione plenaria del 2002 – si è soffermato sulle proposte di suddividere gli atti vincolanti in legislativi e in atti non legislativi, rimarcando che ciò avrebbe implicato che la “legge è chiamata a coprire anche situazioni che oggi sono collocate sotto la decisione”
1
Autorevole e recente dottrina42
evidenzia come, in seguito, tale
“indistinzione” di funzioni sia stata, almeno
in parte, attenuata43 dall’accresciuto ruolo
del Parlamento europeo che, da Organo avente
funzioni meramente consultive e mai
vincolanti, è divenuto, a far data
dall’introduzione dell’Atto Unico Europeo
(1986), protagonista della fase normativa
attraverso le procedure della cooperazione,
del parere conforme e, soprattutto, della
codecisione.
L’accresciuto ruolo del Parlamento44 ha
fatto emergere, a parere della citata
dottrina, un potere che si può definire
legislativo45 e che, quindi, risulta più
42 STICCHI DAMIANI, cit., 132.43 Tuttavia – in modo emblematico – lo stesso Praesidium della Convenzione per l’Europa – pur proponendo definizioni distinte e discipline separate per gli atti legislativi, per quelli non legislativi e per gli atti esecutivi – non distingue in modo rigoroso la titolarità di funzioni legislative e di quelle esecutive e ciò per la difficoltà dell’attuale geometria del disegno istituzionale europeo. Così B. DE MARIA, cit., 586.
44 Sul ruolo del Parlamento Europeo nell’architettura della Costituzione per l’Europa – come noto non ratificata da tutti gli Stati membri e quindi mai entrata in vigore, si veda R. BIEBER, Le renforcement du Parlament europeén, in Revue des Affaires européens, 2/2006, 223 e ss.
45 Il tentativo di rendere evidente, anche per ragioni di “democraticità sostanziale” del sistema, la distinzione tra potere legislativo e potere esecutivo ha avuto la sua massima espressione nella Costituzione per l’Europa. In essa rinveniamo la distinzione tra atti legislativi, atti non legislativi e atti esecutivi. Sia pur in modo non rigoroso – in considerazione delle peculiarità dell’ordinamento comunitario – si è cercato di disegnare un riparto di competenze che vede il potere legislativo attribuito al Consiglio ed al Parlamento (di procedimento “bicamerale” hanno parlato, in proposito, G. AMATO, Verso la Costituzione europea, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2003, 294 e F. SORRENTINO, Considerazioni introduttive sulle nuovi fonti del diritto europeo, in Dir. pubbl. comp. eur., 2003, 1750); il potere
1
facilmente distinguibile dal potere normativo
secondario o esecutivo delle leggi.
Parallelamente, si è osservato46, è
divenuta più facilmente identificabile la
stessa funzione esecutiva e, in particolare,
quella parte di essa che si esprime
attraverso atti individuali. Infatti,
esecutivo tendenzialmente affidato alla Commissione. Natura legislativa – nel disegno dei costituenti europei – hanno in particolare la legge europea e la legge quadro.Per B. DE MARIA, cit., 596, “Benché la disciplina della legge europea e della legge quadro non si discosta in modo marcato da quella che il diritto dei Trattati pone per i regolamenti e le direttive, non può sfuggire il peso politico ed altamente simbolico di questa svolta terminologica che……fornisce una chiara e netta indicazione sull’intento dei protagonisti della costruzione comunitaria di voler procedere in direzione di un rafforzamento anche qualitativo e strutturale del processo di integrazione”. L’Autore rimarca, peraltro, che da almeno un ventennio la giurisprudenza comunitaria (tra le tante si vedano: sentenza 10 luglio 2003, causa C-15/00, Commissione/Bei, Racc. I-7281 ss; sentenza 21 gennaio 2003, causa C-378/00, Commissione/Parlamento e Consiglio Ue, Racc. I-937 ss; sentenza 10 dicembre 2002, causa C-491/01, British American Tabacco, Racc. I-11453) fa riferimento a termini quali “legislatore comunitario”, “legislazione comunitaria”, “legge”, riferendosi specificamente al potere delle Istituzioni di adottare soprattutto regolamenti e direttive o “atti di base” (ossia atti che attribuiscono competenze di attuazione o esecuzione). Osserva, poi, che “in sostanza è nell’esperienza comunitaria, prima ancora che nelle formule prescelte dal Trattato costituzionale, che si sono individuati criteri distintivi tra atti normativi di portata generale, che derivano direttamente dal Trattato e che contengono scelte politiche fondamentali, ed atti che in questi ultimi trovano il loro presupposto legittimante e che, benché contemplati dai Trattati non possono intervenire se non espressamente previsti da un atto di base….Non si vuole in tal modo sostenere che prima dei lavori della Convenzione si fosse già affermata nella sostanza delle fonti dell’ordinamento comunitario una chiara e netta distinzione tra la sfera legislativa e quella esecutiva, poiché così facendo si negherebbe la complessità del sistema e dell’ordinamento comunitario…..Insomma, alla base delle scelte compiute in ordine alla riorganizzazione degli strumenti di esercizio delle competenze dell’Unione si intravede lo scopo di rendere questo sistema di atti più omogeneo rispetto al nuovo assetto che il principio democratico ed i suoi corollari hanno ormai assunto nell’ordinamento comunitario; ed è soprattutto sotto quest’ultimo profilo che si coglie il significato simbolico della nuova denominazione delle fonti del diritto che derivano dal
1
l’accresciuto “peso” delle procedure in
amministrazione diretta, di pari passo con
l’aumento – non solo in termini di risorse
umane e mezzi - della burocrazia comunitaria,
ha stimolato in modo sensibile la produzione
di tale tipologia di atti47.
Più che i soggetti, allora, si
suggerisce48 di utilizzare quale ausilio per
una differenziazione tra le funzioni il
criterio procedurale49: infatti, nella
funzione “legislativa” si applicano le
procedure del parere conforme, della
cooperazione o della codecisione50; nella
funzione esecutiva51 in via normativa si
Trattato.”46 Così la Nota del praesidium – Convenzione europea, Strumenti giuridici: sistema attuale, CONV n. 50/2002, del 15 maggio 2002, par. 2, citata in STICCHI DAMIANI, cit., 133.
47 Interessantissime appaiono le considerazioni di R. MANFRELLOTTI, cit., 1179 e ss. Si veda, altresì, C. FRANCHINI, L’impatto dell’integrazione comunitaria sulle relazioni al vertice dell’amministrazione. Poteri governativi e poteri amministrativi, in Riv. it. dir. pubbl., 1991, 777 e ss.
48 S. STICCHI DAMIANI, cit.49 peraltro, B. DI MARIA, cit., 719, osserva che non vi è, attualmente, corrispondenza tra atto e procedimento.
50 I membri della Convenzione Europea, nel preparare il testo della Costituzione per l’Europa, si sono espressi in modo omogeneo rispetto alla possibilità di assumere ad archetipo del procedimento legislativo la procedura di “codecisione”. Così, B.DI MARIA, cit., 575. Sull’accostamento del nomen “legge” alla procedura di codecisione si veda anche C. PINELLI, Gerarchia delle fonti comunitarie e principio di sussidiarietà e proporzionalità, in Il Diritto U.E., 1999, 726.
51 Nella funzione esecutiva in via “amministrativa” la diversità di procedimento utilizzato (esecuzione diretta, procedimenti compositi, procedimenti “in funzione comunitaria”) rileva – come si vedrà nei successivi paragrafi del presente lavoro – rilevare, al più, ai fini dell’individuazione della “comunitarietà” di un atto. Sui procedimenti amministrativi si v. E. CHITI e G.DELLA CANANEA, cit., in G. DELLA CANANEA, cit., 100 e ss.
1
applicano le procedure previste dai
regolamenti sulla c.d. comitatologia.
Invece, a nulla servirà il criterio
“formale”, ossia del tipo di atto utilizzato.
Come anticipato, nell’esercizio52 delle varie
funzioni gli atti tipici vincolanti sono
sempre i regolamenti, le direttive e le
decisioni53.
I.V. Le novità derivanti dalla ratifica del Trattato di Lisbona
Le considerazioni esposte ai precedenti
paragrafi vanno confrontate col mutato quadro
normativo54 disegnato dal Trattato di Lisbona,
stipulato nel giugno del 2007. 52 Sulla natura “anomala” e “asistematica” del sistema degli atti (o delle fonti) comunitarie si veda A. D’ATENA, L’anomalo assetto delle fonti comunitarie, in A. D’ATENA – P.GROSSI (a cura di), Diritto, diritti e autonomie tra Unione Europea e riforme costituzionali, Milano, 2003, 3 ss.
53 Per parte della dottrina (v. G.L. TOSATO, voce Regolamenti comunitari, in Enc. Dir., XXXIX, Milano, 1988, 689), tra questi atti è possibile configurare – sia pur con importanti precisazioni – un rapporto di gerarchia; per la dottrina prevalente (A. TIZZANO, La gerarchia delle norme comunitarie in Dir. U.E., 1996, 57 ss.; C. PINELLI, cit., 725 ss ) e per la Corte di Giustizia (v. sentenza 28 giugno 1990, causa C-174/89, Hoche, in Racc. I-2681) tale criterio non è utilizzabile per la comprensione delle dinamiche interne all’ordinamento comunitario. La Corte – in particolare – fa riferimento ai criteri della competenza o della specialità. Di rapporto di subordinazione può, più in generale, parlarsi con riferimento al rapporto tra atti normativi ed atti esecutivi.
54 Il Trattato di Lisbona non ha riprodotto l’unificazione del diritto primario prevista dalla Costituzione Europea; esso resta suddiviso in due Trattati principali: uno sull’Unione Europea (TUE) e uno sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) rispettivamente di 55 e 358 articoli.
1
Per avviare una prima analisi appare
opportuno trascrivere le norme che assumono
una particolare rilevanza ai fini della
presente ricerca.
L'art. 14 paragrafo 1 del TUE ha
espressamente previsto che “Il Parlamento
europeo esercita, congiuntamente al
Consiglio, la funzione legislativa e la
funzione di bilancio...”.
L'art. 17 paragrafo 1 del TUE prevede,
tra l'altro, che: “La Commissione promuove
l'interesse generale dell'Unione e adotta le
iniziative appropriate a tale fine...Dà
esecuzione ai bilanci e gestisce i programmi.
Esercita funzioni di coordinamento,
esecuzione e di gestione, alle condizioni
stabilite dai trattati.
L'art. 263 del nuovo TFUE, I e II
paragrafo, dispone che: “La Corte di
Giustizia dell'Unione Europea esercita un
controllo di legittimità sugli atti
legislativi, sugli atti del Consiglio, della
Commissione, della Banca Centrale Europea che
non siano raccomandazioni o pareri, nonché
sugli atti del Parlamento europeo e del
Consiglio Europeo destinati a produrre
effetti giuridici nei confronti di terzi.
Esercita inoltre un controllo di legittimità
sugli atti degli Organi o degli Organismi
dell'Unione destinati a produrre effetti
giuridici nei confronti di terzi. A tal fine,
la Corte è competente a pronunciarsi sui
1
ricorsi per incompetenza, violazione delle
forme sostanziali, violazione dei Trattati o
di qualsiasi altra regola di diritto relativa
alla loro applicazione, ovvero per sviamento
di potere, proposti da uno Stato membro, dal
Parlamento europeo, dal Consiglio o dalla
Commissione.”
L'art. 288, paragrafo I, TFUE ribadisce
che: “Per esercitare le competenze
dell'Unione, le Istituzioni adottano
regolamenti, direttive, decisioni,
raccomandazioni e pareri.”
L'art. 289, paragrafo I, TFUE, dispone
che: “La procedura legislativa ordinaria
consiste nell'adozione congiunta di un
regolamento, di una direttiva o di una
decisione da parte del Parlamento Europeo e
del Consiglio su proposta della Commissione.
Tale procedura è definita dall'art. 294.”
Il paragrafo III della medesima norma
prevede che: “Gli atti giuridici adottati
mediante procedura legislativa sono atti
legislativi.”
L'art. 290 TFUE prevede, poi, la
possibilità che un atto legislativo deferisca
alla Commissione la possibilità di adottare
atti non legislativi di portata generale che
integrano o modificano determinati elementi
non essenziali dell'atto legislativo.
1
Fondamentale ai fini di questo lavoro è,
poi, il nuovo art. 291 TFUE55 per il quale
“Gli Stati membri adottano tutte le misure di
diritto interno necessarie per l'attuazione
degli atti giuridicamente vincolanti
dell'Unione.
Allorché sono necessarie condizioni
uniformi di esecuzione degli atti
giuridicamente vincolanti dell'Unione, questi
conferiscono competenze di esecuzione alla
Commissione, o, in casi specifici debitamente
motivati e nelle circostanze previste dagli
artt. 24 e 26 del TUE, al Consiglio.
55 Interessantissimo, sul punto, si è rivelato l'intervento (reperibile sia pur in sintesi sul sito http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/site/it-IT/Sezioni/Convegni_e_Resoconti/Resoconti/Documento/istituzioni_europee_e_trattato_lisbona.html) offerto dal Prof. Jacques Ziller, in un convegno organizzato presso la Scuola di dottorato in diritto amministrativo istituita presso l'Università “La Sapienza” di Roma, il quale ha riflettuto sul nuovo assetto istituzionale dopo il Trattato di Lisbona sottolineando la maggiore chiarezza che dal medesimo risulta in ordine alla separazione dei poteri; infatti, il Trattato, delimitando le funzioni attribuite alle sette istituzioni ha contribuito ad offrire un quadro di maggior chiarezza complessiva al quadro istituzionale. Inoltre, l'Illustre relatore ha rilevato l’importanza dell’art. 291, disposizione che individua chiaramente il ruolo delle istituzioni nazionali: parlamenti nazionali, governi e amministrazioni pubbliche, che diventano (anche) istituzioni dell’Unione. Dalla struttura delineatasi, secondo il Professore, deriva una situazione di chiarezza nella definizione dei compiti delle istituzioni, ma che al contempo introduce una certa complessità nel panorama dei meccanismi di raccordo tra istituzioni comunitarie e istituzioni nazionali, che moltiplicano in pratica le sedi decisionali. Infatti, per quanto riguarda le funzioni, viene evidenziata la funzione esecutiva, svolta non più solo dalla Commissione e dal Consiglio, ma ora anche dagli Stati membri, il cui controllo spetta alle Corti e ai Parlamenti; e una funzione giurisdizionale che estende l’ambito di applicazione di tutela della Corte di Giustizia a quasi tutti i settori, ad eccezione della politica estera e sicurezza comune.
1
Ai fini del paragrafo II, il Parlamento
Europeo ed il Consiglio, deliberando mediante
regolamenti secondo la procedura legislativa
ordinaria, stabiliscono preventivamente le
regole ed i principi generali relativi alle
modalità di controllo da parte degli Stati
membri dell'esercizio delle competenze di
esecuzione attribuite alla Commissione.
I termini “di esecuzione” sono inseriti
nel titolo degli atti di esecuzione.”
Una prima lettura delle citate norme
impone la riflessione per la quale il potere
di eseguire le disposizioni dei trattati
spetta, in primo luogo, ai singoli Stati
membri.
Pertanto, ancora oggi, sembrerebbe
confermarsi la centralità del modello di
amministrazione indiretta.
Esso, a parere di chi scrive, non può
più intendersi tuttavia come necessaria
conseguenza della mancanza di un apparato
burocratico dell'Unione Europea.
Infatti, come visto, le Istituzioni
comunitarie sono ormai dotate di un apparato
molto articolato.
Tale modello è, invece, del tutto
coerente con il sempre maggior peso giuridico
e “politico” assunto nel corso degli anni dai
principi di sussidiarietà e proporzionalità56.
56 Sul principio di proporzionalità si veda il paragrafo V del capitolo IV del presente lavoro e, da ultimo, le
1
Proprio la contemporanea valorizzazione
di questi due principi consente, del resto,
di offrire l'esatta interpretazione del
paragrafo II dell'art. 291 che prevede una
competenza “residuale” di esecuzione da parte
della Commissione o, in ultima analisi, del
Consiglio.
In quest'ottica non può che rilevarsi la
non rispondenza all'attuale dettato dei
trattati dell'affermazione che vorrebbe la
Commissione come detentrice del potere
esecutivo nell'ordinamento comunitario.
Tale asserzione, che comunque dovrebbe
sempre tener conto delle peculiarità del
potere esecutivo comunitario rispetto ad un
classico potere esecutivo nazionale, si
scontrerebbe con l'osservazione che i
Trattati hanno previsto una forma di
controllo, preventivo da parte del Consiglio
e del Parlamento Europeo e successivo da
parte degli Stati membri e, se del caso,
della Corte di Giustizia, sull'attività
esecutiva della Commissione.
Si rinnova pertanto l'attenzione delle
Parti contraenti sull'esercizio dei poteri
esecutivi che, peraltro, non trova più solo
come ragione giustificatrice il timore di
delegare troppi poteri ad un'Autorità
sovranazionale quale la Commissione ma,
altresì, la necessaria valorizzazione del
applicazioni della giurisprudenza italiana commentate da F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, in Collana Manuali diretta da F. CARINGELLA, S. MAZZAMUTO e G. MORBIDELLI, Roma, 2010, III ed., pag. 942 e ss.
1
principio di democraticità delle Istituzioni
comunitarie la cui importanza è sottolineata
dal TUE.
In secondo luogo, stante la sempre
maggiore articolazione dei procedimenti
nazionali di attuazione delle disposizioni
comunitarie, si impone un altrettanto
approfondito esame della natura degli atti,
comunitari o nazionali, che si inseriscono
nelle varie sequenze procedimentali e che
sono idonei a produrre effetti giuridici nei
confronti dei terzi.
Si vuol rilevare (anticipando, in parte,
quanto sarà esposto nel prossimo capitolo),
in sintesi, che all'ordinarietà del sistema
di amministrazione indiretta non deve seguire
necessariamente il sindacato del giudice
nazionale sugli atti di rilevanza comunitaria
qualora l'atto effettivamente produttivo di
effetti per i terzi abbia, sulla base dei
principi espressi dalla Corte di Giustizia,
natura comunitaria.
Ciò detto, è altrettanto chiaro che il
Trattato di Lisbona non ha stravolto
l’impianto previgente, specialmente in
relazione al sistema delle fonti.
Del resto, le ambizioni del Trattato
sono state necessariamente ridimensionate
dalla mancata ratifica della Costituzione
Europea ed hanno indotto gli Stati firmatari
a mantenere inalterata la tradizionale
tipologia degli atti, distinti in
1
regolamenti, direttive e decisioni (oltre
agli atti non vincolanti).
Si è espunta, quindi, la denominazione
degli atti, prevista dalla Costituzione
Europea, in legge e legge-quadro.
Nell’accogliere, invece, il principio di
gerarchia normativa tra le fonti di diritto
derivato, la distinzione tra provvedimenti
legislativi e non legislativi è rimasta ferma
e trova il suo fondamento nell’art. 288, par.
3 TFUE (Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea), in base al quale gli
atti “adottati mediante procedura legislativa
sono atti legislativi”.
La definizione, in sé circolare, intende
caratterizzare gli atti legislativi in base
al fatto che si siano seguite la procedura
legislativa ordinaria e speciale: la prima,
così definita perché assurta a meccanismo
generale di adozione degli atti, riprende con
talune semplificazioni la previgente
procedura di codecisione con Parlamento e
Consiglio nella congiunta veste di
legislatori (art. 294 TFUE); la seconda,
applicabile se specificamente contemplata dai
trattati, è descritta dall’art. 288, par. 2,
e consiste nell’attribuire la funzione
decisionale unicamente al Parlamento oppure
al Consiglio, con la “partecipazione”,
rispettivamente dell’uno o dell’altro.
In questo senso, come già acutamente
osservato dalla più volte citata e recente
1
dottrina, emerge in maniera adamantina
l'importanza del tipo di procedura seguita al
fine di desumere la natura giuridica
dell'atto, legislativa o non legislativa;
ovvero, utilizzando una terminologia cara
alla nostra tradizione nazionale, la natura
legislativa, normativa o amministrativa
dell'atto stesso.
Novità di rilevo è costituita, poi,
dall'affiancamento agli atti legislativi
degli atti delegati alla Commissione, aventi
la funzione di integrare o modificare
determinati elementi non essenziali di un
atto legislativo destinato ad una cerchia
indeterminata di destinatari.
Si tratterà, quindi, di atti “non
legislativi di portata generale” i cui
obiettivi, contenuto, portata e durata della
delega saranno definiti nell’atto legislativo
di base (art. 289 TFUE); peraltro, gli
elementi essenziali della disciplina – ossia
le sue prescrizioni fondamentali – non
possono costituire oggetto di delega onde
evitare di alterare la ripartizione
funzionale delle competenze.
In sostanza, si è codificata la
possibilità di emanazione di atti dal
contenuto terzo rispetto alla rigida
distinzione tra atto legislativo ed atto
amministrativo, valorizzando – anche a
livello formale – quella peculiare forma di
attività sostanzialmente normativa che
1
nell'ordinamento interno verrebbe ricondotta
alla figura del regolamento amministrativo.
Per definire in breve la ratio dell’atto
delegato, si deve riconoscere che si è voluto
disincentivare l’eccesso di dettagli nella
produzione normativa del legislatore e
contemplare la possibilità di conferire il
compito corrispondente alla Commissione, che,
pertanto, tramite tale strumento appare
recuperare un peso rilevante nell'ambito
dell'esercizio dei poteri esecutivi.
Si dovrebbe trattare, quindi, di
un’attività da esercitare nel rispetto dei
limiti previsti dall’atto-delega, ma di
natura normativa perché avente portata
generale (non potrà applicarsi a misure
individuali) e perché destinata a
modificare/integrare l’atto di base (non
potrà applicarsi a misure puramente
esecutive).
D'altro canto, l’introduzione del nuovo
atto sembra prospettare una revisione della
c.d. comitatologia.
Benché la questione meriterebbe un
diverso approfondimento, in questa sede è
sufficiente osservare che il Trattato di
Lisbona distingue concettualmente la “delega
alla Commissione” dall’attività esecutiva.
L’introduzione dello strumento della
delega si sostituirà, pertanto, allo
strumento dell'esercizio del potere esecutivo
1
attualmente rappresentato dalla procedura di
comitatologia cd. di “regolamentazione con
controllo”, introdotta nel 2006 con la
decisione 2006/512/CE.
Il Trattato di Lisbona57, poi, non
profila un modello di titolarità del potere
esecutivo che prima ruotava intorno ai
comitati, composti da rappresentanti degli
Stati, incaricati di assistere la Commissione
nell’esercizio delle competenze di esecuzione
conferitele dal legislatore.
La materia è disciplinata dalla
“codificazione” di una prassi non prevista
dal diritto primario ante Lisbona e racchiusa
nella decisione n. 1999/468/CE.
La titolarità ad adottare atti esecutivi
resta, come detto, in linea di principio, in
capo agli Stati membri: essi “adottano tutte
le misure di diritto interno necessarie per
l’attuazione degli atti giuridicamente
vincolanti dell’Unione” (art. 290, par. 1
TFUE)58.
Le modalità di controllo dell’esercizio
delle competenze di esecuzione conferite alla 57 R.BARATTA, Le principali novità del trattato di Lisbona, in Il Diritto dell’Unione Europea 1/08, pagg. 21 e ss.
58 Identicamente dispone l’art.4, par.3, comma 2 TUE secondo cui gli Stati membri adottano tutte le misure di attuazione di carattere generale e particolare imposte dai Trattati e dagli atti di diritto derivato. La nuova normativa sembra quindi riproporre il modello decentralizzato di esercizio del potere esecutivo in capo agli Stati membri. Secondo una delle concezioni più diffuse, sin dalle sue origini, nel sistema comunitario è prevalso tale modello. I suoi sostenitori, in ambito comunitario, ricordano la sentenza 21 settembre 1983, cause riunite da 202 a 215/82, Deutsche Milchkontor GmbH et autres c. Germania, in Racc. p. 2633 ss.
1
Commissione potrebbero essere definite tanto
sulle orme della previgente disciplina della
comitatologia, quanto in base alla
predisposizione di nuovi strumenti.
Pur dovendo evidenziarsi tutti i limiti
insiti in una schematizzazione di un sistema
giuridico, quello comunitario, che per la sua
originalità e complessità, appare refrattario
ad una ripartizione in categorie giuridiche
di derivazione prettamente nazionale, appare
comunque utile rilevare, se non altro in
termini di comprensione di una realtà
giuridica in continuo movimento, che le Parti
firmatarie del Trattato di Lisbona hanno
voluto affidare al Parlamento ed al Consiglio
la funzione legislativa, alla Commissione una
funzione latamente regolamentare ed agli
Stati membri, almeno in via generale, la
funzione esecutiva59.
I.VI.Riflessioni finali sull'esistenza dell'atto amministrativo nell'ordinamento comunitario
59 JACQUES ZILLER, Les concepts d'administration directe, d'administration indirecte et de co-administation et les fondements du droit administratif européen in Droit Administratif Européen sotto la direzione di JEAN BERNARD AUBY E JACQUELINE DUTHEIL DE LA ROCHÈRE, Bruxelles, 2007, 242, il quale, acutamente, ha osservato come nell'ordinamento comunitario non vi è alcuna connessione fra le nozioni di amministrazione diretta ed indiretta da una parte e quelle di competenze esclusive o concorrenti dall'altra. Infatti, la competenza più tipicamente esclusiva dell'Unione Europea è quella doganale e ciononostante sono gli Stati membri che provvedono alla sua esecuzione per mezzo dei propri agenti, in particolare attraverso i doganieri e altri corpi di polizia specializzati.
1
Avviandosi ad una conclusione circa il
primo interrogativo che ci siamo posti, ossia
quello relativo all’esistenza o meno di un
atto amministrativo comunitario, occorre
pertanto rilevare che nei trattati comunitari
si parla, più che di funzione amministrativa,
di funzione esecutiva. Tale diversità non è
meramente terminologica ma sostanziale: essa
dà atto di un quadro normativo del tutto
originale che sarebbe fuorviante osservare
con gli occhi rivolti ai concetti e agli
schemi tipici dell’ordinamento nazionale.
Ulteriormente, essa impone di effettuare
una premessa metodologica che si sceglie di
mutuare da quella sviluppata da una recente
dottrina60.
I concetti giuridici presenti
nell’ordinamento comunitario sono, in primo
luogo, il frutto delle elaborazioni maturate
dall’interpretazione delle disposizioni dei
Trattati comunitari, ossia di una fonte
convenzionale di diritto internazionale che
non può non risentire delle culture
giuridiche dei Paesi stipulanti61.
Da esse, inevitabilmente, questi
concetti traggono origine.
60 S. STICCHI DAMIANI, cit.61 si veda V.SKOURIS, L’influence du droit national et de la jurisprudence des juridictions des Etats membres sur l’interprétation du droit communautaire, in Il Diritto dell’Unione Europea 2/08, pagg. 239 ss.; O.POLLICINO, Tanto rumore per (quasi) nulla? Sulla decisione Arcelor del Conseil d’Etat in tema di rapporti tra ordinamento interno e diritto comunitario, in Il Diritto dell’Unione Europea 4/07, pagg. 895 ss.
1
Eppure, una volta inseriti in un
contesto ordinamentale “diverso”62, quello
comunitario per l’appunto, questi concetti
vivono ed evolvono in modo autonomo imponendo
che la loro interpretazione proceda secondo i
canoni propri del nuovo e “diverso”
ordinamento63 in cui sono stati innestati64.
Sarebbe, in quest’ottica, un grave
errore il cercare di analizzare i concetti
comunitari utilizzando parametri meramente
nazionali65.
Dunque, più che parlare di atto
amministrativo sembra corretto poter
affermare che nell’ordinamento comunitario 62 si pensi che i diritti amministrativi nazionali nascono per regolare il rapporto tra amministrazione e cittadini. Il diritto amministrativo europeo è invece “trinomio”, in quanto si instaurano relazioni tra Organi comunitari, amministrazioni nazionali e cittadini. Di polycentric adjudication parla S. CASSESE nelle lezioni di “European Adminstrative Law” tenute alla New York University School of law dal 24 agosto al 14 ottobre 2004 e tradotte ed aggiornate da M. SAVINO, in G. DELLA CANANEA, cit., pagg. 169 e ss.
63 P.CASSIA, Droit administratif français et droit de l'Union europeénne, in Revue Française de droit administratif, n. 2, 2008, 258 ss.
64 sul noto effetto “spill over”, per il quale il diritto comunitario inevitabilmente produce evoluzioni nei diritti amministrativi nazionali penetrando in essi, si sofferma D.U. GALETTA Il diritto ad una buona amministrazione europea come fonte di essenziali garanzie procedimentali nei confronti della Pubblica Amministrazione, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 3-4/2005, 853. Si veda, altresì, S. CASSESE, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2004, 7 s.
65 G. SACCHI MORSIANI, cit., 21, sostiene: “….assai improbabile appare il successo di uno sforzo scientifico volto alla specificazione di taluni concetti generali sulla natura giuridica delle Comunità e sulla loro posizione nell’ordinamento internazionale, nel quadro delle nozioni note e secondo il metodo tradizionale della scienza internazionalistica. Nel tentativo di inquadrare le istituzioni comunitarie in un genus più o meno prossimo a quelli degli ordinamenti di diritto statale o a quello degli ordinamenti di diritto internazionale non è facile evitare il pericolo d esaurire l’indagine in enunciazioni di formule sulla base di misure quantitative”.
1
esiste un atto esecutivo individuale66 la cui
forma giuridica è normalmente rappresentata
dalla decisione67, atto tipico, vincolante,
esecutivo68 e, per l’appunto, individuale69.
Entro i limiti imposti dalla dovuta
attenzione delle peculiarità dell'ordinamento
comunitario, la sua assimilazione all’atto
66 Peraltro, la stessa distinzione comunitaria tra atti generali e atti particolari porta con sé una serie di corollari del tutto diversi da quelli che una tale distinzione comporta a livello nazionale. Si pensi all’obbligo di motivazione. Nell’ordinamento italiano l’obbligo di motivazione, prescritto in termini generali dall’art. 3 della legge n. 241/1990 è, dallo stesso comma II dell’art. 3, escluso con riferimento agli atti normativi e agli atti a contenuto generale (potrebbe ritenersi che nell’attuale assetto normativo – si veda il T.U. sul pubblico impiego: d.lgs. n. 165/2001 - la non necessaria motivazione degli atti normativi e, viceversa, l’obbligatoria motivazione degli atti amministrativi discende, altresì, dal mutato assetto dei rapporti tra politica e dirigenza nelle PP.AA. In considerazione del fatto che la politica -controllata dal corpo elettorale - deve indirizzare e controllare essa può esprimersi con atti di rilievo generale, spesso di valenza normativa, non necessitanti di particolare motivazione. Dovendo, invece, la dirigenza gestire ed eseguire essa agirà, di norma, attraverso atti amministrativi che richiedono una specifica motivazione onde consentire – non solo la difesa dei propri interessi al destinatario dell’atto – quel controllo di competenza dell’Organo Politico cui sopra si è brevemente accennato); nell’ordinamento comunitario, ai sensi dell’art. 253 del Trattato, i regolamenti, le direttive e le decisioni devono essere motivate. Quindi, anche atti a portata necessariamente generale, quali i regolamenti, devono essere puntualmente motivati. Infatti, nell’impostazione comunitaria non è l’individualità dell’atto che ne impone una motivazione, bensì la sua vincolatività; ecco perché si ritiene che non debbano essere motivati i pareri e le raccomandazioni che, ai sensi dell’art. 249, ultimo comma, del Trattato, non sono atti vincolanti.La rilevanza comunitaria della distinzione atti generali e atti individuali si ravvisa, inoltre, con riferimento all’obbligo di notifica che, ai sensi dell’art. 254, ultimo comma, del Trattato, riguarda i soli atti aventi un destinatario determinato, o determinabile ex ante. A ben vedere, tuttavia, tale regola non sembra discostarsi da quella vigente in ambito nazionale. Tirando le fila del discorso qui brevemente sviluppato, può dirsi che l’ordinamento comunitario attribuisce un’evidente importanza all’efficacia degli atti tralasciando di attribuire un significativo peso alla loro denominazione. Interessante è, infine, quella recente evoluzione giurisprudenziale (si veda la sentenza 18
1
amministrativo conosciuto nel diritto
nazionale appare trovare elementi di
significativo, sia pur non univoco,
riscontro.
Il dibattito dottrinario70
sull'argomento è tutt'altro che sopito come
dimostrano quegli Autori che hanno osservato
come l'Amministrazione comunitaria si esprime
attraverso una grande varietà di atti
giuridici che va ben oltre l'elencazione in
regolamenti, direttive, decisioni, pareri e
raccomandazioni.
Infatti la prassi comunitaria conosce
una gran varietà di atti atipici quali le
risoluzioni, le delibere, le conclusioni, le
dichiarazioni e le comunicazioni.
maggio 1994, in causa C-69/89, Codorniu S.A. c. Consiglio, Racc., 1994, I-1853, riportata in FALCON, La tutela giurisdizionale in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. CHITI e G.GRECO, Milano, 2007, pag. 730) volta a porre l’accento non tanto alla qualificazione astratta dell’atto ma al suo concreto raggio di azione. In poche parole ciò che rileva non è tanto che ciò che appare come un regolamento sia, in realtà, un atto individuale; piuttosto, quello che merita considerazione è che ciò che è un regolamento operi, in concreto, come una decisione in relazione alla speciale posizione di un soggetto.
67 Così G. TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2005, 139, per il quale “la decisione corrisponde, in sostanza, all’atto amministrativo dei sistemi giuridici nazionali, in quanto rappresenta lo strumento utilizzato dalle Istituzioni quando sono chiamate ad applicare il diritto comunitario a singole fattispecie concrete.”
68 si ribadisce, peraltro, che non sempre la decisione è un atto esecutivo individuale avendo frequentemente altra natura: si veda la famosa decisione sulla comitatologia del 1999.
69 Questa definizione lascia evidentemente fuori gli atti amministrativi generali che sono definibili quali atti esecutivi di carattere generale non normativo la cui veste giuridica a livello comunitario è tuttavia di non facile individuazione.
70 OLIVIER DUBOS E MARIE GAUTIER, Les actes communautaires d'execution in Droit Administratif Européen sotto la direzione di JEAN BERNARD AUBY E JACQUELINE DUTHEIL DE LA ROCHÈRE, Bruxelles, 2007, 127 e ss.
1
Secondo taluno71, in linea generale,
questi atti hanno una vocazione ad esprimere
una posizione o un impegno politico e non
sono suscettibili come tali di produrre
effetti giuridici.
In realtà, alcuni di questi atti hanno
un'incidenza in termini di esecuzione del
diritto comunitario del tutto evidente.
In particolare, grande importanza
assumono le comunicazioni della Commissione
che realizzano una funzione assimilabile a
quella che nel diritto francese è propria
delle circolari e delle direttive.
Dinanzi ad una simile realtà, la Corte
di Giustizia72 non è venuta meno al suo tipico
approccio sostanzialistico, essendosi
impegnata a verificare la produttività o meno
di effetti giuridici dell'atto concretamente
emesso al di là del nomen iuris utilizzato.
A fronte di tale varietà, si osserva
come sia estremamente difficile la
ricostruzione complessiva del sistema in
presenza di atti che contemporaneamente
alimentano tanto la sfera dell'esecuzione
quanto la sfera della normazione.
Infatti, si sottolinea come non esista
un corpo di regole coerenti che possano
essere utilizzate quale regime dell'atto
71 D. SIMON, Le système juridique communautaire, Paris, XIII ed., 2001.72 Corte di Giustizia 30 aprile 1996, Regno del Belgio c. Consiglio dell'Unione Europea, Causa C-58/94, Raccolta p. I-2186.
1
comunitario di esecuzione in via autonoma
rispetto all'atto comunitario legislativo.
Ciononostante, nell'ambito degli atti
comunitari derivati è possibile individuare
alcune peculiarità tipiche dell'atto di
esecuzione73.
A tal fine, è necessario distinguere,
mutuando tali concetti dal diritto francese
nel quale assume una rilevanza ben maggiore
rispetto al diritto comunitario, tra
regolarità interna e regolarità esterna
dell'atto sottoposto al controllo di
legittimità.
In particolare, la regolarità interna
attiene all'oggetto dell'atto, ai suoi motivi
e ai suoi scopi.
Ciò premesso si è osservato che
nonostante la confusione delle funzioni a
livello comunitario non aiuti a ricostruire
le caratteristiche dell'atto comunitario di
esecuzione alcuni elementi identificativi
possono essere rinvenuti:
a) per gli atti normativi di esecuzione,
nel fatto che la loro elaborazione è inserita
in una procedura molto particolare
conosciuta, almeno sino ad ora, come
comitatologia74;
73 OLIVIER DUBOS E MARIE GAUTIER, cit., p. 128.74 OLIVIER DUBOS E MARIE GAUTIER, cit., p. 139 rilevano come la giustificazione della comitologie è riscontrata, dai più, nel fatto che l'esecuzione non è una competenza propria della Commissione ma una semplice competenza delegata per effetto della quale il delegante ha il diritto di conservare un diritto di ispezione (le droit de regard).
1
b) per gli atti individuali di
esecuzione, nel doveroso rispetto delle
garanzie procedurali e, in particolare, per
il fondamentale rispetto del diritto di
difesa75.
Quanto al punto b) si è ribadito che
nonostante la ormai più volte ricordata
“indistinzione” dei poteri a livello
comunitario e nonostante la non chiaramente
identificata titolarità del potere esecutivo,
tuttavia il rispetto delle garanzie
procedurali e del diritto di difesa è tipico
dei soli atti di esecuzione.
Queste peculiarità sono particolarmente
evidenti nella materia dell'impiego
comunitario e nella materia della
concorrenza.
In quest'ultimo settore, tanto gli atti
di diritto derivato quanto i principi
espressi dalla Corte di Giustizia, implicano
Il delegante è il Consiglio che, in virtù dell'Atto unico europeo, delega di norma tale facoltà alla Commissione conservando, proprio tramite la comitatologia, un potere di sorveglianza sulla Commissione, Autorità delegataria. Secondo altra prospettiva, invece, la giustificazione dei comitati che costituiscono la “comitatologia” (non tutti i comitati, infatti, eserciterebbero tali facoltà) è da ricercare nella considerazione che la funzione esecutiva è rimessa agli Stati membri dell'Unione (infatti, l'amministrazione indiretta è la regola – tale osservazione parrebbe confermata dalla lettera del recente Trattato di Lisbona) dei quali i comitati costituirebbero un'emanazione.Tale impostazione era stata abbracciata altresì dall'art. I-37 del progetto di Costituzione per l'Europa.Sia pur evidenziandone l'infondatezza, gli Autori riportano altresì la tesi di coloro i quali ritengono che la comitatologia rappresenti l'espressione della sorveglianza del potere legislativo sull'esecutivo. In questa – criticata – visione il Consiglio agirebbe quale sorvegliante nell'esercizio dei suoi poteri legislativi.
75 OLIVIER DUBOS E MARIE GAUTIER, cit., p. 137.
1
per esempio il rispetto del carattere
confidenziale della corrispondenza intercorsa
tra imprese e avvocati, il diritto di non
testimoniare contro sé stessi,
l'inviolabilità del domicilio o l'obbligo per
la Commissione di provvedere entro un tempo
ragionevole. Tutti questi diritti non sono
peraltro riconosciuti senza limiti di sorta,
dovendo essere conciliati con le esigenze di
un'Amministrazione efficace76.
Da ultimo, autorevole dottrina77 ha
rilevato che, malgrado la confusione di
funzioni, procedimenti e caratteri degli atti
comunitari rispetto a quelli nazionali, può
parlarsi anche nel diritto comunitario di
atti amministrativi.
Vi si trovano infatti atti a carattere
di dichiarazione di scienza o di giudizio,
tipici del procedimento e non destinati di
regola a produrre effetti per i terzi, nonché
atti a carattere provvedimentale, che
esprimono il potere di cura di determinati
interessi concreti e che sono intesi a
produrre diretti effetti sulla situazione
considerata ed i soggetti coinvolti.
Riconosciuta l’esistenza nel diritto
comunitario di un quid assimilabile all’atto
amministrativo di diritto interno, occorre
spostare l’attenzione sul vero problema
pratico che può porsi nella realtà
76 In questo senso sono le conclusioni dell'avvocato generale Warner nella causa NTN C-133/77, Raccolta 1979, pag. 1262.
77 M.P.CHITI, Diritto amministrativo europeo, III ed., Milano, 2008, 528.
1
quotidiana: quando un atto amministrativo
(esecutivo individuale) può dirsi comunitario
e, quindi, assoggettabile al sindacato della
Corte di Giustizia e quando, invece, potrà
definirsi un normalissimo atto amministrativo
di diritto interno sindacabile dal giudice
nazionale78?
Il problema, che si cercherà di
esaminare nel prossimo capitolo, si pone nei
casi di cd. coamministrazione, nei quali le
Amministrazioni comunitarie e quelle
nazionali cooperano ed intervengono in uno
stesso procedimento che sfocia
nell’emanazione di un provvedimento finale.
Si vedrà, infatti, che non sempre il
criterio dell’Organo emanante il
provvedimento finale (atto finale emanato da
Amministrazione comunitario/atto
amministrativo comunitario/Corte di Giustizia
– atto emanato da Amministrazione
nazionale/atto amministrativo/giudice
interno) è risolutivo.
E’ ovvio, invece, che il quesito non ha
motivo di porsi nei casi di amministrazione
diretta nei quali siamo senz’altro dinanzi ad
un atto comunitario e nei casi di
amministrazione indiretta nei quali avremo
sicuramente un atto amministrativo di diritto
interno79.
78 M. FROMONT, La justice administrative en Europe: différences et convergences in Revue Française de droit administratif, n. 2, 2008, 267 ss.
79 Così S. STICCHI DAMIANI, cit., 31.
1
Si è di recente detto che l'insieme di
queste procedure, pur nella loro complessità,
costituiscono il cd. diritto amministrativo
europeo del quale costituisce parte
integrante, quindi, l'esecuzione data ai
Trattati ed alle norme comunitarie dagli
Stati membri80.
I. VII La decisione.
L’ordinamento comunitario, come visto,
non è fondato sulla distinzione della legge
dagli altri atti dei pubblici poteri.
Anzi, non esiste nemmeno la categoria
della legge81. Vi sono, invece, diverse specie
di atti produttivi di effetti vincolanti:
regolamenti, decisioni, direttive82. Tra di 80 JACQUES ZILLER, Les concepts d'administration directe, d'administration indirecte et de co-administation et les fondements du droit administratif européen in Droit Administratif Européen sotto la direzione di JEAN BERNARD AUBY E JACQUELINE DUTHEIL DE LA ROCHÈRE, Bruxelles, 2007, 235 e ss., il quale osserva, tra l'altro, l'influenza dell'organizzazione delle Agenzie americane sull'edificazione dell'impalcatura istituzionale delle Comunità Europee. L'Autore rileva, infatti, che, a fianco ai conosciuti influssi del diritto italiano, tedesco e, soprattutto, francese, specie in materia di contenzioso amministrativo, Jean Monnet fu fortemente influenzato dai contatti avuti con il mondo politico americano al termine della prima guerra mondiale e, conseguentemente, l'organizzazione comunitaria è risultata evidentemente condizionata dall'esperienza delle Agenzie federali americane.
81 cambiamenti peraltro sono previsti nel Trattato per la Costituzione per l’Europa, come noto non ratificato – andrebbero viste le novità del recente vertice del giugno 2007
82 Le loro caratteristiche, descritte dall’art. 249 del Trattato, non consentono, almeno ad un primo approccio, parallelismi con le tradizionali figure nazionali: i regolamenti si connotano per la loro generalità, per l’obbligatorietà in tutti i suoi elementi e per la loro efficacia diretta; le direttive possono riguardare uno o più Stati e vincolano quanto al risultato da raggiungere,
1
essi non vi è gerarchia ma tendenziale
equiparazione83.
La gerarchia tra atti, in sintesi, più
che riguardare le forme, come negli
ordinamenti nazionali (dove la gerarchia
riguarda le leggi, i regolamenti, gli usi
ecc.), fa riferimento alle procedure ed alla
loro sostanza.
Tra gli atti “particolari”, nel senso di dettare una disciplina specifica e
concreta per un numero limitato di
destinatari, occorre inevitabilmente far
riferimento, in specie, alla “decisione” che,
ex ai sensi del vecchio art. 249 del
Trattato, “è obbligatoria in tutti i suoi
fatta salva la competenza degli organi nazionali circa le forme ed i mezzi; le decisioni sono, infine, obbligatorie in tutti i loro elementi per i destinatari dalle stesse individuati.Emerge che, a differenza di quanto previsto dall’ordinamento italiano, l’ordinamento comunitario trascura ogni distinzione tra atti normativi di contenuto legislativo, di contenuto regolamentare e atti amministrativi; piuttosto distingue tra atti generali ed atti particolari ai fini, ad esempio, di cui all’art. 230, IV comma, laddove si prevede che “qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle stesse condizioni, un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente”. Gli atti regolamentari (che, come detto, hanno necessariamente contenuto generale), quindi, non saranno impugnabili dai ricorrenti “non privilegiati” salvo che – nonostante la forma regolamentare – l’atto non sia in sostanza un atto individuale, ossia, in estrema sintesi, non dotato dei requisiti della generalità e dell’astrattezza. In questo contesto, al fine di con sentire ai ricorrenti “non privilegiati” l’impugnativa di atti apparentemente generali, la Corte di Giustizia ha elaborato il concetto di “decisione collettiva” considerata come un complesso di decisioni individuali assunte sotto la veste del regolamento.
83 P. MONJAL, La conférence intergouvernémentale de 1996 et la hièrarchie des normes communautaires, in Rev. trem. dr. européen, 1996, 720.
1
elementi per i destinatari da essa
designati”. In considerazione del fatto che
l’art. 230, IV comma, del previgente Trattato
prevedeva che, come sopra detto, “qualsiasi
persona fisica o giuridica può proporre, alle
stesse condizioni, un ricorso contro le
decisioni prese nei suoi confronti e contro
le decisioni che, pur apparendo come un
regolamento o una decisione presa nei
confronti di altre persone, la riguardano
direttamente ed individualmente” l’analogia84
tra decisione comunitaria e provvedimento
amministrativo di diritto interno è evidente.
In entrambi i casi, tra l’altro,
rilevante – almeno ai fini impugnatori - è il
carattere personale e diretto della lesione
della sfera giuridica derivante dall’atto.
D’altronde, il tenore letterale della
disposizione citata lascia presagire la
delicatezza dell’operazione interpretativa-
qualificatoria che accompagna la figura della
decisione.
La Corte di Giustizia ha opportunamente
precisato, in quest’ottica, che gli atti
vanno qualificati per ciò che effettivamente
sono e non per le loro denominazioni formali.
84 Riscontrano tale accostamento, tra gli altri: FALCON, La tutela giurisdizionale in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. CHITI e G.GRECO, Milano, 2007, pagg. 715; DE VERGOTTINI, Note sugli atti noromativi ed amministrativi dell’ordinamento comunitario europeo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1964; G. DELLA CANANEA, L’impugnabilità degli atti dell’amministrazione nel diritto comunitario: un nuovo orientamento della Corte di Giustizia – osservazioni a margine a Corte di giustizia, sentenza 9 ottobre 1990, in causa 366/88, Francia c. Commissione, Racc., 1990, I, 3571.
1
Dunque, anche atti denominati quali pareri o
raccomandazioni potranno, se del caso, essere
qualificati come decisioni. Diversamente, per
provenienza e forma la riconoscibilità di un
provvedimento amministrativo di diritto
interno è senz’altro più agevole.
Anche autorevole dottrina85 ha ribadito
che la definizione delle decisioni
comunitarie corrisponde a quella degli atti
amministrativi diffusa nei diritti
amministrativi degli Stati fondatori; ovvero
atti di carattere individuale e particolare,
con cui si curano interessi concreti così
disciplinando una determinata fattispecie.
Pur se incidono direttamente nella sfera dei
singoli soggetti, e quindi con effetti nei
diversi ordinamenti nazionali, le decisioni
rimangono ad ogni effetto atti comunitari la
cui osservanza è responsabilità delle
Istituzioni comunitarie, e possono essere
oggetto di ricorso esclusivamente avanti alla
Corte di Giustizia.
Per una ricostruzione generale dei
caratteri della decisione comunitaria appare
molto utile il richiamo ad una celebre, anche
se non più recente, sentenza della Corte di
Giustizia del 196686 nella quale,
testualmente, si precisa che “una decisione
deve.…presentarsi come un atto emanato
dall’Organo competente, destinato a produrre
85 M.P.CHITI, cit., 530. L'illustre autore ritiene che anche i pareri costituiscano degli atti amministrativi comunitari
86 Ci si riferisce alla sentenza resa in causa C-54/65 Compagnie de Forges de Chatillon c. Alta Autorità, Racc., 1966, 382.
1
effetti giuridici, che costituisca lo stadio
finale dell’iter interno e che statuisca
definitivamente in una forma atta ad
identificare la natura”.
Da questa sentenza si può ricavare che
una decisione comunitaria (ovviamente la
definizione è data dalla Corte di Giustizia
ai fini della sua impugnabilità) deve:
a) provenire dall’Organo competente ad
emanarla (il che, invero, è un requisito del
tutto scontato);
b) produrre effetti giuridici;
c) essere il prodotto di un’attività
procedimentalizzata;
d) essere idonea a manifestare
definitivamente, nelle debite forme, la
volontà dell’Organo comunitario.
Prima di concentrare l’attenzione su
alcuni dei sopra elencati requisiti della
decisione comunitaria, non può non osservarsi
come, in particolare, gli elementi indicati
alle lettere c) e d) confermino in pieno
l’assunto della tendenziale assimilabilità
tra la decisione comunitaria ed il
provvedimento amministrativo di diritto
interno.
Meritevole di qualche puntualizzazione è
l’elemento indicato alla lettera b); esso può
essere precisato nei seguenti termini: ogni
atto, riferibile ad Organi della Comunità
1
investiti di potere, che produca conseguenze
giuridiche sfavorevoli (in sostanza una
lesione) in capo a destinatari singoli e
determinati, va qualificato come decisione
con tutte le conseguenze sul piano
sostanziale (in particolare per quanto
concerne il sorgere dell’obbligo di
motivazione) e processuale (impugnabilità ex
art. 230 del Trattato)87. La Corte di
Giustizia, sul punto, ha più volte ribadito88
che per stabilire l’impugnabilità di un atto
occorre aver riguardo alla sua sostanza e
che, più specificamente, per stabilire se gli
atti o le decisioni possano essere oggetto di
un’azione di annullamento ex art. 230 del
Trattato è necessario verificare se tali
provvedimenti siano destinati a produrre
effetti giuridici obbligatori idonei ad
incidere sugli interessi di chi impugna,
modificando in misura rilevante la situazione
giuridica di questo.
Per quanto concerne la definitività,
indicata alla precedente elencazione alla
lettera d), la Corte di Giustizia89 ha
87 Si riporta fedelmente nel testo la definizione data da FALCON, cit., pag. 718.
88 Per tutte si guardi la sentenza 11 novembre 1981 in causa 60/81, IBM c. Commissione, Racc., 1981, 2639.
89 Ci si riferisce alla già citata sentenza 11 novembre 1981 in causa 60/81, IBM c. Commissione, Racc., 1981, 2639 la quale ha considerato che non costituisca una decisione in senso proprio la comunicazione degli addebiti. Nello stesso senso, non si sono ritenute decisioni impugnabili ai sensi dell’art. 230 del Trattato quegli atti con i quali un’Istituzione Comunitaria deliberi di intraprendere un’azione giudiziaria verso determinati soggetti: così le decisioni relative alle cause T-377/00, T-379/00, T-380/00, nonché T-260/01 e T-262/01, Philip Morris International e a. c. Commissione. In questi casi il Tribunale ha tra l’altro rilevato che l’atto produttivo di eventuali effetti avversi non è l’introduzione della lite
1
precisato che, qualora si tratti di atti
inseriti in un procedimento a più fasi, si è
in presenza di un atto impugnabile solo per
misure che manifestano il punto di vista
della Commissione o del Consiglio
definitivamente, e non per misure intermedie,
che si limitano a preparare la decisione
conclusiva.
Sempre dalla lettura dell’indicato punto
d) emerge il requisito della “formalità”
della decisione da intendersi tanto nel senso
di salvaguardia dell’esigenza di una “forma
atta a farne identificare la natura”90, tanto
nel senso di necessaria forma scritta91 idonea
a soddisfare al requisito dell’obbligo di
motivazione.
Nell’ordinamento giuridico italiano,
come noto, la precisa identificazione dei
caratteri dell’atto amministrativo risponde
all'esigenza di individuare il giudice
competente a sindacarne la legittimità.
In presenza di un atto amministrativo,
infatti, si radica – di norma92, sia pur con
ma la sentenza del giudice. 90 In questi termini si esprime, testualmente, la sentenza resa in causa C-54/65 Compagnie de Forges de Chatillon c. Alta Autorità, già citata.
91 La necessarietà della forma scritta è dedotta, altresì, dall’obbligo di allegare al ricorso copia dell’atto impugnato. Così FALCON, cit., pag. 722. L’Autore, peraltro, riporta almeno un caso (è la sentenza del 9 febbraio 1984, in cause riunite C-316/82 e Nelly Kohler c. Corte dei Conti delle Comunità Europee, Racc., 1984, 641, in materia di pubblico impiego) in cui la Corte di Giustizia ha ritenuto ammissibile un ricorso proposto contro una decisione orale.
92 Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo si fonda, come noto, non sulla natura dell’atto impugnato, bensì sulla natura della
1
importanti eccezioni – la giurisdizione del
giudice amministrativo che potrà accertare se
l’atto impugnato sia viziato da incompetenza,
violazione di legge o eccesso di potere.
Nell’ordinamento comunitario, invece, ai
fini del riparto di giurisdizione non rileva
né la natura della situazione giuridica
asseritamente lesa (diritto
soggettivo/interesse legittimo), né la natura
giuridica (atto amministrativo/normativo93)
dell’atto impugnato. La giurisdizione
comunitaria è, infatti, unitaria ed affidata
alla Corte di Giustizia che, in definitiva,
funge da giudice costituzionale, da giudice
internazionale, da giudice civile e da
giudice amministrativo.
I trattati istitutivi della comunità e
gli atti normativi emanati dalle sue
Istituzioni hanno previsto che
l'Amministrazione comunitaria emani una serie
di provvedimenti; essi hanno in comune con
quelli noti agli ordinamenti nazionali una
duplice caratteristica:
1) sono espressione di poteri d’imperio
e di coazione;
2) una volta emanato un tale
provvedimento, esso produce effetti rilevanti
situazione giuridica sostanziale asseritamente lesa dal provvedimento stesso. Ciò che rileva è la cd. causa petendi, ossia l’aver l’atto impugnato leso un diritto soggettivo o un interesse legittimo.
93 È, peraltro, da considerare che un tipico atto normativo, quale il regolamento, è assoggettabile al sindacato giurisdizionale del g.a. Quindi, ciò che tu dici nel testo è tutto da verificare o, comunque, da ben perimetrare.
1
per il diritto ancorché invalido, finché non
sia stato modificato dall’Autorità emanante o
annullato dal Giudice. Ed il mancato
esercizio del diritto di azione nei termini
di decadenza rende la decisione definitiva94.
Con specifico riferimento al punto 2),
può dirsi pacificamente accettato che il
regime generale della invalidità degli atti
comunitari è il classico regime
dell’annullabilità, con la precisazione
tuttavia che (come negli ordinamenti
nazionali) può aversi il regime della nullità
quando i vizi risultino particolarmente
gravi, e di conseguenza in casi molto
ristretti. D’altronde, benché l’art. 231 del
trattato parla di “dichiarazione di nullità”
della Corte di Giustizia nel caso di atto
viziato, è pacifico che la pronuncia ha
carattere costitutivo e non dichiarativo95.
CAPITOLO II
I caratteri dell’atto amministrativo comunitario.
II.I I tratti distintivi della comunitarietà di un atto amministrativo secondo la dottrina tradizionale
94 C.Giust. Ce, sent. National Farmers’Union del 2002, causa C-241/01).
95 così FALCON, La tutela giurisdizionale in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. CHITI e G.GRECO, Milano, 2007, pagg. 713 e ss.
1
Parte della dottrina96 ha ritenuto di
cogliere i tratti distintivi dell’atto
amministrativo comunitario nei seguenti
requisiti:
1) la provenienza da un’Autorità
amministrativa;
2) la capacità di differenziarsi dagli
atti normativi e giurisdizionali;
3) la natura decisoria dell’atto dotato
di forza obbligatoria.
Si è replicato97 che tale definizione, sia
pur apprezzabile per molti aspetti, non tiene
conto – a tacer d’altro - della difficoltà di
individuare con certezza, in un ordinamento
complesso come quello comunitario, l’Autorità
amministrativa.
Ulteriormente, le si addebita di non tener
in considerazione la peculiarità
dell’organizzazione comunitaria, costituita da
una pluralità di figure soggettive interagenti,
secondo numerose variabili, con le
Amministrazioni nazionali.
A livello metodologico, poi, si ammonisce
circa la necessità di analizzare il sistema
96 A. DE LAUBADERE, Les actes administratifs, in Zehn Jahre Rechsprechung des gerichtshofs der Europaischen Gemenschaften – Dix ans de jurisprudence de la Cour de Justice des Communautés Européennes, citata in S. STICCHI DAMIANI, L’atto amministrativo nell’ordinamento comunitario. Contributo allo studio della nozione, Torino, 2006, pag 25.
97 Così S. STICCHI DAMIANI, cit., 26.
1
comunitario senza le lenti “colorate” dai
concetti giuridici nazionali. L’originalità
dell’ordinamento comunitario imporrebbe, secondo
questa visione, un approccio scevro da
pregiudizi di ordine concettuale. Quindi, per
poter effettuare una corretta analisi degli
elementi caratteristici dell’atto amministrativo
comunitario, occorrerebbe preliminarmente dar
conto delle peculiarità dell’apparato
amministrativo europeo.
Questa impostazione, che appare del tutto
condivisibile, si fonda sull'osservazione
preliminare che l'ordinamento comunitario è
evoluto da una struttura originaria
caratterizzata da un’evidente snellezza
organizzativa ad una configurazione ben più
articolata. In questo senso, autorevole
dottrina98 individua, più precisamente, tre fasi
evolutive dell’ordinamento amministrativo
comunitario:
- una prima fase nella quale, a fianco
ad un potere legislativo e ad un potere
giudiziario ben sviluppati, emergeva un’evidente
carenza del potere esecutivo le cui funzioni
venivano rimesse quasi integralmente agli
apparati statali;
- una seconda fase nella quale si
privilegiava tanto l’istituzione di organi e
procedure deputati a controllare l’esecuzione
98 S.CASSESE, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, seconda lettura della Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, tenutasi il 17 maggio 2002, presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca, in Riv. ital. Dir. pubbl. comunitario, 2002, 291 e ss.
1
del diritto comunitario, in modo da evitare le
deviazioni nazionali dalle norme comunitarie e
di sanzionarle, quanto lo sviluppo di organi
misti (nazionali e comunitari), di matrice
decisamente amministrativa (in quanto composti
da burocrati), impegnati nella preparazione e
nella esecuzione delle decisioni;
- una terza fase99 nella quale l’Unione
non si limita più alla sola vigilanza
sull’esecuzione nazionale del diritto
comunitario, bensì assume direttamente funzioni
esecutive istituendo uffici o agenzie ad hoc
oppure asservisce gli apparati nazionali
imponendo loro il rispetto di moduli
organizzativi e procedurali.
Oggi, in definitiva, nessuno potrebbe
seriamente dubitare dell’esistenza100 di un
apparato amministrativo della Comunità: basti
solo osservare che la Commissione si compone di
99 L’Autore (si veda S.CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002, 74) osserva che è in questa fase che prende piede il fenomeno dell’“arena pubblica” con la formazione di rapporti triangolari privati-amministrazioni nazionali-Commissione Europea nella definizione dei quali l’interesse pubblico nazionale viene rappresentato alla stregua di un interesse privato (di parte).
100Nella logica originaria dell’ordinamento comunitario lo stesso non necessitava di un apparato esecutivo di vaste dimensioni. Gli artt. 202 e 211 del Trattato, pur attribuendo alla Commissione compiti di esecuzione delle normative poste dal Consiglio, sembrava disegnare in concreto un’attuazione normativa in capo alla Commissione (salvi gli eccezionali e motivati casi nei quali il Consiglio si riservava anche tale prerogativa) ed un’attuazione amministrativa in capo alle singole amministrazioni nazionali. Tuttavia, l’aumentare dei compiti attribuiti, anche attraverso l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 308 del trattato relativo ai “poteri impliciti”, e la sempre maggiore analiticità delle normative comunitarie ha stimolato il nascere di un’attività amministrativa comunitaria sempre più corposa e sempre più capace di condizionare gli ordinamenti nazionali.
1
diverse Direzioni Generali che, con il passare
degli anni, hanno assunto la cura di una
molteplicità di interessi al punto da far
ritenere che l’ordinamento comunitario abbia
acquisito fini generali.
II.II I procedimenti di rilevanza comunitaria
Le amministrazioni comunitarie non
svolgono quasi mai, peraltro, le proprie
funzioni in via autonoma; ossia, a parte i casi
di amministrazione cd. diretta, le stesse
prendono “in prestito” le amministrazioni
nazionali che, nella cura di interessi
comunitari, sono soggette ai principi ed alle
norme (anche procedurali) comunitarie. In
quest’ultimo caso, siamo nell’ambito della cd.
amministrazione indiretta dalla quale
partoriscono i cd. atti “in funzione
comunitaria” che, sia chiaro, sono dei normali
atti amministrativi nazionali volti al
perseguimento di interessi comunitari e soggetti
alla disciplina comunitaria.
Peraltro, la particolarità di tali atti è
sempre meno evidente laddove si consideri che
l’art. 1, comma II, della legge n. 241/1990,
riformata nel 2005, ha sottoposto il
procedimento amministrativo nazionale (e quindi
gli atti che ne scaturiscono), in tutti i casi,
ai principi del diritto comunitario.
1
La più recente dottrina ha, poi, messo in
luce che l’ordinamento comunitario sta
disegnando con sempre maggior continuità
un’amministrazione multi-level101 caratterizzata
dalla presenza di procedimenti compositi.
In questo nuovo modo di amministrare, i
contributi delle amministrazioni comunitarie e
di quelle nazionali si intersecano e comunicano
secondo moduli procedimentali nuovi non
riconducibili agli sperimentati stereotipi
dell’amministrazione diretta e di quella
indiretta.
Autorevole dottrina ha osservato che, pur
senza giungere ad un vero e proprio processo di
“integrazione” amministrativa, questi processi
compositi hanno creato nuove formule di dialogo
tra le organizzazioni amministrative nazionali e
comunitarie riconducibili a tre modelli: a) la
coamministrazione; b) l’integrazione decentrata;
c) il concerto regolamentare europeo.
Procedendo ad una sintetica
schematizzazione di quanto sin qui detto e
seguendo una recentissima ricostruzione102
occorre, quindi distinguere:
- procedimenti tipici
dell’amministrazione cd. indiretta al termine 101In realtà l’essere un’amministrazione multi livello non costituisce un elemento distintivo del diritto amministrativo europeo rispetto a quello nazionale. Anche in questi, infatti, si riscontra, in conseguenza della pluralizzazione dei pubblici poteri, una disposizione su più livelli (Stato,Regioni, Province, Comuni). Così S. CASSESE, Il diritto amministrativo europeo presenta caratteri originali?, in Rivista di diritto pubblico, 2003, 51.
102 S.STICCHI DAMIANI, cit., pag 25.
1
dei quali sarà identificabile un atto
“funzionalmente” europeo, nel senso che la sua
emanazione è condizionata dal dialogo
intercorrente tra ordinamenti
(comunitario/nazionale e tra ordinamenti
nazionali tra loro), e pur sempre, comunque,
definibile come atto amministrativo nazionale
con le conseguenze in termini di giudice
competente e parametri di legittimità;
- procedimenti interamente comunitari
(amministrazione cd. diretta) all'esito dei
quali si avrà una comunitarietà tanto
funzionale, quanto sostanziale e processuale
dei provvedimenti emanati;
- procedimenti compositi per i quali la
natura comunitaria dell’atto è di difficile
individuazione e necessita di criteri certi che,
al momento, il legislatore comunitario non ha
fornito.
II.III Criteri identificativi, elaborati dalla giurisprudenza, della comunitarietà di un atto amministrativo
Nei procedimenti compositi, peraltro,
la comunitarietà è attributo che può riguardare
anche un atto “endoprocedimentale” che, in
quanto produttivo di effetti giuridici
vincolanti, sarà passibile di immediata
impugnazione.
1
Il problema pratico è, allora, quello di
selezionare parametri attendibili per
individuare il giudice competente a sindacare la
legittimità degli atti emanati nei procedimenti
composti il che, inevitabilmente, passa per
l’analisi della natura dei relativi atti
(comunitari o nazionali).
Il provvedimento impugnabile, come detto,
non è, infatti, sempre il provvedimento finale
la cui natura giuridica (comunitaria o
nazionale) è facilmente identificabile
considerando l’appartenenza dell’Organo emanante
all’Apparato comunitario o nazionale.
La giurisprudenza103, infatti, sembra
privilegiare un criterio “sostanzialistico”: ciò
che rileva è la decisorietà dell’atto, ossia la
sua idoneità a produrre effetti giuridici nei
confronti dei destinatari dell’attività
amministrativa104.
In tale senso si è chiarito che la
decisorietà può essere attributo anche di un
atto endoprocedimentale: nel famoso caso
dell’Oleificio Borelli, ad esempio, si è
ritenuto che avesse natura decisoria un parere
dell’Organo nazionale aderendo al quale,
essendone obbligata trattandosi di parere
vincolante, la Commissione aveva emesso una
decisione finale con la quale aveva respinto 103Sentenza Corte di Giustizia, 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Oleificio Borelli/Commissione delle Comunità Europee; sentenza Corte di Giustizia, 25 gennaio 2001, causa C-413/98, DAFSE c. Frota Azul, in Raccolta, 2001, I-673.
104Si veda in particolare il punto 13 della sentenza Corte di Giustizia, 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Oleificio Borelli/Commissione delle Comunità Europee.
1
l’istanza di ammissione a contributi comunitari
da parte di un imprenditore nazionale.
Coerentemente, quindi, la Corte di Giustizia ha
negato la propria giurisdizione sul presupposto
che l’atto decisorio fosse il parere
dell’Autorità nazionale sindacabile, quindi, dal
giudice nazionale.
Il problema da risolvere nei procedimenti
composti sarà, quindi, quello di individuare
l’atto con queste caratteristiche e, in seguito,
verificare se esso abbia natura comunitaria o
nazionale comportandosi conseguentemente in
termini di scelta del giudice competente a
sindacarne la legittimità. Nel primo caso
l’impugnativa dell’atto andrà rivolta, come
detto, alla Corte di Giustizia; nel secondo caso
al giudice nazionale.
Necessita, quindi, un approfondimento –
compatibile con i fini di questa ricerca - dello
studio dei procedimenti composti.
II.III.I In particolare, i procedimenti amministrativi composti
I procedimenti composti sono una categoria
eterogenea105 che abbraccia forme di azione che
hanno inizio in sede nazionale e si concludono
con atti delle istituzioni comunitarie
105Così F. ASTONE, Le amministrazioni nazionali nel processo di formazione ed attuazione del diritto comunitario, Torino, 2004, 55 ss.
1
(procedimenti composti bottom-up) ed altre
caratterizzate da sequenze di tipo opposto
(procedimenti composti top-down) ed infine
azioni di natura mista, che presentano caratteri
sia dell’una tipologia sia dell’altra.
Caratteristica comune ai procedimenti
composti è la presenza di un atto principale
preceduto da altri atti106 posti in relazione
funzionale rispetto ad esso; tale caratteristica
li distingue dai procedimenti incidentali,
connessi e complessi nei quali più sequenze sono
tra loro in qualche modo legate107.
II.III.II I procedimenti top down e bottom up
Come suggerisce la stessa traduzione
dell'espressione inglese, i procedimenti top
down e bottom up si caratterizzano per il fatto
che, nel primo caso, è l'Autorità nazionale che
emana il provvedimento finale, nel secondo, è
l'Autorità comunitaria.
106per un’analisi, arricchita anche da riferimenti giurisprudenziali, degli atti impugnabili nelle varie fasi dei procedimenti comunitari si veda J.SCHWARZE, Il controllo giurisdizionale, in Il procedimento amministrativo nel diritto europeo a cura di F. BIGNAMI E S. CASSESE, Quaderno n.1 della Riv. trim. di dir. pubbl., Milano, 2004, 131 e ss.
107G. DELLA CANANEA, I procedimenti amministrativi composti dell’Unione Europea, in Il procedimento amministrativo nel diritto europeo a cura di F. BIGNAMI E S. CASSESE, Quaderno n.1 della Riv. trim. di dir. pubbl., Milano, 2004, 307 e ss.
1
Essi costituiscono, come si è visto, un
tertium genus rispetto al procedimento
comunitario in amministrazione diretta e a
quello in amministrazione indiretta e sono
espressione del più generale fenomeno di
collaborazione tra Amministrazioni appartenenti
ad Autorità diverse. Ciò è giustificato dal
fatto che attraverso tali procedimenti vengono
curati interessi non riconducibili
esclusivamente all'Unione ma condivisi con gli
Stati membri.
Si è osservato108 che tali procedimenti
provocano la crisi del dogma dell'autonomia
procedimentale, inteso come principio regolatore
dei rapporti tra Comunità e Stati e l'emersione
di un nuovo modo di amministrare, preposto al
soddisfacimento di interessi comuni, nazionali e
comunitari, che conduce all'”europeizzazione”
delle amministrazioni nazionali e di conseguenza
all'ampliamento del concetto di “amministrazione
europea”, non più identificabile nel solo
apparato centrale della Comunità, ma comprensivo
anche delle Amministrazioni nazionali impegnate
in “segmenti” di procedimenti composti.
Premesso che tali procedimenti non hanno
un'autonomia normativa (non vi sono infatti
istituti o gruppi di istituti propri ed
esclusivi di questa specie di procedimenti) ma
meramente descrittiva, il problema pratico, cui
si è più volte accennato, che essi pongono è
relativo alla natura, comunitaria o nazionale,
dei provvedimenti che ne sono il prodotto.
108 SACCHI MORSIANI, cit., pag. 83.
1
Da questa domanda discenderà
l'attribuzione al giudice nazionale o a quello
comunitario del sindacato di legittimità che,
come visto, non può discendere automaticamente
dalla soggettività, comunitaria o nazionale,
dell'Autorità emanante l'atto conclusivo. Se
così fosse, infatti, sarebbe scontato che per i
procedimenti top down la competenza a sindacare
la legittimità dell'atto è propria dell'Autorità
giudiziaria nazionale e per quelli bottom up di
quella comunitaria.
Infatti, come visto, alcuni atti
“interni”, cd. “endoprocedimentali”, sono solo
apparentemente strumentali rispetto all'adozione
del provvedimento finale.
Concludendo sul punto, occorre ribadire
che il discrimine va individuato nella capacità
del provvedimento di incidere su situazioni
giuridiche soggettive; in tale ottica, un atto
conclusivo può essere meramente confermativo di
un atto interno che abbia già prodotto i suoi
effetti.
Del resto, la questione
dell'individuazione dell'atto comunitario è ben
più articolata se si considera che, in
un'amministrazione multi level quale quella
descritta, non ha molto significato ancorare la
comunitarietà dell'atto alla qualificazione
formale dell'Autorità emanante.
1
II.IV Schema riassuntivo per l'identificazione dell'atto comunitario
Schematizzando quanto sin qui detto, deve
affermarsi che nei casi di:
- amministrazione diretta avremo
sicuramente un atto comunitario il cui sindacato
di legittimità spetta al giudice comunitario; in
questo procedimento l'atto impugnabile è quasi
sempre l'atto conclusivo: anche l'eventuale atto
interno lesivo viene così assorbito
dall'impugnazione dell'atto finale;
amministrazione indiretta, il
carattere europeo del provvedimento avrà una
mera rilevanza funzionale ma sarà privo di
effetti sul piano sostanziale e processuale; in
questo tipo di procedimenti la competenza è del
giudice nazionale che utilizzerà, tuttavia, le
norme comunitarie al fine di vagliare la
legittimità del provvedimento;
procedimenti composti, la
qualificazione dell'atto è molto più complessa
al pari dell'individuazione del giudice
competente a sindacare la legittimità dello
stesso; determinante elemento discretivo è dato
dall'individuazione dell'atto che effettivamente
ha la capacità di incidere su situazioni
soggettive di terzi.
II.V. L'atto nazionale “anticomunitario”.
1
In merito ai casi di cd. amministrazione
indiretta, (ma non solo come si è visto) nei
quali il giudice nazionale è chiamato ad
accertare la legittimità di un atto anche alla
luce della normativa comunitaria, occorre dar
conto – sia pur compatibilmente con i fini del
presente lavoro – dei risultati cui è pervenuta
la nostra giurisprudenza.
Siamo in sostanza nel campo delle attività
amministrative esercitate dalle nostre Pubbliche
Amministrazioni in funzione comunitaria.
Il problema interpretativo che si è posto
è il seguente: qual è il regime di invalidità di
un atto amministrativo emanato da un'Autorità
nazionale che contrasta con il regime
comunitario?
Unanime l'opinione che ci si trovi dinanzi
ad una nuova forma di invalidità, ci si è
chiesti e divisi circa i suoi caratteri.
Secondo una prima lettura, siffatta
invalidità sarebbe soggetta ai principi generali
del diritto interno; secondo altra tesi sarebbe
applicabile ad essa un particolare regime da
ricondursi alla nullità.
In dottrina le opinioni sono equamente
divise, mentre nella giurisprudenza ha prevalso
il primo approccio.
1
Il problema, come emergerà con grande
evidenza, non è meramente teorico investendo
rilevantissime questioni pratiche.
E' chiaro, infatti, che l'approccio cd.
tradizionale non stravolge il regime dei termini
di impugnazione nonché le altre regole del
processo amministrativo, specie per quanto
concerne la non rilevabilità d'ufficio dell'atto
anticomunitario, la necessità di una sentenza
costitutiva di annullamento per privare l'atto
della sua efficacia e l'inoppugnabilità
successiva alla loro mancata tempestiva
impugnativa.
La tesi della nullità, invece, conduce a
conseguenze opposte in quanto, riverberandosi
l'invalidità in termini di carenza di potere, si
avrà una nullità assoluta dell'atto. In tal
ultimo caso la nullità potrebbe esser fatta
valere da chiunque, così come ex officio dal
giudice, indipendentemente dai motivi di
ricorso; l'atto, infine, non sarebbe soggetto ai
termini brevi di impugnazione.
Autorevole dottrina ha osservato che
entrambe le tesi non sono convincenti;109 la prima
perché gravemente lesiva dei principi comunitari
e, in particolare, dei principi di effettività
ed uniformità del diritto comunitario. Infatti,
in quest'ottica, vi sarebbero ben maggiori
preclusioni per far valere l'anticomunitarietà
di un atto amministrativo rispetto all'omologo
caso di un atto normativo.
109M.P.CHITI, cit., 546.
1
La seconda tesi introdurrebbe, invece,
elementi processuali dirompenti per il nostro
ordinamento senza che l'applicazione effettiva
del diritto comunitario imponga un simile
stravolgimento.
La giurisprudenza110 ed una parte della
dottrina111 hanno proposto così un'opzione
intermedia, senz'altro da preferire, che cerca
di coniugare i primi due indirizzi.
Nella sostanza, tale indirizzo distingue a
seconda che la norma nazionale si limiti solo a
disciplinare le modalità di esercizio del potere
rispetto ai casi in cui essa attribuisca il
potere amministrativo nell'esercizio del quale
l'atto è stato adottato.
Nel primo caso avremo un vizio di
illegittimità equiparabile all'annullabilità con
la disciplina processuale ben nota; nel secondo
caso avremo una nullità del provvedimento con
tutte le dirompenti conseguenze in termini
processuali cui si è fatto cenno poco sopra.
In realtà, è stata prospettata una quarta
tesi112 113che appare essere stata avallata dalla
110 Consiglio di Stato, sezione V, 10 gennaio 2003 n. 35.111G.COCCO, “Les liasons dangereuses” tra norme comunitarie, norme interne e atti amministrativi, in Riv. it. Dir. Pubbl. comunitario, 1995, 698 ss.; R. GAROFOLI, Annullamento di atto amministrativo contrastante con norme CE self executing, in Urb. App., 1997, n. 3, 340.
112Un'ampia ricostruzione dell'argomento è offerta da R. GIOVAGNOLI, L'atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario: il regime giuridico i il problema dell'autotutela decisoria, in Giustizia amministrativa, 903 e ss.
113M. P. CHITI, Diritto amministrativo europeo, Milano, 1999, 355 e ss.
1
Corte di Giustizia europea114, ossia la tesi della
disapplicabilità dell'atto amministrativo.
Tale tesi, che ha – come evidente –
effetti dirompenti su uno dei cardini dogmatici
del diritto amministrativo nazionale, si fonda
su un argomento fortemente suggestivo.
Si rileva, infatti, che ammessa
pacificamente la disapplicabilità di una norma
interna contrastante con l'ordinamento
comunitario non si comprenderebbe perché un atto
amministrativo non potrebbe essere del pari
disapplicato.
Seguendo questo indirizzo ermeneutico, si
è osservato che, tra l'altro, la
disapplicabilità di un atto amministrativo
produce minori inconvenienti rispetto alla –
pacificamente ammessa – disapplicabilità
dell'atto normativo contrastante con la norma
comunitaria.
Infatti, la norma eventualmente
disapplicata mantiene ciononostante la sua
efficacia e, data la sua natura generale e
astratta, potrà essere, erroneamente, in seguito
applicata.
Di converso, la disapplicazione di un
provvedimento amministrativo, ordinariamente
funzionale a regolamentare una situazione unica
e concreta, una volta disapplicato non è più –
concretamente – idoneo ad essere applicato.
114Corte di Giustizia 29 aprile 1999, causa C-224/1997.
1
Nell'importante precedente citato115, la
Corte di Giustizia ha affermato l'importante
principio secondo cui il provvedimento
amministrativo individuale e concreto divenuto
definitivo che sia in contrasto con il diritto
comunitario va disapplicato perché la tutela
giurisprudenziale spettante ai singoli in virtù
delle norme comunitarie aventi efficacia diretta
non può dipendere dalla natura della
disposizione di diritto interno contrastante con
il diritto comunitario.
L'adesione a questa tesi comporta notevoli
problemi anche in tema di riparto di
giurisdizione.
Invero, si porrebbe il problema della
capacità degradatoria di un provvedimento
amministrativo contrastante con il diritto
comunitario; poi, quand'anche si volesse
ritenere – ed è questa la tesi più accreditata –
che competente a conoscere di quest'atto sia il
giudice amministrativo, bisognerebbe riconoscere
che nell'ordinamento si è venuta introducendo
un'azione di mero accertamento, sinora
sconosciuta.
Tale tesi116 è stata sottoposta a forti
critiche da acuta dottrina117.
Da un lato si è osservato che, portando
alle estreme conseguenze il ragionamento fatto
115 Corte di Giustizia 29 aprile 1999, causa C-224/1997.116 già espressa dalla Corte di Giustizia nel precedente del 14 dicembre 1995 in causa C-312/93, in Riv. Dir. Pubbl. com., 1996, 688.
117R. GIOVAGNOLI, cit., 907.
1
proprio dalla Corte di Giustizia ed avallato da
una parte della dottrina, si avrebbe uno
sconvolgimento della gerarchia delle fonti,
salvo a voler mutare un indirizzo consolidato.
Ed infatti, secondo la giurisprudenza
della Corte Costituzionale, la Costituzione
Italiana – nei suoi principi fondamentali –
mantiene un ruolo di preminenza rispetto al
diritto comunitario tant'è che si è sviluppata
la problematica – cui in questo lavoro, per
evidenti ragioni, non si può far cenno – dei cd.
controlimiti.
Orbene, è acquisito nel nostro ordinamento
il principio per il quale l'atto amministrativo
contrastante con la Costituzione118, laddove non
impugnato tempestivamente, mantiene piena forza
ed efficacia.
Se si aderisse quindi alla tesi della
disapplicabilità119 del provvedimento
amministrativo contrastante con la norma
comunitaria si incorrerebbe allora nell'evidente
contraddizione di garantire maggior tutela ad
una norma, quella comunitaria, subordinata ai
principi fondamentali della Costituzione. 118 Diverso appare il caso in cui il provvedimento amministrativo sia perfettamente legittimo alla stregua della norma legislativa che però si pone in contrasto con la Costituzione. In tal caso andranno indagati gli effetti di un'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dalla quale dovrebbe discendere l'invalidità derivata dell'atto amministrativo.
119 La tesi della disapplicabilità sembrerebbe suggerita alla Corte di Giustizia da Tar Lombardia Milano, sezione III, ordinanza 9 agosto 2000, n. 234, in Urb. e app., 2000, 1243, con nota di A.CRISAFULLI, Disapplicazione del bando di gara: tra Corte di Giustizia e giurisdizione esclusiva. Un'attenta lettura della sentenza della Corte di Giustizia, sezione VI, 27 febbraio 2003, C-327/2000, Santex s.p.a. è offerta da R. GIOVAGNOLI,, cit., 908 e ss.
1
Il rimedio a questa incongruenza, allora,
potrebbe essere rappresentato solo dal
ripensamento circa il regime di invalidità
dell'atto amministrativo contrastante con i
principi fondamentali della Carta
Costituzionale.
Da un'altra prospettiva, si è evidenziato120
che la tesi della disapplicabilità121 finisce per
toccare il principio generale alla stregua del
quale l'ordinamento comunitario lascia ferma la
sovranità degli Stati nazionali nel qualificare
internamente le posizioni soggettive, affidarle
ad un determinato giudice e stabilirne il regime
processuale.
Quindi, il legislatore nazionale è libero
di qualificare una posizione di derivazione
comunitaria alla stregua di un interesse
legittimo, attribuirne la cognizione al giudice
amministrativo e prevedere un termine di
decadenza per l'impugnazione del provvedimento
lesivo a patto che venga rispettata la duplice
condizione di non discriminare la tutela della
posizione comunitaria rispetto a quella
nazionale e di non rendere eccessivamente
difficile o addirittura impossibile la tutela
della posizione comunitaria.
120 F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, tomo II, Milano, 2003, pag. 1530.
121 Per l'inammissibilità di un potere di disapplicazione del giudice amministrativo in merito agli atti anticomunitari sembra N. PIGNATELLI, L'illegittimità comunitaria dell'atto amministrativo, in Giurisprudenza Costituzionale, n. 4, 2008, 3635 e ss.
1
Come visto, l'art. 263 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione Europea non ha
innovato il previgente art. 230 del Trattato Ce
il quale prevedeva che la Corte di Giustizia
potesse esercitare un controllo di legittimità
sugli atti delle Istituzioni comunitarie che non
fossero raccomandazioni e pareri.
I motivi di ricorso al Giudice europeo
sono, pertanto, sempre a) incompetenza, b)
violazione delle forme sostanziali, c)
violazione del Trattato o di qualsiasi regola di
diritto relativa alla sua applicazione e d)
sviamento di potere.
Autorevole dottrina122 ha evidenziato che i
vizi di legittimità sindacabili dalla Corte di
Giustizia non differiscono in maniera
sostanziale da quelli previsti dall'art. 26 t.u.
Cons. Stato anche se essi sono direttamente
ispirati al modello francese.
Questa dottrina sottolinea come la censura
di incompetenza è sindacata dalla giurisprudenza
europea con una certa elasticità; come la
violazione delle forme sostanziali significhi
mancanza dei requisiti di forma previsti dagli
atti comunitari con prescrizioni particolarmente
rigorose; come la violazione del trattato o di
qualsiasi regola di diritto relativa alla sua
applicazione corrisponda grosso modo alla
violazione di legge del diritto nazionale; come,
infine, lo sviamento di potere non corrisponda
all'eccesso di potere della tradizione italiana,
122 CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2000, pagg. 589-590.
1
bensì al détournement della giurisprudenza
francese.
III.II Lo sviamento di potere nei più importanti Paesi aderenti all'Unione Europei
Sulla nozione di sviamento di potere in
ambito comunitario hanno avuto, ovviamente,
notevole influsso le omologhe nozioni nazionali;
pertanto, è opportuno premettere allo studio
della figura comunitaria un approfondimento dei
corrispondenti istituti di diritto francese,
tedesco e italiano.
Dato di partenza, dal quale prendere le
mosse prima di analizzare le esperienze
giuridiche dei Paesi più importanti nello
sviluppo della figura comunitaria, è
l'affermazione che lo sviamento di potere è un
vizio di legittimità e non, pertanto, un vizio
di merito123.
123Così, ad esempio, al punto 367 della sentenza del Tribunale di I grado - Seconda Sezione - del 14 dicembre 2006, nelle cause riunite da T-259/02 a T-264/02 e T-271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich AG, Bank Austria Creditanstalt AG, Anteilsverwaltung BAWAG PSK AG, Raiffeisenlandesbank Niederösterreich-Wien AG, BAWAG PSK Bank für Arbeit und Wirtschaft und Österreichische Postsparkasse AG, Erste Bank der oesterreichischen Sparkassen AG, Österreichische Volksbanken AG, Niederösterreichische Landesbank-Hypothekenbank AG contro Commissione delle Comunità europee, si evidenzia chiaramente che lo sviamento di potere è ricondotto tra i vizi di legittimità e contrapposto ai vizi di merito.
1
III.II.I. L'esperienza francese
Il sindacato giurisdizionale del Consiglio
di Stato sull'attività illegale della P.A.
coincide con il concetto di ricorso per excès de
pouvoir.
Tale forma di sindacato ha visto col
passare degli anni un notevole ampliamento dei
casi, dei presupposti e dei poteri del giudice
amministrativo.
Ad esempio, almeno sino al 1906, il
ricorso per excès de pouvoir si fondava sui vizi
di incompetenza, vizi di forma e sullo sviamento
di potere. Questo ricorso presupponeva
semplicemente l'esistenza di un interesse che,
invece, doveva accompagnarsi alla titolarità di
un diritto acquisito qualora si fosse voluto far
accertare una violazione di legge. Tale ultima
condizione fu ritenuta non più necessaria a
partire dalla sentenza del Conseil d'Etat
dell'11 dicembre 1903 nel caso Lot et Molinier e
successivamente fu definitivamente acquisita con
la sentenza del Conseil d'Etat del 1 giugno 1906
nel caso Alcindor.
Con le riforme del contenzioso
amministrativo del 1953 e del 31 dicembre 1987
l'accresciuto ruolo del ricorso per excès de
pouvoir ha condotto il giudice amministrativo a
rafforzare il controllo di legalità,
valorizzando i principi generali del diritto e
1
perfezionando le proprie modalità di controllo
sull'azione amministrativa specie discrezionale.
Significativamente si è detto124 che, nel
linguaggio del diritto amministrativo francese
l'excès de pouvoir è semplicemente un sinonimo
dell'illegalità. In altri termini, il ricorso
per excès de pouvoir tende ad un controllo
integrale della legalità, ma al controllo della
sola legalità.
L' excès de pouvoir si compone di quattro
ouvertures: di queste lo sviamento di potere
costituisce uno dei possibili vizi dell'atto
amministrativo, al pari del vizio di
forma/procedura di carattere sostanziale, ossia
di quel vizio formale o procedurale che abbia
condotto ad un esercizio del potere scorretto o
illegale, del vizio di incompetenza ed al vizio
di violazione di legge formale e materiale.
In particolare l'incompetenza è la
violazione delle regole legali di competenza; il
vizio di forma è il vizio delle regole legali
della forma; lo sviamento di potere è la
violazione della regola legale che impone un
fine determinato a ciascun atto amministrativo125.
In questo contesto, viene ribadita la
necessità della distinzione tra legalità formale
(esterna) dell'atto e legalità sostanziale
(interna) dell'atto stesso. Nella prima
rientrano le ouvertures dei vizi di forma e di
124 G. VEDEL – PIERRE DEVOLVÉ, Droit administratif, t.II, Paris, 1992, pag. 299.
125G. VEDEL – PIERRE DEVOLVÉ, cit., pag. 300.
1
competenza; nella seconda lo sviamento di potere
e la violazione di legge.
Quest'ultima ouverture può apparire
logicamente incomprensibile: infatti, se l'excès
de pouvoir costituisce un controllo integrale di
legalità che senso ha parlare di un autonomo
vizio di violazione di legge?
Si è replicato che, in effetti, la
violazione di legge mantiene una sua autonomia
per mere ragioni storiche e che, nei fatti, con
essa si intendono quei vizi dell'atto che non
costituiscono incompetenza, vizio di forma o
sviamento di potere.
Tornando alla dicotomia controllo esterno-
controllo interno, si è affermato126 che il
controllo interno potrà a sua volta essere
effettuato da un punto di vista oggettivo o da
un punto di vista soggettivo; nel primo caso la
domanda che si deve porre il giudice è: “le
contenu de l'acte, indépendamment des intentions
de son auteur, est-il conforme au droit?”; nel
secondo caso, invece, il giudice dovrà chiedersi
se l'autore dell'atto ha perseguito un fine
diverso da quello attribuito dalla legge agli
atti di quella categoria.
Di fondamentale importanza per comprendere
l'ampiezza del sindacato sul détournement de
pouvoir, sia nel diritto amministrativo francese
sia nel diritto comunitario che – sul punto –
dal primo è stato fortemente condizionato, è la
126G. VEDEL – PIERRE DEVOLVÉ, cit., pag. 301
1
precisazione che la violazione di legge nel
diritto francese può distinguersi in 3 casi:
1) la violazione diretta della regola di
diritto (che si fonda normalmente sull'ignoranza
della norma di riferimento: Costituzione,
trattato, legge, principi generali di diritto,
regolamenti, decisione di giustizia);
2) l'errore di diritto (che concerne i
motivi di diritto dell'atto; sul punto si
sottolinea che tale forma di errore si riscontra
spesso nella fase interpretativa della legge);
3) l'errore relativo ai fatti.
Molto interessante è l'evoluzione del
sindacato giurisdizionale sul caso di cui al
numero 3).
Per molto tempo, si è ritenuto che il
giudizio sull'excès de pouvoir costituisse una
specie di giudizio di cassazione; pertanto, era
preclusa al giudice ogni valutazione in ordine
ai fatti posti a base della decisione
amministrativa.
Questa convinzione si fondava sull'errato
presupposto che l'errore sui fatti non
determinasse un errore di diritto; convinzione,
ovviamente, del tutto errata in quanto
l'acquisizione dei fatti non è una valutazione
discrezionale dell'Amministrazione.
Sin dagli inizi del XX secolo
l'orientamento del Conseil d'Etat è cambiato
radicalmente; prima ritenendo senz'altro
1
verificabile la materialità dei fatti e, in
seguito, la relazione tra il contenuto della
decisione e i fatti che sono stati posti a base
della stessa da parte dell'Amministrazione127;
infine, la Suprema Corte amministrativa ha
ritenuto di poter sindacare l'adeguatezza128 della
decisione presa dall'Amministrazione ai fatti
acquisiti (cd. controle du bilan).
Siamo in presenza, pertanto, di un
controllo di proporzionalità.
Si è rilevato che, pertanto, si è giunti
attraverso questo iter giurisprudenziale da un
controllo sui motivi129 ad un controllo sul
contenuto dell'atto.
Ciononostante permane un'area nella quale
il giudice amministrativo si rifiuta, salvo
l'errore manifesto, di apprezzare i fatti e
questa coincide con quella degli apprezzamenti
tecnici o scientifici.
Il détournement de pouvoir viene definito
come “l'utilisation par une autorité
administrative de ses pouvoirs en vue d'un but
127 Conseil d'Etat, sentenza del 19 maggio 1933, caso Benjamin, riportata in G. VEDEL – P. DEVOLVÉ, cit., pag. 319.
128 Conseil d'Etat, sentenza del 28 maggio 1971, caso Ville nouvelle Est, riportata in G. VEDEL – P. DEVOLVÉ, cit., pag. 324.
129 Occorre precisare che i concetti di “motif” e di “but” nel diritto amministrativo francese, a differenza che nel diritto privato francese nel quale sono sostanzialmente sinonimi, sono profondamente diversi: il primo indica l'insieme degli elementi obiettivi di fatto e di diritto che sono il fondamento dell'atto e che sono assolutamente indipendenti dalla psicologia del suo autore; il secondo, al contrario, è l'intenzione soggettiva che anima l'autore dell'atto.
1
autre que celui pour lequel ils lui ont été
conférés130. »
Premesso che il controllo sullo sviamento
di potere ha ragioni antichissime, si è
osservato che lo sviluppo del controllo
giurisdizionale di natura oggettivo, ossia sui
motifs dell'atto, ed in particolare
l'ampliamento delle ipotesi sindacabili in virtù
del vizio di violazione di legge, ha condotto ad
un sempre minor ruolo del dètournement de
pouvoir in termini di controllo di legalità.
Ad oggi, pertanto, l'utilità dello
sviamento di potere nel diritto amministrativo
francese viene riconosciuta solo in peculiari ed
estreme ipotesi nelle quali l'illegalità non può
essere rivelata in virtù del mero controllo
oggettivo. Esempio tipico è costituito dalla
creazione da parte della P.A. di un posto in
pianta organica per il solo fine di consentire
l'impiego di una persona “protetta”.
In tal caso il controllo oggettivo è
insufficiente essendo l'atto rispettoso delle
forme, emanato dall'Autorità competente
all'esito di un procedimento ampiamente
discrezionale; potrà essere rivelatrice,
pertanto, l'intenzione soggettiva dell'autore
dell'atto.
Schematizzando, si può dire che nel
diritto amministrativo francese si avrà uno
sviamento di potere131 quando:130G. VEDEL – P. DEVOLVÉ, cit., pag. 331.131 Sullo sviamento di potere nel diritto amministrativo francese: G.PEISER, Droit administratif, XIII ed., Paris,
1
a) l'autore dell'atto non ha perseguito
l'interesse pubblico affidato alla cura della
P.A. da parte della legge;
b) l'autore dell'atto ha perseguito un
interesse pubblico diverso da quello che è
autorizzato a perseguire;
c) si è verificato uno sviamento di
procedura.
Pare che si possa affermare che nel
diritto francese non vi siano ostacoli alla
prova del détournement de pouvoir a mezzo di
presunzioni.
Altra parte della dottrina132 ha osservato
che ai tre vizi classici (incompetenza,
violazione delle forme/procedure sostanziali e
alla violazione di legge) la giurisprudenza del
Conseil d'état francese ha aggiunto, quale
estensione del concetto di excés de pouvoir133
(termine onnicomprensivo134 volto ad individuare
tutti i vizi dell'atto amministrativo), le
détournement de pouvoir.
Si è detto, in proposito, che,
contrariamente a quanto sostenuto da dottrina
1987.132M. DENDIAS, Contribution à la notion du pouvoir discretionnaire et du détournement de pouvoir, in Festschrift di RUDOLF LAUN, Gottingen, 1962, 96.
133 Nonostante sia particolarmente datata, resta un punto di riferimento l'opera di R. ALIBERT, Le controle juridictionnel de l'Administration au moyen du recours pour excés de pouvoir, 1926.134 GEORGES VEDEL – PIERRE DEVOLVÉ, Droit Administratif, t. II, Paris, 1958, pag. 240, i quali affermano che “le recours pour excès de pouvoir est l'action par la quelle toute personne y avant intéret peut provoquer l'annullation d'un acte administratif unilatéral par le juge administratif en raison de son illegalité.”
1
straniera135, l'eccesso di potere non consiste
semplicemente in un'incompetenza assoluta e lo
sviamento di potere non può essere identificato
nell'abuso del diritto, costituendo quest'ultimo
un istituto più propriamente tipico del diritto
privato e del diritto internazionale.
Secondo questa dottrina, ma, invero,
quella di lingua francese appare concorde sul
punto, le détournement de pouvoir è termine
intrinsecamente connesso all'esercizio di un
potere discrezionale.
Infatti, posto che si ha, in generale,
sviamento di potere allorquando il fine concreto
di un atto amministrativo non è compreso tra i
fini imposti o autorizzati dalla regola di
diritto, nell'esercizio di un potere vincolato,
in cui si ha un solo ed unico obiettivo che
l'Autorità amministrativa deve perseguire, in
caso di perseguimento di un fine diverso da
quello normativamente imposto, l'atto che
costituirà sua emanazione sarà viziato sotto
forma di violazione di legge.
Tant'è che più che parlare semplicemente
di détournement de pouvoir, occorrerebbe far
riferimento al détournement de pouvoir
discrétionnaire.
III.II.II L'esperienza tedesca
135 M. DENDIAS, cit., 96 cita M. SALANDRA ed il suo Corso di diritto amministrativo, III ed., Roma, 1921, 149.
1
La tradizione del controllo del potere ha
in Germania radici piuttosto antiche,
coincidenti con la fine del XVIII secolo e
l'inizio del XIX secolo, ove fioriscono studi
sulla discrezionalità amministrativa che
sviluppano la teoria dei “concetti giuridici
indeterminati” (unbestimmte Rechtsbegriffe) in
chiara opposizione all'ideologia assolutistica
che vedeva un potere sovrano “libero”136.
Attualmente, che l'indagine sui vizi della
discrezionalità possa ed anzi debba essere
approfondita quanto è necessario per verificare
la correttezza sostanziale della decisione,
sembra confermato da una tendenza generale ormai
consolidata nella giurisprudenza e nella
dottrina.
Esse fanno spesso riferimento
all'Ermessensuberschreitung, cioè al superamento
dei limiti della discrezionalità.
Attenta dottrina137 ha osservato, sul punto,
che il termine Ermessensuberschreitung è assai
incolore.
D'altra parte, si osserva, il termine
missbrauch (contenuto nel termine
Ermessenmissbrauch – abuso di potere
discrezionale) sembra indicare una violazione
136 Sul punto si veda G.STARK, Droits fondamentaux, Etat de droit et Principe Démocratique en tant que fondaments de la procédure administrative non contentieuse, in Revue Européenne de droit pubblic, 1993, 39, citato in LUCIA MUSSELLI, cit., 128.137 M.LAUN, Annuaire de l'IIDP, 1935, 155, riportata da M. DENDIAS, Contribution à la notion du pouvoir discretionnaire et du détournement de pouvoir, in Festschrift di RUDOLF LAUN, Gottingen, 1962, 79.
1
cosciente del dovere, allorquando la maggior
parte dei casi di violazione dei poteri
discrezionali si fondano su errori giuridici
perfettamente scusabili; proprio in
considerazione di tale significato del termine,
si conclude, i tribunali amministrativi
riconoscono ben difficilmente l'esistenza di uno
sviamento di potere.
Tornando ad occuparci più specificamente
dei limiti della discrezionalità
nell'ordinamento tedesco, occorre osservare che
essi possono essere individuati solo attraverso
la comprensione della ratio, cioè di quella
ratio che attraverso l'esercizio del potere
dovrebbe realizzarsi.
L'ipotesi può quindi essere ricondotta
ancora al tipo di irrazionalità 'rispetto allo
scopo': non necessariamente come deviazione o
come distrazione, ma anche come non
proporzionalità138.
Oggi vengono ricompresi nella categoria
generica dell'Ermessensfehler (vizi relativi
all'esercizio del potere discrezionale) tre
ipotesi:
Errmessensubenschreitung Ermessenmissbrauch Ermessensfehlgebrauch
Superamento dei Abuso Condotta contraria
138 Così, quasi testualmente, F. LEDDA, Variazioni sul tema dell'eccesso di potere, in Riv. di dir. Pubbl., 2000, fasc. 2, 440-441.
1
limiti del potere discrezionale
dell'apprezzamento dell'Autorità amministrativa
allo scopo della legge139
Nella versione tedesca del Trattato di
Parigi, lo sviamento di potere venne tradotto
come Ermessenmissbrauch che è, in effetti,
l'ipotesi tipica per il diritto tedesco nella
quale l'Amministrazione fa uso dei suoi poteri
per fini diversi da quelli per i quali tale
potere le è stato conferito.
Tuttavia, come rilevò nelle sue
conclusioni l'Avvocato Generale Lagrange nella
causa Assider, l'assimilazione
Ermessenmissbrauch/détournement de pouvoir è
solo tendenziale: infatti, l'Ermessenmissbrauch
non esaurisce tutte le ipotesi dello sviamento
di potere potendo rientrare alcune di esse
nell'Ermessensfehlgebrauch ed in particolare
nella subcategoria dell'Ermessenwillkur
(esercizio arbitrario del potere
discrezionale)140.
III.II.III. Lo sviamento di potere nell'esperienza italiana
139 Di uso erroneo della discrezionalità parla F. Ledda, cit., 440.140 Così, testualmente, LUCIA MUSSELLI, cit., 128.
1
Per alcuni nel diritto italiano lo
sviamento di potere141 è una forma d'illegittimità
dell'atto discrezionale perché quest'ultimo
traduce in attività amministrativa il potere
discrezionale senza che concorrano le condizioni
richieste dalla legge per l'esercizio del potere
stesso142.
Per la dottrina e la giurisprudenza
prevalenti, tuttavia, lo sviamento di potere è
uno degli indici sintomatici143 - al pari del
141 Per A.TRAVI, Un intervento di Francesco Rovelli sull'eccesso di potere, in Diritto pubblico, 2000, fasc. 2, 455-482, lo sviamento di potere rappresenta ormai un'evenienza quasi eccezionale.142 F.ROVELLI, Lo sviamento di potere, in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di Giovanni Vacchelli, Milano, 1938, 461.143 Per quanto attiene alla valenza probatoria delle figure sintomatiche, mentre la giurisprudenza (si vedano, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 13 aprile 1992, n. 256, in Cons. Stato, 1992, 606; Consiglio di Stato sez. V, 25 novembre 1999, n. 1983; Consiglio di Stato, sez. V, 9 ottobre 2000, n. 5366) ritiene che le stesse costituiscano prove del vizio di eccesso di potere idonee a giustificare l'illegittimità dell'atto e quindi il suo annullamento, la dottrina, al contrario, esclude tale tipo di automatismo, sostenendo che dinanzi al sintomo di un esercizio non corretto del potere amministrativo, il giudice debba verificare se tale figura abbia inciso in concreto sulla scelta amministrativa allontanando l'atto dal perseguimento del fine pubblico: così F.CARINGELLA, cit., pag. 907. Per F. MODUGNO e M. MANETTI, voce Eccesso di potere amministrativo, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1989, pag. 4, che richiamano F. BENVENUTI, Eccesso di potere per vizio della funzione, in Rass. Dir. Pubbl., 1950, 1, l'automatismo sintomo=eccesso di potere è scorretta in quanto muove da una relazione di mera probabilità che non risponde ai requisiti della gravità, precisione e concordanza, richiesti, per le presunzioni non stabilite dalla legge, dall'art. 2729, II comma, c.c.; peraltro, dette presunzioni non sono rilevanti nei casi, come sembra accadere nel processo amministrativo, in cui non sia ammessa la prova testimoniale. La critica andrebbe oggi rivista dopo la sentenza della Corte Costituzionale 23 aprile 1987 n. 146 e, soprattutto, dopo la riforma del processo amministrativo ai sensi della legge n. 205 del 2000. Per E.CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2005, 519, “è da rilevare che la manifestazione sintomatica potrebbe essere contraddetta da altri elementi che dimostrino la correttezza dell'azione: da questo punto di vista è determinante la capacità dell'amministrazione di giustificare, con la propria motivazione, la
1
travisamento e dell'erronea valutazione di
fatti, dell'illogicità o contraddittorietà
dell'atto, della contraddittorietà tra più atti,
dell'inosservanza di circolari, di norme interne
o della prassi amministrativa - della più ampia
figura dell'eccesso di potere.
In particolare, lo sviamento di potere si
concretizzerebbe allorquando la P.A. curi,
esercitando un potere, un interesse diverso da
quello tipico, anche se pubblico, anche – al
limite – se di pregio intrinseco maggiore di
quello in relazione al quale le era stato
attribuito il potere esercitato144.
Autorevole dottrina145 puntualizza che lo
sviamento costituisce l'eccesso di potere nella
sua forma genuina di vizio della
discrezionalità. Esso comporta un esercizio in
concreto del potere per un fine diverso da
quello imposto dalla legge.
conclusione raggiunta pur in presenza di una situazione che potrebbe apparire come un sintomo di illegittimità”.In una posizione intermedia sembra collocarsi il pensiero di F. LEDDA, Variazioni sul tema dell'eccesso di potere, in Riv. di dir. Pubbl., 2000, 435, per il quale – almeno per quanto attiene ai vizi della motivazione – l'equivalenza giurisprudenziale sintomo=vizio “non rivela affatto una sorta di pigrizia del giudice amministrativo, ma piuttosto la giustissima intuizione che, almeno per le figure sintomatiche relative alla motivazione, l'atto deve rendere manifesta l'autorità nel momento stesso in cui pretende di affermarsi, che la motivazione è ancora spendita di autorità, determinazione di ciò che deve essere secondo diritto del caso singolo.” Sul punto l'Autore richiama il pensiero di O. MAYER, Deutsches Verwaltungsrecht, Berlino, 1923, 244 ss. 144 R.VILLATA, L'atto amministrativo in Diritto amministrativo a cura di L.MAZZAROLLI, G.PERICU, A. ROMANO. F.A. ROVERSI MONACO, F.G.SCOCA, Bologna, 2005, 831.145 V.CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002, 585 il quale cita quale esempio giurisprudenziale la nota sentenza del Consiglio di Stato sez. V del 29.9.1965 n. 978.
1
Questa dottrina precisa che lo scopo
effettivamente perseguito potrà essere anche
conforme ad interessi pubblici e, quindi, di per
sé stesso lecito: esso, tuttavia, essendo
diverso da quello tipico, vizia l'atto che ne è
espressione.
III.III Lo sviamento di potere nell'Organizzazione comunitaria
L'art. 263 paragrafo II TFUE (ex art. 230
del Trattato Ce) dispone che la Corte di
Giustizia esercita un controllo di legittimità
sugli atti adottati dalle Istituzioni
Comunitarie, che non siano raccomandazioni e
pareri, ed a tal fine è competente a
pronunciarsi sui ricorsi per a) incompetenza, b)
violazione delle forme sostanziali, c)
violazione del Trattato o di qualsiasi regola di
diritto relativa alla sua applicazione, d)
sviamento di potere146 147.
146 Per M.P.CHITI, Diritto amministrativo europeo, III ed., Milano, 2008, 542, lo sviamento di potere connota il vizio della funzione come nell'ordinamento amministrativo francese, e solo in parte corrisponde al nostro eccesso di potere.147 Appare significativo sottolineare che, non di rado, le parti rappresentano le censure avverso atti comunitari non rifacendosi allo schema tipico dei vizi previsti dal Trattato. Ad esempio, nelle cause riunite T27/03, T-46/03, T-58/03, T-79/03, T-80/03, T-97/03 e T-98/03, i ricorrenti hanno concluso chiedendo che il Tribunale dichiarasse, in via principale e di merito, inesistente ovvero nulla e comunque annullare la decisione impugnata per incompetenza, abuso e sviamento di potere; in via subordinata e di merito, annullare la decisione impugnata, in particolare la sanzione, per erronea definizione del mercato geografico rilevante, difetto di motivazione, falsa applicazione del diritto, infondatezza, anche probatoria, degli addebiti contestati, violazione del
1
Già una prima lettura dell'articolo sopra
citato, come anticipato148, consente di trarre una
prima importante indicazione: il sindacato della
Corte di Giustizia Europea sub specie di
sviamento di potere è un giudizio di
legittimità.
In tal senso, quindi, deve essere fugato
qualsiasi dubbio volto a ricondurre detto vizio
nell'ambito dei vizi di merito dell'azione
amministrativa. Questi ultimi, dunque, restano –
di regola – non sindacabili dalla Corte di
Giustizia.
Anche sul punto, quindi, viene ripresa
l'illuministica concezione secondo la quale il
potere giudiziario non può sostituirsi al potere
esecutivo dovendosi limitare a censurarne
l'operato quando entri in conflitto con norme e
principi di diritto.
principio dell’imparzialità dell’azione amministrativa e dei diritti della difesa;in via ulteriormente subordinata e di merito, annullare la sanzione per irragionevolezza e per insufficiente istruttoria e motivazione o, comunque, ridurre la sanzione comminata alla ricorrente, defalcandone, anzitutto, la maggiorazione del 225% per l’effetto dissuasivo e la maggiorazione del 105% per la durata e riducendo, proporzionalmente, l’importo di base in ragione della prescrizione, della minor gravità dell’infrazione, della marginale partecipazione della ricorrente all’intesa e degli addebiti espressamente non imputati ad essa; o, ancora (con riferimento ad un'altra delle cause riunite), in via subordinata, annullare la decisione impugnata, in particolare la sanzione, per incompetenza, sviamento e manifesto eccesso di potere da parte della Commissione, nonché per errata applicazione dell’art. 65 CA e per carenza e/o contraddittorietà della motivazione nei confronti della ricorrente; in via ulteriormente subordinata, ridurre l’ammenda comminata alla ricorrente dalla Commissione in funzione del fatturato della stessa per errata applicazione dell’art. 65, n. 5, CA.
148 Si veda il paragrafo II di questo capitolo.
1
Del resto, pur essendo del tutto
prematura, e comunque non assecondata dal dato
positivo, un'assimilazione dell'Unione Europea
ad uno Stato federale, essendo essa più
correttamente assimilabile ad un'Istituzione
sovranazionale, sia pur dotata di evidenti
peculiarità, nella sua originale organizzazione
dei poteri essa ha senz'altro risentito149 del
modello della tripartizione dei poteri
(esecutivo, giudiziario e legislativo) che,
peraltro, è caratteristica comune degli Stati
membri.
In realtà, però, non vi è chi non veda
come le peculiarità dell'Istituzione Unione
Europea rendano tale accostamento del tutto
approssimativo.
Come già puntualizzato nei primi due
capitoli di questo lavoro, infatti,
l'impalcatura comunitaria conosce (e ancor di
più ha conosciuto in passato) un'“indistinzione”
tra le funzioni esecutive e quelle normative.
Detta commistione tra le funzioni rileva
tanto da un punto di vista oggettivo, ossia per
la natura degli atti adottati, quanto da un
punto di vista soggettivo, ossia dal lato
dell'Organo emanante.
Quanto al primo aspetto, occorre rimarcare
come l'atto più facilmente riconducibile
all'azione amministrativa, ossia la decisione, 149 Appariva significativo in tal senso il disposto dell'art. 7 del Trattato CE che, nella versione francese, recitava: “Chaque istitution agit dans les limites des attributions qui lui sont conférées par le présent Traité.”
1
abbia non di rado valenza normativa (si veda la
più volte citata decisione sulla comitatologia);
quanto al secondo aspetto, si tenga in
considerazione che il Consiglio è contitolare
della funzione normativa e di quella esecutiva.
Tanto premesso, non può tuttavia
ignorarsi che almeno l'apparato giudiziario gode
di quell'autonomia necessaria per poter essere
considerato un Organo imparziale ed
indipendente, di natura prettamente tecnica,
che, in questo senso, deve rispettare altresì i
margini di autonomia degli altri poteri, di
quello esecutivo in particolare.
In poche parole, la complessità
dell'organizzazione comunitaria non ha fatto
venir meno l'esigenza che il potere giudiziario
rispetti quella che, con una terminologia
nazionale, potremmo definire “riserva di
amministrazione”.
Di questa necessità si è fatta carico
la Corte di Giustizia che, proprio con
riferimento al sindacato sullo sviamento di
potere, ha adottato un atteggiamento di self-
restraint che, anzi, per i commentatori più
attenti, è stato in alcune occasioni eccessivo
sino a lasciare un qualche vuoto di tutela per i
ricorrenti150 151.
150 Si veda VINCENZO CAPUTO JAMBRENGHI, Discrezionalità della Commissione, signora della prova, e horror vacui del giudice comunitario, nota a Corte di Giustizia delle Comunità Europee (VI sezione), sentenza 6 luglio 2000, causa C-289/97, Eridania Zuccherifici Nazionali s.p.a. contro Azienda Agricola San Luca di Romagnoli Viannji, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2000, fasc. 4, 1770-1773.
1
III.III.I Parametri per la definizione di sviamento di potere
Il Trattato comunitario non definisce lo
sviamento di potere. Di esso, dunque, occorre
ricercarne una “perimetrazione” utilizzando
tutti i dati ermeneutici disponibili. In primis
quello letterale, poi quello sistematico;
infine, quello storico che, come si vedrà, sarà
particolarmente utile.
Nello specifico, la definizione di
sviamento di potere comunitario potrà trarsi
anche a contrario analizzando gli altri vizi
sindacabili dal giudice europeo.
In poche parole, lo sviamento di potere è
un vizio che afferisce ad un'area dell'attività
amministrativa invalida che non si caratterizza
né per l'incompetenza dell'Organo agente, né per
la violazione delle forme sostanziali, né per la
violazione del Trattato nonché delle regole di
diritto relative alla sua applicazione. Del
resto, già dalla lettura della norma può
desumersi la portata del tutto residuale di
151 Come già anticipato, questa situazione è il frutto delle difficoltà probatorie riconnesse alla dimostrazione dell'esistenza di detto vizio. Interessante è, poi, la sentenza del Tribunale di I grado Prima Sezione) del 13 dicembre 2006, causa T-138/03,É.R. e altri/ Consiglio dell’Unione Europea, che – al punto 142 – sembra non disconoscere uno sviamento di potere perpetrato dall’Istituzione Comunitaria pur senza poi condannare la stessa a risarcire i danni lamentati dai ricorrenti sul presupposto dell’assenza di nesso di causalità.
1
questo vizio. Ed in effetti, come si vedrà, del
tutto residuale è stata l'applicazione concreta
che di questa figura ne ha fatto la
giurisprudenza comunitaria che, tuttavia, si è
adoperata meritoriamente per una sua
perimetrazione.
In questa complessa attività la Corte non
ha potuto non muovere le mosse dal dato
terminologico che evoca chiaramente il
détournement de pouvoir di origine francese.
Si è rilevato152 che il détournement de
pouvoir comunitario ha attinenza principalmente
“à les buts”, ossia agli scopi (melius: agli
scopi non legittimi) dell'atto.
Questa dottrina ha osservato – in chiave
di ricostruzione storica della figura - che la
Corte di Giustizia, in un primo momento (nella
vigenza del Trattato CECA), aveva sviluppato una
concezione oggettiva dell'istituto che, però,
finiva con il confondersi con l'errore di
diritto.
Secondo questa analisi, occorre osservare
che i campi elettivi in cui lo sviamento di
potere è stato fatto valere nella vigenza degli
originari Trattati Comunitari atteneva a tre
grandi aree tematiche nelle quali ha ricevuto,
peraltro, un trattamento ben diverso:
A) l'area attratta nel Trattato CECA;
152 OLIVIER DUBOS E MARIE GAUTIER, cit., p. 132.
1
B) l'area della funzione pubblica
comunitaria;
C)l'area attratta nel Trattato CEE/CE.
Orbene, mentre nelle aree tematiche
descritte con le lettere A) e B) la figura ha
conosciuto una certa applicazione,
particolarmente interessante nell'area di cui al
punto A), nelle aree disciplinate dal Trattato
Cee/CE, ove la discrezionalità
dell'Amministrazione si è esplicata
principalmente nell'interpretare le numerose
nozioni indeterminate presenti nell'ambito del
diritto della concorrenza, la casistica
giurisprudenziale è molto meno ricca.
Qualcuno153 ha ritenuto che questa diversità
applicativa sia derivata anche dal diverso
concetto di sviamento di potere posto quale
parametro di riferimento.
In particolare, nelle aree di cui alla
lett. C) sarebbe prevalsa un'interpretazione
“soggettiva” del détournement de pouvoir (sotto
l'influsso francese) con tutte le difficoltà
probatorie ivi ricollegate; nelle aree di cui
alla lett. A) avrebbe prevalso
un'interpretazione “oggettiva” più vicina
all'Ermessensmissbrauch tedesco.
In un secondo momento, con l'evoluzione
dell'interpretazione del Trattato CE, sarebbe
prevalsa una concezione soggettiva 153 LUCIA MUSSELLI, cit., 148-149.
1
dell'istituto, ossia una concezione che prende
in considerazione principalmente l'intenzione
dell'autore dell'atto.
In quest'ottica l'autore dell'atto non
deve perseguire un fine personale né un
interesse pubblico diverso rispetto a quello che
la norma attributiva del potere gli indica.
Volendo riordinare le argomentazioni delle
opposte tesi può dirsi che per i fautori154 del
carattere “soggettivo”, per una corretta
verifica giurisdizionale dello sviamento di
potere è necessario indagare la sfera volitiva
dell'agente; sarebbe necessario, pertanto,
accertare se questi intenzionalmente155 abbia
agito per realizzare un fine diverso da quello
in vista del quale il potere gli è stato
attribuito.
Per altri, lo sviamento di potere deve
emergere direttamente dall'atto156.
In questo senso, una posizione intermedia
è quella espressa dall'Avvocato Generale
Lagrange157 nelle conclusioni della già citata
154 All'approccio “soggettivo” sembra aver aderito la dottrina italiana: C.A.TROJANI, Lineamenti di giustizia amministrativa nel sistema comunitario, Pubblicazione dell'Istituto di studi europei A. De Gasperi, Roma, 1990, 45.155 E' inevitabile rimarcare le analogie, in termini di elemento soggettivo, tra una simile ricostruzione e quella attualmente accolta in via normativa dalla disciplina dell'abuso d'ufficio nazionale con rilevanza penale (art. 323 c.p.).156 A spingere per un carattere “oggettivo” dello sviamento di potere è prettamente la dottrina tedesca: si veda B.VAN DER ESCH, Pouvoir discrétionnaires de l'exécutif européen et controle juridictionnel, Deventer, 1968, 42.157 LUCIA MUSSELLI, Evoluzione del détournement de pouvoir in ambito comunitario ed ipotesi di raffronto con l'ordinamento amministrativo interno, in Rivista italiana
1
causa n. 8/1955158 dove rimarcò che la cd.
concezione classica dello sviamento di potere
non si può ridurre ad una forma di controllo
psicologico sull'intenzione dell'autore
dell'atto ma deve abbracciare le risultanze
obiettive dell'atto impugnato, dovendo emergere
da quest'ultimo una divergenza tra lo scopo che
il soggetto doveva perseguire e quanto realmente
raggiunto159.
La giurisprudenza comunitaria, nella prima
sentenza160 che provvide ad annullare un atto
perché viziato da sviamento di potere, non prese
posizione sulla diatriba dottrinaria di cui si è
dato conto pur facendo sicuramente riferimento
alla necessità di indagare le finalità che hanno
mosso l'autore dell'atto.
In particolare, la Corte di Giustizia si
trovò a dover sindacare la legittimità del
trasferimento di Max Gutmann, funzionario
dell'Euratom, disposto dalla Commissione da un
ufficio all'altro della stessa.
Detto trasferimento, secondo il
ricorrente, “mascherava” un provvedimento
di diritto pubblico comunitario, 1996, fasc. 1, 119-162.158 In Raccolta, 1956, 251-252. Ripercorrendo a ritroso gli studi della dottrina italiana, non può non ricordarsi il contributo di F.Rovelli, Lo sviamento di potere, in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di Giovanni Vacchelli, Milano, 1938, 447 ss.159 A quest'ultima concezione, che tiene in debito conto altresì l'aspetto oggettivo, sembra aver aderito la Corte di Giustizia nelle cause 3 e 4/1964, Chambre syndacale de la sidérurgie française e altri c. Alta Autorità in Grands arrets de la Cour de Justice des Communautés Européennes, a cura di J. BOULOUIS E R.M. CHEVALLIER, Parigi, 1993, 357-361.160 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza 5 maggio 1966 nelle cause riunite 18 e 35/1965 in Lucia Musselli, cit., 137.
1
disciplinare che l'Istituzione Comunitaria
voleva evitare di emanare per non riconoscere i
diritti di difesa connaturati alle sanzioni
disciplinari.
Il ricorrente, in poche parole, si
lamentava dell'uso “non funzionale” dell'atto di
trasferimento, disposto non per reali esigenze
di servizio ma per eludere le garanzie connesse
all'applicazione di un provvedimento
disciplinare.
In questo caso la Corte di Giustizia
sostenne che “le variazioni e le contraddizioni
sopra rilevate, unitamente ai fatti quali la
simultaneità tra la pubblicazione dell'avviso di
posto vacante e il trasferimento del ricorrente
allo stesso posto...costituiscono una serie di
indizi obbiettivi da cui si può dedurre che
l'Amministrazione, nel procedere al
trasferimento del Gutmann, non si è avvalsa dei
suoi poteri per uno degli scopi previsti dallo
Statuto per detto provvedimento. La decisione di
reiezione (della domanda di riesame del
trasferimento al fine di una sua revoca) del 5
febbraio del 1965 va dunque annullata per
sviamento di potere nella parte in cui conferma
la decisione di trasferimento del 9 dicembre
1964”.
Simile impianto motivazionale la Corte di
Giustizia ricalcherà nelle successive sentenze161
161 Si fa riferimento alla sentenza del 29 settembre 1976, resa nella causa n. 105/75 e alla più recente nelle cause riunite nn. 33, 40, 110, 226 e 285/1986, Peine Salzgitter c. Commissione.
1
di annullamento per sviamento di potere, a dire
il vero poco frequenti.
Secondo una parte della dottrina162,
peraltro, la giurisprudenza comunitaria163 avrebbe
adottato una definizione di sviamento di potere
“mista” e le applicazioni pratiche indurrebbero
a distinguere tre forme di sviamento di potere a
secondo che lo stesso coinvolga 1) gli
obiettivi, 2) i motivi o 3) le procedure.
Si è sostenuto che il caso164 di cui al
numero 1 sarebbe di facile individuazione se, in
materia di obiettivi, i trattati non operassero,
a monte, una distinzione tra obiettivi generali
e obiettivi specifici e se, in secondo luogo,
non mettessero sullo stesso piano gli obiettivi
generali insuscettibili di un raggiungimento
simultaneo.
Quanto al primo aspetto, si è osservato
che la giurisprudenza comunitaria165 pare aver
ammesso che le Istituzioni comunitarie possano
oltrepassare i fini specifici purché rispettino
i fini generali; quanto al secondo aspetto, si è
sottolineato che le Corti comunitarie166 hanno
ritenuto che non costituisca uno sviamento di
potere il non aver particolarmente conciliato
162 JEAN BOULOUIS, MARCO DARMON, JEAN GUY HUGLO, Contentieux communautaire, II ed., Paris, 2001, pag. 213.163 Corte di Giustizia 29 novembre 1956 Féderation Charb. de Belgique, causa C-8/55; 11 luglio 1990, Sermés, causa C-323/88.164 Ad avviso della dottrina citata riscontrabile nella sentenza 29 settembre 1987, Fabrique de fer de Charleroi causa C-351/85.165 Si indica quale esempio emblematico la sentenza 21 dicembre 1954, France c. Haute Autorité C.E.C.A., C-1/54.166 Sentenza 8 febbraio 1968, Pays-Bas c. Csion, causa C-28/66.
1
gli obiettivi generali che, del resto, non
potevano essere simultaneamente raggiunti: in
sostanza, in caso di impossibilità di sintesi,
le Istituzioni comunitarie conserverebbero il
potere di accordare ad alcuni obiettivi generali
quella preferenza indotta dai fatti e dalle
circostanze economiche in vista delle quali
doveva essere emesso.
Il caso di cui al numero 2 sembrerebbe
contrastare con il carattere oggettivo del
détournement de pouvoir ma tuttavia, non di
rado, è stato preso in considerazione dalla
giurisprudenza comunitaria167 la quale, peraltro,
ha escluso che i motivi possano essere indici
sintomatici di uno sviamento di potere quando
questi sono del tutto secondari e accessori
nella valutazione complessiva dell'atto che,
sotto altro aspetto, è rispondente al fine
assegnatogli dalla legge.
Nel caso di cui al punto 3, la Corte di
Giustizia168 sarebbe apparsa più rigorosa nel suo
sindacato avendo ritenuto integrato il vizio
qualora i poteri accordati alle Istituzioni
comunitarie siano stati utilizzati per un fine
esclusivo, o anche solo determinante, elusivo
della procedura imposta dal Trattato.
Si è in particolare affermato169 che
sussiste sviamento di potere quando
un'Istituzione esercita i suoi poteri allo scopo
esclusivo, o quanto meno determinante, di
167 Sentenza 21 dicembre 1954, causa C-1/54 cit.168 Sentenza 20 giugno 1991, Cargill, causa C-248/89.169 Sentenza 7 marzo 2002 Italia c. Commissione, causa C-310/99 in Racc. I-2289.
1
raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o
di eludere una procedura appositamente prevista
dal Trattato per far fronte alle circostanze del
caso di specie.
La Corte di Giustizia170 trattò
approfonditamente la questione in un caso che
traeva origine da una grave crisi siderurgica
alla quale la Commissione tentò di porre freno
attraverso la fissazione di quote per
determinati metalli. Venuta meno la situazione
di crisi, la stessa Commissione, con il
regolamento n. 3746/86/CECA, liberalizzò una
sola categoria di metalli, ossia gli zincati.
La particolarità di quest'intervento di
liberalizzazione consistette nella procedura
seguita che ricalcò quella di cui all'art. 58 n.
1 del Trattato CECA prevista, tuttavia, per
l'introduzione delle quote e non per la loro
eliminazione. Infatti, detta procedura si
caratterizzava per la sua complessità dettata
dall'esigenza di garantire al massimo, anche in
termini procedurali, le istanze della libera
concorrenza inevitabilmente compresse
dall'introduzione di quote.
Per porre fine al sistema della
limitazione era, invece, prevista una procedura
ben più agile prevista dal n. 3 dello stesso
art. 58 del Trattato CECA, ma nell'occasione
detta più snella procedura, come anticipato, non
venne seguita.
170 Sentenza 21 giugno 1988, cause riunite 32, 52 e 57/1987 Industrie Siderurgiche associate (ISA) ed altri c. Commissione, in Racc., IV, 1988, 3305 ss.
1
Sennonché l' Associazione delle Imprese
Siderurgiche (ISA) impugnò il provvedimento
della Commissione che liberalizzava solo la
categoria degli zincati, deducendo che la
particolare procedura seguita era funzionale
alla volontà di non eliminare le quote per le
altre categorie di metalli, con ciò provocando
un danno per i produttori di altri tipi di
materiali metallici.
In quella circostanza, la Corte riconobbe
che la Commissione aveva erroneamente utilizzato
una procedura anziché un'altra e riconobbe
expressis verbis, per tale motivo, che si era
verificato uno sviamento di potere da sanzionare
con l'annullamento della decisione.
Del resto, anche in seguito, sono state
emanate diverse sentenze che hanno accolto
censure volte a denunciare sviamenti di
procedura171.
Significativa è la sentenza 22 settembre
1988 emessa nel caso Th. Frydendahl A/S c.
Commissione, causa n. 148/87.
Nell'occasione, la Commissione, essendosi
accorta di non aver rispettato il termine di
quattro mesi dalla ricezione di una domanda
delle Autorità danesi di applicazione dell'art.
13 del regolamento n. 1430/79, relativo al
171 Corte di Giustizia 22 settembre 1988, in causa 148/1987, Th. Friedendahl Pedersen A/S c. Commissione, in Racc., IV, 1988, 4993. Si vedano, altresì, le sentenze emanate nelle cause riunite 140, 146, 221 e 226/1982 Walrstahl Vereinigung e Thyssen c. Commissione e nelle cause riunite 33, 44, 110, 226 e 258/1986 Stahlwerke-Peine Salzgitter ed altri c. Commissione.
1
rimborso o allo sgravio dei diritti
all'importazione o all'esportazione, per offrire
una risposta, aveva chiesto alle Autorità stesse
di ritirare la domanda per poi ripresentarla
consentendo, così, alla Commissione di svolgere
un supplemento di istruttoria.
La ricorrente, pertanto, impugnava la
decisione della Commissione deducendo che essa
fosse stata determinata solo dalla volontà di
evitare gli effetti, derivanti dall'intempestiva
risposta, di cui al regolamento n. 1575/80.
Accertato che tale fosse l'intendimento
della Commissione, la Corte di Giustizia annullò
la decisione osservando che essa fosse stata il
frutto di uno sviamento di procedura.
Emerge chiaramente da quanto esposto che,
in un caso siffatto, i confini tra lo sviamento
di procedura e lo sviamento di potere in senso
stretto diventino particolarmente labili.
In questo caso, in fondo, i timori della
Corte di Giustizia di invadere la cd. “riserva
di amministrazione” hanno avuto minor ragion di
esistere dinanzi all'evidenza della prova
dell'illegittimità.
D'altro canto, l'esame di dette sentenze
fa emergere che lo sviamento di potere per
sviamento di procedura, laddove riconosciuto,
non sia inteso alla stregua di un vizio
meramente formale. Ovvero, affinché la Corte di
giustizia annulli il provvedimento emanato in
seguito a procedura diversa da quella prevista
1
normativamente, non è sufficiente la mera
allegazione di uno sviamento di procedura:
sembra, infatti, che la Corte Comunitaria
richieda che tale sviamento abbia determinato
l'emanazione di un provvedimento che persegua
fini diversi da quelli legalmente previsti.
Sul punto, tuttavia, lo sviamento di
procedura costituisce un dato presuntivo di
questo sviamento che conduce più facilmente
all'accoglimento del ricorso presentato. Anzi, a
volte172, lo sviamento di procedura è talmente
evidente e ingiustificato da costituire ex se
uno sviamento di potere.
Tali argomentazioni danno credito a quella
tesi dottrinaria173 secondo la quale anche nella
giurisprudenza comunitaria si sta formando una
casistica di figure sintomatiche di sviamento di
potere, come negli ordinamenti nazionali. Si
ricordano in particolare l'inosservanza di
codici di condotta e il richiamo di elementi
limitati e superati nella motivazione dell'atto.
L'autore osserva come il settore in cui si è più
di frequente fatto applicazione del predetto
vizio è quello del pubblico impiego.174
Senz'altro, comunque, deve dirsi che la
Corte di Giustizia è parsa particolarmente (e,
forse, eccessivamente) attenta a salvaguardare
la sfera di discrezionalità dell'Autorità
172 Si analizzi ad esempio il caso trattato da Corte di Giustizia 22 settembre 1988, in causa 148/1987, Th. Friedendahl Pedersen A/S c. Commissione, cit.173 M.P.CHITI, cit., 542.174 vedi di recente Tribunale di I grado sentenza 22.10.2002 causa T-310/01.
1
Amministrativa comunitaria che è quella sulla
quale, di regola, interferisce il sindacato
sullo sviamento di potere.
Non di rado, così, si legge - nella
motivazione delle sentenze - che la Corte,
nell'effettuare il controllo di legittimità
sull'esercizio dell'ampia libertà di valutazione
di cui gode l'Istituzione comunitaria, non può
sostituire la propria valutazione in materia a
quella dell'Autorità competente ma deve
limitarsi a stabilire se quest'ultima non sia
viziata da errore manifesto o da sviamento di
potere. La giurisprudenza comunitaria175 ha, anche
in seguito, nelle occasioni in si è espressa
sullo sviamento di potere, precisato che “la
175 così, testualmente, Corte di Giustizia, causa C-121/01 P, O'Hannrachain/Parlamento. Nello stesso senso si vedano anche: sentenza 22 novembre 2001, causa C-110/97, Paesi Bassi/Consiglio, Racc. pag. I-8763, punto 137; sentenze 14 maggio 1998, causa C-48/96 P Windpark Groothusen/Commissione, Racc. pag.I-2873, punto 52, e 10 marzo 2005, causa C-342/03, Spagna/Consiglio, Racc. pag. I-1975, punto 64; sentenza del Tribunale (Quarta Sezione ampliata) di I grado del 27 settembre 2006, causa T-168/01, GlaxoSmithKline Services Unlimit/Commissione; sentenze del Tribunale 11 giugno 1996, causa T-118/95, Anacoreta Correia/Commissione, Racc. PI pagg.I-A-283 e II-835, punto 25, e 14 ottobre 2004, causa T-389/02, Sandini/Corte di giustizia, Racc. PI pagg. I-A-295 e II-1339, punto 123); Nei procedimenti riuniti C-186/02 P e C-188/02 P, Ramondín SA e Ramondín Cápsulas SA/Commissione e Territorio Histórico de Álava – Diputación Foral de Álava/Commissione, la sentenza della Corte di Giustizia dell’ 11 novembre 2004, nel ribadire che lo sviamento di potere va desunto da elementi obiettivi, pertinenti e concordanti, “bolla” come frutto di valutazioni meramente soggettive dei ricorrenti la censura di sviamento di potere all’attività della Commissione. In particolare, il dedotto sviamento non sarebbe ricavabile dal fatto che la Commissione avesse agito senza la previa denuncia di alcun concorrente dei ricorrenti. Questi ultimi, viceversa, traevano dall’assenza di denunce da parte di altri concorrenti la conclusione che la Commissione si fosse attivata, non per i fini dichiarati, ma per scopi di armonizzazione fiscale raggiungibili più correttamente, sempre secondo la tesi dei ricorrenti, con altri mezzi di competenza, tra l’altro, del Consiglio.
1
nozione di sviamento di potere ha una portata
ben definita che si riferisce al fatto che
un'Autorità amministrativa abbia utilizzato i
propri poteri per uno scopo diverso da quello
per il quale le sono stati conferiti. Un atto
è viziato da sviamento di potere solo se, in
base ad indizi oggettivi, pertinenti e
concordanti, risulta adottato allo scopo
esclusivo, o quanto meno determinante, di
raggiungere fini diversi da quelli dichiarati
o di eludere una procedura appositamente
prevista per far fronte alle circostanze del
caso di specie”.
Sul punto, è opportuno rimarcare che per
la giurisprudenza comunitaria lo sviamento
di potere è integrato anche qualora l'atto
impugnato persegua un interesse pubblico
diverso da quello legalmente fissato176; a
meno che, con il fine ulteriore e diverso,
non sia perseguito anche il fine previsto
dalla legge: in questo caso il perseguimento
del fine indicato dalla norma attributiva del
potere, per quanto non oggetto esclusivo
della volontà amministrativa esplicitata
nell'atto impugnato, determina la “sanatoria”
dell'altro fine non previsto dalla legge.
Sul punto la giurisprudenza si è
espressa più volte ed in termini univoci: si
è detto che non comporta invalidità il
perseguimento, in uno con il fine previsto
176 Così, in dottrina, J.RIVERO, Le problème de l'influence des droits internes sur la Cour de Justice de la CECA, in Annuaire francais de droit international, 4/1958, 304.
1
dalla norma, dell'interesse alla “non
complicazione amministrativa”177 o quello
volto ad assecondare la politica economica di
un Governo Nazionale178.
In sostanza, l'esistenza del fine
legittimo (inteso quale quello fissato dalla
norma attributiva del potere) è sufficiente
per far respingere la censura di
illegittimità del provvedimento179 che
eventualmente persegua altresì altri e
diversi fini.
Anche recentemente, nella sentenza della
Corte di Giustizia n. 400 del 10 maggio 2005,
nella causa C-400/99 – Repubblica Italiana c.
Commissione delle Comunità Europee - ai punti
36-41, la Suprema Corte Comunitaria ha avuto
modo di confermare che ”la nozione di
sviamento di potere implica che l'autorità
amministrativa abbia esercitato i suoi poteri
per uno scopo diverso da quello per cui le
sono stati conferiti180. Una decisione è
viziata da sviamento di potere solo se, in
base ad indizi oggettivi, pertinenti e
concordanti, risulta adottata per scopi
diversi da quelli dichiarati
...Ne discende che uno sviamento di potere
177 Si guardi la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 12 giugno 1958, in causa 2/1957 Compagnie des Hautes Forneaux de Chasse c. Alta Autorità della CECA, in Raccolta, vol. IV, 1958, 135-136 e 142.178 Si guardi la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 16 luglio 1956 in causa 8/1955 Fédération charbonnière de Belgique c. Alta Autorità della CECA, in Raccolta, 1956, vol. IV, 280 e 301.179 Così LUCIA MUSSELLI, cit., 131.180 Di identico tenore v., in particolare, sentenza 4 febbraio 1982, causa 817/79, Buyl/Commissione, Racc. pag. 245, punto 28.
1
avrebbe potuto essere accertato solamente se
fosse stato dimostrato che la Commissione
aveva deliberatamente qualificato nuovi aiuti
misure di cui non poteva dubitare che fossero
aiuti esistenti, soggetti al regime di
controllo previsto dall'art. 88, n. 1, CE, o
misure non rientranti neppure nell'ambito di
applicazione degli artt. 87 CE e 88 CE.
Altrimenti detto: solamente se fosse stato
dimostrato che la Commissione aveva voluto
perseguire a breve termine la sospensione di
misure di cui non poteva dubitare che fossero
ancora legittimamente attuabili, almeno fino
alla conclusione del procedimento.”
Da ultimo, nella sentenza del 23 ottobre
2008 emessa dal Tribunale di I grado nella
causa T-256/07, tra People’s Mojahedin
Organization of Iran e Consiglio dell’Unione
europea, al punto 151, si è aggiunto che “la Corte e il Tribunale hanno ripetutamente
stabilito che un atto è viziato da sviamento
di potere solo se, in base ad indizi
oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta
adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno
determinante, di raggiungere fini diversi da
quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato CE per
far fronte alle circostanze del caso di
specie181.
181 (v. sentenza della Corte 14 dicembre 2004, causa C-210/03, Swedish Match, Racc. pag.I-11893, punto 75, e sentenza del Tribunale 13 gennaio 2004, causa T-158/99, Thermenhotel Stoiser Franz e a./Commissione, Racc.pag.II-1, punto 164, e giurisprudenza ivi citata).
1
Si afferma, in sostanza, una nozione
piuttosto stabile di sviamento di potere che
ingloba in sé lo stesso regime di
accertamento derivante dalla presenza di
indizi obbiettivi, pertinenti e concordanti
tali da dimostrare l'estraneità all'interesse
del servizio della scelta compiuta
dall'Amministrazione comunitaria182.
Si evidenzia, quindi, l'aspetto della
“prova” dello sviamento che, alla luce
dell'indirizzo particolarmente rigoroso sul
punto assunto dalla Corte di Giustizia,
risulta spesso uno scoglio insormontabile
per i ricorrenti.
Del resto, si è evidenziato183 come
l'ostacolo probatorio sia particolarmente
ingombrante se solo si consideri che la
giurisprudenza comunitaria184 ha ritenuto che
non siano in alcun modo sufficienti le
presunzioni quali prove dello sviamento di
potere.
Infatti, tale difficile prova unitamente
all'insindacabilità “intrinseca” della scelta
discrezionale dell'Amministrazione
comunitaria hanno condannato lo sviamento di
potere ad un'applicazione pratica del tutto
residuale.
182 In termini identici la Corte si era già espressa in causa n. 23/76, Luigi Pellegrini e C. s.a.s. c. Commissione, in Raccolta, vol. III, 1976, 1807-1829. 183 M.CONDINANZI-R. MASTROIANNI, Il contenzioso dell'Unione Europea, Torino, 2009, pag. 126.184 Corte di Giustizia 7 dicembre 1976, causa 23/76, Luigi Pellegrini & c. s.a.s. c. Commissione e altri; Tribunale di I grado 26 novembre 1991, causa T-146/89, Williams c. Corte dei Conti, in Racc., p.II-1293.
1
Dunque, un po' per il fatto che “la
Corte non ha facoltà di sostituire la propria
valutazione a quella dell'Amministrazione
interessata185”, un po' per il timore della
Corte di sostituirsi all'operato
dell'Autorità comunitaria strettamente
connesso al timore di menomare l'indipendenza
di tali organi, i ricorsi per sviamento di
potere sono accolti molto di rado186.
Come detto, lo sviamento di potere è una
classica censura all'operato delle
Istituzioni Comunitarie che esercitano poteri
discrezionali.
Recentemente, peraltro, tale censura è
stata sollevata con riferimento a quella
particolare sfera dell'attività
amministrativa delle Istituzioni Comunitarie
che, con linguaggio nazionale, definiremmo
esercizio di discrezionalità tecnica.
Al proposito, la Corte di Giustizia ha
più volte precisato che un’autorità
comunitaria, allorché è chiamata,
nell’esercizio delle sue attribuzioni, a
compiere valutazioni complesse, dispone per
tale motivo di un ampio potere discrezionale
il cui esercizio è assoggettato ad un
controllo giurisdizionale limitato, il quale
implica che il giudice comunitario non può
sostituire la sua valutazione degli elementi
di fatto a quella della detta autorità.
185 E' uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza nella causa 23/1976, cit., 1829.186 LUCIA MUSSELLI, cit., 142.
1
Pertanto, il giudice comunitario si
limita, in casi del genere, ad esaminare
l’esattezza sostanziale dei fatti e le
qualificazioni giuridiche che l'Autorità ne
ha desunto e, in particolare, se l’operato di
quest’ultima non sia inficiato da errore
manifesto (di diritto o di fatto: così, ad
esempio, in causa T-375/02 Cavallaro c.
Commissione) o sviamento di potere, o se tale
Autorità non abbia manifestamente
oltrepassato i limiti del proprio potere
discrezionale187.
Nelle sentenze188 della Corte di
Giustizia si legge, così, che “laddove la
Commissione fruisca di tale ampia
discrezionalità, la Corte, nell'effettuare il
controllo di legittimità sull'esercizio di
questa libertà, non può sostituire la propria
valutazione in materia a quella dell'autorità
competente, ma deve limitarsi a stabilire se
quest'ultima non sia viziata da errore
manifesto o da sviamento di potere ovvero se
l'autorità di cui trattasi non abbia
manifestamente ecceduto i limiti del suo
potere discrezionale189”.
Nei procedimenti riuniti C-211/03, C-
299/03, C-316/03, C-318/03190 la Corte ha
affermato che un'Autorità comunitaria, 187 Si legga l'ordinanza del presidente della Corte 11 aprile 2001, causa C-471/00P(R) Commissione/Cambridge Healthcare Supplies, Racc. pag. I-2865, punto 96188 Si legga il punto 68 della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, n. 110 del 14/04/2005189 Si vedano, altresì, le sentenze 5 ottobre 2000, Germania/Commissione, cit., punto 26, e 12 marzo 2002, cause riunite C-27/00 e C-122/00, Omega Air e a., Racc. pag. I-2569, punto 64).
1
allorché è chiamata, nell'esercizio delle sue
attribuzioni, a compiere valutazioni
complesse, dispone per tale motivo di un
ampio potere discrezionale il cui esercizio è
assoggettato ad un controllo giurisdizionale
limitato, il quale non implica che il giudice
comunitario sostituisca la sua valutazione
degli elementi di fatto a quella della detta
autorità.
Talché il giudice comunitario si limita,
in casi del genere, ad esaminare l'esattezza
sostanziale dei fatti e le qualificazioni
giuridiche che questa autorità ne ha desunto
e, in particolare, se l'operato di
quest'ultima non sia inficiato da errore
manifesto o sviamento di potere, o se tale
autorità non abbia manifestamente
oltrepassato i limiti del proprio potere
discrezionale.
Nella sentenza191 n. 145 del 24 febbraio
2000, ancora, il Tribunale di I grado ha
190 Sono le domande di pronunce pregiudiziali relative alle cause Hlh Werenvetriebs GmbH e Orthica BV contro Repubblica Federale di Germania.
191 Più recentemente nella causa T-340/03 (sentenza del Tribunale I grado - V sezione ampliata - del 30 gennaio 2007 - France Télécom SA/Commissione delle Comunità europee – il Tribunale ha affermato che: “...a titolo preliminare occorre ricordare che, quando la scelta del metodo di calcolo del tasso di copertura dei costi implica da parte della Commissione una valutazione economica complessa, occorre riconoscere ad essa un ampio potere discrezionale (v., in tal senso, sentenza della Corte 28 maggio 1998, causa C-7/95 P, Deere/Commissione, Racc. pag. I-3111, punto34 e giurisprudenza ivi citata). Il controllo del giudice deve limitarsi pertanto alla verifica dell’osservanza delle norme di procedura e di motivazione, nonché dell’esattezza materiale dei fatti, dell’insussistenza di errore manifesto di valutazione e di sviamento di potere...”
1
ricordato che la Commissione dispone di un
ampio potere discrezionale in merito agli
elementi da prendere in considerazione per
adottare una decisione di aggiudicazione di
un appalto a seguito di gara192. In questo
caso, si è detto che il controllo del giudice
comunitario deve limitarsi a verificare il
rispetto delle regole di procedura e di
motivazione, l'esattezza materiale dei fatti,
l'assenza di un manifesto errore di
valutazione e di sviamento di potere.
In sintesi, il sindacato del Giudice
comunitario sull'atto censurato per il vizio
di sviamento di potere è particolarmente
limitato in considerazione:
1) della discrezionalità tecnica o
amministrativa caratteristica del potere
esercitato dalle Istituzioni comunitarie
laddove il loro agire sia censurato sub
specie di sviamento di potere;
2) della riconducibilità del vizio della
motivazione degli atti comunitari in una
violazione di una norma ad hoc del Trattato
(art. 253); quindi, queste violazioni non
hanno avuto necessità di scomodare il vizio
di sviamento di potere (come nel ns.
ordinamento è avvenuto per l'eccesso di
potere) andando a confluire nel vizio di
violazione di legge;
192 Così anche nelle sentenze della Corte 23 novembre 1978, causa 56/77, Agence européenne d'intérims/Commissione, Racc. pag. 2215, punto 20, e del Tribunale 8 maggio 1996, causa T-19/95, Adia interim/Commissione, Racc. pag. II-321, punto 49.
1
3) già dal prospettare il cd.
perseguimento di fini diversi da quelli per
il quale il potere è conferito a limitati
casi, in ipotesi coincidenti con ipotesi di
pressioni esercitate da privati sulle
Istituzioni comunitarie, al limite sfocianti
in casi di vera e propria corruzione193.
Capitolo IV
Le differenze tra lo sviamento di potere comunitario e l'eccesso di potere italiano creano un vuoto di tutela giurisdizionale a livello
comunitario?
IV.I. L'eccesso di potere nel diritto nazionale194
L'art. 26 del T.U. delle leggi sul
Consiglio di Stato195, R.D. 26 giugno 1924 n. 193 Si veda sul punto l'interessante caso deciso dalla sentenza del Tribunale di I grado n. 158 del 28 giugno 2005 tra le Industrias Químicas del Vallés, SA contro la Commissione delle Comunità europee. 194 Per una, sia pur generale, pregevole ricostruzione della figura dell'eccesso di potere si rinvia a N.PAOLANTONIO in Invalidità degli atti amministrativi, in Codice della Giustizia amministrativa a cura di G. MORBIDELLI, Milano, 2008, 147 e ss.195 L'art. 3 della legge n. 5992 del 31 marzo 1889, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, prevedeva già tra i vizi sindacabili dell'atto
1
1054, prevede che: “spetta al Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale di decidere sui ricorsi
per incompetenza, per eccesso di potere o per
violazione di legge...”; analogamente, l'art. 3
della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 dispone che:
“sono devoluti alla competenza dei Tribunali
Amministrativi Regionali i ricorsi per
incompetenza, eccesso di potere o violazione di
legge...”; infine, l'art. 21 octies, I comma,
della legge 7 agosto 1990 n. 241 introdotto
dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15 statuisce
che: “E' annullabile il provvedimento
amministrativo l'eccesso di potere. Tuttavia, la sua natura di vizio dell'atto incontrò moltissimi ostacoli per la sua affermazione, poiché la volontà del legislatore fu nel senso di intendere l'eccesso di potere quale vizio “che rende radicalmente nullo il provvedimento per assoluta mancanza della facoltà di emanarlo”: così si esprime la Relazione dell'Ufficio Centrale del Senato elaborata dal Sen. G. Costa citata da O. ABBAMONTE, L'eccesso di potere. Origine giurisdizionale del concetto nell'ordinamento italiano (1877-1892), in Dir. proc. Amm., 1986, 68. Sulla relazione dell'Ufficio Centrale del Senato sul disegno di legge crispino si veda N. PAOLANTONIO, L'istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato attraverso la lettura dei lavori parlamentari, Milano, 1991, 65 ss. Per R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, nel Sistema del diritto amministrativo italiano diretto da F.G. SCOCA, F.A. ROVERSI MONACO, G. MORBIDELLI, Torino, 2007, 415, “il significato originario del termine eccesso di potere nell'art. 3 della legge Crispi rimane ancora poco chiaro, stante anche la mancanza di indicazioni circa il significato che l'interprete avrebbe dovuto attribuire a siffatta locuzione; tuttavia, si ritiene comunemente che il legislatore del 1889 intendesse anche qui riferirsi allo straripamento di potere e quindi ad una forma di violazione di legge particolarmente grave. Il legislatore aveva espunto dal novero dei vizi rilevanti quelle ipotesi di abuso di potere e di ingiustizia manifesta intorno alle quali, in una prima fase dei lavori parlamentari, si era cercato di formalizzare le novità della tutela che la IV sezione avrebbe dovuto assicurare. L'Ufficio Centrale del Senato ritenne, infatti, che ai motivi di illegittimità non si è aggiunto l'abuso di potere, e cioè l'esercizio illegale od ingiusto di una facoltà legittima, giacché evidentemente si compenetra nella violazione della legge o si risolve in un giudizio di estimazione; si è invece mantenuto, colla incompetenza e colla violazione di legge, l'eccesso di potere che rende radicalmente nullo il provvedimento per assoluta mancanza di facoltà di emanarlo.”
1
amministrativo adottato in violazione di legge o
viziato da eccesso di potere o da incompetenza”. Dalla lettura delle norme196 sopra indicate emerge
chiaramente come il legislatore nazionale (al
pari, a dire il vero, di quello comunitario in
tema di sviamento di potere), pur prevedendo che
l'atto amministrativo viziato da eccesso di
potere sia annullabile, non si sia occupato di
darne una definizione lasciando, quindi, alla
196 La locuzione “eccesso di potere” è stata utilizzata per la prima volta nella legge 31 marzo 1877, n. 371, recante “Norme sui conflitti di attribuzione”, nonché nella legge n. 5992 del 31 marzo 1889: in tali testi legislativi meno recenti l'espressione veniva utilizzata nel senso di straripamento di potere, ossia di incompetenza assoluta, ovvero di usurpazione del potere: così F. CARINGELLA, cit., pag. 1112. Per F. MODUGNO e M. MANETTI, voce Eccesso di potere amministrativo, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1989, pag. 1, l'art. 3 della legge n. 371/1877 attribuiva alla Cassazione di Roma la competenza a giudicare dei conflitti di giurisdizione positivi o negativi tra i Tribunali Ordinari e le giurisdizioni speciali, e della nullità delle sentenze di tali giurisdizioni per incompetenza o eccesso di potere; essa andava riferito, dunque, non all'atto amministrativo bensì alla decisione dei giudici speciali, e si risolveva nell'indicare la loro incompetenza assoluta. L'eccesso di potere era inteso quindi nel senso di “difetto di attribuzione” o di “straripamento di potere.” E.CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2005, 518, precisa che lo straripamento di poteri nel senso inteso dal legislatore dell'800' dava luogo a nullità dell'atto amministrativo e che la sua riconducibilità all'annullabilità è il frutto dell'influsso della figura francese del détournement de pouvoir. Nello stesso senso: V. CERULLI IRELLI, Principi del diritto amministrativo, 240, osserva come, in realtà, il legislatore del 1889 intendeva riferirsi a “un caso incompetenza particolarmente grave, di straripamento, cioè l'esercizio di un potere spettante ad un'Autorità totalmente diversa da quella che l'esercita (...) Insomma, il legislatore non intendeva affatto estendere il sindacato dell'organo di Giustizia Amministrativa ad elementi dell'atto e del procedimento diversi ed ulteriori rispetto a quelli concernenti la conformità alla legge: eccesso di potere, nell'idea del legislatore, esprimeva a sua volta una forma di violazione di legge”.
1
dottrina197 ed alla giurisprudenza198 di delimitare
i confini dell'istituto.
La perimetrazione del vizio di eccesso di
potere, peraltro, ha una sua peculiare
difficoltà insita tanto a) nella sua non facile
accertabilità quanto b) nella sua
funzionalizzazione a sindacare la
discrezionalità199 di cui gode di frequente la
Pubblica Amministrazione nell'esercizio dei suoi
poteri.
Quanto al primo profilo, occorre osservare
come, mentre la violazione di legge e
l'incompetenza sono facilmente riscontrabili
attraverso un confronto quasi testuale200 tra il
197 Particolarmente importante fu il contributo di A. CODACCI PISANELLI, dapprima nell'Eccesso di potere nel contenzioso amministrativo, in Giust. amm., 1893, I, e, poi, in Scritti di diritto pubblico, Città di Castello, 1900, 249. 198 Sul ruolo della giurisprudenza insistono particolarmente F. MODUGNO E M. MANETTI, cit., pagg. 1-2, i quali rammentano che fu la IV sez. del Consiglio di Stato, presieduta da Silvio Spaventa, nella celebre sentenza del 7 gennaio 1892 (in Giur. it., 1892, III, 114), ad adeguare l'interpretazione nostrana di eccesso di potere a quella del Conseil d'état, motivando che l'apprezzamento dei fatti posto alla base dello scioglimento di un'opera pia non conteneva nulla di illogico e di irrazionale o di contrario allo spirito della legge per riconoscere nel provvedimento medesimo un eccesso di potere. Gli Autori sopra citati osservano, altresì, l'importanza della successiva sentenza del 28 gennaio 1892 (in Giust. Amm., 1892, I, 54) con la quale si introdusse la nozione di falso scopo e, quindi, di sviamento di potere come vizio teleologico.199 R. VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 416 e ss. osservano come in Italia, come già in Francia, l'eccesso di potere sia diventato il mezzo per sindacare le scelte discrezionali della P.A. In realtà, quindi, dovrebbe precisarsi che l'eccesso di potere, stante la storia della sua introduzione normativa di cui si è dato brevemente conto, è stata una figura che ha vissuto un peculiare sviluppo in termini funzionali: nato per sindacare i casi di incompetenza gravi è divenuto lo strumento principale per sindacare la legittimità sostanziale dei provvedimenti amministrativi.200 Dello stesso avviso, F. CARINGELLA, cit., pag. 1111.
1
provvedimento impugnato e le leggi che
conferiscono (e regolamentano) il potere
all'Amministrazione agente, l'eccesso di potere
è un vizio cd. “sintomatico”, ossia accertabile
attraverso l'esistenza di fatti diversi e
ulteriori201 dalla testuale violazione di una
norma di legge.
Questi fatti che si sono definiti “diversi
e ulteriori” coincidono con una parte della
discrezionalità amministrativa il cui sindacato
è, per l'appunto, possibile tramite la censura
di eccesso di potere202.
In particolare, si ritiene che l'eccesso
di potere203 sia il tipico vizio di legittimità
della discrezionalità amministrativa204.
Quest'ultima afferisce, infatti, in parte
al merito dell'azione amministrativa e, in
altra parte, alla legittimità della stessa:
mentre il primo, come noto, è sottratto – di
regola – al sindacato del giudice
amministrativo, la seconda è oggetto di
201 V.CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002, 581, rileva come la volontà del legislatore del 1889 non fosse assolutamente rivolta a consentire il sindacato su questi elementi diversi ed ulteriori dell'atto, intendendo con eccesso di potere una figura grossomodo assimilabile all'odierna carenza di potere.202 V.CERULLI IRELLI, cit., 581, osserva come proprio attraverso il sindacato sull'eccesso di potere la giurisprudenza ha potuto costruire tutta la teorica della discrezionalità amministrativa.203 Lo sviluppo nella direzione descritta nel testo del vizio di eccesso di potere ha fatto sì che il suo originario significato, ossia quello di straripamento di potere, venisse ricondotto nell'ambito del vizio di incompetenza assoluta. Così R. VILLATA e M. RAMAJOLI cit., pagg. 416-417.204 R. VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 417, osservano che l'idea secondo la quale l'eccesso di potere sussiste solo in presenza di attività amministrativa discrezionale è affermazione da quasi tutti accettata in dottrina.
1
sindacato giurisdizionale laddove in specie sia
dedotta l'esistenza di un eccesso di potere.
Da quanto brevemente premesso, emerge la
delicatezza della figura dell'eccesso di
potere205, istituto di confine da decodificare
lungo la pericolosa e “sottile linea rossa”
intercorrente tra il merito e la legittimità
dell'azione amministrativa206.
In via di prima approssimazione, può dirsi
che gli ordinamenti più democraticamente maturi
tendono ad erodere l'area del merito
amministrativo a tutto vantaggio della
legittimità, così consentendo ai cittadini un
più ampio vaglio dell'Autorità Giudiziaria
sull'operato delle Pubbliche Amministrazioni.
Autorevole dottrina207 osserva come il
tentativo di limitare quanto più possibile il
sindacato giudiziario sull'eccesso di potere è,
di regola, tipico di regimi autoritari anche se,
in realtà, simili patologiche limitazioni del
sindacato giurisdizionale non sono del tutto
estranee ad ordinamenti liberali come il
nostro208.
205 E.CASETTA, cit., 350, osserva che “le regole che presiedono allo svolgimento della discrezionalità si evincono per così dire a contrario, in occasione della rilevazione della loro violazione che dà luogo al vizio di eccesso di potere e si riassumono nel principio di logicità-congruità: ciò significa che che la scelta deve risultare logica e congrua tenendo conto dell'interesse pubblico perseguito, degli interessi secondari coinvolti e della misura del sacrificio ad essi arrecato.”206 Cfr. A. AZZENA, Natura e limiti dell'eccesso di potere amministrativo, Collana delle pubblicazioni della facoltà di giurisprudenza dell'Universita' di Pisa, Milano, 1976, 329207 F. LEDDA, Variazioni sul tema dell'eccesso di potere, in Riv. di dir. pubbl., 2000, 447 ss.
1
Questa linea evolutiva è il portato
dell'elaborazione sempre più articolata della
figura dell'eccesso di potere, vero grimaldello
attraverso il quale si è agito per censurare
quelle illegittimità dell'agire amministrativo
celate dietro il paravento di un merito
amministrativo inteso, un tempo, in termini
eccessivamente ampi209.
Come si avrà modo di analizzare più
approfonditamente in seguito, peraltro, il primo
passaggio evolutivo in senso ampliativo del
concetto di eccesso di potere è stato
contrassegnato dall'assimilazione dello stesso
al détournement de pouvoir210 francese, operazione
208 F. LEDDA, cit., 451 ss. cita, a titolo di esempio, l'ultima modifica dell'art. 323 c.p. (art. 1 legge 16 luglio 1997, n. 234) in tema di abuso di ufficio, illegittima costituzionalmente – a suo dire – perché, nascondendo un'ipotesi di amnistia o indulto, violativa degli artt. 3, 24, 79, 97 e 113 della Costituzione; altrettanto esemplificativa di simili censurabili tentativi sarebbero costituiti dagli artt. 109 e 133 del nuovo testo della Costituzione partorito dalla “defunta” Bicamerale e dall'emendamento all'art. 4 (disegno di legge n. 2934) del medesimo testo dove si stabiliva: “sono inammissibili i ricorsi proposti contro atti di Autorità amministrative indipendenti che costituiscano il risultato di apprezzamenti tecnici, salvo che siano violati da incompetenza o violazione di legge.”209 F. LEDDA, cit., 449-450, sostiene che: “la difficoltà di distinguere il sindacato sull'eccesso di potere dal cd. sindacato di merito non comporta le difficoltà che solo per un difetto di ordine metodologico ci vengon prospettate dalla giurisprudenza; se si parte dall'idea della 'confutazione' e si riconosce finalmente che tutto in principio è confutabile, si giunge ad una conclusione molto chiara: che cioè attengono al cd. merito quelle determinazioni che nella sede propria del processo abbiano resistito alla confutazione della parte; la stessa idea può esprimersi dicendo che l'ambito del 'merito' può essere delimitato solo 'a posteriori', quando si venga a constatare, dopo la definizione del giudizio, che sono state disattese le censure proposte dalla parte ricorrente per 'falsificare', siccome illegittima, e quindi invalida, la determinazione espressa nell'atto.210 E' il caso di ricordare che il concetto nostrano di eccesso di potere è assimilabile al francese détournement de pouvoir e non al solo letteralmente simile excés de pouvoir: quest'ultimo termine, nell'ordinamento francese,
1
alla quale ha dato avvio una celebre sentenza
del Consiglio di Stato del 1892211.
Autorevole dottrina212, peraltro,
osserva che l'evoluzione giurisprudenziale
italiana del concetto di eccesso di potere ha
ben presto raggiunto una portata ben più ampia
rispetto a quella dell'omologo francese del
détournement de pouvoir. Al proposito, anzi, si
aggiunge che la svolta giurisprudenziale
italiana non solo non seguì la scia di quella
francese ma, addirittura, l'anticipò. In questo
senso si richiama il parere213 del 1879 (redatto
dal Consigliere Spaventa) della sezione
consultiva del Consiglio di Stato nel quale si
affermò il principio della sindacabilità della
vera e propria giustizia dei provvedimenti che è
condizione di ogni buona amministrazione.
è onnicomprensivo di tutti i vizi di legittimità, ossia oltre al détournement, la violazione di legge, l'incompetenza e il vizio di forma. 211 Si fa riferimento alla sentenza del 7 gennaio 1892 citata alla nota 102.212 R. VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 418, richiamando le considerazioni di non recente dottrina, osservano: “Se infatti nel caso del détournement de pouvoir, il sindacato del giudice amministrativo era volto a verificare che il potere discrezionale fosse stato esercitato in conformità al fine per il quale la legge concedeva tale potere, nel caso dello sviamento le prime decisioni in materia esprimevano una convinzione diversa, assimilando allo sviamento altre ipotesi, come quelle dell'illogicità e della irragionevolezza, che non trovano risconto nella figura del détournement de pouvoir.” 213 Il parere del 1879, in materia di ricorsi straordinari, tra l'altro, sosteneva che “sebbene ristretta letteralmente alla sola legittimità, non esclude, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, il riesame di quelle questioni sostanziali che si attengono alla vera giustizia dei provvedimenti che è la condizione di ogni buona amministrazione.”
1
Autorevole dottrina214, sulla stessa linea
di pensiero, osserva che lo sviamento di potere
inteso come “aspetto funzionale della violazione
di legge (violazione dello scopo della legge)
era già presente nell'esperienza giustiziale del
Consiglio di Stato prima della legge Crispi,
come abuso di potere, che evocava l'idea di (in)
giustizia sostanziale del provvedimento.
L'eliminazione della formula inizialmente
contenuta nel disegno di legge del riferimento
all'abuso di potere intendeva attuare una
nozione positiva di (il)legittimità del
provvedimento non corrispondente alla nozione di
(il)legittimità astrattamente ipotizzabile, già
appartenente alla sensibilità del Consiglio di
Stato che nell'attività consultiva sui ricorsi
al Re aveva fatto riferimento appunto all'idea
di giustizia intesa come legittimità
sostanziale.
Tornando ai giorni nostri, occorre
ribadire che tale maggiore accesso del
sindacato giurisdizionale sulla scelta
discrezionale della Pubblica Amministrazione non
può giustificare arbitrarie invasioni del potere
giurisdizionale nell'area ancora oggi
“riservata” all'Amministrazione, in conformità
con uno dei principi cardine su cui regge ogni
sistema imperniato sulla separazione dei poteri.
Di questa esigenza, peraltro, sì è fatta
carico la giurisprudenza amministrativa215 molto
214 F.G.SCOCA-M. D'ORSOGNA, L'invalidità del provvedimento amministrativo in Diritto amministrativo a cura di F.G.SCOCA, Torino, 2008, 309.215 Significativa in proposito è la recente elaborazione giurisprudenziale del Consiglio di Stato in
1
attenta a far sì che il suo giudizio non divenga
“sostitutivo” di quello riservato alla P.A.
confermando, in più occasioni, la distinzione –
concettualmente molto chiara - tra merito e
legittimità, precisando che, mentre il primo
attiene all'opportunità dell'azione
discrezionale ed è sindacabile attraverso i
criteri offerti dallo studio della scienza
dell'amministrazione, la seconda fa riferimento
a quei concetti giuridici che non si sostanziano
in prescrizioni puntuali ma in regole
indeterminate riconducibili ai principi di
logicità e congruità216 dei quali non può non
tenersi conto nell'esercizio dell'attività
discrezionale217.
Varie sono le definizioni che la dottrina
ha utilizzato per descrivere il vizio di eccesso
di potere: secondo alcuni esso costituisce un
cattivo uso del potere da parte della P.A.;
altri ritengono che sia integrato dall'insieme
delle violazioni di quei limiti interni
(interesse pubblico, causa del potere
esercitato, osservanza dei precetti di logica e
di imparzialità) della discrezionalità
amministrativa, che, pur non essendo consacrati
in norme positive, sono inerenti alla natura
stessa del potere esercitato; per altri218
l'eccesso di potere si può definire come il
vizio concernente l'esercizio del potere
materia di discrezionalità tecnica: si veda la sentenza della VI sezione n. 2334/2002.216 Consiglio di Stato, sez. VI, 1 aprile 2000, n. 1885. Nello stesso senso, in dottrina, E.CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2005, 518.217 In quest'ottica per E.CASETTA, cit., 518, l'eccesso di potere è il risvolto patologico della discrezionalità.218 V.CERULLI IRELLI, cit., 582.
1
discrezionale diventando, così, la figura
nell'ambito della quale ricadono tutti i casi in
cui l'Autorità amministrativa non abbia “bene
esercitato” il potere discrezionale, nei limiti
in cui ciò possa essere ascritto all'ambito
della legittimità219; per altri, infine, comprende
i vizi attinenti al contenuto dell'atto e
riguarda i rapporti tra la direzione della
volontà espressa dall'autorità amministrativa e
lo scopo che con l'atto si vuole raggiungere220.
Quest'ultima definizione sembra
particolarmente aderente a quella che, secondo
la tesi prevalente, è solo una delle ipotesi di
eccesso di potere ossia allo sviamento di
potere221 che ricorre quando la Pubblica
219 V.CERULLI IRELLI, cit., 588, riconduce l'eccesso di potere ad una serie di stati viziati riconducibili a tre casi:- il primo è quello classico dello sviamento di potere;- il secondo nel quale sono comprese le cd. figure sintomatiche è espressione del vizio di irragionevolezza;- il terzo fa riferimento a vizi discendenti da regole o pricipii violati a contenuto sostanziale (es. erroneità e travisamento dei fatti, vizio di incompleta istruttoria, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta).220 F. CARINGELLA, cit., pag. 1112.221 V.CERULLI IRELLI, cit., 583, rileva come la prima forma nella quale si manifesta l'eccesso di potere è lo sviamento di potere coincidente con il détournement francese e lo sviamento di potere di diritto comunitario.Deve precisarsi, tuttavia, che la stessa evoluzione del concetto di eccesso di potere nasce dalla volontà di accertare concretamente ipotesi di sviamento di potere. VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 421-422, affermano, al proposito, che “non bisogna dimenticare che lo schema dello sviamento del fine amministrativo rispetto allo schema normativo è troppo semplice, quasi semplicistico, di fronte ad una realtà complessa che impedisce di individuare con precisione ed immediatezza quale sia l'interesse pubblico primario che l'amministrazione è chiamata a perseguire.” Partendo da questa considerazione, dunque, la giurisprudenza ha elaborato le figure sintomatiche che, allontanandosi dal concetto di sviamento di potere originario, hanno dato luogo all'attuale figura dell'eccesso di potere, ben più ampia, quindi, dello sviamento di potere.
1
Amministrazione utilizza il proprio potere
discrezionale per interessi e finalità
differenti (ad esempio, personali, e cioè
facenti capo al soggetto agente, o politici, o
anche pubblicistici222) da quelli per il quale
tale potere le era stato conferito, ovvero
quando, pur perseguendo comunque l'interesse
pubblico, utilizza a tal fine un potere diverso
da quello previsto dalla legge. In altri
termini, pur comportandosi nelle forme stabilite
dalla norma giuridica, la Pubblica
Amministrazione ne viola lo spirito, operando in
difformità rispetto al motivo223 che determina
l'attribuzione specifica di quella data
funzione224.
Il riferimento ai “motivi” stimola il
collegamento con la tesi225 226 secondo la quale
l'eccesso di potere costituisce il tipico vizio
derivante dalla mancanza di imparzialità
nell'attività amministrativa, che emerge dalla
valutazione dei motivi espliciti o impliciti.
Essi vengono considerati, infatti, o come
elementi circostanziali esterni, ma
determinanti, del provvedimento (i cd. interessi
pubblici da soddisfare), ovvero come elementi
essenziali del provvedimento, o come momenti
222 Consiglio di Stato, sez. VI, 20 febbraio 1998, n. 188; sez. VI, 8 luglio 1998, n. 1037.223 F. MODUGNO e M. MANETTI, cit., pagg. 1-2, osservano che, per verificare la corrispondenza tra scopo concreto perseguito e fine astratto prefissato, è necessario indagare i motivi per i quali il provvedimento è stato adottato.224 Così, testualmente, F. CARINGELLA, cit., pag. 1113.225 M.S.GIANNINI, Il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, Milano, 1939, 185.226 M.S.GIANNINI, La giustizia amministrativa, Roma, 1963.
1
della volontà e della causa giuridicamente
rilevanti227.
La rilevanza dei motivi nella definizione
astratta della figura dell'eccesso di potere ha
il suo pendant concreto nel particolare rapporto
che, per lungo tempo ha legato la figura de qua
alla motivazione dell'atto amministrativo.
Per molto tempo, infatti, si è ricondotto
all'eccesso di potere e non alla violazione di
legge la stessa totale mancanza di motivazione:
si diceva che l'assenza di qualsiasi apparato
normativo, eludendo il controllo tra fine
prefissato dalla norma e fine perseguito
concretamente con l'atto emanato, configurasse
227 Occorre dar conto delle altre tesi per le quali la figura dell'eccesso di potere ad un vizio della volontà (C. MORTATI, La volontà e la causa nell'atto amministrativo e nella legge, Torino, 1935; ZANOBINI G., Corso di diritto amministrativo, I, VIII ed., Milano, 1958 e, in giurisprudenza, Cass. SS.UU. 4 dicembre 1971, n.3519) o ad un vizio della causa (F. CAMMEO, La violazione delle circolari come vizio di eccesso di potere, in Giur. it., 1920, III, 1; P.BODDA, La nozione di “causa giuridica” della manifestazione di volontà nel diritto amministrativo, Torino, 1933.) o, ancora, ad un vizio della funzione. Alla tesi dell'eccesso di potere come vizio della volontà che vede, in coerenza con la disciplina civilistica del contratto, emergere l'importanza delle figure dell'errore, della violenza e del dolo si è replicato, in chiave critica, che la tesi della riconducibilità dell'eccesso di potere come un vizio della volontà finisce con il far coincidere eccesso di potere e violazione di legge. Infatti, la volontà, per i sostenitori della tesi che si critica, è elemento essenziale dell'atto per cui un suo vizio, comportante una deviazione dell'atto emanato dallo schema legale, si traduce in una violazione di legge (Così: F. MODUGNO E M. MANETTI, cit., pag. 4). Identica e decisiva critica viene mossa alla tesi dell'eccesso di potere come vizio della causa. VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 427, rilevano che le tesi dell'eccesso di potere come vizio della volontà, della causa o dei motivi, di evidente derivazione pandettistica, non hanno mai avuto presa sulla giurisprudenza.
1
di per sé stessa un'ipotesi di eccesso di
potere228.
In una seconda fase, è stato altresì
ricondotto all'eccesso di potere prima il
difetto o l'insufficienza della motivazione229 e,
in seguito, l'illogicità e la contraddittorietà
della motivazione.
In una fase di ulteriore raffinamento del
proprio sindacato sulla motivazione degli atti
impugnati, il giudice amministrativo ha iniziato
ad utilizzare i propri ampi poteri istruttori
per trarre a diretto oggetto di indagine
l'effettiva esistenza dei motivi che sono a base
del provvedimento, e che possono risultare o non
dalla motivazione.
Questo passaggio ha consentito un
ampliamento notevolissimo della sfera del
sindacato sull'eccesso di potere e nel più
rilevante sviluppo del principio di legalità
sostanziale dell'attività amministrativa: sono
emerse, così, le altre figure sintomatiche di
elaborazione giurisprudenziale, ossia
l'illogicità (manifesta irrazionalità) del
provvedimento, la contraddittorietà tra
provvedimenti relativi ad una medesima
fattispecie, la disparità di trattamento, la
manifesta ingiustizia, la violazione di
circolari o prassi, l'errore (materiale) o il
228 M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, I-II, Milano, 1970.229 L'erroneità dei motivi, invece, integrava violazione di legge: F. MODUGNO E M. MANETTI, cit., pag. 2.
1
travisamento (errore di apprezzamento) dei
fatti230.
Tutte queste situazioni patologiche sono,
in fondo, riconducibili ad un'inesatta o viziata
ponderazione degli interessi, e quindi ad un
vizio dei motivi che non si rileva operando un
raffronto tra i singoli elementi dell'atto e lo
schema normativo, ma si induce da difettosità di
ordine logico o di ordine positivo, relative,
queste ultime, alla disciplina generale della
funzione amministrativa.
Si è osservato231 che la più recente
evoluzione del concetto di eccesso di potere,
prescindendo il più delle volte dal rilievo
specifico dell'inesistenza o dell'erronea
valutazione del motivo primario (che corrisponde
all'interesse pubblico in vista del quale è
attribuito il potere), lo ha ricondotto in un
ambito più ampio definibile quale vizio della
funzione232 dal quale si differenzia, quale unico
e vero vizio dei motivi, lo sviamento di potere,
ossia la valutazione dell'interesse pubblico
primario determinata da motivi secondari
inesistenti, falsi o a loro volta palesemente
mal valutati.
Quindi:
Vizio dei motivi Vizio della funzione
230 G. SACCHI MORSIANI, Eccesso di potere amministrativo, in Nuovissimo Digesto italiano, Appendice, III, Torino, 1982, 219.231 F. MODUGNO e M. MANETTI, cit., pag. 5.232 F.BENVENUTI, Eccesso di potere per vizio della funzione, in Rass. Dir. Pubbl., 1950, 1 ss.
1
SVIAMENTO DI POTEREECCESSO DI POTERE – SVIAMENTO DI
POTERE
Tutte le situazioni sintomatiche vengono
considerate autonomi e specifici vizi di
legittimità dell'azione amministrativa, intesa
come l'attività nel suo farsi, allorché l'agire
della P.A. non è ancora atto, ma è già più che
mera attività, o astratta possibilità di agire.
Una dottrina233 recente ha ripreso l'interessantissima
tripartizione delle figure sintomatiche che si è proceduto a schematizzare
utilizzando una semplice tabella:
Manifesta illogicità e contraddittorietà fra motivazione e
dispositivo
Violazione di norme interne, di
circolari, immotivata contraddittorietà tra
provvedimenti succedutisi nel
tempo, deviazione da prassi consolidata
Manifesta ingiustizia, disparità di
trattamento, difetto di obbiettività
VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI
RAGIONEVOLEZZA
VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI
ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA TRA I
QUALI RIENTRANO QUELLO DI LEALTA',
VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI
GIUSTIZIA SOSTANZIALE
233 F. MODUGNO e M. MANETTI, cit., pag. 5.
1
CORRETTEZZA E BUONA FEDE
Artt. 3 e 97 Cost. Artt. 3 e 97 Cost. Artt. 3 e 97 Cost.
La conseguenza più importante che si trae
dall'adesione alla tesi dell'eccesso di potere
quale vizio della funzione234 si apprezza sul lato
processuale dove si ravvisa un ampliamento
dell'accertamento giudiziario-amministrativo:
dal puro e semplice accertamento sull'atto, il
giudizio amministrativo, sub specie di sindacato
del vizio di eccesso di potere, si estende al
rapporto che dall'atto stesso è costituito o su
cui esso incide235.
Altra importante conseguenza è, infine,
ravvisata nel carattere “aperto”236 del vizio di
eccesso di potere idoneo ad inglobare nuove e
diverse situazioni patologiche da elaborare in
futuro valorizzando, in particolare, il
234 VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 430, ritengono che la conseguenza più importante delle teoria dell'eccesso di potere come vizio della funzione è quella di fornire una base teorica forte al sindacato di tipo sostanziale da parte del Giudice. Gli Autori (pag. 431) osservano, poi, come tale teoria rappresenti lo strumento più raffinato del passaggio dal principio di legalità formale al principio di legittimità sostanziale, o, in altri termini, dal controllo formale al controllo sostanziale del provvedimento.235 F. MODUGNO e M. MANETTI, cit., pag. 5-6.236 Sul punto VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pag. 430,rilevano come dottrina e giurisprudenza possono collaborare al fine di consentire l'emersione, l'individuazione e la precisazione di metri generali dell'azione amministrativa discrezionale. F. LEDDA, cit., 439, ritiene che “ai fini della pratica applicazione, nell'elenco dei casi di sviamento dovrebbe ravvisarsi una sorta di repertorio aperto, suscettibile di essere arricchito di continuo con l'affiorare di nuovi casi nella esperienza dei giudizi.”
1
principio237 di buon andamento o di buona
amministrazione.
Recentissima dottrina238 sottolinea che
l'eccesso di potere e la teorica delle figure
sintomatiche sta conoscendo negli ultimi anni
un'ulteriore evoluzione che è riconducibile a
due linee ricostruttive.
In primo luogo è mutata la stessa
interpretazione di alcune figure sintomatiche,
in particolare della violazione di circolari e
della disparità di trattamento. In entrambi i
casi si è ritenuto che l'accertamento della
violazione di una circolare così come il
contrasto del provvedimento impugnato con
precedente provvedimento non sono sufficienti ad
integrare la figura dell'eccesso di potere.
Infatti, è maturata la convinzione – in
relazione alla violazione di circolari - che
occorra raffrontare il provvedimento
direttamente con la norma di legge (o altra
fonte) che lo riguardano, rispetto alle quali la
circolare è solo un mezzo di illustrazione e –
in relazione alla disparità di trattamento – che
il mero contrasto tra un provvedimento ed un
altro precedente non comporta necessariamente
l'invalidità del secondo sotto forma di eccesso
di potere ben potendo, infatti, essere
illegittimo il primo.
237 F.G.SCOCA-M. D'ORSOGNA, cit., 311, osservano come i principi sull'attività amministrativa siano in continuo aumento e riguardano sia il procedimento sia la decisione.238 F.G.SCOCA-M. D'ORSOGNA, cit., 308 ss.
1
In sostanza, l'indagine giurisprudenziale
si è concentrata su aspetti sostanziali
allontanandosi da sindacati meramente formali.
Al proposito si osserva che oltre al
ridimensionamento delle figure sintomatiche, va
sottolineato il “mutamento di natura
dell'eccesso di potere che, da vizio ad
accertamento sintomatico, si è andato
trasformando, sulla scorta di quello che già il
Consiglio di Stato francese aveva affermato da
molti anni, in violazione di principi generali,
norme a largo spettro, di origine
giurisprudenziale239.
Emerge cioè non più come vizio a
cognizione indiretta, ossia la cui conoscenza si
può raggiungere soltanto attraverso sintomi, ma
viceversa attraverso un ragionamento analogo
strutturalmente alla violazione di legge.”240
Sotto un secondo aspetto, si rimarca che
l'eccesso di potere è una figura composita
all'interno della quale occorrerebbe distinguere
le illegittimità ricavabili dalla presenza delle
figure sintomatiche e quelle a cognizione
null'affatto sintomatica che avrebbero dovuto
già da tempo trovare uno spazio autonomo nella
sistemazione dei vizi provvedimentali, tra cui
in primo luogo lo sviamento di potere e,
secondariamente, il travisamento dei fatti241.
239 Così, anche, PAOLANTONIO, Il sindacato di legittimità sul processo amministrativo, Padova, 2000
240 F.G.SCOCA-M. D'ORSOGNA, cit., 311.241 Per chiarimenti sul punto, si rimanda a F.G.SCOCA-M. D'ORSOGNA, cit., 312-313.
1
Il ripetuto riferimento all'inesatta o
viziata ponderazione degli interessi richiama il
concetto di discrezionalità amministrativa di
cui occorre, sia pur in conclusione, dare una
sia pur brevissima definizione. La
discrezionalità amministrativa242 è la facoltà di
scelta tra più comportamenti giuridicamente
leciti per il soddisfacimento dell'interesse
pubblico e per il perseguimento di un fine
rispondente alla causa del potere esercitato243;
o, secondo la definizione gianniniana244 la
ponderazione comparativa dell'interesse pubblico
primario con gli interessi secondari in modo che
il fine primario venga conseguito con il minor
sacrificio possibile degli interessi
contrapposti (principio del minimo mezzo).
IV. II. Brevissimi cenni sull'eccesso di potere negli ordinamenti dei Paesi Europei
Da quanto esposto, senza alcuna pretesa di
esaustività, può dedursi che negli ordinamenti
europei non esiste un principio di
insindacabilità delle scelte discrezionali della
242 M. DENDIAS, Contribution à la notion du pouvoir discretionnaire et du détournement de pouvoir, in Festschrift di RUDOLF LAUN, Gottingen, 1962, 92: “Le pouvoir discrétionnaire consiste dans une liberté, accordée à l'executif, d'agir soit sur le domaine législatif formel ou matériel, soit sur le domaine de l'application ou exécution, au sens strict de ce mot, de la loi.”.243 È LA CLASSica definizione offerta da VIRGA, Il provvedimento amministrativo, Milano, 1979.244 M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, Milano, 1939, 72 ss; ID., Diritto amministrativo, Milano, 1988, II, 483 ss.
1
P.A. Esiste, invece, un'elaborazione comune245,
più o meno sviluppata, volta a garantire un
sindacato sulla “giustizia sostanziale” delle
scelte discrezionali degli apparati
amministrativi. E' questo, anzi, l'elemento di
comunanza tra i più importanti ordinamenti del
Vecchio Continente: il provvedimento
amministrativo non deve essere solo rispettoso
del dettato letterale della norma attributiva
del potere; esso deve essere anche giusto, ossia
ragionevole e proporzionato al fine attribuito
al potere.
Tentando, quindi, una prima sintesi delle
linee comuni del sindacato della discrezionalità
dell'attività amministrativa nei Paesi europei
può dirsi che esso si fonda sui principi di
ragionevolezza e di proporzionalità una cui
analisi, a questo punto, si impone, anche al
fine di verificarne una loro applicazione, o una
loro trasferibilità, nell'ambito del diritto
comunitario.
IV.III. Lo sviamento di potere in ambito comunitario consente un sindacato di minor estensione ed intensità rispetto sulla discrezionalità amministrativa rispetto all'eccesso di potere nazionale?
245 Per F. LEDDA, Variazioni sul tema dell'eccesso di potere, in Riv. di dir. pubbl., 2000, 433 ss., le differenze riscontrabili tra i vari ordinamenti sono poco più che nominali e la figura dell'eccesso di potere trova riscontri assai significativi negli ordinamenti simili al nostro, come quelli francese, belga, spagnolo, britannico, tedesco e austriaco.
1
Delineati i contorni del vizio
comunitario dello sviamento di potere,
esaminate le figure affini nazionali, occorre
rilevare, con particolare riferimento al
confronto con la figura italiana dell'eccesso
di potere, che lo sviamento di potere
rappresenta l'omologo comunitario di uno solo
dei molteplici casi di eccesso di potere
conosciuti nell'ordinamento italiano, anche
se con questo presenta notevoli affinità,
prima fra tutte il fatto che attraverso di
essi si perviene ad un sindacato di
legittimità dell'area afferente alla
discrezionalità amministrativa.
Ciò premesso, lo sviamento di potere,
tanto nella giurisprudenza nazionale quanto
in quella comunitaria, è una censura che
difficilmente trova accoglimento nelle
sentenze .
Occorre dare, pertanto, una risposta al
quesito se la particolare configurazione
dello sviamento di potere comporta a livello
comunitario un vuoto di tutela in merito al
sindacato della discrezionalità delle
Istituzioni comunitarie. Tale domanda
nasconde, in fondo, una preoccupazione
fondata sull'esperienza storica di molti
degli Stati membri dell'Unione Europea;
ossia, alle origini, essi hanno vissuto delle
fasi in cui il sindacato giurisdizionale
1
sulla discrezionalità amministrativa era
particolarmente limitato.
Dunque, la relativa gioventù delle
Istituzioni comunitarie legittima il dubbio,
dal quale ha tratto impulso questa ricerca,
che gli organi giurisdizionali europei
abbiano avuto a disposizione minori mezzi per
sindacare quell'area delicatissima
dell'esercizio dell'attività amministrativa
che è contraddistinta dal concetto di
discrezionalità.
In modo rassicurante, tuttavia, a tale
interrogativo deve darsi – in linea di
principio – una risposta negativa. Ossia, le
Corti europee hanno ampi margini per
sindacare – dal punto di vista della
legittimità – le scelte discrezionali delle
Istituzioni comunitarie.
Come si è visto, d'altronde, i vizi di
legittimità sindacabili dalle Corti europee
ricalcano le figure previste nel diritto
amministrativo francese che, come noto, è
dotato di un sistema di giustizia
amministrativa particolarmente evoluto.
Pertanto, deve concludersi, come
osservato dalla pressocchè unanime dottrina,
che moltissimi casi di eccesso di potere
nazionale ed in genere il sindacato sulla
discrezionalità amministrativa delle
Istituzioni comunitarie avviene a mezzo delle
ouvertures costituite dalle violazioni del
trattato o dei principi comunitari.
1
Si tenterà, quindi, nel prosieguo,
un'analisi dettagliata soprattutto dei
principi comunitari al fine di verificare se
il loro elenco sia sufficiente a far ritenere
che la tutela dei cittadini comunitari
avverso le scelte discrezionali illegittime
delle Istituzioni comunitarie sia adeguata.
Laddove ciò sia accertato, sarà
interessante verificare se, in senso inverso,
l'elencazione dei principi comunitari abbia
indotto le Corti nazionali ad ampliare l'area
del proprio sindacato sulle scelte
discrezionali delle rispettive
amministrazioni.
Si pensi che, del resto,
nell'ordinamento italiano, in maniera
altamente simbolica, l'art. 1 comma 1 della
legge n. 241/1990 recita: “L’attività
amministrativa persegue i fini determinati dalla
legge ed è retta da criteri di economicità, di
efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di
trasparenza secondo le modalità previste dalla
presente legge e dalle altre disposizioni che
disciplinano singoli procedimenti, nonché dai
principi dell’ordinamento comunitario.”
IV.IV I principi generali dell'ordinamento comunitario246
246 JURGEN SCHWARZE, Les source et principes du droit administratif européen, in Droit Administratif européen, Bruxelles 2007, 321 e ss.
1
Occorre premettere che fonti del
diritto amministrativo dell'Unione Europea
sono il diritto scritto, il diritto
consuetudinario, i principi generali di
diritto e principi giurisprudenziali.
Del resto, alle origini, il diritto
scritto, tanto quello primario quanto quello
derivato, al pari di quello consuetudinario
erano assolutamente carenti, occupandosi
dell'azione amministrativa solo in sporadiche
disposizioni.
E' merito della Corte di Giustizia,
allora, se, forzando non poco le attribuzioni
conferite, ha utilizzato quale principi
regolatori in materia “les principes généraux
communs aux droits des Etats membres”.
La Corte ha in sostanza avviato uno
studio comparatistico dei diritti
amministrativi nazionali che non aveva
conosciuto, in precedenza, grande sviluppo
essendo, invece, gli studi comparatistici –
per ovvie ragioni – particolarmente
approfonditi nel campo del diritto civile e
del diritto commerciale.
Fin dal debutto della sua
giurisprudenza, e precisamente sin dalla
celebre sentenza Algera del 1957, si è
trovata a dover gestire attività
amministrative non normate; in
quell'occasione si trattava di un atto di
ritiro in alcun modo regolamentato dal
Trattato e dal diritto derivato.
1
Sin da quel momento la Corte ha creato
un vasto complesso di norme giuridiche,
portato delle analisi comparatistiche, che
hanno governato l'azione amministrativa
comunitaria.
Un ruolo non secondario, nella
ricostruzione di questi principi, è stato
peraltro svolto dalla Convenzione dei diritti
dell'uomo e delle sue libertà fondamentali.
Si è osservato247, pertanto, che
l'influsso dei singoli diritti nazionali è
particolarmente evidente nell'evoluzione
dell'elaborazione giurisprudenziale. Basti
pensare alla derivazione francese dei vizi
dell'attività amministrativa, all'influenza
tedesca nell'affermazione del principio di
proporzionalità, al condizionamento
proveniente dai Paesi scandinavi in ordine al
diritto di accesso e alla trasparenza in
genere, all'introduzione del principio del
diritto di “essere ascoltati” di derivazione
britannica.
In particolare hanno ottenuto il rango
di principio generale:
il principio di legalità degli atti
amministrativi;
il principio di uguaglianza;
il principio di proporzionalità;
il principio di certezza giuridica;
247 J. SCHWARZE, cit., 326.
1
il principio del legittimo
affidamento;
il principio di responsabilità;
il diritto di azione
giurisdizionale;
il diritto di difesa;
il diritto di accesso agli atti;
il principio di motivazione degli
atti giuridici:
il diritto alla riservatezza nella
corrispondenza tra avvocati e clienti;
il diritto ad una ragionevole
durata del procedimento amministrativo.
Si è acutamente evidenziato248 che
l'individuazione di questi principi generali
è tratta dall'analisi comparatistica dei
diritti amministrativi nazionali; tuttavia,
una volta acquisito all'ordinamento
comunitario un principio generale esso evolve
in maniera del tutto nuova ed originale, in
coerenza con l'originalità dell'ordinamento
comunitario, per poi tornare nelle
applicazioni nazionali sotto forma di uno
sviluppo del principio originario.
Emblematico, al proposito, è lo sviluppo
del principio – di derivazione tedesca – di
248 J.SCWARZE, cit. 327.
1
proporzionalità. Nella versione
comunitaria249, esso si è arricchito di alcune
puntualizzazioni, ossia l'appropriatezza e la
necessarietà dei sacrifici imposti agli
amministrati in considerazione degli
obiettivi legalmente posti, rimanendo inteso,
pertanto, che tra più misure appropriate è
necessario scegliere quella che meno comporti
sacrifici per l'amministrato.
Questo principio, poi, era sconosciuto
agli ordinamenti britannico e italiano che ne
hanno assorbito i portati in quel
procedimento di scambio tra gli ordinamenti
che quest'operazione ha favorito.
In termini generali, occorre segnalare
che tali principi generali non sono
codificati e, probabilmente, manca una
volontà politica in tal senso: ciò tuttavia
consente al diritto amministrativo europeo di
mantenere un carattere flessibile e dinamico.
Qualche cenno alla codificazione di
singoli principi è, invece, riscontrabile nel
campo del diritto derivato, in quello della
concorrenza e dell'ambiente tra gli altri.
Nonostante da più parti si sia
sollecitata, specie con l'allargamento a
nuovi Stati ed ordinamenti dell'Unione
Europea, la necessità di una codificazione
dei principi dell'attività amministrativa,
tale processo non appare a breve scadenza
249 Corte di Giustizia causa C-265/87 Schrader c. Hauptzollamt Gronau, Racc., 1989, 2237 e ss.
1
realizzabile. Del resto, anche nei singoli
Stati membri, una simile codificazione è
tardata ad arrivare: basti pensare che
nell'ordinamento italiano la legge generale
sul procedimento amministrativo è stata
emanata solo nel 1990.
IV. V. Il principio di proporzionalità250
Di derivazione tedesca251, esso si
applica tanto all'attività normativa quanto a
quella amministrativa delle Istituzioni
comunitarie, anche se è evidente che il suo
campo elettivo, in termini pratici, è
costituito dall'attività amministrativa.
Nel diritto tedesco, il principio di
proporzionalità è il risultato dell'unione di
tre elementi diversi: a) l'adeguatezza
(apothekenurteil); b) la necessità
(geeignetheit); c) la proporzionalità in
senso stretto (verhaltnismaBigkeit im engeren
Sinne) della decisione, dove, in particolare,
la necessità comporta che il mezzo adoperato
sia necessario per l'ottenimento del
risultato oltre che nessun altro mezzo sia
utilizzabile garantendo un minor sacrificio
per l'amministrato; laddove, infine, la
250 DIANA-URANIA GALETTA, Le principe de proportionnalité, in Droit Administratif, cit., 357 E SS.251 E' significativa l'espressione tedesca (FLEINER, Istitutionen Des Deutchen Verwaltungsrecht, Tubingen, 1928, 404) utilizzata per spiegare la ratio del principio: “darf die polizei mit kanonen auf spatzen schiessen?”. Ossia, sparare ai passeri con un cannone costituisce un'azione palesemente eccessiva rispetto ai fini perseguiti.
1
proporzionalità in senso stretto implica che
il mezzo ed il fine siano tra loro ben
proporzionati.
Il principio in parola ha trovato
nell'ordinamento tedesco grande risalto nelle
applicazioni giurisprudenziali laddove si
rinvengono i leading cases Luth e
Apothekenurteil.
Nel primo si era posto il problema di
bilanciare il diritto alla manifestazione del
pensiero, volto nel caso concreto a
contestare vivacemente un'opera
cinematografica avente risvolti antisemiti,
con il diritto di sfruttamento commerciale
dell'attività cinematografica. Nel caso
concreto il conflitto fu risolto a favore del
primo diritto.
Nel secondo, invece, si discuteva del
conflitto, ben noto anche di recente nella
nostra casistica giurisprudenziale, tra chi
già aveva una farmacia e chi intendeva aprire
una nuova attività nel settore.
Il principio in parola è poi transitato
nelle fonti normative e, puntualmente, nella
legge federale sul processo amministrativo
del 1960 ed in quella federale sul
procedimento amministrativo del 1976.
Appare assolutamente prevalente, infine,
la tesi che il principio in parola sia
costituzionalizzato negli artt. 2 comma I,
1
attinente alla libertà) e 14 (attinente alla
proprietà).
Mentre nel diritto tedesco252
l'applicazione del principio di
proporzionalità è strettamente connessa al
settore dei diritti inviolabili dell'uomo,
nel diritto comunitario esso ha
un'applicazione generalizzata.
Tuttavia, anche nel diritto comunitario
può essere individuato un suo campo elettivo
e tale è il settore delle sanzioni
nell'ambito delle varie politiche
comunitarie.
La Corte253 ha significativamente
affermato che “le principe de
proportionnalité est un principe fondamental
du droit communautaire dont la Cour doit
assurer le respect”.252 Mentre il principio di proporzionalità non è sconosciuto al diritto francese laddove il leading case è individuato nel processo Ville Nouvelle est del 1971, la dottrina prevalente (Wade HWR-Forsyth CR, Administrative law, 7a ed., Clarendon Press, Oxford 1994, 387-388) dubita fortemente dell'esistenza nell'ordinamento inglese (laddove il principio più affine, benché più ristretto, è quello di reasonableness) del principio di proporzionalità essendo stato escluso nel leading case Brind. La preoccupazione prevalente rinvenibile nella dottrina inglese è quella di consentire attraverso il sindacato di proporzionalità un sindacato di merito. Peraltro, tale atteggiamento “conservatore” ha dovuto fare i conti con le materie di competenza “ripartita” con il diritto comunitario la cui primazia, riconosciuta anche dall'ordinamento inglese, comporta l'applicazione del principio di proporzionalità. In ultima analisi, nel Regno Unito appaiono identificarsi due macroaree, una attratta sotto l'influsso del diritto comunitario nella quale non può disconoscersi l'importanza del principio di proporzionalità e un'altra, rinvenibile nelle materie non attratte alla competenza o all'influsso comunitario, nella quale il principio viene, almeno formalmente, disconosciuto.253 Corte di Giustizia 26 novembre 1985, Miro, 182/84, Racc., pag. 3731, punto 14.
1
Allo stato attuale il principio di
proporzionalità in diritto comunitario si
impone sia a) quale parametro d'azione in
quanto principio generale affermato dalla
Corte di Giustizia, sia b) quale parametro
specifico di azione delle Istituzioni
comunitarie.
In sostanza, il principio di
proporzionalità ha una funzione tanto quale
strumento di interpretazione del contenuto
dei precetti normativi, tanto come parametro
di valutazione del contenuto delle decisioni
comunitarie.
Ma, ed è questa la sua funzione più
tipica, esso costituisce un principio
preordinato allo stesso legislatore (oramai
anche nel campo nazionale se si osservano i
limiti imposti alle operazioni di
trasposizione delle direttive europee254), in
quanto operante a livello costituzionale, che
condizione l'emanazione degli atti comunitari
di secondo livello.
IV.V.I Elementi costitutivi del principio di proporzionalità di diritto comunitario
Si è generalmente concordi nel ritenere
che elementi costitutivi del principio di
254 Corte di Giustizia CE, 17 dicembre 1998, n.c. 2/97.
1
proporzionalità siano a) l'idoneità, b) la
necessarietà e c)l'adeguatezza (o
proporzionalità in senso stretto).
L'idoneità è comunemente intesa come
l'effettività, ossia come l'idoneità
dell'atto, così come immaginato e realizzato
a raggiungere gli obiettivi che si propone.
Tale giudizio, peraltro, ricalca la nota
valutazione della “prognosi postuma”,
dovendosi verificare l'idoneità dell'atto in
considerazione delle conoscenze e delle
situazioni presenti al momenti della sua
emanazione.
La necessarietà presuppone poi il
concetto di “funzione” ed il rapporto tra
potere e situazioni giuridiche altrui. In
ultima analisi, presuppone e regolamenta il
rapporto tra potere-esercizio dello stesso e
posizione degli amministrati.
Pertanto, la necessarietà si risolve nel
l'esigenza che l'atto, comportando la
compressione di diritti o interessi altrui,
sia necessario per il perseguimento
dell'interesse pubblico.
L'adeguatezza esprime, infine, la
necessità della scelta del mezzo meno gravoso
ossia della ricerca del minor sacrificio
possibile. Essa, ovviamente, presuppone la
possibilità di scelta tra più soluzione
alternative.
1
Non pare eccessivo definire
l'adeguatezza come il fulcro del principio di
proporzionalità in quanto in questa si
condensano tutti gli aspetti dello stesso
che, spesso, sono multidisciplinari. Gli
studiosi più attenti del principio di
proporzionalità hanno infatti rimarcato il
suo ruolo di punto di incontro di diverse
scienze e, in particolare, di quelle sociali,
matematiche, economiche e filosofiche.
Pur ribadendosi l'impossibilità in
questa sede di sviscerare compiutamente tutti
i presupposti di un simile convincimento, non
può che evidenziarsi che il principio di cui
si discute comporta, tra l'altro, un'analisi
(economica) del rapporto costi-benefici, una
(prettamente sociologica) della proporzione
tra vantaggi e svantaggi ed una (filosofica
giuridica) del perseguimento dei fini di
necessità, ragione e giustizia. In termini
matematici, infine, la somma algebrica tra
vantaggi svantaggi deve condurre al risultato
più elevato, poiché quello consentirà di
individuare la soluzione che massimizza gli
effetti dell'azione amministrativa.
In sintesi, il provvedimento
amministrativo rispettoso del principio di
proporzionalità deve individuare, quale
regola del caso concreto, quella capace di
garantire il miglior equilibrio tra i diversi
interessi compresenti.
1
La giurisprudenza comunitaria255,
peraltro, appare cogliere con maggior
sensibilità, riprendendo la tripartizione di
derivazione tedesca, l'aspetto della
necessità e dell'adeguatezza.
In particolare, nell'interessante
sentenza Placanica256 ha avuto modi di
precisare che le restrizioni imposte – nel
caso di specie – devono essere necessarie a
garantire la realizzazione dell'obiettivo (o
degli obiettivi) invocato dagli Stati membri
e non devono in alcun modo oltrepassare
quanto necessario per la sua realizzazione.
Si è osservato257 d'altro canto, che non
è facile ricostruire parametri applicativi
univoci del principio di proporzionalità
nella giurisprudenza comunitaria. Non vi
sono, in sintesi, regole specifiche in
considerazione dell'attività – discrezionale
o vincolata – o del tipo di potere –
normativo o amministrativo -, essendo
evidente, invece, che il giudice comunitario
– mantenendosi fedele alla propria tradizione
– calibra il suo controllo in misura
variabile a seconda della misura controllata
e dall'importanza, più o meno significativa,
della stessa nell'edificazione del progetto
comunitario.
255 Da ultimo si legga la decisione della Corte di Giustizia 17 gennaio 2008 n. 37 in www.europa.eu.int nella quale si sottolinea il ruolo del principio di proporzionalità quale parametro interpretativo in sede di recepimento e applicazione delle direttive comunitarie. 256 Corte di Giustizia 6 marzo 2007, C-338/04, 359/04, 360/04, Racc., 2007.257 DIANA-URANIA GALETTA, cit., 366.
1
Si è così detto che la Corte utilizza in
materia un metro simile a quello costi-
benefici conosciuto dal Conseil d'Etat
francese.
In sostanza, il principio di
proporzionalità, nato nell'ordinamento
tedesco nel quale le sue tre componenti hanno
una loro precisa gerarchia, si è sviluppato
in maniera originale nel diritto comunitario
laddove raramente, nel sindacato
giurisdizionale, si fa riferimento alle tre
componenti del principio di matrice tedesca.
Di più, mentre nel diritto tedesco il
sindacato di proporzionalità ha un carattere
accentuatamente soggettivo, avente cioè in
primo piano l'interesse del ricorrente, nel
diritto comunitario l'approccio è prettamente
oggettivo tenendosi conto essenzialmente
degli interessi concretamente in gioco, senza
attribuire un particolare peso al sacrificio
sopportato dall'amministrato258.
Da un punto di vista statistico, del
resto, non sono frequenti le decisioni nelle
quali si è proceduto all'annullamento di un
atto perché contrastante col principio di
proporzionalità.
258 Contra, peraltro, F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, in Collana Manuali diretta da F. CARINGELLA, S. MAZZAMUTO e G. MORBIDELLI, Roma, 2010, III ed., pag. 944, per il quale “nel diritto comunitario il principio di proporzionalità acquista una forte accentuazione in ordine al rispetto delle posizioni dei soggetti privati a fronte dell'intervento pubblico: esso guarda più all'esigenza di non limitazione – se non nei casi di stretta necessità – della libertà dei privati, che all'esigenza di miglior soddisfazione dell'interesse pubblico.”
1
Tuttavia, a parere di autorevole
dottrina259, è possibile individuare un
maggior rigore della Corte di Giustizia
laddove sia chiamata ad esprimersi su atti
delle Istituzioni comunitarie anziché su atti
degli Stati membri. Nel primo caso
prevarrebbe un atteggiamento di self
restraint; nel secondo un atteggiamento volto
maggiormente a far valere il “peso” del
principio: detti atteggiamenti della Corte
altra spiegazione non avrebbero se non quello
di facilitare la costruzione dell'edificio
comunitario.
IV.V.II L'effetto “spill-over” del principio di proporzionalità260 nel sistema italiano
Come noto, l'ordinamento italiano non
conosceva un sindacato di proporzionalità. Il
solo criterio di controllo assimilabile a
quest'ultimo era il criterio della
ragionevolezza la cui versione negativa
costituiva un indice sintomatico dell'eccesso
di potere. Tale assimilabilità era, del
resto, del tutto apparente in quanto il
controllo di ragionevolezza non si prestava
(né si presta) a precise definizioni. D'altro
259 DIANA-URANIA GALETTA, cit., 368.260 G.MORBIDELLI, Il procedimento amministrativo, in AA.VV., Diritto amministrativo, II ed., Bologna, 1212 e ss. nel quale l'avvento del principio di proporzionalità viene legato ai principi emergenti dagli artt. 3, 97 e 113 della Carta Costituzionale.
1
canto, l'intrinseca diversità dei due
principi è confermata dal riferimento allo
stesso da parte di una parte della
giurisprudenza amministrativa261 che si è
espressa in settori non strettamente
pertinenti al diritto comunitario.
In realtà, si è osservato che sin dagli
albori del diritto amministrativo italiano,
autorevole dottrina aveva, sia pur in maniera
embrionale, affermato alcuni postulati tipici
del principio in discorso. Si era, in
particolare, affermato che regola pratica
direttrice dell'azione amministrativa deve
essere individuata nell'esigenza di far
prevalere la cosa pubblica alla privata entro
i limiti della vera necessità. In sostanza,
secondo l'Illustre Autore262, la prevalenza
dell'interesse pubblico sarebbe stata lecita
laddove si fosse contemperata col minimo
possibile sacrificio della proprietà privata
e della libertà.
Comunque, il principio di
proporzionalità è oggi patrimonio acquisito
della dottrina e della giurisprudenza
nazionale.
Si è affermato263 che la proporzionalità
è agli antipodi della verifica del
261 Tar Lombardia, sez. IV, sent. n. 6095/04 e n. 6096/04; Tar Puglia, Lecce, sez. II, sentenza n. 2216/04; Tar Veneto, Venezia, sez. III, nn. 850, 851 e 852/05 in www.giustizia-amministrativa.it.262 ROMAGNOSI, Principi fondamentali di diritto amministrativo onde tesserne le istituzioni, Prato, 1835 (I ed.: 1814).263 C. MALINCONICO, cit., pag. 21.
1
provvedimento in senso formale. Secondo tale
dottrina essa mira alla giustizia sostanziale
ed avrebbe raggiunto un margine di autonomia
rispetto al principio di ragionevolezza
(volto ad escludere le decisione insensato,
ossia, in ultima analisi, arbitraria) e a
quello di razionalità (attinente alla
coerenza interna dell'atto).
Con tale principio, in particolare, si
intende verificare che l'esercizio del potere
amministrativo sia avvenuto nella giusta
misura, in modo tale, cioè, da assicurare
un'azione idonea ed adeguata alle circostanze
di fatto, idonea, in definitiva, a non
alterare il giusto equilibrio tra i valori,
gli interessi e le situazioni giuridiche264.
In altre parole il pregio del principio
in parola è da rinvenire nella circostanza
che, attraverso il suo sindacato, non si
intende verificare l'esistenza di un errore
di valutazione bensì il risultato in sé. Ciò
che diventa oggetto di controllo, quindi, è
se quel risultato è ragionevole e
proporzionato e, pertanto, come siano state
264 Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 1615 del 19 marzo 2009, ha applicato il predetto principio in materia di autotutela (annullamento di concessione edilizia illegittima) affermando che non è sufficiente, per qualificare in termini di legittimità l'azione amministrativa, l'esigenza di ripristinare la legalità “essendo, invece, necessario verificare la sussistenza di un'interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio, nonché dell'avvenuta comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privata, in particolare quando il titolare della concessione, in ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere, specie di di modesta entità.”
1
risolte in concreto le antinomie tra i vari
interessi in gioco.
Secondo la considerazione più ricorrente
il principio di proporzionalità, restituito
all'ordinamento nazionale dalle elaborazioni
della Corte di Giustizia, impone che il mezzo
utilizzato sia al tempo stesso idoneo allo
scopo perseguito ed efficace in modo
proporzionato.
Pertanto, sia pur spesso sviscerato
quale manifestazione del principio di
ragionevolezza – che conserva intatto il suo
ruolo sovrano di principio generalissimo di
regolamentazione dell'azione amministrativa,
al pari, del resto, dei principi di
eguaglianza, imparzialità e buon andamento -,
il principio di proporzionalità ha acquisito
un ruolo rilevante garantendo una continua
corrispondenza tra fine perseguito e mezzo
utilizzato.
Con grande acutezza, la dottrina ha
sottolineato che il principio di
proporzionalità contribuisce a determinare il
giudizio di legittimità dell'azione
amministrativa attraverso la verifica,
preventiva, degli effetti che l'azione
stessa, per come è programmata e strutturata,
è in grado di realizzare. Si è detto265, in
particolare, che il principio in parola, più
che costituire uno dei modelli di verifica
indiretta della scelta amministrativa
265 C. MALINCONICO, Il Principio di proporzionalità, su www.provincialecco.it.
1
discrezionale o a sintomo di eventuali vizi
della volontà amministrativa o, meno ancora,
a mera regola deontologica, costituisce esso
stesso l'approccio diretto al giudizio di
congruità dell'azione amministrativa.
In quest'ottica, pertanto, il principio
in parola consentirebbe il massimo dei
livelli di sindacato sulla discrezionalità
amministrativa perché, invece di ricercare le
distonie del processo logico-istruttorio del
provvedimento quale indizio di una volontà
amministrativa non correttamente formatasi,
detto principio andrebbe “direttamente al
cuore del problema”. Infatti, attraverso di
questo, è consentito un sindacato diretto
sulla scelta del pubblico potere, in base
all'assetto degli interessi pubblici e
privati, prefigurato e potenzialmente
raggiungibile dal provvedimento.
Si è poi osservato che la corretta
determinazione del principio di cui si
discute non dovrebbe condurre a prevedere un
canone rigido ed immodificabile per la
valutazione di legittimità dell'azione
amministrativa dovendosi, di converso,
valorizzare il suo carattere elastico ed
aperto266.
Da ultimo, si è rimarcato267, pur
ribadendone la lenta268 teorizzazione espressa 266 SANDULLI, La proporzionalità dell'azione amministrativa, Padova, 1998, pagg. 107 e ss.267 F. CARINGELLA, cit., pag. 943-944.268 Peraltro da riscontrare nella decisione del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 3 del 6 febbraio 1993.
1
come regola generale dell'azione
amministrativa, l'utilizzazione del principio
in parola come canone dell'azione
amministrativa, specie nelle ipotesi di
compressione delle posizioni giuridiche
soggettive private.
In ultima analisi, si è acutamente
sottolineato che il principio di
proporzionalità ha mutato la sua prospettiva
applicativa, divenendo limite intrinseco
all'agere amministrativo e non più mero
canone esterno di controllo giurisdizionale
della legittimità dell'azione amministrativa.
IV.V.III Conclusioni sul principio di proporzionalità
Nato nell'esperienza tedesca nella quale
si caratterizza per la sua struttura
trifasica e gerarchizzata, il principio di
proporzionalità comunitario ha subito
fortemente l'influsso della valutazione
costi-benefici di derivazione francese.
Pertanto, benché non siano mancate decisioni
del giudice comunitario nelle quali si fa
espresso riferimento al modello tedesco,
l'applicazione pratica del principio è stata
ampiamente limitata dall'influsso francese e
da una valutazione comparativa dei vantaggi e
degli svantaggi risultanti dalla misura
impugnata, secondo una concezione multipolare
1
degli interessi in gioco, in cui, però, un
peso nettamente prevalente è attribuito agli
interessi comunitari.
A dimostrazione dell'osmosi esistente
tra i vari ordinamenti degli Stati membri e
quello comunitario, è utile osservare che le
applicazioni più recenti del principio di
proporzionalità nel diritto tedesco hanno
condotto a rilevare che esse hanno risentito
fortemente delle influenze comunitarie,
tant'è che acuta dottrina269 ha tratto da ciò
la conferma che è la giurisprudenza
comunitaria che indica le linee di sviluppo
alle quali i diritti nazionali si adattano,
più o meno consapevolmente.
Molto interessanti sono poi le
armonizzazioni ottenute dalla giurisprudenza
comunitaria tra il principio di
proporzionalità e quello di uguaglianza
nonché tra il primo ed il principio di
sussidiarietà.
Si è detto270 che “l'inégalité de
traitement est donc considérée comme
contraire au principe d'égalité dans la seule
hypothése où elle ne réussit pas a passer le
test de proportionnalité”.
Tra il principio di proporzionalità ed
il principio di sussidiarietà si è detto,
invece, che la differenza consiste nel fatto
che in applicazione del secondo si deve 269 DIANA-URANIA GALETTA, cit., 373.270 Corte di Giustizia 19 febbraio 1998, C-4/96, Racc., 1998, punto 55 e s.
1
decidere se vi sia o meno una competenza
delle istituzioni; in applicazione del primo
deve valutarsi l'intensità degli interventi
posti in essere. In sostanza, il controllo di
proporzionalità è successivo al primo.
Ciononostante, deve riconoscersi che sul
punto la giurisprudenza comunitaria utilizza
un po' confusamente i due termini, tant'è che
non vi è traccia di applicazioni
giurisprudenziali del principio di
sussidiarietà271.
Conclusivamente, indiscusso il ruolo di
principio generale dell'ordinamento
comunitario da riconoscersi al principio di
proporzionalità, quest'ultimo ha acquisito
una valenza, non meramente terminologica,
fondamentale nell'ordinamento degli Stati
nazionali, compresi quelli che del principio
in parola, almeno espressamente, ne
disconoscevano l'esistenza.
Nell'ordinamento italiano, poi, il
principio di proporzionalità costituisce
probabilmente il più emblematico esempio di
portato dall'osmosi tra ordinamento
comunitario e quello nazionale. In
quest'ultimo, poi, non può che evidenziarsi
la sua capacità di inserirsi ed armonizzarsi
nei principi generali preesistenti così da
apparire oggi, quasi come se il processo di
osmosi di cui si è parlato non fosse mai
271 DIANA-URANIA GALETTA, cit., 375; così anche J.ZILLER, Le principe de subsidiarieté, in Droit administratif Européen, Bruxelles, 2007, 381.
1
stato necessario, come un naturale corollario
del principio di ragionevolezza, imparzialità
e buon andamento.
IV. VI. Il principio di uguaglianza e di non discriminazione272
Nonostante l'avvicinamento tra le
giurisprudenze degli Stati membri in ordine
al sindacato di uguaglianza, si evidenzia che
permane, tutt'oggi, una differenza
significativa tra l'impostazione
universalista e astratta di stampo francese e
quella empirica, preoccupata delle situazioni
concrete ed effettive più che dei grandi
principi di stampo anglosassone.
Nelle applicazioni della giurisprudenza
comunitaria pare aver avuto la meglio
l'approccio anglosassone.
La giurisprudenza comunitaria ha avuto
modo di precisare che il rispetto del
principio di uguaglianza si impone tanto alle
Istituzioni comunitarie quanto alle Autorità
nazionali, almeno fin tanto che queste ultime
agiscono nel campo di applicazione del
diritto comunitario. Il rispetto di tale
principio, pertanto, si impone tanto come
strumento di interpretazione suscettibile di
272 ANASTASIA ILIOPOULOU, Le principe d'égalité et de non-discriminations, in Droit administratif Européen, Bruxelles, 2007, 435 e ss.
1
chiarire la portata di disposizioni
particolari, quanto come mezzo di controllo
della validità degli atti comunitari.
In questo senso si è evidenziato,
peraltro, in linea con l'adozione della
filosofia anglosassone, che il principio di
uguaglianza in ambito comunitario ha un
sostrato economico e strumentale al mercato
ed alla libera concorrenza più che
ideologico.
Tuttavia non sono mancate le
applicazioni sociali del principio come
dimostrato dal caso Defrenne II273 sino alla
più recente sua rielaborazione come diritto
fondamentale in materia di integrazione dei
lavoratori migranti.
Il contenuto del principio si evidenzia
laddove attraverso di esso si censurano
trattamenti dissimili di situazioni identiche
o trattamenti uguali di situazioni diverse,
sempre che questi trattamenti non siano
obiettivamente giustificati.
Lo sviluppo del principio in parola,
però, ha valorizzato la necessità di evitare
qualsiasi forma di discriminazione sia
diretta, ossia di quelle espressamente in
contrasto con il dettato delle norme
comunitarie, sia indiretta (o simulata),
laddove al rispetto formale del principio
seguiva, nella pratica, un'illegittima
273 Corte di Giustizia, 8 aprile 1976, C-43/75, Racc., p. 455.
1
discriminazione. Ciò è avvenuto soprattuto
nei quattro settori delle libertà
comunitarie, quella del libero mercato e
della libera circolazione di persone,
capitali e servizi.
Anche questo principio, nato nelle
esperienze dei diritti amministrativi
nazionali ha sviluppato delle peculiarità nel
suo inserimento nell'ordinamento comunitario.
Occorre preliminarmente dire che
l'applicazione pratica del principio di
uguaglianza presuppone, a monte, un parametro
di paragone; questo, se – sia pur non in
maniera semplice – è ragionevolmente
ricavabile nel panorama giuridico nazionale,
tendenzialmente uniforme, diventa di
difficilissima individuazione laddove i
valori fondamentali delle varie società
nazionali ricomprese nell'ordinamento
comunitario non sono sempre omogenei.
Esemplare è il caso Suede c. Conseil274:
in quel caso un funzionario amministrativo
chiedeva all'Istituzione di appartenenza un
alloggio familiare, concesso ai suoi colleghi
sposati, sul presupposto di doverlo dividere
con il suo partner, dello stesso sesso, con
il quale conviveva in modo registrato in
Svezia. L'Istituzione comunitaria gli
rifiutava l'alloggio. La decisione fu
confermata tanto dal Tribunale di prima
istanza tanto dalla Corte di Giustizia,
274 Corte di Giustizia 31 maggio 2001, D e Suede c. Conseil, C-122/99 e C-125/99, Racc., p. I-4319.
1
ritenendo che non si fosse avverata una
discriminazione tra funzionari in ragione del
sesso (melius: degli orientamenti sessuali)
bensì in ragione della diversa natura
giuridica del legame che univa il ricorrente
al suo partner rispetto al vincolo
matrimoniale.
La dipendenza dell'applicazione pratica
del principio emerge con forza laddove si
osservi che la Svezia era intervenuta
adesivamente al ricorso del suo cittadino sul
presupposto, implicito, che non fosse
ragionevole una discriminazione tra
funzionari in ragione del legame,
matrimoniale o derivante da un'unione
registrata, che li vincola con il proprio
partner.
Molto interessanti sono poi i principi
espressi nel caso Kaba275 nel corso del quale
la Corte puntualizzò che, pur essendo vietate
tanto le discriminazioni palesi quanto quelle
dissimulate, tale non fosse la diversità di
trattamento in merito alla concessione del
permesso di soggiorno del coniuge del
cittadino comunitario rispetto al trattamento
riconosciuto al coniuge del cittadino
britannico. In sostanza, la Corte si è
espressa per la non comparabilità della
situazione dei lavoratori comunitari e di
quelli residenti e di pari passo la non
275 Corte di Giustizia 11 aprile 2000, causa C-356/98, Racc. p. I-2623; Corte di Giustizia 6 marzo 2003, Kaba II, causa C-466/00, Racc. p. I-2219.
1
comparabilità della situazione dei loro
congiunti.
La dottrina276 ha osservato che la
giurisprudenza comunitaria ha inteso il
principio di uguaglianza anche come causa
dell'impossibilità per le Amministrazioni
comunitarie di trattare in maniera uguale
situazioni differenti; per l'ordinamento
francese, invece, il principio non comporta
anche questo corollario. Sulla stessa
posizione della Corte di Giustizia appare
trovarsi anche la Corte di Strasburgo: si può
dire, allora, che la concezione di
uguaglianza fatta propria dai giudici europei
è di tipo sostanziale.
La violazione del principio di
eguaglianza deve essere giustificata
dall'interesse generale, e rispetto a questo
deve presentare i caratteri della necessità e
della proporzionalità.
In questo sindacato la Corte si è
dimostrata piuttosto timida277 (trincerandosi
dietro la sottolineatura del carattere
discrezionale delle scelte comunitarie,
specie di quelle esprimenti una valutazione
economica complessa) laddove si è trovata a
sindacare la validità – sotto tale aspetto –
delle misure comunitarie e viceversa ben più
276 A. ILIOPOULOU, cit., 444-445277 Anche se non sono mancate pronunce che hanno annullato decisioni comunitarie contrastanti con il principio di eguaglianza: si veda Corte di Giustizia 10 marzo 1998, causa C- 122/95, Racc., p.I-973, Allemagne c. Conseil d'Etat
1
attiva quando si è trovata a sindacare la
validità delle misure nazionali.
Non può non rilevarsi tuttavia
l'interessantissima opera svolta sul punto
dalla giurisprudenza comunitaria che ha
applicato – proprio perseguendo lo spirito
anglosassone dell'eguaglianza – il principio
di uguaglianza in strettissimo rapporto con
quello di proporzionalità.
Della bontà di tale ricostruzione
ermeneutica né è dimostrazione la timidezza
della giurisprudenza francese, notoriamente
legata ad un concetto astratto di uguaglianza
in alcuni casi confondibile con il più
generale principio di legalità, a sindacare
gli atti “astrattamente diseguali” sotto
l'ottica della proporzionalità.
Tale situazione è emersa in tutta la sua
evidenza nel caso Burbaud278.
In quell'occasione la signora Burbaud
aveva chiesto il suo inquadramento nei
“quadri” superiori della funzione pubblica
ospedaliera francese. Simile inquadramento le
era stato negato sul presupposto che, benché
titolare di titolo qualificato ottenuto a
Lisbona, ella non avesse conseguito il
diploma presso la Scuola Nazionale di Sanità
di Rennes. La motivazione del provvedimento
di rigetto era legata alla necessità di
278 Corte di Giustizia, causa C-285/01, in Racc., p.I-8219.
1
garantire l'accesso ai quei delicati posti ai
soggetti verificati come i più meritevoli.
La Corte di Giustizia, pur convenendo
sull'importanza dell'interesse perseguito
dall'ordinamento francese, ha ritenuto che ci
si trovasse dinanzi ad una discriminazione
non proporzionata in quanto il fine avuto di
mira non poteva essere raggiunto solo
attraverso l'imposizione ai candidati
stranieri di aver ottenuto il diploma presso
la Scuola Nazionale di Sanità.
Da ultimo, si è osservato che la
giurisprudenza comunitaria ha incitato
costantemente i giudici nazionali utilizzare
un criterio di giudizio analogo. Così, in una
sorta di “sussidiarietà giurisdizionale”279, i
giudici nazionali sono di frequente invitati
ad apprezzare la proporzionalità della misura
censurata in quanto discriminatoria.
IV. VII Principio di certezza giuridica e di affidamento
279 L'espressione è di A. ILIOPOULOU, cit., pag. 449.
1
Si è detto280 che è possibile affermare
che intorno al principio generale di certezza
delle situazioni giuridiche gravita il
principio particolare della tutela
dell'affidamento.
La Corte di Giustizia281, del resto, ha
affermato che il principio di affidamento
merita una protezione in virtù della vigenza
del principio di certezza giuridica.
Tale principio non è visto dalla
giurisprudenza comunitaria come un principio
assoluto bensì come un principio che deve
essere armonizzato con il principio di
legalità. Sin dalle origini282 la Corte di
Giustizia ha affermato che tale principio per
quanto importante deve essere armonizzato col
principio di legalità; pertanto, la scelta se
revocare un atto che ha riconosciuto un
diritto deve essere vagliata attraverso un
attento confronto tra l'interesse pubblico e
quello privato oggetto di causa.
Decodificando il principio di certezza
giuridica, questi comporta i corollari del
principio di irretroattività, la necessità di
chiarezza e di prevedibilità della
legislazione comunitaria e di tutela
dell'affidamento.
280 JEAN BERNARD AUBY E DELPHINE DERO-BUGNY, Les principes de securité juridique et de confiance légitime, in Droit administratif, cit., Bruxelles, 2007, 473 e ss.281 Corte di Giustizia, 4 luglio 1993, causa C-1/73, Westzucker, Racc., p. 723.282 Corte di Giustizia 22 marzo 1961, Snupat c. Haute Autorité, causa C-42 e 49/59, Racc., p. 103.
1
La Corte attribuisce grande importanza
al principio di certezza giuridica specie nel
campo della concorrenza dove la Commissione,
come noto, detiene poteri particolarmente
incisivi.
Più specificamente in merito al
principio del legittimo affidamento, esso ha
visto la sua apparizione nei primi anni 60'
ed oggi è tra i più frequentemente invocati
da coloro i quali ricorrono alla giustizia
comunitaria.
Quasi mai, peraltro, esso rappresenta
una censura isolata essendo frequentemente
combinata con le censure in merito alla
violazione del principio di buona
amministrazione, dei diritti di difesa, del
principio di uguaglianza e di
proporzionalità.
Occorre peraltro sgombrare il campo da
un possibile equivoco: il principio della
tutela dell'affidamento non è identificabile
con il principio del rispetto dei diritti
acquisiti e, quindi, in ultima analisi con la
materia dell'autotutela.
Infatti, esso è di frequente invocato in
materia di promesse e di impegni.
Parrebbe, da quanto sin qui detto, che
esso sia in un certo qual senso assimilabile
al principio generale di buona fede e
correttezza che deve guidare, secondo i
1
principi giuridici generali vigenti nel
nostro ordinamento, l'azione della P.A.
Volendo procedere ad un'attendibile
differenziazione tra questo principio e
quello di sicurezza giuridica, del quale
peraltro costituisce una species, si è
detto283 che il ruolo di tutore della
stabilità giuridica del principio di
sicurezza giuridica si sostanzia nel
principio di tutela dell'affidamento per una
particolare attenzione all'aspetto
soggettivo.
Fondamentalmente, il principio in parola
implica che i privati siano protetti contro
una modifica senza preavviso della
legislazione e possano opporre alla Comunità
le esperienze effettuate nel vigore della
precedente normativa284.
Peraltro, è stato osservato che il
principio della tutela del legittimo
affidamento si risolve in un principio ad
esclusivo vantaggio dei privati, a differenza
di quello di certezza giuridica. In tale
aspetto viene rivenuto, ulteriormente, il suo
carattere prettamente “soggettivo”285.
IV.VIII Principio di buona amministrazione
283 JEAN BERNARD AUBY E DELPHINE DERO-BUGNY, cit., pag. 486.284 JEAN PAUL JACQUÉ, Droit istitutionel de l'Union Européenne, Dalloz, III ed., 2004, p. 519.285 JEAN BERNARD AUBY E DELPHINE DERO-BUGNY, cit., pag. 486
1
Riprendendo le parole di una sentenza
della Corte di giustizia286 il principio di
buona amministrazione287 comporta che le
Istituzioni comunitarie, titolari di un
potere di effettuare valutazioni tecniche
complesse, devono potere disporre di un
margine di discrezionalità. Ma, si è
ribadito, proprio l'esistenza di questi
poteri di apprezzamento in capo agli organi
comunitari impone il rispetto da parte di
questi ultimi delle garanzie offerte
dall'ordinamento nelle procedure
amministrative.
Quindi, riconosciuta l'esistenza della
necessità di un giusto procedimento, la
giurisprudenza comunitaria ribadisce la
necessità che le Autorità comunitarie debbano
con cura, imparzialità288 ed entro un tempo
ragionevole valutare tutti gli elementi
pertinenti del caso di specie, quali il
diritto dell'interessato di far conoscere il
suo punto di vista così come il diritto di
quest'ultimo di veder motivata la decisione
che lo interessa in modo sufficiente.
E' altresì indiscusso che trattasi di un
principio che inerisce all'attività
discrezionale delle Autorità comunitarie al
286 Corte di Giustizia 21 novembre 1991, Techinische Universitat Munchen, C-269/90, Racc. p. I-5469.287 LOIC AZOULAI, Le principe de bonne administration, in Droit Administratif, Bruxelles, 2007, 493 e ss.
288 Corte di Giustizia 12 luglio 2005, Commission c. CEVA, C-198/03, Racc., p.I - 6357.
1
cui controllo mira, soprattutto in
considerazione che in diversi settori le
medesime Autorità dispongono di ampi poteri
valutativi.
Questa forma di controllo è prettamente
di carattere procedurale; tuttavia in esso
non si esaurisce laddove con il termine buona
amministrazione ci si riferisce all'insieme
delle garanzie di protezione offerte ai
cittadini dell'Unione nei confronti
dell'Amministrazione.
La dottrina che si è occupata del
principio in parola non ha potuto che
evidenziare l'ambiguità della sua
applicazione stante la sua eterogenea
applicazione.
Si è, tuttavia, evidenziato che tale
ambiguità rappresenta al tempo stesso una
notevole virtù del principio in parola capace
di una forza espansiva non predeterminabile,
almeno allo stato.
L'ambiguità è altresì confermata dalla
sua polifunzionalità nel corso degli anni;
agli inizi della giurisprudenza comunitaria
viene inteso come necessità di esame
approfondito delle domande degli interessati;
in seguito, come obbligo di prendere in
considerazione la situazione concreta degli
interessati: tant'è che in queste fasi la
riconducibilità di tale principio al
sindacato in ordine al rispetto delle forme
1
procedurali sostanziali non appare privo di
riscontri.
A partire dagli anni 80' il principio
diviene una fondamentale tecnica di
controllo, la cui apprezzabilità si rinviene
soprattutto nella materia dell'anti dumping.
In una celebre sentenza289 la Corte di
Giustizia ha attribuito al principio in
parola il significato di dovere di
sollecitudine, di diligenza e di
imparzialità; sotto queste nuove vesti esso è
divenuto lo strumento privilegiato della
protezione dei terzi interessati che non
dispongono dei medesimi diritti delle parti
direttamente coinvolte.
In seguito, il principio ha trovato
applicazioni significative nel campo della
libera concorrenza, del controllo sugli aiuti
di stato e sul pubblico impiego comunitario.
In sintesi, il principio si è reso
autonomo da una sua limitata applicazione
procedimentale, nell'ambito della quale sono
proliferati altri autonomi principi (difesa,
motivazione etc.), e anche all'interno di
questa – specie nel settore della concorrenza
– ha trovato la sua specificità nella tutela
dei terzi non direttamente interessati.
Da ultimo, si è assistito ad un
utilizzo290 del principio inteso quale obbligo
generale di consultazione scientifica di 289 Corte di Giustizia 22 ottobre 1991, Eugen Nolle c. Hauptzollamt Bremen-Freeihafen, C-16/90, Racc., p. I-5163.
1
personale competente nel quadro delle
procedure a carattere normativo.
La tendenza, poi, è quella di estendere
l'applicazione di tale principio alle
competenze esecutive della Comunità.
Ormai, peraltro, la sua natura di
diritto fondamentale è consacrata nella Carta
dei diritti fondamentali.
In due arresti recenti291 la
giurisprudenza comunitaria ha confermato
l'obbligo della Commissione di analizzare con
minuzia e imparzialità il dossier, pur non
riconoscendo dei veri e propri diritti ai
privati.
Il punto ha creato qualche divergenza
interpretativa tra Tribunale di I grado e
Corte di Giustizia, risolta – allo stato, per
quanto risulta - con delle affermazioni
compromissorie292: “le principe de bonne
administration...ne confère pas, par lui
meme, de droits aux particuliers sauf
lorsqu'il constitue l'expression de droit
spécifiques comme le droit de voir ses
affaires traitées impartialement,
équitablement et dans un délai raisonnable,
le droit d'etre entendu, le droit d'acces au
dossier, le droit à la motivation des
290 Corte di Giustizia 11 settembre 2002, Pfizer Animal Health c. Conseil, T-13/99, Racc., p. II-3305 e, dello stesso giorno, Alpharma c. Conseil, T-70/99, Racc., p. II- 3495.291 TPICE 28.9.1995 Sytraval et BrinK's France c. Commissione T-95/04 CJCE 2 aprile 1998 C-367/95292 TICE 4.10.2006, Tillack c. Commission, T-193/04, punto 127.
1
décisions, au sens de l'art. 41 de la Charte
des droits fondamentaux de l'Union
européenne”.
Lo sviluppo e la recente involuzione del
principio in parola ha portato una parte
della dottrina293 a ritenere che esso esprima
un'esigenza di tutela oggettiva più che
soggettiva dei privati; questi ultimi, in
fondo, trovano protezione in quanto il loro
interesse coincida, sia pur accessoriamente,
con l'interesse pubblico.
Appare a chi scrive, sia pur in chiave
un po' involuta, che il principio in parola –
stante l'autonomia di molti dei corollari che
per lungo tempo hanno contribuito a definirlo
nella sua essenza – abbia acquisito una
natura tale da far nascere in capo ai privati
degli interessi che con linguaggio nazionale
chiameremmo legittimi più che dei diritti
soggettivi veri e propri.
Capitolo V
Conclusioni
293 L.AZOULAI, cit., pag. 510.
1
1.Lo spunto per la presente ricerca è
nato da un'osservazione e da una serie di
curiosità.
La prima ha ad oggetto l’ormai
evidentissima influenza che il diritto
amministrativo nazionale ha subito, e subisce
in misura sempre maggiore, per effetto della
nascita e dell’evoluzione dell'ordinamento
comunitario, oggi europeo.
2.Già nella motivazione della
celeberrima sentenza n. 500/1999, la Suprema
Corte di Cassazione dava conto – più o meno
esplicitamente - del fatto che il suo storico
revirement, in ordine alla risarcibilità
della lesione degli interessi legittimi,
rappresentava uno dei corollari dei principi
del primato e dell'effettività del diritto
comunitario.
Infatti la risarcibilità delle
situazioni giuridiche soggettive lese
dall’attività amministrativa illegittima in
materia di appalti, imposta dalle direttive
comunitarie, induceva la Suprema Corte, per
esigenze di coerenza sistematica, a
concludere che le situazioni giuridiche
soggettive – a prescindere dalla
qualificazione giuridica nazionale –
dovessero essere risarcite laddove
ingiustamente lese dall’attività
amministrativa esercitata in tutti i settori.
Tale influsso dell'ordinamento
comunitario, laddove fosse residuato qualche
1
margine di dubbio, mi è parso ulteriormente
evidente laddove autorevole dottrina,
prendendo posizione in ordine alla
dibattutissima questione della cd.
pregiudiziale amministrativa, ha riportato, a
sostegno della sua posizione (favorevole al
disconoscimento della cd. pregiudiziale),
interessantissimi argomenti di derivazione
comunitaria.
Come noto, il recente arresto del Supremo
Consesso della giustizia amministrativa
(Adunanza plenaria n. 3/2011), abbracciando la
tesi dell'inesistenza di una pregiudiziale
amministrativa e del rilievo ai fini
risarcitori, ex art. 1227 c.c., della mancata
tempestiva impugnazione, ha avallato l’indirizzo
sopra esposto con ampi riferimenti ad argomenti
di diritto comunitario, recepiti, del resto,
anche nel codice del processo amministrativo di
cui al d.lgs. n. 104/2010.
In sostanza, la scelta dell’oggetto
della mia ricerca nasce dalla presa di
coscienza che, ormai, ogni questione di
diritto amministrativo interno non possa più
essere affrontata senza la necessaria
conoscenza del sistema amministrativo europeo
e senza interrogarsi sulla compatibilità
comunitaria di ogni soluzione di diritto
amministrativo interno proposta.
3.Oggi, del resto, un sistema
amministrativo europeo294 esiste e,
294 Nel corso del lavoro, peraltro, è stato significativo osservare, pur con le note battute
1
sicuramente, nessuna trattazione sistematica
di diritto amministrativo italiano può
prescindere dall'inquadramento di
quest'ultimo nel più ampio diritto
amministrativo europeo.
Con la costituzione delle Comunità
europee è stato avviato, quindi, un percorso
originale che, a prescindere dalle volontà e
dai progetti dei fondatori, ha radicalmente –
sia pur gradualmente - mutato il quadro
giuridico dei singoli Stati aderenti,
compreso, ovviamente, quello italiano.
3.Su queste premesse è nata la mia
curiosità per lo studio dei concetti di base
del diritto amministrativo europeo a partire
dalla stessa nozione di atto amministrativo
europeo.
Tale curiosità è stata poi alimentata
dalla volontà di verificare se il giovane
diritto amministrativo europeo abbia già la
maturità di garantire ai cittadini
dell'Unione la stessa effettività di tutela,
dinanzi alle Pubbliche amministrazioni
europee e nazionali operanti in applicazione
del diritto sopranazionale, loro concessa nei
sistemi di diritto amministrativo nazionale.
d'arresto, che ciò che una volta costituiva il diritto comunitario oggi costituisce il diritto europeo, così, anche terminologicamente, evidenziandosi un percorso di unificazione e armonizzazione degli ordinamenti giuridico che, per quanto possa apparire originale, è ben più avanzato di quanto non sia il percorso di unificazione politica.
1
Sin dalle prime letture, ho così potuto
verificare che, non solo, le garanzie europee
non sono inferiori a quelle nazionali ma che,
anzi, in moltissimi settori l'effetto “spill
over”, dall'ordinamento europeo a quello
nazionale, ha consentito un progressivo
ampliamento dei diritti riconosciuti dal
diritto amministrativo italiano.
A parte la già evidenziata questione
della risarcibilità degli interessi
legittimi, basti pensare all'introduzione
nell'ordinamento nazionale del principio di
proporzionalità che, indiscutibilmente,
amplia il sindacato del giudice
amministrativo sull'esercizio della
discrezionalità da parte delle P.A.
Come evidenziato nel paragrafo relativo,
la dottrina più avveduta ha individuato nel
principio in parola il grimaldello attraverso
il quale ottenere un sindacato sempre più
significativo sulle scelte discrezionali
delle Pubbliche Amministrazioni.
Infatti, si è significativamente
osservato che attraverso di detto principio è
possibile entrare nel cuore della scelta
amministrativa (pur senza invadere la sfera
del merito amministrativo), senza dover
ricorrere alle sole figure sintomatiche
dell’eccesso di potere, elaborate ed
utilizzate dalla dottrina e dalla
giurisprudenza italiana.
1
Si è del resto sottolineata la
sorprendente capacità del principio di
proporzionalità di poter garantire un
avvicinamento della scelta amministrativa a
concetti di giustizia sostanziale ed
effettività tipici del diritto comunitario.
In altre parole, la migliore dottrina ha
evidenziato come il principio di
proporzionalità, rettamente inteso, possa
consentire quel sindacato sulla giustizia
della decisione amministrativa che, nel
doveroso rispetto della sfera riservata
all'Amministrazione, non può limitarsi alla
correttezza formale del provvedimento.
E' stato anzi rilevato che la dirompente
forza del predetto principio non è (solo) da
ravvisarsi nel suo costituire un parametro di
valutazione ex post dell'operato della P.A.
ma nella sua capacità, in via più generale,
di indirizzare lo stesso agire dei Pubblici
Poteri, anche di quelli normativi, specie in
sede di recepimento delle direttive
comunitarie.
4.Senza voler eccedere in entusiasmi, a
mio parere, non si può, in definitiva,
disconoscere come la creazione di quel
particolarissimo e originale sistema che è il
diritto europeo stia generando la nascita, e
favorendo l'evoluzione, di sempre maggiori
diritti a vantaggio dei cittadini europei,
specie nel campo del diritto amministrativo.
1
Almeno allo stato attuale, infatti, il
dialogo tra ordinamenti giuridici diversi,
quelli dei singoli Stati membri, ha
consentito la creazione di un sistema
sovranazionale originale che ha la capacità
di influenzare, nella fase discendente, in
termini assolutamente innovativi (e, a mio
avviso, positivi) i sistemi giuridici
nazionali.
Mi sembra che oggi sia ragionevole
affermare che gli ordinamenti giuridici dei
Paesi membri hanno avviato un proficuo
dialogo con la messa in comune di quanto
migliore e funzionale li caratterizzi
singolarmente.
Questa commistione delle esperienze
provenienti dai singoli ordinamenti giuridici
consente, inoltre, una “restituzione” ai
singoli ordinamenti di concetti più evoluti
che, normalmente, si riverberano in termini
di maggiori diritti e garanzie per i
cittadini.
In questa operazione di sintesi, il
lavoro svolto dalla Corte di Giustizia mi
pare assolutamente preminente così come
fondamentale sarà continuare quel dialogo tra
le giurisdizioni nazionali e quelle europee
che, almeno allo stato attuale, ha offerto
brillanti risultati.
5.Del resto, proprio lo studio della
giurisprudenza della Corte di Giustizia ed
un'attenta lettura dei Trattati mi ha indotto
1
a prendere atto, sulla scorta di quanto del
resto già acquisito dalla migliore dottrina
italiana e straniera, che esiste – a livello
europeo – un atto esecutivo individuale del
tutto assimilabile all'atto amministrativo di
diritto interno.
Quest'atto, di norma, è la decisione.
Di norma, per l'appunto, perché il
sistema europeo, pur con tutti i pregi prima
elencati, presenta ancor oggi una certa
confusione nel sistema delle fonti, specie di
diritto derivato, che si riverbera in termini
definitori qualora si voglia concettualizzare
la realtà esistente.
Questa confusione, effetto
principalmente dell'indistinzione tra
funzione esecutiva e funzione normativa –
presente in parte anche dopo la ratifica del
Trattato di Lisbona - peraltro, si è rivelata
in diverse circostanze una ricchezza avendo
consentito alla Corte di Giustizia di
esaltare il suo sindacato giurisdizionale
ampiamente improntato da connotati
sostanzialistici.
La migliore dottrina ha osservato,
condivisibilmente, che la predetta
concettualizzazione è resa assai problematica
dal frequente approccio al diritto europeo “con
gli occhi rivolti ai sistemi nazionali”.
Pertanto, un proficuo studio del diritto
amministrativo europeo impone – per quanto
1
possibile – di non rimanere “ingabbiati” nelle
costruzioni concettuali di diritto nazionale.
Ciò è particolarmente importante per il
giurista italiano abituato ad un approccio
formale al diritto non sempre compatibile con
l'impostazione sostanzialistica, fatta propria
dalla Corte di Giustizia, del diritto europeo.
6.Del resto, il costante dialogo tra
ordinamenti diversi, in specie tra quello
europeo e quelli nazionali, non avviene solo a
livello normativo ma, in maniera sempre più
dirompente, anche a livello di procedimenti
amministrativi.
Dunque, se l'esiguità di risorse umane e
strutturali prima e la volontà politica poi,
hanno indotto i Paesi Fondatori a scegliere
quale via principale l'esecuzione indiretta del
diritto sovranazionale (ossia per il tramite
delle Amministrazioni nazionali), sono
frequentissimi oggi i casi di co-
amministrazione, ossia di procedimenti
amministrativi che si svolgono in parte a
livello europeo e in altra parte a livello
nazionale.
In questi tipi di procedimenti, come visto
nel corso della mia ricerca, diventa spesso
difficile individuare quale sia l'atto che
incide sulle situazioni giuridiche degli
amministrati. Esso, infatti, non sempre coincide
con l'atto conclusivo del procedimento che nei
cd. procedimenti top down è emanato da
un'Autorità nazionale e in quelli bottom up da
1
un'Autorità europea. L'esatta individuazione di
quell'atto consente poi di dedurne la sua natura
giuridica, europea o nazionale, e quindi
stabilire a quale giudice appartenga il relativo
sindacato di legittimità.
Proprio lo studio dei vizi di legittimità
comunitari mi ha suscitato l'ulteriore curiosità
relativa all'ampiezza del sindacato
giurisdizionale del giudice europeo sugli atti
emessi dalle Istituzioni europee.
Consapevole che la maturità di un sistema
giuridico si misura principalmente – almeno nel
campo del diritto amministrativo – sulla
capacità dell'apparato giurisdizionale di
sindacare le scelte discrezionali delle
Istituzioni Pubbliche, ho concentrato così il
mio studio sulla figura dello sviamento di
potere, avendo immaginato – ad una prima lettura
dei Trattati che si sono succeduti nel corso
degli anni - che tale vizio potesse
identificarsi con l'eccesso di potere italiano,
ossia con il tipico strumento utilizzato dalla
giurisprudenza nazionale per sindacare le scelte
discrezionali della P.A.
Ho preso atto, invece, nel corso della mia
ricerca che lo sviamento di potere europeo nasce
dall'esperienza francese del détournement de
pouvoir e che, nella sua estensione, non
coincide – per difetto - con l'area
giustiziabile in Italia sotto la nozione di
eccesso di potere.
1
Ciononostante, ho potuto rilevare che il
sindacato giudiziario europeo sulla
discrezionalità delle Autorità comunitarie non è
meno intenso – almeno in termini di principio –
di quello garantito dalla giustizia
amministrativa nazionale.
Infatti, l'ampia individuazione di
principi generali del diritto europeo (di cui si
è cercato di offrire una carrellata nel capitolo
IV), la violazione dei quali è ex art. 263
paragrafo II TFUE sindacabile dai Tribunali
europei, consente al giudice europeo di
garantire elevati standards, comunque
paragonabili a quelli nazionali, di tutela ai
cittadini europei dinanzi alle scelte
discrezionali delle Autorità europee.
Anzi, a ben guardare, il sindacato
sull’atto dei Pubblici Poteri, effettuato
utilizzando quale parametro del predetto vaglio
giurisdizionale i principi generali consente un
sindacato “diretto” e “sostanziale” dell’atto
anziché un sindacato “indiretto”, ossia per
presunzioni travestite da indici sintomatici, e
“formale”.
Di questa positiva evoluzione è possibile
scorgere diversi portati nel recente codice del
processo amministrativo.
7.Traendo infine le conclusioni di questo
lavoro, credo di poter dire di aver verificato,
innanzitutto, l'originalità del sistema
comunitario che, pur derivando inevitabilmente,
dalle esperienze giuridiche dei Paesi membri, e,
1
in particolare, di quelle dei Paesi fondatori
della CEE, ha consentito uno sviluppo
parzialmente autonomo dei concetti giuridici
nazionali.
Questi ultimi, poi, sono stati restituiti
ai singoli sistemi nazionali con una nuova e più
moderna definizione che ha consentito, tra
l'altro, l'avvicinamento dei vari sistemi e la
creazione, ormai evidente, di un diritto
amministrativo europeo.
Ciò appurato, ho verificato che in tale
sistema le situazioni giuridiche soggettive
degli amministrati godono di ampia tutela, di
certo non minore di quella garantita a livello
nazionale.
Infatti, sotto l'aspetto “normativo” la
ristrettezza concettuale dello sviamento di
potere, nonché il sindacato particolarmente
timido sotto quest'aspetto delle Corti europee,
è largamente compensato dall'ampiezza del
sindacato esercitato da queste ultime sotto
forma di verifica del rispetto dei principi del
Trattato e dei principi comuni agli Stati
membri.
Sotto quest'ultimo aspetto la
giurisprudenza della Corte di Giustizia ha avuto
un notevolissimo influsso innovatore, al punto
tale che in dottrina si è più volte osservato il
ruolo di “creatrice” del diritto esercitato
dalla prima.
1
In tale compito, a volte esercitato
“forzando” il dato letterale dei Trattati, la
Corte ha tuttavia saputo mantenere una linea
interpretativa quasi sempre coerente con i fini
del sistema comunitario, riconosciuta, del
resto, dalle Corti nazionali con le quali la
prima ha creato un dialogo assai proficuo.
Basti pensare ai continui richiami nella
più recente giurisprudenza del Consiglio di
Stato alla giurisprudenza della Corte di
Giustizia e, da ultimo, significativamente
evidenziati dalla definizione della questione
della pregiudizialità amministrativa.
Concludo affermando, pertanto, che è
facilmente prevedibile che un simile dialogo tra
ordinamenti ed Istituzioni giuridiche,
comunitarie e nazionali, consentirà una sempre
maggiore armonizzazione tra gli ordinamenti e
una sempre più ampia tutela giurisdizionale dei
cittadini europei, specie in quel delicatissimo
campo che è rappresentato dall'esercizio dei
poteri discrezionali delle Pubbliche
Amministrazioni.
La strettissima attualità, tuttavia,
impone di riconoscere che i grandissimi passi
avanti compiuti dagli Stati membri, in termini
di armonizzazione ed unificazione dei sistemi
economici, giuridici e monetari, non possono che
essere influenzati dai notevoli rallentamenti
che sta subendo quel processo di unificazione
politica che, con grande entusiasmo, si era
immaginato nel XX secolo.
1
Ciononostante, senza voler apparire
ingenuamente ottimista e pertanto consapevole
che l'unificazione politica è una scommessa
ancora tutta da giocare, ritengo che il processo
di avvicinamento degli ordinamenti europei,
avviato con la nascita delle Comunità prima e
dell’Unione Europea dopo, ha consentito
un’evoluzione positiva dei sistemi di diritto
amministrativo nazionale, con evidenti vantaggi
per i cittadini, che, comunque vada a finire il
processo di unificazione politica, rappresenta
un dato storicamente acquisito e non più
reversibile.
1
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