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Confessioni di in marxista irregolare

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Nel maggio 2013 ho avuto il piacere di trattare quest’argo-mento durante il sesto Subversive Festival di Zagabria.Solo ora sono riuscito a metterlo per iscritto e ad espander-lo per quanto riguarda alcuni aspetti significativi.

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Yanis Varoufakis

Confessioni di unmarxista irregolareNel mezzo di una ripugnantecrisi economica europea

Asterios

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© Yanis Varoufakis 2014Prima edizione nella collana AD: Marzo 2015

Asterios Abiblio Editore, 2015 posta: [email protected]

www.asterios.itIn materia di diritti questa pubblicazione si attiene alle norme

delle Creative Commons Public Licenses.Stampato in Italia

ISBN: 978-8895146-58-4

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INDICE

1. Introduzione. Una confessione radicale, 9

2. Perché sono un marxista? 123. La fantascienza diventa documentario, 19

4. Cos’ha fatto Marx per noi? 265. Perché eretico?

I due errori imperdonabili di Marx, 306. L’idea radicale del signor Keynes, 35

7. La lezione della signora Thatcher per i radicalieuropei di oggi, 38

8. Conclusione: quale è il compito dei marxisti? 42Bibliografia, 47

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1. IntroduzioneUna confessione radicale

Nel 2008, il capitalismo ha subito la sua secondagrande contrazione a livello mondiale, causando unareazione a catena che ha sprofondato l’Europa in unaspirale recessiva che sta tuttora minacciando glieuropei con un vortice di depressione permanente,cinismo, disintegrazione e misantropia.Negli scorsi tre anni, mi è capitato di esprimermi sul

momento difficile dell’Europa di fronte a platee estre-mamente variegate. Migliaia di dimostranti anti-auste-rity a Piazza Syntagma ad Atene, staff della FederalReserve di New York, europarlamentari dei Verdi alParlamento Europeo, analisti della Bloomberg aLondra e New York, studenti nei sobborghi degradatidi Atene e New York, la Camera dei Comuni di Londra,attivisti di Syriza a Salonicco, proprietari di fondicomuni d’investimento a Manhattan e a Londra, lalista è lunga tanto quanto la progressiva ritirata deileader europei da principi umanisti, e la ragione di taliinterventi continua a persistere. Nonostante l’eteroge-neità delle platee, il messaggio è stato sempre uno: l’at-

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tuale crisi europea non è solamente una minaccia per ilavoratori, per gli spossessati, per i banchieri, per grup-pi particolari, classi sociali o persino nazioni. No, l’at-tuale atteggiamento dell’Europa pone una seria minac-cia alla civiltà così come noi oggi la conosciamo.Se la mia prognosi è corretta, e la crisi europea non

è solamente un’altra caduta ciclica che verrà prestosuperata nel momento in cui i tassi di profittoaumenteranno in seguito all’inevitabile caduta deisalari, la questione all’ordine del giorno per i pensa-tori radicali è questa: dovremmo accogliere questostallo totale del capitalismo europeo come un’oppor-tunità per rimpiazzarlo con un sistema migliore? Odovremmo esserne talmente preoccupati da intra-prendere una campagna per stabilizzare il capitali-smo europeo? La mia risposta in questi tre anni èstata chiara, e la sua sostanza è stata male interpreta-ta dalla summenzionata lista di diverse platee che hotentato di influenzare. La crisi europea è, per come lavedo, gravida non di potenziali alternative progressi-ste, ma di forze radicalmente regressive che avrebbe-ro la capacità di causare un bagno di sangue umani-tario estinguendo la speranza di qualsiasi azione pro-gressista per generazioni a venire.A causa di tale teoria, da voci radicali in buona fede,

sono stato accusato di “disfattismo”: un menscevicofuori tempo massimo che si batte senza sosta a favo-re di analisi il cui scopo sarebbe quello di salvare unsistema socio-economico europeo indifendibile. Unsistema che rappresenta tutto quello che un radicaledovrebbe condannare e combattere: un’UnioneEuropea anti-democratica, irreversibilmente neoli-

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berista, altamente irrazionale, transnazionale, che hapossibilità praticamente nulle di evolvere in unacomunità sinceramente umanista in cui le nazionieuropee possano respirare, vivere e svilupparsi.Questa critica, lo confesso, mi fa male. E mi fa maleperché contiene più di una parte di verità.Infatti, condivido la visione di questa Unione

Europea come un’istituzione fondamentalmenteanti-democratica e irrazionale che sta conducendo ipopoli europei verso un sentiero di misantropia, con-flitto e recessione permanente. E mi inchino anchealla critica che io mi sto battendo su un’agenda che sibasa sul presupposto che la sinistra era, e rimanga,sconfitta in pieno. E così si, in questo senso, mi sentocostretto ad accondiscendere al fatto che vorrei che imiei obiettivi fossero di un altro tipo; vorrei moltopiù promuovere un programma la cui ragion d’esseresia la sostituzione del capitalismo europeo con un dif-ferente sistema più razionale – piuttosto che sforzar-si solamente per stabilizzare il capitalismo europeoche fa a pugni con la mia definizione di BuonaSocietà.A questo punto, forse può essere pertinente intro-

durre una seconda confessione: confessare che… leconfessioni tendono sempre ad essere egocentriche.In effetti, le confessioni sono sempre molto simili aquel che John Von Neumann una volta disse parlan-do di Robert Oppenheimer dopo aver sentito dire cheil suo ex direttore nel Manhattan Project si era tra-sformato in un attivista contro il nucleare e avevaconfessato di sentirsi in colpa per il suo contributoalla carneficina di Hiroshima e Nagasaki. Le causti-

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che parole di John Von Neumann furono: “Sta con-fessando il peccato per rivendicarne la gloria”.Grazie al cielo, non sono Oppenheimer e, di conse-

guenza, non sarà difficile evitare di rivendicare varipeccati come tentativo di auto-promozione ma, piut-tosto, come una finestra da cui dare un’occhiata allemie visioni di un capitalismo europeo ossessionatodalla crisi, profondamente irrazionale e ripugnante lacui esplosione, malgrado i suoi molti mali, dovrebbeessere evitata ad ogni costo. È una confessione concui convincere i radicali del fatto che siamo chiamatiad una missione contraddittoria: arrestare la cadutalibera del capitalismo europeo allo scopo di guada-gnare il tempo di cui c’è bisogno per formulare l’alter-nativa.

2. Perché sono un marxista?

Quando scelsi il tema della mia tesi di dottorato, nel1982, scelsi, intenzionalmente, un argomento alta-mente matematico e un tema nel quale il pensiero diMarx era irrilevante. Quando, più tardi, intrapresi lacarriera accademica, come professore in dipartimen-ti mainstream di Economia, il contratto implicito trame e i dipartimenti che mi offrivano di tenere le lezio-ni era che avrei trattato quegli argomenti di teoriaeconomica che non lasciavano spazio a Marx. Allafine degli anni Ottanta, a mia insaputa, fui assuntoall’Università di Sidney in modo da far fuori un altrocandidato di sinistra. Poi, dopo il mio ritorno inGrecia nel 2000, unii i miei sforzi a quelli di GeorgePapandreou, cercando di rimuovere il rischio del

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ritorno al potere di una risorgente destra ostinata afar tornare la Grecia in un atteggiamento di xenofo-bia (sia per quanto riguardava la politica interna, conun giro di vite contro i lavoratori migranti, sia in que-stioni di politica estera). Così come tutto il mondo saora, il partito del signor Papandreou non solo fallì nelcombattere la xenofobia ma, invece, promosse le piùvirulenti politiche macroeconomiche liberistecomandate dai cosiddetti piani di salvataggiodell’Eurozona, causando involontariamente il ritornodei nazisti per le strade di Atene. Nonostante io aves-si rassegnato le mie dimissioni come consigliere delsignor Papadreou all’inizio del 2006, e fossi divenutouno dei critici più insistenti del governo durante lasua pessima gestione dell’implosione greca post-2009, i miei interventi nel dibattito pubblico inGrecia e in Europa (ad esempio la Modesta propostaper risolvere la crisi dell’Euro, della quale sono co-autore e per la quale mi sono battuto) non conteneva-no la minima traccia di marxismo.In virtù di questo lungo sentiero attraverso le

Università e i dibattiti politici in Europa, uno potreb-be essere sorpreso dal vedermi tirar fuori il prover-biale segreto dal cassetto dichiarandomi marxista.Tali affermazioni non mi giungono naturali. Vorreipoter evitare le etero-definizioni (ovvero l’essere defi-niti in base al metodo e alla visione del mondo diqualcun altro). Marxista, hegeliano, keynesiano,humiano, sarei naturalmente predisposto a dire chenon sono nessuna di queste cose; che ho trascorso ilmio tempo cercando di diventare l’ape di FrancisBacon: una creatura che raccoglie il nettare da milio-

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ni di fiori e lo trasforma, nel suo stomaco, in qualco-sa di nuovo, qualcosa di personale, un qualcosa che èdebitore di ogni singolo fiore ma che non è definitoda nessuno di essi preso singolarmente. Ma, ahimè,questo sarebbe falso, e dunque non un buon metodoper iniziare una…confessione.A dire il vero, Karl Marx è stato responsabile nel

formare la mia prospettiva del mondo in cui viviamo,dalla mia infanzia al giorno d’oggi. Non è qualcosa dicui parlerei volentieri molto, nella buona societàodierna, perché la sola menzione della parola che ini-zia con M estingue ogni interesse della platea. Ma èuna cosa che non ho mai nemmeno negato. In effetti,dopo alcuni anni trascorsi ad indirizzarmi a plateecon le quali non condividevo il retroterra ideologico,è sorto recentemente in me un bisogno di parlarecandidamente dell’influenza di Marx sul mio pensie-ro. Per spiegare il perché, il perché essere un marxi-sta impenitente, penso che sia importante resisterglicon ardore su molti argomenti. Essere, in altre paro-le, eretici nel proprio marxismo.Se la mia carriera accademica ha largamente igno-

rato Marx, e i miei attuali consigli politici sonoimpossibili da descrivere come marxisti, allora per-ché tirar fuori ora il mio marxismo? La risposta èsemplice: persino le mie visioni economiche non-marxiste sono guidate da un assetto mentale pesan-temente influenzato da Marx. Ho sempre pensato cheun teorico sociale radicale possa sfidare il pensieroeconomico dominante in due modi diversi: uno èattraverso la strada della critica immanente.Accettare gli assiomi dominanti e quindi esporne le

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contraddizioni interne. Dire: “Non contesto i tuoipresupposti, ma ecco perché le tue conclusioni nonderivano logicamente da quelli”. Questo era, infatti, ilmetodo usato da Marx per minare il sistema dell’eco-nomia politica britannica. Marx accettò ogni singoloassioma di Adam Smith e David Ricardo al fine didimostrare che, nel contesto delle loro assunzioni, ilcapitalismo era un sistema contraddittorio. La secon-da strada che un teorico radicale può perseguire è,ovviamente, quella della costruzione di teorie alter-native a quelle dell’establishment, sperando che esseverranno prese sul serio (che è ciò che gli economistimarxisti del tardo XX secolo stanno facendo).Il mio parere su questa doppia alternativa è sempre

stato che i poteri in carica non sono mai perturbati dateorie che partono da assunti diversi dai propri.Nessun economista dell’establishment presterà maiattenzione a un modello marxista o neo-ricardiano inquesti giorni. L’unica cosa che può destabilizzare esfidare seriamente gli economisti mainstream neo-classici è la dimostrazione dell’inconsistenza dei loropropri modelli. È per questa ragione che, fin dall’ini-zio, ho scelto di penetrare nelle viscere della teorianeoclassica e di non spendere quasi nessuna energianel tentativo di sviluppare modelli alternativi, marxi-sti, di capitalismo. Le mie ragioni, lo ammetto, eranopiuttosto…marxiste1.Quando spinto a commentare il mondo in cui vivia-

mo, in quanto contrario all’ideologia dominante sul

1. Come esempio delle ricerche che sono venute fuori, vedereVaroufakis (2013) e Varoufakis, Halevi e Theocarakis (2001).

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funzionamento dell’economia globale, non avevoalternative che tornare alla tradizione marxista cheaveva forgiato il mio pensiero sin da quando miopadre, metallurgista, aveva impresso in me, quandoero ancora bambino, l’importanza dei cambiamentitecnologici e delle innovazioni nel processo storico.Come, per esempio, il passaggio dall’Età del Bronzo aquella del Ferro velocizzò la storia; come la scopertadell’acciaio accelerò il tempo storico dieci volte; ecome le tecnologie informatiche basate sul siliciosono discontinuità storiche e socio-economiche diprimaria importanza.Questo trionfo costante della ragione umana sulla

natura e sui mezzi tecnologici, che serve anche perio-dicamente ad esporre l’arretratezza delle nostresovrastrutture sociali e delle nostre relazioni, è unaprospettiva insostituibile che devo a Marx. Il suomaterialismo storico fu rinforzato nel modo più inte-ressante e inaspettato. Chiunque abbia guardatol’episodio di Star Trek Voyager intitolato “In un bat-ter d’occhio”, riconoscerà una meravigliosa raffigura-zione, in quarantacinque minuti, del materialismostorico al lavoro: un’impressionante narrazione delprocesso per cui lo sviluppo dei mezzi di produzionegenera progressi tecnologici che costantemente met-tono in discussione la superstizione e creano impulsistorici che, in maniera non lineare, generano nuovefasi della civilizzazione.Il mio primo incontro con i testi di Marx avvenne

molto presto nella mia vita, come risultato degli stra-ni tempi in cui mi ritrovai a crescere, con la Greciaintenta ad uscire dall’incubo della dittatura neofasci-

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sta del 1967-1974. Quel che attirò la mia attenzione ful’insuperabile, affascinante dono di Marx nel ritrarrela storia umana come un’opera teatrale, in cui la dan-nazione umana è riscattata da una reale possibilità disalvezza e da una spiritualità autentica. Leggendofrasi quali…

“la moderna società borghese con le sue con-dizioni borghesi di produzione e di scambio, irapporti borghesi di proprietà, una societàche ha evocato come per incanto così potentimezzi di produzione e di scambio, rassomigliaallo stregone che non può più dominare lepotenze sotterranee da lui evocate”. (IlManifesto del Partito Comunista, 1848)

…sembrava quasi di presenziare a un incontro fra, dauna parte, Faust e il Dottor Frankestein, e dall’altra,Adam Smith e David Ricardo, nella creazione di unanarrativa popolata da figure (lavoratori, capitalisti,funzionari, scienziati), che erano gli attori drammati-ci della Storia, agenti che combattevano per imbri-gliare la ragione e la scienza allo scopo di rendere piùforte l’umanità mentre, contrariamente alle lorointenzioni, scatenavano forze infernali che usurpava-no e sovvertivano la loro libertà e la loro umanità.Questa prospettiva dialettica, in cui ogni cosa gene-

ra il suo opposto, e l’occhio acuto con cui Marx indi-viduava il potenziale per il cambiamento nelle strut-ture sociali apparentemente più fisse e immutabili,mi aiutò a cogliere le grandi contraddizioni dell’epo-ca capitalista. Dissolveva il paradosso di un’età che

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generava le condizioni di benessere più notevoli e,nello stesso istante, la povertà più nera. Oggi, volgen-dosi alla crisi europea, alla crisi di realizzazione ame-ricana, alla stagnazione di lungo termine del capitali-smo giapponese, quasi tutti i commentatori non rie-scono a cogliere il processo dialettico che si svolgesotto il loro naso. Riconoscono la montagna di debitie le perdite delle banche, ma dimenticano l’altro latodella medaglia, la sua antitesi: la montagna di rispar-mi inattivi che sono congelati dalla paura e che dun-que non si convertono in investimenti produttivi.Un’attenzione marxista alle opposizioni binarie liavrebbe aiutati ad aprire gli occhi…Una delle ragioni principali per cui l’opinione domi-

nante non riesce a fare i conti con la realtà contempo-ranea è che non ha mai compreso la tensione dialetti-ca della produzione congiunta di debiti e surplus, dicrescita e disoccupazione, di benessere e povertà, dispiritualità e depravazione, per non dire di bene emale, di nuove forme di piacere e di schiavitù, di liber-tà e sottomissione: di questo calderone di opposizionibinarie che gli scritti drammatici di Marx ci indicavanocome le risorse dell’ingegno della Storia.Fin dalle mie prime riflessioni come economista,

giungendo ad oggi, mi è sempre parso chiaro comeMarx abbia compiuto una scoperta che sarebbe dovu-ta rimanere il punto centrale di ogni utile analisi delcapitalismo. Questa scoperta era, ovviamente, quelladi un’altra opposizione binaria intrinseca al lavoroumano. Questo è dotato di due nature differenti: 1)lavoro come creazione di valore (respiro vitale), atti-vità che non può mai essere specificata o quantificata

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in anticipo (e per cui impossibile da mercificare) e, 2)lavoro come quantità (numero di ore di lavoro), uti-lizzato per la vendita e trasformato in un prezzo. Ciòè quel che contraddistingue il lavoro da altre risorseproduttive come l’elettricità: la sua duplice, contrad-dittoria natura. Una differenza-contraddizione chegli economisti politici dimenticavano di fare prima diMarx, e che gli economisti mainstream rifiutano fer-mamente di accettare tutt’oggi.Sia l’elettricità che il lavoro possono essere pensati

come merci. Tanto i datori di lavoro quanto i lavora-tori lottano per mercificare il lavoro. I datori di lavo-ro usano tutta la loro ingegnosità, e quella dei loromanager delle risorse umane, per quantificare, misu-rare e omogeneizzare il lavoro. Allo stesso tempo ipotenziali impiegati si dannano l’anima in un tentati-vo ansioso di mercificare il loro potere lavorativo,scrivendo e riscrivendo i loro curricula per ritrarsicome fornitori di unità di lavoro quantificabili. E que-sto è il problema! Perché se lavoratori e datori dilavoro riuscissero a mercificare completamente illavoro, il capitalismo morirebbe. Questa è una pro-spettiva senza la quale la tendenza del capitalismo digenerare crisi cicliche non potrà mai venire piena-mente compresa, una prospettiva alla quale nessuno,senza una conoscenza di base del pensiero di Marx,avrà mai accesso.

3. La fantascienza diventa documentario

In un grande classico, il film del 1953 L’invasionedegli ultracorpi, gli alieni non ci attaccano frontal-

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mente, a differenza, ad esempio, di quel che accadein La guerra dei mondi di H.G. Wells. Piuttosto, gliumani sono attaccati dall’interno, fino a che non rima-ne nulla della loro anima e delle loro emozioni. I lorocorpi sono tutto ciò che rimane, come gusci che unavolta contenevano una libera volontà e che ora lavora-no, attraversano meccanicamente la vita quotidiana, efunzionano da simulacri umani “liberati” dall’aleato-ria capricciosità della natura umana. Questo processoè equivalente alla trasformazione necessaria a trasfor-mare il lavoro umano in una fonte di energia non dif-ferente dai semi, dall’elettricità, in effetti dai robot.Parlando in termini moderni, è quel che sarebbe acca-duto se il lavoro umano fosse diventato perfettamenteriducibile a capitale umano e dunque adatto ad essereinserito nei rozzi modelli economici.Provate a pensarci, ogni singola teoria economica

non marxista che tratta gli impulsi produttivi umani enon-umani come se fossero intercambiabili, quantitàqualitativamente equivalenti, adotta il presuppostoche la de-umanizzazione del lavoro umano sia com-pleta. Ma se tale processo giungesse mai ad esserecompleto, il risultato sarebbe la fine del capitalismointeso come sistema capace di creare e distribuirevalore. Innanzitutto, una società di simulacri de-uma-nizzati, o automi, assomiglierebbe ad un orologiomeccanico pieno di ingranaggi e molle, ognuno con lasua propria funzione, e che nel complesso produconoun “bene”: la misurazione del tempo. Ma se questasocietà contenesse nient’altro che automi, la misura-zione del tempo non sarebbe un “bene”. Sarebbe un“prodotto”, certamente, ma perché mai un “bene”?

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Senza esseri umani reali a sperimentare il funziona-mento dell’orologio, non potrebbero esserci cosecome “beni” o “mali”. Una “società” di automi sareb-be, così come gli orologi meccanici o dei circuiti inte-grati, piena di ingranaggi funzionanti, dimostrandouna funzione, una funzione che però non potrebbevenire descritta né in termini morali, né di valore.Dunque, per ricapitolare, se il capitale dovesse mai

riuscire nel quantificare, e dunque nel mercificarecompletamente, il lavoro, così come prova a fare inogni momento, lo prosciugherebbe anche di quell’in-deterministica, recalcitrante libertà umana che per-mette la generazione del lavoro. La brillante rivelazio-ne di Marx riguardo l’essenza più profonda delle crisicapitaliste era precisamente questa: maggiore sarà ilsuccesso del capitalismo nel convertire il lavoro in unamerce, minore sarà il valore che ogni unità genererà,minore il profitto e, infine, più vicina la prossimaodiosa recessione sistemica dell’economia. Il ritrattodella libertà umana intesa come categoria economicaè un aspetto unico del pensiero di Marx, rendendopossibile una peculiare e astuta interpretazione dram-matica e analitica della propensione del capitalismo apiombare nella recessione, persino nella depressione,a partire dalle fasi più sfrenate di crescita.Quando Marx scriveva che il lavoro era il fuoco

vivente che dava forma alle cose, la transitorietà dellecose, la loro temporalità, stava fornendo il più gran-de contributo che ogni economista abbia mai datoalla nostra comprensione della profonda contraddi-zione sepolta dentro il DNA del capitalismo. Quandoritraeva il capitale come “una forza cui dobbiamo

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sottometterci…che sviluppa un’energia cosmopolita,universale, che oltrepassa ogni limite e rompe ognilegame, e si pone come unica regola, unica universa-lità, solo limite e solo legame”2, stava evidenziando larealtà per cui il lavoro può essere comprato tramitecapitale liquido (denaro), nella sua forma di merce,ma porta sempre dentro di sé un desiderio ostile alcapitalista compratore. Ma Marx non stava solamen-te facendo un’affermazione psicologica, filosofica opolitica. Stava, piuttosto, fornendo una ragguardevo-le analisi del perché nel momento in cui il lavoro(inteso come attività non quantificabile) si spoglia ditale ostilità, diviene sterile, incapace di produrrevalore.In un momento in cui i neoliberisti hanno invi-

schiato la maggior parte delle persone nei loro tenta-coli teoretici, rigurgitando incessantemente l’ideolo-gia del miglioramento della produttività del lavoroallo scopo di aumentare la competitività e creare così“crescita” e così via, le analisi di Marx offrono unpotente antidoto. Il capitale non potrà mai vincerenella sua lotta per trasformare il lavoro in una risor-sa infinitamente elastica e meccanizzata senzadistruggere sé stesso. Questo è ciò che né i neoliberi-sti né i keynesiani comprenderanno mai! “Se l’interaclasse dei salariati venisse annichilita dai macchina-ri” scriveva Marx, “quanto terribile sarebbe ciò per ilcapitale che, senza lavoro salariato, cesserebbe diessere quello che è”3. Quanto più il capitale si avvici-

2. Vedere Karl Marx (1844, 1969), Manoscritti economico-filosofici.3. Marx in “Lavoro salariato e capitale”, originariamente pubbli-

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na alla sua vittoria finale sul lavoro, tanto più lanostra società si fa somigliante a quella di un altrofilm di fantascienza. Un film che era stato presagitoproprio da Karl Marx: Matrix.Ciò che è unico in Matrix è che, in esso, la ribellione

dei nostri manufatti non è un semplice caso di uccisio-ne del padre creatore. A differenza della Cosa diFrankestein, che aggredisce irrazionalmente gli esseriumani a causa della sua assoluta angoscia esistenzia-le, o delle macchine della serie di Terminator, chevogliono solamente sterminare tutti gli umani perconsolidare il loro futuro dominio sul pianeta,in Matrix l’emergente impero delle macchine vuoleconservare l’esistenza umana per i propri fini: mante-nerci in vita in quanto risorsa primaria. L’Homosapiens, nonostante abbia inventato la schiavitùumana, e nonostante la nostra storia senza preceden-ti nell’infliggere orrori indicibili ai nostri consangui-nei, non avrebbe mai potuto neppure immaginare ilruolo spregevole che le macchine ci assegnanoin Matrix: bloccati in apparecchiature che ci immobi-lizzano per risparmiare energia, le macchine ci sotto-pongono ad alimentazione forzata con una miscela disostanze nutrienti nauseabonde volte a intensificarela produzione di calore.Ad ogni modo, ben presto le macchine scoprono

che gli umani non durano a lungo una volta che il lorospirito è spezzato e la loro libertà infranta. Il nostro

cato sulla Neue Rheinische Zeitung, 5-8 e 11 aprile 1849 [diffusocome conferenza nel 1847]. Rivisto con un’introduzione diFriedrich Engels nel 1891. Tradotto da Harriet E. Lothrop, NewYork, Labor New Company, 1902.

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curioso bisogno di libertà minaccia l’efficacia dei loroimpianti a energia umana. Così, le macchine ci impri-gionano in quella che Marx avrebbe chiamato “falsacoscienza”. Non instillano nei nostri corpi solamentesostanze nutrienti, ma anche le illusioni che il nostrospirito brama. Ingegnosamente, attaccano degli elet-trodi ai nostri crani con i quali percepiscono, diretta-mente nel nostro cervello, la vita virtuale, ma profon-damente realistica che, come umani, vorremmo vive-re. Mentre i nostri corpi sono brutalmente attaccati ailoro generatori di potenza, alimentandoli con l’elet-tricità scaturita dal calore dei nostri corpi, il softwaredelle macchine noto come Matrix riempie le nostrementi con visioni di una vita immaginaria, illusoria,ma verosimile e “normale”. In questo modo i nostricorpi, ignari della realtà, possono vivere per decenni,tutto a vantaggio delle macchine che possono cosìgenerare l’energia bastante per sostenere la loronuova civiltà. L’oblio dell’umanità costituisce così unfattore cruciale per la produzione dell’economiadi Matrix.“Le macchine hanno acquisito il dominio sul lavoro

umano e sui suoi prodotti”4, così Marx descriveval’ascesa delle macchine, un incrocio fra un’antica tra-gedia greca e una shakespeariana che si svolgeva sullosfondo di una rivoluzione industriale in cui i pochi pos-sedevano le macchine e i molti le facevano lavorare. Ilpunto centrale di Marx era che, nell’universo del capi-tale, siamo già trans-umani. Matrix non è futurologia.

4. Vedere Karl Marx (1844, 1969), Manoscritti economico-filosofi-ci.

Page 25: Asterios 11x17 · attivisti di Syriza a Salonicco, proprietari di fondi comuni d’investimento a Manhattan e a Londra, la lista è lunga tanto quanto la progressiva ritirata dei

CONFESSIONI DI UN MARXISTA IRREGOLARE 25

È parte della nostra realtà già da un pezzo! È il migliordocumentario possibile sulla nostra era o, per essereprecisi, sulla tendenza della nostra era a cancellare dallavoro umano tutte quelle caratteristiche che gli impe-discono di diventare pienamente flessibile, perfetta-mente quantificato, infinitamente divisibile. Quanto aMarx il suo ruolo è stato quello di fornirci l’opzionedella pillola rossa5; una possibilità per guardare in fac-cia, senza le rassicuranti illusioni dell’ideologia bor-ghese, la squallida realtà di un sistema che producecrisi e deprivazione ogni giorno, intenzionalmente enon certo per caso.Leggete qualsiasi manuale di management, qualsia-

si articolo in qualsiasi rivista accademica di economia,qualsiasi documento prodotto dall’Unione Europeasull’istruzione, sulla scuola, sull’università, i program-mi di innalzamento della produttività, sulla competiti-vità eccetera. Capirete immediatamente che stiamo giàvivendo nella nostra versione di Matrix. Gli inesorabi-li sforzi del capitale di quantificare e usurpare il lavorohanno infestato tutti questi documenti, che sponsoriz-zano una società in cui le persone aspirino a divenire

5. Verso l’inizio di Matrix, un guerrigliero urbano che aveva appe-na aiutato Thomas Anderson, detto Neo, a fuggire da alcuni agen-ti in borghese, gli offre una scelta cruciale fra due pillole. Se pren-derà la pillola blu, tornerà a letto e si sveglierà al mattino pensan-do che l’intera vicenda sia stata un incubo prima di tornare alla suavita “normale”. Se invece opterà per la pillola rossa, apprenderà laverità sulla sua vita e sulla società. In un trionfo dell’incauta curio-sità sulla tentazione del semplice piacere, Neo rigetta la prospetti-va di beata ignoranza offerta dalla pillola blu, optando invece perla crudele realtà promessa dalla rossa.