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Atti del Convegno La sostenibilità nella ristorazione collettiva La crisi globale pone il problema della sostenibilità degli stili di vita. Enti pubblici e privati faticano a mantenere gli attuali standard nei servizi. Occorre scegliere valutando gli effettivi vantaggi sociali. Crisi, da kρjv(cernere), indica un doloroso discernimento, presupposto necessario per la rinascita. Oggi occorrono scelte coraggiose per realizzare un nuovo equilibrio tra agricoltura, industria e servizi, rigettando le incoerenze dell’attuale mercato agroalimentare e combattendo gli sprechi. L’obiettivo del Workshop “La Sostenibilità nella Ristorazione Collettiva”, organizzato da Fosan a Roma il 24 Novembre 2011, nell’ambito della Manifestazione “Settimana della Vita Collettiva” (SEVICOL), è stato quello di creare un’opportunità di cooperazione tra i soggetti della filiera agroalimentare per sviluppare nuovi modelli concertati di ristorazione sostenibile. La giornata è stata una proficua occasione in tal senso, ed ha fornito numerosi spunti di riflessione ed approfondimento tra i partecipanti. La Redazione ha voluto la pubblicazione degli atti del convegno per poter divulgare gli interventi presentati; eventuali approfondimenti possono essere richiesti alla redazione, all’indirizzo email:[email protected].

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Atti del Convegno La sostenibilità nella ristorazione collettiva

 

 

 

La crisi globale pone il problema della sostenibilità degli stili di vita. Enti pubblici e privati faticano a 

mantenere gli  attuali  standard nei  servizi. Occorre  scegliere valutando gli  effettivi vantaggi  sociali. 

Crisi, da kρjvῶ(cernere),  indica un doloroso discernimento, presupposto necessario per  la  rinascita. 

Oggi occorrono scelte coraggiose per realizzare un nuovo equilibrio tra agricoltura, industria e servizi, 

rigettando le incoerenze dell’attuale mercato agroalimentare e combattendo gli sprechi. 

L’obiettivo del Workshop “La Sostenibilità nella Ristorazione Collettiva”, organizzato da Fosan a 

Roma  il  24  Novembre  2011,  nell’ambito  della  Manifestazione  “Settimana  della  Vita  Collettiva” 

(SEVICOL), è stato quello di creare un’opportunità di cooperazione tra i soggetti della filiera agroali‐

mentare per sviluppare nuovi modelli concertati di ristorazione sostenibile. 

La giornata è stata una proficua occasione in tal senso, ed ha fornito numerosi spunti di riflessione 

ed approfondimento tra i partecipanti. 

La Redazione ha voluto la pubblicazione degli atti del convegno per poter divulgare gli interventi 

presentati;  eventuali  approfondimenti  possono  essere  richiesti  alla  redazione,  all’indirizzo  e‐

mail:[email protected]

 

 

 

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Atti del Convegno

 

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Piano d’azione nazionale sul Green public procurement (PAN GPP)  

Riccardo Rifici  

 

Sulla base di quanto disposto dall’art. 1, comma 1126, della l. 296/06 (finanziaria 2007) che ha deman‐

dato al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e ai ministeri Sviluppo economi‐

co ed Economia e Finanze di predisporre il Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi 

della pubblica amministrazione (di seguito PAN GPP), dopo un ampio confronto con le parti interes‐

sate, con il decreto interministeriale n. 135 del 11 aprile 2008 (G.U. 8 maggio 2008), è stato adottato il 

PAN GPP.  

Il GPP può essere considerato come uno dei principali strumenti per l’attuazione della strategia eu‐

ropea per una “Produzione e Consumo Sostenibili”  (Comunicazione COM(2008)397 sul piano d’a‐

zione “Produzione e consumo sostenibili” e “Politica industriale sostenibile”) che rappresenta uno dei 

pilastri strategia Sviluppo Sostenibile della UE.  

Obiettivi del PAN GPP

Il PAN GPP risponde all’esigenza  

•  di dare un forte input politico alla PA per attivare in tutte la amministrazioni pubbliche procedure 

di acquisto orientate a favorire l’acquisto di beni e servizi a minor impatto ambientale; 

•  dare basi tecnico/amministrative comuni a tutte le amministrazioni pubbliche per facilitare la diffu‐

sione di questo strumento;  

•  dare un riferimento certo ai produttori sugli indirizzi futuri delle scelte di acquisto della PA   

Gli obiettivi ambientali strategici del PAN GPP sono concentrati su tre punti:   

•  l’efficienza e risparmio di risorse naturali, in particolare dell’energia; 

•  la riduzione dei rifiuti prodotti e il miglioramento della loro qualità; 

•  la riduzione dell’uso e dell’emissione sostanze pericolose. 

I contenuti del PAN

Il PAN si articola in due parti:   

1. Una parte generale relativa alla struttura del piano, e alle  indicazioni metodologiche (che è quella 

contenuta nel decreto interministeriale 135/2008)  

2. Una serie di atti aggiuntivi (Decreti del Ministro dell’ambiente) contenenti i requisiti tecnici per ogni 

gruppo di prodotto (i cosidetti “Criteri ambientali minimi”), che dovranno essere inseriti nei bandi 

di gara per l’acquisto di beni e servizi delle amministrazioni centrali, e che saranno il punto di rife‐

rimento per tutti gli acquisti degli altri enti pubblici (regioni, province, comuni ed enti che fanno ri‐

ferimento alla PA).   

I Criteri ambientali minimi  consistono  in  indicazioni generali  e prescrizioni  specifiche di  carattere 

tecnico (prestazioni/requisiti funzionali specifici o aspetti collegati al ciclo di vita ambientale di un be‐

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

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ne o di un servizio), che saranno collegate alle varie fasi di una procedura d’acquisto (analisi e razio‐

nalizzazione dei  fabbisogni, definizione dell’oggetto d’acquisto, specifiche  tecniche, punteggi  tecnici 

premianti, condizioni di esecuzione del contratto, requisiti di qualificazione soggettiva). 

L’utilizzo dei Criteri ambientali minimi e il rispetto delle indicazioni contenute nel Piano, saranno 

l’elemento che qualificherà come “acquisto sostenibile” una procedura di acquisto della pubblica am‐

ministrazione.  

Il Piano che prevede inoltre una serie di attività per la sua gestione: Comunicazione, formazione e 

Ministero dellʹambiente e della tutela del territorio e del mare Direzione Valutazioni Ambientali moni‐

toraggio dei risultati ottenuti.  

L’attività di definizione dei criteri ambientali per le diverse categorie di prodotto e servizi ha visto 

in primo luogo la definizione di un piano di lavoro riguardante circa 40 tipi di prodotti afferenti alle 

11 categorie di prodotti previsti dalla citata l. 296/06 dal PAN GPP, e la successiva attivazione di alcuni 

gruppi di lavoro per definire i diversi criteri.  

Le 11 categorie di prodotti/servizi previste dalla l. 296/06, indicate nel PAN GPP, sono le seguenti:   

•  Arredi per ufficio  

•  Materiali da costruzione  

•  Servizi energetici (illuminazione, riscaldamento, ecc…)  

•  Servizi urbani (verde pubblico, arredo urbano,ecc… )  

•  Attrezzature elettriche ed elettroniche per ufficio ( computer, stampanti…)  

•  Cancelleria per ufficio (carta, ecc…)  

•  Servizi di ristorazione pubblica  

•  Prodotti tessili e calzature  

•  Servizi per la gestione degli edifici (pulizia, manutenzione ecc…)  

•  Trasporto pubblico e mezzi di trasporto  

•  Gestione dei rifiuti   

Seguendo le indicazioni comunitarie, e l’indicazione del codice sugli appalti (Dlgs 163/2006), viene da‐

ta  l’indicazione alle stazioni appaltanti, di operare secondo  il criterio “dell’offerta economicamente 

più vantaggiosa”, piuttosto che secondo il criterio dell’offerta al prezzo più basso. Tale scelta permet‐

te, infatti, di favorire soluzioni e prodotti innovative.  

I criteri formulati consistono, quindi, in indicazioni e prescrizioni specifiche di carattere tecnico per 

poter accedere alla gara (criteri di base), nonché di ulteriori indicazioni di prestazioni e requisiti tecni‐

ci il cui raggiungimento consentirà di avere dei punteggi premianti (criteri premianti).  

In sostanza i criteri elaborati consisteranno in due gruppi di indicazioni:   

•  i criteri di base per partecipare alla gara espressi in:   

in termini di standard tecnici: Prescrizioni atte a definire la conformità a norme, le caratteristiche 

di un materiale (esempio: obbligo a contenere una certa % di riciclato, ), la qualità di un materiale, 

di un prodotto o di un servizio (assenza di determinate sostanze, possibilità di essere riutilizzato, 

resistenza all’uso, ecc.); 

in termini di prestazioni e requisiti funzionali, che “possono includere caratteristiche ambientali” 

(art. 68, comma 3, lett. b). In tal caso l’amministrazione, lascia i concorrenti liberi di proporre so‐

luzioni tecniche innovative per il raggiungimento della prestazione richiesta. Si tratta di una pos‐

sibilità non prevista dalle precedenti norme sugli appalti (esempio rendimento energetico mini‐

mo di un apparato);  

•  e in criteri premianti che possono riguardare lo stesso aspetto dei criteri minimi, o anche aspetti di‐

versi: esempio una migliore prestazione ambientale rispetto al requisito di base (il 90% di rendimen‐

to energetico invece del 75%) o un’ulteriore requisito non indicato tra quelli di base.  

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Atti del Convegno

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Oltre agli standard  tecnici e ai  requisiti  funzionali, possono essere  indicate prescrizioni e/o clausole 

contrattuali applicabili alla procedura di acquisto, ad esempio, in relazione alle modalità di consegna 

dei prodotti, alla manutenzione, alla gestione degli imballaggi e alla gestione della fase di fine vita dei 

prodotti da acquistare (esempio: ritiro apparecchiature dismesse).  

I criteri ambientali da utilizzare nelle gare devono essere validi da un punto di vista scientifico, veri‐

ficabili da parte dell’ente aggiudicatore, realizzabili per le imprese offerenti e dovrebbero essere Mini‐

stero dellʹambiente e della  tutela del  territorio e del mare Direzione Valutazioni Ambientali definiti 

sulla base di LCA. Laddove possibile, i criteri faranno riferimento alle norme tecniche delle etichette 

ecologiche ufficiali di vario tipo ed alle altre fonti informative esistenti, e saranno calibrati in modo che 

sia garantito il rispetto dei principi della non distorsione della concorrenza e della par condicio.  

I Criteri sino ad oggi adottati sono i seguenti:  

•  cancelleria (si è operato sulla carta per copia); 

•  servizi per l’arredo urbano (si è operato sugli ammendanti per il verde urbano); 

•  IT  (si  è  operato  sui  seguenti  prodotti:  computer,  notebook,  stampanti,  fotocopiatrici,  apparecchi 

multifunzione); 

•  materiali da costruzione. (si è operato sui corpi finestrati);  

•  arredi per ufficio; 

•  apparati per l’illuminazione pubblica; 

•  prodotti tessili; 

•  ristorazione collettiva.  

Sono in via di approvazione:  

•  servizi energetici.  

•  Mezzi di trasporto  

•  Servizi di pulizia  

•  Criteri sociali  

•  Servizi per lo smaltimento RSU   

Sono in lavorazione i criteri per: costruzioni stradali, arredo urbano, materiali da costruzione (edifici).  

I criteri per la ristorazione collettiva

Il documento riguarda i criteri per il servizio di ristorazione e per l’acquisto di derrate alimentari.  

Il documento sui criteri per il servizio ristorazione collettiva segue lo schema già usato per altri cri‐

teri e si compone delle seguenti parti:  

•  Premesse e riferimenti normativi; 

•  Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; 

•  Selezione dei candidati; 

•  Specifiche tecniche di base; 

•  Criteri premianti; 

•  Condizioni di esecuzione (clausole contrattuali). 

Selezione dei candidati

Capacità ad eseguire il contratto in modo da arrecare il minore impatto possibile sull’ambiente e sulla 

salute umana  

Specifiche tecniche di base

•  Produzione degli alimenti e delle bevande 

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frutta, verdure e ortaggi, legumi, cereali, pane e prodotti da forno, pasta, riso, farina, patate, po‐

lenta, pomodori  e prodotti  trasformati,  formaggio,  latte UHT,  yogurt, uova,  olio  extravergine: 

40% biologico + 20% da sistemi di produzione integrati, IGP, DOP, STG  

o Stagionalità prodotti ortofrutticoli  Carne, 15% biologico + 25% IGP, DOP  

Pesce 20% da acquacoltura biologica, evitare prodotti ricomposti.   

•  Evitare l’utilizzo di bevande confezionate  •  Requisiti dei prodotti in carta tessuto  

•  Trasporti  

•  Consumi energetici  

•  Pulizie dei locali  

•  Requisiti degli imballaggi •  Gestione rifiuti  

•  Informazioni agli utenti  

Criteri premianti

•  Produzione degli alimenti e delle bevande  

•  Carbon footprint  

•  Destinazione cibo non somministrato  

•  Prodotti esotici  

•  Trasporti  

•  Prossimità del luogo di cottura  

•  Riduzione del rumore  

Condizioni di esecuzione (clausole contrattuali)

•  Rapporto sui cibi somministrati e sulla gestione delle eccedenze  

•  Riduzione e gestione dei rifiuti  

•  Utilizzo di stoviglie riutilizzabili o di stoviglie compostabili  

•  Formazione del personale   

I criteri per l’acquisto di derrate ricalcano quelli già indicati per il servizio di ristorazione per la parte 

concernente gli alimenti. 

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Atti del Convegno

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Il Bio nelle operazioni di ristorazione collettiva: normativa europea e nazionale  

Iamarino  

Con l’introduzione del Reg. (CE) n. 834/07 l’UE ha voluto dare spazio, nell’ambito della regolamenta‐

zione del settore dell’agricoltura biologica, all’introduzione dei prodotti biologici nelle operazioni di 

ristorazione collettiva. In particolare, pur non prevedendo delle norme specifiche per tali operazioni, è 

lasciata la possibilità, agli Stati membri, di applicare norme nazionali o, in mancanza di queste, norme 

private, sull’etichettatura e il controllo dei prodotti provenienti da operazioni di ristorazione collettiva 

nella misura in cui tali norme sono conformi alla normativa comunitaria. 

L’aspetto più delicato da considerare a  tal proposito riguarda  la “conformità” di eventuali norme 

nazionali alla regolamentazione comunitaria di settore. Tale condizione pone di fatto dei paletti a vol‐

te anche estremamente rigidi e di difficile gestione nel campo della ristorazione collettiva. 

In particolare, procedendo nell’analisi della disposizione europea, una prima aspetto da considerare 

è la definizione stessa di “operazioni di ristorazione collettiva” che comprende la preparazione di prodot‐

ti biologici in ristoranti, ospedali, mense e altre aziende alimentari analoghe nel punto di vendita o di consegna al 

consumatore finale. Risulta subito evidente che il legislatore accomuna le operazioni di ristorazione ge‐

stite da Enti pubblici a quelle, note come “ristorazione commerciale”, gestite da privati. Sempre con 

riferimento alla definizione sopra riportata appare inoltre evidente che una eventuale norma naziona‐

le potrà disciplinare solo le operazioni effettuate nei punti vendita o di consegna al consumatore finale poi‐

ché tutto quanto accade nei centri di preparazione è soggetto allo stesso regolamento nell’ambito della 

trasformazione dei prodotti alimentari. 

L’aspetto che però suscita maggiori difficoltà di attuazione riguarda  il controllo di tali operazioni. 

Al fine di rispettare la “conformità” al regolamento europeo una norma nazionale non può prescinde‐

re dal sistema di controllo previsto per  le produzioni biologiche al capo V del Reg.  (CE) n. 834/07 e 

successivi regolamenti attuativi. In particolare la normativa europea prevede, tra l’altro, l’adesione al 

sistema di controllo da parte di ogni operatore che producono, preparano, immagazzinano o importa‐

no prodotti biologici da immettere sul mercato. L’adesione al sistema di controllo, a sua volta, prevede 

una notifica delle attività alle autorità competenti dello Stato membro in cui è esercitata l’attività stessa 

e l’assoggettamento dell’impresa al sistema di controllo di cui all’art. 27 dello stesso regolamento. 

È  facile comprendere come  tale sistema, se da un  lato garantisce gli operatori e  i consumatori nei 

confronti delle produzioni biologiche, d’altro canto non può che comportare uno sforzo, sia in termini 

economici che gestionali, per i ristoratori che intendono proporre prodotti biologici. 

L’autorità nazionale ha da tempo avviato un tavolo di lavoro al fine di predisporre una norma na‐

zionale condivisibile da tutti gli stakeholder del settore, includendo sia rappresentanti del settore bio‐

logico che della ristorazione. I documenti redatti nell’ambito di tale tavolo sono stati trasmessi, per le 

opportune consultazioni, ai rappresentanti delle istituzioni e si sta procedendo nella risoluzione degli 

aspetti più critici sopra menzionati. 

L’entrata  in vigore di una norma nazionale  sulla  ristorazione  collettiva  avrebbe,  tra gli obiettivi, 

quello di fare chiarezza sulla possibilità e modalità di utilizzo dei termini riferiti alle produzioni bio‐

logiche; attualmente infatti l’utilizzo di tali termini nel settore della ristorazione genera non poca con‐

fusione nel consumatore con conseguente rischio di perdita di  fiducia da parte dello stesso nei con‐

fronti dell’intero settore delle produzioni biologiche. 

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

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Qualità ambientale e sostenibilità economica della filiera corta  

Rastelli  

I nostri produttori preservano e valorizzano le risorse primarie del territorio attraverso la loro identifi‐

cazione, legandole alla qualità delle produzioni, alla bellezza del paesaggio e alla cultura locale. 

Il  progetto  della  costruzione  di  una  filiera  agricola  tutta  italiana ha  l’obiettivo  di  realizzare  un 

grande sistema agroalimentare che premi i produttori e offra ai consumatori prodotti di qualità e a un 

giusto prezzo tagliando le intermediazioni e puntando su una estesa rete commerciale nazionale, ca‐

pace di creare più concorrenza e trasparenza, più potere contrattuale per gli agricoltori, più vantaggi 

per i cittadini. 

Gli attuali prezzi dell’extra vergine non sono remunerativi per il nostro modello produttivo, ricco di 

valori. 

Con i blend venduti nella distribuzione moderna, costituiti con miscele di oli di provenienza dalle 

diverse aree del mediterraneo, si assiste ad un appiattimento del prezzo di vendita che sempre di più 

coincide con quello promozionale. In tale situazione di mercato diventa difficile assicurare un adegua‐

to livello di redditività agli olivicoltori che producono olio italiano e sostenere nel tempo la tendenza 

all’aumento dei prezzi all’origine dovuto all’origine obbligatoria in etichetta. 

Ciò rappresenta un anomalia da sanare: l’origine italiana, la qualità del lavoro dei nostri agricoltori, 

non sono ancora supportati da adeguate strategie di filiera in grado di portare il prodotto su segmenti 

più alti di mercato. È questa la sfida della filiera agricola italiana! 

Tutto ciò avrà come naturale conseguenza la creazione di un nuovo modello agro‐alimentare, fon‐

dato dai produttori stessi che offra:  

•  una giusta remunerazione a chi produce, 

•  un giusto prezzo e una effettiva garanzia di qualità e di trasparenza dei cibi, 

•  la valorizzazione dei primati e delle distintività dei nostri territori e di chi vi abita e lavora, 

•  un accrescimento del patrimonio complessivo del nostro Paese.  

I valori della filiera agricola tutta italiana sono dunque l’origine italiana, la rintracciabilità, la qualità, il 

territorio, la salute e l’ambiente. 

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Atti del Convegno

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Il bio in Italia: produzione, prezzi e mercato per l’introduzione nella ristorazione collettiva  

Francesco Giardina  

Il consumo domestico dei prodotti biologici nel primo quadrimestre di quest’anno in Italia cresce del 

+11,5% rispetto all’anno precedente. 

Cresce il biologico in tutti i comparti: la pasta con un incremento del 32,9% rispetto all’anno prece‐

dente, i prodotti lattiero caseari (+20,4%), i biscotti e dolciumi (+15,40%) e le uova (+13,4%) e cresce an‐

che  in maniera notevole  il consumo di ortofrutta bio  (+9,2%).  Il  fenomeno è di portata europea: nel 

continente  infatti  il mercato del biologico pesa già 18.4 miliardi di euro, e cresce a  tassi di 4‐5 punti 

percentuali ogni anno.  

Sempre più capillare è la distribuzione del biologico nel nostro Paese. Sono coinvolte tutte le diverse 

forme: la Grande Distribuzione Organizzata, la rete di negozi specializzati per il biologico, l’offerta di‐

retta da parte delle aziende agricole. Ma il fenomeno che, più degli altri, merita una attenzione parti‐

colare sta diventando proprio la ristorazione collettiva, che sempre di più, in questi anni, si sta orien‐

tando verso l’agricoltura biologica.  

Già una legge del 1998 ha imposto alle Amministrazioni pubbliche di preferire il cibo biologico per 

le refezione collettiva. Già il solo Comune di Roma offre ai bambini delle scuole comunali circa 400 mi‐

la pasti giornalieri (in Italia se ne contano oltre un milione al giorno) con una offerta ampia di prodotti 

da agricoltura biologica. È uno sforzo difficile per le Amministrazioni locali, soprattutto in un momen‐

to di  tagli e riduzioni come quello che stiamo vivendo, ma è una strategia che dà ottime risposte  in 

termini di salute e gusto per i bambini ed una ottima forma di educazione alimentare per tutte le fa‐

miglie coinvolte.  

A fronte di questa domanda di biologico il settore risponde in maniera abbastanza positiva con dei 

numeri che posizionano  l’Italia  tra  i paesi  leader del settore. Dall’analisi dei dati  forniti al MiPAAF 

dagli Organismi  di Controllo  attivi  in  Italia  al  31 dicembre  2010,  sulla  base  delle  elaborazioni  del 

SINAB, risulta che gli operatori del settore sono 47.663; la distribuzione degli operatori sul territorio 

nazionale vede, come per gli anni passati, la Sicilia seguita dalla Calabria tra le regioni con maggiore 

presenza di aziende agricole biologiche; mentre per il numero di aziende di trasformazione impegnate 

nel settore la leadership spetta all’Emilia Romagna seguita da Veneto e Lombardia. 

La  superficie  interessata,  in  conversione o  interamente  convertita ad agricoltura biologica,  risulta 

pari a 1.113.742 ettari. I principali orientamenti produttivi sono i cereali, il foraggio e i pascoli. Segue, 

in ordine di importanza, la superficie investita ad olivicoltura. 

Per quanto riguarda i prezzi del prodotto biologico, alcune analisi di ISMEA, rilevano che il diffe‐

renziale di prezzo tra prodotti biologici e prodotti convenzionali presenta una maggiorazione compre‐

sa tra il 30% ed il 60 %, con forti differenze nelle diverse fasi di filiera (origine e consumo). Tali varia‐

zioni sono dovute ad alcuni fattori principali: maggiori costi produttivi (rischi più elevati e talvolta re‐

se minori), maggiori costi di distribuzione  (per dimensioni del mercato, che ancora non consentono 

economie di scala), maggiori costi per le garanzie della certificazione. 

Rispetto invece alle variazioni nel tempo dei prezzi dei prodotti biologici si può affermare, sempre 

sulla base di specifici studi di ISMEA, che le variazioni nel corso del tempo dei prezzi dei prodotti bio‐

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

50 

logici seguono le dinamiche dei prezzi dei prodotti convenzionali con delle oscillazioni che sono in as‐

soluto meno marcate. Il mercato del prodotto biologico quindi può definirsi in qualche modo più sta‐

bile, in ordine ai prezzi, rispetto a quello del convenzionale.  

 

Nel corso dell’intervento inoltre viene presentato un caso studio dal titolo “valutazione dei costi aggiun‐

tivi per l’introduzione di prodotti biologici nella scuola Riboli di Lavagna (LIGURIA)” realizzato da AIAB Li‐

guria nell’ambito del progetto “PromobioLiguria” finanziato dal MiPAAF. 

Tale progetto mette a confronto i costi che l’Amministrazione comunale ha sostenuto per l’introdu‐

zione di cibi biologici nella dieta quotidiana dei bambini della scuola in questione per un determinato 

periodo di tempo. Si rimanda allo studio in questione per gli approfondimenti del caso. 

 

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Atti del Convegno

51 

Organizzare la filiera e il servizio per il biologico nella ristorazione  

Paolo Carnemolla  

I prodotti biologici presentano molti aspetti positivi rispetto alle esigenze di un servizio di ristorazione 

collettiva pubblica, non solo per i requisiti intrinseci (assenza di residui di prodotti chimici di sintesi) 

ma anche per la possibilità di collegare la loro presenza nella composizione dei menù a programmi e 

iniziative di educazione alimentare e ambientale. I prodotti biologici sono sempre più presenti anche 

nella ristorazione commerciale più attenta alla qualità e sicurezza dei prodotti che somministra e alle 

nuove tendenze degli stili di vita. Tuttavia l’utilizzo dei prodotti biologici nella ristorazione pone di‐

verse problematiche, in particole in un contesto di crescente difficoltà economica degli enti locali e di 

reddito per  le  famiglie. È dunque evidente  il  rischio  che  il valore aggiunto dato dalla presenza dei 

prodotti biologici nella ristorazione, in particolare in quella collettiva pubblica, sia messo a rischio sul‐

la base di valutazioni economiche superficiali e dalla incapacità di realizzare economie effettive attra‐

verso una scelta oculata dei fornitori, la riorganizzazione dei menù e del servizio. 

In una situazione di mercato come quella attuale, nella quale la vendita di prodotti biologici conti‐

nua a crescere, è inoltre da considerare la ridotta disponibilità di prodotti per la ristorazione, vista la 

minore marginalità  in questo particolare canale commerciale per  i produttori.   Per questo motivo è 

fondamentale comprendere bene quali prodotti e categorie merceologiche possono essere più conve‐

nienti e sfruttare al meglio le peculiarità delle filiere  e la loro organizzazione per massimizzare il van‐

taggio  economico  nella  fornitura. La  verifica delle potenzialità della produzione  locale può  inoltre 

contribuire a ridurre i costi di logistica, aumentando la qualità dei prodotti in particolare per i freschi e 

freschissimi. 

 

Considerata l’incidenza relativa del costo di approvvigionamento delle materie prime sul costo totale 

del pasto, appare evidente che la presenza dei prodotti biologici nelle ristorazione collettiva pubblica 

può essere mantenuta e  incrementata solo a fronte di una completa riorganizzazione del servizio. È, 

infatti, opportuno verificare le risorse disponibili per coprire il costo del pasto e, in funzione del loro 

ammontare, definire un menù e modalità di erogazione del servizio che siano compatibili. È del resto 

evidente che l’impostazione attuale dei menù e del servizio non solo non è più sostenibile da un punto 

di vista economico ma contrasta anche con la necessità di scelte nutrizionali corrette e adeguate anche 

a combattere i rischi ormai noti di tipo sanitario come l’obesità infantile. 

È dunque necessario un approccio completamente innovativo e molto più flessibile di quello attua‐

le, nel quale i nutrizionisti devono mettere a punto i menù assieme agli esperti delle filiere e dell’orga‐

nizzazione del servizio di ristorazione partendo da uno studio di fattibilità e senza i vincoli formali fi‐

no a ora adottati, che non tengono conto dei nuovi stili di vita e delle effettive necessità degli utenti. 

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

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Servizio di Ristorazione Scolastica  

Massimiani  

 

A chi è rivolto il servizio

bambini e ragazzi 

‐  dai 2 anni e mezzo a 5 anni: sezioni ponte e scuole infanzia 

- dai 6 agli 11 anni: scuola primaria 

- dai 12 ai 14 anni: scuola secondaria di I grado 

A quanti viene erogato il servizio

Si forniscono 144.000 colazioni, pasti, e merende al giorno. Ciò si traduce in circa 21 milioni di colazio‐

ni e pasti all’anno. 

Dove viene erogato il servizio

Il servizio è erogato in 550 scuole dotate di cucina. Solo il 17% dei refettori (n. 112 terminali di consu‐

mo) riceve pasti trasportati da mense contigue. 

Volume finanziario dell’appalto

Il volume di affari annuo ammonta a 140 milioni di euro. 

Il valore complessivo dell’appalto (in forma diretta e in forma autogestita) è pari a circa 700 milioni 

di euro nel quinquennio  

ROMA CAPITALE per l’indotto economiche che crea si colloca tra le prime 10 realtà del settore agro 

alimentare nazionale. 

Obiettivi

Sostenibilità ambientale, sociale ed economica nella consapevolezza che il cibo è una parte importante 

del problema afferente la crisi ambientale e che economia‐ambiente e solidarietà sono strettamente in‐

terconnesse. 

Misure adottate

1) Sostenibilità ambientale

a) Inserimento prodotti biologici, a filiera dedicata bio, tipici, locali, a freschezza garantita. 

b) Eliminazione plastica dalle mense, utilizzo detergenti  ecocompatibili, abbattimento  inquinamento 

acustico e ristrutturazioni cucine e refettori con materiali ecocompatibili; utilizzo di acqua di rubi‐

netto. 

 

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Atti del Convegno

53 

2) Sostenibilità sociale

Utilizzo di derrate da agricoltura sociale 

- prodotti del mercato equo e solidale; 

- prodotti provenienti da cooperative sociali. 

3) Sostenibilità economica

a) Attenzione costante al costo pasto; 

b) Ottimizzazione degli acquisti; 

c) Riduzione dei residui mensa. 

Conclusione

Quello che mangiamo a scuola è:  

‐  un’azione culturale attraverso la quale ai bambini viene data una occasione importante per impara‐

re  i benefici di un  consumo  sano e  consapevole e dunque per diventare domani  consumatori  re‐

sponsabili; 

‐  un’azione economica che può generare nuovi mercati per i produttori di alimenti di qualità; 

‐  un’azione ambientale che può fornire benefici in termini di riduzione dei livelli di inquinamento; 

‐  un’azione per la salute pubblica: pensare al cibo come salute, investire in una sana e equilibrata ali‐

mentazione, è un investimento lungimirante, in quanto domani si potrà spendere meno per curare 

malattie correlate alla cattiva alimentazione. 

 

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

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Life Cycle Assessment (LCA): la metodologia per la quantificazione degli impatti ambientali  

Paolo Masoni  

 

Perché misurare

Parlare di sostenibilità significa affrontare problemi complessi che coinvolgono ambiti multidiscipli‐

nari, aspetti normativi (valori) e conoscenza empirica. 

Le scelte di sostenibilità riguardano tutti, dal decisore pubblico al privato cittadino, con effetti più o 

meno prolungati e a livelli diversi:  

• micro o di prodotto; 

• meso/macro o di intero settore/economia.  

Avere una misura dell’impatto ambientale derivante dalle nostre scelte consente di supportare le deci‐

sioni con informazioni quantitative e scientificamente valide, aiutando a discernere fra valori e fatti. 

Come misurare

Le nostre scelte, anche  le più semplici, hanno conseguenze su molteplici aspetti ambientali e su  fasi 

diverse.  

• Esempio: utilizzare  il  letame per  fertilizzare  il  terreno evita  l’utilizzo di  fertilizzanti minerali, 

con il conseguente risparmio dell’energia necessaria per produrli, ma può comportare emissioni 

di ammoniaca.  

Presenza di trade‐off tra i numerosi indicatori da valutare. 

L’approccio di ciclo di vita, dalla culla alla tomba, consente di valutare gli effetti ambientali dell’intero 

sistema, evitando gli spostamenti dei problemi tra diversi impatti e tra le fasi del ciclo di vita del sistema. 

Quale metodo di misura: Life Cycle Assessment LCA

Fasi di uno Studio di LCA. 

Utilizzo dei risultati di una LCA

• Identifica  gli  aspetti  ambientali  più  significativi  dell’intero  ciclo  di  vita:  consente  di  focalizzare 

l’attenzione e le prescrizioni su quanto realmente importante; 

• Identifica i processi e i flussi più impattanti: permette quindi di definire le soglie di accettabilità; 

• Permette di  individuare  le migliori  tecniche,  attraverso  il  confronto  fra prodotti  aventi  analoghe 

funzioni. 

Per questi motivi l’LCA è alla base sia della definizione dei criteri per l’Ecolabel europeo sia per la de‐

finizione dei criteri ambientali per il GPP.  

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Atti del Convegno

55 

Esempio di LCA di prodotto alimentare

LCA di un prodotto alimentare: Latte Alta Qualità a marchio Coop. 

Alimento ad altissimo valore nutrizionale ma  inserito tra  i maggiori responsabili dell’impatto am‐

bientale dei consumi in Europa. 

Ampio dibattito su:  

• Miglior imballaggio. 

• Pastorizzato o crudo. 

• Trasporto.  

Risultati

Impact Assessment  

Processi responsabili degli impatti principali  

• Imballaggi, trasporti e pastorizzazione non sono tra i principali responsabili dell’impatto ambienta‐

le del latte; 

• i principali impatti degli allevamenti sul ciclo di vita del latte sono dovuti alle seguenti emissioni:  

‐  emissioni di CH4 da fermentazione enterica e da gestione delle deiezioni,  

‐  emissioni di N2O dovute all’utilizzo di fertilizzanti chimici, alla gestione delle deiezioni e all’uso 

di letame e liquame sui terreni agricoli come fertilizzanti;  

‐  emissioni di CO2 dovute al consumo di gasolio per le lavorazioni agricole.  

Possibili miglioramenti

I miglioramenti devo avvenire principalmente nella fase agricola e di allevamento dieta specifica che 

riduca  le  emissioni  enteriche  (ad  esempio  costituita  da  alimenti  a maggiore  digeribilità,  o  da  una 

quantità maggiore  di  concentrati  o  grassi),  l’ottimizzazione  dell’utilizzo  dei  fertilizzanti  attraverso 

pratiche agronomiche di precisione l’installazione di impianti di digestione anaerobica dei reflui zoo‐

tecnici (letame e liquame) per contribuire alla riduzione dell’emissione di gas climalteranti e per per‐

mettere la produzione di energia da fonti rinnovabili, alleviando la dipendenza da combustibili fossili.  

Nelle fasi di distribuzione ed uso: utilizzo di impianti di refrigerazione ad elevata efficienza energetica  

Considerazioni conclusive

L’evidenza  scientifica  deve  sempre  supportare  il  dibattito,  soprattutto  quando  relativo  a  problemi 

complessi come quelli ambientali. Misurare consente di individuare dove focalizzare in modo più effi‐

ciente gli  interventi di miglioramento (critico  in momenti di ristrettezze economiche!) Il Comitato di 

Gestione del GPP utilizza l’LCA per individuare i principali impatti dei prodotti/servizi da ridurre at‐

traverso al definizione dei Criteri Ambientali per gli appalti pubblici. 

Risorse e competenze a disposizione del paese

In ENEA presente da 15 anni un gruppo di competenze sulle valutazioni ambientali di prodotto, LCA 

e Eco‐progettazione La Rete Italiana di LCA, www.reteitalianalca.it, promossa e coordinata da ENEA, 

è il punto di riferimento in Italia per l’LCA e rende disponibili alle organizzazioni ed alle imprese. 

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

56 

Risparmio energetico e valorizzazione dell’energia da fonti rinnovabili nelle cucine  

Maurizio Podico  

 

Oggetto della relazione sono le indicazioni e le modalità che prendono origine dal Decreto Ministeria‐

le del 5 luglio 2011 in tema di “Adozione dei criteri minimi ambientali da inserire nei bandi di gara della Pub‐

blica amministrazione per  l’acquisto di prodotti  e  servizi nei  settori della  ristorazione collettiva  e  fornitura di 

derrate alimentari e serramenti esterni”. 

Per la definizione e l’attuazione di procedure e meccanismi che consentano di rispettare il mandato 

in  tema di sostenibilità ambientale dei consumi e  l’individuazione dei possibili risparmi di risorse e 

materie prime attuabili nella gestione dei servizi d ristorazione. 

Tali indicazioni trovano possibile attuazione sia nella ricerca di risparmi gestionali che nella formu‐

lazione delle richieste e delle offerte, nelle  fasi di redazione dei bandi e nelle proposte,  inoltrate dei 

concorrenti per ottenere l’aggiudicazione di appalti di gestione dei servizi di ristorazione collettiva e 

nelle conseguenti scelte e impiego di attrezzature e impianti capaci di assolvere al mandato citato. 

In questo ambito la gestione delle strutture non completamente idonee deve trovare dei meccanismi 

capaci di rimediare al gap tecnico/tecnologico che consente, attraverso degli adeguamenti di vario ti‐

po, di ridurre il fabbisogno energetico delle attività svolte per la produzione, conservazione e sommi‐

nistrazione degli alimenti premiando le strutture che proporranno dei significativi miglioramenti delle 

prestazioni ambientali. 

Tali miglioramenti  dovranno,  comunque  essere  valutati  oggettivamente  e  la  politica  gestionale 

orientata al miglioramento continuo. 

Un  aspetto  che  potrebbe  assolvere  alla  richiesta  di  un  consistente  risparmio  energetico  oltre 

all’introduzione di  serramenti  isolanti potrebbe  trovare una  interessante  applicazione nello  sfrutta‐

mento di pannelli solari per ottenere un riscaldamento/preriscaldamento dell’acqua utilizzata sia per 

cucinare che per le operazione di pulizia e di lavaggio delle stoviglie. 

Rimane comunque da verificare l’applicabilità di tale soluzione che potrebbe trovare dei seri ostaco‐

li in funzione delle caratteristiche architettoniche di molte strutture. 

Sempre in ambito di risparmio energetico un aspetto da sottoporre a miglioramento è rappresentato 

dall’introduzione di dotazioni frigorifere di nuova generazione con classi di risparmio energetico ele‐

vato. 

Tra gli ulteriori obbiettivi del disposto di riferimento, e in linea con quanto previsto, vengono ad es‐

sere promosse altre caratteristiche innovative proprie anche di altri dispositivi come i piatti o le posate 

disposable biodegradabili in alternativa a quelli monouso convenzionali. 

Tutte le soluzioni citate dovranno trovare una valorizzazione o una valutazione separata in quanto i 

loro costi potrebbero portare a superare i tetti di spesa nelle gare o comunque alterare, anche profon‐

damente, l’offerta economica che i concorrenti per la gestione delle mense inoltreranno alla Pubblica 

Amministrazione. 

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Atti del Convegno

57 

La certificazione agroalimentare: strumento di tutela del consumatore  

Alessandro D’Elia  

 

La certificazione di un prodotto, o più in generale di una filiera agroalimentare, supplisce alla perdita 

del rapporto di conoscenza, più o meno diretto, tra chi produce cibo e i consumatori. Anni fa ogni fa‐

miglia aveva dei riferimenti noti sul territorio ed il rapporto diretto con la campagna garantiva la pro‐

venienza e gli acquisti di alimenti. Quindi  la distanza tra  il produttore e  il consumatore, amplificata 

dalla globalizzazione dei mercati, nonché l’indispensabilità di consumare alimenti sempre più sani e 

ottenuti nel rispetto dell’ambiente e del  lavoro dell’uomo sono  fattori che hanno determinato  (e de‐

terminano) la necessità ed il crescente successo delle certificazioni nel settore food. Come rilevano le 

statistiche degli ultimi anni, per i prodotti agroalimentari di qualità (es. biologici o a denominazione di 

origine)  il consumatore è sempre più disposto a  spendere un quid  in più, circostanza che di questi 

tempi per tutto  il comparto non è cosa da poco. Infatti, analizzando  la previsione dei dati relativi ai 

consumi dell’anno, il biologico chiuderà il 2011 con un incremento medio che sfiorerà il 13% (in alcuni 

segmenti supererà anche il 20%) ed anche le denominazioni di origine in via generale sono in sostan‐

ziale crescita rispetto al 2010. Questo a fronte di un mercato del cibo che nel nostro Paese è in flessione 

mediamente del 2%. Ciò vuol dire che  il consumatore ripone una crescente aspettativa e  fiducia nei 

prodotti certificati fidando nelle garanzie offerte dal sistema di controllo e certificazione. Questo “tra‐

sferimento di fiducia” sta sempre più trovando una risposta coerente e tecnicamente corretta nell’ap‐

plicazione del meccanismo di certificazione mediante il quale Enti terzi, accreditati a livello nazionale 

ed internazionale, si fanno appunto  garanti nei confronti dei consumatori del rispetto delle specifiche 

di un determinato prodotto. Tali specifiche sono racchiuse in normative emanate dalla UE, da norme 

nazionali e da disciplinari di produzione. La complessità dei rapporti commerciali a livello nazionale 

e, soprattutto, con le imprese all’estero porta, quindi, le aziende ad avvertire in modo sempre più dif‐

fuso l’esigenza di operare in condizioni di qualificazione sia dell’efficienza aziendale sia delle produ‐

zioni. I mercati nazionale ed estero, con un ruolo determinante della GDO, sempre più richiedono che 

le aziende attuino tutte le precauzioni per il controllo delle attività aziendali influenti sulla qualità o le 

caratteristiche finali del prodotto, basate su tecniche di gestione prevalentemente di tipo preventivo. 

Da questo nascono le diverse tipologie di certificazioni applicabili al settore agroalimentare. Si parla di 

certificazione di prodotto per il biologico, per le denominazioni di origine, per il Globalgap, per la rin‐

tracciabilità di filiera e per una miriade di disciplinari privati oppure di certificazione di sistema, det‐

tati ad esempio dalle norme ISO 9001, 22000 e 14001. Esiste anche la certificazione della condotta etica 

dell’azienda: a SA 8000, infatti, rappresenta un modello di gestione che si propone di garantire il com‐

portamento etico delle organizzazioni che lo adottano attraverso il rispetto di una serie di requisiti so‐

ciali quali tutela del lavoro infantile, certezze di salute e sicurezza sul lavoro, assicurazione di libertà 

di associazione, del diritto alla contrattazione collettiva, eliminazione di ogni forma di discriminazio‐

ne, rispetto degli orari di lavoro e dei criteri retributivi il più possibile equi. Tale schema risulta parti‐

colarmente importante per le imprese italiane che operano direttamente o hanno rapporti commerciali 

nei Paesi in cui le condizioni di lavoro sono ancora poco o per nulla accettabili.  

Purtroppo, ancora oggi, l’istituto della certificazione molto spesso viene vissuta dalle aziende come 

un mero obbligo da assolvere o un  forzoso  iter burocratico da  seguire  con  l’obiettivo di ottenere  il 

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

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“pezzo di carta” da poter esibire al mercato. Bisogna, quindi, lavorare ancora molto per instillare un 

approccio diverso e per far comprendere alle aziende che l’implementazione di un processo di certifi‐

cazione, soprattutto di sistema, è indispensabile per il buon funzionamento dell’azienda stessa.  

A livello nazionale il controllo e la certificazione sono garantiti per la quasi totalità da Enti terzi pri‐

vati; gli stessi, a vario titolo e a seconda dello schema di certificazione, sono accreditati da Accredia ‐ 

Ente unico nazionale di accreditamento. Per le produzioni regolamentate (esempio il biologico e le de‐

nominazioni di origine) l’accreditamento degli Enti di certificazione è condizione obbligatoria per ot‐

tenere il decreto di concessione ufficiale ad eseguire i controlli, conferito dall’Autorità competente, il 

Ministero per le politiche agricole, agroalimentari e foresti (MIPAAF). La normativa comunitaria che 

disciplina le produzioni bio e i prodotti a denominazione di origine, ed il relativo controllo e certifica‐

zione,  rappresenta oggi un  insieme di  regole unico nel  suo genere per completezza e articolazione. 

Una fitta rete che mette in relazione procedure ed obblighi dei diversi attori del sistema: azienda con‐

trollata, Ente di certificazione e Autorità competente. Le garanzie offerte al consumatore finale sono, 

pertanto, frutto di un processo composito e capace di verificare ogni passaggio produttivo e/o di tra‐

sformazione  fino  al  consumatore  finale. Ogni Ente di  controllo  e  certificazione deve dimostrare,  ai 

sensi della norma  tecnica di  riferimento per  l’accreditamento,  la UNI EN 45011,    imparzialità,  indi‐

pendenza,  correttezza  e  competenza. Gli Enti preposti  al  controllo, per garantire  la  terzietà, hanno 

l’obbligo di assicurare assenza di conflitti d’interesse e il fatto che non esercitino direttamente o indi‐

rettamente  prestazioni  di  consulenza  alle  realtà  certificate.  Il  punto  importante,  che  garantisce 

l’efficacia e l’efficienza dei controlli, è l’investimento continuo sulle competenze del personale. Infatti, 

il personale addetto all’attività di certificazione deve essere culturalmente,  tecnicamente e professio‐

nalmente continuamente qualificato. Questo sistema, oltre ad essere sottoposto alle verifiche periodi‐

che  da  parte  dell’Ente  di  accreditamento,  è  soggetto  a  continui monitoraggio  e  vigilanza  da  parte 

dell’Autorità competente ‐ e cioè dell’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e della Repressio‐

ne Frodi dei prodotti agroalimentari del MIPAAF ‐ mentre a livello territoriale operano vari soggetti 

tra cui  le Regioni. La maggior parte degli Enti di controllo del biologico, di cui alcuni concessionari 

anche per le certificazioni delle denominazioni di origine, sono accreditati alla norma UNI EN 45011 

da oltre dieci anni, ancor prima dell’obbligo previsto per  legge.  Inoltre quasi  tutti hanno accredita‐

menti internazionali (es. NOP, JAS e COR). Quindi il sistema e la funzionalità di detti Enti di controllo, 

oltre ad essere sottoposti alla vigilanza nazionale, sono verificati anche dai funzionari del USDA degli 

Stati Uniti, del Ministero giapponese e canadese.  

In prospettiva, tuttavia, è auspicabile l’avvio di un concreto processo di armonizzazione, magari in‐

dividuando un unico Ente preposto alla vigilanza, con risorse, mezzi e specializzazione tali da assicu‐

rare una ancor più efficace tutela del consumatore. 

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Atti del Convegno

59 

I marchi di garanzia della detergenza sostenibile  

Alessandro Spadoni  

 

La  società dei  consumi ha un  forte  impatto  sull’ambiente. La portata di  tale  impatto dipende dalle 

scelte che ciascuno di noi consumatori fa per soddisfare i propri bisogni.  

Una scelta che può essere decisiva è quella di comprare prodotti il più possibile caratterizzati da un 

elevato livello di sostenibilità ambientale.  

La domanda del consumatore di prodotti  rispettosi dell’ambiente  rappresenta un potente stimolo 

per le imprese, che possono così riflettere su come rendere più compatibili con l’ambiente i loro pro‐

dotti, intensificare gli sforzi in materia di ambiente e migliorare le prestazioni lungo tutto il ciclo di vi‐

ta dei propri prodotti e servizi.  

Per scegliere i prodotti a minore impatto ambientale, i consumatori devono disporre di informazioni 

accessibili, comprensibili, pertinenti e credibili sulla qualità ambientale dei prodotti stessi.  

Unʹaltra problematica importante è quella della sicurezza e salubrità dei prodotti che, in diversi casi, 

crea importanti costi sociali indiretti.  

La certificazione “Eco Bio Detergenza” ed “Eco Detergenza” è una certificazione volontaria di prodot‐

to rilasciata da ICEA sulla base di una verifica di conformità dei prodotti e del processo produttivo ai 

requisiti indicati nel Disciplinare per la Eco Bio ed Eco Detergenza. 

ICEA ha avviato un percorso di regolamentazione del settore che, ad oggi, ha prodotto un discipli‐

nare condiviso dalle parti interessate alla produzione, commercializzazione e consumo di tali prodotti.  

I requisiti principali che lo standard vuole garantire sono: 

L’assenza sia nel prodotto che nel materiale da imballaggio di materie “a rischio” dal punto di vista 

ecologico.  

L’assenza di materie prime non vegetali considerate “a rischio”, ovvero allergizzanti, irritanti o rite‐

nute dannose per la salute dell’uomo e dell’ambiente.  

Imballaggi da materie prime rinnovabili, materiali riciclabili o collegati ad un sistema di restituzione 

dei vuoti.  

4. Un prodotto,  in ogni caso, dotato di una accettabile performance ed efficacia equiparabile con  i 

prodotti convenzionali di alta gamma.  

Come per la Eco Bio Cosmesi è stato istituito un tavolo tecnico coordinato che vede la partecipazio‐

ne,  tra  gli  altri, di  autorevoli  esponenti del mondo  accademico  e  scientifico  (Università di  Ferrara, 

Università di Padova  ‐ Dipartimento di Dermatologia) che  lavora al periodico aggiornamento dello 

standard. 

Le aziende interessate devono presentare la Richiesta per la Certificazione alla sede nazionale di ICEA, 

sottoscrivere l’apposito Regolamento per la Certificazione e il relativo Tariffario. 

Oltre all’elenco dei prodotti certificati e delle ditte produttrici, per ogni prodotto ICEA rende dispo‐

nibile anche l’elenco degli ingredienti. 

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

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Linee guida per la gestione sostenibile degli imballaggi  

CONAI  

 

Assistiamo oggi a numerosi dibattiti e ad una attenzione crescente ai  temi della sostenibilità e della 

green economy, ma cosa vuol dire essere “green”? E come può un imballaggio può definirsi green? 

Il tema della sostenibilità per la filiera del packaging trae origine dalla direttiva europea 62/94, i cui 

contenuti sono ancora oggi attuali e indicano le linee guida da seguire per una gestione ecosostenibile. 

La filiera del packaging è infatti stata tra le prime ad essere normata con riferimento specifico ai temi 

della sostenibilità e, come tale, rappresenta oggi un modello di successo sia per  i positivi risultati di 

riciclo e recupero raggiunti, sia per il più generale approccio adottato sulle tematiche ambientali. 

Perno del modello di gestione degli imballaggi in Italia è CONAI, che rappresenta un consorzio pri‐

vato senza fini di lucro costituito dai produttori e utilizzatori di imballaggi con l’obiettivo di persegui‐

re i target di recupero e riciclo dei materiali di imballaggio previsti dalla legislazione europea e recepi‐

ti in Italia prima attraverso il Decreto 22/97 e, ora, tramite il D.Lgs. 152/06. 

CONAI con circa 1.460.000 aziende iscritte costituisce un modello unico nel quale i privati gestisco‐

no efficacemente un interesse di natura pubblica: la tutela dell’ambiente. E lo gestiscono con un impe‐

gno che non è mai venuto meno. Nel corso del 2010, a fronte di circa 11,4 milioni di tonnellate di im‐

ballaggi immessi al consumo, si è registrato un ulteriore miglioramento delle già buone performance 

conseguite in passato dal Sistema CONAI: il riciclo complessivo si è attestato al 64,6%, mentre il recu‐

pero complessivo ha raggiunto il 74,9%. 

Da sempre,  inoltre, CONAI è attento al tema della prevenzione e dell’ecosostenibilità degli  imbal‐

laggi, in un’ottica che va “dalla culla alla culla”. Questo significa che a partire dalle fasi di progetta‐

zione, che si stima possano incidere su circa l’80% del totale degli impatti connessi al packaging, si de‐

ve porre attenzione a tutte le fasi della filiera, includendo anche il fine vita/nuova vita. 

Per eco‐sostenibilità CONAI intende quindi la ricerca del miglior compromesso tra:  

1. da un lato, le molteplici funzioni dell’imballaggio (dagli aspetti prettamente strutturali fino al con‐

cetto di fascinazione e lusinga, passando attraverso le importanti funzioni comunicative e informa‐

tive, di protezione, di garanzia e sicurezza e, infine, di movimentazione); 

2. dall’altro, l’impatto ambientale lungo l’intero ciclo di vita del prodotto.  

Il che significa trovare il migliore equilibrio tra le scelte  legate alla ricerca dell’integrità del prodotto 

lungo tutta la filiera, elemento centrale soprattutto nel campo alimentare, e l’ottimizzazione e raziona‐

lizzazione dell’uso di materie prime vergini e seconde. Per  farlo,  le aziende possono  intervenire sui 

propri imballaggi adottando diverse azioni di prevenzione: dal risparmio di materia prima, al riutiliz‐

zo, al ricorso alle materie prime seconde,  fino alla  facilitazione delle attività di riciclo, passando per 

interventi di ottimizzazione della logistica e di semplificazione del sistema di imballo, così come illu‐

strato  anche  all’interno  dell’ultimo  Dossier  Prevenzione  CONAI,  disponibile  anche  sul  sito 

www.conai.org. 

Per ulteriori informazioni: [email protected]

 

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Atti del Convegno

61 

Il Sistema Last Minute Market per una ristorazione sostenibile  

Andrea Segrè  

 

I principi, che sottendono al progetto Last Minute Market, permettono di coniugare a livello territoria‐

le le esigenze delle imprese della ristorazione collettiva, che si trovano a dover gestire potenziali spre‐

chi alimentari, e di enti ed associazioni che assistono persone in condizioni di disagio, promuovendo 

un’azione di sviluppo sostenibile locale, con ricadute positive a livello ambientale, economico, sociale, 

sanitario ed educativo.  

Questo si realizza grazie all’interazione che si viene ad instaurare tra tutti gli stakeholders coinvolti. 

Il fine è quello di creare un nuovo sistema logistico che consenta di gestire in modo conveniente i po‐

tenziali sprechi della ristorazione collettiva.  

I vantaggi  che  si generano  sono di  tipo ambientale  (in quanto  lo  smaltimento e  il  trasporto delle 

stesse crea inquinamento), economico (in quanto la gestione delle eccedenze crea per le imprese spese 

sia dal punto di vista della gestione interna che dello smaltimento), sociale – sanitario (in quanto si re‐

cuperano prodotti  alimentari  e  li  si destinano, per quanto possibile  all’alimentazione di persone  in 

condizioni di disagio)  ed  educativo  (in quanto permette  la  sensibilizzazione dell’opinione pubblica 

sulle problematiche dello spreco alimentare). 

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

62 

RistorAbilità: un nuovo approccio per la ristorazione collettiva sostenibile e di qualità  

Fabrizio Moscariello  

 

Lo schema di certificazione di RistorAbilità, è rivolto a tutte le aziende che si occupano di catering e 

ristorazione fuori casa, ma anche a tutte le organizzazioni pubbliche e private che forniscono pasti at‐

traverso un servizio in outsourcing di ristorazione collettiva o di vending: scuole, ospedali, case di ri‐

poso, esercizi pubblici e privati.  

La certificazione di RistorAbilità attesta la presenza e l’efficacia di un sistema di gestione “sostenibi‐

le” di ogni aspetto del ciclo della ristorazione ‒ dalla progettazione dei menu all’approvvigionamento 

delle materie prime, al trasporto dei prodotti, allo smaltimento dei rifiuti – con i molteplici obiettivi di 

ridurre l’impatto ambientale, i rischi per la salute dei consumatori e dei lavoratori e gli sprechi dovuti 

a una cattiva gestione delle risorse energetiche, garantendo allo stesso tempo la qualità e la bontà dei 

pasti, il benessere e la convenienza economica sia per i singoli che per la collettività.  

Il valore dello schema RistorAbilità risiede nell’innovatività ‒ che intercetta il bisogno di regole cer‐

te da parte degli utenti delle mense pubbliche ‒ quanto nella poderosa sintesi di norme e indicazioni, 

uno strumento prezioso per le aziende della ristorazione collettiva che oggi si trovano a dover rispon‐

dere a molte normative di ambiti diversi.  

Con lo schema di RistorAbilità sostenibilità e responsabilità sociale diventano veri asset competitivi 

per le aziende della ristorazione fuori casa, caratteristiche misurabili e oggettive in grado di fare la dif‐

ferenza  in un mercato che, per sua stessa natura, non può e non deve essere basato esclusivamente 

sulla variabile prezzo. 

 

 

POSTER

63 

Il ruolo del Dietista nella sostenibilità alimentare  

Maria Pia Angellotti, Carlotta Benvenuti, Claudia Cremonini, Anna Laura Fantuzzi, Annamaria Rauti, Elena Tomassetto, Ersilia Troiano, Stefania Vezzosi  

Gruppo di lavoro ANDID Salute Pubblica 

 

 

 

Abbiamo la possibilità concreta di decidere del nostro futuro. 

Abbiamo il dovere sociale ed ecologico di fare in modo che il cibo che mangiamo non sia un “raccolto rubato” 

Vandana Shiva, 2001 

 

La posizione elaborata dal gruppo di  lavoro ANDID – Salute Pubblica si  inserisce coerentemente  in 

quel percorso di crescita etico e culturale in cui si proietta il dietista del futuro. 

Da anni, ormai, ANDID ha affiancato  il consolidamento scientifico e professionale su competenze 

“classiche” allo sviluppo di tematiche che guardano al modificato assetto sociale ed economico delle 

comunità dei cittadini consumatori: l’orizzonte della professione si è ampliato – e si sta ampliando  ‐ 

dall’alimento – e dall’alimentazione – in sé ai comportamenti alimentari e nutrizionali dei singoli, dei 

gruppi a rischio e della collettività tutta, fino all’inquadramento delle politiche sanitarie come “mate‐

ria” e terreno utile sia allo sviluppo di spazi professionali, sia al riconoscimento dei diritti di tutti ad 

una alimentazione equilibrata ed equa in tutti i suoi aspetti, dalla produzione primaria all’accesso e al 

consumo finale. In una frase, la difesa e la possibilità di studio ed opzioni verso un’alimentazione so‐

stenibile. 

Il tema della sostenibilità alimentare rappresenta, nello specifico, la traslazione nella dimensione del 

cibo e del cibarsi di quello che per tanti anni hanno costituito i sistemi di welfare in ambito sanitario, 

sociale ed economico: l’introduzione di parametri di equità in un mondo in perenne e costante compe‐

tizione. Proprio per questo lo sforzo compiuto dal gruppo di lavoro estensore della posizione va letto 

con grande attenzione:  trattasi della prova provata che  il dietista moderno non è, o non è  soltanto, 

l’anello terminale del mondo alimentare, colui che “fa la dieta” o collabora alle fasi finali dei sistemi 

alimentari pubblici e privati sviluppati nei diversi contesti, ma piuttosto colui che si prende in carica, 

fin dall’inizio, il sistema alimentare 

in sé e,  fin dalla produzione primaria, riconosce al cibo quei valori  intrinseci che spesso  i sistemi 

produttivi e distributivi dell’occidente modernizzato hanno negato: il valore del lavoro umano, la de‐

pauperazione del capitale ambientale, l’incapacità della natura di autorigenerarsi in tempi sostenibili 

quando sfruttata oltre  il  limite consentito. Con  la presente posizione Andid ha quindi  ritagliato, al‐

l’interno delle competenze indispensabili all’agire professionale, uno spazio operativo certo al servizio 

della comunità:  il  tema della  limitatezza delle risorse naturali e  il conseguente,  improrogabile, cam‐

biamento di rotta necessario nelle dinamiche di consumo proiettano il tema della sostenibilità alimen‐

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

64 

tare ai vertici di tutto il complesso dibattito su che cosa è, oggi, lo sviluppo umano e cosa debba invece 

diventare in un futuro estremamente prossimo. 

Non è il caso di citare in prefazione quanto i recenti segnali che la natura ha fornito a tutto il mondo 

abbiano già fatto intravedere uno scenario possibile dove la differenza tra prezzo degli alimenti e co‐

sto reale degli stessi dovrà  far spostare  il piatto della bilancia a  favore di quest’ultimo se davvero è 

sufficiente una siccità di alcuni mesi, o anche un trattato teoricamente ineccepibile quale quello di Kio‐

to sui biocarburanti per affamare una consistente fetta della popolazione, è evidente che il tema della 

sostenibilità non è più rimandabile a nessun livello della “catena” delle professioni sanitarie. Gran me‐

rito va ad Andid per lo sviluppo di una riflessione seria e ponderata, in anticipo su tutte le altre figure 

professionali. 

Oggi, per fortuna o purtroppo, tutti parlano di sostenibilità alimentare, anche gli  insospettabili: nel 

dicembre 2008, alla Conferenza Internazionale sulla Finanza per lo Sviluppo, è stato affrontata la que‐

stione dell’efficacia degli aiuti  internazionali. È stato ribadito che gli aiuti non possono  fare miracoli, 

sostituendosi  all’iniziativa politica  locale, nazionale  e  internazionale, data  anche  la magnitudo degli 

aiuti stessi: 3 centesimi di dollaro al giorno per ciascuno dei 3 miliardi di poveri del pianeta. Si potrebbe 

però usare molto meglio tale capitale economico, ancorché ridotto tenendo conto di sensibilità ed effi‐

cacia di esperienze bottom‐up come il consumo critico, il commercio equo e solidale, le filiere corte, il 

biologico, i gruppi d’acquisto, la sovranità alimentare, i farmer market, i mercati rionali, la finanza eti‐

ca, il microcredito. A tale proposito, la insopprimibile grossolanità dei dati grezzi è pur tuttavia in gra‐

do di rappresentare una prospettiva oltremodo inquietante e che grida vendetta: secondo le stime FAO 

– riferite all’anno solare 2002 – il mondo produce sufficiente cibo per tutti; l’agricoltura mondiale pro‐

duce il 17% di calorie per persona in più rispetto a trenta anni fa, nonostante il consistente incremento 

numerico della comunità umana; la produzione, nel suo complesso, è in grado di offrire a tutti gli abi‐

tanti del pianeta almeno 2.700 Kcalorie per persona per giorno, ovvero ben oltre le necessità caloriche 

individuali. E tutto questo senza minimamente valutare la disparità di accesso al cibo nelle diverse aree 

geografiche e senza considerare il miliardo ed oltre di cittadini del mondo in condizioni di sottoalimen‐

tazione e malnutrizione per difetto. Non è nemmeno necessario annullare gli effetti di confondimento 

attribuibili alla diversa distribuzione della ricchezza per far emergere un quadro complessivo di iper‐

produzione inutile, spreco ed eccessivo consumo di energie e risorse naturali solo in parte rigenerabili. 

Quindi, il gruppo di lavoro ha incarnato alla perfezione l’ideale latino del “sustinere”: nelle sue di‐

verse accezioni di  significato, una compresenza di mantenere,  sopportare,  resistere,  supportare,  che 

nelle diverse parti del documento emergono a più riprese. Non è, a mio parere, più “sostenibile” par‐

lare di sostenibilità e sviluppo in termini così generici come si rinviene nella definizione – Bruntland 

(Commissione delle Nazioni Unite), ove si continua a girare  intorno a un concetto senza volerlo svi‐

scerare nei suoi contenuti più complessi; parlare genericamente di sviluppo che soddisfi i bisogni della 

generazione presente  senza  compromettere  le necessità delle  generazioni  future non  aiuta  all’agire 

professionale, come invece questa posizione ha cercato – attraverso il pensiero e lo scritto delle sue au‐

trici – di fare. 

I cambiamenti non lineari degli ecosistemi, con interventi urgenti resisi talora necessari per impedi‐

re un totale collasso di alcune risorse naturali, ha rilanciato l’analisi delle prospettive degli assetti fu‐

turi sul governo della produzione alimentare e –conseguentemente – dell’alimentazione nel nuovo se‐

colo:  i possibili scenari  tracciati  transitano da un approccio  reattivo/conservativo, compreso  tra una 

possibile opzione di concertazione globale delle scelte ad un più realistico ordine  imposto dalle eco‐

nomie  forti, verso un approccio proattivo  che possa  includere  elementi di  innovazione  scientifica  e 

tecnologica, quali quelli emergenti dall’utilizzo delle biotecnologie, ma anche un potenziale mosaico 

adattivo ove il mondo possa governarsi attraverso sistemi diversi ma integrati di alimentazione, pro‐

duzione, commercio e distribuzione secondo le diverse esigenze delle diverse aree territoriali. 

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Poster

65 

Non  possiamo  rimanere  spettatori  inerti:  dobbiamo  partecipare,  in  scienza  e  coscienza,  forti  del 

proprio agire professionale e di competenze maturate o da sviluppare, alle politiche di governo ali‐

mentare del prossimo futuro. I dietisti sono pronti a farlo. 

 

Prof. Guglielmo Bonaccorsi 

Dipartimento di Sanità Pubblica ‐ Università degli Studi di Firenze 

1. Background

La cultura della sostenibilità è “una cultura basata su una prospettiva di sviluppo durevole di cui possano be‐

neficiare tutte le popolazioni del pianeta, presenti e future, e in cui le tutele di natura sociale, quali la lotta alla 

povertà, i diritti umani, la salute vanno a integrarsi con le esigenze di conservazione delle risorse naturali e degli 

ecosistemi trovando sostegno reciproco”(1). 

Parlare di sostenibilità alimentare significa stimolare  il pensiero critico, evidenziare  il concetto del 

limite (limite fisico e limite opzionale di libertà di scelta) riferito agli effetti del nostro agire quotidiano 

e promuovere il senso di collettività e responsabilità nei confronti del mondo in cui viviamo(2). 

Dal punto di vista alimentare e nutrizionale ci troviamo ad affrontare questioni problematiche e in‐

terconnesse che richiedono un sempre più forte impegno professionale. 

La salute della popolazione e gli scenari e le tendenze attese nel prossimo futuro rappresentano lo 

specchio della salute dell’intero sistema alimentare(3). 

Nel corso degli ultimi decenni, nel mondo occidentale, i cambiamenti intercorsi nelle politiche agri‐

cole, nonché quelli di natura  tecnologica, economica e sociale, hanno determinato una profonda  tra‐

sformazione nel sistema alimentare globale, con conseguenti  implicazioni sugli stili di vita e di con‐

sumo  alimentare  che  l’evidenza  scientifica ha dimostrato  essere  fortemente  correlati  all’incremento 

delle patologie cronico‐degenerative ed all’attuale epidemia di obesità(4). 

Questi mutamenti hanno peraltro generato rilevanti effetti ambientali legati all’aumento dei rifiuti 

organici  e da  imballaggio,  alle  sollecitazioni  esercitate  sul  suolo  e  sulle  risorse  idriche,  ai  consumi 

energetici indotti da processi industriali sempre più complessi ed articolati. 

Per  i Dietisti parlare di  sostenibilità alimentare  significa quindi  riflettere  su  tutti gli elementi  che 

compongono  la  filiera  alimentare  (processo  di  produzione,  trasformazione,  distribuzione,  accesso, 

consumo, produzione e gestione dei rifiuti) valutandone comparativamente gli effetti secondo quattro 

punti di vista principali: la salute umana, l’ambiente, la società e l’economia. 

Il ben‐essere della collettività deve essere infatti considerato al centro di tutte le strategie politiche, 

economiche e sociali e, in questa ottica, la sostenibilità alimentare risulta fortemente correlata all’affer‐

mazione di alcune condizioni irrinunciabili quali l’etica e l’equità all’interno e tra i Paesi nel controllo 

e nell’utilizzo delle risorse naturali, la giustizia sociale, la diminuzione della povertà, la sicurezza ali‐

mentare e il rispetto dell’ambiente.  

Un approccio ecologico all’alimentazione, che consenta la soddisfazione delle esigenze delle attuali 

generazioni senza danneggiare quelle future, si concretizza perciò in un sistema alimentare sostenibile, 

che offre un cibo “buono” non solo come nutrimento ma anche come punto di congiunzione tra pro‐

duzione alimentare e mantenimento della bio‐diversità, conservando gli ecosistemi in buona salute. 

Gussow e Clancy declinando il concetto di sostenibilità nell’ambito della nutrizione e della dietetica, 

raccomandano infatti che “…i consumatori devono fare le proprie scelte non solo per mantenere e/o migliorare 

la propria salute, ma anche per contribuire alla protezione delle risorse naturali”(5). 

Con l’elaborazione di questo documento, l’Associazione Nazionale Dietisti intende responsabilizza‐

re i dietisti, il mondo della salute pubblica, delle aziende del settore alimentare, i decisori politici e i 

cittadini tutti sul tema della sostenibilità alimentare. La dimensione individuale e collettiva di sceglie‐

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

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re e consumare  il cibo condiziona e riflette,  infatti,  la nostra relazione con  l’alterità (la natura,  l’altro 

individuo, le altre culture di consumo, le esigenze di sopravvivenza) influenzando in maniera signifi‐

cativa gli equilibri ecosistemici e geosociali. 

Il valore dell’azione individuale e collettiva nella sostenibilità alimentare può essere ben chiarito fa‐

cendo riferimento proprio al concetto di responsabilità. Il significato etimologico di questa parola (dal 

latino spondeo “dò la mia parola” e respondeo “rispondo ad un impegno”) ben esprime infatti il pensie‐

ro di “rispondere a qualcuno di qualcosa,” ovvero  l’impegno a prestare attenzione alle conseguenze 

del proprio agire in termini di effetti sugli altri e noi stessi. 

Il perseguimento di una sicurezza alimentare sostenibile, passando non soltanto attraverso un piano 

di gestione ponderata delle risorse naturali ma anche attraverso un ripensamento dei modelli di produ‐

zione, distribuzione e consumo, diviene perciò una responsabilità di tutti ed in primis dei Dietisti che, 

rivestendo ruoli diversificati nell’ambito della catena alimentare e svolgendo la propria attività in diffe‐

renti ambiti professionali, possono rappresentare un qualificato e significativo riferimento per  l’imple‐

mentazione di un sistema alimentare orientato alla tutela della salute e del benessere sociale complessivo. 

Posizione

È posizione dell’ANDID che ogni Dietista, nel proprio agire professionale:  

•  consideri i bisogni di salute della popolazione all’interno di un sistema alimentare globale, promuo‐

vendo uno stile di consumo che supporti un’agricoltura sostenibile, la conservazione della biodiver‐

sità e delle risorse naturali, minimizzi la produzione di rifiuti e promuova la sostenibilità ecologica; 

•  collabori con i diversi professionisti, gli organismi governativi, gli enti ed i soggetti del settore pub‐

blico, privato e della società civile nella attuazione di modelli teorici che colleghino risorse naturali, 

produzione alimentare e salute globale; 

•  possegga una  formazione di base ed un aggiornamento continuo sulle  tematiche correlate alla so‐

stenibilità dei sistemi alimentari; 

•  valuti costantemente il proprio agire in termini di efficacia, efficienza ed appropriatezza.  

L’ANDID auspica  inoltre che  i Dietisti siano maggiormente presenti e coinvolti nell’ambito di com‐

missioni ed autorità  locali, nazionali ed  internazionali, al  fine di promuovere e supportare politiche 

che incoraggino lo sviluppo di modelli alimentari sostenibili.  

Centralità della popolazione

Applicando i principi della Evidence Based Public Health, il Dietista impiega il proprio giudizio pro‐

fessionale per adattare la migliore evidenza fornita dalla ricerca alle situazioni considerate ed ai valori 

della comunità(6) (7). 

Ruolo del dietista

Il Dietista, in collaborazione con altri professionisti, organismi istituzionali, enti, associazioni, soggetti 

pubblici e privati, partecipa alla progettazione e alla pianificazione di interventi per attivare un siste‐

ma alimentare sostenibile attorno al quale risulta decisivo sostenere e implementare percorsi parteci‐

pativi costituiti da idee, patti, azioni, collaborazioni e cooperazioni imperniate su responsabilità e va‐

lori condivisi. 

Oltre ad essere esperto nella rilevazione e valutazione delle abitudini alimentari, degli introiti nutri‐

zionali e dello stato nutrizionale della popolazione,  il Dietista partecipa alla  formulazione della dia‐

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Poster

67 

gnosi epidemiologica e sociale necessaria per elaborare, attuare e/o implementare politiche alimentari 

sostenibili di cui deve comunque esserne preventivamente valutata l’efficacia o l’impatto sulla salute 

pubblica. 

È opinione dell’ANDID che la capacità di coniugare nella giusta misura gli aspetti biologici, socio‐

culturali  e ambientali  relativi agli  stili alimentari di una  specifica popolazione  costituisca una delle 

competenze irrinunciabili del dietista. 

Il Dietista documenta costantemente la propria attività e interagisce con i settori dell’Industria Ali‐

mentare, della Ristorazione collettiva e con  i Mass‐Media e collabora con gli Organismi governativi 

(Ministero della Salute, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Agenzie Regionali della Sanità, 

Assessorati Regionali alla Sanità, Amministrazioni Comunali e Provinciali) con le Università, le Azien‐

de Sanitarie Locali (Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione, Distretti), con altri Enti e soggetti 

del settore pubblico, privato e della società civile per favorire  l’attuazione di politiche alimentari so‐

stenibili.  

Le  attività  principalmente  svolte,  in  autonomia  o  in  collaborazione  con  altri  professionisti,  com‐

prendono: 

Nutrizione del singolo e delle collettività

I dietisti che  lavorano nell’ambito della salute pubblica, nell’ambito clinico e nella  libera professione 

forniscono  ai  pazienti/utenti/clienti  indicazioni  utili  (sistemi  di  produzioni  e  commercializzazione, 

uso, smaltimento, rapporto prezzo/costo, ecc.) per favorire l’adozione di un modello alimentare soste‐

nibile:  

o Promuovendo la varietà della dieta; 

o Promuovendo la sobrietà negli acquisti alimentari; 

o Promuovendo l’acquisto e il consumo di alimenti di origine vegetale; 

o Promuovendo l’acquisto e il consumo di alimenti stagionali; 

o Promuovendo l’acquisto e il consumo di alimenti prodotti localmente; 

o Promuovendo l’acquisto e il consumo di alimenti freschi o minimamente processati; 

o Promuovendo il consumo di prodotti ittici con certificazione per la pesca sostenibile; 

o Promuovendo l’acquisto e il consumo di alimenti certificati e/o a basso impatto ambientale e so‐

ciale; 

o Promuovendo il consumo dell’acqua di rete; 

o Promuovendo l’acquisto di prodotti caratterizzati da minori quantità di imballaggio o con imbal‐

laggi in materiale riciclato; 

o Promuovendo l’acquisto di prodotti muniti di ecoetichettatura. 

Servizi di ristorazione e aziende alimentari

I  tradizionali  segmenti della  ristorazione  collettiva  (aziendale,  scolastica,  socio‐sanitaria,  commer‐

ciale), per estensione sul territorio e numero di pasti somministrati, unitamente alle aziende alimen‐

tari rappresentano settori strategici nei quali  i Dietisti possono supportare  l’introduzione di criteri 

di  sostenibilità  (caratteristiche degli  alimenti, procedure di  acquisto,  consumi  energetici,  consumi 

idrici, modalità di trasporto, utilizzo di sostanze chimiche, produzione e gestione dei rifiuti, gestio‐

ne del personale). 

ANDID auspica  che  in questi  specifici ambiti, nel  rispetto della normativa vigente(13),  i Dietisti  si 

adoperino per promuovere programmi di  intervento per  il  recupero e  la  redistribuzione delle ecce‐

denze alimentari non più commercializzabili ma idonee al consumo, a favore di persone e famiglie in 

condizioni di vulnerabilità sociale. 

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

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Politiche alimentari

ANDID auspica che i Dietisti presenti e coinvolti nell’ambito di commissioni ed autorità locali, nazio‐

nali ed internazionali si adoperino per sostenere un ambiente capace di incrementare la coerenza delle 

politiche che riconoscono  i  legami  tra  la salute e  le altre politiche come quella per  l’agricoltura, per 

l’ambiente, per il commercio, l’istruzione, il lavoro e le politiche sociali, in relazione alle specificità dei 

diversi territori e ai bisogni di salute della comunità. 

Valutazione dell’efficacia della prestazione

Il Dietista valuta la qualità della propria attività professionale attraverso la revisione continua dei ri‐

sultati rispetto a standard professionali definiti e condivisi. A questo scopo condivide con il gruppo di 

lavoro tutti  i dati e  le  informazioni relativi agli  interventi attuati. La documentazione delle attività e 

dei risultati è parte integrante della pratica professionale del Dietista. 

Formazione e aggiornamento

ANDID auspica che  la formazione universitaria di base del dietista garantisca un’adeguata prepara‐

zione teorica e pratica sulle tematiche inerenti alla sostenibilità alimentare. È pertanto opportuno che  l’attività di  tirocinio pratico sia svolta, con  la guida di dietisti esperti, nei 

Servizi di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione e nei Servizi di Educazione e Promozione della Salute. 

È  inoltre auspicabile un periodo post‐laurea della durata di almeno sei mesi presso i Dipartimenti 

Universitari di Sanità Pubblica ed i Servizi di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione delle Aziende 

Sanitarie Locali; è inoltre auspicabile la frequenza di uno specifico master professionalizzante in Sanità 

Pubblica e Politiche Alimentari e Nutrizionali. 

ANDID auspica che dei crediti ECM almeno il 50% sia ottenuto da eventi formativi inerenti alla so‐

stenibilità alimentare e alla promozione della salute e  la parte restante da eventi relativi agli aspetti 

professionali ed etici connessi con lo sviluppo della prestazione dietistica.  

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12.  Position of  the American Dietetic Association: Food and Nutrition Professionals can  implement 

practice  to  conserve  natural  resources  and  support  ecological  sustainability.  JADA,  2007; 

107(6):1033‐1043. 13.  Legge 25 giugno 2003, n. 155. “Disciplina della distribuzione dei prodotti alimentari a fini di soli‐

darietà sociale”. GU n. 150, 1 luglio 2003. 

 

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

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BarBio  

Gloria Piastra, Fabrizio Buratti  

 

Chi siamo

Siamo un gruppo di imprenditori con pluriennali esperienze nei settori della ristorazione collettiva e 

del catering che si sono uniti formando una struttura che cresce e si evolve nella ricerca della qualità 

dei prodotti offerti a filiera dedicata biologica ed equosolidale. 

Obiettivi

Il nostro obiettivo è creare una nuova proposta da cui emerga il fascino di un nuovo sodalizio fra la 

tradizione gastronomica italiana e le più interessanti specialità di prodotti biologici, nella continua ri‐

cerca di nuove esperienze del gusto e della salute con una forte attenzione all’alimentazione per celiaci 

ed intolleranti e verso scelte di consumo alternativo sia per i vegetariani e sia per i vegan senza trala‐

sciare al cultura della cucina mediterranea. 

Proposta

Il BarBio è un format di locale gastronomico a filiera dedicata Biologica, dove la cultura della ristora‐

zione veloce deve convivere con prodotti provenienti da agricoltura biologica  rispondendo alle esi‐

genze dei moderni consumatori e privilegiando la volontà di applicare la cosiddetta filiera corta (dal 

produttore al consumatore) e l’aspetto equo solidale BIOLOGICO. La nostra caratteristica è il frutto di 

una produzione artigianale giornaliera, sempre  fresca, con materie prime di alta qualità nel rispetto 

delle norme vigenti in ambito Biologico. La massima cura nei particolari e l’attenzione per le esigenze 

ed  il gusto del cliente, rappresentano per noi gli  ingredienti indispensabili nella progettazione di un 

servizio mirato alle specifiche esigenze di mercato. 

A chi ci rivolgiamo

Le diverse esigenze di mercato ci hanno portato a specializzarci, oltre che nel catering anche nel setto‐

re dei prodotti biologici ed equo solidale  rivolti alla  ristorazione veloce,  individuando  l’esigenza di 

realizzare strutture tipicamente a filiera dedicata Bio rivolte a rispondere alle diverse forme di mercato 

(aziende, scuole, enti pubblici, sanitario, etc.). 

 

IL FORMAT BAR BIO è stuzzicante e vivace con una nuova confezione dell’offerta gastronomica, più 

ricca, più varia, più fantasiosa e salutare. Un prototipo innovativo di servizio, sintonizzato contempo‐

raneamente sui tempi e i modi del consumo leggero, veloce, d’occasione e sulle esigenze della gastro‐

nomia classica quotidiana. È studiato per essere perfettamente integrato con la struttura che ci ospite‐

rà. L’offerta consiste nel proporci nell’ambito della ristorazione collettiva mediante  le molteplici  for‐

me:  ristorazione  veloce,  catering,  banqueting,  pasti  veicolati  e  vending.  Inoltre  possiamo  offrire  la 

completa  logistica organizzativa degli eventi da Voi promossi all’interno degli ambienti  scolastici o 

aziendali creando, con la nostra esperienza, scenografie particolari e atmosfere coinvolgenti con per‐

sonale altamente professionale e specializzato. 

 

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Poster

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Discovering different food culture abroad: quando gli studenti statunitensi vengono in Italia per studiare i principi della sostenibilità della dieta mediterranea  

Gustolab  

Il poster ha come obiettivo quello di mostrare l’attività accademica condotta negli ultimi 3 anni qui in 

Italia, con alcune delle più prestigiose Università statunitensi nel campo dei food studies e nelle disci‐

pline della nutrizione e della salute. Gruppi di studenti statunitensi, con o senza background nelle di‐

scipline del cibo, si spostano ogni anno su territorio italiano, per poter analizzare e confrontare idee, 

pratiche, tradizioni di due diversi tipi di cultura alimentare.  

Da una prima fase caratterizzata da sentimenti e sensazioni di sospetto e distacco, si passa, nell’arco 

dello svolgimento del programma accademico, ad una concreta fase di esplorazione e interiorizzazio‐

ne, dove il vero cambiamento non avviene tanto nell’acquisizione delle conoscenze e delle nozioni teo‐

riche, quanto più in quello di uno spirito critico e di autoanalisi che viene acquisito e trasferito, dagli 

studenti stessi, nei loro paesi. Sempre più le richieste dei dipartimenti statunitensi, sono rivolti ad ave‐

re programmi focalizzati sui temi della sostenibilità e della dieta mediterranea. La dieta mediterranea 

viene spesso studiata erroneamente, presso  le Università  in USA, come regime alimentare, piuttosto 

che come lifestyle ed evoluzione storica e sociale di risorse e pratiche di un territorio ben definito, co‐

me quello mediterraneo. Quello che viene insegnato agli studenti (di età compresa tra i 18 e i 22 anni) 

nei programmi di cui si occupa Gustolab Institute, è un modo di vedere, senza solo osservare. Un mo‐

dello critico di apprendimento che pone la sostenibilità non tanto come oggetto di studio, quanto so‐

prattutto come metro di misura nelle pratiche della routine e della vita quotidiana. Nozioni teoriche, 

mescolate ad attività extracurriculari, disegnate sui principi dell’educazione esperienziale, permettono 

di raggiungere in periodi di studio molto brevi (da 1 a 4 mesi massimo), risultati interessanti. Non tan‐

to in termini di cambiamento delle abitudini alimentari e d’acquisto (come dimostrato anche dalla ri‐

cerca di Lisa Sasson di NYU, svolta su un programma studio statunitense sui temi della nutrizione che 

si svolge ogni anno a Firenze), ma soprattutto nell’acquisizione di strumenti critici di analisi e problem 

solving che possono essere poi applicati dagli studenti nei loro territori d’origine. Conseguenza emer‐

gente, e non pianificata, ma evidenziata soprattutto nell’ultimo anno e per i programmi di nutrizione e 

comunicazione, è la crescente capacità degli studenti di selezionare la qualità dei prodotti e delle solu‐

zioni alimentari presentate su territorio italiano, acquisendo materiale e informazioni che autonoma‐

mente decidono di utilizzare per attività di promozione dei prodotti enogastronomici italiani in USA. 

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

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Aiutiamoli a crescere  

Nella Tucci  

Laboratorio Analisi chimiche e microbiologiche I.C.Q. s.r.l. 

 

 

OBIETTIVO

Il progetto realizzato dal Laboratorio di analisi chimiche e microbiologiche ICQ srl propone di intro‐

durre come materia scolastica la “sicurezza alimentare e ambientale” in un quadro più ampio legato 

alla corretta educazione alimentare e alla sostenibilità dell’ambiente. Questo contribuirebbe all’accre‐

scimento delle competenze dei docenti utilizzando per la didattica i mezzi informatici come abilitanti 

alla formazione degli studenti della scuola dell’obbligo.  

L’inserimento di  tale materia potrebbe avere come obiettivo quello di portare  la scuola a  livelli di 

eccellenza per competere con lo standard europeo. 

METODO

Il metodo innovativo è consistito nell’inserimento della nuova materia utilizzando strumenti informa‐

tici, al fine di arricchire di nuove potenzialità i modelli didattici, rendendoli più allineati alla realtà in 

cui  i giovani vivono ed  interagiscono; ciò ha permesso a sviluppare competenze per  il  loro percorso 

formativo e rendere l’apprendimento interattivo. 

Tali contenuti e metodologie didattiche si affiancano a quelle tradizionali mettendo a disposizione 

dei docenti strumenti tecnologici abilitanti ad una didattica innovativa e multimediale. Questo meto‐

do ha avvicinato i bambini alla tecnologia utilizzando il gioco uguale conoscenza. In tal modo si è ac‐

cresciuta la loro consapevolezza ai temi proposti. Nella stessa sede si è cercato di coinvolgere i genitori 

a partecipare on line al percorso formativo. 

Le tematiche trattate nei corsi sono state le seguenti:  

•  quadro normativo in campo agroalimentare; 

•  Igiene e sicurezza alimentare; 

•  contaminazioni fisiche, chimiche, microbiologiche degli alimenti; 

•  applicazione pratica dell’autocontrollo nelle varie fasi del processo produttivo; •  allergie ed intolleranze alimentari; 

•  alimenti biologici e funzionali; 

•  tracciabilità e rintracciabilità dei prodotti alimentari; 

•  riciclo e smaltimento dei rifiuti proveniente da scarti alimentari.  

La valutazione finale dell’apprendimento è stata eseguita con  lo svolgimento di test specifici con di‐

versi gradi di difficoltà. 

RISULTATI

Il progetto sperimentato su un campione di 400 utenti provenienti da scuole private ha dato una ri‐

sposta soddisfacente in quanto sia  i docenti che gli studenti sottoposti a verifica dell’apprendimento 

hanno avuto rispondenza del 70% di esiti positivi. 

Ciò ha permesso di chiudere la progettazione con la possibilità di poter proporre programmi di im‐

plementazione innovativi per le scuole dell’obbligo. 

La sostenibilità nella ristorazione collettiva Poster

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Impianti di digestione anaerobica dei reflui zootecnici Vantaggi ambientali ed energetici per una agricoltura di qualità  

Centrale del Latte di Nepi  

 

Il metano di origine zootecnica rappresenta circa il 5% delle emissioni di gas serra in Europa. Le emis‐

sioni di CH4 hanno origine da:  

1)  fermentazione ruminale  

2)  fermentazione delle deiezioni  

La fermentazione ruminale è modulabile con l’alimentazione. Le fermentazioni delle deiezioni posso‐

no essere impiegate per la produzione di biogas apportando i seguenti vantaggi ambientali: elimina‐

zione delle emissioni di metano in atmosfera; produzione di energia da fonti rinnovabili; produzione 

di compost di qualità (depurato); attivazione di un processo di fermentazione impiegabile anche per 

lo smaltimento di altri sottoprodotti dell’industria agroalimentare. 

La CENTRALE DEL LATTE DI NEPI & AZIENDA AGRICOLA BRUNI gestiscono una filiera comple‐

tamente  integrata  inclusiva di coltura dei foraggi; allevamento zootecnico, trasformazione del  latte e 

lavorazione casearia. L’allevamento zootecnico conta 900 capi bovini di razza frisona allevati a stabu‐

lazione libera. Il 90% dell’alimentazione del bestiame è di provenienza aziendale realizzata con colture 

foraggiere estese su una superficie di circa 400 ettari;  l’azienda produce esclusivamente  latte di Alta 

Qualità. 

Nelle politiche di sostenibilità ambientale l’impresa ha realizzato un impianto di produzione di Bio‐

gas con annessa centrale di produzione di energia elettrica, impianto di produzione di acqua calda da 

impiegare come energia termica nelle attività della centrale del latte. 

L’impianto viene utilizzato anche per lo smaltimento della scotta proveniente dalla produzione ca‐

searia. 

La realizzazione dell’impianto genera i seguenti vantaggi ambientali:  

‐ eliminazione di CH4 e CO2 generate dalle deiezioni animali; 

‐ eliminazione dell’impatto odorigeno connesso con la dispersione dei reflui; 

‐ produzioni di concimi più puri idonee per la produzione agricola dei foraggi.  

L’impianto di Biogas  funziona attraverso un processo di fermentazione anaerobica gestita da batteri 

che frantumano le molecole organiche più complesse con formazione di molecole semplici quali CH4 e 

CO2. 

Le deiezioni animali e  le biomasse confluiscono all’interno dei digestori.  Il ciclo anaerobico segue 

due  fasi distinte. Nella prima  avvengono  l’idrolisi,  l’assorbimento dell’ossigeno  residuo  con  conse‐

guente preparazione di un substrato costituito da acidi grassi a catena corta. Su questo substrato  in‐

tervengono i batteri metani geni, strettamente anaerobi, che nella fase successiva del processo svilup‐

pano biogas. Il biogas prodotto viene raccolto direttamente nella parte superiore dei digestori median‐

te coperture gasometriche a cupola. Attraverso una condotta il gas viene inviato ad un impianto di co‐

LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40

 

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generazione costituito da un gruppo dotato di alternatore e bruciatore. La composizione di biogas è 

CH4 : 60‐70 %; CO2 + CO : 30‐35 %; H2S : 0,1 %. L’impianto lavora 8.000ore l’anno bruciando224 m3/h di 

biogas, generando una potenza termica di 448.920 kcal/h; e una potenza elettrica di 500 kW. 

Nei programmi di sviluppo 2012 delle politiche ambientali aziendali prevedono: la realizzazione di 

un nuovo impianto di Biogas da 1 MW; la valorizzazione dell’energia termica per la produzione di ac‐

qua calda e vapori per i fabbisogni energetici della Centrale del Latte; la realizzazione di un impianto 

fotovoltaico da 500kW da installare sulle coperture degli stabilimenti; l’adozione di packaging biode‐

gradabile e la valorizzazione della produzione a km 0.