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ATTO AMMINISTRATIVO COMUNITARIO E SINDACATO GIURISDIZIONALE. In particolare lo sviamento di potere nel sindacato della Corte di Giustizia. CAPITOLO I. L’atto amministrativo comunitario Pagg. 3-53 I.I Premessa...pag. 3 I.II L'atto amministrativo nell'ordinamento italiano...pag. 3 I.III Esiste l'atto amministrativo comunitario?...pag. 9 I.IV L'“indistinzione” tra funzione normativa e funzione esecutiva come causa della difficile individuazione dell'atto amministrativo...pag. 13 I.V Le novità derivanti dalla ratifica del Trattato di Lisbona...pag. 24 I.VI Riflessioni finali sull'esistenza dell'atto amministrativo nell'ordinamento comunitario...pag. 35 I.VII La decisione...pag. 45 CAPITOLO II. I caratteri dell’atto amministrativo comunitario Pagg. 54-73 II.I I tratti distintivi della comunitarietà di un atto amministrativo secondo la dottrina tradizionale...pag. 54 II.II I procedimenti di rilevanza comunitaria...pag. 57 II.III I criteri identificativi, elaborati dalla giurisprudenza, della comunitarietà di un atto amministrativo...pag. 60 II.III.I In particolare, i procedimenti composti...pag. 61 II.III.II I procedimenti top down e bottom up... pag. 62 II.IV Schema riassuntivo per l'identificazione dell'atto comunitario...pag. 65 1

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ATTO AMMINISTRATIVO COMUNITARIO E SINDACATO GIURISDIZIONALE.

In particolare lo sviamento di potere nel sindacato della Corte di Giustizia.

CAPITOLO I. L’atto amministrativo comunitarioPagg. 3-53I.I Premessa...pag. 3I.II L'atto amministrativo nell'ordinamento italiano...pag. 3I.III Esiste l'atto amministrativo comunitario?...pag. 9I.IV L'“indistinzione” tra funzione normativa e funzione esecutiva come causa della difficile individuazione dell'atto amministrativo...pag. 13I.V Le novità derivanti dalla ratifica del Trattato di Lisbona...pag. 24I.VI Riflessioni finali sull'esistenza dell'atto amministrativo nell'ordinamento comunitario...pag. 35I.VII La decisione...pag. 45

CAPITOLO II. I caratteri dell’atto amministrativo comunitarioPagg. 54-73 II.I I tratti distintivi della comunitarietà di un atto amministrativo secondo la dottrina tradizionale...pag. 54II.II I procedimenti di rilevanza comunitaria...pag. 57II.III I criteri identificativi, elaborati dalla giurisprudenza, della comunitarietà di un atto amministrativo...pag. 60II.III.I In particolare, i procedimenti composti...pag. 61II.III.II I procedimenti top down e bottom up...pag. 62II.IV Schema riassuntivo per l'identificazione dell'atto comunitario...pag. 65II.V L'atto nazionale “anticomunitario”...pag. 66

CAPITOLO III I vizi di legittimità comunitari. Lo sviamento di potere Pagg. 74-114III.I Premessa...pag. 74III.II Lo sviamento di potere nei più importanti Paesi aderenti all'Unione Europei...pag. 75III.II.I L'esperienza francese...pag.76

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III.II.II L'esperienza tedesca...pag.84III.II.III Lo sviamento di potere nell'esperienza italiana...pag.87III.III Lo sviamento di potere nell'Organizzazione comunitaria...pag. 89III.III.I Parametri per la definizione di sviamento di potere...93

CAPITOLO IV Le differenze tra lo sviamento di potere comunitario e l'eccesso di potere italiano creano un vuoto di tutela giurisdizionale a livello comunitario?Pagg. 115-172IV.I L'eccesso di potere italiano...pag. 115IV.II Brevi cenni sull'eccesso di potere negli ordinamenti dei Paesi Europei...pag. 133IV.III Lo sviamento di potere in ambito comunitario consente un sindacato di minor estensione ed intensità sulla discrezionalità amministrativa rispetto all'eccesso di potere nazionale?...pag. 134IV.IV I principi generali dell'ordinamento europeo...pag. 137IV.V Il principio di proporzionalità...pag. 142IV.V.I Elementi costitutivi del principio di proporzionalità di diritto comunitario...pag. 145IV.V.II L'effetto “spill-over” del principio di proporzionalità nel sistema italiano...pag. 150IV.V.III Conclusioni sul principio di proporzionalità...pag. 155IV.VI Il principio di uguaglianza e di non discriminazione...pag. 158IV.V Principio di certezza giuridica e di tutela dell'affidamento...pag. 164IV.V.VI Principio di buona amministrazione...pag. 167

CAPITOLO V Conclusioni...pag. 173

BIBLIOGRAFIA...pag. 186

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CAPITOLO I

L’atto amministrativo comunitario

I.I Premessa - Prima di approfondire

l'oggetto della presente ricerca, occorre

puntualizzare alcuni concetti di base necessari

per le successive analisi. Così,

preliminarmente, occorre chiedersi se esiste un

atto comunitario qualificabile come atto

amministrativo, secondo la definizione

conosciuta nel nostro ordinamento.

Per dare una qualsiasi risposta a questo

interrogativo occorre chiedersi, tuttavia, cosa

corrisponda al concetto di atto amministrativo

nell’ordinamento giuridico nazionale.

I.II L'atto amministrativo nell'ordinamento italiano

Per la dottrina tradizionale1, l'atto

amministrativo va individuato applicando un

duplice criterio di classificazione, il primo

oggettivo ed il secondo soggettivo.

1 E' la tesi dell'atto materialmente amministrativo del potere esecutivo: per tutti, SANTI ROMANO, Prime pagine, 1990, 431. Sul punto si veda, D. VAIANO, Gli atti amministrativi, in Codice della Giustizia amministrativa a cura di G. MORBIDELLI, Milano, 2008, 147 e ss.

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Quanto al primo aspetto, l'atto

amministrativo è quello rivolto alla cura di

interessi pubblici predeterminati ed individuati

dalla legge operando in una sfera subordinata a

quella in cui si svolge il potere politico;

quanto al secondo, si caratterizza per l'essere

adottato da organi del potere esecutivo.

Altra autorevole dottrina, sostanzialmente

sulla stessa linea ricostruttiva2,definisce

l’atto amministrativo3 come qualsiasi

manifestazione di volontà, desiderio, giudizio o

conoscenza compiuta da un soggetto della

pubblica amministrazione nell’esercizio di una

potestà amministrativa.

Tale definizione è, a ben vedere, molto

generale e conseguentemente incapace di

distinguere dall’atto amministrativo4 quella sua

species che è il provvedimento amministrativo.

Sono seguite, quindi, una serie di tesi5

che hanno cercato di ovviare a questo

inconveniente: hanno avuto un particolare

seguito quella c.d. negoziale e la teoria della

2 E’ la definizione di ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, v. I, Milano, 1954, 245.

3 Per uno sguardo alle nozioni di atto amministrativo presenti negli ordinamenti europei si veda: C.CHAPELLE, Acte administratif et justice administrative en Europe, in Revue Française de droit administratif, n. 2, 2008, 258 ss.

4 Sull'impugnabilità dei meri atti amministrativi si rinvia ancora a D. VAIANO, Gli atti amministrativi, in Codice della Giustizia amministrativa a cura di G. MORBIDELLI, Milano, 2008, 180 e ss.

5 Per F. BENVENUTI, Appunti di diritto amministrativo, parte generale, Padova, 1987, 21 e ss., il provvedimento amministrativo è esercizio di un potere, ossia è una manifestazione concreta di un potere di impero capace di costituire, modificare o estinguere posizioni giuridiche; il mero atto è, invece, esercizio di una semplice facoltà.

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c.d. procedimentalizzazione e funzionalizzazione

dell’attività amministrativa.

Per la tesi negoziale, atto e

provvedimento amministrativo non differirebbero

nella loro struttura essenziale da un qualsiasi

atto negoziale di diritto privato.

Al pari dei negozi giuridici, essi si

comporrebbero di una parte soggettiva, di una

oggettiva, della causa, della forma e della

volontà.

Proprio l'elemento volontaristico

differenzierebbe i provvedimenti dagli atti

amministrativi, essendo presente nei primi

(sotto forma di discrezionalità) e non nei

secondi.

Questa teoria, che ha sicuramente – almeno

in parte – condizionato il legislatore della l.

n. 15/2005 (modificativa della l. n. 241/1990),

è stata sottoposta a numerose osservazioni

critiche, tra le quali la più incisiva è quella

che sottolinea la profonda differenza che

intercorre tra un atto amministrativo ed un atto

negoziale.

Il primo, appartenente ad un regime di

diritto pubblico, è vincolato al perseguimento

degli interessi pubblici indicati nella legge

attributiva del potere; il secondo, soggetto al

regime privatistico, è espressione di autonomia

privata, per definizione libera nei fini e

limitata – in negativo – dalla legge6. 6 F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2006, pag. 899 osserva che: “l'attività amministrativa

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Volendo sintetizzare in un'unica

espressione le critiche che sono state mosse

alla tesi negoziale, si è detto che ogni

parallelismo tra atto amministrativo e atto

negoziale risulta impedito dalla profonda

differenza che intercorre tra la

discrezionalità7, tipica dell’atto

amministrativo, e l’autonomia negoziale, tipica

degli atti di diritto privato.

La dottrina prevalente ha così sviluppato

la tesi che potremmo definire funzionale-

procedimentale.

Quest'ultima pone in evidenza una

caratteristica essenziale dell’esercizio

dell’attività amministrativa: la sua

procedimentalizzazione. Ossia, sottolinea che

l’attività amministrativa si esplica attraverso

una serie di singoli atti concatenati l’uno

all’altro e diretti funzionalmente

all’emanazione di un atto finale, il

provvedimento per l’appunto, l’unico capace di

manifestare all’esterno la volontà della

Pubblica Amministrazione e idoneo ad incidere

unilateralmente nella sfera giuridica dei terzi.

incontra così limiti ben maggiori di quelli posti all'autonomia privata: mentre i limiti negativi (mantenere l'attività nei confini della liceità) sono propri anche delle attività dei privati, quelli positivi assumono caratteri specifici per la pubblica amministrazione in quanto diretti al mantenimento dell'attività nell'ambito dei fini pubblici che l'amministrazione deve perseguire (limiti dell'attività amministrativa).

7 Un originale Autore francese, alla ricerca di una nozione di potere discrezionale, precisa che occorrerebbe distinguere tra la discrezionalità giuridica tipica della funzione amministrativa e quella politica tipica di quella funzione autonoma definibile come fonction gouvernementale: M. DENDIAS, Contribution à la notion du pouvoir discretionnaire et du détournement de pouvoir, in Festschrift di Rudolf Laun, Gottingen, 1962, 79.

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Per questa tesi, dunque, la nozione di

atto amministrativo andrebbe ricostruita in via

residuale essendo atto tutto ciò che non è

provvedimento.

Sono atti amministrativi, in quest’ottica,

gli atti che sono manifestazione di scienza,

giudizio, conoscenza e che sono – di norma –

connotati dalla loro natura servente,

strumentale, preparatoria dell’atto finale del

procedimento: il provvedimento.

L’atto amministrativo, secondo questa

tesi, ha una rilevanza meramente interna, non è

idoneo a ledere le posizioni giuridiche dei

terzi8 e non è autonomamente impugnabile9.

Principio del diritto amministrativo e

tratto caratterizzante dell’ordinamento di tipo

strutturale ad atto amministrativo è, peraltro,

quello dell’esecutorietà. Il potere di signoria

dello Stato, espressione della sovranità, si

manifesta con caratteri peculiari specialmente

nel momento della coazione, dal momento che esso

dispone di quei mezzi di coercizione che

integrano il meccanismo di coazione di

determinati atti.

Si può già anticipare che, invece, nel

sistema comunitario, questo meccanismo, che

funge da sostegno all’operatività tipica

dell’atto amministrativo, si frattura e si

scinde per effetto della struttura stessa degli

8 In questo senso: E. CASETTA, cit., 489.9 Per una ricostruzione più ampia delle varie tesi sulla nozione di atto amministrativo si veda F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2006, 1025 ss.

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organismi comunitari e della natura del loro

potere10. Il “riflesso” di questa peculiarità

degli atti comunitari per una possibile, o meno,

ricostruzione di una figura comunitaria di atto

amministrativo sarà, peraltro, oggetto di

approfondimento nel prosieguo del lavoro.

Tenendo in considerazione quanto premesso

circa la distinzione nazionale tra atti e

provvedimenti, è bene precisare sin da subito

che oggetto di questo studio (nel quale si

intende analizzare il sindacato giurisdizionale,

specie di quello sotto forma di sviamento di

potere, della Corte di Giustizia sull’atto

amministrativo comunitario) è quel particolare

atto amministrativo comunitario che

nell’ordinamento interno verrebbe qualificato

come provvedimento amministrativo.

Pur con questa doverosa specificazione,

per comodità, si farà riferimento nel prosieguo

del lavoro più genericamente all’atto

amministrativo, da considerare come una

terminologia (di genere, per l'appunto)

comprensiva anche della species provvedimento.

10 Ci si è riportati fedelmente al pensiero di G. SACCHI MORSIANI, Il potere amministrativo delle Comunità Europee e le posizioni giuridiche dei privati, Milano, 1965, 81 e ss.

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I.III Esiste l’atto11 amministrativo comunitario?

Preliminarmente, occorre domandarsi se

esiste nell'ordinamento comunitario la figura

dell'atto amministrativo.

La risposta a questa domanda, che oggi

potrebbe apparire scontata, ha invece diviso

per un certo periodo la dottrina.

Autorevole parte di questa12 ha ritenuto

che l’ordinamento comunitario13, così come gli

altri ordinamenti internazionali14 ai quali,

pur nella sua originalità, quest’ultimo

andrebbe assimilato, non conoscerebbe una

figura giuridica qualificabile come atto

amministrativo. Anzi, ancor più radicalmente, 11 G. SACCHI MORSIANI, cit., 104, osserva che le difficoltà principali per una teoria giuridica degli atti delle Istituzioni nell’ordinamento comunitario derivano essenzialmente dalla novità delle formule che reggono l’organizzazione dei poteri. Questi ultimi non sono attribuiti seguendo i principi degli ordinamenti degli Stati membri nei quali vige una divisione dei poteri ispirata da principi differenti da quelli che informano l’ordinamento comunitario.

12 M.S.GIANNINI, Profili di un diritto amministrativo delle Comunità Europee, in Riv. trim. dir. pubbl., IV, 2003, 979, testo tratto dalla registrazione della Conferenza tenuta il 14 aprile 1967, nell’ambito del seminario su L’ordinamento delle Comunità Europee nei suoi rapporti con il diritto internazionale ed il diritto interno, promosso dalla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Roma, d’intesa con le Comunità Europee, Ufficio per l’Italia, e con la Società italiana per l’organizzazione internazionale.

13 Di sistema profondamente sovrannazionale parla M. FRAGOLA, “Governance” dell’Unione Europea, sovrannazionalità e modelli applicabili: un tentativo di riordino alla luce della Costituzione dell’Unione Europea, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali n. 3/2006, 427.

14 Più che ad un ordinamento internazionale l’ordinamento comunitario viene ricondotto dai più ad un ordinamento sopranazionale.

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esso non conoscerebbe un ramo della

normazione qualificabile come diritto

amministrativo15.

Secondo questa tesi, invero espressa

quando l’ordinamento comunitario era agli

albori, non sarebbe concepibile un diritto

amministrativo16 tecnicamente inteso laddove

nell’ordinamento preso in considerazione non

si riscontri la presenza di due requisiti

strutturali:

1) la generalità dei fini e

2) la plurisoggettività individuale17.

15 Recentemente si è aperta una diatriba in Francia tra accademici. Una folta schiera di autorevoli Professori di diritto hanno inviato una lettera al Presidente della Repubblica nella quale invitano a non studiare il diritto comunitario che, a loro dire, non costituirebbe un vero e proprio diritto. A questo durissimo attacco rivolto al diritto comunitario ha risposto altra parte del mondo accademico francese sempre con una lettera rivolta al Capo dello Stato. Le lettere sono pubblicate in Il diritto dell’Unione Europea n. 2/2007, 455 e ss.

16 già nel 1965 G. SACCHI MORSIANI, cit., pag. 7 e ss., aveva intuito la genesi di un diritto amministrativo comunitario, tant’è che così si esprimeva: “…ciò tuttavia non significa ancora che ci troviamo in presenza di ordinamenti a diritto amministrativo; ipotesi questa che sembra per ora giustificarsi soltanto sulla constatazione assai evidente, ma di per sé ovviamente non decisiva, che l’ordinamento comunitario ha preso vita e forma per iniziativa di Stati continentali europei caratterizzati da ordinamenti “a regime amministrativo”.

17 Deve ritenersi che le conclusioni cui pervenne l'Illustre Autore furono influenzate dall'osservazione che le Comunità europee nacquero come insieme di organismi sopranazionali specializzati. CLAUDIO FRANCHINI, Les notions d'administration indirecte et de coadministration in Droit Administratif Européen sotto la direzione di JEAN BERNARD AUBY E JACQUELINE DUTHEIL DE LA ROCHÈRE, Bruxelles, 2007, 245 e ss., ha osservato come tra le idee europeiste dei Fondatori, ossia tra quelle di Monnet e quelle di Altiero Spinelli (quest'ultimo immaginava la costruzione di uno Stato federale, ossia l'edificazione di un'Europa politica), prevalsero le idee del Francese.

1

L’Illustre sostenitore di questa tesi

concludeva la sua analisi sostenendo, quindi,

che l’ordinamento comunitario non avesse i

due requisiti sopra elencati e che i

riferimenti ai vizi degli atti comunitari

contenuti nell’art. 230, II comma, del

Trattato – ora art. 263 paragrafo II del TFUE

- (violazione di legge, sviamento di potere,

incompetenza, violazione delle forme) e ad

altri istituti tipici del diritto

amministrativo non fossero altro che

suggestioni dovute al trapianto

nell'ordinamento comunitario, meramente

terminologico peraltro, di tali figure dagli

ordinamenti degli Stati membri, e da quello

francese in particolare.

Come detto, tale conclusione risentiva

inevitabilmente del periodo, ormai datato,

nel quale tale tesi è stata formulata.

Recente dottrina18 l’ha quindi

rivisitata, giungendo a conclusioni opposte,

alla luce dell’evoluzione dell’ordinamento

comunitario mantenendo fermo, peraltro,

l’assunto di teoria generale che regge la

lezione gianniniana: l’esistenza dell’atto

amministrativo è concepibile solo in

ordinamenti a fini generali ed a

plurisoggettività individuale19. 18 S.STICCHI DAMIANI, L’atto amministrativo nell’ordinamento comunitario. Contributo allo studio della nozione, Torino, 2006, pag. 9.

19 Nella presentazione al testo di M.S.GIANNINI, cit., STEFANO BATTINI conclude nel senso che l’evoluzione del diritto comunitario lascia pochi dubbi circa l’esistenza di un diritto amministrativo europeo e che tale convinzione è patrimonio comune della scienza giuridica contemporanea. Anche la dottrina più recente (si veda per

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Occorre osservare, peraltro, che il

tema, nei termini appena esposti, ha perso

gran parte della sua attualità. Oggi,

infatti, non si discute più dell’esistenza o

meno di un diritto amministrativo

comunitario20; viceversa, dandone per scontata

la sua esistenza21, si discorre circa i

rapporti di questo con i singoli ordinamenti

nazionali22 e ci si interroga su cosa ci sia

di nuovo, rispetto ai diritti amministrativi

nazionali, nel diritto amministrativo

europeo23.

tutti CASSESE, I lineamenti essenziali del diritto amministrativo comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1991, 3) qualifica l’ordinamento comunitario come “sistema a fini tendenzialmente generali”.

20 R. MANFRELLOTTI, L’Amministrazione europea: l’evolversi di un modello, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario n. 3-4/2005, 1179, sostiene “l’ampliarsi dei compiti attribuiti alla Comunità ha determinato la crescita della struttura amministrativa di quest’ultima ed il sorgere di un diritto amministrativo europeo”.

21 In termini più generali si è osservato che in ambito europeo si assiste ad un “diritto amministrativo senza lo Stato” (così G. DELLA CANANEA, Diritto amministrativo europeo, Principi ed istituti, Milano, 2006, pag. 8 e ss.; di “Costituzione senza Stato” parla L. TORCHIA, in Dir. pubb., 2001, 405 e ss. con riferimento al processo costituzionale avviato con le Dichiarazioni di Laeken); ad un diritto amministrativo figlio, a differenza dei diritti amministrativi nazionali, non del dispotismo ma dell’esigenza quanto mai pragmatica di garantire le libertà ed i diritti dei privati. Tali peculiarità, come si vedrà, si riverberano in maniera originale sulla ricostruzione delle figure giuridiche così come conosciute dalle tradizioni giuridiche nazionali.

22 S. CASSESE, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, seconda lettura della Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, tenutasi il 17 maggio 2002, presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca, in Riv. ital. Dir. pubbl. comunitario, 2002, 291 e ss.

23 S. CASSESE, Il diritto amministrativo europeo presenta caratteri originali?, in Rivista di diritto pubblico, 2003, 35 e ss. per il quale “sotto l’apparente somiglianza con i diritti amministrativi statali, vi è un tratto originale del diritto amministrativo europeo. Questo è costituito dall’adozione, nell’area europea, dell’interest representation model e dalla sua utilizzazione anche nei riguardi degli Stati. Questi ultimi, catturati nel dialogo e nel contraddittorio, sono, però, sia pur parzialmente, ridotti al rango di centri di

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I.IV. L'indistinzione tra funzione normativa e funzione esecutiva come causa della difficile individuazione dell'atto amministrativo

Tanto premesso occorre dire che,

anticipando in parte ciò che si cercherà di

dimostrare in seguito, è abbastanza

problematica un’assimilazione dell’atto

amministrativo comunitario con quello

nazionale in considerazione del fatto che

nell’ordinamento comunitario è difficile la

stessa individuazione di un atto

amministrativo essendo incompleta, a monte,

la stessa distinzione tra normazione e

amministrazione24 25.

Tale fenomeno era particolarmente

evidente nella prima fase di vita delle

Comunità nel quale, a fianco ad un chiaro e

riconoscibile potere giurisdizionale

attribuito alla Corte di Giustizia, non si

riscontrava un titolare unico del potere

esecutivo e di quello normativo e,

soprattutto, non si riscontrava una linea di

cura di interessi privati”.24 G. DELLA CANANEA, cit., Milano, 2006, pag. 46. 25 G. DELLA CANANEA, cit., pagg. 52 e s. ha osservato, ulteriormente, che a livello di studio del diritto comunitario non esiste neanche quella separazione che la scienza giuridica nazionale ha ormai coltivato da tempo tra il diritto amministrativo ed il diritto costituzionale.

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demarcazione tra gli atti normativi e quelli

esecutivi26.

Ciò era addebitato ad una serie di

fattori; tra i tanti, particolare “peso”

aveva il timore degli Stati nazionali di

creare un potere esecutivo “forte” capace di

offuscare i singoli poteri esecutivi

nazionali; il tutto sul presupposto che il

Governo e l’apparato esecutivo fossero il

centro27 del potere da conservare gelosamente.

26 G. SACCHI MORSIANI, cit., 108 e ss, osserva che l’“indifferenziazione” dei poteri e dei relativi atti porta ad affacciarsi alla coscienza dei giuristi un fenomeno che riflette lo sviluppo di figure che mettono in crisi taluni canoni propri del metodo classico degli studi giuridici; canoni derivanti dai concetti di astrattezza e generalità della norma in contrapposto alla concreta operatività che è propria dell’atto amministrativo. Tale “indifferenziazione” è, secondo questa dottrina, evidente anche nella realtà dell’ordinamento nazionale dove l’esercizio di attività a contenuto generale e particolare, astratto e concreto, venga cumulativamente attribuito, in base a criteri di pratica opportunità, indifferentemente ad organi del legislativo o dell’esecutivo e possa esplicarsi attraverso molteplici categorie di atti (legge, legge-provvedimento, regolamento, provvedimento generale a carattere non normativo ecc.) in una situazione nella quale, in larga parte dei casi, l’ordine secondo l’aspetto formale non corrisponde all’ordine secondo l’aspetto contenutistico. L’Illustre Autore nota, inoltre, che lo sviluppo di queste figure è propria in particolare dell’evoluzione del potere amministrativo dello Stato in relazione all’attività economica privata e cita, sul punto, il pensiero espresso da V.SPAGNUOLO VIGORITA in Attività economica privata e potere amministrativo, Napoli, 1962 e Aspetti giuridici della disciplina dell’iniziativa privata, in Il diritto dell’economia, 1955, 986 e ss.

27 Gli Stati Nazione sono stati costruiti intorno al potere esecutivo. Gli Organi legislativi e giudiziari sono addizioni successive. D’altronde, mentre il potere legislativo e giudiziario statale è normalmente frazionato tra più centri di potere, due camere o più organi giurisdizionali, il potere esecutivo è tradizionalmente riconducibile ad un centro unitario. Così, nella sostanza, S. CASSESE nelle lezioni di “European Adminstrative Law” tenute alla New York University School of law dal 24 agosto al 14 ottobre 2004 e tradotte ed aggiornate da M. SAVINO, in G. DELLA CANANEA, cit., pagg. 169 e ss.

1

In quest’ottica va letta l’originaria

volontà di costruire una Comunità Europea con

fini limitati e apparati amministrativi

snellissimi che, per il loro funzionamento,

necessitavano dell’apporto delle

amministrazioni nazionali28.

In questa prima fase di vita

dell’ordinamento comunitario ha avuto,

infatti, una particolare importanza la

procedura di amministrazione cd. indiretta29,

caratterizzata dall’utilizzo “comunitario”

delle amministrazioni nazionali e, viceversa,

non è quasi mai risultata adoperata la

procedura di amministrazione cd. diretta,

caratterizzata dalla cura dell’interesse

comunitario a livello sopranazionale,

presupponendo quest'ultima un’organizzazione

di mezzi e uomini all’epoca assente.

28 Si v. E. CHITI e G.DELLA CANANEA, L’attività amministrativa, in G. DELLA CANANEA, cit., 89 e ss., dove si osserva che, ancora oggi, “priva com’è di uffici periferici e di mezzi finanziari paragonabili a quelli di cui di cui dispongono le amministrazioni degli Stati federali, l’amministrazione europea non può fare a meno dell’apporto delle burocrazie nazionali. Inoltre essa è priva di un elemento che contraddistingue le potestà delle pubbliche amministrazioni nei Paesi continentali”, ossia quella che nel nostro ordinamento viene designata come autotutela. Nell’ordinamento comunitario, infatti, per ottenere “che i pubblici poteri nazionali rispettino gli obblighi che discendono dall’appartenenza all’Unione, la Commissione deve rivolgersi al giudice.”

29 questo modulo organizzativo appare la coerente applicazione dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. In particolare, per il rispetto del principio di sussidiarietà, l’amministrazione comunitaria ha il potere di eseguire il diritto comunitario solo se l’ampiezza o gli effetti dell’azione proposta rendono i poteri statali insufficienti: il potere esecutivo dell’Unione Europea è perciò residuale e non monopolistico. Così S. CASSESE, ult. cit., 173.

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Acuta dottrina30, peraltro, osserva che

un’altra causa dell’indistinzione

comunitaria31 tra funzione normativa e

funzione amministrativa è da rinvenire

nell’assenza “a livello comunitario di un

potere legislativo che possa, al pari di

quello statale, disporre direttamente di un

residuo di sovranità, nel senso che sia

libero di determinarsi nei soli limiti

fissati dalla Costituzione.”

In sostanza, non esisterebbe un rapporto

“Trattati/normativa derivata” assimilabile al

rapporto “Costituzione/leggi ordinarie”

tipico dei sistemi nazionali.

A livello comunitario la normativa

derivata è legittimata da un esplicito32

riferimento contenuto nei Trattati; la

normativa primaria statale, invece, è libera

nei fini ed incontra un limite meramente

negativo nella Carta Costituzionale.

30 G. SACCHI MORSIANI, cit., 124 e ss.31 Nella Dichiarazione di Laeken del 14 e 15 dicembre 2001, con la quale si è convocata la Convenzione per l’Europa, è individuata tra le “sfide le riforme in un’Unione rinnovata” l’esigenza di “una semplificazione degli strumenti dell’Unione” ed è anche segnalata la necessità di verificare se “gli strumenti dell’Unione non possano essere circoscritti meglio e se il loro numero non possa essere ridotto” e, infine, se occorre “introdurre una distinzione tra misure legislative e misure di attuazione”. Così B. DE MARIA, Legge europea e sistema delle fonti, in Il Trattato costituzionale nel processo di integrazione europea a cura di M. SCUDIERO, t.I, Napoli, 2005, 572. Si veda, altresì, G.GRECO, Profili di diritto amministrativo e ruolo della Commissione nel progetto di Costituzione Europea (note a prima lettura), in Riv. it. dir. pubbl. comunitario n. 3-4/2005, 1113.

32 E' il portato del principio di attribuzione, sancito nei previgenti Trattati e ribadito, da ultimo, nel Trattato di Lisbona. Il principio di attribuzione, peraltro, fa salvo l’uso dei cd. poteri impliciti di cui al previgente art. 308 del Trattato.

1

In un sistema comunitario così descritto

il concetto di funzione esecutiva (dei

Trattati) si amplia e diviene capace di

inglobare la funzione normativa e quella

amministrativa. O, sotto altra visuale, la

stessa funzione normativa è parte della più

ampia funzione esecutiva attribuita agli

Organi comunitari33.

Si comprende, dunque, la scelta del

legislatore comunitario di elencare all’art.

263 paragrafo II del Trattato sul

funzionamento dell'Unione Europea una serie

di vizi riferiti a provvedimenti34

(regolamenti, direttive, decisioni,

raccomandazioni e pareri) dei quali non è

33 a livello di atti non si è discusso, per lungo tempo, di atto legislativo bensì di atti a contenuto normativo la cui “funzione esecutiva dei Trattati” li avvicina, non solo nel nome, ai regolamenti conosciuti nel diritto nazionale. La questione potrebbe essere rivisitata non solo alla luce della considerazione che il Trattato di Lisbona ha attributo ad alcuni atti comunitari la valenza di atti legislativi ma sulla base di una rivisitazione – accennata da una parte della dottrina – del rapporto, all'interno dei sistemi nazionali, tra Costituzione e leggi. Queste ultime andrebbero considerate come esecuzione della prima.

34 G.GRECO, cit., 1123, nel notare che quest’elencazione dei vizi degli atti comunitari è ripresa in blocco nella Costituzione per l’Europa, osserva “…Si tratta dunque – come per il passato – della patologia tipica degli atti amministrativi (illegittimità-annullabilità) e conferma che nel sistema dell’Unione il regime dell’atto amministrativo non solo è presente, ma è anche esteso agli atti di normazione primaria e cioè alle leggi….Con il che risultano smentiti numerosi preconcetti e prese di posizione, che assumono il sistema ad atto amministrativo come recessivo nel contesto comunitario, che prospettano la necessità di disapplicazione degli atti amministrativi contrastanti col diritto comunitario o addirittura riconnettono ad atti così viziati la patologia più radicale della nullità ritenuta consona al tipo di norma violata. La privatizzazione dell’attività amministrativa, auspicabile o meno che sia, non costituisce una necessità comunitaria. E la miglior conferma è data proprio dal regime degli atti comunitari, ove anzi si registra – come si è visto – un carattere pervasivo di tale regime in quanto applicato anche alle leggi.

1

sempre agevole scorgerne la natura normativa

o amministrativa: l’“indistinzione” tra

funzioni normative e funzioni esecutive si

ripercuote emblematicamente, quindi, sugli

atti giuridici.

Non è senz'altro possibile, del resto,

distinguere gli atti normativi da quelli

amministrativi facendo affidamento sul

criterio “soggettivo”, ossia riferendosi

all’Istituzione emanante.

In primo luogo non è facile attribuire

ad una sola Istituzione comunitaria

rispettivamente la qualifica di Organo

legislativo e di Organo esecutivo; basti

pensare che se è vero che, almeno nella

versione originaria dei Trattati comunitari,

la funzione normativa primaria era

sicuramente attribuita al Consiglio, la

funzione esecutiva35 non era in toto

attribuita alla Commissione36.

Anzi, a ben vedere, la funzione

esecutiva è attribuita al Consiglio (art.

202)37; quest'ultimo, peraltro, può (ed entro

certi limiti “deve”) sottoporre tali

competenze, determinandone le modalità, alla

Commissione (art. 211). La compartecipazione

35 Autorità amministrativa, nel disegno della Costituzione per l’Europa, sono Consiglio dei Ministri e Commissione, escluse particolari fattispecie per le quali sono riconducibili a tale categoria anche BCE e Consiglio Europeo: così G. GRECO, cit., 1114,

36 K. CAUNES, Et la fonction exécutive europeénne créa l’administration à son image… Retour vers le futur de la comitologie, in Revue trimestrielle de droit europeén, n°2 avril-juin 2007, 297 ss.

37 R.BARATTA, Le principali novità del trattato di Lisbona, in Il Diritto dell’Unione Europea 1/08, pagg. 21 e ss.

1

soggettiva38 delle medesime istituzioni

all’interno di funzioni differenti continua,

dunque, nonostante i descritti cambiamenti,

ad essere un tratto caratterizzante del

sistema comunitario che impedisce di

qualificare le singole istituzioni solo come

legislative o solo come esecutive39.

Gli atti esecutivi, infatti, che sono

gli atti più facilmente assimilabili agli

atti amministrativi di diritto nazionale,

sono emanati tanto dal Consiglio quanto dalla

Commissione; al fine di enuclearne un

criterio discretivo non è, quindi, dirimente

un criterio che faccia esclusivo riferimento

all’origine soggettiva dell’atto emanato.

Anche se, ed è questa una prima

conclusione cui si può giungere, gli atti

emanati dalla Commissione sono senz'altro

riconducibili a funzioni di carattere

essenzialmente esecutivo40.

Come si avrà modo di verificare,

peraltro, tale conclusione non può indurre a

pensare che la Commissione agisca sempre

tramite atti che, con una terminologia

nazionale, potremmo definire amministrativi.

La migliore dottrina ha, infatti, rimarcato

38 di esecutivo europeo “bicefalo” con “due teste”ed al tempo stesso “nomade” potendo i poteri esecutivi essere conferiti dal Consiglio alla Commissione parla S. CASSESE nelle lezioni di “European Adminstrative Law” tenute alla New York University School of law dal 24 agosto al 14 ottobre 2004 e tradotte ed aggiornate da M SAVINO, in G. DELLA CANANEA, cit., 169 e ss.

39 testualmente, S.STICCHI DAMIANI, cit., 151.40 Anche nel progetto di Costituzione per l’Europa: così, G.GRECO, cit., 1113.

1

come nella funzione esecutiva comunitaria

debba ricomprendersi quella funzione

normativa terziaria che, sempre utilizzando

una terminologia nazionale, si esprime

attraverso i regolamenti di esecuzione.

E’ evidente, allora, come tutto il

quadro sistematico così delineato sia dotato

di un’originale complessità: volendo, in modo

improprio ma latamente comparatistico,

schematizzare il sistema comunitario potremmo

affermare che il Consiglio può emanare atti

che nell’ordinamento interno qualificheremmo

come “leggi, regolamenti ed atti

amministrativi”, mentre la Commissione potrà

emanare “regolamenti ed atti amministrativi”.

Tale complessità risulterà ancora più

articolata ove si consideri che gli atti

comunitari hanno una natura di per sé stessa

“ibrida”: il regolamento comunitario,

infatti, potrà essere utilizzato tanto per

l’esercizio di una funzione normativa (dal

carattere secondario-legislativo) quanto per

l’esercizio di una funzione esecutiva (dal

carattere terziario-regolamentare); la stessa

decisione avrà normalmente una natura

esecutiva ma, non di rado, assume la veste

tipica dell'atto normativo41.41 A testimonianza di questa natura “ambivalente” delle decisioni, nell’ottica di semplificazione e riordinamento del sistema delle fonti comunitarie, il Presidente del IX Gruppo di lavoro della Convenzione per l’Europa (Giuliano Amato) – nella presentazione della relazione finale di detto gruppo alla sessione plenaria del 2002 – si è soffermato sulle proposte di suddividere gli atti vincolanti in legislativi e in atti non legislativi, rimarcando che ciò avrebbe implicato che la “legge è chiamata a coprire anche situazioni che oggi sono collocate sotto la decisione”

1

Autorevole e recente dottrina42

evidenzia come, in seguito, tale

“indistinzione” di funzioni sia stata, almeno

in parte, attenuata43 dall’accresciuto ruolo

del Parlamento europeo che, da Organo avente

funzioni meramente consultive e mai

vincolanti, è divenuto, a far data

dall’introduzione dell’Atto Unico Europeo

(1986), protagonista della fase normativa

attraverso le procedure della cooperazione,

del parere conforme e, soprattutto, della

codecisione.

L’accresciuto ruolo del Parlamento44 ha

fatto emergere, a parere della citata

dottrina, un potere che si può definire

legislativo45 e che, quindi, risulta più

42 STICCHI DAMIANI, cit., 132.43 Tuttavia – in modo emblematico – lo stesso Praesidium della Convenzione per l’Europa – pur proponendo definizioni distinte e discipline separate per gli atti legislativi, per quelli non legislativi e per gli atti esecutivi – non distingue in modo rigoroso la titolarità di funzioni legislative e di quelle esecutive e ciò per la difficoltà dell’attuale geometria del disegno istituzionale europeo. Così B. DE MARIA, cit., 586.

44 Sul ruolo del Parlamento Europeo nell’architettura della Costituzione per l’Europa – come noto non ratificata da tutti gli Stati membri e quindi mai entrata in vigore, si veda R. BIEBER, Le renforcement du Parlament europeén, in Revue des Affaires européens, 2/2006, 223 e ss.

45 Il tentativo di rendere evidente, anche per ragioni di “democraticità sostanziale” del sistema, la distinzione tra potere legislativo e potere esecutivo ha avuto la sua massima espressione nella Costituzione per l’Europa. In essa rinveniamo la distinzione tra atti legislativi, atti non legislativi e atti esecutivi. Sia pur in modo non rigoroso – in considerazione delle peculiarità dell’ordinamento comunitario – si è cercato di disegnare un riparto di competenze che vede il potere legislativo attribuito al Consiglio ed al Parlamento (di procedimento “bicamerale” hanno parlato, in proposito, G. AMATO, Verso la Costituzione europea, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2003, 294 e F. SORRENTINO, Considerazioni introduttive sulle nuovi fonti del diritto europeo, in Dir. pubbl. comp. eur., 2003, 1750); il potere

1

facilmente distinguibile dal potere normativo

secondario o esecutivo delle leggi.

Parallelamente, si è osservato46, è

divenuta più facilmente identificabile la

stessa funzione esecutiva e, in particolare,

quella parte di essa che si esprime

attraverso atti individuali. Infatti,

esecutivo tendenzialmente affidato alla Commissione. Natura legislativa – nel disegno dei costituenti europei – hanno in particolare la legge europea e la legge quadro.Per B. DE MARIA, cit., 596, “Benché la disciplina della legge europea e della legge quadro non si discosta in modo marcato da quella che il diritto dei Trattati pone per i regolamenti e le direttive, non può sfuggire il peso politico ed altamente simbolico di questa svolta terminologica che……fornisce una chiara e netta indicazione sull’intento dei protagonisti della costruzione comunitaria di voler procedere in direzione di un rafforzamento anche qualitativo e strutturale del processo di integrazione”. L’Autore rimarca, peraltro, che da almeno un ventennio la giurisprudenza comunitaria (tra le tante si vedano: sentenza 10 luglio 2003, causa C-15/00, Commissione/Bei, Racc. I-7281 ss; sentenza 21 gennaio 2003, causa C-378/00, Commissione/Parlamento e Consiglio Ue, Racc. I-937 ss; sentenza 10 dicembre 2002, causa C-491/01, British American Tabacco, Racc. I-11453) fa riferimento a termini quali “legislatore comunitario”, “legislazione comunitaria”, “legge”, riferendosi specificamente al potere delle Istituzioni di adottare soprattutto regolamenti e direttive o “atti di base” (ossia atti che attribuiscono competenze di attuazione o esecuzione). Osserva, poi, che “in sostanza è nell’esperienza comunitaria, prima ancora che nelle formule prescelte dal Trattato costituzionale, che si sono individuati criteri distintivi tra atti normativi di portata generale, che derivano direttamente dal Trattato e che contengono scelte politiche fondamentali, ed atti che in questi ultimi trovano il loro presupposto legittimante e che, benché contemplati dai Trattati non possono intervenire se non espressamente previsti da un atto di base….Non si vuole in tal modo sostenere che prima dei lavori della Convenzione si fosse già affermata nella sostanza delle fonti dell’ordinamento comunitario una chiara e netta distinzione tra la sfera legislativa e quella esecutiva, poiché così facendo si negherebbe la complessità del sistema e dell’ordinamento comunitario…..Insomma, alla base delle scelte compiute in ordine alla riorganizzazione degli strumenti di esercizio delle competenze dell’Unione si intravede lo scopo di rendere questo sistema di atti più omogeneo rispetto al nuovo assetto che il principio democratico ed i suoi corollari hanno ormai assunto nell’ordinamento comunitario; ed è soprattutto sotto quest’ultimo profilo che si coglie il significato simbolico della nuova denominazione delle fonti del diritto che derivano dal

1

l’accresciuto “peso” delle procedure in

amministrazione diretta, di pari passo con

l’aumento – non solo in termini di risorse

umane e mezzi - della burocrazia comunitaria,

ha stimolato in modo sensibile la produzione

di tale tipologia di atti47.

Più che i soggetti, allora, si

suggerisce48 di utilizzare quale ausilio per

una differenziazione tra le funzioni il

criterio procedurale49: infatti, nella

funzione “legislativa” si applicano le

procedure del parere conforme, della

cooperazione o della codecisione50; nella

funzione esecutiva51 in via normativa si

Trattato.”46 Così la Nota del praesidium – Convenzione europea, Strumenti giuridici: sistema attuale, CONV n. 50/2002, del 15 maggio 2002, par. 2, citata in STICCHI DAMIANI, cit., 133.

47 Interessantissime appaiono le considerazioni di R. MANFRELLOTTI, cit., 1179 e ss. Si veda, altresì, C. FRANCHINI, L’impatto dell’integrazione comunitaria sulle relazioni al vertice dell’amministrazione. Poteri governativi e poteri amministrativi, in Riv. it. dir. pubbl., 1991, 777 e ss.

48 S. STICCHI DAMIANI, cit.49 peraltro, B. DI MARIA, cit., 719, osserva che non vi è, attualmente, corrispondenza tra atto e procedimento.

50 I membri della Convenzione Europea, nel preparare il testo della Costituzione per l’Europa, si sono espressi in modo omogeneo rispetto alla possibilità di assumere ad archetipo del procedimento legislativo la procedura di “codecisione”. Così, B.DI MARIA, cit., 575. Sull’accostamento del nomen “legge” alla procedura di codecisione si veda anche C. PINELLI, Gerarchia delle fonti comunitarie e principio di sussidiarietà e proporzionalità, in Il Diritto U.E., 1999, 726.

51 Nella funzione esecutiva in via “amministrativa” la diversità di procedimento utilizzato (esecuzione diretta, procedimenti compositi, procedimenti “in funzione comunitaria”) rileva – come si vedrà nei successivi paragrafi del presente lavoro – rilevare, al più, ai fini dell’individuazione della “comunitarietà” di un atto. Sui procedimenti amministrativi si v. E. CHITI e G.DELLA CANANEA, cit., in G. DELLA CANANEA, cit., 100 e ss.

1

applicano le procedure previste dai

regolamenti sulla c.d. comitatologia.

Invece, a nulla servirà il criterio

“formale”, ossia del tipo di atto utilizzato.

Come anticipato, nell’esercizio52 delle varie

funzioni gli atti tipici vincolanti sono

sempre i regolamenti, le direttive e le

decisioni53.

I.V. Le novità derivanti dalla ratifica del Trattato di Lisbona

Le considerazioni esposte ai precedenti

paragrafi vanno confrontate col mutato quadro

normativo54 disegnato dal Trattato di Lisbona,

stipulato nel giugno del 2007. 52 Sulla natura “anomala” e “asistematica” del sistema degli atti (o delle fonti) comunitarie si veda A. D’ATENA, L’anomalo assetto delle fonti comunitarie, in A. D’ATENA – P.GROSSI (a cura di), Diritto, diritti e autonomie tra Unione Europea e riforme costituzionali, Milano, 2003, 3 ss.

53 Per parte della dottrina (v. G.L. TOSATO, voce Regolamenti comunitari, in Enc. Dir., XXXIX, Milano, 1988, 689), tra questi atti è possibile configurare – sia pur con importanti precisazioni – un rapporto di gerarchia; per la dottrina prevalente (A. TIZZANO, La gerarchia delle norme comunitarie in Dir. U.E., 1996, 57 ss.; C. PINELLI, cit., 725 ss ) e per la Corte di Giustizia (v. sentenza 28 giugno 1990, causa C-174/89, Hoche, in Racc. I-2681) tale criterio non è utilizzabile per la comprensione delle dinamiche interne all’ordinamento comunitario. La Corte – in particolare – fa riferimento ai criteri della competenza o della specialità. Di rapporto di subordinazione può, più in generale, parlarsi con riferimento al rapporto tra atti normativi ed atti esecutivi.

54 Il Trattato di Lisbona non ha riprodotto l’unificazione del diritto primario prevista dalla Costituzione Europea; esso resta suddiviso in due Trattati principali: uno sull’Unione Europea (TUE) e uno sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) rispettivamente di 55 e 358 articoli.

1

Per avviare una prima analisi appare

opportuno trascrivere le norme che assumono

una particolare rilevanza ai fini della

presente ricerca.

L'art. 14 paragrafo 1 del TUE ha

espressamente previsto che “Il Parlamento

europeo esercita, congiuntamente al

Consiglio, la funzione legislativa e la

funzione di bilancio...”.

L'art. 17 paragrafo 1 del TUE prevede,

tra l'altro, che: “La Commissione promuove

l'interesse generale dell'Unione e adotta le

iniziative appropriate a tale fine...Dà

esecuzione ai bilanci e gestisce i programmi.

Esercita funzioni di coordinamento,

esecuzione e di gestione, alle condizioni

stabilite dai trattati.

L'art. 263 del nuovo TFUE, I e II

paragrafo, dispone che: “La Corte di

Giustizia dell'Unione Europea esercita un

controllo di legittimità sugli atti

legislativi, sugli atti del Consiglio, della

Commissione, della Banca Centrale Europea che

non siano raccomandazioni o pareri, nonché

sugli atti del Parlamento europeo e del

Consiglio Europeo destinati a produrre

effetti giuridici nei confronti di terzi.

Esercita inoltre un controllo di legittimità

sugli atti degli Organi o degli Organismi

dell'Unione destinati a produrre effetti

giuridici nei confronti di terzi. A tal fine,

la Corte è competente a pronunciarsi sui

1

ricorsi per incompetenza, violazione delle

forme sostanziali, violazione dei Trattati o

di qualsiasi altra regola di diritto relativa

alla loro applicazione, ovvero per sviamento

di potere, proposti da uno Stato membro, dal

Parlamento europeo, dal Consiglio o dalla

Commissione.”

L'art. 288, paragrafo I, TFUE ribadisce

che: “Per esercitare le competenze

dell'Unione, le Istituzioni adottano

regolamenti, direttive, decisioni,

raccomandazioni e pareri.”

L'art. 289, paragrafo I, TFUE, dispone

che: “La procedura legislativa ordinaria

consiste nell'adozione congiunta di un

regolamento, di una direttiva o di una

decisione da parte del Parlamento Europeo e

del Consiglio su proposta della Commissione.

Tale procedura è definita dall'art. 294.”

Il paragrafo III della medesima norma

prevede che: “Gli atti giuridici adottati

mediante procedura legislativa sono atti

legislativi.”

L'art. 290 TFUE prevede, poi, la

possibilità che un atto legislativo deferisca

alla Commissione la possibilità di adottare

atti non legislativi di portata generale che

integrano o modificano determinati elementi

non essenziali dell'atto legislativo.

1

Fondamentale ai fini di questo lavoro è,

poi, il nuovo art. 291 TFUE55 per il quale

“Gli Stati membri adottano tutte le misure di

diritto interno necessarie per l'attuazione

degli atti giuridicamente vincolanti

dell'Unione.

Allorché sono necessarie condizioni

uniformi di esecuzione degli atti

giuridicamente vincolanti dell'Unione, questi

conferiscono competenze di esecuzione alla

Commissione, o, in casi specifici debitamente

motivati e nelle circostanze previste dagli

artt. 24 e 26 del TUE, al Consiglio.

55 Interessantissimo, sul punto, si è rivelato l'intervento (reperibile sia pur in sintesi sul sito http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/site/it-IT/Sezioni/Convegni_e_Resoconti/Resoconti/Documento/istituzioni_europee_e_trattato_lisbona.html) offerto dal Prof. Jacques Ziller, in un convegno organizzato presso la Scuola di dottorato in diritto amministrativo istituita presso l'Università “La Sapienza” di Roma, il quale ha riflettuto sul nuovo assetto istituzionale dopo il Trattato di Lisbona sottolineando la maggiore chiarezza che dal medesimo risulta in ordine alla separazione dei poteri; infatti, il Trattato, delimitando le funzioni attribuite alle sette istituzioni ha contribuito ad offrire un quadro di maggior chiarezza complessiva al quadro istituzionale. Inoltre, l'Illustre relatore ha rilevato l’importanza dell’art. 291, disposizione che individua chiaramente il ruolo delle istituzioni nazionali: parlamenti nazionali, governi e amministrazioni pubbliche, che diventano (anche) istituzioni dell’Unione. Dalla struttura delineatasi, secondo il Professore, deriva una situazione di chiarezza nella definizione dei compiti delle istituzioni, ma che al contempo introduce una certa complessità nel panorama dei meccanismi di raccordo tra istituzioni comunitarie e istituzioni nazionali, che moltiplicano in pratica le sedi decisionali. Infatti, per quanto riguarda le funzioni, viene evidenziata la funzione esecutiva, svolta non più solo dalla Commissione e dal Consiglio, ma ora anche dagli Stati membri, il cui controllo spetta alle Corti e ai Parlamenti; e una funzione giurisdizionale che estende l’ambito di applicazione di tutela della Corte di Giustizia a quasi tutti i settori, ad eccezione della politica estera e sicurezza comune.

1

Ai fini del paragrafo II, il Parlamento

Europeo ed il Consiglio, deliberando mediante

regolamenti secondo la procedura legislativa

ordinaria, stabiliscono preventivamente le

regole ed i principi generali relativi alle

modalità di controllo da parte degli Stati

membri dell'esercizio delle competenze di

esecuzione attribuite alla Commissione.

I termini “di esecuzione” sono inseriti

nel titolo degli atti di esecuzione.”

Una prima lettura delle citate norme

impone la riflessione per la quale il potere

di eseguire le disposizioni dei trattati

spetta, in primo luogo, ai singoli Stati

membri.

Pertanto, ancora oggi, sembrerebbe

confermarsi la centralità del modello di

amministrazione indiretta.

Esso, a parere di chi scrive, non può

più intendersi tuttavia come necessaria

conseguenza della mancanza di un apparato

burocratico dell'Unione Europea.

Infatti, come visto, le Istituzioni

comunitarie sono ormai dotate di un apparato

molto articolato.

Tale modello è, invece, del tutto

coerente con il sempre maggior peso giuridico

e “politico” assunto nel corso degli anni dai

principi di sussidiarietà e proporzionalità56.

56 Sul principio di proporzionalità si veda il paragrafo V del capitolo IV del presente lavoro e, da ultimo, le

1

Proprio la contemporanea valorizzazione

di questi due principi consente, del resto,

di offrire l'esatta interpretazione del

paragrafo II dell'art. 291 che prevede una

competenza “residuale” di esecuzione da parte

della Commissione o, in ultima analisi, del

Consiglio.

In quest'ottica non può che rilevarsi la

non rispondenza all'attuale dettato dei

trattati dell'affermazione che vorrebbe la

Commissione come detentrice del potere

esecutivo nell'ordinamento comunitario.

Tale asserzione, che comunque dovrebbe

sempre tener conto delle peculiarità del

potere esecutivo comunitario rispetto ad un

classico potere esecutivo nazionale, si

scontrerebbe con l'osservazione che i

Trattati hanno previsto una forma di

controllo, preventivo da parte del Consiglio

e del Parlamento Europeo e successivo da

parte degli Stati membri e, se del caso,

della Corte di Giustizia, sull'attività

esecutiva della Commissione.

Si rinnova pertanto l'attenzione delle

Parti contraenti sull'esercizio dei poteri

esecutivi che, peraltro, non trova più solo

come ragione giustificatrice il timore di

delegare troppi poteri ad un'Autorità

sovranazionale quale la Commissione ma,

altresì, la necessaria valorizzazione del

applicazioni della giurisprudenza italiana commentate da F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, in Collana Manuali diretta da F. CARINGELLA, S. MAZZAMUTO e G. MORBIDELLI, Roma, 2010, III ed., pag. 942 e ss.

1

principio di democraticità delle Istituzioni

comunitarie la cui importanza è sottolineata

dal TUE.

In secondo luogo, stante la sempre

maggiore articolazione dei procedimenti

nazionali di attuazione delle disposizioni

comunitarie, si impone un altrettanto

approfondito esame della natura degli atti,

comunitari o nazionali, che si inseriscono

nelle varie sequenze procedimentali e che

sono idonei a produrre effetti giuridici nei

confronti dei terzi.

Si vuol rilevare (anticipando, in parte,

quanto sarà esposto nel prossimo capitolo),

in sintesi, che all'ordinarietà del sistema

di amministrazione indiretta non deve seguire

necessariamente il sindacato del giudice

nazionale sugli atti di rilevanza comunitaria

qualora l'atto effettivamente produttivo di

effetti per i terzi abbia, sulla base dei

principi espressi dalla Corte di Giustizia,

natura comunitaria.

Ciò detto, è altrettanto chiaro che il

Trattato di Lisbona non ha stravolto

l’impianto previgente, specialmente in

relazione al sistema delle fonti.

Del resto, le ambizioni del Trattato

sono state necessariamente ridimensionate

dalla mancata ratifica della Costituzione

Europea ed hanno indotto gli Stati firmatari

a mantenere inalterata la tradizionale

tipologia degli atti, distinti in

1

regolamenti, direttive e decisioni (oltre

agli atti non vincolanti).

Si è espunta, quindi, la denominazione

degli atti, prevista dalla Costituzione

Europea, in legge e legge-quadro.

Nell’accogliere, invece, il principio di

gerarchia normativa tra le fonti di diritto

derivato, la distinzione tra provvedimenti

legislativi e non legislativi è rimasta ferma

e trova il suo fondamento nell’art. 288, par.

3 TFUE (Trattato sul funzionamento

dell’Unione Europea), in base al quale gli

atti “adottati mediante procedura legislativa

sono atti legislativi”.

La definizione, in sé circolare, intende

caratterizzare gli atti legislativi in base

al fatto che si siano seguite la procedura

legislativa ordinaria e speciale: la prima,

così definita perché assurta a meccanismo

generale di adozione degli atti, riprende con

talune semplificazioni la previgente

procedura di codecisione con Parlamento e

Consiglio nella congiunta veste di

legislatori (art. 294 TFUE); la seconda,

applicabile se specificamente contemplata dai

trattati, è descritta dall’art. 288, par. 2,

e consiste nell’attribuire la funzione

decisionale unicamente al Parlamento oppure

al Consiglio, con la “partecipazione”,

rispettivamente dell’uno o dell’altro.

In questo senso, come già acutamente

osservato dalla più volte citata e recente

1

dottrina, emerge in maniera adamantina

l'importanza del tipo di procedura seguita al

fine di desumere la natura giuridica

dell'atto, legislativa o non legislativa;

ovvero, utilizzando una terminologia cara

alla nostra tradizione nazionale, la natura

legislativa, normativa o amministrativa

dell'atto stesso.

Novità di rilevo è costituita, poi,

dall'affiancamento agli atti legislativi

degli atti delegati alla Commissione, aventi

la funzione di integrare o modificare

determinati elementi non essenziali di un

atto legislativo destinato ad una cerchia

indeterminata di destinatari.

Si tratterà, quindi, di atti “non

legislativi di portata generale” i cui

obiettivi, contenuto, portata e durata della

delega saranno definiti nell’atto legislativo

di base (art. 289 TFUE); peraltro, gli

elementi essenziali della disciplina – ossia

le sue prescrizioni fondamentali – non

possono costituire oggetto di delega onde

evitare di alterare la ripartizione

funzionale delle competenze.

In sostanza, si è codificata la

possibilità di emanazione di atti dal

contenuto terzo rispetto alla rigida

distinzione tra atto legislativo ed atto

amministrativo, valorizzando – anche a

livello formale – quella peculiare forma di

attività sostanzialmente normativa che

1

nell'ordinamento interno verrebbe ricondotta

alla figura del regolamento amministrativo.

Per definire in breve la ratio dell’atto

delegato, si deve riconoscere che si è voluto

disincentivare l’eccesso di dettagli nella

produzione normativa del legislatore e

contemplare la possibilità di conferire il

compito corrispondente alla Commissione, che,

pertanto, tramite tale strumento appare

recuperare un peso rilevante nell'ambito

dell'esercizio dei poteri esecutivi.

Si dovrebbe trattare, quindi, di

un’attività da esercitare nel rispetto dei

limiti previsti dall’atto-delega, ma di

natura normativa perché avente portata

generale (non potrà applicarsi a misure

individuali) e perché destinata a

modificare/integrare l’atto di base (non

potrà applicarsi a misure puramente

esecutive).

D'altro canto, l’introduzione del nuovo

atto sembra prospettare una revisione della

c.d. comitatologia.

Benché la questione meriterebbe un

diverso approfondimento, in questa sede è

sufficiente osservare che il Trattato di

Lisbona distingue concettualmente la “delega

alla Commissione” dall’attività esecutiva.

L’introduzione dello strumento della

delega si sostituirà, pertanto, allo

strumento dell'esercizio del potere esecutivo

1

attualmente rappresentato dalla procedura di

comitatologia cd. di “regolamentazione con

controllo”, introdotta nel 2006 con la

decisione 2006/512/CE.

Il Trattato di Lisbona57, poi, non

profila un modello di titolarità del potere

esecutivo che prima ruotava intorno ai

comitati, composti da rappresentanti degli

Stati, incaricati di assistere la Commissione

nell’esercizio delle competenze di esecuzione

conferitele dal legislatore.

La materia è disciplinata dalla

“codificazione” di una prassi non prevista

dal diritto primario ante Lisbona e racchiusa

nella decisione n. 1999/468/CE.

La titolarità ad adottare atti esecutivi

resta, come detto, in linea di principio, in

capo agli Stati membri: essi “adottano tutte

le misure di diritto interno necessarie per

l’attuazione degli atti giuridicamente

vincolanti dell’Unione” (art. 290, par. 1

TFUE)58.

Le modalità di controllo dell’esercizio

delle competenze di esecuzione conferite alla 57 R.BARATTA, Le principali novità del trattato di Lisbona, in Il Diritto dell’Unione Europea 1/08, pagg. 21 e ss.

58 Identicamente dispone l’art.4, par.3, comma 2 TUE secondo cui gli Stati membri adottano tutte le misure di attuazione di carattere generale e particolare imposte dai Trattati e dagli atti di diritto derivato. La nuova normativa sembra quindi riproporre il modello decentralizzato di esercizio del potere esecutivo in capo agli Stati membri. Secondo una delle concezioni più diffuse, sin dalle sue origini, nel sistema comunitario è prevalso tale modello. I suoi sostenitori, in ambito comunitario, ricordano la sentenza 21 settembre 1983, cause riunite da 202 a 215/82, Deutsche Milchkontor GmbH et autres c. Germania, in Racc. p. 2633 ss.

1

Commissione potrebbero essere definite tanto

sulle orme della previgente disciplina della

comitatologia, quanto in base alla

predisposizione di nuovi strumenti.

Pur dovendo evidenziarsi tutti i limiti

insiti in una schematizzazione di un sistema

giuridico, quello comunitario, che per la sua

originalità e complessità, appare refrattario

ad una ripartizione in categorie giuridiche

di derivazione prettamente nazionale, appare

comunque utile rilevare, se non altro in

termini di comprensione di una realtà

giuridica in continuo movimento, che le Parti

firmatarie del Trattato di Lisbona hanno

voluto affidare al Parlamento ed al Consiglio

la funzione legislativa, alla Commissione una

funzione latamente regolamentare ed agli

Stati membri, almeno in via generale, la

funzione esecutiva59.

I.VI.Riflessioni finali sull'esistenza dell'atto amministrativo nell'ordinamento comunitario

59 JACQUES ZILLER, Les concepts d'administration directe, d'administration indirecte et de co-administation et les fondements du droit administratif européen in Droit Administratif Européen sotto la direzione di JEAN BERNARD AUBY E JACQUELINE DUTHEIL DE LA ROCHÈRE, Bruxelles, 2007, 242, il quale, acutamente, ha osservato come nell'ordinamento comunitario non vi è alcuna connessione fra le nozioni di amministrazione diretta ed indiretta da una parte e quelle di competenze esclusive o concorrenti dall'altra. Infatti, la competenza più tipicamente esclusiva dell'Unione Europea è quella doganale e ciononostante sono gli Stati membri che provvedono alla sua esecuzione per mezzo dei propri agenti, in particolare attraverso i doganieri e altri corpi di polizia specializzati.

1

Avviandosi ad una conclusione circa il

primo interrogativo che ci siamo posti, ossia

quello relativo all’esistenza o meno di un

atto amministrativo comunitario, occorre

pertanto rilevare che nei trattati comunitari

si parla, più che di funzione amministrativa,

di funzione esecutiva. Tale diversità non è

meramente terminologica ma sostanziale: essa

dà atto di un quadro normativo del tutto

originale che sarebbe fuorviante osservare

con gli occhi rivolti ai concetti e agli

schemi tipici dell’ordinamento nazionale.

Ulteriormente, essa impone di effettuare

una premessa metodologica che si sceglie di

mutuare da quella sviluppata da una recente

dottrina60.

I concetti giuridici presenti

nell’ordinamento comunitario sono, in primo

luogo, il frutto delle elaborazioni maturate

dall’interpretazione delle disposizioni dei

Trattati comunitari, ossia di una fonte

convenzionale di diritto internazionale che

non può non risentire delle culture

giuridiche dei Paesi stipulanti61.

Da esse, inevitabilmente, questi

concetti traggono origine.

60 S. STICCHI DAMIANI, cit.61 si veda V.SKOURIS, L’influence du droit national et de la jurisprudence des juridictions des Etats membres sur l’interprétation du droit communautaire, in Il Diritto dell’Unione Europea 2/08, pagg. 239 ss.; O.POLLICINO, Tanto rumore per (quasi) nulla? Sulla decisione Arcelor del Conseil d’Etat in tema di rapporti tra ordinamento interno e diritto comunitario, in Il Diritto dell’Unione Europea 4/07, pagg. 895 ss.

1

Eppure, una volta inseriti in un

contesto ordinamentale “diverso”62, quello

comunitario per l’appunto, questi concetti

vivono ed evolvono in modo autonomo imponendo

che la loro interpretazione proceda secondo i

canoni propri del nuovo e “diverso”

ordinamento63 in cui sono stati innestati64.

Sarebbe, in quest’ottica, un grave

errore il cercare di analizzare i concetti

comunitari utilizzando parametri meramente

nazionali65.

Dunque, più che parlare di atto

amministrativo sembra corretto poter

affermare che nell’ordinamento comunitario 62 si pensi che i diritti amministrativi nazionali nascono per regolare il rapporto tra amministrazione e cittadini. Il diritto amministrativo europeo è invece “trinomio”, in quanto si instaurano relazioni tra Organi comunitari, amministrazioni nazionali e cittadini. Di polycentric adjudication parla S. CASSESE nelle lezioni di “European Adminstrative Law” tenute alla New York University School of law dal 24 agosto al 14 ottobre 2004 e tradotte ed aggiornate da M. SAVINO, in G. DELLA CANANEA, cit., pagg. 169 e ss.

63 P.CASSIA, Droit administratif français et droit de l'Union europeénne, in Revue Française de droit administratif, n. 2, 2008, 258 ss.

64 sul noto effetto “spill over”, per il quale il diritto comunitario inevitabilmente produce evoluzioni nei diritti amministrativi nazionali penetrando in essi, si sofferma D.U. GALETTA Il diritto ad una buona amministrazione europea come fonte di essenziali garanzie procedimentali nei confronti della Pubblica Amministrazione, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 3-4/2005, 853. Si veda, altresì, S. CASSESE, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2004, 7 s.

65 G. SACCHI MORSIANI, cit., 21, sostiene: “….assai improbabile appare il successo di uno sforzo scientifico volto alla specificazione di taluni concetti generali sulla natura giuridica delle Comunità e sulla loro posizione nell’ordinamento internazionale, nel quadro delle nozioni note e secondo il metodo tradizionale della scienza internazionalistica. Nel tentativo di inquadrare le istituzioni comunitarie in un genus più o meno prossimo a quelli degli ordinamenti di diritto statale o a quello degli ordinamenti di diritto internazionale non è facile evitare il pericolo d esaurire l’indagine in enunciazioni di formule sulla base di misure quantitative”.

1

esiste un atto esecutivo individuale66 la cui

forma giuridica è normalmente rappresentata

dalla decisione67, atto tipico, vincolante,

esecutivo68 e, per l’appunto, individuale69.

Entro i limiti imposti dalla dovuta

attenzione delle peculiarità dell'ordinamento

comunitario, la sua assimilazione all’atto

66 Peraltro, la stessa distinzione comunitaria tra atti generali e atti particolari porta con sé una serie di corollari del tutto diversi da quelli che una tale distinzione comporta a livello nazionale. Si pensi all’obbligo di motivazione. Nell’ordinamento italiano l’obbligo di motivazione, prescritto in termini generali dall’art. 3 della legge n. 241/1990 è, dallo stesso comma II dell’art. 3, escluso con riferimento agli atti normativi e agli atti a contenuto generale (potrebbe ritenersi che nell’attuale assetto normativo – si veda il T.U. sul pubblico impiego: d.lgs. n. 165/2001 - la non necessaria motivazione degli atti normativi e, viceversa, l’obbligatoria motivazione degli atti amministrativi discende, altresì, dal mutato assetto dei rapporti tra politica e dirigenza nelle PP.AA. In considerazione del fatto che la politica -controllata dal corpo elettorale - deve indirizzare e controllare essa può esprimersi con atti di rilievo generale, spesso di valenza normativa, non necessitanti di particolare motivazione. Dovendo, invece, la dirigenza gestire ed eseguire essa agirà, di norma, attraverso atti amministrativi che richiedono una specifica motivazione onde consentire – non solo la difesa dei propri interessi al destinatario dell’atto – quel controllo di competenza dell’Organo Politico cui sopra si è brevemente accennato); nell’ordinamento comunitario, ai sensi dell’art. 253 del Trattato, i regolamenti, le direttive e le decisioni devono essere motivate. Quindi, anche atti a portata necessariamente generale, quali i regolamenti, devono essere puntualmente motivati. Infatti, nell’impostazione comunitaria non è l’individualità dell’atto che ne impone una motivazione, bensì la sua vincolatività; ecco perché si ritiene che non debbano essere motivati i pareri e le raccomandazioni che, ai sensi dell’art. 249, ultimo comma, del Trattato, non sono atti vincolanti.La rilevanza comunitaria della distinzione atti generali e atti individuali si ravvisa, inoltre, con riferimento all’obbligo di notifica che, ai sensi dell’art. 254, ultimo comma, del Trattato, riguarda i soli atti aventi un destinatario determinato, o determinabile ex ante. A ben vedere, tuttavia, tale regola non sembra discostarsi da quella vigente in ambito nazionale. Tirando le fila del discorso qui brevemente sviluppato, può dirsi che l’ordinamento comunitario attribuisce un’evidente importanza all’efficacia degli atti tralasciando di attribuire un significativo peso alla loro denominazione. Interessante è, infine, quella recente evoluzione giurisprudenziale (si veda la sentenza 18

1

amministrativo conosciuto nel diritto

nazionale appare trovare elementi di

significativo, sia pur non univoco,

riscontro.

Il dibattito dottrinario70

sull'argomento è tutt'altro che sopito come

dimostrano quegli Autori che hanno osservato

come l'Amministrazione comunitaria si esprime

attraverso una grande varietà di atti

giuridici che va ben oltre l'elencazione in

regolamenti, direttive, decisioni, pareri e

raccomandazioni.

Infatti la prassi comunitaria conosce

una gran varietà di atti atipici quali le

risoluzioni, le delibere, le conclusioni, le

dichiarazioni e le comunicazioni.

maggio 1994, in causa C-69/89, Codorniu S.A. c. Consiglio, Racc., 1994, I-1853, riportata in FALCON, La tutela giurisdizionale in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. CHITI e G.GRECO, Milano, 2007, pag. 730) volta a porre l’accento non tanto alla qualificazione astratta dell’atto ma al suo concreto raggio di azione. In poche parole ciò che rileva non è tanto che ciò che appare come un regolamento sia, in realtà, un atto individuale; piuttosto, quello che merita considerazione è che ciò che è un regolamento operi, in concreto, come una decisione in relazione alla speciale posizione di un soggetto.

67 Così G. TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2005, 139, per il quale “la decisione corrisponde, in sostanza, all’atto amministrativo dei sistemi giuridici nazionali, in quanto rappresenta lo strumento utilizzato dalle Istituzioni quando sono chiamate ad applicare il diritto comunitario a singole fattispecie concrete.”

68 si ribadisce, peraltro, che non sempre la decisione è un atto esecutivo individuale avendo frequentemente altra natura: si veda la famosa decisione sulla comitatologia del 1999.

69 Questa definizione lascia evidentemente fuori gli atti amministrativi generali che sono definibili quali atti esecutivi di carattere generale non normativo la cui veste giuridica a livello comunitario è tuttavia di non facile individuazione.

70 OLIVIER DUBOS E MARIE GAUTIER, Les actes communautaires d'execution in Droit Administratif Européen sotto la direzione di JEAN BERNARD AUBY E JACQUELINE DUTHEIL DE LA ROCHÈRE, Bruxelles, 2007, 127 e ss.

1

Secondo taluno71, in linea generale,

questi atti hanno una vocazione ad esprimere

una posizione o un impegno politico e non

sono suscettibili come tali di produrre

effetti giuridici.

In realtà, alcuni di questi atti hanno

un'incidenza in termini di esecuzione del

diritto comunitario del tutto evidente.

In particolare, grande importanza

assumono le comunicazioni della Commissione

che realizzano una funzione assimilabile a

quella che nel diritto francese è propria

delle circolari e delle direttive.

Dinanzi ad una simile realtà, la Corte

di Giustizia72 non è venuta meno al suo tipico

approccio sostanzialistico, essendosi

impegnata a verificare la produttività o meno

di effetti giuridici dell'atto concretamente

emesso al di là del nomen iuris utilizzato.

A fronte di tale varietà, si osserva

come sia estremamente difficile la

ricostruzione complessiva del sistema in

presenza di atti che contemporaneamente

alimentano tanto la sfera dell'esecuzione

quanto la sfera della normazione.

Infatti, si sottolinea come non esista

un corpo di regole coerenti che possano

essere utilizzate quale regime dell'atto

71 D. SIMON, Le système juridique communautaire, Paris, XIII ed., 2001.72 Corte di Giustizia 30 aprile 1996, Regno del Belgio c. Consiglio dell'Unione Europea, Causa C-58/94, Raccolta p. I-2186.

1

comunitario di esecuzione in via autonoma

rispetto all'atto comunitario legislativo.

Ciononostante, nell'ambito degli atti

comunitari derivati è possibile individuare

alcune peculiarità tipiche dell'atto di

esecuzione73.

A tal fine, è necessario distinguere,

mutuando tali concetti dal diritto francese

nel quale assume una rilevanza ben maggiore

rispetto al diritto comunitario, tra

regolarità interna e regolarità esterna

dell'atto sottoposto al controllo di

legittimità.

In particolare, la regolarità interna

attiene all'oggetto dell'atto, ai suoi motivi

e ai suoi scopi.

Ciò premesso si è osservato che

nonostante la confusione delle funzioni a

livello comunitario non aiuti a ricostruire

le caratteristiche dell'atto comunitario di

esecuzione alcuni elementi identificativi

possono essere rinvenuti:

a) per gli atti normativi di esecuzione,

nel fatto che la loro elaborazione è inserita

in una procedura molto particolare

conosciuta, almeno sino ad ora, come

comitatologia74;

73 OLIVIER DUBOS E MARIE GAUTIER, cit., p. 128.74 OLIVIER DUBOS E MARIE GAUTIER, cit., p. 139 rilevano come la giustificazione della comitologie è riscontrata, dai più, nel fatto che l'esecuzione non è una competenza propria della Commissione ma una semplice competenza delegata per effetto della quale il delegante ha il diritto di conservare un diritto di ispezione (le droit de regard).

1

b) per gli atti individuali di

esecuzione, nel doveroso rispetto delle

garanzie procedurali e, in particolare, per

il fondamentale rispetto del diritto di

difesa75.

Quanto al punto b) si è ribadito che

nonostante la ormai più volte ricordata

“indistinzione” dei poteri a livello

comunitario e nonostante la non chiaramente

identificata titolarità del potere esecutivo,

tuttavia il rispetto delle garanzie

procedurali e del diritto di difesa è tipico

dei soli atti di esecuzione.

Queste peculiarità sono particolarmente

evidenti nella materia dell'impiego

comunitario e nella materia della

concorrenza.

In quest'ultimo settore, tanto gli atti

di diritto derivato quanto i principi

espressi dalla Corte di Giustizia, implicano

Il delegante è il Consiglio che, in virtù dell'Atto unico europeo, delega di norma tale facoltà alla Commissione conservando, proprio tramite la comitatologia, un potere di sorveglianza sulla Commissione, Autorità delegataria. Secondo altra prospettiva, invece, la giustificazione dei comitati che costituiscono la “comitatologia” (non tutti i comitati, infatti, eserciterebbero tali facoltà) è da ricercare nella considerazione che la funzione esecutiva è rimessa agli Stati membri dell'Unione (infatti, l'amministrazione indiretta è la regola – tale osservazione parrebbe confermata dalla lettera del recente Trattato di Lisbona) dei quali i comitati costituirebbero un'emanazione.Tale impostazione era stata abbracciata altresì dall'art. I-37 del progetto di Costituzione per l'Europa.Sia pur evidenziandone l'infondatezza, gli Autori riportano altresì la tesi di coloro i quali ritengono che la comitatologia rappresenti l'espressione della sorveglianza del potere legislativo sull'esecutivo. In questa – criticata – visione il Consiglio agirebbe quale sorvegliante nell'esercizio dei suoi poteri legislativi.

75 OLIVIER DUBOS E MARIE GAUTIER, cit., p. 137.

1

per esempio il rispetto del carattere

confidenziale della corrispondenza intercorsa

tra imprese e avvocati, il diritto di non

testimoniare contro sé stessi,

l'inviolabilità del domicilio o l'obbligo per

la Commissione di provvedere entro un tempo

ragionevole. Tutti questi diritti non sono

peraltro riconosciuti senza limiti di sorta,

dovendo essere conciliati con le esigenze di

un'Amministrazione efficace76.

Da ultimo, autorevole dottrina77 ha

rilevato che, malgrado la confusione di

funzioni, procedimenti e caratteri degli atti

comunitari rispetto a quelli nazionali, può

parlarsi anche nel diritto comunitario di

atti amministrativi.

Vi si trovano infatti atti a carattere

di dichiarazione di scienza o di giudizio,

tipici del procedimento e non destinati di

regola a produrre effetti per i terzi, nonché

atti a carattere provvedimentale, che

esprimono il potere di cura di determinati

interessi concreti e che sono intesi a

produrre diretti effetti sulla situazione

considerata ed i soggetti coinvolti.

Riconosciuta l’esistenza nel diritto

comunitario di un quid assimilabile all’atto

amministrativo di diritto interno, occorre

spostare l’attenzione sul vero problema

pratico che può porsi nella realtà

76 In questo senso sono le conclusioni dell'avvocato generale Warner nella causa NTN C-133/77, Raccolta 1979, pag. 1262.

77 M.P.CHITI, Diritto amministrativo europeo, III ed., Milano, 2008, 528.

1

quotidiana: quando un atto amministrativo

(esecutivo individuale) può dirsi comunitario

e, quindi, assoggettabile al sindacato della

Corte di Giustizia e quando, invece, potrà

definirsi un normalissimo atto amministrativo

di diritto interno sindacabile dal giudice

nazionale78?

Il problema, che si cercherà di

esaminare nel prossimo capitolo, si pone nei

casi di cd. coamministrazione, nei quali le

Amministrazioni comunitarie e quelle

nazionali cooperano ed intervengono in uno

stesso procedimento che sfocia

nell’emanazione di un provvedimento finale.

Si vedrà, infatti, che non sempre il

criterio dell’Organo emanante il

provvedimento finale (atto finale emanato da

Amministrazione comunitario/atto

amministrativo comunitario/Corte di Giustizia

– atto emanato da Amministrazione

nazionale/atto amministrativo/giudice

interno) è risolutivo.

E’ ovvio, invece, che il quesito non ha

motivo di porsi nei casi di amministrazione

diretta nei quali siamo senz’altro dinanzi ad

un atto comunitario e nei casi di

amministrazione indiretta nei quali avremo

sicuramente un atto amministrativo di diritto

interno79.

78 M. FROMONT, La justice administrative en Europe: différences et convergences in Revue Française de droit administratif, n. 2, 2008, 267 ss.

79 Così S. STICCHI DAMIANI, cit., 31.

1

Si è di recente detto che l'insieme di

queste procedure, pur nella loro complessità,

costituiscono il cd. diritto amministrativo

europeo del quale costituisce parte

integrante, quindi, l'esecuzione data ai

Trattati ed alle norme comunitarie dagli

Stati membri80.

I. VII La decisione.

L’ordinamento comunitario, come visto,

non è fondato sulla distinzione della legge

dagli altri atti dei pubblici poteri.

Anzi, non esiste nemmeno la categoria

della legge81. Vi sono, invece, diverse specie

di atti produttivi di effetti vincolanti:

regolamenti, decisioni, direttive82. Tra di 80 JACQUES ZILLER, Les concepts d'administration directe, d'administration indirecte et de co-administation et les fondements du droit administratif européen in Droit Administratif Européen sotto la direzione di JEAN BERNARD AUBY E JACQUELINE DUTHEIL DE LA ROCHÈRE, Bruxelles, 2007, 235 e ss., il quale osserva, tra l'altro, l'influenza dell'organizzazione delle Agenzie americane sull'edificazione dell'impalcatura istituzionale delle Comunità Europee. L'Autore rileva, infatti, che, a fianco ai conosciuti influssi del diritto italiano, tedesco e, soprattutto, francese, specie in materia di contenzioso amministrativo, Jean Monnet fu fortemente influenzato dai contatti avuti con il mondo politico americano al termine della prima guerra mondiale e, conseguentemente, l'organizzazione comunitaria è risultata evidentemente condizionata dall'esperienza delle Agenzie federali americane.

81 cambiamenti peraltro sono previsti nel Trattato per la Costituzione per l’Europa, come noto non ratificato – andrebbero viste le novità del recente vertice del giugno 2007

82 Le loro caratteristiche, descritte dall’art. 249 del Trattato, non consentono, almeno ad un primo approccio, parallelismi con le tradizionali figure nazionali: i regolamenti si connotano per la loro generalità, per l’obbligatorietà in tutti i suoi elementi e per la loro efficacia diretta; le direttive possono riguardare uno o più Stati e vincolano quanto al risultato da raggiungere,

1

essi non vi è gerarchia ma tendenziale

equiparazione83.

La gerarchia tra atti, in sintesi, più

che riguardare le forme, come negli

ordinamenti nazionali (dove la gerarchia

riguarda le leggi, i regolamenti, gli usi

ecc.), fa riferimento alle procedure ed alla

loro sostanza.

Tra gli atti “particolari”, nel senso di dettare una disciplina specifica e

concreta per un numero limitato di

destinatari, occorre inevitabilmente far

riferimento, in specie, alla “decisione” che,

ex ai sensi del vecchio art. 249 del

Trattato, “è obbligatoria in tutti i suoi

fatta salva la competenza degli organi nazionali circa le forme ed i mezzi; le decisioni sono, infine, obbligatorie in tutti i loro elementi per i destinatari dalle stesse individuati.Emerge che, a differenza di quanto previsto dall’ordinamento italiano, l’ordinamento comunitario trascura ogni distinzione tra atti normativi di contenuto legislativo, di contenuto regolamentare e atti amministrativi; piuttosto distingue tra atti generali ed atti particolari ai fini, ad esempio, di cui all’art. 230, IV comma, laddove si prevede che “qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle stesse condizioni, un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente”. Gli atti regolamentari (che, come detto, hanno necessariamente contenuto generale), quindi, non saranno impugnabili dai ricorrenti “non privilegiati” salvo che – nonostante la forma regolamentare – l’atto non sia in sostanza un atto individuale, ossia, in estrema sintesi, non dotato dei requisiti della generalità e dell’astrattezza. In questo contesto, al fine di con sentire ai ricorrenti “non privilegiati” l’impugnativa di atti apparentemente generali, la Corte di Giustizia ha elaborato il concetto di “decisione collettiva” considerata come un complesso di decisioni individuali assunte sotto la veste del regolamento.

83 P. MONJAL, La conférence intergouvernémentale de 1996 et la hièrarchie des normes communautaires, in Rev. trem. dr. européen, 1996, 720.

1

elementi per i destinatari da essa

designati”. In considerazione del fatto che

l’art. 230, IV comma, del previgente Trattato

prevedeva che, come sopra detto, “qualsiasi

persona fisica o giuridica può proporre, alle

stesse condizioni, un ricorso contro le

decisioni prese nei suoi confronti e contro

le decisioni che, pur apparendo come un

regolamento o una decisione presa nei

confronti di altre persone, la riguardano

direttamente ed individualmente” l’analogia84

tra decisione comunitaria e provvedimento

amministrativo di diritto interno è evidente.

In entrambi i casi, tra l’altro,

rilevante – almeno ai fini impugnatori - è il

carattere personale e diretto della lesione

della sfera giuridica derivante dall’atto.

D’altronde, il tenore letterale della

disposizione citata lascia presagire la

delicatezza dell’operazione interpretativa-

qualificatoria che accompagna la figura della

decisione.

La Corte di Giustizia ha opportunamente

precisato, in quest’ottica, che gli atti

vanno qualificati per ciò che effettivamente

sono e non per le loro denominazioni formali.

84 Riscontrano tale accostamento, tra gli altri: FALCON, La tutela giurisdizionale in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. CHITI e G.GRECO, Milano, 2007, pagg. 715; DE VERGOTTINI, Note sugli atti noromativi ed amministrativi dell’ordinamento comunitario europeo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1964; G. DELLA CANANEA, L’impugnabilità degli atti dell’amministrazione nel diritto comunitario: un nuovo orientamento della Corte di Giustizia – osservazioni a margine a Corte di giustizia, sentenza 9 ottobre 1990, in causa 366/88, Francia c. Commissione, Racc., 1990, I, 3571.

1

Dunque, anche atti denominati quali pareri o

raccomandazioni potranno, se del caso, essere

qualificati come decisioni. Diversamente, per

provenienza e forma la riconoscibilità di un

provvedimento amministrativo di diritto

interno è senz’altro più agevole.

Anche autorevole dottrina85 ha ribadito

che la definizione delle decisioni

comunitarie corrisponde a quella degli atti

amministrativi diffusa nei diritti

amministrativi degli Stati fondatori; ovvero

atti di carattere individuale e particolare,

con cui si curano interessi concreti così

disciplinando una determinata fattispecie.

Pur se incidono direttamente nella sfera dei

singoli soggetti, e quindi con effetti nei

diversi ordinamenti nazionali, le decisioni

rimangono ad ogni effetto atti comunitari la

cui osservanza è responsabilità delle

Istituzioni comunitarie, e possono essere

oggetto di ricorso esclusivamente avanti alla

Corte di Giustizia.

Per una ricostruzione generale dei

caratteri della decisione comunitaria appare

molto utile il richiamo ad una celebre, anche

se non più recente, sentenza della Corte di

Giustizia del 196686 nella quale,

testualmente, si precisa che “una decisione

deve.…presentarsi come un atto emanato

dall’Organo competente, destinato a produrre

85 M.P.CHITI, cit., 530. L'illustre autore ritiene che anche i pareri costituiscano degli atti amministrativi comunitari

86 Ci si riferisce alla sentenza resa in causa C-54/65 Compagnie de Forges de Chatillon c. Alta Autorità, Racc., 1966, 382.

1

effetti giuridici, che costituisca lo stadio

finale dell’iter interno e che statuisca

definitivamente in una forma atta ad

identificare la natura”.

Da questa sentenza si può ricavare che

una decisione comunitaria (ovviamente la

definizione è data dalla Corte di Giustizia

ai fini della sua impugnabilità) deve:

a) provenire dall’Organo competente ad

emanarla (il che, invero, è un requisito del

tutto scontato);

b) produrre effetti giuridici;

c) essere il prodotto di un’attività

procedimentalizzata;

d) essere idonea a manifestare

definitivamente, nelle debite forme, la

volontà dell’Organo comunitario.

Prima di concentrare l’attenzione su

alcuni dei sopra elencati requisiti della

decisione comunitaria, non può non osservarsi

come, in particolare, gli elementi indicati

alle lettere c) e d) confermino in pieno

l’assunto della tendenziale assimilabilità

tra la decisione comunitaria ed il

provvedimento amministrativo di diritto

interno.

Meritevole di qualche puntualizzazione è

l’elemento indicato alla lettera b); esso può

essere precisato nei seguenti termini: ogni

atto, riferibile ad Organi della Comunità

1

investiti di potere, che produca conseguenze

giuridiche sfavorevoli (in sostanza una

lesione) in capo a destinatari singoli e

determinati, va qualificato come decisione

con tutte le conseguenze sul piano

sostanziale (in particolare per quanto

concerne il sorgere dell’obbligo di

motivazione) e processuale (impugnabilità ex

art. 230 del Trattato)87. La Corte di

Giustizia, sul punto, ha più volte ribadito88

che per stabilire l’impugnabilità di un atto

occorre aver riguardo alla sua sostanza e

che, più specificamente, per stabilire se gli

atti o le decisioni possano essere oggetto di

un’azione di annullamento ex art. 230 del

Trattato è necessario verificare se tali

provvedimenti siano destinati a produrre

effetti giuridici obbligatori idonei ad

incidere sugli interessi di chi impugna,

modificando in misura rilevante la situazione

giuridica di questo.

Per quanto concerne la definitività,

indicata alla precedente elencazione alla

lettera d), la Corte di Giustizia89 ha

87 Si riporta fedelmente nel testo la definizione data da FALCON, cit., pag. 718.

88 Per tutte si guardi la sentenza 11 novembre 1981 in causa 60/81, IBM c. Commissione, Racc., 1981, 2639.

89 Ci si riferisce alla già citata sentenza 11 novembre 1981 in causa 60/81, IBM c. Commissione, Racc., 1981, 2639 la quale ha considerato che non costituisca una decisione in senso proprio la comunicazione degli addebiti. Nello stesso senso, non si sono ritenute decisioni impugnabili ai sensi dell’art. 230 del Trattato quegli atti con i quali un’Istituzione Comunitaria deliberi di intraprendere un’azione giudiziaria verso determinati soggetti: così le decisioni relative alle cause T-377/00, T-379/00, T-380/00, nonché T-260/01 e T-262/01, Philip Morris International e a. c. Commissione. In questi casi il Tribunale ha tra l’altro rilevato che l’atto produttivo di eventuali effetti avversi non è l’introduzione della lite

1

precisato che, qualora si tratti di atti

inseriti in un procedimento a più fasi, si è

in presenza di un atto impugnabile solo per

misure che manifestano il punto di vista

della Commissione o del Consiglio

definitivamente, e non per misure intermedie,

che si limitano a preparare la decisione

conclusiva.

Sempre dalla lettura dell’indicato punto

d) emerge il requisito della “formalità”

della decisione da intendersi tanto nel senso

di salvaguardia dell’esigenza di una “forma

atta a farne identificare la natura”90, tanto

nel senso di necessaria forma scritta91 idonea

a soddisfare al requisito dell’obbligo di

motivazione.

Nell’ordinamento giuridico italiano,

come noto, la precisa identificazione dei

caratteri dell’atto amministrativo risponde

all'esigenza di individuare il giudice

competente a sindacarne la legittimità.

In presenza di un atto amministrativo,

infatti, si radica – di norma92, sia pur con

ma la sentenza del giudice. 90 In questi termini si esprime, testualmente, la sentenza resa in causa C-54/65 Compagnie de Forges de Chatillon c. Alta Autorità, già citata.

91 La necessarietà della forma scritta è dedotta, altresì, dall’obbligo di allegare al ricorso copia dell’atto impugnato. Così FALCON, cit., pag. 722. L’Autore, peraltro, riporta almeno un caso (è la sentenza del 9 febbraio 1984, in cause riunite C-316/82 e Nelly Kohler c. Corte dei Conti delle Comunità Europee, Racc., 1984, 641, in materia di pubblico impiego) in cui la Corte di Giustizia ha ritenuto ammissibile un ricorso proposto contro una decisione orale.

92 Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo si fonda, come noto, non sulla natura dell’atto impugnato, bensì sulla natura della

1

importanti eccezioni – la giurisdizione del

giudice amministrativo che potrà accertare se

l’atto impugnato sia viziato da incompetenza,

violazione di legge o eccesso di potere.

Nell’ordinamento comunitario, invece, ai

fini del riparto di giurisdizione non rileva

né la natura della situazione giuridica

asseritamente lesa (diritto

soggettivo/interesse legittimo), né la natura

giuridica (atto amministrativo/normativo93)

dell’atto impugnato. La giurisdizione

comunitaria è, infatti, unitaria ed affidata

alla Corte di Giustizia che, in definitiva,

funge da giudice costituzionale, da giudice

internazionale, da giudice civile e da

giudice amministrativo.

I trattati istitutivi della comunità e

gli atti normativi emanati dalle sue

Istituzioni hanno previsto che

l'Amministrazione comunitaria emani una serie

di provvedimenti; essi hanno in comune con

quelli noti agli ordinamenti nazionali una

duplice caratteristica:

1) sono espressione di poteri d’imperio

e di coazione;

2) una volta emanato un tale

provvedimento, esso produce effetti rilevanti

situazione giuridica sostanziale asseritamente lesa dal provvedimento stesso. Ciò che rileva è la cd. causa petendi, ossia l’aver l’atto impugnato leso un diritto soggettivo o un interesse legittimo.

93 È, peraltro, da considerare che un tipico atto normativo, quale il regolamento, è assoggettabile al sindacato giurisdizionale del g.a. Quindi, ciò che tu dici nel testo è tutto da verificare o, comunque, da ben perimetrare.

1

per il diritto ancorché invalido, finché non

sia stato modificato dall’Autorità emanante o

annullato dal Giudice. Ed il mancato

esercizio del diritto di azione nei termini

di decadenza rende la decisione definitiva94.

Con specifico riferimento al punto 2),

può dirsi pacificamente accettato che il

regime generale della invalidità degli atti

comunitari è il classico regime

dell’annullabilità, con la precisazione

tuttavia che (come negli ordinamenti

nazionali) può aversi il regime della nullità

quando i vizi risultino particolarmente

gravi, e di conseguenza in casi molto

ristretti. D’altronde, benché l’art. 231 del

trattato parla di “dichiarazione di nullità”

della Corte di Giustizia nel caso di atto

viziato, è pacifico che la pronuncia ha

carattere costitutivo e non dichiarativo95.

CAPITOLO II

I caratteri dell’atto amministrativo comunitario.

II.I I tratti distintivi della comunitarietà di un atto amministrativo secondo la dottrina tradizionale

94 C.Giust. Ce, sent. National Farmers’Union del 2002, causa C-241/01).

95 così FALCON, La tutela giurisdizionale in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. CHITI e G.GRECO, Milano, 2007, pagg. 713 e ss.

1

Parte della dottrina96 ha ritenuto di

cogliere i tratti distintivi dell’atto

amministrativo comunitario nei seguenti

requisiti:

1) la provenienza da un’Autorità

amministrativa;

2) la capacità di differenziarsi dagli

atti normativi e giurisdizionali;

3) la natura decisoria dell’atto dotato

di forza obbligatoria.

Si è replicato97 che tale definizione, sia

pur apprezzabile per molti aspetti, non tiene

conto – a tacer d’altro - della difficoltà di

individuare con certezza, in un ordinamento

complesso come quello comunitario, l’Autorità

amministrativa.

Ulteriormente, le si addebita di non tener

in considerazione la peculiarità

dell’organizzazione comunitaria, costituita da

una pluralità di figure soggettive interagenti,

secondo numerose variabili, con le

Amministrazioni nazionali.

A livello metodologico, poi, si ammonisce

circa la necessità di analizzare il sistema

96 A. DE LAUBADERE, Les actes administratifs, in Zehn Jahre Rechsprechung des gerichtshofs der Europaischen Gemenschaften – Dix ans de jurisprudence de la Cour de Justice des Communautés Européennes, citata in S. STICCHI DAMIANI, L’atto amministrativo nell’ordinamento comunitario. Contributo allo studio della nozione, Torino, 2006, pag 25.

97 Così S. STICCHI DAMIANI, cit., 26.

1

comunitario senza le lenti “colorate” dai

concetti giuridici nazionali. L’originalità

dell’ordinamento comunitario imporrebbe, secondo

questa visione, un approccio scevro da

pregiudizi di ordine concettuale. Quindi, per

poter effettuare una corretta analisi degli

elementi caratteristici dell’atto amministrativo

comunitario, occorrerebbe preliminarmente dar

conto delle peculiarità dell’apparato

amministrativo europeo.

Questa impostazione, che appare del tutto

condivisibile, si fonda sull'osservazione

preliminare che l'ordinamento comunitario è

evoluto da una struttura originaria

caratterizzata da un’evidente snellezza

organizzativa ad una configurazione ben più

articolata. In questo senso, autorevole

dottrina98 individua, più precisamente, tre fasi

evolutive dell’ordinamento amministrativo

comunitario:

- una prima fase nella quale, a fianco

ad un potere legislativo e ad un potere

giudiziario ben sviluppati, emergeva un’evidente

carenza del potere esecutivo le cui funzioni

venivano rimesse quasi integralmente agli

apparati statali;

- una seconda fase nella quale si

privilegiava tanto l’istituzione di organi e

procedure deputati a controllare l’esecuzione

98 S.CASSESE, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, seconda lettura della Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, tenutasi il 17 maggio 2002, presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca, in Riv. ital. Dir. pubbl. comunitario, 2002, 291 e ss.

1

del diritto comunitario, in modo da evitare le

deviazioni nazionali dalle norme comunitarie e

di sanzionarle, quanto lo sviluppo di organi

misti (nazionali e comunitari), di matrice

decisamente amministrativa (in quanto composti

da burocrati), impegnati nella preparazione e

nella esecuzione delle decisioni;

- una terza fase99 nella quale l’Unione

non si limita più alla sola vigilanza

sull’esecuzione nazionale del diritto

comunitario, bensì assume direttamente funzioni

esecutive istituendo uffici o agenzie ad hoc

oppure asservisce gli apparati nazionali

imponendo loro il rispetto di moduli

organizzativi e procedurali.

Oggi, in definitiva, nessuno potrebbe

seriamente dubitare dell’esistenza100 di un

apparato amministrativo della Comunità: basti

solo osservare che la Commissione si compone di

99 L’Autore (si veda S.CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002, 74) osserva che è in questa fase che prende piede il fenomeno dell’“arena pubblica” con la formazione di rapporti triangolari privati-amministrazioni nazionali-Commissione Europea nella definizione dei quali l’interesse pubblico nazionale viene rappresentato alla stregua di un interesse privato (di parte).

100Nella logica originaria dell’ordinamento comunitario lo stesso non necessitava di un apparato esecutivo di vaste dimensioni. Gli artt. 202 e 211 del Trattato, pur attribuendo alla Commissione compiti di esecuzione delle normative poste dal Consiglio, sembrava disegnare in concreto un’attuazione normativa in capo alla Commissione (salvi gli eccezionali e motivati casi nei quali il Consiglio si riservava anche tale prerogativa) ed un’attuazione amministrativa in capo alle singole amministrazioni nazionali. Tuttavia, l’aumentare dei compiti attribuiti, anche attraverso l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 308 del trattato relativo ai “poteri impliciti”, e la sempre maggiore analiticità delle normative comunitarie ha stimolato il nascere di un’attività amministrativa comunitaria sempre più corposa e sempre più capace di condizionare gli ordinamenti nazionali.

1

diverse Direzioni Generali che, con il passare

degli anni, hanno assunto la cura di una

molteplicità di interessi al punto da far

ritenere che l’ordinamento comunitario abbia

acquisito fini generali.

II.II I procedimenti di rilevanza comunitaria

Le amministrazioni comunitarie non

svolgono quasi mai, peraltro, le proprie

funzioni in via autonoma; ossia, a parte i casi

di amministrazione cd. diretta, le stesse

prendono “in prestito” le amministrazioni

nazionali che, nella cura di interessi

comunitari, sono soggette ai principi ed alle

norme (anche procedurali) comunitarie. In

quest’ultimo caso, siamo nell’ambito della cd.

amministrazione indiretta dalla quale

partoriscono i cd. atti “in funzione

comunitaria” che, sia chiaro, sono dei normali

atti amministrativi nazionali volti al

perseguimento di interessi comunitari e soggetti

alla disciplina comunitaria.

Peraltro, la particolarità di tali atti è

sempre meno evidente laddove si consideri che

l’art. 1, comma II, della legge n. 241/1990,

riformata nel 2005, ha sottoposto il

procedimento amministrativo nazionale (e quindi

gli atti che ne scaturiscono), in tutti i casi,

ai principi del diritto comunitario.

1

La più recente dottrina ha, poi, messo in

luce che l’ordinamento comunitario sta

disegnando con sempre maggior continuità

un’amministrazione multi-level101 caratterizzata

dalla presenza di procedimenti compositi.

In questo nuovo modo di amministrare, i

contributi delle amministrazioni comunitarie e

di quelle nazionali si intersecano e comunicano

secondo moduli procedimentali nuovi non

riconducibili agli sperimentati stereotipi

dell’amministrazione diretta e di quella

indiretta.

Autorevole dottrina ha osservato che, pur

senza giungere ad un vero e proprio processo di

“integrazione” amministrativa, questi processi

compositi hanno creato nuove formule di dialogo

tra le organizzazioni amministrative nazionali e

comunitarie riconducibili a tre modelli: a) la

coamministrazione; b) l’integrazione decentrata;

c) il concerto regolamentare europeo.

Procedendo ad una sintetica

schematizzazione di quanto sin qui detto e

seguendo una recentissima ricostruzione102

occorre, quindi distinguere:

- procedimenti tipici

dell’amministrazione cd. indiretta al termine 101In realtà l’essere un’amministrazione multi livello non costituisce un elemento distintivo del diritto amministrativo europeo rispetto a quello nazionale. Anche in questi, infatti, si riscontra, in conseguenza della pluralizzazione dei pubblici poteri, una disposizione su più livelli (Stato,Regioni, Province, Comuni). Così S. CASSESE, Il diritto amministrativo europeo presenta caratteri originali?, in Rivista di diritto pubblico, 2003, 51.

102 S.STICCHI DAMIANI, cit., pag 25.

1

dei quali sarà identificabile un atto

“funzionalmente” europeo, nel senso che la sua

emanazione è condizionata dal dialogo

intercorrente tra ordinamenti

(comunitario/nazionale e tra ordinamenti

nazionali tra loro), e pur sempre, comunque,

definibile come atto amministrativo nazionale

con le conseguenze in termini di giudice

competente e parametri di legittimità;

- procedimenti interamente comunitari

(amministrazione cd. diretta) all'esito dei

quali si avrà una comunitarietà tanto

funzionale, quanto sostanziale e processuale

dei provvedimenti emanati;

- procedimenti compositi per i quali la

natura comunitaria dell’atto è di difficile

individuazione e necessita di criteri certi che,

al momento, il legislatore comunitario non ha

fornito.

II.III Criteri identificativi, elaborati dalla giurisprudenza, della comunitarietà di un atto amministrativo

Nei procedimenti compositi, peraltro,

la comunitarietà è attributo che può riguardare

anche un atto “endoprocedimentale” che, in

quanto produttivo di effetti giuridici

vincolanti, sarà passibile di immediata

impugnazione.

1

Il problema pratico è, allora, quello di

selezionare parametri attendibili per

individuare il giudice competente a sindacare la

legittimità degli atti emanati nei procedimenti

composti il che, inevitabilmente, passa per

l’analisi della natura dei relativi atti

(comunitari o nazionali).

Il provvedimento impugnabile, come detto,

non è, infatti, sempre il provvedimento finale

la cui natura giuridica (comunitaria o

nazionale) è facilmente identificabile

considerando l’appartenenza dell’Organo emanante

all’Apparato comunitario o nazionale.

La giurisprudenza103, infatti, sembra

privilegiare un criterio “sostanzialistico”: ciò

che rileva è la decisorietà dell’atto, ossia la

sua idoneità a produrre effetti giuridici nei

confronti dei destinatari dell’attività

amministrativa104.

In tale senso si è chiarito che la

decisorietà può essere attributo anche di un

atto endoprocedimentale: nel famoso caso

dell’Oleificio Borelli, ad esempio, si è

ritenuto che avesse natura decisoria un parere

dell’Organo nazionale aderendo al quale,

essendone obbligata trattandosi di parere

vincolante, la Commissione aveva emesso una

decisione finale con la quale aveva respinto 103Sentenza Corte di Giustizia, 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Oleificio Borelli/Commissione delle Comunità Europee; sentenza Corte di Giustizia, 25 gennaio 2001, causa C-413/98, DAFSE c. Frota Azul, in Raccolta, 2001, I-673.

104Si veda in particolare il punto 13 della sentenza Corte di Giustizia, 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Oleificio Borelli/Commissione delle Comunità Europee.

1

l’istanza di ammissione a contributi comunitari

da parte di un imprenditore nazionale.

Coerentemente, quindi, la Corte di Giustizia ha

negato la propria giurisdizione sul presupposto

che l’atto decisorio fosse il parere

dell’Autorità nazionale sindacabile, quindi, dal

giudice nazionale.

Il problema da risolvere nei procedimenti

composti sarà, quindi, quello di individuare

l’atto con queste caratteristiche e, in seguito,

verificare se esso abbia natura comunitaria o

nazionale comportandosi conseguentemente in

termini di scelta del giudice competente a

sindacarne la legittimità. Nel primo caso

l’impugnativa dell’atto andrà rivolta, come

detto, alla Corte di Giustizia; nel secondo caso

al giudice nazionale.

Necessita, quindi, un approfondimento –

compatibile con i fini di questa ricerca - dello

studio dei procedimenti composti.

II.III.I In particolare, i procedimenti amministrativi composti

I procedimenti composti sono una categoria

eterogenea105 che abbraccia forme di azione che

hanno inizio in sede nazionale e si concludono

con atti delle istituzioni comunitarie

105Così F. ASTONE, Le amministrazioni nazionali nel processo di formazione ed attuazione del diritto comunitario, Torino, 2004, 55 ss.

1

(procedimenti composti bottom-up) ed altre

caratterizzate da sequenze di tipo opposto

(procedimenti composti top-down) ed infine

azioni di natura mista, che presentano caratteri

sia dell’una tipologia sia dell’altra.

Caratteristica comune ai procedimenti

composti è la presenza di un atto principale

preceduto da altri atti106 posti in relazione

funzionale rispetto ad esso; tale caratteristica

li distingue dai procedimenti incidentali,

connessi e complessi nei quali più sequenze sono

tra loro in qualche modo legate107.

II.III.II I procedimenti top down e bottom up

Come suggerisce la stessa traduzione

dell'espressione inglese, i procedimenti top

down e bottom up si caratterizzano per il fatto

che, nel primo caso, è l'Autorità nazionale che

emana il provvedimento finale, nel secondo, è

l'Autorità comunitaria.

106per un’analisi, arricchita anche da riferimenti giurisprudenziali, degli atti impugnabili nelle varie fasi dei procedimenti comunitari si veda J.SCHWARZE, Il controllo giurisdizionale, in Il procedimento amministrativo nel diritto europeo a cura di F. BIGNAMI E S. CASSESE, Quaderno n.1 della Riv. trim. di dir. pubbl., Milano, 2004, 131 e ss.

107G. DELLA CANANEA, I procedimenti amministrativi composti dell’Unione Europea, in Il procedimento amministrativo nel diritto europeo a cura di F. BIGNAMI E S. CASSESE, Quaderno n.1 della Riv. trim. di dir. pubbl., Milano, 2004, 307 e ss.

1

Essi costituiscono, come si è visto, un

tertium genus rispetto al procedimento

comunitario in amministrazione diretta e a

quello in amministrazione indiretta e sono

espressione del più generale fenomeno di

collaborazione tra Amministrazioni appartenenti

ad Autorità diverse. Ciò è giustificato dal

fatto che attraverso tali procedimenti vengono

curati interessi non riconducibili

esclusivamente all'Unione ma condivisi con gli

Stati membri.

Si è osservato108 che tali procedimenti

provocano la crisi del dogma dell'autonomia

procedimentale, inteso come principio regolatore

dei rapporti tra Comunità e Stati e l'emersione

di un nuovo modo di amministrare, preposto al

soddisfacimento di interessi comuni, nazionali e

comunitari, che conduce all'”europeizzazione”

delle amministrazioni nazionali e di conseguenza

all'ampliamento del concetto di “amministrazione

europea”, non più identificabile nel solo

apparato centrale della Comunità, ma comprensivo

anche delle Amministrazioni nazionali impegnate

in “segmenti” di procedimenti composti.

Premesso che tali procedimenti non hanno

un'autonomia normativa (non vi sono infatti

istituti o gruppi di istituti propri ed

esclusivi di questa specie di procedimenti) ma

meramente descrittiva, il problema pratico, cui

si è più volte accennato, che essi pongono è

relativo alla natura, comunitaria o nazionale,

dei provvedimenti che ne sono il prodotto.

108 SACCHI MORSIANI, cit., pag. 83.

1

Da questa domanda discenderà

l'attribuzione al giudice nazionale o a quello

comunitario del sindacato di legittimità che,

come visto, non può discendere automaticamente

dalla soggettività, comunitaria o nazionale,

dell'Autorità emanante l'atto conclusivo. Se

così fosse, infatti, sarebbe scontato che per i

procedimenti top down la competenza a sindacare

la legittimità dell'atto è propria dell'Autorità

giudiziaria nazionale e per quelli bottom up di

quella comunitaria.

Infatti, come visto, alcuni atti

“interni”, cd. “endoprocedimentali”, sono solo

apparentemente strumentali rispetto all'adozione

del provvedimento finale.

Concludendo sul punto, occorre ribadire

che il discrimine va individuato nella capacità

del provvedimento di incidere su situazioni

giuridiche soggettive; in tale ottica, un atto

conclusivo può essere meramente confermativo di

un atto interno che abbia già prodotto i suoi

effetti.

Del resto, la questione

dell'individuazione dell'atto comunitario è ben

più articolata se si considera che, in

un'amministrazione multi level quale quella

descritta, non ha molto significato ancorare la

comunitarietà dell'atto alla qualificazione

formale dell'Autorità emanante.

1

II.IV Schema riassuntivo per l'identificazione dell'atto comunitario

Schematizzando quanto sin qui detto, deve

affermarsi che nei casi di:

- amministrazione diretta avremo

sicuramente un atto comunitario il cui sindacato

di legittimità spetta al giudice comunitario; in

questo procedimento l'atto impugnabile è quasi

sempre l'atto conclusivo: anche l'eventuale atto

interno lesivo viene così assorbito

dall'impugnazione dell'atto finale;

amministrazione indiretta, il

carattere europeo del provvedimento avrà una

mera rilevanza funzionale ma sarà privo di

effetti sul piano sostanziale e processuale; in

questo tipo di procedimenti la competenza è del

giudice nazionale che utilizzerà, tuttavia, le

norme comunitarie al fine di vagliare la

legittimità del provvedimento;

procedimenti composti, la

qualificazione dell'atto è molto più complessa

al pari dell'individuazione del giudice

competente a sindacare la legittimità dello

stesso; determinante elemento discretivo è dato

dall'individuazione dell'atto che effettivamente

ha la capacità di incidere su situazioni

soggettive di terzi.

II.V. L'atto nazionale “anticomunitario”.

1

In merito ai casi di cd. amministrazione

indiretta, (ma non solo come si è visto) nei

quali il giudice nazionale è chiamato ad

accertare la legittimità di un atto anche alla

luce della normativa comunitaria, occorre dar

conto – sia pur compatibilmente con i fini del

presente lavoro – dei risultati cui è pervenuta

la nostra giurisprudenza.

Siamo in sostanza nel campo delle attività

amministrative esercitate dalle nostre Pubbliche

Amministrazioni in funzione comunitaria.

Il problema interpretativo che si è posto

è il seguente: qual è il regime di invalidità di

un atto amministrativo emanato da un'Autorità

nazionale che contrasta con il regime

comunitario?

Unanime l'opinione che ci si trovi dinanzi

ad una nuova forma di invalidità, ci si è

chiesti e divisi circa i suoi caratteri.

Secondo una prima lettura, siffatta

invalidità sarebbe soggetta ai principi generali

del diritto interno; secondo altra tesi sarebbe

applicabile ad essa un particolare regime da

ricondursi alla nullità.

In dottrina le opinioni sono equamente

divise, mentre nella giurisprudenza ha prevalso

il primo approccio.

1

Il problema, come emergerà con grande

evidenza, non è meramente teorico investendo

rilevantissime questioni pratiche.

E' chiaro, infatti, che l'approccio cd.

tradizionale non stravolge il regime dei termini

di impugnazione nonché le altre regole del

processo amministrativo, specie per quanto

concerne la non rilevabilità d'ufficio dell'atto

anticomunitario, la necessità di una sentenza

costitutiva di annullamento per privare l'atto

della sua efficacia e l'inoppugnabilità

successiva alla loro mancata tempestiva

impugnativa.

La tesi della nullità, invece, conduce a

conseguenze opposte in quanto, riverberandosi

l'invalidità in termini di carenza di potere, si

avrà una nullità assoluta dell'atto. In tal

ultimo caso la nullità potrebbe esser fatta

valere da chiunque, così come ex officio dal

giudice, indipendentemente dai motivi di

ricorso; l'atto, infine, non sarebbe soggetto ai

termini brevi di impugnazione.

Autorevole dottrina ha osservato che

entrambe le tesi non sono convincenti;109 la prima

perché gravemente lesiva dei principi comunitari

e, in particolare, dei principi di effettività

ed uniformità del diritto comunitario. Infatti,

in quest'ottica, vi sarebbero ben maggiori

preclusioni per far valere l'anticomunitarietà

di un atto amministrativo rispetto all'omologo

caso di un atto normativo.

109M.P.CHITI, cit., 546.

1

La seconda tesi introdurrebbe, invece,

elementi processuali dirompenti per il nostro

ordinamento senza che l'applicazione effettiva

del diritto comunitario imponga un simile

stravolgimento.

La giurisprudenza110 ed una parte della

dottrina111 hanno proposto così un'opzione

intermedia, senz'altro da preferire, che cerca

di coniugare i primi due indirizzi.

Nella sostanza, tale indirizzo distingue a

seconda che la norma nazionale si limiti solo a

disciplinare le modalità di esercizio del potere

rispetto ai casi in cui essa attribuisca il

potere amministrativo nell'esercizio del quale

l'atto è stato adottato.

Nel primo caso avremo un vizio di

illegittimità equiparabile all'annullabilità con

la disciplina processuale ben nota; nel secondo

caso avremo una nullità del provvedimento con

tutte le dirompenti conseguenze in termini

processuali cui si è fatto cenno poco sopra.

In realtà, è stata prospettata una quarta

tesi112 113che appare essere stata avallata dalla

110 Consiglio di Stato, sezione V, 10 gennaio 2003 n. 35.111G.COCCO, “Les liasons dangereuses” tra norme comunitarie, norme interne e atti amministrativi, in Riv. it. Dir. Pubbl. comunitario, 1995, 698 ss.; R. GAROFOLI, Annullamento di atto amministrativo contrastante con norme CE self executing, in Urb. App., 1997, n. 3, 340.

112Un'ampia ricostruzione dell'argomento è offerta da R. GIOVAGNOLI, L'atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario: il regime giuridico i il problema dell'autotutela decisoria, in Giustizia amministrativa, 903 e ss.

113M. P. CHITI, Diritto amministrativo europeo, Milano, 1999, 355 e ss.

1

Corte di Giustizia europea114, ossia la tesi della

disapplicabilità dell'atto amministrativo.

Tale tesi, che ha – come evidente –

effetti dirompenti su uno dei cardini dogmatici

del diritto amministrativo nazionale, si fonda

su un argomento fortemente suggestivo.

Si rileva, infatti, che ammessa

pacificamente la disapplicabilità di una norma

interna contrastante con l'ordinamento

comunitario non si comprenderebbe perché un atto

amministrativo non potrebbe essere del pari

disapplicato.

Seguendo questo indirizzo ermeneutico, si

è osservato che, tra l'altro, la

disapplicabilità di un atto amministrativo

produce minori inconvenienti rispetto alla –

pacificamente ammessa – disapplicabilità

dell'atto normativo contrastante con la norma

comunitaria.

Infatti, la norma eventualmente

disapplicata mantiene ciononostante la sua

efficacia e, data la sua natura generale e

astratta, potrà essere, erroneamente, in seguito

applicata.

Di converso, la disapplicazione di un

provvedimento amministrativo, ordinariamente

funzionale a regolamentare una situazione unica

e concreta, una volta disapplicato non è più –

concretamente – idoneo ad essere applicato.

114Corte di Giustizia 29 aprile 1999, causa C-224/1997.

1

Nell'importante precedente citato115, la

Corte di Giustizia ha affermato l'importante

principio secondo cui il provvedimento

amministrativo individuale e concreto divenuto

definitivo che sia in contrasto con il diritto

comunitario va disapplicato perché la tutela

giurisprudenziale spettante ai singoli in virtù

delle norme comunitarie aventi efficacia diretta

non può dipendere dalla natura della

disposizione di diritto interno contrastante con

il diritto comunitario.

L'adesione a questa tesi comporta notevoli

problemi anche in tema di riparto di

giurisdizione.

Invero, si porrebbe il problema della

capacità degradatoria di un provvedimento

amministrativo contrastante con il diritto

comunitario; poi, quand'anche si volesse

ritenere – ed è questa la tesi più accreditata –

che competente a conoscere di quest'atto sia il

giudice amministrativo, bisognerebbe riconoscere

che nell'ordinamento si è venuta introducendo

un'azione di mero accertamento, sinora

sconosciuta.

Tale tesi116 è stata sottoposta a forti

critiche da acuta dottrina117.

Da un lato si è osservato che, portando

alle estreme conseguenze il ragionamento fatto

115 Corte di Giustizia 29 aprile 1999, causa C-224/1997.116 già espressa dalla Corte di Giustizia nel precedente del 14 dicembre 1995 in causa C-312/93, in Riv. Dir. Pubbl. com., 1996, 688.

117R. GIOVAGNOLI, cit., 907.

1

proprio dalla Corte di Giustizia ed avallato da

una parte della dottrina, si avrebbe uno

sconvolgimento della gerarchia delle fonti,

salvo a voler mutare un indirizzo consolidato.

Ed infatti, secondo la giurisprudenza

della Corte Costituzionale, la Costituzione

Italiana – nei suoi principi fondamentali –

mantiene un ruolo di preminenza rispetto al

diritto comunitario tant'è che si è sviluppata

la problematica – cui in questo lavoro, per

evidenti ragioni, non si può far cenno – dei cd.

controlimiti.

Orbene, è acquisito nel nostro ordinamento

il principio per il quale l'atto amministrativo

contrastante con la Costituzione118, laddove non

impugnato tempestivamente, mantiene piena forza

ed efficacia.

Se si aderisse quindi alla tesi della

disapplicabilità119 del provvedimento

amministrativo contrastante con la norma

comunitaria si incorrerebbe allora nell'evidente

contraddizione di garantire maggior tutela ad

una norma, quella comunitaria, subordinata ai

principi fondamentali della Costituzione. 118 Diverso appare il caso in cui il provvedimento amministrativo sia perfettamente legittimo alla stregua della norma legislativa che però si pone in contrasto con la Costituzione. In tal caso andranno indagati gli effetti di un'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dalla quale dovrebbe discendere l'invalidità derivata dell'atto amministrativo.

119 La tesi della disapplicabilità sembrerebbe suggerita alla Corte di Giustizia da Tar Lombardia Milano, sezione III, ordinanza 9 agosto 2000, n. 234, in Urb. e app., 2000, 1243, con nota di A.CRISAFULLI, Disapplicazione del bando di gara: tra Corte di Giustizia e giurisdizione esclusiva. Un'attenta lettura della sentenza della Corte di Giustizia, sezione VI, 27 febbraio 2003, C-327/2000, Santex s.p.a. è offerta da R. GIOVAGNOLI,, cit., 908 e ss.

1

Il rimedio a questa incongruenza, allora,

potrebbe essere rappresentato solo dal

ripensamento circa il regime di invalidità

dell'atto amministrativo contrastante con i

principi fondamentali della Carta

Costituzionale.

Da un'altra prospettiva, si è evidenziato120

che la tesi della disapplicabilità121 finisce per

toccare il principio generale alla stregua del

quale l'ordinamento comunitario lascia ferma la

sovranità degli Stati nazionali nel qualificare

internamente le posizioni soggettive, affidarle

ad un determinato giudice e stabilirne il regime

processuale.

Quindi, il legislatore nazionale è libero

di qualificare una posizione di derivazione

comunitaria alla stregua di un interesse

legittimo, attribuirne la cognizione al giudice

amministrativo e prevedere un termine di

decadenza per l'impugnazione del provvedimento

lesivo a patto che venga rispettata la duplice

condizione di non discriminare la tutela della

posizione comunitaria rispetto a quella

nazionale e di non rendere eccessivamente

difficile o addirittura impossibile la tutela

della posizione comunitaria.

120 F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, tomo II, Milano, 2003, pag. 1530.

121 Per l'inammissibilità di un potere di disapplicazione del giudice amministrativo in merito agli atti anticomunitari sembra N. PIGNATELLI, L'illegittimità comunitaria dell'atto amministrativo, in Giurisprudenza Costituzionale, n. 4, 2008, 3635 e ss.

1

CAPITOLO III

I vizi di legittimità comunitari

III.I Premessa

1

Come visto, l'art. 263 del Trattato sul

funzionamento dell'Unione Europea non ha

innovato il previgente art. 230 del Trattato Ce

il quale prevedeva che la Corte di Giustizia

potesse esercitare un controllo di legittimità

sugli atti delle Istituzioni comunitarie che non

fossero raccomandazioni e pareri.

I motivi di ricorso al Giudice europeo

sono, pertanto, sempre a) incompetenza, b)

violazione delle forme sostanziali, c)

violazione del Trattato o di qualsiasi regola di

diritto relativa alla sua applicazione e d)

sviamento di potere.

Autorevole dottrina122 ha evidenziato che i

vizi di legittimità sindacabili dalla Corte di

Giustizia non differiscono in maniera

sostanziale da quelli previsti dall'art. 26 t.u.

Cons. Stato anche se essi sono direttamente

ispirati al modello francese.

Questa dottrina sottolinea come la censura

di incompetenza è sindacata dalla giurisprudenza

europea con una certa elasticità; come la

violazione delle forme sostanziali significhi

mancanza dei requisiti di forma previsti dagli

atti comunitari con prescrizioni particolarmente

rigorose; come la violazione del trattato o di

qualsiasi regola di diritto relativa alla sua

applicazione corrisponda grosso modo alla

violazione di legge del diritto nazionale; come,

infine, lo sviamento di potere non corrisponda

all'eccesso di potere della tradizione italiana,

122 CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2000, pagg. 589-590.

1

bensì al détournement della giurisprudenza

francese.

III.II Lo sviamento di potere nei più importanti Paesi aderenti all'Unione Europei

Sulla nozione di sviamento di potere in

ambito comunitario hanno avuto, ovviamente,

notevole influsso le omologhe nozioni nazionali;

pertanto, è opportuno premettere allo studio

della figura comunitaria un approfondimento dei

corrispondenti istituti di diritto francese,

tedesco e italiano.

Dato di partenza, dal quale prendere le

mosse prima di analizzare le esperienze

giuridiche dei Paesi più importanti nello

sviluppo della figura comunitaria, è

l'affermazione che lo sviamento di potere è un

vizio di legittimità e non, pertanto, un vizio

di merito123.

123Così, ad esempio, al punto 367 della sentenza del Tribunale di I grado - Seconda Sezione - del 14 dicembre 2006, nelle cause riunite da T-259/02 a T-264/02 e T-271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich AG, Bank Austria Creditanstalt AG, Anteilsverwaltung BAWAG PSK AG, Raiffeisenlandesbank Niederösterreich-Wien AG, BAWAG PSK Bank für Arbeit und Wirtschaft und Österreichische Postsparkasse AG, Erste Bank der oesterreichischen Sparkassen AG, Österreichische Volksbanken AG, Niederösterreichische Landesbank-Hypothekenbank AG contro Commissione delle Comunità europee, si evidenzia chiaramente che lo sviamento di potere è ricondotto tra i vizi di legittimità e contrapposto ai vizi di merito.

1

III.II.I. L'esperienza francese

Il sindacato giurisdizionale del Consiglio

di Stato sull'attività illegale della P.A.

coincide con il concetto di ricorso per excès de

pouvoir.

Tale forma di sindacato ha visto col

passare degli anni un notevole ampliamento dei

casi, dei presupposti e dei poteri del giudice

amministrativo.

Ad esempio, almeno sino al 1906, il

ricorso per excès de pouvoir si fondava sui vizi

di incompetenza, vizi di forma e sullo sviamento

di potere. Questo ricorso presupponeva

semplicemente l'esistenza di un interesse che,

invece, doveva accompagnarsi alla titolarità di

un diritto acquisito qualora si fosse voluto far

accertare una violazione di legge. Tale ultima

condizione fu ritenuta non più necessaria a

partire dalla sentenza del Conseil d'Etat

dell'11 dicembre 1903 nel caso Lot et Molinier e

successivamente fu definitivamente acquisita con

la sentenza del Conseil d'Etat del 1 giugno 1906

nel caso Alcindor.

Con le riforme del contenzioso

amministrativo del 1953 e del 31 dicembre 1987

l'accresciuto ruolo del ricorso per excès de

pouvoir ha condotto il giudice amministrativo a

rafforzare il controllo di legalità,

valorizzando i principi generali del diritto e

1

perfezionando le proprie modalità di controllo

sull'azione amministrativa specie discrezionale.

Significativamente si è detto124 che, nel

linguaggio del diritto amministrativo francese

l'excès de pouvoir è semplicemente un sinonimo

dell'illegalità. In altri termini, il ricorso

per excès de pouvoir tende ad un controllo

integrale della legalità, ma al controllo della

sola legalità.

L' excès de pouvoir si compone di quattro

ouvertures: di queste lo sviamento di potere

costituisce uno dei possibili vizi dell'atto

amministrativo, al pari del vizio di

forma/procedura di carattere sostanziale, ossia

di quel vizio formale o procedurale che abbia

condotto ad un esercizio del potere scorretto o

illegale, del vizio di incompetenza ed al vizio

di violazione di legge formale e materiale.

In particolare l'incompetenza è la

violazione delle regole legali di competenza; il

vizio di forma è il vizio delle regole legali

della forma; lo sviamento di potere è la

violazione della regola legale che impone un

fine determinato a ciascun atto amministrativo125.

In questo contesto, viene ribadita la

necessità della distinzione tra legalità formale

(esterna) dell'atto e legalità sostanziale

(interna) dell'atto stesso. Nella prima

rientrano le ouvertures dei vizi di forma e di

124 G. VEDEL – PIERRE DEVOLVÉ, Droit administratif, t.II, Paris, 1992, pag. 299.

125G. VEDEL – PIERRE DEVOLVÉ, cit., pag. 300.

1

competenza; nella seconda lo sviamento di potere

e la violazione di legge.

Quest'ultima ouverture può apparire

logicamente incomprensibile: infatti, se l'excès

de pouvoir costituisce un controllo integrale di

legalità che senso ha parlare di un autonomo

vizio di violazione di legge?

Si è replicato che, in effetti, la

violazione di legge mantiene una sua autonomia

per mere ragioni storiche e che, nei fatti, con

essa si intendono quei vizi dell'atto che non

costituiscono incompetenza, vizio di forma o

sviamento di potere.

Tornando alla dicotomia controllo esterno-

controllo interno, si è affermato126 che il

controllo interno potrà a sua volta essere

effettuato da un punto di vista oggettivo o da

un punto di vista soggettivo; nel primo caso la

domanda che si deve porre il giudice è: “le

contenu de l'acte, indépendamment des intentions

de son auteur, est-il conforme au droit?”; nel

secondo caso, invece, il giudice dovrà chiedersi

se l'autore dell'atto ha perseguito un fine

diverso da quello attribuito dalla legge agli

atti di quella categoria.

Di fondamentale importanza per comprendere

l'ampiezza del sindacato sul détournement de

pouvoir, sia nel diritto amministrativo francese

sia nel diritto comunitario che – sul punto –

dal primo è stato fortemente condizionato, è la

126G. VEDEL – PIERRE DEVOLVÉ, cit., pag. 301

1

precisazione che la violazione di legge nel

diritto francese può distinguersi in 3 casi:

1) la violazione diretta della regola di

diritto (che si fonda normalmente sull'ignoranza

della norma di riferimento: Costituzione,

trattato, legge, principi generali di diritto,

regolamenti, decisione di giustizia);

2) l'errore di diritto (che concerne i

motivi di diritto dell'atto; sul punto si

sottolinea che tale forma di errore si riscontra

spesso nella fase interpretativa della legge);

3) l'errore relativo ai fatti.

Molto interessante è l'evoluzione del

sindacato giurisdizionale sul caso di cui al

numero 3).

Per molto tempo, si è ritenuto che il

giudizio sull'excès de pouvoir costituisse una

specie di giudizio di cassazione; pertanto, era

preclusa al giudice ogni valutazione in ordine

ai fatti posti a base della decisione

amministrativa.

Questa convinzione si fondava sull'errato

presupposto che l'errore sui fatti non

determinasse un errore di diritto; convinzione,

ovviamente, del tutto errata in quanto

l'acquisizione dei fatti non è una valutazione

discrezionale dell'Amministrazione.

Sin dagli inizi del XX secolo

l'orientamento del Conseil d'Etat è cambiato

radicalmente; prima ritenendo senz'altro

1

verificabile la materialità dei fatti e, in

seguito, la relazione tra il contenuto della

decisione e i fatti che sono stati posti a base

della stessa da parte dell'Amministrazione127;

infine, la Suprema Corte amministrativa ha

ritenuto di poter sindacare l'adeguatezza128 della

decisione presa dall'Amministrazione ai fatti

acquisiti (cd. controle du bilan).

Siamo in presenza, pertanto, di un

controllo di proporzionalità.

Si è rilevato che, pertanto, si è giunti

attraverso questo iter giurisprudenziale da un

controllo sui motivi129 ad un controllo sul

contenuto dell'atto.

Ciononostante permane un'area nella quale

il giudice amministrativo si rifiuta, salvo

l'errore manifesto, di apprezzare i fatti e

questa coincide con quella degli apprezzamenti

tecnici o scientifici.

Il détournement de pouvoir viene definito

come “l'utilisation par une autorité

administrative de ses pouvoirs en vue d'un but

127 Conseil d'Etat, sentenza del 19 maggio 1933, caso Benjamin, riportata in G. VEDEL – P. DEVOLVÉ, cit., pag. 319.

128 Conseil d'Etat, sentenza del 28 maggio 1971, caso Ville nouvelle Est, riportata in G. VEDEL – P. DEVOLVÉ, cit., pag. 324.

129 Occorre precisare che i concetti di “motif” e di “but” nel diritto amministrativo francese, a differenza che nel diritto privato francese nel quale sono sostanzialmente sinonimi, sono profondamente diversi: il primo indica l'insieme degli elementi obiettivi di fatto e di diritto che sono il fondamento dell'atto e che sono assolutamente indipendenti dalla psicologia del suo autore; il secondo, al contrario, è l'intenzione soggettiva che anima l'autore dell'atto.

1

autre que celui pour lequel ils lui ont été

conférés130. »

Premesso che il controllo sullo sviamento

di potere ha ragioni antichissime, si è

osservato che lo sviluppo del controllo

giurisdizionale di natura oggettivo, ossia sui

motifs dell'atto, ed in particolare

l'ampliamento delle ipotesi sindacabili in virtù

del vizio di violazione di legge, ha condotto ad

un sempre minor ruolo del dètournement de

pouvoir in termini di controllo di legalità.

Ad oggi, pertanto, l'utilità dello

sviamento di potere nel diritto amministrativo

francese viene riconosciuta solo in peculiari ed

estreme ipotesi nelle quali l'illegalità non può

essere rivelata in virtù del mero controllo

oggettivo. Esempio tipico è costituito dalla

creazione da parte della P.A. di un posto in

pianta organica per il solo fine di consentire

l'impiego di una persona “protetta”.

In tal caso il controllo oggettivo è

insufficiente essendo l'atto rispettoso delle

forme, emanato dall'Autorità competente

all'esito di un procedimento ampiamente

discrezionale; potrà essere rivelatrice,

pertanto, l'intenzione soggettiva dell'autore

dell'atto.

Schematizzando, si può dire che nel

diritto amministrativo francese si avrà uno

sviamento di potere131 quando:130G. VEDEL – P. DEVOLVÉ, cit., pag. 331.131 Sullo sviamento di potere nel diritto amministrativo francese: G.PEISER, Droit administratif, XIII ed., Paris,

1

a) l'autore dell'atto non ha perseguito

l'interesse pubblico affidato alla cura della

P.A. da parte della legge;

b) l'autore dell'atto ha perseguito un

interesse pubblico diverso da quello che è

autorizzato a perseguire;

c) si è verificato uno sviamento di

procedura.

Pare che si possa affermare che nel

diritto francese non vi siano ostacoli alla

prova del détournement de pouvoir a mezzo di

presunzioni.

Altra parte della dottrina132 ha osservato

che ai tre vizi classici (incompetenza,

violazione delle forme/procedure sostanziali e

alla violazione di legge) la giurisprudenza del

Conseil d'état francese ha aggiunto, quale

estensione del concetto di excés de pouvoir133

(termine onnicomprensivo134 volto ad individuare

tutti i vizi dell'atto amministrativo), le

détournement de pouvoir.

Si è detto, in proposito, che,

contrariamente a quanto sostenuto da dottrina

1987.132M. DENDIAS, Contribution à la notion du pouvoir discretionnaire et du détournement de pouvoir, in Festschrift di RUDOLF LAUN, Gottingen, 1962, 96.

133 Nonostante sia particolarmente datata, resta un punto di riferimento l'opera di R. ALIBERT, Le controle juridictionnel de l'Administration au moyen du recours pour excés de pouvoir, 1926.134 GEORGES VEDEL – PIERRE DEVOLVÉ, Droit Administratif, t. II, Paris, 1958, pag. 240, i quali affermano che “le recours pour excès de pouvoir est l'action par la quelle toute personne y avant intéret peut provoquer l'annullation d'un acte administratif unilatéral par le juge administratif en raison de son illegalité.”

1

straniera135, l'eccesso di potere non consiste

semplicemente in un'incompetenza assoluta e lo

sviamento di potere non può essere identificato

nell'abuso del diritto, costituendo quest'ultimo

un istituto più propriamente tipico del diritto

privato e del diritto internazionale.

Secondo questa dottrina, ma, invero,

quella di lingua francese appare concorde sul

punto, le détournement de pouvoir è termine

intrinsecamente connesso all'esercizio di un

potere discrezionale.

Infatti, posto che si ha, in generale,

sviamento di potere allorquando il fine concreto

di un atto amministrativo non è compreso tra i

fini imposti o autorizzati dalla regola di

diritto, nell'esercizio di un potere vincolato,

in cui si ha un solo ed unico obiettivo che

l'Autorità amministrativa deve perseguire, in

caso di perseguimento di un fine diverso da

quello normativamente imposto, l'atto che

costituirà sua emanazione sarà viziato sotto

forma di violazione di legge.

Tant'è che più che parlare semplicemente

di détournement de pouvoir, occorrerebbe far

riferimento al détournement de pouvoir

discrétionnaire.

III.II.II L'esperienza tedesca

135 M. DENDIAS, cit., 96 cita M. SALANDRA ed il suo Corso di diritto amministrativo, III ed., Roma, 1921, 149.

1

La tradizione del controllo del potere ha

in Germania radici piuttosto antiche,

coincidenti con la fine del XVIII secolo e

l'inizio del XIX secolo, ove fioriscono studi

sulla discrezionalità amministrativa che

sviluppano la teoria dei “concetti giuridici

indeterminati” (unbestimmte Rechtsbegriffe) in

chiara opposizione all'ideologia assolutistica

che vedeva un potere sovrano “libero”136.

Attualmente, che l'indagine sui vizi della

discrezionalità possa ed anzi debba essere

approfondita quanto è necessario per verificare

la correttezza sostanziale della decisione,

sembra confermato da una tendenza generale ormai

consolidata nella giurisprudenza e nella

dottrina.

Esse fanno spesso riferimento

all'Ermessensuberschreitung, cioè al superamento

dei limiti della discrezionalità.

Attenta dottrina137 ha osservato, sul punto,

che il termine Ermessensuberschreitung è assai

incolore.

D'altra parte, si osserva, il termine

missbrauch (contenuto nel termine

Ermessenmissbrauch – abuso di potere

discrezionale) sembra indicare una violazione

136 Sul punto si veda G.STARK, Droits fondamentaux, Etat de droit et Principe Démocratique en tant que fondaments de la procédure administrative non contentieuse, in Revue Européenne de droit pubblic, 1993, 39, citato in LUCIA MUSSELLI, cit., 128.137 M.LAUN, Annuaire de l'IIDP, 1935, 155, riportata da M. DENDIAS, Contribution à la notion du pouvoir discretionnaire et du détournement de pouvoir, in Festschrift di RUDOLF LAUN, Gottingen, 1962, 79.

1

cosciente del dovere, allorquando la maggior

parte dei casi di violazione dei poteri

discrezionali si fondano su errori giuridici

perfettamente scusabili; proprio in

considerazione di tale significato del termine,

si conclude, i tribunali amministrativi

riconoscono ben difficilmente l'esistenza di uno

sviamento di potere.

Tornando ad occuparci più specificamente

dei limiti della discrezionalità

nell'ordinamento tedesco, occorre osservare che

essi possono essere individuati solo attraverso

la comprensione della ratio, cioè di quella

ratio che attraverso l'esercizio del potere

dovrebbe realizzarsi.

L'ipotesi può quindi essere ricondotta

ancora al tipo di irrazionalità 'rispetto allo

scopo': non necessariamente come deviazione o

come distrazione, ma anche come non

proporzionalità138.

Oggi vengono ricompresi nella categoria

generica dell'Ermessensfehler (vizi relativi

all'esercizio del potere discrezionale) tre

ipotesi:

Errmessensubenschreitung Ermessenmissbrauch Ermessensfehlgebrauch

Superamento dei Abuso Condotta contraria

138 Così, quasi testualmente, F. LEDDA, Variazioni sul tema dell'eccesso di potere, in Riv. di dir. Pubbl., 2000, fasc. 2, 440-441.

1

limiti del potere discrezionale

dell'apprezzamento dell'Autorità amministrativa

allo scopo della legge139

Nella versione tedesca del Trattato di

Parigi, lo sviamento di potere venne tradotto

come Ermessenmissbrauch che è, in effetti,

l'ipotesi tipica per il diritto tedesco nella

quale l'Amministrazione fa uso dei suoi poteri

per fini diversi da quelli per i quali tale

potere le è stato conferito.

Tuttavia, come rilevò nelle sue

conclusioni l'Avvocato Generale Lagrange nella

causa Assider, l'assimilazione

Ermessenmissbrauch/détournement de pouvoir è

solo tendenziale: infatti, l'Ermessenmissbrauch

non esaurisce tutte le ipotesi dello sviamento

di potere potendo rientrare alcune di esse

nell'Ermessensfehlgebrauch ed in particolare

nella subcategoria dell'Ermessenwillkur

(esercizio arbitrario del potere

discrezionale)140.

III.II.III. Lo sviamento di potere nell'esperienza italiana

139 Di uso erroneo della discrezionalità parla F. Ledda, cit., 440.140 Così, testualmente, LUCIA MUSSELLI, cit., 128.

1

Per alcuni nel diritto italiano lo

sviamento di potere141 è una forma d'illegittimità

dell'atto discrezionale perché quest'ultimo

traduce in attività amministrativa il potere

discrezionale senza che concorrano le condizioni

richieste dalla legge per l'esercizio del potere

stesso142.

Per la dottrina e la giurisprudenza

prevalenti, tuttavia, lo sviamento di potere è

uno degli indici sintomatici143 - al pari del

141 Per A.TRAVI, Un intervento di Francesco Rovelli sull'eccesso di potere, in Diritto pubblico, 2000, fasc. 2, 455-482, lo sviamento di potere rappresenta ormai un'evenienza quasi eccezionale.142 F.ROVELLI, Lo sviamento di potere, in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di Giovanni Vacchelli, Milano, 1938, 461.143 Per quanto attiene alla valenza probatoria delle figure sintomatiche, mentre la giurisprudenza (si vedano, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 13 aprile 1992, n. 256, in Cons. Stato, 1992, 606; Consiglio di Stato sez. V, 25 novembre 1999, n. 1983; Consiglio di Stato, sez. V, 9 ottobre 2000, n. 5366) ritiene che le stesse costituiscano prove del vizio di eccesso di potere idonee a giustificare l'illegittimità dell'atto e quindi il suo annullamento, la dottrina, al contrario, esclude tale tipo di automatismo, sostenendo che dinanzi al sintomo di un esercizio non corretto del potere amministrativo, il giudice debba verificare se tale figura abbia inciso in concreto sulla scelta amministrativa allontanando l'atto dal perseguimento del fine pubblico: così F.CARINGELLA, cit., pag. 907. Per F. MODUGNO e M. MANETTI, voce Eccesso di potere amministrativo, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1989, pag. 4, che richiamano F. BENVENUTI, Eccesso di potere per vizio della funzione, in Rass. Dir. Pubbl., 1950, 1, l'automatismo sintomo=eccesso di potere è scorretta in quanto muove da una relazione di mera probabilità che non risponde ai requisiti della gravità, precisione e concordanza, richiesti, per le presunzioni non stabilite dalla legge, dall'art. 2729, II comma, c.c.; peraltro, dette presunzioni non sono rilevanti nei casi, come sembra accadere nel processo amministrativo, in cui non sia ammessa la prova testimoniale. La critica andrebbe oggi rivista dopo la sentenza della Corte Costituzionale 23 aprile 1987 n. 146 e, soprattutto, dopo la riforma del processo amministrativo ai sensi della legge n. 205 del 2000. Per E.CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2005, 519, “è da rilevare che la manifestazione sintomatica potrebbe essere contraddetta da altri elementi che dimostrino la correttezza dell'azione: da questo punto di vista è determinante la capacità dell'amministrazione di giustificare, con la propria motivazione, la

1

travisamento e dell'erronea valutazione di

fatti, dell'illogicità o contraddittorietà

dell'atto, della contraddittorietà tra più atti,

dell'inosservanza di circolari, di norme interne

o della prassi amministrativa - della più ampia

figura dell'eccesso di potere.

In particolare, lo sviamento di potere si

concretizzerebbe allorquando la P.A. curi,

esercitando un potere, un interesse diverso da

quello tipico, anche se pubblico, anche – al

limite – se di pregio intrinseco maggiore di

quello in relazione al quale le era stato

attribuito il potere esercitato144.

Autorevole dottrina145 puntualizza che lo

sviamento costituisce l'eccesso di potere nella

sua forma genuina di vizio della

discrezionalità. Esso comporta un esercizio in

concreto del potere per un fine diverso da

quello imposto dalla legge.

conclusione raggiunta pur in presenza di una situazione che potrebbe apparire come un sintomo di illegittimità”.In una posizione intermedia sembra collocarsi il pensiero di F. LEDDA, Variazioni sul tema dell'eccesso di potere, in Riv. di dir. Pubbl., 2000, 435, per il quale – almeno per quanto attiene ai vizi della motivazione – l'equivalenza giurisprudenziale sintomo=vizio “non rivela affatto una sorta di pigrizia del giudice amministrativo, ma piuttosto la giustissima intuizione che, almeno per le figure sintomatiche relative alla motivazione, l'atto deve rendere manifesta l'autorità nel momento stesso in cui pretende di affermarsi, che la motivazione è ancora spendita di autorità, determinazione di ciò che deve essere secondo diritto del caso singolo.” Sul punto l'Autore richiama il pensiero di O. MAYER, Deutsches Verwaltungsrecht, Berlino, 1923, 244 ss. 144 R.VILLATA, L'atto amministrativo in Diritto amministrativo a cura di L.MAZZAROLLI, G.PERICU, A. ROMANO. F.A. ROVERSI MONACO, F.G.SCOCA, Bologna, 2005, 831.145 V.CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002, 585 il quale cita quale esempio giurisprudenziale la nota sentenza del Consiglio di Stato sez. V del 29.9.1965 n. 978.

1

Questa dottrina precisa che lo scopo

effettivamente perseguito potrà essere anche

conforme ad interessi pubblici e, quindi, di per

sé stesso lecito: esso, tuttavia, essendo

diverso da quello tipico, vizia l'atto che ne è

espressione.

III.III Lo sviamento di potere nell'Organizzazione comunitaria

L'art. 263 paragrafo II TFUE (ex art. 230

del Trattato Ce) dispone che la Corte di

Giustizia esercita un controllo di legittimità

sugli atti adottati dalle Istituzioni

Comunitarie, che non siano raccomandazioni e

pareri, ed a tal fine è competente a

pronunciarsi sui ricorsi per a) incompetenza, b)

violazione delle forme sostanziali, c)

violazione del Trattato o di qualsiasi regola di

diritto relativa alla sua applicazione, d)

sviamento di potere146 147.

146 Per M.P.CHITI, Diritto amministrativo europeo, III ed., Milano, 2008, 542, lo sviamento di potere connota il vizio della funzione come nell'ordinamento amministrativo francese, e solo in parte corrisponde al nostro eccesso di potere.147 Appare significativo sottolineare che, non di rado, le parti rappresentano le censure avverso atti comunitari non rifacendosi allo schema tipico dei vizi previsti dal Trattato. Ad esempio, nelle cause riunite T27/03, T-46/03, T-58/03, T-79/03, T-80/03, T-97/03 e T-98/03, i ricorrenti hanno concluso chiedendo che il Tribunale dichiarasse, in via principale e di merito, inesistente ovvero nulla e comunque annullare la decisione impugnata per incompetenza, abuso e sviamento di potere; in via subordinata e di merito, annullare la decisione impugnata, in particolare la sanzione, per erronea definizione del mercato geografico rilevante, difetto di motivazione, falsa applicazione del diritto, infondatezza, anche probatoria, degli addebiti contestati, violazione del

1

Già una prima lettura dell'articolo sopra

citato, come anticipato148, consente di trarre una

prima importante indicazione: il sindacato della

Corte di Giustizia Europea sub specie di

sviamento di potere è un giudizio di

legittimità.

In tal senso, quindi, deve essere fugato

qualsiasi dubbio volto a ricondurre detto vizio

nell'ambito dei vizi di merito dell'azione

amministrativa. Questi ultimi, dunque, restano –

di regola – non sindacabili dalla Corte di

Giustizia.

Anche sul punto, quindi, viene ripresa

l'illuministica concezione secondo la quale il

potere giudiziario non può sostituirsi al potere

esecutivo dovendosi limitare a censurarne

l'operato quando entri in conflitto con norme e

principi di diritto.

principio dell’imparzialità dell’azione amministrativa e dei diritti della difesa;in via ulteriormente subordinata e di merito, annullare la sanzione per irragionevolezza e per insufficiente istruttoria e motivazione o, comunque, ridurre la sanzione comminata alla ricorrente, defalcandone, anzitutto, la maggiorazione del 225% per l’effetto dissuasivo e la maggiorazione del 105% per la durata e riducendo, proporzionalmente, l’importo di base in ragione della prescrizione, della minor gravità dell’infrazione, della marginale partecipazione della ricorrente all’intesa e degli addebiti espressamente non imputati ad essa; o, ancora (con riferimento ad un'altra delle cause riunite), in via subordinata, annullare la decisione impugnata, in particolare la sanzione, per incompetenza, sviamento e manifesto eccesso di potere da parte della Commissione, nonché per errata applicazione dell’art. 65 CA e per carenza e/o contraddittorietà della motivazione nei confronti della ricorrente; in via ulteriormente subordinata, ridurre l’ammenda comminata alla ricorrente dalla Commissione in funzione del fatturato della stessa per errata applicazione dell’art. 65, n. 5, CA.

148 Si veda il paragrafo II di questo capitolo.

1

Del resto, pur essendo del tutto

prematura, e comunque non assecondata dal dato

positivo, un'assimilazione dell'Unione Europea

ad uno Stato federale, essendo essa più

correttamente assimilabile ad un'Istituzione

sovranazionale, sia pur dotata di evidenti

peculiarità, nella sua originale organizzazione

dei poteri essa ha senz'altro risentito149 del

modello della tripartizione dei poteri

(esecutivo, giudiziario e legislativo) che,

peraltro, è caratteristica comune degli Stati

membri.

In realtà, però, non vi è chi non veda

come le peculiarità dell'Istituzione Unione

Europea rendano tale accostamento del tutto

approssimativo.

Come già puntualizzato nei primi due

capitoli di questo lavoro, infatti,

l'impalcatura comunitaria conosce (e ancor di

più ha conosciuto in passato) un'“indistinzione”

tra le funzioni esecutive e quelle normative.

Detta commistione tra le funzioni rileva

tanto da un punto di vista oggettivo, ossia per

la natura degli atti adottati, quanto da un

punto di vista soggettivo, ossia dal lato

dell'Organo emanante.

Quanto al primo aspetto, occorre rimarcare

come l'atto più facilmente riconducibile

all'azione amministrativa, ossia la decisione, 149 Appariva significativo in tal senso il disposto dell'art. 7 del Trattato CE che, nella versione francese, recitava: “Chaque istitution agit dans les limites des attributions qui lui sont conférées par le présent Traité.”

1

abbia non di rado valenza normativa (si veda la

più volte citata decisione sulla comitatologia);

quanto al secondo aspetto, si tenga in

considerazione che il Consiglio è contitolare

della funzione normativa e di quella esecutiva.

Tanto premesso, non può tuttavia

ignorarsi che almeno l'apparato giudiziario gode

di quell'autonomia necessaria per poter essere

considerato un Organo imparziale ed

indipendente, di natura prettamente tecnica,

che, in questo senso, deve rispettare altresì i

margini di autonomia degli altri poteri, di

quello esecutivo in particolare.

In poche parole, la complessità

dell'organizzazione comunitaria non ha fatto

venir meno l'esigenza che il potere giudiziario

rispetti quella che, con una terminologia

nazionale, potremmo definire “riserva di

amministrazione”.

Di questa necessità si è fatta carico

la Corte di Giustizia che, proprio con

riferimento al sindacato sullo sviamento di

potere, ha adottato un atteggiamento di self-

restraint che, anzi, per i commentatori più

attenti, è stato in alcune occasioni eccessivo

sino a lasciare un qualche vuoto di tutela per i

ricorrenti150 151.

150 Si veda VINCENZO CAPUTO JAMBRENGHI, Discrezionalità della Commissione, signora della prova, e horror vacui del giudice comunitario, nota a Corte di Giustizia delle Comunità Europee (VI sezione), sentenza 6 luglio 2000, causa C-289/97, Eridania Zuccherifici Nazionali s.p.a. contro Azienda Agricola San Luca di Romagnoli Viannji, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2000, fasc. 4, 1770-1773.

1

III.III.I Parametri per la definizione di sviamento di potere

Il Trattato comunitario non definisce lo

sviamento di potere. Di esso, dunque, occorre

ricercarne una “perimetrazione” utilizzando

tutti i dati ermeneutici disponibili. In primis

quello letterale, poi quello sistematico;

infine, quello storico che, come si vedrà, sarà

particolarmente utile.

Nello specifico, la definizione di

sviamento di potere comunitario potrà trarsi

anche a contrario analizzando gli altri vizi

sindacabili dal giudice europeo.

In poche parole, lo sviamento di potere è

un vizio che afferisce ad un'area dell'attività

amministrativa invalida che non si caratterizza

né per l'incompetenza dell'Organo agente, né per

la violazione delle forme sostanziali, né per la

violazione del Trattato nonché delle regole di

diritto relative alla sua applicazione. Del

resto, già dalla lettura della norma può

desumersi la portata del tutto residuale di

151 Come già anticipato, questa situazione è il frutto delle difficoltà probatorie riconnesse alla dimostrazione dell'esistenza di detto vizio. Interessante è, poi, la sentenza del Tribunale di I grado Prima Sezione) del 13 dicembre 2006, causa T-138/03,É.R. e altri/ Consiglio dell’Unione Europea, che – al punto 142 – sembra non disconoscere uno sviamento di potere perpetrato dall’Istituzione Comunitaria pur senza poi condannare la stessa a risarcire i danni lamentati dai ricorrenti sul presupposto dell’assenza di nesso di causalità.

1

questo vizio. Ed in effetti, come si vedrà, del

tutto residuale è stata l'applicazione concreta

che di questa figura ne ha fatto la

giurisprudenza comunitaria che, tuttavia, si è

adoperata meritoriamente per una sua

perimetrazione.

In questa complessa attività la Corte non

ha potuto non muovere le mosse dal dato

terminologico che evoca chiaramente il

détournement de pouvoir di origine francese.

Si è rilevato152 che il détournement de

pouvoir comunitario ha attinenza principalmente

“à les buts”, ossia agli scopi (melius: agli

scopi non legittimi) dell'atto.

Questa dottrina ha osservato – in chiave

di ricostruzione storica della figura - che la

Corte di Giustizia, in un primo momento (nella

vigenza del Trattato CECA), aveva sviluppato una

concezione oggettiva dell'istituto che, però,

finiva con il confondersi con l'errore di

diritto.

Secondo questa analisi, occorre osservare

che i campi elettivi in cui lo sviamento di

potere è stato fatto valere nella vigenza degli

originari Trattati Comunitari atteneva a tre

grandi aree tematiche nelle quali ha ricevuto,

peraltro, un trattamento ben diverso:

A) l'area attratta nel Trattato CECA;

152 OLIVIER DUBOS E MARIE GAUTIER, cit., p. 132.

1

B) l'area della funzione pubblica

comunitaria;

C)l'area attratta nel Trattato CEE/CE.

Orbene, mentre nelle aree tematiche

descritte con le lettere A) e B) la figura ha

conosciuto una certa applicazione,

particolarmente interessante nell'area di cui al

punto A), nelle aree disciplinate dal Trattato

Cee/CE, ove la discrezionalità

dell'Amministrazione si è esplicata

principalmente nell'interpretare le numerose

nozioni indeterminate presenti nell'ambito del

diritto della concorrenza, la casistica

giurisprudenziale è molto meno ricca.

Qualcuno153 ha ritenuto che questa diversità

applicativa sia derivata anche dal diverso

concetto di sviamento di potere posto quale

parametro di riferimento.

In particolare, nelle aree di cui alla

lett. C) sarebbe prevalsa un'interpretazione

“soggettiva” del détournement de pouvoir (sotto

l'influsso francese) con tutte le difficoltà

probatorie ivi ricollegate; nelle aree di cui

alla lett. A) avrebbe prevalso

un'interpretazione “oggettiva” più vicina

all'Ermessensmissbrauch tedesco.

In un secondo momento, con l'evoluzione

dell'interpretazione del Trattato CE, sarebbe

prevalsa una concezione soggettiva 153 LUCIA MUSSELLI, cit., 148-149.

1

dell'istituto, ossia una concezione che prende

in considerazione principalmente l'intenzione

dell'autore dell'atto.

In quest'ottica l'autore dell'atto non

deve perseguire un fine personale né un

interesse pubblico diverso rispetto a quello che

la norma attributiva del potere gli indica.

Volendo riordinare le argomentazioni delle

opposte tesi può dirsi che per i fautori154 del

carattere “soggettivo”, per una corretta

verifica giurisdizionale dello sviamento di

potere è necessario indagare la sfera volitiva

dell'agente; sarebbe necessario, pertanto,

accertare se questi intenzionalmente155 abbia

agito per realizzare un fine diverso da quello

in vista del quale il potere gli è stato

attribuito.

Per altri, lo sviamento di potere deve

emergere direttamente dall'atto156.

In questo senso, una posizione intermedia

è quella espressa dall'Avvocato Generale

Lagrange157 nelle conclusioni della già citata

154 All'approccio “soggettivo” sembra aver aderito la dottrina italiana: C.A.TROJANI, Lineamenti di giustizia amministrativa nel sistema comunitario, Pubblicazione dell'Istituto di studi europei A. De Gasperi, Roma, 1990, 45.155 E' inevitabile rimarcare le analogie, in termini di elemento soggettivo, tra una simile ricostruzione e quella attualmente accolta in via normativa dalla disciplina dell'abuso d'ufficio nazionale con rilevanza penale (art. 323 c.p.).156 A spingere per un carattere “oggettivo” dello sviamento di potere è prettamente la dottrina tedesca: si veda B.VAN DER ESCH, Pouvoir discrétionnaires de l'exécutif européen et controle juridictionnel, Deventer, 1968, 42.157 LUCIA MUSSELLI, Evoluzione del détournement de pouvoir in ambito comunitario ed ipotesi di raffronto con l'ordinamento amministrativo interno, in Rivista italiana

1

causa n. 8/1955158 dove rimarcò che la cd.

concezione classica dello sviamento di potere

non si può ridurre ad una forma di controllo

psicologico sull'intenzione dell'autore

dell'atto ma deve abbracciare le risultanze

obiettive dell'atto impugnato, dovendo emergere

da quest'ultimo una divergenza tra lo scopo che

il soggetto doveva perseguire e quanto realmente

raggiunto159.

La giurisprudenza comunitaria, nella prima

sentenza160 che provvide ad annullare un atto

perché viziato da sviamento di potere, non prese

posizione sulla diatriba dottrinaria di cui si è

dato conto pur facendo sicuramente riferimento

alla necessità di indagare le finalità che hanno

mosso l'autore dell'atto.

In particolare, la Corte di Giustizia si

trovò a dover sindacare la legittimità del

trasferimento di Max Gutmann, funzionario

dell'Euratom, disposto dalla Commissione da un

ufficio all'altro della stessa.

Detto trasferimento, secondo il

ricorrente, “mascherava” un provvedimento

di diritto pubblico comunitario, 1996, fasc. 1, 119-162.158 In Raccolta, 1956, 251-252. Ripercorrendo a ritroso gli studi della dottrina italiana, non può non ricordarsi il contributo di F.Rovelli, Lo sviamento di potere, in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di Giovanni Vacchelli, Milano, 1938, 447 ss.159 A quest'ultima concezione, che tiene in debito conto altresì l'aspetto oggettivo, sembra aver aderito la Corte di Giustizia nelle cause 3 e 4/1964, Chambre syndacale de la sidérurgie française e altri c. Alta Autorità in Grands arrets de la Cour de Justice des Communautés Européennes, a cura di J. BOULOUIS E R.M. CHEVALLIER, Parigi, 1993, 357-361.160 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza 5 maggio 1966 nelle cause riunite 18 e 35/1965 in Lucia Musselli, cit., 137.

1

disciplinare che l'Istituzione Comunitaria

voleva evitare di emanare per non riconoscere i

diritti di difesa connaturati alle sanzioni

disciplinari.

Il ricorrente, in poche parole, si

lamentava dell'uso “non funzionale” dell'atto di

trasferimento, disposto non per reali esigenze

di servizio ma per eludere le garanzie connesse

all'applicazione di un provvedimento

disciplinare.

In questo caso la Corte di Giustizia

sostenne che “le variazioni e le contraddizioni

sopra rilevate, unitamente ai fatti quali la

simultaneità tra la pubblicazione dell'avviso di

posto vacante e il trasferimento del ricorrente

allo stesso posto...costituiscono una serie di

indizi obbiettivi da cui si può dedurre che

l'Amministrazione, nel procedere al

trasferimento del Gutmann, non si è avvalsa dei

suoi poteri per uno degli scopi previsti dallo

Statuto per detto provvedimento. La decisione di

reiezione (della domanda di riesame del

trasferimento al fine di una sua revoca) del 5

febbraio del 1965 va dunque annullata per

sviamento di potere nella parte in cui conferma

la decisione di trasferimento del 9 dicembre

1964”.

Simile impianto motivazionale la Corte di

Giustizia ricalcherà nelle successive sentenze161

161 Si fa riferimento alla sentenza del 29 settembre 1976, resa nella causa n. 105/75 e alla più recente nelle cause riunite nn. 33, 40, 110, 226 e 285/1986, Peine Salzgitter c. Commissione.

1

di annullamento per sviamento di potere, a dire

il vero poco frequenti.

Secondo una parte della dottrina162,

peraltro, la giurisprudenza comunitaria163 avrebbe

adottato una definizione di sviamento di potere

“mista” e le applicazioni pratiche indurrebbero

a distinguere tre forme di sviamento di potere a

secondo che lo stesso coinvolga 1) gli

obiettivi, 2) i motivi o 3) le procedure.

Si è sostenuto che il caso164 di cui al

numero 1 sarebbe di facile individuazione se, in

materia di obiettivi, i trattati non operassero,

a monte, una distinzione tra obiettivi generali

e obiettivi specifici e se, in secondo luogo,

non mettessero sullo stesso piano gli obiettivi

generali insuscettibili di un raggiungimento

simultaneo.

Quanto al primo aspetto, si è osservato

che la giurisprudenza comunitaria165 pare aver

ammesso che le Istituzioni comunitarie possano

oltrepassare i fini specifici purché rispettino

i fini generali; quanto al secondo aspetto, si è

sottolineato che le Corti comunitarie166 hanno

ritenuto che non costituisca uno sviamento di

potere il non aver particolarmente conciliato

162 JEAN BOULOUIS, MARCO DARMON, JEAN GUY HUGLO, Contentieux communautaire, II ed., Paris, 2001, pag. 213.163 Corte di Giustizia 29 novembre 1956 Féderation Charb. de Belgique, causa C-8/55; 11 luglio 1990, Sermés, causa C-323/88.164 Ad avviso della dottrina citata riscontrabile nella sentenza 29 settembre 1987, Fabrique de fer de Charleroi causa C-351/85.165 Si indica quale esempio emblematico la sentenza 21 dicembre 1954, France c. Haute Autorité C.E.C.A., C-1/54.166 Sentenza 8 febbraio 1968, Pays-Bas c. Csion, causa C-28/66.

1

gli obiettivi generali che, del resto, non

potevano essere simultaneamente raggiunti: in

sostanza, in caso di impossibilità di sintesi,

le Istituzioni comunitarie conserverebbero il

potere di accordare ad alcuni obiettivi generali

quella preferenza indotta dai fatti e dalle

circostanze economiche in vista delle quali

doveva essere emesso.

Il caso di cui al numero 2 sembrerebbe

contrastare con il carattere oggettivo del

détournement de pouvoir ma tuttavia, non di

rado, è stato preso in considerazione dalla

giurisprudenza comunitaria167 la quale, peraltro,

ha escluso che i motivi possano essere indici

sintomatici di uno sviamento di potere quando

questi sono del tutto secondari e accessori

nella valutazione complessiva dell'atto che,

sotto altro aspetto, è rispondente al fine

assegnatogli dalla legge.

Nel caso di cui al punto 3, la Corte di

Giustizia168 sarebbe apparsa più rigorosa nel suo

sindacato avendo ritenuto integrato il vizio

qualora i poteri accordati alle Istituzioni

comunitarie siano stati utilizzati per un fine

esclusivo, o anche solo determinante, elusivo

della procedura imposta dal Trattato.

Si è in particolare affermato169 che

sussiste sviamento di potere quando

un'Istituzione esercita i suoi poteri allo scopo

esclusivo, o quanto meno determinante, di

167 Sentenza 21 dicembre 1954, causa C-1/54 cit.168 Sentenza 20 giugno 1991, Cargill, causa C-248/89.169 Sentenza 7 marzo 2002 Italia c. Commissione, causa C-310/99 in Racc. I-2289.

1

raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o

di eludere una procedura appositamente prevista

dal Trattato per far fronte alle circostanze del

caso di specie.

La Corte di Giustizia170 trattò

approfonditamente la questione in un caso che

traeva origine da una grave crisi siderurgica

alla quale la Commissione tentò di porre freno

attraverso la fissazione di quote per

determinati metalli. Venuta meno la situazione

di crisi, la stessa Commissione, con il

regolamento n. 3746/86/CECA, liberalizzò una

sola categoria di metalli, ossia gli zincati.

La particolarità di quest'intervento di

liberalizzazione consistette nella procedura

seguita che ricalcò quella di cui all'art. 58 n.

1 del Trattato CECA prevista, tuttavia, per

l'introduzione delle quote e non per la loro

eliminazione. Infatti, detta procedura si

caratterizzava per la sua complessità dettata

dall'esigenza di garantire al massimo, anche in

termini procedurali, le istanze della libera

concorrenza inevitabilmente compresse

dall'introduzione di quote.

Per porre fine al sistema della

limitazione era, invece, prevista una procedura

ben più agile prevista dal n. 3 dello stesso

art. 58 del Trattato CECA, ma nell'occasione

detta più snella procedura, come anticipato, non

venne seguita.

170 Sentenza 21 giugno 1988, cause riunite 32, 52 e 57/1987 Industrie Siderurgiche associate (ISA) ed altri c. Commissione, in Racc., IV, 1988, 3305 ss.

1

Sennonché l' Associazione delle Imprese

Siderurgiche (ISA) impugnò il provvedimento

della Commissione che liberalizzava solo la

categoria degli zincati, deducendo che la

particolare procedura seguita era funzionale

alla volontà di non eliminare le quote per le

altre categorie di metalli, con ciò provocando

un danno per i produttori di altri tipi di

materiali metallici.

In quella circostanza, la Corte riconobbe

che la Commissione aveva erroneamente utilizzato

una procedura anziché un'altra e riconobbe

expressis verbis, per tale motivo, che si era

verificato uno sviamento di potere da sanzionare

con l'annullamento della decisione.

Del resto, anche in seguito, sono state

emanate diverse sentenze che hanno accolto

censure volte a denunciare sviamenti di

procedura171.

Significativa è la sentenza 22 settembre

1988 emessa nel caso Th. Frydendahl A/S c.

Commissione, causa n. 148/87.

Nell'occasione, la Commissione, essendosi

accorta di non aver rispettato il termine di

quattro mesi dalla ricezione di una domanda

delle Autorità danesi di applicazione dell'art.

13 del regolamento n. 1430/79, relativo al

171 Corte di Giustizia 22 settembre 1988, in causa 148/1987, Th. Friedendahl Pedersen A/S c. Commissione, in Racc., IV, 1988, 4993. Si vedano, altresì, le sentenze emanate nelle cause riunite 140, 146, 221 e 226/1982 Walrstahl Vereinigung e Thyssen c. Commissione e nelle cause riunite 33, 44, 110, 226 e 258/1986 Stahlwerke-Peine Salzgitter ed altri c. Commissione.

1

rimborso o allo sgravio dei diritti

all'importazione o all'esportazione, per offrire

una risposta, aveva chiesto alle Autorità stesse

di ritirare la domanda per poi ripresentarla

consentendo, così, alla Commissione di svolgere

un supplemento di istruttoria.

La ricorrente, pertanto, impugnava la

decisione della Commissione deducendo che essa

fosse stata determinata solo dalla volontà di

evitare gli effetti, derivanti dall'intempestiva

risposta, di cui al regolamento n. 1575/80.

Accertato che tale fosse l'intendimento

della Commissione, la Corte di Giustizia annullò

la decisione osservando che essa fosse stata il

frutto di uno sviamento di procedura.

Emerge chiaramente da quanto esposto che,

in un caso siffatto, i confini tra lo sviamento

di procedura e lo sviamento di potere in senso

stretto diventino particolarmente labili.

In questo caso, in fondo, i timori della

Corte di Giustizia di invadere la cd. “riserva

di amministrazione” hanno avuto minor ragion di

esistere dinanzi all'evidenza della prova

dell'illegittimità.

D'altro canto, l'esame di dette sentenze

fa emergere che lo sviamento di potere per

sviamento di procedura, laddove riconosciuto,

non sia inteso alla stregua di un vizio

meramente formale. Ovvero, affinché la Corte di

giustizia annulli il provvedimento emanato in

seguito a procedura diversa da quella prevista

1

normativamente, non è sufficiente la mera

allegazione di uno sviamento di procedura:

sembra, infatti, che la Corte Comunitaria

richieda che tale sviamento abbia determinato

l'emanazione di un provvedimento che persegua

fini diversi da quelli legalmente previsti.

Sul punto, tuttavia, lo sviamento di

procedura costituisce un dato presuntivo di

questo sviamento che conduce più facilmente

all'accoglimento del ricorso presentato. Anzi, a

volte172, lo sviamento di procedura è talmente

evidente e ingiustificato da costituire ex se

uno sviamento di potere.

Tali argomentazioni danno credito a quella

tesi dottrinaria173 secondo la quale anche nella

giurisprudenza comunitaria si sta formando una

casistica di figure sintomatiche di sviamento di

potere, come negli ordinamenti nazionali. Si

ricordano in particolare l'inosservanza di

codici di condotta e il richiamo di elementi

limitati e superati nella motivazione dell'atto.

L'autore osserva come il settore in cui si è più

di frequente fatto applicazione del predetto

vizio è quello del pubblico impiego.174

Senz'altro, comunque, deve dirsi che la

Corte di Giustizia è parsa particolarmente (e,

forse, eccessivamente) attenta a salvaguardare

la sfera di discrezionalità dell'Autorità

172 Si analizzi ad esempio il caso trattato da Corte di Giustizia 22 settembre 1988, in causa 148/1987, Th. Friedendahl Pedersen A/S c. Commissione, cit.173 M.P.CHITI, cit., 542.174 vedi di recente Tribunale di I grado sentenza 22.10.2002 causa T-310/01.

1

Amministrativa comunitaria che è quella sulla

quale, di regola, interferisce il sindacato

sullo sviamento di potere.

Non di rado, così, si legge - nella

motivazione delle sentenze - che la Corte,

nell'effettuare il controllo di legittimità

sull'esercizio dell'ampia libertà di valutazione

di cui gode l'Istituzione comunitaria, non può

sostituire la propria valutazione in materia a

quella dell'Autorità competente ma deve

limitarsi a stabilire se quest'ultima non sia

viziata da errore manifesto o da sviamento di

potere. La giurisprudenza comunitaria175 ha, anche

in seguito, nelle occasioni in si è espressa

sullo sviamento di potere, precisato che “la

175 così, testualmente, Corte di Giustizia, causa C-121/01 P, O'Hannrachain/Parlamento. Nello stesso senso si vedano anche: sentenza 22 novembre 2001, causa C-110/97, Paesi Bassi/Consiglio, Racc. pag. I-8763, punto 137; sentenze 14 maggio 1998, causa C-48/96 P Windpark Groothusen/Commissione, Racc. pag.I-2873, punto 52, e 10 marzo 2005, causa C-342/03, Spagna/Consiglio, Racc. pag. I-1975, punto 64; sentenza del Tribunale (Quarta Sezione ampliata) di I grado del 27 settembre 2006, causa T-168/01, GlaxoSmithKline Services Unlimit/Commissione; sentenze del Tribunale 11 giugno 1996, causa T-118/95, Anacoreta Correia/Commissione, Racc. PI pagg.I-A-283 e II-835, punto 25, e 14 ottobre 2004, causa T-389/02, Sandini/Corte di giustizia, Racc. PI pagg. I-A-295 e II-1339, punto 123); Nei procedimenti riuniti C-186/02 P e C-188/02 P, Ramondín SA e Ramondín Cápsulas SA/Commissione e Territorio Histórico de Álava – Diputación Foral de Álava/Commissione, la sentenza della Corte di Giustizia dell’ 11 novembre 2004, nel ribadire che lo sviamento di potere va desunto da elementi obiettivi, pertinenti e concordanti, “bolla” come frutto di valutazioni meramente soggettive dei ricorrenti la censura di sviamento di potere all’attività della Commissione. In particolare, il dedotto sviamento non sarebbe ricavabile dal fatto che la Commissione avesse agito senza la previa denuncia di alcun concorrente dei ricorrenti. Questi ultimi, viceversa, traevano dall’assenza di denunce da parte di altri concorrenti la conclusione che la Commissione si fosse attivata, non per i fini dichiarati, ma per scopi di armonizzazione fiscale raggiungibili più correttamente, sempre secondo la tesi dei ricorrenti, con altri mezzi di competenza, tra l’altro, del Consiglio.

1

nozione di sviamento di potere ha una portata

ben definita che si riferisce al fatto che

un'Autorità amministrativa abbia utilizzato i

propri poteri per uno scopo diverso da quello

per il quale le sono stati conferiti. Un atto

è viziato da sviamento di potere solo se, in

base ad indizi oggettivi, pertinenti e

concordanti, risulta adottato allo scopo

esclusivo, o quanto meno determinante, di

raggiungere fini diversi da quelli dichiarati

o di eludere una procedura appositamente

prevista per far fronte alle circostanze del

caso di specie”.

Sul punto, è opportuno rimarcare che per

la giurisprudenza comunitaria lo sviamento

di potere è integrato anche qualora l'atto

impugnato persegua un interesse pubblico

diverso da quello legalmente fissato176; a

meno che, con il fine ulteriore e diverso,

non sia perseguito anche il fine previsto

dalla legge: in questo caso il perseguimento

del fine indicato dalla norma attributiva del

potere, per quanto non oggetto esclusivo

della volontà amministrativa esplicitata

nell'atto impugnato, determina la “sanatoria”

dell'altro fine non previsto dalla legge.

Sul punto la giurisprudenza si è

espressa più volte ed in termini univoci: si

è detto che non comporta invalidità il

perseguimento, in uno con il fine previsto

176 Così, in dottrina, J.RIVERO, Le problème de l'influence des droits internes sur la Cour de Justice de la CECA, in Annuaire francais de droit international, 4/1958, 304.

1

dalla norma, dell'interesse alla “non

complicazione amministrativa”177 o quello

volto ad assecondare la politica economica di

un Governo Nazionale178.

In sostanza, l'esistenza del fine

legittimo (inteso quale quello fissato dalla

norma attributiva del potere) è sufficiente

per far respingere la censura di

illegittimità del provvedimento179 che

eventualmente persegua altresì altri e

diversi fini.

Anche recentemente, nella sentenza della

Corte di Giustizia n. 400 del 10 maggio 2005,

nella causa C-400/99 – Repubblica Italiana c.

Commissione delle Comunità Europee - ai punti

36-41, la Suprema Corte Comunitaria ha avuto

modo di confermare che ”la nozione di

sviamento di potere implica che l'autorità

amministrativa abbia esercitato i suoi poteri

per uno scopo diverso da quello per cui le

sono stati conferiti180. Una decisione è

viziata da sviamento di potere solo se, in

base ad indizi oggettivi, pertinenti e

concordanti, risulta adottata per scopi

diversi da quelli dichiarati

...Ne discende che uno sviamento di potere

177 Si guardi la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 12 giugno 1958, in causa 2/1957 Compagnie des Hautes Forneaux de Chasse c. Alta Autorità della CECA, in Raccolta, vol. IV, 1958, 135-136 e 142.178 Si guardi la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 16 luglio 1956 in causa 8/1955 Fédération charbonnière de Belgique c. Alta Autorità della CECA, in Raccolta, 1956, vol. IV, 280 e 301.179 Così LUCIA MUSSELLI, cit., 131.180 Di identico tenore v., in particolare, sentenza 4 febbraio 1982, causa 817/79, Buyl/Commissione, Racc. pag. 245, punto 28.

1

avrebbe potuto essere accertato solamente se

fosse stato dimostrato che la Commissione

aveva deliberatamente qualificato nuovi aiuti

misure di cui non poteva dubitare che fossero

aiuti esistenti, soggetti al regime di

controllo previsto dall'art. 88, n. 1, CE, o

misure non rientranti neppure nell'ambito di

applicazione degli artt. 87 CE e 88 CE.

Altrimenti detto: solamente se fosse stato

dimostrato che la Commissione aveva voluto

perseguire a breve termine la sospensione di

misure di cui non poteva dubitare che fossero

ancora legittimamente attuabili, almeno fino

alla conclusione del procedimento.”

Da ultimo, nella sentenza del 23 ottobre

2008 emessa dal Tribunale di I grado nella

causa T-256/07, tra People’s Mojahedin

Organization of Iran e Consiglio dell’Unione

europea, al punto 151, si è aggiunto che “la Corte e il Tribunale hanno ripetutamente

stabilito che un atto è viziato da sviamento

di potere solo se, in base ad indizi

oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta

adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno

determinante, di raggiungere fini diversi da

quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato CE per

far fronte alle circostanze del caso di

specie181.

181 (v. sentenza della Corte 14 dicembre 2004, causa C-210/03, Swedish Match, Racc. pag.I-11893, punto 75, e sentenza del Tribunale 13 gennaio 2004, causa T-158/99, Thermenhotel Stoiser Franz e a./Commissione, Racc.pag.II-1, punto 164, e giurisprudenza ivi citata).

1

Si afferma, in sostanza, una nozione

piuttosto stabile di sviamento di potere che

ingloba in sé lo stesso regime di

accertamento derivante dalla presenza di

indizi obbiettivi, pertinenti e concordanti

tali da dimostrare l'estraneità all'interesse

del servizio della scelta compiuta

dall'Amministrazione comunitaria182.

Si evidenzia, quindi, l'aspetto della

“prova” dello sviamento che, alla luce

dell'indirizzo particolarmente rigoroso sul

punto assunto dalla Corte di Giustizia,

risulta spesso uno scoglio insormontabile

per i ricorrenti.

Del resto, si è evidenziato183 come

l'ostacolo probatorio sia particolarmente

ingombrante se solo si consideri che la

giurisprudenza comunitaria184 ha ritenuto che

non siano in alcun modo sufficienti le

presunzioni quali prove dello sviamento di

potere.

Infatti, tale difficile prova unitamente

all'insindacabilità “intrinseca” della scelta

discrezionale dell'Amministrazione

comunitaria hanno condannato lo sviamento di

potere ad un'applicazione pratica del tutto

residuale.

182 In termini identici la Corte si era già espressa in causa n. 23/76, Luigi Pellegrini e C. s.a.s. c. Commissione, in Raccolta, vol. III, 1976, 1807-1829. 183 M.CONDINANZI-R. MASTROIANNI, Il contenzioso dell'Unione Europea, Torino, 2009, pag. 126.184 Corte di Giustizia 7 dicembre 1976, causa 23/76, Luigi Pellegrini & c. s.a.s. c. Commissione e altri; Tribunale di I grado 26 novembre 1991, causa T-146/89, Williams c. Corte dei Conti, in Racc., p.II-1293.

1

Dunque, un po' per il fatto che “la

Corte non ha facoltà di sostituire la propria

valutazione a quella dell'Amministrazione

interessata185”, un po' per il timore della

Corte di sostituirsi all'operato

dell'Autorità comunitaria strettamente

connesso al timore di menomare l'indipendenza

di tali organi, i ricorsi per sviamento di

potere sono accolti molto di rado186.

Come detto, lo sviamento di potere è una

classica censura all'operato delle

Istituzioni Comunitarie che esercitano poteri

discrezionali.

Recentemente, peraltro, tale censura è

stata sollevata con riferimento a quella

particolare sfera dell'attività

amministrativa delle Istituzioni Comunitarie

che, con linguaggio nazionale, definiremmo

esercizio di discrezionalità tecnica.

Al proposito, la Corte di Giustizia ha

più volte precisato che un’autorità

comunitaria, allorché è chiamata,

nell’esercizio delle sue attribuzioni, a

compiere valutazioni complesse, dispone per

tale motivo di un ampio potere discrezionale

il cui esercizio è assoggettato ad un

controllo giurisdizionale limitato, il quale

implica che il giudice comunitario non può

sostituire la sua valutazione degli elementi

di fatto a quella della detta autorità.

185 E' uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza nella causa 23/1976, cit., 1829.186 LUCIA MUSSELLI, cit., 142.

1

Pertanto, il giudice comunitario si

limita, in casi del genere, ad esaminare

l’esattezza sostanziale dei fatti e le

qualificazioni giuridiche che l'Autorità ne

ha desunto e, in particolare, se l’operato di

quest’ultima non sia inficiato da errore

manifesto (di diritto o di fatto: così, ad

esempio, in causa T-375/02 Cavallaro c.

Commissione) o sviamento di potere, o se tale

Autorità non abbia manifestamente

oltrepassato i limiti del proprio potere

discrezionale187.

Nelle sentenze188 della Corte di

Giustizia si legge, così, che “laddove la

Commissione fruisca di tale ampia

discrezionalità, la Corte, nell'effettuare il

controllo di legittimità sull'esercizio di

questa libertà, non può sostituire la propria

valutazione in materia a quella dell'autorità

competente, ma deve limitarsi a stabilire se

quest'ultima non sia viziata da errore

manifesto o da sviamento di potere ovvero se

l'autorità di cui trattasi non abbia

manifestamente ecceduto i limiti del suo

potere discrezionale189”.

Nei procedimenti riuniti C-211/03, C-

299/03, C-316/03, C-318/03190 la Corte ha

affermato che un'Autorità comunitaria, 187 Si legga l'ordinanza del presidente della Corte 11 aprile 2001, causa C-471/00P(R) Commissione/Cambridge Healthcare Supplies, Racc. pag. I-2865, punto 96188 Si legga il punto 68 della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, n. 110 del 14/04/2005189 Si vedano, altresì, le sentenze 5 ottobre 2000, Germania/Commissione, cit., punto 26, e 12 marzo 2002, cause riunite C-27/00 e C-122/00, Omega Air e a., Racc. pag. I-2569, punto 64).

1

allorché è chiamata, nell'esercizio delle sue

attribuzioni, a compiere valutazioni

complesse, dispone per tale motivo di un

ampio potere discrezionale il cui esercizio è

assoggettato ad un controllo giurisdizionale

limitato, il quale non implica che il giudice

comunitario sostituisca la sua valutazione

degli elementi di fatto a quella della detta

autorità.

Talché il giudice comunitario si limita,

in casi del genere, ad esaminare l'esattezza

sostanziale dei fatti e le qualificazioni

giuridiche che questa autorità ne ha desunto

e, in particolare, se l'operato di

quest'ultima non sia inficiato da errore

manifesto o sviamento di potere, o se tale

autorità non abbia manifestamente

oltrepassato i limiti del proprio potere

discrezionale.

Nella sentenza191 n. 145 del 24 febbraio

2000, ancora, il Tribunale di I grado ha

190 Sono le domande di pronunce pregiudiziali relative alle cause Hlh Werenvetriebs GmbH e Orthica BV contro Repubblica Federale di Germania.

191 Più recentemente nella causa T-340/03 (sentenza del Tribunale I grado - V sezione ampliata - del 30 gennaio 2007 - France Télécom SA/Commissione delle Comunità europee – il Tribunale ha affermato che: “...a titolo preliminare occorre ricordare che, quando la scelta del metodo di calcolo del tasso di copertura dei costi implica da parte della Commissione una valutazione economica complessa, occorre riconoscere ad essa un ampio potere discrezionale (v., in tal senso, sentenza della Corte 28 maggio 1998, causa C-7/95 P, Deere/Commissione, Racc. pag. I-3111, punto34 e giurisprudenza ivi citata). Il controllo del giudice deve limitarsi pertanto alla verifica dell’osservanza delle norme di procedura e di motivazione, nonché dell’esattezza materiale dei fatti, dell’insussistenza di errore manifesto di valutazione e di sviamento di potere...”

1

ricordato che la Commissione dispone di un

ampio potere discrezionale in merito agli

elementi da prendere in considerazione per

adottare una decisione di aggiudicazione di

un appalto a seguito di gara192. In questo

caso, si è detto che il controllo del giudice

comunitario deve limitarsi a verificare il

rispetto delle regole di procedura e di

motivazione, l'esattezza materiale dei fatti,

l'assenza di un manifesto errore di

valutazione e di sviamento di potere.

In sintesi, il sindacato del Giudice

comunitario sull'atto censurato per il vizio

di sviamento di potere è particolarmente

limitato in considerazione:

1) della discrezionalità tecnica o

amministrativa caratteristica del potere

esercitato dalle Istituzioni comunitarie

laddove il loro agire sia censurato sub

specie di sviamento di potere;

2) della riconducibilità del vizio della

motivazione degli atti comunitari in una

violazione di una norma ad hoc del Trattato

(art. 253); quindi, queste violazioni non

hanno avuto necessità di scomodare il vizio

di sviamento di potere (come nel ns.

ordinamento è avvenuto per l'eccesso di

potere) andando a confluire nel vizio di

violazione di legge;

192 Così anche nelle sentenze della Corte 23 novembre 1978, causa 56/77, Agence européenne d'intérims/Commissione, Racc. pag. 2215, punto 20, e del Tribunale 8 maggio 1996, causa T-19/95, Adia interim/Commissione, Racc. pag. II-321, punto 49.

1

3) già dal prospettare il cd.

perseguimento di fini diversi da quelli per

il quale il potere è conferito a limitati

casi, in ipotesi coincidenti con ipotesi di

pressioni esercitate da privati sulle

Istituzioni comunitarie, al limite sfocianti

in casi di vera e propria corruzione193.

Capitolo IV

Le differenze tra lo sviamento di potere comunitario e l'eccesso di potere italiano creano un vuoto di tutela giurisdizionale a livello

comunitario?

IV.I. L'eccesso di potere nel diritto nazionale194

L'art. 26 del T.U. delle leggi sul

Consiglio di Stato195, R.D. 26 giugno 1924 n. 193 Si veda sul punto l'interessante caso deciso dalla sentenza del Tribunale di I grado n. 158 del 28 giugno 2005 tra le Industrias Químicas del Vallés, SA contro la Commissione delle Comunità europee. 194 Per una, sia pur generale, pregevole ricostruzione della figura dell'eccesso di potere si rinvia a N.PAOLANTONIO in Invalidità degli atti amministrativi, in Codice della Giustizia amministrativa a cura di G. MORBIDELLI, Milano, 2008, 147 e ss.195 L'art. 3 della legge n. 5992 del 31 marzo 1889, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, prevedeva già tra i vizi sindacabili dell'atto

1

1054, prevede che: “spetta al Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale di decidere sui ricorsi

per incompetenza, per eccesso di potere o per

violazione di legge...”; analogamente, l'art. 3

della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 dispone che:

“sono devoluti alla competenza dei Tribunali

Amministrativi Regionali i ricorsi per

incompetenza, eccesso di potere o violazione di

legge...”; infine, l'art. 21 octies, I comma,

della legge 7 agosto 1990 n. 241 introdotto

dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15 statuisce

che: “E' annullabile il provvedimento

amministrativo l'eccesso di potere. Tuttavia, la sua natura di vizio dell'atto incontrò moltissimi ostacoli per la sua affermazione, poiché la volontà del legislatore fu nel senso di intendere l'eccesso di potere quale vizio “che rende radicalmente nullo il provvedimento per assoluta mancanza della facoltà di emanarlo”: così si esprime la Relazione dell'Ufficio Centrale del Senato elaborata dal Sen. G. Costa citata da O. ABBAMONTE, L'eccesso di potere. Origine giurisdizionale del concetto nell'ordinamento italiano (1877-1892), in Dir. proc. Amm., 1986, 68. Sulla relazione dell'Ufficio Centrale del Senato sul disegno di legge crispino si veda N. PAOLANTONIO, L'istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato attraverso la lettura dei lavori parlamentari, Milano, 1991, 65 ss. Per R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, nel Sistema del diritto amministrativo italiano diretto da F.G. SCOCA, F.A. ROVERSI MONACO, G. MORBIDELLI, Torino, 2007, 415, “il significato originario del termine eccesso di potere nell'art. 3 della legge Crispi rimane ancora poco chiaro, stante anche la mancanza di indicazioni circa il significato che l'interprete avrebbe dovuto attribuire a siffatta locuzione; tuttavia, si ritiene comunemente che il legislatore del 1889 intendesse anche qui riferirsi allo straripamento di potere e quindi ad una forma di violazione di legge particolarmente grave. Il legislatore aveva espunto dal novero dei vizi rilevanti quelle ipotesi di abuso di potere e di ingiustizia manifesta intorno alle quali, in una prima fase dei lavori parlamentari, si era cercato di formalizzare le novità della tutela che la IV sezione avrebbe dovuto assicurare. L'Ufficio Centrale del Senato ritenne, infatti, che ai motivi di illegittimità non si è aggiunto l'abuso di potere, e cioè l'esercizio illegale od ingiusto di una facoltà legittima, giacché evidentemente si compenetra nella violazione della legge o si risolve in un giudizio di estimazione; si è invece mantenuto, colla incompetenza e colla violazione di legge, l'eccesso di potere che rende radicalmente nullo il provvedimento per assoluta mancanza di facoltà di emanarlo.”

1

amministrativo adottato in violazione di legge o

viziato da eccesso di potere o da incompetenza”. Dalla lettura delle norme196 sopra indicate emerge

chiaramente come il legislatore nazionale (al

pari, a dire il vero, di quello comunitario in

tema di sviamento di potere), pur prevedendo che

l'atto amministrativo viziato da eccesso di

potere sia annullabile, non si sia occupato di

darne una definizione lasciando, quindi, alla

196 La locuzione “eccesso di potere” è stata utilizzata per la prima volta nella legge 31 marzo 1877, n. 371, recante “Norme sui conflitti di attribuzione”, nonché nella legge n. 5992 del 31 marzo 1889: in tali testi legislativi meno recenti l'espressione veniva utilizzata nel senso di straripamento di potere, ossia di incompetenza assoluta, ovvero di usurpazione del potere: così F. CARINGELLA, cit., pag. 1112. Per F. MODUGNO e M. MANETTI, voce Eccesso di potere amministrativo, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1989, pag. 1, l'art. 3 della legge n. 371/1877 attribuiva alla Cassazione di Roma la competenza a giudicare dei conflitti di giurisdizione positivi o negativi tra i Tribunali Ordinari e le giurisdizioni speciali, e della nullità delle sentenze di tali giurisdizioni per incompetenza o eccesso di potere; essa andava riferito, dunque, non all'atto amministrativo bensì alla decisione dei giudici speciali, e si risolveva nell'indicare la loro incompetenza assoluta. L'eccesso di potere era inteso quindi nel senso di “difetto di attribuzione” o di “straripamento di potere.” E.CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2005, 518, precisa che lo straripamento di poteri nel senso inteso dal legislatore dell'800' dava luogo a nullità dell'atto amministrativo e che la sua riconducibilità all'annullabilità è il frutto dell'influsso della figura francese del détournement de pouvoir. Nello stesso senso: V. CERULLI IRELLI, Principi del diritto amministrativo, 240, osserva come, in realtà, il legislatore del 1889 intendeva riferirsi a “un caso incompetenza particolarmente grave, di straripamento, cioè l'esercizio di un potere spettante ad un'Autorità totalmente diversa da quella che l'esercita (...) Insomma, il legislatore non intendeva affatto estendere il sindacato dell'organo di Giustizia Amministrativa ad elementi dell'atto e del procedimento diversi ed ulteriori rispetto a quelli concernenti la conformità alla legge: eccesso di potere, nell'idea del legislatore, esprimeva a sua volta una forma di violazione di legge”.

1

dottrina197 ed alla giurisprudenza198 di delimitare

i confini dell'istituto.

La perimetrazione del vizio di eccesso di

potere, peraltro, ha una sua peculiare

difficoltà insita tanto a) nella sua non facile

accertabilità quanto b) nella sua

funzionalizzazione a sindacare la

discrezionalità199 di cui gode di frequente la

Pubblica Amministrazione nell'esercizio dei suoi

poteri.

Quanto al primo profilo, occorre osservare

come, mentre la violazione di legge e

l'incompetenza sono facilmente riscontrabili

attraverso un confronto quasi testuale200 tra il

197 Particolarmente importante fu il contributo di A. CODACCI PISANELLI, dapprima nell'Eccesso di potere nel contenzioso amministrativo, in Giust. amm., 1893, I, e, poi, in Scritti di diritto pubblico, Città di Castello, 1900, 249. 198 Sul ruolo della giurisprudenza insistono particolarmente F. MODUGNO E M. MANETTI, cit., pagg. 1-2, i quali rammentano che fu la IV sez. del Consiglio di Stato, presieduta da Silvio Spaventa, nella celebre sentenza del 7 gennaio 1892 (in Giur. it., 1892, III, 114), ad adeguare l'interpretazione nostrana di eccesso di potere a quella del Conseil d'état, motivando che l'apprezzamento dei fatti posto alla base dello scioglimento di un'opera pia non conteneva nulla di illogico e di irrazionale o di contrario allo spirito della legge per riconoscere nel provvedimento medesimo un eccesso di potere. Gli Autori sopra citati osservano, altresì, l'importanza della successiva sentenza del 28 gennaio 1892 (in Giust. Amm., 1892, I, 54) con la quale si introdusse la nozione di falso scopo e, quindi, di sviamento di potere come vizio teleologico.199 R. VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 416 e ss. osservano come in Italia, come già in Francia, l'eccesso di potere sia diventato il mezzo per sindacare le scelte discrezionali della P.A. In realtà, quindi, dovrebbe precisarsi che l'eccesso di potere, stante la storia della sua introduzione normativa di cui si è dato brevemente conto, è stata una figura che ha vissuto un peculiare sviluppo in termini funzionali: nato per sindacare i casi di incompetenza gravi è divenuto lo strumento principale per sindacare la legittimità sostanziale dei provvedimenti amministrativi.200 Dello stesso avviso, F. CARINGELLA, cit., pag. 1111.

1

provvedimento impugnato e le leggi che

conferiscono (e regolamentano) il potere

all'Amministrazione agente, l'eccesso di potere

è un vizio cd. “sintomatico”, ossia accertabile

attraverso l'esistenza di fatti diversi e

ulteriori201 dalla testuale violazione di una

norma di legge.

Questi fatti che si sono definiti “diversi

e ulteriori” coincidono con una parte della

discrezionalità amministrativa il cui sindacato

è, per l'appunto, possibile tramite la censura

di eccesso di potere202.

In particolare, si ritiene che l'eccesso

di potere203 sia il tipico vizio di legittimità

della discrezionalità amministrativa204.

Quest'ultima afferisce, infatti, in parte

al merito dell'azione amministrativa e, in

altra parte, alla legittimità della stessa:

mentre il primo, come noto, è sottratto – di

regola – al sindacato del giudice

amministrativo, la seconda è oggetto di

201 V.CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002, 581, rileva come la volontà del legislatore del 1889 non fosse assolutamente rivolta a consentire il sindacato su questi elementi diversi ed ulteriori dell'atto, intendendo con eccesso di potere una figura grossomodo assimilabile all'odierna carenza di potere.202 V.CERULLI IRELLI, cit., 581, osserva come proprio attraverso il sindacato sull'eccesso di potere la giurisprudenza ha potuto costruire tutta la teorica della discrezionalità amministrativa.203 Lo sviluppo nella direzione descritta nel testo del vizio di eccesso di potere ha fatto sì che il suo originario significato, ossia quello di straripamento di potere, venisse ricondotto nell'ambito del vizio di incompetenza assoluta. Così R. VILLATA e M. RAMAJOLI cit., pagg. 416-417.204 R. VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 417, osservano che l'idea secondo la quale l'eccesso di potere sussiste solo in presenza di attività amministrativa discrezionale è affermazione da quasi tutti accettata in dottrina.

1

sindacato giurisdizionale laddove in specie sia

dedotta l'esistenza di un eccesso di potere.

Da quanto brevemente premesso, emerge la

delicatezza della figura dell'eccesso di

potere205, istituto di confine da decodificare

lungo la pericolosa e “sottile linea rossa”

intercorrente tra il merito e la legittimità

dell'azione amministrativa206.

In via di prima approssimazione, può dirsi

che gli ordinamenti più democraticamente maturi

tendono ad erodere l'area del merito

amministrativo a tutto vantaggio della

legittimità, così consentendo ai cittadini un

più ampio vaglio dell'Autorità Giudiziaria

sull'operato delle Pubbliche Amministrazioni.

Autorevole dottrina207 osserva come il

tentativo di limitare quanto più possibile il

sindacato giudiziario sull'eccesso di potere è,

di regola, tipico di regimi autoritari anche se,

in realtà, simili patologiche limitazioni del

sindacato giurisdizionale non sono del tutto

estranee ad ordinamenti liberali come il

nostro208.

205 E.CASETTA, cit., 350, osserva che “le regole che presiedono allo svolgimento della discrezionalità si evincono per così dire a contrario, in occasione della rilevazione della loro violazione che dà luogo al vizio di eccesso di potere e si riassumono nel principio di logicità-congruità: ciò significa che che la scelta deve risultare logica e congrua tenendo conto dell'interesse pubblico perseguito, degli interessi secondari coinvolti e della misura del sacrificio ad essi arrecato.”206 Cfr. A. AZZENA, Natura e limiti dell'eccesso di potere amministrativo, Collana delle pubblicazioni della facoltà di giurisprudenza dell'Universita' di Pisa, Milano, 1976, 329207 F. LEDDA, Variazioni sul tema dell'eccesso di potere, in Riv. di dir. pubbl., 2000, 447 ss.

1

Questa linea evolutiva è il portato

dell'elaborazione sempre più articolata della

figura dell'eccesso di potere, vero grimaldello

attraverso il quale si è agito per censurare

quelle illegittimità dell'agire amministrativo

celate dietro il paravento di un merito

amministrativo inteso, un tempo, in termini

eccessivamente ampi209.

Come si avrà modo di analizzare più

approfonditamente in seguito, peraltro, il primo

passaggio evolutivo in senso ampliativo del

concetto di eccesso di potere è stato

contrassegnato dall'assimilazione dello stesso

al détournement de pouvoir210 francese, operazione

208 F. LEDDA, cit., 451 ss. cita, a titolo di esempio, l'ultima modifica dell'art. 323 c.p. (art. 1 legge 16 luglio 1997, n. 234) in tema di abuso di ufficio, illegittima costituzionalmente – a suo dire – perché, nascondendo un'ipotesi di amnistia o indulto, violativa degli artt. 3, 24, 79, 97 e 113 della Costituzione; altrettanto esemplificativa di simili censurabili tentativi sarebbero costituiti dagli artt. 109 e 133 del nuovo testo della Costituzione partorito dalla “defunta” Bicamerale e dall'emendamento all'art. 4 (disegno di legge n. 2934) del medesimo testo dove si stabiliva: “sono inammissibili i ricorsi proposti contro atti di Autorità amministrative indipendenti che costituiscano il risultato di apprezzamenti tecnici, salvo che siano violati da incompetenza o violazione di legge.”209 F. LEDDA, cit., 449-450, sostiene che: “la difficoltà di distinguere il sindacato sull'eccesso di potere dal cd. sindacato di merito non comporta le difficoltà che solo per un difetto di ordine metodologico ci vengon prospettate dalla giurisprudenza; se si parte dall'idea della 'confutazione' e si riconosce finalmente che tutto in principio è confutabile, si giunge ad una conclusione molto chiara: che cioè attengono al cd. merito quelle determinazioni che nella sede propria del processo abbiano resistito alla confutazione della parte; la stessa idea può esprimersi dicendo che l'ambito del 'merito' può essere delimitato solo 'a posteriori', quando si venga a constatare, dopo la definizione del giudizio, che sono state disattese le censure proposte dalla parte ricorrente per 'falsificare', siccome illegittima, e quindi invalida, la determinazione espressa nell'atto.210 E' il caso di ricordare che il concetto nostrano di eccesso di potere è assimilabile al francese détournement de pouvoir e non al solo letteralmente simile excés de pouvoir: quest'ultimo termine, nell'ordinamento francese,

1

alla quale ha dato avvio una celebre sentenza

del Consiglio di Stato del 1892211.

Autorevole dottrina212, peraltro,

osserva che l'evoluzione giurisprudenziale

italiana del concetto di eccesso di potere ha

ben presto raggiunto una portata ben più ampia

rispetto a quella dell'omologo francese del

détournement de pouvoir. Al proposito, anzi, si

aggiunge che la svolta giurisprudenziale

italiana non solo non seguì la scia di quella

francese ma, addirittura, l'anticipò. In questo

senso si richiama il parere213 del 1879 (redatto

dal Consigliere Spaventa) della sezione

consultiva del Consiglio di Stato nel quale si

affermò il principio della sindacabilità della

vera e propria giustizia dei provvedimenti che è

condizione di ogni buona amministrazione.

è onnicomprensivo di tutti i vizi di legittimità, ossia oltre al détournement, la violazione di legge, l'incompetenza e il vizio di forma. 211 Si fa riferimento alla sentenza del 7 gennaio 1892 citata alla nota 102.212 R. VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 418, richiamando le considerazioni di non recente dottrina, osservano: “Se infatti nel caso del détournement de pouvoir, il sindacato del giudice amministrativo era volto a verificare che il potere discrezionale fosse stato esercitato in conformità al fine per il quale la legge concedeva tale potere, nel caso dello sviamento le prime decisioni in materia esprimevano una convinzione diversa, assimilando allo sviamento altre ipotesi, come quelle dell'illogicità e della irragionevolezza, che non trovano risconto nella figura del détournement de pouvoir.” 213 Il parere del 1879, in materia di ricorsi straordinari, tra l'altro, sosteneva che “sebbene ristretta letteralmente alla sola legittimità, non esclude, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, il riesame di quelle questioni sostanziali che si attengono alla vera giustizia dei provvedimenti che è la condizione di ogni buona amministrazione.”

1

Autorevole dottrina214, sulla stessa linea

di pensiero, osserva che lo sviamento di potere

inteso come “aspetto funzionale della violazione

di legge (violazione dello scopo della legge)

era già presente nell'esperienza giustiziale del

Consiglio di Stato prima della legge Crispi,

come abuso di potere, che evocava l'idea di (in)

giustizia sostanziale del provvedimento.

L'eliminazione della formula inizialmente

contenuta nel disegno di legge del riferimento

all'abuso di potere intendeva attuare una

nozione positiva di (il)legittimità del

provvedimento non corrispondente alla nozione di

(il)legittimità astrattamente ipotizzabile, già

appartenente alla sensibilità del Consiglio di

Stato che nell'attività consultiva sui ricorsi

al Re aveva fatto riferimento appunto all'idea

di giustizia intesa come legittimità

sostanziale.

Tornando ai giorni nostri, occorre

ribadire che tale maggiore accesso del

sindacato giurisdizionale sulla scelta

discrezionale della Pubblica Amministrazione non

può giustificare arbitrarie invasioni del potere

giurisdizionale nell'area ancora oggi

“riservata” all'Amministrazione, in conformità

con uno dei principi cardine su cui regge ogni

sistema imperniato sulla separazione dei poteri.

Di questa esigenza, peraltro, sì è fatta

carico la giurisprudenza amministrativa215 molto

214 F.G.SCOCA-M. D'ORSOGNA, L'invalidità del provvedimento amministrativo in Diritto amministrativo a cura di F.G.SCOCA, Torino, 2008, 309.215 Significativa in proposito è la recente elaborazione giurisprudenziale del Consiglio di Stato in

1

attenta a far sì che il suo giudizio non divenga

“sostitutivo” di quello riservato alla P.A.

confermando, in più occasioni, la distinzione –

concettualmente molto chiara - tra merito e

legittimità, precisando che, mentre il primo

attiene all'opportunità dell'azione

discrezionale ed è sindacabile attraverso i

criteri offerti dallo studio della scienza

dell'amministrazione, la seconda fa riferimento

a quei concetti giuridici che non si sostanziano

in prescrizioni puntuali ma in regole

indeterminate riconducibili ai principi di

logicità e congruità216 dei quali non può non

tenersi conto nell'esercizio dell'attività

discrezionale217.

Varie sono le definizioni che la dottrina

ha utilizzato per descrivere il vizio di eccesso

di potere: secondo alcuni esso costituisce un

cattivo uso del potere da parte della P.A.;

altri ritengono che sia integrato dall'insieme

delle violazioni di quei limiti interni

(interesse pubblico, causa del potere

esercitato, osservanza dei precetti di logica e

di imparzialità) della discrezionalità

amministrativa, che, pur non essendo consacrati

in norme positive, sono inerenti alla natura

stessa del potere esercitato; per altri218

l'eccesso di potere si può definire come il

vizio concernente l'esercizio del potere

materia di discrezionalità tecnica: si veda la sentenza della VI sezione n. 2334/2002.216 Consiglio di Stato, sez. VI, 1 aprile 2000, n. 1885. Nello stesso senso, in dottrina, E.CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2005, 518.217 In quest'ottica per E.CASETTA, cit., 518, l'eccesso di potere è il risvolto patologico della discrezionalità.218 V.CERULLI IRELLI, cit., 582.

1

discrezionale diventando, così, la figura

nell'ambito della quale ricadono tutti i casi in

cui l'Autorità amministrativa non abbia “bene

esercitato” il potere discrezionale, nei limiti

in cui ciò possa essere ascritto all'ambito

della legittimità219; per altri, infine, comprende

i vizi attinenti al contenuto dell'atto e

riguarda i rapporti tra la direzione della

volontà espressa dall'autorità amministrativa e

lo scopo che con l'atto si vuole raggiungere220.

Quest'ultima definizione sembra

particolarmente aderente a quella che, secondo

la tesi prevalente, è solo una delle ipotesi di

eccesso di potere ossia allo sviamento di

potere221 che ricorre quando la Pubblica

219 V.CERULLI IRELLI, cit., 588, riconduce l'eccesso di potere ad una serie di stati viziati riconducibili a tre casi:- il primo è quello classico dello sviamento di potere;- il secondo nel quale sono comprese le cd. figure sintomatiche è espressione del vizio di irragionevolezza;- il terzo fa riferimento a vizi discendenti da regole o pricipii violati a contenuto sostanziale (es. erroneità e travisamento dei fatti, vizio di incompleta istruttoria, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta).220 F. CARINGELLA, cit., pag. 1112.221 V.CERULLI IRELLI, cit., 583, rileva come la prima forma nella quale si manifesta l'eccesso di potere è lo sviamento di potere coincidente con il détournement francese e lo sviamento di potere di diritto comunitario.Deve precisarsi, tuttavia, che la stessa evoluzione del concetto di eccesso di potere nasce dalla volontà di accertare concretamente ipotesi di sviamento di potere. VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 421-422, affermano, al proposito, che “non bisogna dimenticare che lo schema dello sviamento del fine amministrativo rispetto allo schema normativo è troppo semplice, quasi semplicistico, di fronte ad una realtà complessa che impedisce di individuare con precisione ed immediatezza quale sia l'interesse pubblico primario che l'amministrazione è chiamata a perseguire.” Partendo da questa considerazione, dunque, la giurisprudenza ha elaborato le figure sintomatiche che, allontanandosi dal concetto di sviamento di potere originario, hanno dato luogo all'attuale figura dell'eccesso di potere, ben più ampia, quindi, dello sviamento di potere.

1

Amministrazione utilizza il proprio potere

discrezionale per interessi e finalità

differenti (ad esempio, personali, e cioè

facenti capo al soggetto agente, o politici, o

anche pubblicistici222) da quelli per il quale

tale potere le era stato conferito, ovvero

quando, pur perseguendo comunque l'interesse

pubblico, utilizza a tal fine un potere diverso

da quello previsto dalla legge. In altri

termini, pur comportandosi nelle forme stabilite

dalla norma giuridica, la Pubblica

Amministrazione ne viola lo spirito, operando in

difformità rispetto al motivo223 che determina

l'attribuzione specifica di quella data

funzione224.

Il riferimento ai “motivi” stimola il

collegamento con la tesi225 226 secondo la quale

l'eccesso di potere costituisce il tipico vizio

derivante dalla mancanza di imparzialità

nell'attività amministrativa, che emerge dalla

valutazione dei motivi espliciti o impliciti.

Essi vengono considerati, infatti, o come

elementi circostanziali esterni, ma

determinanti, del provvedimento (i cd. interessi

pubblici da soddisfare), ovvero come elementi

essenziali del provvedimento, o come momenti

222 Consiglio di Stato, sez. VI, 20 febbraio 1998, n. 188; sez. VI, 8 luglio 1998, n. 1037.223 F. MODUGNO e M. MANETTI, cit., pagg. 1-2, osservano che, per verificare la corrispondenza tra scopo concreto perseguito e fine astratto prefissato, è necessario indagare i motivi per i quali il provvedimento è stato adottato.224 Così, testualmente, F. CARINGELLA, cit., pag. 1113.225 M.S.GIANNINI, Il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, Milano, 1939, 185.226 M.S.GIANNINI, La giustizia amministrativa, Roma, 1963.

1

della volontà e della causa giuridicamente

rilevanti227.

La rilevanza dei motivi nella definizione

astratta della figura dell'eccesso di potere ha

il suo pendant concreto nel particolare rapporto

che, per lungo tempo ha legato la figura de qua

alla motivazione dell'atto amministrativo.

Per molto tempo, infatti, si è ricondotto

all'eccesso di potere e non alla violazione di

legge la stessa totale mancanza di motivazione:

si diceva che l'assenza di qualsiasi apparato

normativo, eludendo il controllo tra fine

prefissato dalla norma e fine perseguito

concretamente con l'atto emanato, configurasse

227 Occorre dar conto delle altre tesi per le quali la figura dell'eccesso di potere ad un vizio della volontà (C. MORTATI, La volontà e la causa nell'atto amministrativo e nella legge, Torino, 1935; ZANOBINI G., Corso di diritto amministrativo, I, VIII ed., Milano, 1958 e, in giurisprudenza, Cass. SS.UU. 4 dicembre 1971, n.3519) o ad un vizio della causa (F. CAMMEO, La violazione delle circolari come vizio di eccesso di potere, in Giur. it., 1920, III, 1; P.BODDA, La nozione di “causa giuridica” della manifestazione di volontà nel diritto amministrativo, Torino, 1933.) o, ancora, ad un vizio della funzione. Alla tesi dell'eccesso di potere come vizio della volontà che vede, in coerenza con la disciplina civilistica del contratto, emergere l'importanza delle figure dell'errore, della violenza e del dolo si è replicato, in chiave critica, che la tesi della riconducibilità dell'eccesso di potere come un vizio della volontà finisce con il far coincidere eccesso di potere e violazione di legge. Infatti, la volontà, per i sostenitori della tesi che si critica, è elemento essenziale dell'atto per cui un suo vizio, comportante una deviazione dell'atto emanato dallo schema legale, si traduce in una violazione di legge (Così: F. MODUGNO E M. MANETTI, cit., pag. 4). Identica e decisiva critica viene mossa alla tesi dell'eccesso di potere come vizio della causa. VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 427, rilevano che le tesi dell'eccesso di potere come vizio della volontà, della causa o dei motivi, di evidente derivazione pandettistica, non hanno mai avuto presa sulla giurisprudenza.

1

di per sé stessa un'ipotesi di eccesso di

potere228.

In una seconda fase, è stato altresì

ricondotto all'eccesso di potere prima il

difetto o l'insufficienza della motivazione229 e,

in seguito, l'illogicità e la contraddittorietà

della motivazione.

In una fase di ulteriore raffinamento del

proprio sindacato sulla motivazione degli atti

impugnati, il giudice amministrativo ha iniziato

ad utilizzare i propri ampi poteri istruttori

per trarre a diretto oggetto di indagine

l'effettiva esistenza dei motivi che sono a base

del provvedimento, e che possono risultare o non

dalla motivazione.

Questo passaggio ha consentito un

ampliamento notevolissimo della sfera del

sindacato sull'eccesso di potere e nel più

rilevante sviluppo del principio di legalità

sostanziale dell'attività amministrativa: sono

emerse, così, le altre figure sintomatiche di

elaborazione giurisprudenziale, ossia

l'illogicità (manifesta irrazionalità) del

provvedimento, la contraddittorietà tra

provvedimenti relativi ad una medesima

fattispecie, la disparità di trattamento, la

manifesta ingiustizia, la violazione di

circolari o prassi, l'errore (materiale) o il

228 M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, I-II, Milano, 1970.229 L'erroneità dei motivi, invece, integrava violazione di legge: F. MODUGNO E M. MANETTI, cit., pag. 2.

1

travisamento (errore di apprezzamento) dei

fatti230.

Tutte queste situazioni patologiche sono,

in fondo, riconducibili ad un'inesatta o viziata

ponderazione degli interessi, e quindi ad un

vizio dei motivi che non si rileva operando un

raffronto tra i singoli elementi dell'atto e lo

schema normativo, ma si induce da difettosità di

ordine logico o di ordine positivo, relative,

queste ultime, alla disciplina generale della

funzione amministrativa.

Si è osservato231 che la più recente

evoluzione del concetto di eccesso di potere,

prescindendo il più delle volte dal rilievo

specifico dell'inesistenza o dell'erronea

valutazione del motivo primario (che corrisponde

all'interesse pubblico in vista del quale è

attribuito il potere), lo ha ricondotto in un

ambito più ampio definibile quale vizio della

funzione232 dal quale si differenzia, quale unico

e vero vizio dei motivi, lo sviamento di potere,

ossia la valutazione dell'interesse pubblico

primario determinata da motivi secondari

inesistenti, falsi o a loro volta palesemente

mal valutati.

Quindi:

Vizio dei motivi Vizio della funzione

230 G. SACCHI MORSIANI, Eccesso di potere amministrativo, in Nuovissimo Digesto italiano, Appendice, III, Torino, 1982, 219.231 F. MODUGNO e M. MANETTI, cit., pag. 5.232 F.BENVENUTI, Eccesso di potere per vizio della funzione, in Rass. Dir. Pubbl., 1950, 1 ss.

1

SVIAMENTO DI POTEREECCESSO DI POTERE – SVIAMENTO DI

POTERE

Tutte le situazioni sintomatiche vengono

considerate autonomi e specifici vizi di

legittimità dell'azione amministrativa, intesa

come l'attività nel suo farsi, allorché l'agire

della P.A. non è ancora atto, ma è già più che

mera attività, o astratta possibilità di agire.

Una dottrina233 recente ha ripreso l'interessantissima

tripartizione delle figure sintomatiche che si è proceduto a schematizzare

utilizzando una semplice tabella:

Manifesta illogicità e contraddittorietà fra motivazione e

dispositivo

Violazione di norme interne, di

circolari, immotivata contraddittorietà tra

provvedimenti succedutisi nel

tempo, deviazione da prassi consolidata

Manifesta ingiustizia, disparità di

trattamento, difetto di obbiettività

VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI

RAGIONEVOLEZZA

VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI

ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA TRA I

QUALI RIENTRANO QUELLO DI LEALTA',

VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI

GIUSTIZIA SOSTANZIALE

233 F. MODUGNO e M. MANETTI, cit., pag. 5.

1

CORRETTEZZA E BUONA FEDE

Artt. 3 e 97 Cost. Artt. 3 e 97 Cost. Artt. 3 e 97 Cost.

La conseguenza più importante che si trae

dall'adesione alla tesi dell'eccesso di potere

quale vizio della funzione234 si apprezza sul lato

processuale dove si ravvisa un ampliamento

dell'accertamento giudiziario-amministrativo:

dal puro e semplice accertamento sull'atto, il

giudizio amministrativo, sub specie di sindacato

del vizio di eccesso di potere, si estende al

rapporto che dall'atto stesso è costituito o su

cui esso incide235.

Altra importante conseguenza è, infine,

ravvisata nel carattere “aperto”236 del vizio di

eccesso di potere idoneo ad inglobare nuove e

diverse situazioni patologiche da elaborare in

futuro valorizzando, in particolare, il

234 VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pagg. 430, ritengono che la conseguenza più importante delle teoria dell'eccesso di potere come vizio della funzione è quella di fornire una base teorica forte al sindacato di tipo sostanziale da parte del Giudice. Gli Autori (pag. 431) osservano, poi, come tale teoria rappresenti lo strumento più raffinato del passaggio dal principio di legalità formale al principio di legittimità sostanziale, o, in altri termini, dal controllo formale al controllo sostanziale del provvedimento.235 F. MODUGNO e M. MANETTI, cit., pag. 5-6.236 Sul punto VILLATA e M. RAMAJOLI, cit., pag. 430,rilevano come dottrina e giurisprudenza possono collaborare al fine di consentire l'emersione, l'individuazione e la precisazione di metri generali dell'azione amministrativa discrezionale. F. LEDDA, cit., 439, ritiene che “ai fini della pratica applicazione, nell'elenco dei casi di sviamento dovrebbe ravvisarsi una sorta di repertorio aperto, suscettibile di essere arricchito di continuo con l'affiorare di nuovi casi nella esperienza dei giudizi.”

1

principio237 di buon andamento o di buona

amministrazione.

Recentissima dottrina238 sottolinea che

l'eccesso di potere e la teorica delle figure

sintomatiche sta conoscendo negli ultimi anni

un'ulteriore evoluzione che è riconducibile a

due linee ricostruttive.

In primo luogo è mutata la stessa

interpretazione di alcune figure sintomatiche,

in particolare della violazione di circolari e

della disparità di trattamento. In entrambi i

casi si è ritenuto che l'accertamento della

violazione di una circolare così come il

contrasto del provvedimento impugnato con

precedente provvedimento non sono sufficienti ad

integrare la figura dell'eccesso di potere.

Infatti, è maturata la convinzione – in

relazione alla violazione di circolari - che

occorra raffrontare il provvedimento

direttamente con la norma di legge (o altra

fonte) che lo riguardano, rispetto alle quali la

circolare è solo un mezzo di illustrazione e –

in relazione alla disparità di trattamento – che

il mero contrasto tra un provvedimento ed un

altro precedente non comporta necessariamente

l'invalidità del secondo sotto forma di eccesso

di potere ben potendo, infatti, essere

illegittimo il primo.

237 F.G.SCOCA-M. D'ORSOGNA, cit., 311, osservano come i principi sull'attività amministrativa siano in continuo aumento e riguardano sia il procedimento sia la decisione.238 F.G.SCOCA-M. D'ORSOGNA, cit., 308 ss.

1

In sostanza, l'indagine giurisprudenziale

si è concentrata su aspetti sostanziali

allontanandosi da sindacati meramente formali.

Al proposito si osserva che oltre al

ridimensionamento delle figure sintomatiche, va

sottolineato il “mutamento di natura

dell'eccesso di potere che, da vizio ad

accertamento sintomatico, si è andato

trasformando, sulla scorta di quello che già il

Consiglio di Stato francese aveva affermato da

molti anni, in violazione di principi generali,

norme a largo spettro, di origine

giurisprudenziale239.

Emerge cioè non più come vizio a

cognizione indiretta, ossia la cui conoscenza si

può raggiungere soltanto attraverso sintomi, ma

viceversa attraverso un ragionamento analogo

strutturalmente alla violazione di legge.”240

Sotto un secondo aspetto, si rimarca che

l'eccesso di potere è una figura composita

all'interno della quale occorrerebbe distinguere

le illegittimità ricavabili dalla presenza delle

figure sintomatiche e quelle a cognizione

null'affatto sintomatica che avrebbero dovuto

già da tempo trovare uno spazio autonomo nella

sistemazione dei vizi provvedimentali, tra cui

in primo luogo lo sviamento di potere e,

secondariamente, il travisamento dei fatti241.

239 Così, anche, PAOLANTONIO, Il sindacato di legittimità sul processo amministrativo, Padova, 2000

240 F.G.SCOCA-M. D'ORSOGNA, cit., 311.241 Per chiarimenti sul punto, si rimanda a F.G.SCOCA-M. D'ORSOGNA, cit., 312-313.

1

Il ripetuto riferimento all'inesatta o

viziata ponderazione degli interessi richiama il

concetto di discrezionalità amministrativa di

cui occorre, sia pur in conclusione, dare una

sia pur brevissima definizione. La

discrezionalità amministrativa242 è la facoltà di

scelta tra più comportamenti giuridicamente

leciti per il soddisfacimento dell'interesse

pubblico e per il perseguimento di un fine

rispondente alla causa del potere esercitato243;

o, secondo la definizione gianniniana244 la

ponderazione comparativa dell'interesse pubblico

primario con gli interessi secondari in modo che

il fine primario venga conseguito con il minor

sacrificio possibile degli interessi

contrapposti (principio del minimo mezzo).

IV. II. Brevissimi cenni sull'eccesso di potere negli ordinamenti dei Paesi Europei

Da quanto esposto, senza alcuna pretesa di

esaustività, può dedursi che negli ordinamenti

europei non esiste un principio di

insindacabilità delle scelte discrezionali della

242 M. DENDIAS, Contribution à la notion du pouvoir discretionnaire et du détournement de pouvoir, in Festschrift di RUDOLF LAUN, Gottingen, 1962, 92: “Le pouvoir discrétionnaire consiste dans une liberté, accordée à l'executif, d'agir soit sur le domaine législatif formel ou matériel, soit sur le domaine de l'application ou exécution, au sens strict de ce mot, de la loi.”.243 È LA CLASSica definizione offerta da VIRGA, Il provvedimento amministrativo, Milano, 1979.244 M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, Milano, 1939, 72 ss; ID., Diritto amministrativo, Milano, 1988, II, 483 ss.

1

P.A. Esiste, invece, un'elaborazione comune245,

più o meno sviluppata, volta a garantire un

sindacato sulla “giustizia sostanziale” delle

scelte discrezionali degli apparati

amministrativi. E' questo, anzi, l'elemento di

comunanza tra i più importanti ordinamenti del

Vecchio Continente: il provvedimento

amministrativo non deve essere solo rispettoso

del dettato letterale della norma attributiva

del potere; esso deve essere anche giusto, ossia

ragionevole e proporzionato al fine attribuito

al potere.

Tentando, quindi, una prima sintesi delle

linee comuni del sindacato della discrezionalità

dell'attività amministrativa nei Paesi europei

può dirsi che esso si fonda sui principi di

ragionevolezza e di proporzionalità una cui

analisi, a questo punto, si impone, anche al

fine di verificarne una loro applicazione, o una

loro trasferibilità, nell'ambito del diritto

comunitario.

IV.III. Lo sviamento di potere in ambito comunitario consente un sindacato di minor estensione ed intensità rispetto sulla discrezionalità amministrativa rispetto all'eccesso di potere nazionale?

245 Per F. LEDDA, Variazioni sul tema dell'eccesso di potere, in Riv. di dir. pubbl., 2000, 433 ss., le differenze riscontrabili tra i vari ordinamenti sono poco più che nominali e la figura dell'eccesso di potere trova riscontri assai significativi negli ordinamenti simili al nostro, come quelli francese, belga, spagnolo, britannico, tedesco e austriaco.

1

Delineati i contorni del vizio

comunitario dello sviamento di potere,

esaminate le figure affini nazionali, occorre

rilevare, con particolare riferimento al

confronto con la figura italiana dell'eccesso

di potere, che lo sviamento di potere

rappresenta l'omologo comunitario di uno solo

dei molteplici casi di eccesso di potere

conosciuti nell'ordinamento italiano, anche

se con questo presenta notevoli affinità,

prima fra tutte il fatto che attraverso di

essi si perviene ad un sindacato di

legittimità dell'area afferente alla

discrezionalità amministrativa.

Ciò premesso, lo sviamento di potere,

tanto nella giurisprudenza nazionale quanto

in quella comunitaria, è una censura che

difficilmente trova accoglimento nelle

sentenze .

Occorre dare, pertanto, una risposta al

quesito se la particolare configurazione

dello sviamento di potere comporta a livello

comunitario un vuoto di tutela in merito al

sindacato della discrezionalità delle

Istituzioni comunitarie. Tale domanda

nasconde, in fondo, una preoccupazione

fondata sull'esperienza storica di molti

degli Stati membri dell'Unione Europea;

ossia, alle origini, essi hanno vissuto delle

fasi in cui il sindacato giurisdizionale

1

sulla discrezionalità amministrativa era

particolarmente limitato.

Dunque, la relativa gioventù delle

Istituzioni comunitarie legittima il dubbio,

dal quale ha tratto impulso questa ricerca,

che gli organi giurisdizionali europei

abbiano avuto a disposizione minori mezzi per

sindacare quell'area delicatissima

dell'esercizio dell'attività amministrativa

che è contraddistinta dal concetto di

discrezionalità.

In modo rassicurante, tuttavia, a tale

interrogativo deve darsi – in linea di

principio – una risposta negativa. Ossia, le

Corti europee hanno ampi margini per

sindacare – dal punto di vista della

legittimità – le scelte discrezionali delle

Istituzioni comunitarie.

Come si è visto, d'altronde, i vizi di

legittimità sindacabili dalle Corti europee

ricalcano le figure previste nel diritto

amministrativo francese che, come noto, è

dotato di un sistema di giustizia

amministrativa particolarmente evoluto.

Pertanto, deve concludersi, come

osservato dalla pressocchè unanime dottrina,

che moltissimi casi di eccesso di potere

nazionale ed in genere il sindacato sulla

discrezionalità amministrativa delle

Istituzioni comunitarie avviene a mezzo delle

ouvertures costituite dalle violazioni del

trattato o dei principi comunitari.

1

Si tenterà, quindi, nel prosieguo,

un'analisi dettagliata soprattutto dei

principi comunitari al fine di verificare se

il loro elenco sia sufficiente a far ritenere

che la tutela dei cittadini comunitari

avverso le scelte discrezionali illegittime

delle Istituzioni comunitarie sia adeguata.

Laddove ciò sia accertato, sarà

interessante verificare se, in senso inverso,

l'elencazione dei principi comunitari abbia

indotto le Corti nazionali ad ampliare l'area

del proprio sindacato sulle scelte

discrezionali delle rispettive

amministrazioni.

Si pensi che, del resto,

nell'ordinamento italiano, in maniera

altamente simbolica, l'art. 1 comma 1 della

legge n. 241/1990 recita: “L’attività

amministrativa persegue i fini determinati dalla

legge ed è retta da criteri di economicità, di

efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di

trasparenza secondo le modalità previste dalla

presente legge e dalle altre disposizioni che

disciplinano singoli procedimenti, nonché dai

principi dell’ordinamento comunitario.”

IV.IV I principi generali dell'ordinamento comunitario246

246 JURGEN SCHWARZE, Les source et principes du droit administratif européen, in Droit Administratif européen, Bruxelles 2007, 321 e ss.

1

Occorre premettere che fonti del

diritto amministrativo dell'Unione Europea

sono il diritto scritto, il diritto

consuetudinario, i principi generali di

diritto e principi giurisprudenziali.

Del resto, alle origini, il diritto

scritto, tanto quello primario quanto quello

derivato, al pari di quello consuetudinario

erano assolutamente carenti, occupandosi

dell'azione amministrativa solo in sporadiche

disposizioni.

E' merito della Corte di Giustizia,

allora, se, forzando non poco le attribuzioni

conferite, ha utilizzato quale principi

regolatori in materia “les principes généraux

communs aux droits des Etats membres”.

La Corte ha in sostanza avviato uno

studio comparatistico dei diritti

amministrativi nazionali che non aveva

conosciuto, in precedenza, grande sviluppo

essendo, invece, gli studi comparatistici –

per ovvie ragioni – particolarmente

approfonditi nel campo del diritto civile e

del diritto commerciale.

Fin dal debutto della sua

giurisprudenza, e precisamente sin dalla

celebre sentenza Algera del 1957, si è

trovata a dover gestire attività

amministrative non normate; in

quell'occasione si trattava di un atto di

ritiro in alcun modo regolamentato dal

Trattato e dal diritto derivato.

1

Sin da quel momento la Corte ha creato

un vasto complesso di norme giuridiche,

portato delle analisi comparatistiche, che

hanno governato l'azione amministrativa

comunitaria.

Un ruolo non secondario, nella

ricostruzione di questi principi, è stato

peraltro svolto dalla Convenzione dei diritti

dell'uomo e delle sue libertà fondamentali.

Si è osservato247, pertanto, che

l'influsso dei singoli diritti nazionali è

particolarmente evidente nell'evoluzione

dell'elaborazione giurisprudenziale. Basti

pensare alla derivazione francese dei vizi

dell'attività amministrativa, all'influenza

tedesca nell'affermazione del principio di

proporzionalità, al condizionamento

proveniente dai Paesi scandinavi in ordine al

diritto di accesso e alla trasparenza in

genere, all'introduzione del principio del

diritto di “essere ascoltati” di derivazione

britannica.

In particolare hanno ottenuto il rango

di principio generale:

il principio di legalità degli atti

amministrativi;

il principio di uguaglianza;

il principio di proporzionalità;

il principio di certezza giuridica;

247 J. SCHWARZE, cit., 326.

1

il principio del legittimo

affidamento;

il principio di responsabilità;

il diritto di azione

giurisdizionale;

il diritto di difesa;

il diritto di accesso agli atti;

il principio di motivazione degli

atti giuridici:

il diritto alla riservatezza nella

corrispondenza tra avvocati e clienti;

il diritto ad una ragionevole

durata del procedimento amministrativo.

Si è acutamente evidenziato248 che

l'individuazione di questi principi generali

è tratta dall'analisi comparatistica dei

diritti amministrativi nazionali; tuttavia,

una volta acquisito all'ordinamento

comunitario un principio generale esso evolve

in maniera del tutto nuova ed originale, in

coerenza con l'originalità dell'ordinamento

comunitario, per poi tornare nelle

applicazioni nazionali sotto forma di uno

sviluppo del principio originario.

Emblematico, al proposito, è lo sviluppo

del principio – di derivazione tedesca – di

248 J.SCWARZE, cit. 327.

1

proporzionalità. Nella versione

comunitaria249, esso si è arricchito di alcune

puntualizzazioni, ossia l'appropriatezza e la

necessarietà dei sacrifici imposti agli

amministrati in considerazione degli

obiettivi legalmente posti, rimanendo inteso,

pertanto, che tra più misure appropriate è

necessario scegliere quella che meno comporti

sacrifici per l'amministrato.

Questo principio, poi, era sconosciuto

agli ordinamenti britannico e italiano che ne

hanno assorbito i portati in quel

procedimento di scambio tra gli ordinamenti

che quest'operazione ha favorito.

In termini generali, occorre segnalare

che tali principi generali non sono

codificati e, probabilmente, manca una

volontà politica in tal senso: ciò tuttavia

consente al diritto amministrativo europeo di

mantenere un carattere flessibile e dinamico.

Qualche cenno alla codificazione di

singoli principi è, invece, riscontrabile nel

campo del diritto derivato, in quello della

concorrenza e dell'ambiente tra gli altri.

Nonostante da più parti si sia

sollecitata, specie con l'allargamento a

nuovi Stati ed ordinamenti dell'Unione

Europea, la necessità di una codificazione

dei principi dell'attività amministrativa,

tale processo non appare a breve scadenza

249 Corte di Giustizia causa C-265/87 Schrader c. Hauptzollamt Gronau, Racc., 1989, 2237 e ss.

1

realizzabile. Del resto, anche nei singoli

Stati membri, una simile codificazione è

tardata ad arrivare: basti pensare che

nell'ordinamento italiano la legge generale

sul procedimento amministrativo è stata

emanata solo nel 1990.

IV. V. Il principio di proporzionalità250

Di derivazione tedesca251, esso si

applica tanto all'attività normativa quanto a

quella amministrativa delle Istituzioni

comunitarie, anche se è evidente che il suo

campo elettivo, in termini pratici, è

costituito dall'attività amministrativa.

Nel diritto tedesco, il principio di

proporzionalità è il risultato dell'unione di

tre elementi diversi: a) l'adeguatezza

(apothekenurteil); b) la necessità

(geeignetheit); c) la proporzionalità in

senso stretto (verhaltnismaBigkeit im engeren

Sinne) della decisione, dove, in particolare,

la necessità comporta che il mezzo adoperato

sia necessario per l'ottenimento del

risultato oltre che nessun altro mezzo sia

utilizzabile garantendo un minor sacrificio

per l'amministrato; laddove, infine, la

250 DIANA-URANIA GALETTA, Le principe de proportionnalité, in Droit Administratif, cit., 357 E SS.251 E' significativa l'espressione tedesca (FLEINER, Istitutionen Des Deutchen Verwaltungsrecht, Tubingen, 1928, 404) utilizzata per spiegare la ratio del principio: “darf die polizei mit kanonen auf spatzen schiessen?”. Ossia, sparare ai passeri con un cannone costituisce un'azione palesemente eccessiva rispetto ai fini perseguiti.

1

proporzionalità in senso stretto implica che

il mezzo ed il fine siano tra loro ben

proporzionati.

Il principio in parola ha trovato

nell'ordinamento tedesco grande risalto nelle

applicazioni giurisprudenziali laddove si

rinvengono i leading cases Luth e

Apothekenurteil.

Nel primo si era posto il problema di

bilanciare il diritto alla manifestazione del

pensiero, volto nel caso concreto a

contestare vivacemente un'opera

cinematografica avente risvolti antisemiti,

con il diritto di sfruttamento commerciale

dell'attività cinematografica. Nel caso

concreto il conflitto fu risolto a favore del

primo diritto.

Nel secondo, invece, si discuteva del

conflitto, ben noto anche di recente nella

nostra casistica giurisprudenziale, tra chi

già aveva una farmacia e chi intendeva aprire

una nuova attività nel settore.

Il principio in parola è poi transitato

nelle fonti normative e, puntualmente, nella

legge federale sul processo amministrativo

del 1960 ed in quella federale sul

procedimento amministrativo del 1976.

Appare assolutamente prevalente, infine,

la tesi che il principio in parola sia

costituzionalizzato negli artt. 2 comma I,

1

attinente alla libertà) e 14 (attinente alla

proprietà).

Mentre nel diritto tedesco252

l'applicazione del principio di

proporzionalità è strettamente connessa al

settore dei diritti inviolabili dell'uomo,

nel diritto comunitario esso ha

un'applicazione generalizzata.

Tuttavia, anche nel diritto comunitario

può essere individuato un suo campo elettivo

e tale è il settore delle sanzioni

nell'ambito delle varie politiche

comunitarie.

La Corte253 ha significativamente

affermato che “le principe de

proportionnalité est un principe fondamental

du droit communautaire dont la Cour doit

assurer le respect”.252 Mentre il principio di proporzionalità non è sconosciuto al diritto francese laddove il leading case è individuato nel processo Ville Nouvelle est del 1971, la dottrina prevalente (Wade HWR-Forsyth CR, Administrative law, 7a ed., Clarendon Press, Oxford 1994, 387-388) dubita fortemente dell'esistenza nell'ordinamento inglese (laddove il principio più affine, benché più ristretto, è quello di reasonableness) del principio di proporzionalità essendo stato escluso nel leading case Brind. La preoccupazione prevalente rinvenibile nella dottrina inglese è quella di consentire attraverso il sindacato di proporzionalità un sindacato di merito. Peraltro, tale atteggiamento “conservatore” ha dovuto fare i conti con le materie di competenza “ripartita” con il diritto comunitario la cui primazia, riconosciuta anche dall'ordinamento inglese, comporta l'applicazione del principio di proporzionalità. In ultima analisi, nel Regno Unito appaiono identificarsi due macroaree, una attratta sotto l'influsso del diritto comunitario nella quale non può disconoscersi l'importanza del principio di proporzionalità e un'altra, rinvenibile nelle materie non attratte alla competenza o all'influsso comunitario, nella quale il principio viene, almeno formalmente, disconosciuto.253 Corte di Giustizia 26 novembre 1985, Miro, 182/84, Racc., pag. 3731, punto 14.

1

Allo stato attuale il principio di

proporzionalità in diritto comunitario si

impone sia a) quale parametro d'azione in

quanto principio generale affermato dalla

Corte di Giustizia, sia b) quale parametro

specifico di azione delle Istituzioni

comunitarie.

In sostanza, il principio di

proporzionalità ha una funzione tanto quale

strumento di interpretazione del contenuto

dei precetti normativi, tanto come parametro

di valutazione del contenuto delle decisioni

comunitarie.

Ma, ed è questa la sua funzione più

tipica, esso costituisce un principio

preordinato allo stesso legislatore (oramai

anche nel campo nazionale se si osservano i

limiti imposti alle operazioni di

trasposizione delle direttive europee254), in

quanto operante a livello costituzionale, che

condizione l'emanazione degli atti comunitari

di secondo livello.

IV.V.I Elementi costitutivi del principio di proporzionalità di diritto comunitario

Si è generalmente concordi nel ritenere

che elementi costitutivi del principio di

254 Corte di Giustizia CE, 17 dicembre 1998, n.c. 2/97.

1

proporzionalità siano a) l'idoneità, b) la

necessarietà e c)l'adeguatezza (o

proporzionalità in senso stretto).

L'idoneità è comunemente intesa come

l'effettività, ossia come l'idoneità

dell'atto, così come immaginato e realizzato

a raggiungere gli obiettivi che si propone.

Tale giudizio, peraltro, ricalca la nota

valutazione della “prognosi postuma”,

dovendosi verificare l'idoneità dell'atto in

considerazione delle conoscenze e delle

situazioni presenti al momenti della sua

emanazione.

La necessarietà presuppone poi il

concetto di “funzione” ed il rapporto tra

potere e situazioni giuridiche altrui. In

ultima analisi, presuppone e regolamenta il

rapporto tra potere-esercizio dello stesso e

posizione degli amministrati.

Pertanto, la necessarietà si risolve nel

l'esigenza che l'atto, comportando la

compressione di diritti o interessi altrui,

sia necessario per il perseguimento

dell'interesse pubblico.

L'adeguatezza esprime, infine, la

necessità della scelta del mezzo meno gravoso

ossia della ricerca del minor sacrificio

possibile. Essa, ovviamente, presuppone la

possibilità di scelta tra più soluzione

alternative.

1

Non pare eccessivo definire

l'adeguatezza come il fulcro del principio di

proporzionalità in quanto in questa si

condensano tutti gli aspetti dello stesso

che, spesso, sono multidisciplinari. Gli

studiosi più attenti del principio di

proporzionalità hanno infatti rimarcato il

suo ruolo di punto di incontro di diverse

scienze e, in particolare, di quelle sociali,

matematiche, economiche e filosofiche.

Pur ribadendosi l'impossibilità in

questa sede di sviscerare compiutamente tutti

i presupposti di un simile convincimento, non

può che evidenziarsi che il principio di cui

si discute comporta, tra l'altro, un'analisi

(economica) del rapporto costi-benefici, una

(prettamente sociologica) della proporzione

tra vantaggi e svantaggi ed una (filosofica

giuridica) del perseguimento dei fini di

necessità, ragione e giustizia. In termini

matematici, infine, la somma algebrica tra

vantaggi svantaggi deve condurre al risultato

più elevato, poiché quello consentirà di

individuare la soluzione che massimizza gli

effetti dell'azione amministrativa.

In sintesi, il provvedimento

amministrativo rispettoso del principio di

proporzionalità deve individuare, quale

regola del caso concreto, quella capace di

garantire il miglior equilibrio tra i diversi

interessi compresenti.

1

La giurisprudenza comunitaria255,

peraltro, appare cogliere con maggior

sensibilità, riprendendo la tripartizione di

derivazione tedesca, l'aspetto della

necessità e dell'adeguatezza.

In particolare, nell'interessante

sentenza Placanica256 ha avuto modi di

precisare che le restrizioni imposte – nel

caso di specie – devono essere necessarie a

garantire la realizzazione dell'obiettivo (o

degli obiettivi) invocato dagli Stati membri

e non devono in alcun modo oltrepassare

quanto necessario per la sua realizzazione.

Si è osservato257 d'altro canto, che non

è facile ricostruire parametri applicativi

univoci del principio di proporzionalità

nella giurisprudenza comunitaria. Non vi

sono, in sintesi, regole specifiche in

considerazione dell'attività – discrezionale

o vincolata – o del tipo di potere –

normativo o amministrativo -, essendo

evidente, invece, che il giudice comunitario

– mantenendosi fedele alla propria tradizione

– calibra il suo controllo in misura

variabile a seconda della misura controllata

e dall'importanza, più o meno significativa,

della stessa nell'edificazione del progetto

comunitario.

255 Da ultimo si legga la decisione della Corte di Giustizia 17 gennaio 2008 n. 37 in www.europa.eu.int nella quale si sottolinea il ruolo del principio di proporzionalità quale parametro interpretativo in sede di recepimento e applicazione delle direttive comunitarie. 256 Corte di Giustizia 6 marzo 2007, C-338/04, 359/04, 360/04, Racc., 2007.257 DIANA-URANIA GALETTA, cit., 366.

1

Si è così detto che la Corte utilizza in

materia un metro simile a quello costi-

benefici conosciuto dal Conseil d'Etat

francese.

In sostanza, il principio di

proporzionalità, nato nell'ordinamento

tedesco nel quale le sue tre componenti hanno

una loro precisa gerarchia, si è sviluppato

in maniera originale nel diritto comunitario

laddove raramente, nel sindacato

giurisdizionale, si fa riferimento alle tre

componenti del principio di matrice tedesca.

Di più, mentre nel diritto tedesco il

sindacato di proporzionalità ha un carattere

accentuatamente soggettivo, avente cioè in

primo piano l'interesse del ricorrente, nel

diritto comunitario l'approccio è prettamente

oggettivo tenendosi conto essenzialmente

degli interessi concretamente in gioco, senza

attribuire un particolare peso al sacrificio

sopportato dall'amministrato258.

Da un punto di vista statistico, del

resto, non sono frequenti le decisioni nelle

quali si è proceduto all'annullamento di un

atto perché contrastante col principio di

proporzionalità.

258 Contra, peraltro, F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, in Collana Manuali diretta da F. CARINGELLA, S. MAZZAMUTO e G. MORBIDELLI, Roma, 2010, III ed., pag. 944, per il quale “nel diritto comunitario il principio di proporzionalità acquista una forte accentuazione in ordine al rispetto delle posizioni dei soggetti privati a fronte dell'intervento pubblico: esso guarda più all'esigenza di non limitazione – se non nei casi di stretta necessità – della libertà dei privati, che all'esigenza di miglior soddisfazione dell'interesse pubblico.”

1

Tuttavia, a parere di autorevole

dottrina259, è possibile individuare un

maggior rigore della Corte di Giustizia

laddove sia chiamata ad esprimersi su atti

delle Istituzioni comunitarie anziché su atti

degli Stati membri. Nel primo caso

prevarrebbe un atteggiamento di self

restraint; nel secondo un atteggiamento volto

maggiormente a far valere il “peso” del

principio: detti atteggiamenti della Corte

altra spiegazione non avrebbero se non quello

di facilitare la costruzione dell'edificio

comunitario.

IV.V.II L'effetto “spill-over” del principio di proporzionalità260 nel sistema italiano

Come noto, l'ordinamento italiano non

conosceva un sindacato di proporzionalità. Il

solo criterio di controllo assimilabile a

quest'ultimo era il criterio della

ragionevolezza la cui versione negativa

costituiva un indice sintomatico dell'eccesso

di potere. Tale assimilabilità era, del

resto, del tutto apparente in quanto il

controllo di ragionevolezza non si prestava

(né si presta) a precise definizioni. D'altro

259 DIANA-URANIA GALETTA, cit., 368.260 G.MORBIDELLI, Il procedimento amministrativo, in AA.VV., Diritto amministrativo, II ed., Bologna, 1212 e ss. nel quale l'avvento del principio di proporzionalità viene legato ai principi emergenti dagli artt. 3, 97 e 113 della Carta Costituzionale.

1

canto, l'intrinseca diversità dei due

principi è confermata dal riferimento allo

stesso da parte di una parte della

giurisprudenza amministrativa261 che si è

espressa in settori non strettamente

pertinenti al diritto comunitario.

In realtà, si è osservato che sin dagli

albori del diritto amministrativo italiano,

autorevole dottrina aveva, sia pur in maniera

embrionale, affermato alcuni postulati tipici

del principio in discorso. Si era, in

particolare, affermato che regola pratica

direttrice dell'azione amministrativa deve

essere individuata nell'esigenza di far

prevalere la cosa pubblica alla privata entro

i limiti della vera necessità. In sostanza,

secondo l'Illustre Autore262, la prevalenza

dell'interesse pubblico sarebbe stata lecita

laddove si fosse contemperata col minimo

possibile sacrificio della proprietà privata

e della libertà.

Comunque, il principio di

proporzionalità è oggi patrimonio acquisito

della dottrina e della giurisprudenza

nazionale.

Si è affermato263 che la proporzionalità

è agli antipodi della verifica del

261 Tar Lombardia, sez. IV, sent. n. 6095/04 e n. 6096/04; Tar Puglia, Lecce, sez. II, sentenza n. 2216/04; Tar Veneto, Venezia, sez. III, nn. 850, 851 e 852/05 in www.giustizia-amministrativa.it.262 ROMAGNOSI, Principi fondamentali di diritto amministrativo onde tesserne le istituzioni, Prato, 1835 (I ed.: 1814).263 C. MALINCONICO, cit., pag. 21.

1

provvedimento in senso formale. Secondo tale

dottrina essa mira alla giustizia sostanziale

ed avrebbe raggiunto un margine di autonomia

rispetto al principio di ragionevolezza

(volto ad escludere le decisione insensato,

ossia, in ultima analisi, arbitraria) e a

quello di razionalità (attinente alla

coerenza interna dell'atto).

Con tale principio, in particolare, si

intende verificare che l'esercizio del potere

amministrativo sia avvenuto nella giusta

misura, in modo tale, cioè, da assicurare

un'azione idonea ed adeguata alle circostanze

di fatto, idonea, in definitiva, a non

alterare il giusto equilibrio tra i valori,

gli interessi e le situazioni giuridiche264.

In altre parole il pregio del principio

in parola è da rinvenire nella circostanza

che, attraverso il suo sindacato, non si

intende verificare l'esistenza di un errore

di valutazione bensì il risultato in sé. Ciò

che diventa oggetto di controllo, quindi, è

se quel risultato è ragionevole e

proporzionato e, pertanto, come siano state

264 Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 1615 del 19 marzo 2009, ha applicato il predetto principio in materia di autotutela (annullamento di concessione edilizia illegittima) affermando che non è sufficiente, per qualificare in termini di legittimità l'azione amministrativa, l'esigenza di ripristinare la legalità “essendo, invece, necessario verificare la sussistenza di un'interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio, nonché dell'avvenuta comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privata, in particolare quando il titolare della concessione, in ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere, specie di di modesta entità.”

1

risolte in concreto le antinomie tra i vari

interessi in gioco.

Secondo la considerazione più ricorrente

il principio di proporzionalità, restituito

all'ordinamento nazionale dalle elaborazioni

della Corte di Giustizia, impone che il mezzo

utilizzato sia al tempo stesso idoneo allo

scopo perseguito ed efficace in modo

proporzionato.

Pertanto, sia pur spesso sviscerato

quale manifestazione del principio di

ragionevolezza – che conserva intatto il suo

ruolo sovrano di principio generalissimo di

regolamentazione dell'azione amministrativa,

al pari, del resto, dei principi di

eguaglianza, imparzialità e buon andamento -,

il principio di proporzionalità ha acquisito

un ruolo rilevante garantendo una continua

corrispondenza tra fine perseguito e mezzo

utilizzato.

Con grande acutezza, la dottrina ha

sottolineato che il principio di

proporzionalità contribuisce a determinare il

giudizio di legittimità dell'azione

amministrativa attraverso la verifica,

preventiva, degli effetti che l'azione

stessa, per come è programmata e strutturata,

è in grado di realizzare. Si è detto265, in

particolare, che il principio in parola, più

che costituire uno dei modelli di verifica

indiretta della scelta amministrativa

265 C. MALINCONICO, Il Principio di proporzionalità, su www.provincialecco.it.

1

discrezionale o a sintomo di eventuali vizi

della volontà amministrativa o, meno ancora,

a mera regola deontologica, costituisce esso

stesso l'approccio diretto al giudizio di

congruità dell'azione amministrativa.

In quest'ottica, pertanto, il principio

in parola consentirebbe il massimo dei

livelli di sindacato sulla discrezionalità

amministrativa perché, invece di ricercare le

distonie del processo logico-istruttorio del

provvedimento quale indizio di una volontà

amministrativa non correttamente formatasi,

detto principio andrebbe “direttamente al

cuore del problema”. Infatti, attraverso di

questo, è consentito un sindacato diretto

sulla scelta del pubblico potere, in base

all'assetto degli interessi pubblici e

privati, prefigurato e potenzialmente

raggiungibile dal provvedimento.

Si è poi osservato che la corretta

determinazione del principio di cui si

discute non dovrebbe condurre a prevedere un

canone rigido ed immodificabile per la

valutazione di legittimità dell'azione

amministrativa dovendosi, di converso,

valorizzare il suo carattere elastico ed

aperto266.

Da ultimo, si è rimarcato267, pur

ribadendone la lenta268 teorizzazione espressa 266 SANDULLI, La proporzionalità dell'azione amministrativa, Padova, 1998, pagg. 107 e ss.267 F. CARINGELLA, cit., pag. 943-944.268 Peraltro da riscontrare nella decisione del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 3 del 6 febbraio 1993.

1

come regola generale dell'azione

amministrativa, l'utilizzazione del principio

in parola come canone dell'azione

amministrativa, specie nelle ipotesi di

compressione delle posizioni giuridiche

soggettive private.

In ultima analisi, si è acutamente

sottolineato che il principio di

proporzionalità ha mutato la sua prospettiva

applicativa, divenendo limite intrinseco

all'agere amministrativo e non più mero

canone esterno di controllo giurisdizionale

della legittimità dell'azione amministrativa.

IV.V.III Conclusioni sul principio di proporzionalità

Nato nell'esperienza tedesca nella quale

si caratterizza per la sua struttura

trifasica e gerarchizzata, il principio di

proporzionalità comunitario ha subito

fortemente l'influsso della valutazione

costi-benefici di derivazione francese.

Pertanto, benché non siano mancate decisioni

del giudice comunitario nelle quali si fa

espresso riferimento al modello tedesco,

l'applicazione pratica del principio è stata

ampiamente limitata dall'influsso francese e

da una valutazione comparativa dei vantaggi e

degli svantaggi risultanti dalla misura

impugnata, secondo una concezione multipolare

1

degli interessi in gioco, in cui, però, un

peso nettamente prevalente è attribuito agli

interessi comunitari.

A dimostrazione dell'osmosi esistente

tra i vari ordinamenti degli Stati membri e

quello comunitario, è utile osservare che le

applicazioni più recenti del principio di

proporzionalità nel diritto tedesco hanno

condotto a rilevare che esse hanno risentito

fortemente delle influenze comunitarie,

tant'è che acuta dottrina269 ha tratto da ciò

la conferma che è la giurisprudenza

comunitaria che indica le linee di sviluppo

alle quali i diritti nazionali si adattano,

più o meno consapevolmente.

Molto interessanti sono poi le

armonizzazioni ottenute dalla giurisprudenza

comunitaria tra il principio di

proporzionalità e quello di uguaglianza

nonché tra il primo ed il principio di

sussidiarietà.

Si è detto270 che “l'inégalité de

traitement est donc considérée comme

contraire au principe d'égalité dans la seule

hypothése où elle ne réussit pas a passer le

test de proportionnalité”.

Tra il principio di proporzionalità ed

il principio di sussidiarietà si è detto,

invece, che la differenza consiste nel fatto

che in applicazione del secondo si deve 269 DIANA-URANIA GALETTA, cit., 373.270 Corte di Giustizia 19 febbraio 1998, C-4/96, Racc., 1998, punto 55 e s.

1

decidere se vi sia o meno una competenza

delle istituzioni; in applicazione del primo

deve valutarsi l'intensità degli interventi

posti in essere. In sostanza, il controllo di

proporzionalità è successivo al primo.

Ciononostante, deve riconoscersi che sul

punto la giurisprudenza comunitaria utilizza

un po' confusamente i due termini, tant'è che

non vi è traccia di applicazioni

giurisprudenziali del principio di

sussidiarietà271.

Conclusivamente, indiscusso il ruolo di

principio generale dell'ordinamento

comunitario da riconoscersi al principio di

proporzionalità, quest'ultimo ha acquisito

una valenza, non meramente terminologica,

fondamentale nell'ordinamento degli Stati

nazionali, compresi quelli che del principio

in parola, almeno espressamente, ne

disconoscevano l'esistenza.

Nell'ordinamento italiano, poi, il

principio di proporzionalità costituisce

probabilmente il più emblematico esempio di

portato dall'osmosi tra ordinamento

comunitario e quello nazionale. In

quest'ultimo, poi, non può che evidenziarsi

la sua capacità di inserirsi ed armonizzarsi

nei principi generali preesistenti così da

apparire oggi, quasi come se il processo di

osmosi di cui si è parlato non fosse mai

271 DIANA-URANIA GALETTA, cit., 375; così anche J.ZILLER, Le principe de subsidiarieté, in Droit administratif Européen, Bruxelles, 2007, 381.

1

stato necessario, come un naturale corollario

del principio di ragionevolezza, imparzialità

e buon andamento.

IV. VI. Il principio di uguaglianza e di non discriminazione272

Nonostante l'avvicinamento tra le

giurisprudenze degli Stati membri in ordine

al sindacato di uguaglianza, si evidenzia che

permane, tutt'oggi, una differenza

significativa tra l'impostazione

universalista e astratta di stampo francese e

quella empirica, preoccupata delle situazioni

concrete ed effettive più che dei grandi

principi di stampo anglosassone.

Nelle applicazioni della giurisprudenza

comunitaria pare aver avuto la meglio

l'approccio anglosassone.

La giurisprudenza comunitaria ha avuto

modo di precisare che il rispetto del

principio di uguaglianza si impone tanto alle

Istituzioni comunitarie quanto alle Autorità

nazionali, almeno fin tanto che queste ultime

agiscono nel campo di applicazione del

diritto comunitario. Il rispetto di tale

principio, pertanto, si impone tanto come

strumento di interpretazione suscettibile di

272 ANASTASIA ILIOPOULOU, Le principe d'égalité et de non-discriminations, in Droit administratif Européen, Bruxelles, 2007, 435 e ss.

1

chiarire la portata di disposizioni

particolari, quanto come mezzo di controllo

della validità degli atti comunitari.

In questo senso si è evidenziato,

peraltro, in linea con l'adozione della

filosofia anglosassone, che il principio di

uguaglianza in ambito comunitario ha un

sostrato economico e strumentale al mercato

ed alla libera concorrenza più che

ideologico.

Tuttavia non sono mancate le

applicazioni sociali del principio come

dimostrato dal caso Defrenne II273 sino alla

più recente sua rielaborazione come diritto

fondamentale in materia di integrazione dei

lavoratori migranti.

Il contenuto del principio si evidenzia

laddove attraverso di esso si censurano

trattamenti dissimili di situazioni identiche

o trattamenti uguali di situazioni diverse,

sempre che questi trattamenti non siano

obiettivamente giustificati.

Lo sviluppo del principio in parola,

però, ha valorizzato la necessità di evitare

qualsiasi forma di discriminazione sia

diretta, ossia di quelle espressamente in

contrasto con il dettato delle norme

comunitarie, sia indiretta (o simulata),

laddove al rispetto formale del principio

seguiva, nella pratica, un'illegittima

273 Corte di Giustizia, 8 aprile 1976, C-43/75, Racc., p. 455.

1

discriminazione. Ciò è avvenuto soprattuto

nei quattro settori delle libertà

comunitarie, quella del libero mercato e

della libera circolazione di persone,

capitali e servizi.

Anche questo principio, nato nelle

esperienze dei diritti amministrativi

nazionali ha sviluppato delle peculiarità nel

suo inserimento nell'ordinamento comunitario.

Occorre preliminarmente dire che

l'applicazione pratica del principio di

uguaglianza presuppone, a monte, un parametro

di paragone; questo, se – sia pur non in

maniera semplice – è ragionevolmente

ricavabile nel panorama giuridico nazionale,

tendenzialmente uniforme, diventa di

difficilissima individuazione laddove i

valori fondamentali delle varie società

nazionali ricomprese nell'ordinamento

comunitario non sono sempre omogenei.

Esemplare è il caso Suede c. Conseil274:

in quel caso un funzionario amministrativo

chiedeva all'Istituzione di appartenenza un

alloggio familiare, concesso ai suoi colleghi

sposati, sul presupposto di doverlo dividere

con il suo partner, dello stesso sesso, con

il quale conviveva in modo registrato in

Svezia. L'Istituzione comunitaria gli

rifiutava l'alloggio. La decisione fu

confermata tanto dal Tribunale di prima

istanza tanto dalla Corte di Giustizia,

274 Corte di Giustizia 31 maggio 2001, D e Suede c. Conseil, C-122/99 e C-125/99, Racc., p. I-4319.

1

ritenendo che non si fosse avverata una

discriminazione tra funzionari in ragione del

sesso (melius: degli orientamenti sessuali)

bensì in ragione della diversa natura

giuridica del legame che univa il ricorrente

al suo partner rispetto al vincolo

matrimoniale.

La dipendenza dell'applicazione pratica

del principio emerge con forza laddove si

osservi che la Svezia era intervenuta

adesivamente al ricorso del suo cittadino sul

presupposto, implicito, che non fosse

ragionevole una discriminazione tra

funzionari in ragione del legame,

matrimoniale o derivante da un'unione

registrata, che li vincola con il proprio

partner.

Molto interessanti sono poi i principi

espressi nel caso Kaba275 nel corso del quale

la Corte puntualizzò che, pur essendo vietate

tanto le discriminazioni palesi quanto quelle

dissimulate, tale non fosse la diversità di

trattamento in merito alla concessione del

permesso di soggiorno del coniuge del

cittadino comunitario rispetto al trattamento

riconosciuto al coniuge del cittadino

britannico. In sostanza, la Corte si è

espressa per la non comparabilità della

situazione dei lavoratori comunitari e di

quelli residenti e di pari passo la non

275 Corte di Giustizia 11 aprile 2000, causa C-356/98, Racc. p. I-2623; Corte di Giustizia 6 marzo 2003, Kaba II, causa C-466/00, Racc. p. I-2219.

1

comparabilità della situazione dei loro

congiunti.

La dottrina276 ha osservato che la

giurisprudenza comunitaria ha inteso il

principio di uguaglianza anche come causa

dell'impossibilità per le Amministrazioni

comunitarie di trattare in maniera uguale

situazioni differenti; per l'ordinamento

francese, invece, il principio non comporta

anche questo corollario. Sulla stessa

posizione della Corte di Giustizia appare

trovarsi anche la Corte di Strasburgo: si può

dire, allora, che la concezione di

uguaglianza fatta propria dai giudici europei

è di tipo sostanziale.

La violazione del principio di

eguaglianza deve essere giustificata

dall'interesse generale, e rispetto a questo

deve presentare i caratteri della necessità e

della proporzionalità.

In questo sindacato la Corte si è

dimostrata piuttosto timida277 (trincerandosi

dietro la sottolineatura del carattere

discrezionale delle scelte comunitarie,

specie di quelle esprimenti una valutazione

economica complessa) laddove si è trovata a

sindacare la validità – sotto tale aspetto –

delle misure comunitarie e viceversa ben più

276 A. ILIOPOULOU, cit., 444-445277 Anche se non sono mancate pronunce che hanno annullato decisioni comunitarie contrastanti con il principio di eguaglianza: si veda Corte di Giustizia 10 marzo 1998, causa C- 122/95, Racc., p.I-973, Allemagne c. Conseil d'Etat

1

attiva quando si è trovata a sindacare la

validità delle misure nazionali.

Non può non rilevarsi tuttavia

l'interessantissima opera svolta sul punto

dalla giurisprudenza comunitaria che ha

applicato – proprio perseguendo lo spirito

anglosassone dell'eguaglianza – il principio

di uguaglianza in strettissimo rapporto con

quello di proporzionalità.

Della bontà di tale ricostruzione

ermeneutica né è dimostrazione la timidezza

della giurisprudenza francese, notoriamente

legata ad un concetto astratto di uguaglianza

in alcuni casi confondibile con il più

generale principio di legalità, a sindacare

gli atti “astrattamente diseguali” sotto

l'ottica della proporzionalità.

Tale situazione è emersa in tutta la sua

evidenza nel caso Burbaud278.

In quell'occasione la signora Burbaud

aveva chiesto il suo inquadramento nei

“quadri” superiori della funzione pubblica

ospedaliera francese. Simile inquadramento le

era stato negato sul presupposto che, benché

titolare di titolo qualificato ottenuto a

Lisbona, ella non avesse conseguito il

diploma presso la Scuola Nazionale di Sanità

di Rennes. La motivazione del provvedimento

di rigetto era legata alla necessità di

278 Corte di Giustizia, causa C-285/01, in Racc., p.I-8219.

1

garantire l'accesso ai quei delicati posti ai

soggetti verificati come i più meritevoli.

La Corte di Giustizia, pur convenendo

sull'importanza dell'interesse perseguito

dall'ordinamento francese, ha ritenuto che ci

si trovasse dinanzi ad una discriminazione

non proporzionata in quanto il fine avuto di

mira non poteva essere raggiunto solo

attraverso l'imposizione ai candidati

stranieri di aver ottenuto il diploma presso

la Scuola Nazionale di Sanità.

Da ultimo, si è osservato che la

giurisprudenza comunitaria ha incitato

costantemente i giudici nazionali utilizzare

un criterio di giudizio analogo. Così, in una

sorta di “sussidiarietà giurisdizionale”279, i

giudici nazionali sono di frequente invitati

ad apprezzare la proporzionalità della misura

censurata in quanto discriminatoria.

IV. VII Principio di certezza giuridica e di affidamento

279 L'espressione è di A. ILIOPOULOU, cit., pag. 449.

1

Si è detto280 che è possibile affermare

che intorno al principio generale di certezza

delle situazioni giuridiche gravita il

principio particolare della tutela

dell'affidamento.

La Corte di Giustizia281, del resto, ha

affermato che il principio di affidamento

merita una protezione in virtù della vigenza

del principio di certezza giuridica.

Tale principio non è visto dalla

giurisprudenza comunitaria come un principio

assoluto bensì come un principio che deve

essere armonizzato con il principio di

legalità. Sin dalle origini282 la Corte di

Giustizia ha affermato che tale principio per

quanto importante deve essere armonizzato col

principio di legalità; pertanto, la scelta se

revocare un atto che ha riconosciuto un

diritto deve essere vagliata attraverso un

attento confronto tra l'interesse pubblico e

quello privato oggetto di causa.

Decodificando il principio di certezza

giuridica, questi comporta i corollari del

principio di irretroattività, la necessità di

chiarezza e di prevedibilità della

legislazione comunitaria e di tutela

dell'affidamento.

280 JEAN BERNARD AUBY E DELPHINE DERO-BUGNY, Les principes de securité juridique et de confiance légitime, in Droit administratif, cit., Bruxelles, 2007, 473 e ss.281 Corte di Giustizia, 4 luglio 1993, causa C-1/73, Westzucker, Racc., p. 723.282 Corte di Giustizia 22 marzo 1961, Snupat c. Haute Autorité, causa C-42 e 49/59, Racc., p. 103.

1

La Corte attribuisce grande importanza

al principio di certezza giuridica specie nel

campo della concorrenza dove la Commissione,

come noto, detiene poteri particolarmente

incisivi.

Più specificamente in merito al

principio del legittimo affidamento, esso ha

visto la sua apparizione nei primi anni 60'

ed oggi è tra i più frequentemente invocati

da coloro i quali ricorrono alla giustizia

comunitaria.

Quasi mai, peraltro, esso rappresenta

una censura isolata essendo frequentemente

combinata con le censure in merito alla

violazione del principio di buona

amministrazione, dei diritti di difesa, del

principio di uguaglianza e di

proporzionalità.

Occorre peraltro sgombrare il campo da

un possibile equivoco: il principio della

tutela dell'affidamento non è identificabile

con il principio del rispetto dei diritti

acquisiti e, quindi, in ultima analisi con la

materia dell'autotutela.

Infatti, esso è di frequente invocato in

materia di promesse e di impegni.

Parrebbe, da quanto sin qui detto, che

esso sia in un certo qual senso assimilabile

al principio generale di buona fede e

correttezza che deve guidare, secondo i

1

principi giuridici generali vigenti nel

nostro ordinamento, l'azione della P.A.

Volendo procedere ad un'attendibile

differenziazione tra questo principio e

quello di sicurezza giuridica, del quale

peraltro costituisce una species, si è

detto283 che il ruolo di tutore della

stabilità giuridica del principio di

sicurezza giuridica si sostanzia nel

principio di tutela dell'affidamento per una

particolare attenzione all'aspetto

soggettivo.

Fondamentalmente, il principio in parola

implica che i privati siano protetti contro

una modifica senza preavviso della

legislazione e possano opporre alla Comunità

le esperienze effettuate nel vigore della

precedente normativa284.

Peraltro, è stato osservato che il

principio della tutela del legittimo

affidamento si risolve in un principio ad

esclusivo vantaggio dei privati, a differenza

di quello di certezza giuridica. In tale

aspetto viene rivenuto, ulteriormente, il suo

carattere prettamente “soggettivo”285.

IV.VIII Principio di buona amministrazione

283 JEAN BERNARD AUBY E DELPHINE DERO-BUGNY, cit., pag. 486.284 JEAN PAUL JACQUÉ, Droit istitutionel de l'Union Européenne, Dalloz, III ed., 2004, p. 519.285 JEAN BERNARD AUBY E DELPHINE DERO-BUGNY, cit., pag. 486

1

Riprendendo le parole di una sentenza

della Corte di giustizia286 il principio di

buona amministrazione287 comporta che le

Istituzioni comunitarie, titolari di un

potere di effettuare valutazioni tecniche

complesse, devono potere disporre di un

margine di discrezionalità. Ma, si è

ribadito, proprio l'esistenza di questi

poteri di apprezzamento in capo agli organi

comunitari impone il rispetto da parte di

questi ultimi delle garanzie offerte

dall'ordinamento nelle procedure

amministrative.

Quindi, riconosciuta l'esistenza della

necessità di un giusto procedimento, la

giurisprudenza comunitaria ribadisce la

necessità che le Autorità comunitarie debbano

con cura, imparzialità288 ed entro un tempo

ragionevole valutare tutti gli elementi

pertinenti del caso di specie, quali il

diritto dell'interessato di far conoscere il

suo punto di vista così come il diritto di

quest'ultimo di veder motivata la decisione

che lo interessa in modo sufficiente.

E' altresì indiscusso che trattasi di un

principio che inerisce all'attività

discrezionale delle Autorità comunitarie al

286 Corte di Giustizia 21 novembre 1991, Techinische Universitat Munchen, C-269/90, Racc. p. I-5469.287 LOIC AZOULAI, Le principe de bonne administration, in Droit Administratif, Bruxelles, 2007, 493 e ss.

288 Corte di Giustizia 12 luglio 2005, Commission c. CEVA, C-198/03, Racc., p.I - 6357.

1

cui controllo mira, soprattutto in

considerazione che in diversi settori le

medesime Autorità dispongono di ampi poteri

valutativi.

Questa forma di controllo è prettamente

di carattere procedurale; tuttavia in esso

non si esaurisce laddove con il termine buona

amministrazione ci si riferisce all'insieme

delle garanzie di protezione offerte ai

cittadini dell'Unione nei confronti

dell'Amministrazione.

La dottrina che si è occupata del

principio in parola non ha potuto che

evidenziare l'ambiguità della sua

applicazione stante la sua eterogenea

applicazione.

Si è, tuttavia, evidenziato che tale

ambiguità rappresenta al tempo stesso una

notevole virtù del principio in parola capace

di una forza espansiva non predeterminabile,

almeno allo stato.

L'ambiguità è altresì confermata dalla

sua polifunzionalità nel corso degli anni;

agli inizi della giurisprudenza comunitaria

viene inteso come necessità di esame

approfondito delle domande degli interessati;

in seguito, come obbligo di prendere in

considerazione la situazione concreta degli

interessati: tant'è che in queste fasi la

riconducibilità di tale principio al

sindacato in ordine al rispetto delle forme

1

procedurali sostanziali non appare privo di

riscontri.

A partire dagli anni 80' il principio

diviene una fondamentale tecnica di

controllo, la cui apprezzabilità si rinviene

soprattutto nella materia dell'anti dumping.

In una celebre sentenza289 la Corte di

Giustizia ha attribuito al principio in

parola il significato di dovere di

sollecitudine, di diligenza e di

imparzialità; sotto queste nuove vesti esso è

divenuto lo strumento privilegiato della

protezione dei terzi interessati che non

dispongono dei medesimi diritti delle parti

direttamente coinvolte.

In seguito, il principio ha trovato

applicazioni significative nel campo della

libera concorrenza, del controllo sugli aiuti

di stato e sul pubblico impiego comunitario.

In sintesi, il principio si è reso

autonomo da una sua limitata applicazione

procedimentale, nell'ambito della quale sono

proliferati altri autonomi principi (difesa,

motivazione etc.), e anche all'interno di

questa – specie nel settore della concorrenza

– ha trovato la sua specificità nella tutela

dei terzi non direttamente interessati.

Da ultimo, si è assistito ad un

utilizzo290 del principio inteso quale obbligo

generale di consultazione scientifica di 289 Corte di Giustizia 22 ottobre 1991, Eugen Nolle c. Hauptzollamt Bremen-Freeihafen, C-16/90, Racc., p. I-5163.

1

personale competente nel quadro delle

procedure a carattere normativo.

La tendenza, poi, è quella di estendere

l'applicazione di tale principio alle

competenze esecutive della Comunità.

Ormai, peraltro, la sua natura di

diritto fondamentale è consacrata nella Carta

dei diritti fondamentali.

In due arresti recenti291 la

giurisprudenza comunitaria ha confermato

l'obbligo della Commissione di analizzare con

minuzia e imparzialità il dossier, pur non

riconoscendo dei veri e propri diritti ai

privati.

Il punto ha creato qualche divergenza

interpretativa tra Tribunale di I grado e

Corte di Giustizia, risolta – allo stato, per

quanto risulta - con delle affermazioni

compromissorie292: “le principe de bonne

administration...ne confère pas, par lui

meme, de droits aux particuliers sauf

lorsqu'il constitue l'expression de droit

spécifiques comme le droit de voir ses

affaires traitées impartialement,

équitablement et dans un délai raisonnable,

le droit d'etre entendu, le droit d'acces au

dossier, le droit à la motivation des

290 Corte di Giustizia 11 settembre 2002, Pfizer Animal Health c. Conseil, T-13/99, Racc., p. II-3305 e, dello stesso giorno, Alpharma c. Conseil, T-70/99, Racc., p. II- 3495.291 TPICE 28.9.1995 Sytraval et BrinK's France c. Commissione T-95/04 CJCE 2 aprile 1998 C-367/95292 TICE 4.10.2006, Tillack c. Commission, T-193/04, punto 127.

1

décisions, au sens de l'art. 41 de la Charte

des droits fondamentaux de l'Union

européenne”.

Lo sviluppo e la recente involuzione del

principio in parola ha portato una parte

della dottrina293 a ritenere che esso esprima

un'esigenza di tutela oggettiva più che

soggettiva dei privati; questi ultimi, in

fondo, trovano protezione in quanto il loro

interesse coincida, sia pur accessoriamente,

con l'interesse pubblico.

Appare a chi scrive, sia pur in chiave

un po' involuta, che il principio in parola –

stante l'autonomia di molti dei corollari che

per lungo tempo hanno contribuito a definirlo

nella sua essenza – abbia acquisito una

natura tale da far nascere in capo ai privati

degli interessi che con linguaggio nazionale

chiameremmo legittimi più che dei diritti

soggettivi veri e propri.

Capitolo V

Conclusioni

293 L.AZOULAI, cit., pag. 510.

1

1.Lo spunto per la presente ricerca è

nato da un'osservazione e da una serie di

curiosità.

La prima ha ad oggetto l’ormai

evidentissima influenza che il diritto

amministrativo nazionale ha subito, e subisce

in misura sempre maggiore, per effetto della

nascita e dell’evoluzione dell'ordinamento

comunitario, oggi europeo.

2.Già nella motivazione della

celeberrima sentenza n. 500/1999, la Suprema

Corte di Cassazione dava conto – più o meno

esplicitamente - del fatto che il suo storico

revirement, in ordine alla risarcibilità

della lesione degli interessi legittimi,

rappresentava uno dei corollari dei principi

del primato e dell'effettività del diritto

comunitario.

Infatti la risarcibilità delle

situazioni giuridiche soggettive lese

dall’attività amministrativa illegittima in

materia di appalti, imposta dalle direttive

comunitarie, induceva la Suprema Corte, per

esigenze di coerenza sistematica, a

concludere che le situazioni giuridiche

soggettive – a prescindere dalla

qualificazione giuridica nazionale –

dovessero essere risarcite laddove

ingiustamente lese dall’attività

amministrativa esercitata in tutti i settori.

Tale influsso dell'ordinamento

comunitario, laddove fosse residuato qualche

1

margine di dubbio, mi è parso ulteriormente

evidente laddove autorevole dottrina,

prendendo posizione in ordine alla

dibattutissima questione della cd.

pregiudiziale amministrativa, ha riportato, a

sostegno della sua posizione (favorevole al

disconoscimento della cd. pregiudiziale),

interessantissimi argomenti di derivazione

comunitaria.

Come noto, il recente arresto del Supremo

Consesso della giustizia amministrativa

(Adunanza plenaria n. 3/2011), abbracciando la

tesi dell'inesistenza di una pregiudiziale

amministrativa e del rilievo ai fini

risarcitori, ex art. 1227 c.c., della mancata

tempestiva impugnazione, ha avallato l’indirizzo

sopra esposto con ampi riferimenti ad argomenti

di diritto comunitario, recepiti, del resto,

anche nel codice del processo amministrativo di

cui al d.lgs. n. 104/2010.

In sostanza, la scelta dell’oggetto

della mia ricerca nasce dalla presa di

coscienza che, ormai, ogni questione di

diritto amministrativo interno non possa più

essere affrontata senza la necessaria

conoscenza del sistema amministrativo europeo

e senza interrogarsi sulla compatibilità

comunitaria di ogni soluzione di diritto

amministrativo interno proposta.

3.Oggi, del resto, un sistema

amministrativo europeo294 esiste e,

294 Nel corso del lavoro, peraltro, è stato significativo osservare, pur con le note battute

1

sicuramente, nessuna trattazione sistematica

di diritto amministrativo italiano può

prescindere dall'inquadramento di

quest'ultimo nel più ampio diritto

amministrativo europeo.

Con la costituzione delle Comunità

europee è stato avviato, quindi, un percorso

originale che, a prescindere dalle volontà e

dai progetti dei fondatori, ha radicalmente –

sia pur gradualmente - mutato il quadro

giuridico dei singoli Stati aderenti,

compreso, ovviamente, quello italiano.

3.Su queste premesse è nata la mia

curiosità per lo studio dei concetti di base

del diritto amministrativo europeo a partire

dalla stessa nozione di atto amministrativo

europeo.

Tale curiosità è stata poi alimentata

dalla volontà di verificare se il giovane

diritto amministrativo europeo abbia già la

maturità di garantire ai cittadini

dell'Unione la stessa effettività di tutela,

dinanzi alle Pubbliche amministrazioni

europee e nazionali operanti in applicazione

del diritto sopranazionale, loro concessa nei

sistemi di diritto amministrativo nazionale.

d'arresto, che ciò che una volta costituiva il diritto comunitario oggi costituisce il diritto europeo, così, anche terminologicamente, evidenziandosi un percorso di unificazione e armonizzazione degli ordinamenti giuridico che, per quanto possa apparire originale, è ben più avanzato di quanto non sia il percorso di unificazione politica.

1

Sin dalle prime letture, ho così potuto

verificare che, non solo, le garanzie europee

non sono inferiori a quelle nazionali ma che,

anzi, in moltissimi settori l'effetto “spill

over”, dall'ordinamento europeo a quello

nazionale, ha consentito un progressivo

ampliamento dei diritti riconosciuti dal

diritto amministrativo italiano.

A parte la già evidenziata questione

della risarcibilità degli interessi

legittimi, basti pensare all'introduzione

nell'ordinamento nazionale del principio di

proporzionalità che, indiscutibilmente,

amplia il sindacato del giudice

amministrativo sull'esercizio della

discrezionalità da parte delle P.A.

Come evidenziato nel paragrafo relativo,

la dottrina più avveduta ha individuato nel

principio in parola il grimaldello attraverso

il quale ottenere un sindacato sempre più

significativo sulle scelte discrezionali

delle Pubbliche Amministrazioni.

Infatti, si è significativamente

osservato che attraverso di detto principio è

possibile entrare nel cuore della scelta

amministrativa (pur senza invadere la sfera

del merito amministrativo), senza dover

ricorrere alle sole figure sintomatiche

dell’eccesso di potere, elaborate ed

utilizzate dalla dottrina e dalla

giurisprudenza italiana.

1

Si è del resto sottolineata la

sorprendente capacità del principio di

proporzionalità di poter garantire un

avvicinamento della scelta amministrativa a

concetti di giustizia sostanziale ed

effettività tipici del diritto comunitario.

In altre parole, la migliore dottrina ha

evidenziato come il principio di

proporzionalità, rettamente inteso, possa

consentire quel sindacato sulla giustizia

della decisione amministrativa che, nel

doveroso rispetto della sfera riservata

all'Amministrazione, non può limitarsi alla

correttezza formale del provvedimento.

E' stato anzi rilevato che la dirompente

forza del predetto principio non è (solo) da

ravvisarsi nel suo costituire un parametro di

valutazione ex post dell'operato della P.A.

ma nella sua capacità, in via più generale,

di indirizzare lo stesso agire dei Pubblici

Poteri, anche di quelli normativi, specie in

sede di recepimento delle direttive

comunitarie.

4.Senza voler eccedere in entusiasmi, a

mio parere, non si può, in definitiva,

disconoscere come la creazione di quel

particolarissimo e originale sistema che è il

diritto europeo stia generando la nascita, e

favorendo l'evoluzione, di sempre maggiori

diritti a vantaggio dei cittadini europei,

specie nel campo del diritto amministrativo.

1

Almeno allo stato attuale, infatti, il

dialogo tra ordinamenti giuridici diversi,

quelli dei singoli Stati membri, ha

consentito la creazione di un sistema

sovranazionale originale che ha la capacità

di influenzare, nella fase discendente, in

termini assolutamente innovativi (e, a mio

avviso, positivi) i sistemi giuridici

nazionali.

Mi sembra che oggi sia ragionevole

affermare che gli ordinamenti giuridici dei

Paesi membri hanno avviato un proficuo

dialogo con la messa in comune di quanto

migliore e funzionale li caratterizzi

singolarmente.

Questa commistione delle esperienze

provenienti dai singoli ordinamenti giuridici

consente, inoltre, una “restituzione” ai

singoli ordinamenti di concetti più evoluti

che, normalmente, si riverberano in termini

di maggiori diritti e garanzie per i

cittadini.

In questa operazione di sintesi, il

lavoro svolto dalla Corte di Giustizia mi

pare assolutamente preminente così come

fondamentale sarà continuare quel dialogo tra

le giurisdizioni nazionali e quelle europee

che, almeno allo stato attuale, ha offerto

brillanti risultati.

5.Del resto, proprio lo studio della

giurisprudenza della Corte di Giustizia ed

un'attenta lettura dei Trattati mi ha indotto

1

a prendere atto, sulla scorta di quanto del

resto già acquisito dalla migliore dottrina

italiana e straniera, che esiste – a livello

europeo – un atto esecutivo individuale del

tutto assimilabile all'atto amministrativo di

diritto interno.

Quest'atto, di norma, è la decisione.

Di norma, per l'appunto, perché il

sistema europeo, pur con tutti i pregi prima

elencati, presenta ancor oggi una certa

confusione nel sistema delle fonti, specie di

diritto derivato, che si riverbera in termini

definitori qualora si voglia concettualizzare

la realtà esistente.

Questa confusione, effetto

principalmente dell'indistinzione tra

funzione esecutiva e funzione normativa –

presente in parte anche dopo la ratifica del

Trattato di Lisbona - peraltro, si è rivelata

in diverse circostanze una ricchezza avendo

consentito alla Corte di Giustizia di

esaltare il suo sindacato giurisdizionale

ampiamente improntato da connotati

sostanzialistici.

La migliore dottrina ha osservato,

condivisibilmente, che la predetta

concettualizzazione è resa assai problematica

dal frequente approccio al diritto europeo “con

gli occhi rivolti ai sistemi nazionali”.

Pertanto, un proficuo studio del diritto

amministrativo europeo impone – per quanto

1

possibile – di non rimanere “ingabbiati” nelle

costruzioni concettuali di diritto nazionale.

Ciò è particolarmente importante per il

giurista italiano abituato ad un approccio

formale al diritto non sempre compatibile con

l'impostazione sostanzialistica, fatta propria

dalla Corte di Giustizia, del diritto europeo.

6.Del resto, il costante dialogo tra

ordinamenti diversi, in specie tra quello

europeo e quelli nazionali, non avviene solo a

livello normativo ma, in maniera sempre più

dirompente, anche a livello di procedimenti

amministrativi.

Dunque, se l'esiguità di risorse umane e

strutturali prima e la volontà politica poi,

hanno indotto i Paesi Fondatori a scegliere

quale via principale l'esecuzione indiretta del

diritto sovranazionale (ossia per il tramite

delle Amministrazioni nazionali), sono

frequentissimi oggi i casi di co-

amministrazione, ossia di procedimenti

amministrativi che si svolgono in parte a

livello europeo e in altra parte a livello

nazionale.

In questi tipi di procedimenti, come visto

nel corso della mia ricerca, diventa spesso

difficile individuare quale sia l'atto che

incide sulle situazioni giuridiche degli

amministrati. Esso, infatti, non sempre coincide

con l'atto conclusivo del procedimento che nei

cd. procedimenti top down è emanato da

un'Autorità nazionale e in quelli bottom up da

1

un'Autorità europea. L'esatta individuazione di

quell'atto consente poi di dedurne la sua natura

giuridica, europea o nazionale, e quindi

stabilire a quale giudice appartenga il relativo

sindacato di legittimità.

Proprio lo studio dei vizi di legittimità

comunitari mi ha suscitato l'ulteriore curiosità

relativa all'ampiezza del sindacato

giurisdizionale del giudice europeo sugli atti

emessi dalle Istituzioni europee.

Consapevole che la maturità di un sistema

giuridico si misura principalmente – almeno nel

campo del diritto amministrativo – sulla

capacità dell'apparato giurisdizionale di

sindacare le scelte discrezionali delle

Istituzioni Pubbliche, ho concentrato così il

mio studio sulla figura dello sviamento di

potere, avendo immaginato – ad una prima lettura

dei Trattati che si sono succeduti nel corso

degli anni - che tale vizio potesse

identificarsi con l'eccesso di potere italiano,

ossia con il tipico strumento utilizzato dalla

giurisprudenza nazionale per sindacare le scelte

discrezionali della P.A.

Ho preso atto, invece, nel corso della mia

ricerca che lo sviamento di potere europeo nasce

dall'esperienza francese del détournement de

pouvoir e che, nella sua estensione, non

coincide – per difetto - con l'area

giustiziabile in Italia sotto la nozione di

eccesso di potere.

1

Ciononostante, ho potuto rilevare che il

sindacato giudiziario europeo sulla

discrezionalità delle Autorità comunitarie non è

meno intenso – almeno in termini di principio –

di quello garantito dalla giustizia

amministrativa nazionale.

Infatti, l'ampia individuazione di

principi generali del diritto europeo (di cui si

è cercato di offrire una carrellata nel capitolo

IV), la violazione dei quali è ex art. 263

paragrafo II TFUE sindacabile dai Tribunali

europei, consente al giudice europeo di

garantire elevati standards, comunque

paragonabili a quelli nazionali, di tutela ai

cittadini europei dinanzi alle scelte

discrezionali delle Autorità europee.

Anzi, a ben guardare, il sindacato

sull’atto dei Pubblici Poteri, effettuato

utilizzando quale parametro del predetto vaglio

giurisdizionale i principi generali consente un

sindacato “diretto” e “sostanziale” dell’atto

anziché un sindacato “indiretto”, ossia per

presunzioni travestite da indici sintomatici, e

“formale”.

Di questa positiva evoluzione è possibile

scorgere diversi portati nel recente codice del

processo amministrativo.

7.Traendo infine le conclusioni di questo

lavoro, credo di poter dire di aver verificato,

innanzitutto, l'originalità del sistema

comunitario che, pur derivando inevitabilmente,

dalle esperienze giuridiche dei Paesi membri, e,

1

in particolare, di quelle dei Paesi fondatori

della CEE, ha consentito uno sviluppo

parzialmente autonomo dei concetti giuridici

nazionali.

Questi ultimi, poi, sono stati restituiti

ai singoli sistemi nazionali con una nuova e più

moderna definizione che ha consentito, tra

l'altro, l'avvicinamento dei vari sistemi e la

creazione, ormai evidente, di un diritto

amministrativo europeo.

Ciò appurato, ho verificato che in tale

sistema le situazioni giuridiche soggettive

degli amministrati godono di ampia tutela, di

certo non minore di quella garantita a livello

nazionale.

Infatti, sotto l'aspetto “normativo” la

ristrettezza concettuale dello sviamento di

potere, nonché il sindacato particolarmente

timido sotto quest'aspetto delle Corti europee,

è largamente compensato dall'ampiezza del

sindacato esercitato da queste ultime sotto

forma di verifica del rispetto dei principi del

Trattato e dei principi comuni agli Stati

membri.

Sotto quest'ultimo aspetto la

giurisprudenza della Corte di Giustizia ha avuto

un notevolissimo influsso innovatore, al punto

tale che in dottrina si è più volte osservato il

ruolo di “creatrice” del diritto esercitato

dalla prima.

1

In tale compito, a volte esercitato

“forzando” il dato letterale dei Trattati, la

Corte ha tuttavia saputo mantenere una linea

interpretativa quasi sempre coerente con i fini

del sistema comunitario, riconosciuta, del

resto, dalle Corti nazionali con le quali la

prima ha creato un dialogo assai proficuo.

Basti pensare ai continui richiami nella

più recente giurisprudenza del Consiglio di

Stato alla giurisprudenza della Corte di

Giustizia e, da ultimo, significativamente

evidenziati dalla definizione della questione

della pregiudizialità amministrativa.

Concludo affermando, pertanto, che è

facilmente prevedibile che un simile dialogo tra

ordinamenti ed Istituzioni giuridiche,

comunitarie e nazionali, consentirà una sempre

maggiore armonizzazione tra gli ordinamenti e

una sempre più ampia tutela giurisdizionale dei

cittadini europei, specie in quel delicatissimo

campo che è rappresentato dall'esercizio dei

poteri discrezionali delle Pubbliche

Amministrazioni.

La strettissima attualità, tuttavia,

impone di riconoscere che i grandissimi passi

avanti compiuti dagli Stati membri, in termini

di armonizzazione ed unificazione dei sistemi

economici, giuridici e monetari, non possono che

essere influenzati dai notevoli rallentamenti

che sta subendo quel processo di unificazione

politica che, con grande entusiasmo, si era

immaginato nel XX secolo.

1

Ciononostante, senza voler apparire

ingenuamente ottimista e pertanto consapevole

che l'unificazione politica è una scommessa

ancora tutta da giocare, ritengo che il processo

di avvicinamento degli ordinamenti europei,

avviato con la nascita delle Comunità prima e

dell’Unione Europea dopo, ha consentito

un’evoluzione positiva dei sistemi di diritto

amministrativo nazionale, con evidenti vantaggi

per i cittadini, che, comunque vada a finire il

processo di unificazione politica, rappresenta

un dato storicamente acquisito e non più

reversibile.

1

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