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Qualeducazione 4 - 2012 79 Sped. in A.P. 45% - Art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - DCO/DC-CS/133/2003 Valida dal 17-03-2003 30 LA VITA La vita è opportunità, coglila! È bellezza, ammirala! È sogno, fanne una realtà! Sfida, affrontala! Dovere, compilo! Gioco, giocala! Amore, godine! Ricchezza, conservala! Mistero, scoprilo! Promessa, adempila! Tristezza, superala! La vita è un inno, cantalo! E’ una lotta, accettala! Avventura, rischiala! Felicità, meritala! La vita … è la vita, difendila!!! Madre Teresa di Calcutta. “Premio Impegno per la pace” 1982 della fondazione Gianfrancesco Serio Sembra che in Calabria – come altrove – vincano sempre i cor- rotti, i furbi, i violenti … Non importa. Tu spera e fai trionfare la Giustizia … Sembra che la società sia indifferente di fronte alla fame dei po- poli dell’Africa e di tant’altre parti del mondo … Non importa, tu scegli la solidarietà … Sembra che stiano vincendo l’individualismo gaio, il fondamen- talismo cieco … Non importa … Difendi la dignità dell’uomo che è una ricchezza inesauribile, come l’intelligenza e l’amore! Fai fiorire nel tuo cuore la pace che non è una virtù, non è nego- ziabile (come i beni di consumo), non si acquista al mercato, non la si esporta, né la si difende con le armi … ma con la libertà, con l’esempio e la testimonianza … La Pace è frutto di virtù, è silenziosa come un bosco che cresce … La violenza somiglia al bosco che brucia e s’incenerisce … La Pace è il seme del bene comune. Il seme sei tu, giovane, che cresci e ti carichi di semi … che nemmeno in tempo di carestia puoi mangiare se vuoi che diventino … semi per altri giovani che promuovono la vita … buona e onesta … (gs) La colomba della pace

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79Sped. in A.P. 45% - Art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - DCO/DC-CS/133/2003 Valida dal 17-03-2003

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LA VITALa vita è opportunità, coglila!

È bellezza, ammirala!È sogno, fanne una realtà! Sfida, affrontala!

Dovere, compilo! Gioco, giocala! Amore, godine!Ricchezza, conservala! Mistero, scoprilo!Promessa, adempila! Tristezza, superala!

La vita è un inno, cantalo! E’ una lotta, accettala!Avventura, rischiala! Felicità, meritala!

La vita … è la vita, difendila!!!Madre Teresa di Calcutta.

“Premio Impegno per la pace” 1982 della fondazione Gianfrancesco Serio

Sembra che in Calabria – come altrove – vincano sempre i cor-rotti, i furbi, i violenti … Non importa. Tu spera e fai trionfare la Giustizia …Sembra che la società sia indifferente di fronte alla fame dei po-poli dell’Africa e di tant’altre parti del mondo … Non importa, tu scegli la solidarietà …Sembra che stiano vincendo l’individualismo gaio, il fondamen-talismo cieco … Non importa … Difendi la dignità dell’uomo che è una ricchezza inesauribile, come l’intelligenza e l’amore!

Fai fiorire nel tuo cuore la pace che non è una virtù, non è nego-ziabile (come i beni di consumo), non si acquista al mercato, non la si esporta, né la si difende con le armi … ma con la libertà, con l’esempio e la testimonianza …

La Pace è frutto di virtù, è silenziosa come un bosco che cresce …La violenza somiglia al bosco che brucia e s’incenerisce …La Pace è il seme del bene comune. Il seme sei tu, giovane, che cresci e ti carichi di semi … che nemmeno in tempo di carestia puoi mangiare se vuoi che diventino … semi per altri giovani che promuovono la vita … buona e onesta … (gs)

La colomba della pace

QualeducazionePer un dialogo libero in Europa

Rivista internazionale di Pedagogia

Nata nel 1982 – quando sembrava, come ancora sembra imminente l’eclissi dell’educazione – questa rivista si propone al mondo della scuola e dell’università come un progetto che si realizza con il dialogo libero, plurale, aperto in continuità per approfondirlo tra un convegno e l’altro che la fondazione Serio affida alla discussione della Comuni-tà scientifica internazionale a cui aderiscono studiosi di alta qualità e varia collocazione culturale.

La rivista – sin dall’origine – si configura come comunità scientifica dialogante, disponibile all’incontro, al confronto costruttivo tra per-sone, istituzioni, associazioni e, grazie alla sua apertura, è cresciuta e cresce producendo cultura.

Quando l’editore Pellegrini mi affidò la direzione avvertii, come av-verto tuttora, l’esigenza di dare più forza alla cultura che privilegia le problematiche concernenti la dignità della persona prescindendo dal colore della pelle, dalla fede religiosa, dall’orientamento politico …

In 30 anni di presenza in Italia e in Europa, 79 fascicoli, settemila pagine, chiede di poter continuare il suo discorso in un momento diffi-cile della storia dell’educazione, un bel tempo per la libertà dell’uomo e del cittadino.

Nota: L’abbonamento alla rivista è di E 26.00 da versare sul ccp N. 11747870, intestato a Pellegrini Editore, Via Camposano, 41 – 87100 Cosenza.Dai siti www.associazionegianfrancescoserio.it – www.progettolegalita.org. si possono leggere gli ultimi 5 fascicoli, l’elenco dei collaboratori, l’impianto scien-tifico della rivista e il progetto “Costituzione e cittadinanza – Promozione della legalità”.

Per un dialogo libero in Europa - Trimestrale internazionale di Pedagogia

Libri (per recensione) e riviste (per cambio) debbono essere inviati al direttore della rivista: Giuseppe Serio, Viale della Libertà, 33 - 87028 PRAIA A MARE (Cosenza)

Periodicità trimestrale - Anno XXX - N. 4 (ottobre-dicembre 2012) - Fascicolo N. 79 - Abbonamento - annuale E 26,00 con il suppl. “Vivere la nonviolenza”; estero il dop-pio; un numero E 6,00 - Iscrizione R.O.C. n. 316 del 29/08/2001 (* Gli abbonamenti s’intendono rinnovati automaticamente se non disdetti 30 gg. prima della scadenza). Autorizzazione del tribunale di Cosenza - Iscr. Registro Nazionale della Stampa n. 00969 del 29-8-1983 - c.c.p. n. 11747870 intestato a Luigi Pellegrini Editore - Via Camposano, 41 - 87100 CosenzaFotocomposizione: Pellegrini Editore

Giuseppe Serio, direttore scientificoWalter Pellegrini, direttore responsabileFilomena Serio, segretaria di redazione

Comitato scientifico: Dietrich Benner (università di Berlino), Franco Blezza (università di Chieti), Miche-le Borrelli (università della Calabria), Luciano Cor-radini (università di Roma3), S. Serenella Macchietti (università di Siena), Gaetano Mollo (università di Perugia), Antonio Pieretti (pro-rettore università di Perugia), Jörg Ruhloff (university of Wuppertal, Germany), Concetta Sirna (università di Messina), Giuseppe Spadafora (università della Calabria), Giu-seppe Zanniello (università di Palermo).

Comitato di Referees: Sergio Angori (università di Siena), Massimo Baldacci (università di Urbino), Car-lo Borgomeo (presidente Fondazione per il Sud), Mi-chael Byram (univ. Durham, England), Carlo Nanni (rettore dell’università salesiana), Dietrich Benner (università di Berlino), Jörg Ruhloff (university of Wuppertal, Germany), Gaetano Mollo (università di Perugia), Stefania Paluzzi (università di Chieti), An-tonia Rosetto Aiello (LUMSA Caltanissetta), Daniela Grieco (pedagogista in Vicenza), Marisa Di Clemente.

REDAZIONE: Franco Blezza (Univ. G. D’Annunzio, Chieti), Emilia Ciccia (ricercatrice), Vincenzo Pucci, Giovanni Villarossa (Presidente nazionale UCIIM), Filomena Serio.

REDAZIONE EUROPEA: Michele Borrelli (Univ. della Calabria).

Direzione-Redazione:Viale della Libertà, 3387028 PRAIA A MARETel. e Fax (0985) 72047

Amministrazione: 87100 CosenzaVia Camposano, 41 - Cas. Post. 158

GRUPPO PERIODICI PELLEGRINITel. 0984 795065 - Telefax 0984 792672

E-mail: [email protected] è una rivista del Gruppo Periodici Pellegrini:

Nuova Rassegna di Studi Meridionali, Letteratura & Società, Giornale di Storia Contemporanea,

Incontri Mediterranei, La Questione Meridionale, Labirinti del Fantastico, Voci,

Crocevia, Fata Morgana.

Giuseppe Acone, Aldo Agazzi (†), Silvana Aguggini (†), Grazia Angeloni, Fabrizia Anti-nori, Karl-Otto Apel, Antonio Augenti, Ilaria Attisani, Theodor Ballauff, Imma Barbali-nardo, Giuseppe Barbarino, Nicoletta Bel-lugi, Dietrich Benner, Armin Bernhard, Anna Bisazza Madeo, Franco Blezza, Lamberto Borghi (†), Carlo Borgomeo, Michele Borrelli, Wolfgang Brezinka, Maria Anna Burgnich, Wilhelm Büttemeyer, Dieter Buttyes, Michael Byram, Mimmo Calbi, Pasquale Cammarota (†), Francesca Caputo, Tommaso Cariati, Alessia Casoni, Bernat Castany Magraner, Pier Giuseppe Castoldi, Francesco Castro-nuovo, Elide Catalfamo Favet, Giuseppe Catalfamo (†), Vittoria Cavallai, Manuela Cecotti, Lucia Cibin, Sergio Cicatelli, Emilia Ciccia, Giuseppina Colaiuda, Ignazio Dario Collari, Enza Colicchi, Ornella Comuzzo, Eva Corradini, Luciano Corradini, Piero Crispiani, Armando Curatola, Augusto Cury, Emilio D’Agostino, Guido D’Agostino, Antonio D’Aquino, Elio Damiano, Maria Ermelinda De Carlo, Luisa Della Ratta, Tullio De Mauro, Severino De Pieri, Paolo De Stefani, Lorenzo Di Bartolo, Salvatore Di Gregorio, Walter Di Gregorio, Adele Diodato, Vincenzo D’Onofrio, Concetta Epasto, Armando Ervas, Michele Famiglietti (†), Marisa Fallico, Marcella Fari-na, Antonio Fazio, Otto Filtzinger, Giuseppe Fioroni, Franco Frabboni, Barbara Gaiardoni, Lauro Galzigna, Hans-Jochen Gamm, Rober-to Gatti, Mario Gennari, Andrea Giambetti, Fatbardha Gjini, Franco Severini Giordano, Guido Giugni (†), Maria Angela Grassi, Anna Maria Graziano, Giovannella Greco, Adelina Guerrera, Vincenzo Guli, Giuseppe Guzzo (†), Hartmut Von Hentig, Eugenio Imbriani, Nunzio Ingiusto, Massimo Introvigine, Isa-bel Jiménez, Fatane Hassani Jafari, Amik Kasaruho, Maria E. Koutilouka, Edmondo

I collaboratori di QualeducazioneLabrozzi, Mauro Laeng (†), Marino Lagorio, Nico Lamedica, Giuseppe Lanza, Raffaele Laporta (†), Valeria Lenzi, Isabella Loiodice, Sira Serenella Macchietti, Francesco Maceri, Alessandro Manganaro, Giuseppe Manzato, Ugo Marchetta, Maddalena Marconi, Lucia Mason, Louis Massarenti, Giuseppe Ma-stroeni, Giovanni Mazzillo, Nomberto Mazzo-li, Mario Mencarelli (†), Gaetano Mollo, Maria Monteleone, Daria Morara, Paola Bernardini Mosconi, Marina Mundula, Carlo Nanni, Wal-ter Napoli, Stefano Orofino, Anna Paladino, Roberto A. Paolone, Cecilia Parisi, Anna Maria Passaseo, Anna Paschero, Luigi Pelle-grini, Angela Perucca, Enzo Petrini, Rosaria Picozzi, Antonio Pieretti, Gustavo Pietropolli Charmet, Lucrezia Piraino, Antonio Pisanti, Gianni Pittella, Andrea Porcarelli, Livio Pol-dini, Clide Prestifilippo, Alessandro Priscian-daro, Vincenzo Pucci, Marco Pasqua, Maria Moro Quaresima, Francesco Raimondo, Giusy Rao, Elena Ravazzolo, Paolo Ravio-lo, Micheline Rey, Aurelio Rizzacasa, Rosa Grazia Romano, Antonia Rosetto Ajello, Elisabetta Rossini, Angelo Rovetta, Franca Ruggeri, Maria Antonietta Ruggeri, Morena Ruggeri, G. Carlo Sacchi, Elisabetta Salvini, Alessandra Samarca, Graziella Sanfilippo Scuderi, Bruno Schettini (†), Pantaleone Sergi, Filomena Daniela Serio, Alessandra Signorini, Andrei Simic, Concetta Sirna, J.J. Smoliez, Angela Sorge, Giuseppe Spadafora, Gianfranco Spiazzi, Francesco Susi, Anna Pia Taormina, Ermanno Taracchini, Gennaro Tedesco, I. Testa Bappenheim, Alessandra Tigano, Rosanna Tirelli, Enrica Todeschini, Giuseppe Trebisacce, Mario Truscello, Laura Tussi, Elena Urso, Pierre Vayer, Giovanni Villarossa, Claudio Volpi (†), Giorgio Vuoso, Giuseppe Zago, I. Zamberlan, Alex Zanotelli, Antonino Zichichi, Corrado Ziglio.

SOMMARIO - Fascicolo 79/2013

EDITORIALEPER DIALOGARE NELLA VERITÀdi Giuseppe Serio ....................................................................................... 3

IL DIALOGO DELLA SCUOLA ITALIANA CON L’EUROPAby Gianni Pittella ....................................................................................... 8

EDUCARE È UN ATTO DI AMOREdi Sira Serenella Macchietti ...................................................................... 10

SCUOLA, “SAPERI”, “EDUCAZIONI”, “CITTADINANZA E COSTITUZIONE”di Luciano Corradini ................................................................................. 17

DIALOGARE PER COOPERAREdi Gaetano Mollo ....................................................................................... 25

IL DIALOGO ODIERNO, COME FORMA D’AIUTO E D’ESERCIZIO PROFESSIONALE PEDAGOGICOdi Franco Blezza ......................................................................................... 32

COMUNICAZIONE E DIALOGO. RIFLESSIONI SULLA CONOSCENZA E CRESCITA UMANAdi Grazia Angeloni ..................................................................................... 41

DALLA SOFFERENZA ALLA SPERANZA. UN PERCORSO DIALOGICO PER LA MATURAZIONE DELLA PERSONAdi Rosa Grazia Romano ............................................................................. 46

IL DIALOGO COME RECIPROCO ASCOLTOdi Vincenzo Pucci ....................................................................................... 60

MAIEUTICA, AUTO-PROGETTO, RAPPORTO EMPATICO CON L’ALTERITÀ: ATTUALITÀ DELLA PROPOSTA PEDAGOGICO-SOCIALE DI ANTONINO MANGANOdi Antonia Rosetto Ajello ........................................................................... 69

QUALE DIALOGO PER LA COSTRUZIONE DEL BENE COMUNEdi Concetta Sirna ....................................................................................... 80

LA MEDIAZIONE CULTURALE COME STRATEGIA PER FACILITARE IL DIALOGOdi Fatane Hassani Jafari .......................................................................... 96

IL DIALOGO ELEMENTO PORTANTE DEL VATICANO IIdi Giovanni Mazzillo .................................................................................. 103

DIALOGARE E TESTIMONIARE PER EDUCARE IN UNA SOCIETÀ IN CRISIdi Giovanni Villarossa ............................................................................... 108

IL DIALOGO FORMATIVO INTERCULTURALE PER LA SCUOLA DEMOCRATICAdi Giuseppe Spadafora ............................................................................... 111

QUALEDUCAZIONE • 3

Editoriale

Per dialogare nella veritàTrent’anni di promozione della cultura di pace

di GIUSEPPE SERIO*

Nel corso del convegno internazionale sul tema “Educazione alla pace. Un progetto per la scuola degli anni ’80” pensai che sarebbe stato interessante far conoscere ai lontani dal con-vegno le tematiche affrontate da pedagogisti cattolici, laici e marxisti al fine di far conti-nuare il dialogo tra un convegno e l’altro della fondazione Serio. Nel 1982, perciò, nacque questa rivista che fu presentata ai partecipanti del convegno sul tema “I Valori socio-poli-tici nella vita giovanile”; allora, la rivista recava come sottotitolo “Per un dialogo libero nel Mezzogiorno” (e l’ha mantenuto fino al fascicolo 30; a partire dal 2000 ha assunto, l’attuale). Il dialogo a distanza ha giovato veramente al lavoro della comunità scientifica che via via si è costituita intorno agli interessi culturali della fondazione Serio. Credo che sia giusto ricordare che i Programmi didattici del 1985 dell’allora scuola elementare, raccolsero l’in-vito di promuovere la cultura di pace nella scuola.

Abstract:To celebrate 30[=thirty!] years of

this magazine («QE: for a free dialogue in Europe) we present the contributions of collaborators and friends of Qualedu-cazione [=What Education?]: (Sira Se-renella Macchietti, Luciano Corradini, Gaetano Mollo, Franco Blezza, Grazia Angeloni, Rosa Grazia Romano, Vincen-zo Pucci, Rosetto Ajello, Concetta Sir-na, Fatane Hassani Jafari, G. Mazzil-lo, G. Villarossa, Giuseppe Spadafora) which expose their points of view on the “concept”(noema) and practice(praxis) of dialogue in contemporary world, look-

ing from the Old Europe, the birthplace of Socrates and Thomas Aquinas.

Il tema scelto per questo fascicolo (che celebra i 30 anni della rivista) s’in-centra sulla variegata e polisemica pa-rola/chiave del sottotitolo della rivista; cioè, il dialogo inter-personale; intercul-turale tra popoli, razze e stati; inter-re-ligioso tra le chiese; educativo e politico nelle varie istituzioni educative.

Ogni contributo per questo fascico-lo speciale da parte di chi ha accetta-to di collaborare, vuole essere un atto di chiarimento per l’Europa che ha il dovere di scoraggiare ogni tentativo di far prevalere il pensiero unico che cerchi di aprirsi una porta entrando come portavoce di un neo-razzismo vel-lutato proprio nell’Europa dei popoli,

* Direttore del Centro studi per la promozione della pedagogia dell’Associazione Pedagogica Ita-liana - Direttore scientifico di Qualeducazione.

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delle culture e degli stati che s’impe-gnano a realizzare la democrazia del dialogo politico e culturale che è una grande ricchezza del pensiero libero in un mondo che si libera dalla schiavitù del potere finanziario e dalle urla dei falsi democratici.

Dopo trent’anni, la rivista, presen-ta un nuovo progetto culturale che af-fonda le sue ragioni nella Costituzione italiana che parla all’uomo, cittadino di ogni tempo, e lo invita a volare alto guardando la stella polare delle regole condivise evitando di volare rasoterra, di precipitare ancora là, dove l’assolu-tismo e il fondamentalismo lo riducono al silenzio, alla morte del pensiero vivo e della libertà, dono sublime di Dio alla persona umana.

* * *

Sira Serenella Macchietti ritiene che il dialogo sia un atto di amore riferen-dosi particolarmente al discorso di Be-nedetto XVI del 19.X.2006 per il quale l’“esercizio della carità intellettuale” è un’opera educativa della persona che, in questa società in evoluzione, deve essere assolutamente forte e coraggio-sa perché – aggiunge – l’educazione deve essere “illuminata dalla ragione e dalla fede”.

In tal modo, il dialogo “allarga gli orizzonti della razionalità” per promuo-vere la città dell’uomo che “esige rela-zioni di gratuità, misericordia e comu-nione” che sono le condizioni per realiz-zare la relazione di amicizia fra le per-sone e i popoli.

Il secondo contributo è di Luciano Corradini, conoscitore dei tre model-li di scuola che si sono consolidati nel secolo scorso (centralistico-burocrati-

co; partecipativo-democratico; autono-mistico-manageriale) sul cui sfondo la scuola sembra essere un apprenditoio senza la struttura di cui si vantavano gli studenti di Agrigento al tempo del Progetto giovani, quella di saper usare la testa pensante.

Il dialogo educativo è l’opportunità offerta alla scuola per dibattere i temi dei diritti umani, del valore della salute, della sessualità, dell’inter-cultura, del-la Costituzione con cui si può preveni-re la ludopatìa se la scuola sa istruire, educare, formare i giovani mediante lo svolgimento delle attività che li aiuti-no a crescere insieme come protagoni-sti e cittadini attivi. Dunque, i “saperi diventano formativi se vengono … inte-grati, elaborati, assimilati …”. Corradi-ni conclude il suo contributo richiaman-dosi all’art.1 della L 30.10.2008 che im-pegna la scuola ad assicurare agli stu-denti una acquisizione graduale di co-noscenze e competenze che aiutino il giovane a formarsi anche mediante la prassi dialogica.

Il terzo contributo è di Gaetano Mol-lo secondo cui “al centro di ogni situa-zione volta alla comprensione deve es-serci sempre il dialogo in atto, vivo, ri-spettoso, collaborativo e costruttivo”, volto a “superare steccati e presunzio-ni di superiorità” e caratterizzato dall’a-scolto empatico e attivo fra i dialoganti. La comprensione fra persone e culture, oggi, è per Mollo la sfida della pace che implica rispetto reciproco e autentico di soggetti “costruttori di ponti e creatori di condivisioni”.

Franco Blezza, titolare della rubrica Ricerca e innovazione educativa e didat-tica della rivista, si richiama a Socrate, il primo grande teorizzatore del dialogo e primo filosofo che “interpretò corret-

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tamente il responso dell’oracolo di Del-fi” scoprendo i limiti del dialogo avente, come punto di partenza, la conoscenza di sé (“ghnòthi seautòn”) e come punto d’arrivo il riconoscimento della propria ignoranza. Perciò, la scelta del tema è attuale, “specificamente pedagogica, a questo proposito”. Mollo analizza que-sto “strumento rigoroso di comunica-zione interpersonale” facendoci dono di una sintesi organizzata del dialogo nell’evoluzione filosofico-pedagogica, a partire da Socrate fino a Sant’Agosti-no e a Galilei.

Segue a questo, l’articolo della An-geloni che affronta la tematica del pro-gresso della scienza e della tecnica per evidenziare l’impreparazione dell’uomo di fronte ai risultati e alle opportunità offerte da tale evento e all’ incapacità di contrapporre un risvolto orientato alla volontà di dialogare per superare la lo-gica dell’isolamento e dell’indifferenza.

Rosa Grazia Romano si propone di aiutare la persona ad oltrepassare o su-perare i contrasti confidando nel per-dono e cercando la pace interiore, mo-mento indispensabile per superare la sofferenza, oltrepassarla, vincere la in-quietudine, l’incomunicabilità superan-do fatica, affanni, soprattutto, imparan-do a perdonare per vincere la solitudi-ne. Il vero desiderio implica l’imparare ad attendere, ad ascoltare gli altri, par-ticolarmente se sono diversi. Insomma, il ‘perdono’ fa bene a chi lo concede e a chi lo riceve: è il segreto per star bene con se stessi e gli altri vivendo nella so-cietà globale e disorientata.

Vincenzo Pucci (curatore della Ru-brica aperta per un dialogo costruttivo della rivista) ritiene che il dialogo au-tentico sia quello primordiale, quello dell’uomo con Dio che “è ascolto reci-

proco nel silenzio torrenziale d’Amore”; un dialogo difficile nel mondo egoistico, cinico, urlante in cui ci troviamo a vi-vere. Il dialogo è il tentativo d’impara-re ad ascoltare davvero l’interlocutore perché un autentico e reciproco ascolto, pur se raro, può rinnovare la vita sul pianeta. Nel mondo com’è ora, però, do-mina il dialogo fra sordi o il monologo dei potenti. “Insegnare stanca” a scuo-la – dove soprattutto s’impara poco e male – ed “educare è faticoso”; lo è an-che nella famiglia, in ogni ambito della società frammentata.

La politica – esercizio di potere, non servizio ai cittadini – è un cattivo esem-pio che sbilancia la testimonianza de-gli onesti che rispettano i valori, van-no contro corrente, ancorati alla carità nella verità, nella giustizia, nella liber-tà e non a favore della massa grigia de-gli ignavi e degli opportunisti.

Antonia Rosetto Ajello coglie “l’oc-casione per ricordare Antonino Manga-no (scomparso nel 2010) frequentatore degli appuntamenti della fondazione Gianfrancesco Serio, autore di articoli che hanno trovato spazio in questa rivi-sta e negli Atti di alcuni convegni; con-vinto sostenitore del suo progetto cul-turale”. L’amicizia con Danilo Dolci è stata per Mangano “l’occasione per con-frontarsi con una personalità stimolan-te e poliedrica con cui condivideva l’a-more per la natura”. La pedagogia mai-eutica di Mangano si “coglie nel modo d’interrogare la realtà sociale”; “nell’a-nalisi dei bisogni dell’era planetaria” e nella scoperta di un’etica fondata sul rispetto e sull’apertura alle persone. Per Mangano, collaborare è rielabora-re l’esperienza, fare chiarezza median-te “l’ascolto attivo di chi è chiamato a comprendere”. Secondo Rosetto Ajello,

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“la maieutica richiede anche un conflit-to che è essenziale come la diversità”.

L’intervento della Sirna integra quelli affrontati da R. G. Romano, Ro-setto Ajello e Pucci. Il mondo contempo-raneo sta cercando di affrontare il dialo-go in ambito planetario; ma la pedago-gista messinese ritiene inadeguate sia le teorie liberiste di orientamento indi-vidualistico sia quelle ispirate ai vari comunitarismi. Entrambe, infatti, pur veicolando alcuni principi accettabili, risultano nel complesso riduttive e da-gli esiti spesso problematici.

Il discorso che affronta la Sirna vuo-le soprattutto mostrare l’urgenza di pro-muovere la costruzione di una comunità umana capace di realizzare il bene co-mune e metterlo a frutto col contributo di tutti. Ma ciò non è facile. Lo riconosce lei stessa che non è un’impresa sempli-ce orientare le persone nella costruzio-ne del mondo socio-economico solidale. Non è nemmeno facile avviare un pro-cesso di sviluppo inclusivo dei soggetti che vivono ai margini della società. Nel mondo contemporaneo sono molti quelli che preferiscono vivere nell’indifferen-za, sia nei confronti degli ultimi della terra … che per la possibilità di contri-buire alla realizzazione del bene comu-ne. Infatti, molte persone non dialogano né politicamente né eticamente perché sono concentrate egoisticamente su se stesse e non sentono il bisogno di cer-care la verità e l’amore per la vita …

A questo punto mi sembra giusto ac-cogliere qui il contributo di Fatane Has-sani Jafari, pedagogista iraniana, che affronta il difficile progetto del dialogo tra bambini indigeni e bambini stranie-ri, sono quelli che si trovano a vivere in una realtà scolastica spesso confusa e disorientata proprio perché diversa e

differente da quella di appartenenza. L’A. lo fa raccontando la sua esperien-za di mediatore culturale e di migran-te in Italia.

Perciò, analizza con specifica compe-tenza le tante e varie difficoltà che in-contrano i bambini stranieri nel nostro Paese, diverso dai loro; sono differenze di popolo, di cultura, di religione, di co-municazione linguistica … non facile da superare, ridurre, compensare … nella società globale … e anche in un Paese come il nostro dove c’è anche la realtà della Padania in cui, purtroppo, alcuni genitori insegnano ai loro figli di cam-biare strada se incontrano il demonio (il bambino extra-comunitario) e, anche se si trovano a vivere in ambiente acco-gliente e aperto, devono, comunque, su-perare le normali difficoltà; occorre pur sempre soddisfare i bisogni dei bambini che frequentano la scuola sprovvista del mediatore (MLC) che sa e può alleviare o attenuare e, forse, anche contrastare le tante differenze.

Al contributo di Fatane Hassani Jafa-ri, iraniana, si affianca quello di don Gio-vanni Mazzillo, teologo della pace, che osserva la Chiesa sul versante dell’au-to-comprensione (Chiesa, chi sei?) e su quello del rapporto con la realtà ester-na (Chiesa, cosa dici del mondo e del suo futuro?) proponendoci un dialogo ad in-tra e ad extra, che “innerva i due aspet-ti” ponendosi a fondamento della costi-tuzione della Chiesa a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, che vuole capirsi e capire l’altro, anzi, gli altri. Il Concilio guarda l’uomo, il suo futuro, in un dia-logo che si fa “simpatia”, cioè, si fa “una sola cosa”, chiesa e mondo, una coscien-za dialogante che si manifesta esprimen-dosi con il “linguaggio dell’amore”che è il dialogo fondamento della Parola.

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Villarossa – docente “in progress” – ha percorso tutto l’ordinamento scola-stico dalla primaria alla secondaria di secondo grado; è stato dirigente scola-stico; cura la Rubrica Autonomia Diri-genza Progettualità di questa rivista; fino a dicembre 2012 è stato presidente nazionale dell’UCIIM. Il suo contributo vuole dare chiarezza all’orizzonte della scuola cattolica in Italia; interpreta il dialogo come strumento educativo fon-dato sulla testimonianza ispirandosi, appunto, alla sua multiforme carriera di persona impegnata nell’associazioni-smo. Il ‘testimone vero’ – dice – ‘comu-nica ciò che passa in prima istanza at-traverso se stesso’.

L’educazione mediante il dialogo è testimonianza in quanto è anche ricer-ca dei punti strategici con cui si può ca-pire il mondo vario e variopinto nei vol-ti di bambini e ragazzi che frequentano la scuola italiana aperta a tutti nell’ac-coglienza solidale… ed anche civile …

Il contributo di Spadafora conclude il fascicolo speciale della rivista. Dopo la significativa premessa, svolta parti-colarmente in chiave filosofica, apposi-tamente scelta, interpreta il dialogo for-mativo partendo dal tema del concetto di formazione che egli esplora alla luce della tradizione filosofica e pedagogi-ca che spesso s’incrocia e sovrappone a tale riguardo.

La dimensione dello sviluppo psico-biologico del soggetto è vicina alla ‘vita interiore’ che è “un fenomeno comples-so” che si spiega con “le azioni umane e attraverso l’interpretazione filosofi-ca” per cui il processo formativo “espri-me situazioni di crescita e di sviluppo”.

Le dimensioni del dialogo formativo, scrive Spadafora, sono nel progetto che si caratterizza nel pensiero e nella co-

municazione; il momento noetico è più complesso nel rapporto tra mente pen-sante e corpo agente. Il dialogo si quali-fica per le sue varie dimensioni: “inter-soggettività, come problema filosofico”; la relazione etnico-culturale-religiosa, come “caso limite di dialogicità”; la tol-leranza, “come nodo della cultura illu-ministica e liberale” e come rispetto nel-la reciprocità o nella “percezione dell’al-terità quale riconoscimento che prean-nuncia l’azione inter-soggettiva.

Una seconda qualificazione, aggiun-ge l’A., è data dalla piattaforma valoria-le e condivisa; la terza forma di dialo-gicità è l’integrazione /inter-azione dei valori condivisi. Infine, il dialogo inter-culturale scolastico che, secondo il pe-dagogista calabrese, dipende “dal ruolo culturale” e dalla “dimensione politica” del docente, inteso come medium di cui si sono interessati qui Luciano Corradi-ni inizialmente e, nel precedente inter-vento, Giovanni Villarossa.

Giustamente, ci ricorda Vincenzo Pucci, il dialogo, in un mondo in cui pre-valgono gli urlanti che intimoriscono le persone semplici, si avverte l’urgenza di ricominciare dalla famiglia, dalla scuola a parlare nella verità in maniera libe-ra e, soprattutto, aggiungerei, conside-rando gli altri come titolari degli stessi diritti e degli stessi doveri che fanno di ognuno una persona unica e irripetibi-le “in fieri”, in crescita permanente …

Un sincero, caloroso ringraziamen-to all’on. le Gianni Pittella – primo Vi-cepresidente del Parlamento europeo – per il suo intervento e al Presidente della Commissione europea, onorevole Josè Manuel Barroso, che ha concesso il patrocinio morale a questo fascicolo speciale della nostra rivista che celebra 30 anni di attività scientifica in Europa.

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Il dialogo della scuola italiana con l’Europa

The dialogue of the Italian school with Europeby

GIANNI PITTELLA*

Riassunto:Mi sembra giusto premettere una

breve riflessione sulla situazione in cui si trova attualmente la scuola italiana di cui si è sempre occupata la rivista in-ternazionale di Pedagogia Qualeduca-zione (per un dialogo libero in Europa, che celebra 30 anni di attività cultura-le) che riguardante il tema che affronto nel seguente contributo.

Abstract:I think it’s right to start first by ma-

king a brief reflection on the situation in which the Italian school is nowadays, theme always focused by the interna-tional journal of Pedagogy “Qualedu-cazione”, which celebrates 30 years of cultural activity – for a free dialogue in Europe – and deals with the topic I in-vestigate in my following contribution.

Il depauperamento della scuola e la dissipazione del patrimonio di esperien-za e di sapere, costituita dalla mortifi-cazione e dall’allontanamento di tanti insegnanti validi e nonostante tutto an-cora motivati, credo sia la responsabili-tà maggiore che prima il governo Ber-lusconi poi Monti portano su di loro nei riguardi del paese.

Se andiamo a leggere il decennio ber-lusconiano e leghista alla luce di quan-to predicato e purtroppo poi realizza-to nell’istruzione dobbiamo concludere che si sta raccogliendo purtroppo quel-lo che si è seminato a piene mani. Dap-prima si è detto con il dicastero della Moratti che la scuola pubblica doveva trovare efficienza nel modello privati-stico anglosassone in nome dell’autono-mia scolastica. La conseguenza è stata molti finanziamenti agli istituti priva-ti a scapito di quelli pubblici, aumen-to indiscriminato delle quote universi-tarie e dei contributi delle famiglie in tutti gli ordini di scuole, spese indiret-te, come libri, trasporti, mense lasciate a briglia sciolta, formazione forzosa e a pagamento dei precari per conquistar-si un posto in graduatoria. Operazione che poi per molti si è rivelata doppia-mente una beffa ai loro danni perpetra-ta dal MIUR.

Poi è arrivata la Gelmini in piena era di tagli “orizzontali” e indiscrimi-nati, con l’istruzione considerata alla stregua di un qualunque ramo secco del-lo Stato (ma quelli veri rimangono sal-damente attaccati all’albero insieme a corrotti e mafiosi) e con la quale stiamo assistendo al naufragio annunciato del-la scuola elementare e tecnica. Il mini-stro Profumo, sicuramente il più qua-lificato e competente, è riuscito a dare solo qualche segnale di cambiamento, * Primo Vicepresidente del Parlamento Europeo.

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per quanto importante, come le nuo-ve metodiche adottate per il concorso a cattedre e il varo dell’agenda digitale, ma il tempo, e la variegata maggioran-za che lo sosteneva, gli hanno impedi-to di fare qualcosa di più approfondito.

Tutto questo sfacelo deve ovviamen-te essere moltiplicato per due nel Mez-zogiorno, dove l’abbandono scolastico cresce, i laureati migliori scappano all’ estero, la mediocrità del servizio offer-to è paradigmatica per le aziende che assumono e la messa in strada di mi-gliaia di precari si trasforma in un fe-nomeno di arretratezza sociale senza precedenti.

Il livello di mediocrità in cui questa politica ha precipitato la scuola e l’u-niversità italiana, rispetto al contesto internazionale, sta producendo abissa-li differenze territoriali e ambientali. Il numero degli espulsi dal sistema scola-stico ci colloca fuori dall’Europa: in Ita-lia il 20% dei giovani tra i 20 ai 24 anni ha solo la licenza media, La Fondazio-ne Agnelli calcola che se conseguisse-ro il diploma di scuola media superiore si occuperebbero un milione e 300mila giovani in più, pari al 6,3% degli occu-pati. Nel Meridione si alternano aree di eccellenza e esperienze positive, come quella rappresentata dalla Basilicata,

a una scarsa efficienza del sistema pub-blico che rende la situazione spesso fal-limentare, la disoccupazione giovanile dilaga sotto il peso della crisi mentre ol-tre un terzo dei giovani meridionali non raggiunge il livello di competenze neces-sario per essere ritenuto a livello inter-nazionale un cittadino attivo, l’età me-dia degli insegnanti continua a cresce-re, così come l’affollamento delle classi.

Il divario misurato dal titolo di studio dei genitori, dal contesto ambientale e dalla qualità delle strutture frequenta-te pesa assai più del talento individua-le, i paesi al vertice della classifica Ocse e delle nazioni più progredite sono gli stessi che riducono al minimo il divario tra istituzioni pubbliche e famiglie, tra ordini di scuola e la qualità di singoli istituti: è questo il compito del governo nazionale e locale per non far sprofon-dare il paese nel sottosviluppo sociale ed economico e che deve essere affrontato unendo e non aumentando le disparità sociali e formative tra nord e sud.

Che dire, il quadro è desolante. L’u-nica via di uscita è tenere duro e non smettere di denunciare la situazione ai tanti utenti e lavoratori della scuo-la, perché sulla consapevolezza e la ve-rità si possa costruire prima possibile un’alternativa.

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Educare è un atto di amorePensieri di Benedetto XVI sull’educazione

di SIRA SERENELLA MACCHIETTI*

RiassuntoQuesto contributo presenta e cerca

di interpretare la visione dell’educazio-ne di Benedetto XVI, prendendo in esa-me la Lettera ai fedeli di Roma e l’Enci-clica Caritas in Veritate, in cui il Papa afferma che l’uomo si realizza nelle re-lazioni interpersonali e che l’educazione è un atto d’amore ed esercizio della “ca-rità intellettuale” che richiede respon-sabilità, dedizione, coerenza di vita ed apertura alla Verità.

AbstractThis paper presents and tries to in-

terpret the vision of education of Bene-dict XVI, by examining the Letter to the faithful of Rome and the Encyclical Ca-ritas in Veritate, in which he states that man is defined through interpersonal re-lations and that the education is an act of love and exercise of “intellectual cha-rity”, that requires responsibility, dedi-cation, coherence of life and openness to the Truth.

Questo contributo si propone di ri-flettere sulla visione dell’educazione di Benedetto XVI, prendendo in esame in prospettiva pedagogica la Lettera ai fe-deli di Roma1 ed accennando all’Enci-

* Università di Siena - Direttore della rivista Prospettiva EP.

1 Cfr. Lettera del Santo Padre Benedetto XVI alla Diocesi e alla città di Roma sul compito ur-gente dell’educazione, Dal Vaticano, 21 gennaio 2008.

clica Caritas in Veritate2.

Amore, autorevolezza e speranza

Nel discorso fatto il 19 ottobre 2006 ai partecipanti al Convegno Ecclesiale di Verona, Benedetto XVI ha afferma-to che per far sì che «l’esperienza della fede e dell’amore cristiano sia accolta e vissuta e si trasmetta da una gene-razione all’altra, una questione fonda-mentale e decisiva è quella dell’educa-zione della persona»3.

Ha inoltre precisato che «un’educa-zione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nel-la vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà»4.

Negli anni successivi il Papa ha con-tinuato a proporre riflessioni sull’edu-cazione, sull’importanza della testimo-nianza e ad indicare itinerari da com-

2 Benedetto XVI, Enciclica sociale Caritas in Veritate (CIV), Roma, presso San Pietro, 29 giugno 2009.

3 Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al IV Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, Verona 19 ottobre 2006.

4 Ibidem.

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piere e traguardi educativi da conse-guire.

Significativo, a questo proposito, è il suo Discorso fatto in occasione dell’a-pertura del Convegno della diocesi di Roma (11 giugno 2007) sul tema Gesù è il Signore. Educare alla fede, alla se-quela, alla testimonianza in cui ha pre-cisato che promuovere questa educazio-ne «vuol dire aiutare i nostri fratelli, o meglio aiutarci scambievolmente, ad entrare in un rapporto vivo con Cristo e con il Padre». Ha inoltre ricordato che questo è il compito fondamentale della Chiesa, la quale non può rinunciare a perseguire «lo scopo essenziale dell’edu-cazione, che è la formazione della perso-na per renderla capace di vivere in pie-nezza e di dare il proprio contributo al bene della comunità».

Il 21 gennaio 2008 il Papa è torna-to a riflettere sulla questione educati-va nella Lettera alla diocesi e alla cit-tà di Roma sul compito urgente dell’e-ducazione.

La Lettera inizia con queste parole: «Cari fedeli di Roma, ho pensato di ri-volgermi a voi… per parlarvi di un pro-blema che voi stessi sentite…: il proble-ma dell’educazione» e continua rilevan-do che «Abbiamo tutti a cuore il bene delle persone che amiamo, in particola-re dei nostri bambini, adolescenti e gio-vani» e non possiamo «non essere solle-citi per la formazione delle nuove gene-razioni, per la loro capacità di orientar-si nella vita e di discernere il bene dal male, per la loro salute non soltanto fi-sica ma anche morale…».

«Educare però non è mai stato faci-le, e oggi sembra diventare sempre più difficile» «trasmettere da una genera-zione all’altra, qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiet-

tivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita». E, rivolgendosi anco-ra ai «Cari fratelli e sorelle di Roma», il Papa così si esprime: «a questo pun-to vorrei dirvi una parola molto sempli-ce: Non temete! Tutte queste difficoltà, infatti, non sono insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsa-bilità che giustamente l’accompagna».

Si tratta di una libertà sempre nuo-va che chiede sempre a ciascuna perso-na e a ciascuna generazione «… di pren-dere di nuovo, e in proprio», le proprie decisioni.

A questo proposito il Papa ricorda che a differenza di quanto avviene in altri campi, ad esempio in quello tecni-co o economico in cui i progressi di oggi possono aggiungersi a quelli realizzati nel passato, «nell’ambito della forma-zione e della crescita morale delle per-sone non esiste una simile possibilità di accumulazione».

I valori del passato infatti non pos-sono essere ereditati e debbono essere coscientemente conquistati, interioriz-zati, rinnovati, vissuti e testimoniati. Il Papa rileva inoltre che le fondamenta di questi valori sono state scosse pertanto non si hanno più “le certezze essenzia-li”. Aggiunge però che il bisogno dei va-lori che orientano le scelte esistenziali e i rapporti interpersonali «torna a farsi sentire in modo impellente: così, in con-creto, aumenta … la domanda di un’e-ducazione che sia davvero tale».

Questa educazione è richiesta dai genitori, dagli insegnanti e dalla «so-cietà nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della conviven-za…», e dagli stessi ragazzi e dai giova-ni, «che non vogliono essere lasciati soli

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di fronte alle sfide della vita».Il Papa pertanto invita tutti coloro

che hanno a cuore il futuro dell’umani-tà ad impegnarsi per soddisfare questa domanda, ricordando che «chi crede in Gesù Cristo ha … un ulteriore e … for-te motivo per non avere paura: sa infat-ti che Dio non ci abbandona, che il suo amore ci raggiunge là dove siamo e così come siamo, con le nostre miserie e de-bolezze, per offrirci una nuova possibi-lità di bene».

A questo punto, per rendere “più concrete” le sue riflessioni scrive che «può essere utile individuare alcune esigenze comuni» ed afferma che l’a-zione educativa «ha bisogno anzitutto di quella vicinanza e di quella fiducia che nascono dall’amore». E continua il suo discorso pensando «a quella prima e fondamentale esperienza dell’amore che i bambini fanno, o almeno dovreb-bero fare, con i loro genitori». Ricorda inoltre che «ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di auten-tico amore».

L’amore “pedagogico” chiede agli educatori di non limitarsi a soddisfare «il grande desiderio di sapere e di ca-pire» che è presente «già in un piccolo bambino» e che si esprime nelle conti-nue domande e nella richiesta di spie-gazioni. Infatti sarebbe «una ben pove-ra educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e delle informazio-ni, ma lasciasse da parte la grande do-manda riguardo alla verità, soprattut-to a quella verità che può essere di gui-da nella vita».

E sarebbe ancora più povera un’e-ducazione che cercasse di tenere «al ri-

paro i più giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore». Questa educa-zione infatti rischierebbe «di far cre-scere, nonostante le nostre buone in-tenzioni, persone fragili e poco genero-se»… perché la capacità di amare cor-risponde «alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme».

A questa riflessione, la quale vuo-le ricordare che la sofferenza «fa parte della verità della nostra vita», seguo-no alcune considerazioni sulla necessi-tà di «trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina…» cioè su un classico problema pedagogico ed educa-tivo. Il Papa afferma che «senza regole di comportamento e di vita, fatte vale-re giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro».

Giova però non dimenticare che “il rapporto educativo” è anzitutto «l’incon-tro di due libertà» e che «l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà». Pertanto il Papa incorag-gia gli educatori ad accettare il rischio della libertà, senza mai rinunciare ad essere disponibili e attenti ad aiutare i giovani, senza mai assecondarli negli errori, senza fingere di non vederli… e senza condividerli e senza considerar-li come «le nuove frontiere del progres-so umano».

Successivamente il discorso passa dall’educazione all’educatore, al quale il Pontefice domanda quell’autorevolez-za che è frutto di competenza e di espe-rienza e che «si acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero».

L’educatore è quindi chiamato a pro-porsi come testimone della verità e del

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bene, testimone forse non perfetto ma sempre disposto a mettersi e a rimet-tersi in sintonia con la sua missione, e a non rinunciare mai all’esercizio della sua responsabilità. A questo proposito il Papa afferma che «nell’educazione è decisivo il senso di responsabilità», di quella dell’educatore, «ma anche, e in misura che cresce con l’età, responsa-bilità del figlio, dell’alunno, del giovane che entra nel mondo del lavoro», preci-sando che «è responsabile chi sa rispon-dere a se stesso e agli altri» e scrivendo che «chi crede cerca inoltre, e anzitut-to, di rispondere a Dio che lo ha ama-to per primo».

A proposito di responsabilità è co-munque opportuno tener presente che il fatto che essa «è in primo luogo per-sonale» non può far dimenticare che c’è anche una responsabilità da condivide-re «come cittadini di una stessa città e di una nazione, come membri della fami-glia umana», come “credenti”…, «come figli di un unico Dio» e come «membri della Chiesa».

È quindi indispensabile comprende-re che la società non è «un’astrazione» e che poi, «alla fine, siamo noi stessi, tutti insieme», anche se abbiamo ruoli e re-sponsabilità diverse. Ognuno di noi può infatti offrire un contributo per la rea-lizzazione della vera educazione, ono-rando la vocazione comunitaria che è propria della persona.

A conclusione della Lettera il Papa propone una riflessione sulla speranza, rilevando che essa «è insidiata da mol-te parti» e che proprio dalla mancanza di speranza «nasce la difficoltà forse più profonda per realizzare una vera ope-ra educativa».

La speranza che il Papa propone tro-va il suo fondamento in Dio. È pertanto

una “speranza affidabile” che costitui-sce “l’anima dell’ educazione” e dell’in-tera vita. Infatti «la speranza che si ri-volge a Dio non è mai speranza solo per me, è sempre anche speranza per gli al-tri: non ci isola, ma ci rende solidali nel bene, ci stimola ad educarci reciproca-mente alla verità e all’amore…».

Queste parole con le quali si chiu-de il discorso del Papa ci consentono di considerare la Sua Lettera come un in-vito a riscoprire il valore dell’uomo e la sua apertura al Sommo Bene, senza la quale, «prima o poi ogni persona è con-dannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la co-stituiscono, della validità del suo impe-gno per costruire con gli altri qualcosa in comune»5.

Se riflettiamo su questa Lettera in cui Benedetto XVI costruisce un soli-do discorso pedagogico, attento ai mo-delli culturali odierni, al rischio del re-lativismo ed ai suoi effetti e alle diffi-coltà dell’educare, possiamo rilevare la sua vigorosa passione educativa che gli consente di intuire, “sentire” e compren-dere, cioè di “saper prendere con se” le fragilità, le ansie, le attese e le difficoltà del tempo presente, le aspirazioni degli educatori e i bisogni delle giovani gene-razioni e di saper parlare a tutti facen-do leva sulla fede e sulla carità, ricor-dando che «anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una spe-ranza affidabile»6.

5 Cfr. Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma su Famiglia e Comunità cristiana: formazione della persona e trasmissione della fede, 6 giugno 2005.

6 Per approfondire questa questione cfr. l’arti-colo di S.S. Macchietti, Abbiamo tutti a cuore l’e-ducazione (in «Scuola Materna», n. 17, 10 giugno

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Inoltre si può affermare che la te-stimonianza di attenzione, di premura e di amore per l’uomo e specialmente per le giovani generazioni permette al Papa di proporre con semplicità rifles-sioni profonde sulla società del nostro tempo e di indicare itinerari da percor-rere, responsabilità da assumere e vir-tù da potenziare e da conquistare e di far sentire la sua vicinanza agli educa-tori ai quali suggerisce fraternamente di non rinunciare ad essere veramente tali, invitandoli a pensare, a riflettere, a riconquistare sicurezza e fiducia ed a rispondere agli appelli della vita.

Ma a questo proposito si può anche sostenere che la lettura di questa Let-tera può consentire ad ogni lettore di ri-flettere su se stesso e di diventare edu-catore di se stesso, di interrogarsi sulla sua esistenza e sui suoi timori, di met-tere in discussione molti “luoghi comu-ni…” e i tanti dogmi che la cultura in cui viviamo ci impone e che spesso accettia-mo acriticamente… anche per pigrizia, diventando vittime di un conformismo che gradualmente spegne la gioia di vi-vere, di essere di elaborare e di realiz-zare un progetto esistenziale capace di coltivare e di onorare la nostra umani-tà e la nostra creaturalità….

Per promuovere la “città dell’uomo”

Nell’enciclica Caritas in Veritate

2008, pp. 9-11) e il saggio Pensieri e Messaggi di Benedetto XVI sull’educazione (in Aa.Vv., Identità e specificità della scuola dell’infanzia. Ieri, oggi, domani, a cura di S.S. Macchietti, Atti del XXXII Convegno di studio – Roma, 7-9 settembre 2007 –, Euroma-La Goliardica, Roma, 2008, pp. 67-78) il cui contenuto è stato in parte riproposto in questo contributo.

Benedetto XVI delinea implicitamen-te un percorso educativo da compie-re per pervenire all’autentico sviluppo dell’uomo. Collocandosi in questa pro-spettiva il Papa sostiene che negli in-terventi per lo sviluppo va fatto salvo il principio della centralità della persona umana. Afferma anche che a livello in-ternazionale la più ampia e produttiva solidarietà è quella che si esprime «in-nanzitutto nel continuare a promuove-re, anche in condizioni di crisi economi-ca, un accesso all’educazione, la quale, d’altro canto, è condizione essenziale per l’efficacia della stessa cooperazio-ne internazionale»7.

A questa affermazione segue una precisazione del significato del termine “educazione” con il quale «non ci si rife-risce solo all’istruzione o alla formazio-ne al lavoro, entrambe cause importan-ti di sviluppo, ma alla formazione com-pleta della persona. A questo proposito va sottolineato un aspetto emblemati-co: per educare bisogna sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura»8.

A questo proposito il Pontefice rileva che oggi l’affermarsi di una visione re-lativistica della natura dell’uomo «pone seri problemi all’educazione» e soprat-tutto a quella morale pregiudicando sia la realizzazione personale sia «l’esten-sione a livello universale» e lo sviluppo di tutti gli uomini.

Questa visione relativistica della natura dell’uomo pone problemi anche al dialogo interculturale e determina il rischio di sostituirlo con un ecletti-smo o con un appiattimento e quindi con l’omologazione dei comportamenti

7 Cfr. CIV, 61.8 Ibidem.

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che convergono «nella separazione delle culture dalla natura umana riducendo l’uomo a solo dato culturale»9.

Di fatto oggi vengono a mancare cer-tezze essenziali sulle quali può basar-si un’azione educativa volta a promuo-vere la realizzazione di tutto l’uomo, il cui sviluppo integrale, «risposta ad una vocazione di Dio creatore, domanda il proprio inveramento in un “umanesimo trascendente”», che conferisce all’essere umano «la “sua più grande pienezza”10. La vocazione cristiana a tale svilup-po riguarda dunque sia il piano natu-rale sia quello soprannaturale; motivo per cui, “quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il ‘bene’ comincia a svanire”»11.

Per educare è quindi indispensabile conoscere la persona umana e, a questo proposito, il Papa si richiama all’antro-pologia cristiana la quale, ispirandosi «all’evento della rivelazione»12 e conce-pendo l’uomo come creatura di Dio, può sostenere un’azione educativa capace di aiutarlo a coltivare la sua umanità e la sua creaturalità.

Si tratta di un’antropologia che so-stiene il primato dell’essere sulla cono-scenza e il primato della vita sulla teo-ria e quello della carità sulla verità le quali costituiscono un dono e si inte-grano vicendevolmente e sostengono,

9 Ivi, II, 26.10 Cfr. Paolo VI, Populorum Progressio, 26

marzo 1967, 10, 265.11 Benedetto XVI, Discorso ai giovani al molo

di Barangaroo, in «L’Osservatore Romano», 18 luglio 2008, p. 8. Cfr. anche CIV, I, 18.

12 Cfr. F. Attard, L’emergenza educativa. L’im-pegno della Chiesa e il recente magistero cattolico, in «Itinerarium», n. 44, gen.-apr. 2010, p. 13.

orientano e rendono possibile l’educa-zione la cui realizzazione è legata alla natura relazionale dell’uomo. In que-sta prospettiva la relazione è «eleva-ta a criterio conoscitivo e costruttivo della realtà umana in generale», è co-essenziale all’educazione e si configu-ra come una categoria che postula «un approfondimento critico e valoriale» il quale non può essere effettuato soltan-to «dalle sole scienze sociali, in quan-to richiede l’apporto di saperi come la metafisica e la teologia, per cogliere in maniera illuminata la dignità trascen-dente dell’uomo».

A questo proposito nella CIV si leg-ge che «la creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle re-lazioni interpersonali». Pertanto l’uomo più «vive in modo autentico» le relazio-ni più matura «la propria identità per-sonale. Non è isolandosi che l’uomo va-lorizza se stesso, ma ponendosi in rela-zione con gli altri e con Dio. L’importan-za di tali relazioni diventa quindi fon-damentale. Ciò vale anche per i popoli. È, quindi, molto utile al loro sviluppo una visione metafisica della relazione tra le persone»13.

A questa relazione si collega la co-struzione della comunità degli uomini la quale «non assorbe in sé la persona annientandone l’autonomia, […], ma la valorizza ulteriormente, perché il rap-porto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto»14.

Si tratta di una relazionalità che tro-va «un’illuminazione decisiva nel rap-porto tra le Persone della Trinità nell’u-nica Sostanza divina. La Trinità è asso-

13 Cfr. CIV, V, 53.14 Ibidem.

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luta unità, in quanto le tre divine Per-sone sono relazionalità pura. La traspa-renza reciproca tra le Persone divine è piena e il legame dell’una con l’altra totale, perché costituiscono un’assolu-ta unità e unicità. Dio vuole associare anche noi a questa realtà di comunione: “perché siano come noi una cosa sola” (Gv 17, 22)»15.

Prospettive e proposte educative

In coerenza con la certezza che l’uo-mo «si realizza nelle relazioni interper-sonali» l’educazione che il Papa propone è un atto d’amore, esercizio della “carità intellettuale” che richiede responsabili-tà, dedizione e coerenza di vita, è infat-ti «aperta alla verità da qualsiasi sape-re provenga»16.

È un’educazione che postula una re-lazione tra chi educa e chi è educatore e che ha come modello quella che inter-corre «tra Dio e il suo popolo, di Dio che cammina con il Suo popolo e lo educa»17.

È un’educazione che è illuminata dalla ragione e dalla fede, che è quindi attenta alla conquista della cultura ed alla promozione della capacità di pro-durla, alle esperienze e alla razionalità educativa, alla ricerca della verità che va cercata, trovata ed espressa nell’«e-conomia della carità», la quale a sua volta va compresa, «avvalorata e pra-ticata nella luce della verità» in vista

15 Ivi, V, 54.16 Ivi, Introduzione, 9.17 Cfr. S.S. Macchietti, La pedagogicità della

Caritas in Veritate, in Aa.Vv., Educare tra scuola e formazioni sociali, Atti del XLIX Convegno di Scholé (Brescia, 9-10 settembre 2010), La Scuola, Brescia, 2011, pp. 220-223.

dell’unificazione degli uomini «secon-do modalità in cui non ci sono barriere né confini»18.

È quindi un’educazione che allarga gli orizzonti della razionalità, che mira a purificare la ragione e che, attingen-do alla sapienza divina, «getta luce sul-la fondazione della moralità e dell’etica umana» e la pone nella logica del dono e del perdono, tenendo desta la sensi-bilità dell’uomo per la verità e per il bene, orientando alla conquista delle virtù umane e cristiane e della “libertà responsabile”19.

Questa educazione può promuove-re la “città dell’uomo” perché esige re-lazioni di gratuità, di misericordia e di comunione e si ispira all’amore di Dio, conferendo «valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo»20.

18 Cfr. CIV, III, 34.19 Ivi, I, 17; IV, 48; VI, 70.20 Ivi, Introduzione, 6.

Da destra E. Marino (Presidente Proloco di Praia), L. Smeriglio (università di Messina) e G. Serio (Presidente Associazione Amici dell’uomo) 1977.

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Scuola, “saperi”, “educazioni”, “Cittadinanza e Costituzione”

di LUCIANO CORRADINI*

RiassuntoLa scuola può essere intesa, vissuta e

analizzata, come edificio più o meno ac-cogliente e funzionale, come istituzione più o meno efficiente e autorevole, come servizio sociale più o meno apprezzato, come organizzazione più o meno bene disegnata e gestita, e infine come co-munità educativa. Nella massa casua-le, nello Stato come impersonale appa-rato di norme o addirittura nel carcere o nell’ospedale di solito non ci si sente identificati o appartenenti; nella comu-nità scolastica questo è possibile, a cer-te condizioni, che andrebbero esplorate e possibilmente favorite.

AbstractSchool can be regarded, lived and

analysed, as a more or less welcoming and functional building, as a more or less efficient and influential institution, as a more or less appreciated social ser-vice, as a more or less well designed and managed organization, and finally as an educational community. In the ca-sual mass , in the State as an imper-sonal system of rules or even in prison or hospital usually we do not feel identi-fied or belonging; in the school commu-nity this is possible, under certain con-ditions, which should be explored and possibly fostered.

Modelli e fini della scuola

La scuola moderna ha assunto, negli ultimi due secoli, il carattere di istitu-zione burocratica (non necessariamen-te nell’accezione peggiore), per l’omoge-neità formale delle sue procedure, per la validità dei titoli che rilascia, per i con-trolli che impone, per le strutture ope-rative che utilizza: strutture costituite da insegnanti specializzati e seleziona-ti dallo Stato, alunni divisi per classi e ospitati in aule, contenuti d’insegna-mento graduati e scelti entro certi li-miti dal Ministero, orari prestabiliti, le-zioni, interrogazioni, compiti in classe, compiti a casa, scrutini e/o esami finali. Questo modello ha una sua semplicità organizzativa, anche se presenta mol-ti inconvenienti sul piano pedagogico e didattico. Benché le norme relative alla scuola, a partire dagli anni ’70, abbiano autorizzato e talora favorito innovazio-ni sul piano dei contenuti, dei metodi, delle modalità organizzative, attraverso la partecipazione, la sperimentazione, l’autonomia scolastica, le nuove tecno-logie, lo schema di fondo resiste.

Si può dire che si siano imposti, nel-lo scorso mezzo secolo, tre modelli di scuola: quello centralistico-burocratico, quello partecipativo -democratico e infi-ne quello autonomistico- manageriale. Il tentativo che fanno oggi molte perso-ne di buona volontà è quello d’innovare senza rinunciare alle conquiste prece-denti: ossia a un certo grado di unifor-

* Professore emerito di Pedagogia generale nell’U-niversità di Roma Tre.

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mità dei contenuti e delle procedure di valutazione, ad una sia pur debole par-tecipazione dei soggetti interessati alla scuola, per garantirle consenso e linfa vitale, e all’agilità gestionale e alla re-sponsabilità che sono tipiche del mon-do aziendale.

Alcuni pensano che questo schema sia ormai “fuori mercato”, ossia non più capace di garantire la sopravvivenza della scuola, dati i profondi mutamen-ti sociali e culturali del mondo contem-poraneo; altri, pur vedendone i limiti e i rischi, ritengono che non sia il caso di pensare a “descolarizzare” la società, se si può ancora far qualcosa per “socializ-zare la scuola”, ossia per rendere que-sta istituzione più abitabile e più effi-cace, in riferimento alle finalità genera-li proposte dalla Costituzione italiana del 1947. Questi fini, richiamati anche dalla normativa più recente (si pensi al dpr 275/1999 sull’autonomia scolastica e al dpr 235/2007 sullo statuto delle stu-dentesse e degli studenti), riguardano l’istruzione, l’educazione, la formazione.

È vero che la società è come un mare agitato da venti contrapposti e che il sa-pere diviene sempre più complesso, la costellazione dei valori sempre meno vi-sibile, l’approdo alla vita professionale dei giovani sempre più problematico. È vero anche che non mancano insegnan-ti e studenti a dir poco afflitti da demo-tivazione e da “mal di mare”. Tuttavia sembra più utile riparare la nave-scuo-la, prima di abbandonarla, se come al-ternativa si può contare solo su preca-rie scialuppe e su un limitato numero di salvagente.

Ricordo una frase scritta dai ragazzi di Agrigento, in occasione del Progetto Giovani 1993: “Non abbiamo strutture: usiamo la testa!”.

Nelle aule e durante le ore scolasti-che, accanto al buon grano di un ap-prendimento valido e gratificante cre-scono anche le erbacce della noia, della superficialità, del non senso. Per quanto taluni, per semplificarsi il compito, cer-chino di ridurre le scuole ad “apprendi-toi” e a “esamifici”, i problemi personali e sociali non cessano di riproporre, nel bene e nel male, la problematica edu-cativa, in tutta l’ampiezza delle sue di-mensioni e dei suoi ambiti. Il bisogno di verità, di bellezza, di pulizia, di compe-tenza civica, prima o poi viene fuori an-che nella scuola, quando si insegnano e si studiano “le materie” e quando si par-la fra amici, quando si legge un giorna-le, si guarda la TV, si naviga in internet.

In sede teorica si dibatte fra i so-stenitori dell’istruzione, o dei saperi e i sostenitori delle educazioni: queste si sono fatte strada nella scuola, in virtù di leggi e di circolari ministeriali che hanno spostato l’attenzione volta a vol-ta sui diritti umani, sulla salute, sulla sessualità, sull’intercultura, sulla le-galità, sulla circolazione stradale, sul-la cittadinanza, fino alla prevenzione della ludopatia, che appare oggi come una nuova droga. In astratto, e senza impegnarsi in questioni architettoni-che troppo complicate, si capisce che non può esserci vera alternativa fra sa-peri e educazioni, perché, come abbia-mo ricordato, la scuola ha il compito di istruire, educare e formare. Queste fun-zioni si svolgono non solo “imparando le materie”, ma anche svolgendo attivi-tà tali che facciano crescere studenti e docenti, come quell’erba che cresce fra un mattone e l’altro o trasversalmente sui diversi mattoni, come fanno le pian-te rampicanti. Occupiamoci ora prima dei mattoni, poi dell’erba.

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Discipline scolastiche, itinerari for-mativi, valori e competenze

Le discipline, presenti nella scuola come materie d’insegnamento e appren-dimento, elencate secondo un tradizio-nale ordine d’importanza nelle pagelle, concorrono alla trasmissione-elabora-zione dei “saperi” delle nuove genera-zioni, che attingono anche ad altre fon-ti di conoscenza e di esperienza. Sepa-rati più o meno artificiosamente nelle singole discipline, ma di fatto intercon-nessi, questi saperi diventano formativi se vengono non semplicemente somma-ti, ma integrati, elaborati, assimilati, in termini culturali, personali, esistenzia-li, ossia se diventano sapere e, più pro-fondante, sapienza.

Diciamo educazione scolastica il pro-cesso dialogico attraverso il quale si re-alizza l’elaborazione personale delle di-scipline e dei saperi, ossia la trasforma-zione dei dati, delle informazioni, delle conoscenze, delle esperienze, dei valo-ri che le caratterizzano, in nutrimento di personalità consapevoli, responsabi-li, capaci di affrontare al meglio le pro-blematiche personali, civiche e profes-sionali della vita.

Fra l’informazione, l’istruzione, l’e-rudizione, la conoscenza, la scienza, la competenza e la sapienza c’è un diffici-le percorso che, da Platone ad Agosti-no a Dante a Rousseau a Delors, si può chiamare “viaggio interiore”: in termi-ni scolastici questo è il curricolo, ossia quel processo in parte programmato e verificato d’insegnamento e apprendi-mento che conduce verso il traguardo del “successo formativo”. Questo suc-cesso solo riduttivamente si può iden-tificare col punteggio ottenuto nei test finali e col titolo di studio. In effetti ac-

canto al curricolo formale, c’è un curri-colo nascosto, che non è meno importan-te per dare vita e forza al primo. Questo secondo curricolo è come un albero che affonda le radici nel buon terreno dei “mondi vitali” (famiglia, chiesa, gruppi giovanili, culturali, sportivi o di volon-tariato…), ma che può anche intercet-tare il terreno inquinato della crimina-lità e del vizio: sicché per certi aspetti il curricolo nascosto, e cioè non forma-le e non scolastico, è formativo, per al-tri deformativo.

Questo viaggio interiore che è sim-bolico ma anche esistenziale e reale, non è un’allegra passeggiata, perché i “luoghi” che si debbono attraversare, da quelli esteriori a quelli interiori, presen-tano oscurità e alternative in cui è faci-le smarrirsi. Da Abramo a Ulisse, dalla caverna platonica alla selva dantesca, la situazione di partenza è dura e quel-la di arrivo incerta.

Tutte le risorse interiori sono chia-mate in causa: l’itinerario del sapere ha forti implicazioni religiose, vocazionali, etiche, che non tutti riescono a ricono-scere e a mobilitare: il sapere, più che una facile scoperta, è una dura conqui-sta, per la quale, come insegna una tra-dizione millenaria, occorrono aiuti che vengano dall’alto, o almeno da maestri saggi e sapienti come Virgilio, il “savio gentil che tutto seppe”.

Il quale solo al termine di un itinera-rio che è stato insieme conoscitivo e spi-rituale ha potuto dare a Dante la dupli-ce laurea della piena maturità umana: “Non aspettar mio dir più, né mio cenno: libero, dritto e sano è tuo arbitrio, e fallo fòra non fare a suo senno: perch’io te so-vra te corono e mìtrio”(Purg., 139-142). In sostanza: ormai sei cresciuto in cono-scenza e in responsabilità, sei padrone

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(papa e re) di te stesso: sbaglieresti a non seguire la tua coscienza. Lo squal-lore e il degrado di certa attuale vita di scuola non deve indurci a dimenticare questo archetipo aristocratico, ascetico ed eroico della crescita culturale, che consente finalmente un uso etico della libertà, frutto del dialogo educativo. Al vertice degli studi non c’è solo un buon mestiere ben pagato (condizioni che non dipendono esclusivamente da noi), ma c’è anche autonomia personale, da eser-citarsi con “senno”.

Si tratta, in Omero e in Dante, di una rappresentazione ben più forte e drammatica della contemporanea “na-vigazione su internet”, facilitata da uno dei “motori di ricerca”, che ha preso il nome dell’antico poeta latino (appun-to virgilio.it). Eppure anche nella na-vigazione nel cyberspazio si pongono problemi non dissimili da quelli alle-gorizzati nell’Odissea omerica, nell’E-neide virgiliana e nella Commedia dan-tesca. Il richiamo all’immaginario pre-sente in quelle “grandi narrazioni” che sono all’origine della nostra civiltà e che hanno fornito a molte generazioni punti di riferimento ideali e simbolici, ci dice per esempio che cosa stiamo perdendo e dove dobbiamo ricostruire, per non re-stare impigliati nella selva della com-plessità disorientante del nostro tempo.

Certo, il sapere nella società secola-rizzata, tecnologica e globalizzata è an-che una risorsa utile alla produzione e al consumo: una risorsa che si può an-che comprare e vendere, con maggiore o minore fatica, se si è motivati e ca-paci di entrare nel grande circuito del-la competizione per conquistare i posti più pregiati nel mondo delle professioni.

Si possono però imparare le scienze e le tecniche senza crescere in umanità.

Non smarrire, nel turbinio delle avven-ture, la nostalgia di Itaca e il dovere di fondare Roma, comporta qualcosa di più dei linguaggi e delle tecniche: fra l’altro comporta strumenti critici e morali atti a tenere sotto controllo per quanto pos-sibile, nell’imprevedibilità degli eventi, l’ideologia, l’odio, la violenza e la sete di potere. Si confrontano ancora il sa-pere a pagamento dei sofisti, per fare carriera, e quello gratuito di Socrate, per diventare migliori. L’Occidente si regge sull’uno e sull’altro. Senza etica, anche gli affari prima o poi crollano: e se anche non crollassero, quelli non sa-rebbero veri affari.

D’altra parte è difficile pensare che si diventi eroi e santi, o vigliacchi e cri-minali solo in virtù dei programmi d’in-segnamento e della saggezza o dell’i-gnavia dei propri maestri. Alessandro fu discepolo di Aristotele, Giuda Isca-riota di Gesù e Nerone di Seneca. Ma talora si cresce anche liberandosi del peso dei propri padri e dei propri mae-stri: per Aristotele, amicus Plato, ma-gis amica veritas.

Un curricolo equilibrato per una proposta educativa aggiornata

Se non esistono ingredienti capaci di per sé di “produrre” personalità colte, sagge e mature, non si può negare, non foss’altro a partire dalla propria per-sonale esperienza, che la qualità degli apprendimenti scolastici, lo spirito e la testimonianza con cui questi vengono proposti, abbiano qualche influenza nel-la costruzione degli atteggiamenti e di comportamenti giovanili. E non si può dire che tutto ciò che serve a crescere si trovi solo nell’ambito delle discipline

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e di coloro che le professano. Qualità, spirito e testimonianza han-

no a che fare con i valori: i quali non sono pillole che facciano crescere i mu-scoli dell’intelligenza e della volontà, ma deboli luci che orientano la navigazione, voci non sempre gradevoli, come quella del collodiano Grillo parlante che, nono-stante la sua saggezza, finì “stecchito e appiccicato alla parete.” E tuttavia Col-lodi, alla fine della storia, lo fa risorge-re come voce orientante e illuminante, in un Pinocchio trasformato in uomo.

Nell’era dell’accesso alle reti, delle neuroscienze, del cognitivismo, possia-mo ancora parlare di personalità mo-rale, di affetti, di volontà, di responsa-bilità? Mi limito, a questo proposito, a citare Howard Gardner, una delle voci più intonate della contemporanea ri-cerca sull’intelligenza umana e sul ruo-lo dell’educazione e della scuola: “In un momento come questo, contrassegnato dalla rapidità dei cambiamenti e dal venir meno di ogni distinzione netta ed evidente tra “buoni” e “cattivi”, inol-tre, è diventata più frenetica la ricerca di modelli di umanità. Questa fame ha alimentato gli sforzi di molti per una definizione più ampia di intelligenza.

“Tradizionalmente per ”intelligen-za” si intendeva “attitudine alle materie scolastiche e all’acquisizione delle abi-lità insegnate scuola”. Coloro che aspi-rano a far valere una visione più ampia dell’intelligenza - e che quindi parlano di intelligenza personale, di intelligen-za emozionale, di intelligenza morale e di saggezza - sostengono concordemen-te che non si può ridurre l’intelligenza alla facilità di apprendere certe disci-pline di base e di risolvere certi tipi di problemi. Non basta che le persone si-ano in grado di analizzare; occorre an-

che che operino con giustizia. Non ba-sta che sappiano pensare o siano creati-ve; occorre che siano ammirevoli anche come esseri umani. Personalmente sot-toscrivo il motto di Emerson: “Il carat-tere è più importante dell’ intelligenza” (H. Gardner, Sapere per comprendere, tr. it., Feltrinelli, Milano 1999, p. 264).

Il che pone problemi di notevole dif-ficoltà, perché essere giusto non è come saper calcolare il volume della sfera o recitare una poesia. Essere ammirevo-le non significa solo vincere un concorso di bellezza o avere la moto più grossa. Il carattere non si può costruire e misurare come la velocità nella corsa o la rapidità nella risoluzione di un problema. Non per questo si può rimuovere o non conside-rare tutto ciò che non è conoscibile e svi-luppabile con evidenza matematica. Mol-ti delinquenti sono maestri nell’uso della matematica e del diritto. L’educazione si occupa, sia pure nel rispetto della liber-tà delle persone, non solo del possesso di certe conoscenze e di certe tecniche, ma anche dell’uso che se ne fa. Ed è a que-sto proposito che si parla in senso pieno di competenze, intendendo conoscenza, abilità tecnica e responsabilità sociale.

Intanto teniamo fermo un principio: occuparsi di educazione della personali-tà nella scuola non è impossibile, arbi-trario, illegittimo. La ricerca sarà lun-ga ed esposta ad approssimazioni e for-se ad errori. Ma non è giusto attendere d’aver risolto tutti i problemi ideologi-ci, epistemologici e metodologici per co-minciare a programmare e a valutare tenendo conto, per quanto possibile, e con tutta la prudenza e la discrezione necessarie, ma senza rimozioni o censu-re, dei risvolti affettivi, relazionali, eti-ci e comportamentali della personalità dei ragazzi, offrendo loro stimoli, aiu-

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to e spazi di cittadinanza attiva. Il che chiama in causa la questione dei valo-ri, su cui non si può non soffermarsi.

Ho sott’occhio due saggi, uno di Lui-gi Zoja, dal titolo La morte del prossimo, Einaudi, Torino, 2009, l’altro del CEN-SIS, presentato dal suo segretario ge-nerale Giuseppe De Rita, dal titolo I va-lori degli italiani. Dall’individualismo alla riscoperta delle relazioni, CENSIS, Marsilio, Venezia 2012. L’approccio del primo è psicanalitico, quello del secondo sociologico. Zoja vede nell’uomo metro-politano un individuo non più connes-so con i vicini, ma con i lontani: si par-la col cellulare o col computer, ma si di-venta sempre più indifferenti ed estra-nei nei confronti dei vicini, che perdo-no di consistenza.

De Rita, a conclusione di un’ampia indagine sociologica, rileva che la pros-simità non è scomparsa: il 43,4% defini-sce il suo vicinato una comunità in cui tutti si conoscono, si frequentano e, se necessario, si aiutano. Il 26% degli ita-liani (poco più di 13 milioni) svolge at-tività di volontariato. Mi limito a questi cenni per notare che, secondo De Rita, si vanno lentamente avvicinando l’élite che è stata protagonista di gran parte della storia patria, dal Risorgimento al fascismo, e il popolo, che è stato inve-ce protagonista della lunga corsa al be-nessere della fase democratica. La cro-naca presenta in proposito testimonian-ze contrastanti. Da un lato tende a dila-tarsi la “forbice” che esiste da secoli fra il popolo e le istituzioni, con particola-re riferimento alla classe politica e alle “caste” di privilegiati; dall’altro si scorge un tessuto nuovo, che si viene formando sottola crosta della corruzione, del car-rierismo e della violenza. A scuola la perdita di prestigio e di autorità di in-

segnanti e dirigenti, il bullismo, la vol-garità non dilagano ovunque. C’è anche una buona scuola, diffusa più di quanto lasci intendere la cronaca giornalistica.

C’è da chiedersi se la scuola sia vis-suta anche, almeno in parte, come co-munità educativa, in cui si sviluppino sentimenti e riflessioni di empatia, di rispetto, appartenenza e di partecipa-zione. Tutto questo consente di produr-re e di conservare, in vista del difficile futuro verso il quale stiamo andando, uno spirito di amicizia e di fiducia re-ciproca fra ex alunni, che costruiscano un prezioso “capitale sociale”. Occorre insomma un’alternativa sia alla solitu-dine di individui isolati o superficial-mente collegati con facebook, sia alle reti del malaffare.

Chiediamoci adesso se ci sono pun-ti di riferimento, documenti, norme che aiutino a connettere i vissuti di oggi con i valori di verità, di giustizia, di meri-to, di solidarietà, senza i quali è diffici-le orientarsi e superare le fatiche e le frustrazioni che accompagnano la no-stra vita, in famiglia, a scuola, nelle as-sociazioni e nella vita sociale e politica. La mia risposta è che questi strumenti ci sono e sono utili, se si impara a uti-lizzarli, come si farebbe con la bussola e con le carte nautiche.

Una luce orientante per la vita sco-lastica e per la vita sociale

Il tema dell’educazione sociale e ci-vica, ai diritti umani e alla cittadinan-za, è molto sentito a livello internazio-nale, come dimostra una copiosa produ-zione di documenti delle Nazioni Uni-te, dell’UNESCO, dell’OMS, del Consi-glio d’Europa e dell’Unione Europea. Il

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Consiglio d’Europa ha avviato impor-tanti progetti di educazione alla citta-dinanza democratica; il Parlamento e il Consiglio dell’Unione europea hanno prodotto, nel 2006, un’autorevole Rac-comandazione sulle competenze chiave per la cittadinanza europea. L’Italia ha dedicato al tema una recente legge del-lo Stato (l.30.10.2008, n. 169), che nel 1° articolo impegna la scuola ad assi-curare, “nel primo e nel secondo ciclo, l’acquisizione delle conoscenze e compe-tenze relative a Cittadinanza e Costi-tuzione, nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse”.

In sostanza la legge indica nella Co-stituzione un patrimonio di conoscenze necessarie per acquisire le indispen-sabili competenze di cittadinanza, che comprendono oggi gli ambiti locale, re-gionale, nazionale, europeo e mondia-le. Per “navigare” in questi ambiti oc-corrono conoscenze e competenze mol-teplici, che trovano nella Costituzione una “bussola” efficace.

La CM 86/2010 precisa che “l’inse-gnamento/apprendimento di Cittadi-nanza e Costituzione è un obiettivo ir-rinunciabile di tutte le scuole”, e che “è un insegnamento con propri contenuti, che devono trovare un tempo dedicato per essere conosciuti e gradualmente approfonditi”: tale insegnamento im-plica sia una dimensione integrata alle discipline dell’area storico-geografico- sociale, con ovvie connessioni con filo-sofia, diritto, economia, sia una dimen-sione trasversale, che riguarda tutte le discipline.

Questa scelta corrisponde a quan-to richiesto dalle Indicazioni naziona-li (dpr 15.3.2010 n.89), riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento.

Nella premessa ai programmi di storia dei nuovi Licei si dice che “uno spazio adeguato dovrà essere riservato al tema della cittadinanza e della Costituzione repubblicana, in modo che, al termine del quinquennio liceale, lo studente co-nosca bene i fondamenti del nostro or-dinamento costituzionale, quali espli-citazioni valoriali delle esperienze sto-ricamente rilevanti del nostro popolo, anche in rapporto e confronto con al-cuni documenti fondamentali (solo per citare qualche esempio, dalla Magna Charta libertatum alla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’A-merica, dalla Dichiarazione dei dirit-ti dell’uomo e del cittadino alla Dichia-razione universale dei diritti umani)”.

Espressioni simili sono utilizzate dalle Indicazioni nazionali relative agli Istituti tecnici e professionali (dpr 15. 3. 2010, nn. 87 e 88).

Nonostante queste impegnative af-fermazioni le ore a disposizione per l’a-rea storico-geografica, storico-sociale, storico-filosofica e giuridico-economica, dove esiste, non sono aumentate come la commissione ministeriale che ho pre-sieduto aveva proposto: anzi, i deciso-ri non hanno nemmeno citato “cittadi-nanza e Costituzione” accanto alla sto-ria, che, dal 1958, era affidata a un in-segnamento dal titolo “storia e educa-zione civica”.

E tuttavia il problema resta, sul pia-no pedagogico culturale, non meno che sul piano istituzionale.

Due strumenti didattici

Una messa a punto di questa proble-matica e delle prospettive per affrontar-la validamente all’interno delle attuali

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ristrettezze di orario abbiamo tentato nel libro L. Corradini (a cura di) Citta-dinanza e Costituzione. Disciplinarità e trasversalità alla prova della speri-mentazione nazionale Una guida teori-co-pratica per docenti, Tecnodid, Napo-li, 2009. Si esaminano quasi tutte le di-scipline scolastiche, dal punto di vista della didattica interdisciplinare e tra-sversale, in funzione delle competenze sociali e civiche.

Col collega Andrea Porcarelli, che ha fatto parte della citata commissione mi-nisteriale, abbiamo cercato di rivolger-ci anche agli studenti del secondo ciclo, con un libro il più possibile chiaro, sin-tetico e colloquiale, per offrire loro uno strumento utile ad orientarsi nella vita e nella cultura contemporanea e a co-struire la loro identità personale e ci-vile, in un tempo di oscuramento degli ideali e di sfiducia nella scuola e nella politica. Le nozioni sono presentate in un contesto di senso che ne consenta la comprensione e la discussione, in dia-logo con tutte le discipline scolastiche.

Il libro, che ha per titolo Nella no-stra società. Cittadinanza e Costituzio-ne, SEI, Torino 2012, propone ai giovani una sorta di visita guidata alla “galle-ria” dei 139 articoli della Costituzione, per coglierne le implicazioni di carat-tere storico, etico, giuridico, politico, in modo da facilitare in loro la scoperta e la valorizzazione del “tesoro” che i “pa-dri costituenti” hanno costruito intorno alla metà del secolo scorso.

Il primo capitolo inizia il dialogo con i lettori esplorando per così dire dall’alto lo scenario storico in cui sono maturati i diritti di cittadinanza, a partire dall’e-tà antica. Nei successivi si presentano e si commentano i nodi fondamentali del testo costituzionale. Il libro intende va-

lorizzare ciò che di vivo e di essenziale gli studenti possono incontrare nel cor-so dell’adolescenza e nell’itinerario for-mativo della scuola secondaria superio-re, fornendo loro criteri di lettura della realtà, e indicando prospettive d’impe-gno di cittadinanza attiva.

I glossari hanno il compito di accom-pagnare lo studente, offrendogli nel cor-so della lettura definizioni e spiegazioni dei termini più tecnici o più difficili. I laboratori consentono di “fare il punto” sui temi trattati al termine di ogni capi-tolo e si strutturano in due tipologie di esercizi: esercizi a schema chiuso, per verificare alcune delle conoscenze fon-damentali, ed esercizi a schema aperto, collaborativi e creativi, per consentire di mettere in atto, nei contesti concre-ti delle diverse classi, le proprie com-petenze culturali in ordine alla cittadi-nanza e in rapporto alla Costituzione.

Un sito apposito dell’Editrice SEI of-fre materiale da utilizzarsi on line, per la documentazione e per l’approfondi-mento dei temi. Il profilo e i libri dell’A. sono leggibili e scaricabili nel sito www.lucianocorradini.it

Qualeducazioneè una rivista

internazionale di pedagogia fondata da

Giuseppe Serio

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Dialogare per cooperaredi

GAETANO MOLLO*

“Il dialogo richiede che abbandoniamo le nostre posizioni,

per entrare in quelle dell’altro.Quanto più mi do all’altro,

tanto meglio conosco me stessotanto più acquisto un’identità unica”

L. Dupré

RiassuntoIl processo di comprensione recipro-

ca fra persone, fra popoli, fra culture e fra continenti costituisce, oggi, la gran-de sfida pedagogica. Al centro di ogni situazione volta alla cooperazione deve, pertanto, esserci sempre il dialogo. Una società della cooperazione richiede una socialità estesa, alimentata da un’etici-tà profonda. Vanno sollecitati tutti gli aspetti di una relazionalità ampia. At-traverso il procedimento dialogico può essere attivato un atteggiamento coope-rativo, basato su tre elementi: a) l’accet-tazione incondizionata di ogni persona; b) il rispetto profondo della diversità; c) il fondamentale senso della correspon-sabilità. Ascoltare in profondità richie-de il sintonizzare il proprio animo sulle lunghezze d’onda della persona in dif-ficoltà e delle situazioni problematiche. Questo richiede che non ci si fermi a un ascolto emotivo e neppure ci si limiti a un ascolto ideologico, ma ci si apra a un ascolto patetico.

AbstractThe process of mutual understan-

ding between people, cultures and con-tinents is, today, the great pedagogical challenge. At the center of every coope-rative situation must always be dialo-gue. A society of cooperation requires an extensive sociality, fueled by a deep ethic. For this reason should be promo-ted all aspects of a large relationali-ty. Through the process of dialogue we could trigger a cooperative approach ba-sed on three elements: a) the uncondi-tional acceptance of each person, b) the profound respect for diversity, c) the fun-damental sense of shared responsibility. Listen in depth requires tune your mind on the wavelength of the person in di-stress and problematic situations. This requires us not to stop to an emotional listening, nor limit ourselves to an ide-ological listening, but open to a pathe-tic listening.

La società della cooperazione

Oggi non è più possibile rinchiudersi nel proprio mondo. Siamo tutti interdi-pendenti. La nostra stessa personalità – così come William Kilpatrick ha ben messo in evidenza – costituisce contem-poraneamente un bene personale e un contributo sociale.

Così pure, si deve considerare – as-sieme a Edgar Morin – che è necessa-ria una riforma del pensiero, consisten-te nel riunire ciò che si presenta sepa-* Ordinario di Pedagogia, Università di Perugia.

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ratamente. Tuttavia, è necessario ri-uscire anche a trascendere il pensare nell’incertezza, scorgendo un orizzonte di senso che permetta di affrontare le incognite del futuro, delineando, attra-verso una progettualità costruttiva, le visioni dell’avvenire.

Il processo di comprensione recipro-ca fra persone, fra popoli, fra culture e fra continenti costituisce, oggi, la gran-de sfida pedagogica. Se Jeremy Rifkin prospetta una civiltà dell’empatia – la cui grande ondata empatica ha avuto origine con la venuta del Cristo –, con-dizione per lo sviluppo di una “coscien-za biosferica”1, si deve poter costituire un modello cooperativo fra persone, fra comunità e sul piano internazionale, per poter produrre un “sistema a rete”, capace di soppiantare la gerarchia e la separazione netta di funzioni, caratte-ristica del “sistema piramidale”.

Si tratta di formare una coscien-za transpersonale, ossia una coscienza che riesca a trascendere l’individuali-smo e superare il separatismo, espres-sioni queste di uno sguardo corto, in-capace di scorgere con lungimiranza i grandi orizzonti dell’avvenire. Questo richiede la capacità di decentrarsi e di riconoscersi nel diverso, nel distante e nel difforme, ossia in tutte le forme di vita di cui è costituita l’umanità. Da tale tipo d’impostazione può scaturire un “modello cooperativo”, che conside-ri la diversità una ricchezza e non una questione di superiorità e inferiorità2.

La mentalità della cooperazione può

1 Cfr. J. Rifkin, La civiltà dell’empatia, tr. it., Mondadori, Milano 2011.

2 Cfr. G. Mollo, La civiltà della cooperazione, Morlacchi, Perugia 2012.

sconfiggere la continua conflittualità e la selvaggia competizione. Si devono poter apprendere i due registri relazio-nali, che Paul Ricoeur individua nella “pedagogia privata” – quale si scopre e si esercita nell’amicizia e nei rapporti col prossimo – e nella “pedagogia pub-blica” – dove si possono apprendere il rispetto delle leggi e delle regole asso-ciative. Da qui l’importanza che assu-me l’amicizia morale, per la formazione delle virtù dell’apertura mentale, della disponibilità collaborativa, dell’ascolto e dell’aiuto3.

Solo in una visione edificante e di superiore utilità dell’unificazione, ciò che costituisce la tensione di armoniz-zazione e la consapevolezza del torna-conto di benessere personale e per tutta l’umanità può ispirare le vie della coo-perazione e dell’armonizzazione. Da ciò l’importanza dell’ incontrarsi e del dia-logare, per scoprire ciò che può essere compreso eticamente e condiviso social-mente, portando alla cooperazione e ge-nerando corresponsabilità.

Si può, quindi, parlare di un vero e proprio “paradigma del cooperare”, ba-silare per determinare un modo d’asso-ciarsi partecipe e responsabile. Tale as-sociarsi, nella mentalità della post-mo-dernità, si presenta ben diversamente dall’associarsi funzionalistico e strumen-tale della modernità: si tratta di un asso-ciarsi non fondato sull’utilitarismo, ma sul riconoscimento del valore delle emo-zioni e dell’importanza dei sentimenti.

Dalla considerazione e constatazione del valore e della funzione del gruppo, di-scende l’utilità e la necessità di dover ap-

3 Cfr. G. Mollo, Aspetti pedagogici nel pensiero di Paul Ricoeur, in “Pedagogia e Vita”, n. 5-6, settembre-dicembre 2009, pp. 83-98.

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prendere le varie modalità della vita so-ciale in situazioni culturali e lavorative di cooperazione. In questa prospettiva, il cooperative learning costituisce quel-la forma sociale di apprendimento di re-gole e di modalità operative, attraverso la condivisione di un progetto e la colla-borazione alla sua realizzazione. Attra-verso di esso si può attivare un auten-tico “sistema a rete”, caratterizzato dai seguenti aspetti: a) i rapporti e le rela-zioni sono sia verticali sia orizzontali; b) si può passare da un sottogruppo a un altro con una certa libertà; c) ogni mem-bro può apportare, nelle sedi e momenti opportuni, il proprio contributo; d) c’è un centro della rete, dove convergono le idee di tutti e si prendono le decisioni da par-te della leadership; e) la partecipazione è diffusa e la decisionalità è condivisa.

Per attivare tale sistema relaziona-le sono necessarie tre condizioni: a) una visione d’insieme, che comprende le fi-nalità da perseguire e i traguardi or-ganizzativi da raggiungere; b) la con-sapevolezza per ogni collaboratore del valore e della funzione del proprio con-tributo; c) il coinvolgimento nei proces-si decisionali, con il conseguente impe-gno e responsabilità.

Nel sistema della cooperazione - dove il profitto passa da fine primario a effetto dell’efficienza e della produttivi-tà del sistema socio-economico – preva-le il parametro della condivisione e del-la corresponsabilità. Non ci deve essere una lotta di reciproca volontà di supe-ramento – e nel peggiore dei casi anche di annientamento - ma una competizio-ne al miglioramento.

Il sistema della cooperazione vive del reciproco riconoscimento di diritti e do-veri, liberamente accettati come parti in causa di un’organizzazione e di tutta

l’umanità. All’interno di tale clima so-ciale l’autorità non costituisce una for-ma di aggressione contro la libertà dei dipendenti ma può essere vissuta come centro vitale dell’organismo sociale, di cui si fa parte. A sua volta, chi è insigni-to dell’autorità, quale riconoscimento di qualità e di propensione, non sarà por-tato a intendere il suo ruolo come supe-riorità di comando, ma come un dovere verso i suoi dipendenti, tale che questi siano indotti a sentirsi tutti collaborato-ri, a vari livelli e con differenti funzioni.

Così, non c’è lotta continua fra le va-rie parte di un organismo sociale, ma costante ricerca di cooperazione, che ri-chiede, in quanto tale, un coordinamen-to e un organo decisionale.

La condizione basilare per istituire una civiltà della cooperazione è riusci-re ad attivare reciproche condizioni di ascolto. Si tratta di riuscire a dialoga-re fra persone, fra comunità, fa culture, fra popoli, senza la pretesa di assimila-re l’altro al proprio pensiero o riportarlo alla propria visione del mondo.

Lo strumento del dialogo

Una società della cooperazione ri-chiede una socialità estesa, alimenta-ta da una eticità profonda. Per questo vanno promossi tutti gli aspetti di una relazionalità ampia: dalla relazione con l’altro alla relazione col gruppo, dalla relazione con l’umanità alla relazione con il Tutto4.

4 Nell’altro – seguendo in questo la visione di Aldo Capitini – va saputo riscoprire l’Altro, come presenza religiosa che unisce tutta l’umanità, da riconoscere attraverso la “prassi dell’amore-volezza”.

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Da ciò la centralità della relazione: si tratta di considerare alla base di ogni intenzione e di ogni atto la relazione con le altre persone e gli altri esseri viventi. Da tale consapevolezza deriva la consi-derazione che siamo responsabili di ogni sguardo e di ogni parola che rivolgiamo agli altri, ivi comprese le omissioni. Con-seguenza di tutto ciò è il rispetto, consi-stente nel farsi consapevoli della digni-tà di ogni persona e di ogni altro esse-re vivente, cercando di considerarne e comprenderne la storia e le condizioni di vita. Effetto ne è la reciprocità, rap-presentante il senso della comprensio-ne di tutti, percepita come vicendevole riconoscimento e considerazione.

È attraverso la reciprocità che nel mondo affettivo e nel mondo del lavo-ro ci si può considerare come membri della stessa comunità, della stessa or-ganizzazione, della stessa società, con gli stessi diritti e doveri. La reciprocità – a livello di coscienza transpersonale e planetaria – si estende sino a tutti i popoli e i diversi continenti.

È all’interno di una situazione di reciprocità che si può istituire un vero dialogo5. Questi si pone a tre livelli: a) a livello personale, riguarda la dimen-sione interiore di ogni persona, dove la passione ispira riflessioni e motiva azio-ni. È il luogo intimo dove si costituisce il “me” di ogni soggetto. È fatto di pas-sione; b) a livello interpersonale, costi-tuisce la dimensione sociale della perso-na, fatta di reti relazionali, che permet-tono di entrare in rapporto col mondo e di farne parte. È lo spazio entro il quale si configura l’“io” di ogni personalità. È

5 Cfr. G. Mollo, La civiltà della cooperazione, ed. cit., pp. 207-211.

fatto di compassione; c) a livello tran-spersonale: rappresenta la dimensione del “Sé” ampio, dove si scopre il senso profondo dell’umanità e il farne parte, in compagnia di tutto ciò che chiamia-mo “natura” e ”spirito”. È fatto di com-partecipazione.

Tutti questi tre aspetti devono po-ter alimentare il dialogo di ogni essere umano con se stesso, con gli altri e con il mondo, per ampliare la coscienza, sino a farsi coscienza planetaria e biosferica.

Il cercare di dialogare deve rappre-sentare la condizione di fondo di ogni relazione inter-umana, quella sfera di condivisione dove – secondo Marin Bu-ber6 – può istituirsi il velo colloquio, in cui ognuno possa riconoscere l’interlo-cutore come un uomo specifico, rivol-gendosi a lui nella sua essenza. Da ciò la fondamentale importanza di alcu-ni basilari atteggiamenti, da coltivare come doti umane: a) il saper ascoltare in profondità le esigenze intime altrui, cercando di mettersi al posto dell’al-tro, sapendo percepire le domande e riuscendo a fare quelle giuste. Questo richiede l’interessarsi sinceramente agli altri, incoraggiandoli a parlare di se stessi, facendo sì che ognuno si sen-ta importante, soprattutto come perso-na. b) il saper contribuire a realizzare un’atmosfera dialogica, basata sulla co-municazione genuina, ma anche sulla criticità, sulla relazionalità rispettosa e sul confronto sincero.

È necessario riuscire a sostituire at-mosfere di anti-dialogo – strutturate su rapporti verticali, privi d’amore e senza comprensione – con atmosfere dialogi-

6 Cfr. M. Buber, Il principio dialogico, tr. it., Edizioni di Comunità, Milano 1975, p. 215.

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che – plasmate sulla fiducia e sulla col-laborazione, come ha ben testimoniato e sostenuto Paulo Freire7.

Attraverso il procedimento dialogi-co può essere attivato un atteggiamen-to cooperativo, basato su tre elementi: a) l’accettazione incondizionata di ogni persona; b) il rispetto profondo della di-versità; c) il fondamentale senso della corresponsabilità.

A tal fine ogni persona che intenda assumere una responsabilità formativa deve saper incoraggiare e valorizzare tutti coloro che fanno parte di un pro-getto formativo o di una situazione d’ap-prendimento. Incoraggiare a dare il pro-prio contributo, credendo in ciò che si può fare e ottenere. Incoraggiare a con-dividere e vivere la gioia delle conqui-ste assieme. Incoraggiare la comunica-zione e lo scambio di idee e esperienze.

Si tratta di valorizzare tre fonda-mentali aspetti: a) le risorse e il po-tenziale di ogni persona; b) il senso di comunanza collettiva, che pur contie-ne e ammette simpatie individuali; c) le spinte creative e ideative, volte non solo a rendere coprotagonisti, ma a far si che un sistema di servizi o un siste-ma produttivo sia sempre aperto al rin-novamento e disposto all’innovazione.

Quello che si deve costituire è il sen-

7 Negli anni Sessanta, Paulo Freire ha condotto un’esperienza, in Brasile, basata su “circoli di cultura” e confluita nel “Movimento di educazione popolare”. Furono creati – nel 1962 – 1300 sindacati rurali nelle regioni più povere del nord-est, con quindici milioni di analfabeti su venticinque milioni di abitanti. Fu elaborato un piano per alfabetizzare due milioni all’anno di persone, attraverso 20.000 circoli, con il fine della coscientizzazione delle masse (cfr. P. Freire, L’educazione come pratica della libertà, tr. it., Mondadori, Milano 1973, pp. 67-68).

so di un’interdipendenza positiva e co-struttiva, lavorando e impegnandosi per obiettivi comuni, pur mantenendo l’apporto individuale e il riconoscimen-to di merito.

In tale prospettiva ciò che deve esse-re incentivato è sempre l’elemento dia-logico di ogni gruppo, agevolando i rap-porti da pari a pari, in quanto persone – pur nella diversità di funzioni e ruo-li – nello starsi di fronte in un vivente scambio. Da tale autentico vivente in-terscambio discende la diversità fra il dialogare – che ha al centro la relazio-ne interumana e il logos – e il semplice conversare, il discutere e il chiacchiera-re. Al conversare manca l’intenzionalità di volersi implicare e cambiare. Il discu-tere è ispirato e sollecitato dal voler far prevalere la propria idea o posizione. Al chiacchierare difetta la profonda com-prensione del fenomeno di cui si parla, così come anche Martin Heidegger chia-risce in Essere e Tempo8.

Nel conversare prevale la stabili-tà nell’alternarsi dei protagonisti degli interventi. Nel dialogare s’instaura un certo squilibrio, che fa avanzare il grup-po verso riflessioni e considerazioni im-previste e inaspettate. Ed è all’interno dell’autentico dialogare che può svilup-parsi l’arte dell’ascoltare.

L’arte dell’ascoltare

Non esiste vero dialogo senza un au-

8 Per questo, Heidegger sostiene che la “chiacchera” è la pretesa di voler parlare di tutto, senza alcuna preliminare appropriazione della cosa da comprendere, considerando che il linguaggio presuppone sempre la comprensione e l’interpretazione.

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tentico ascolto. Potremmo dire che se il dialogo è il motore della cooperazio-ne, l’ascolto ne rappresenta il motorino d’avviamento. La possibilità di attiva-re un clima dialogico e di ascolto è faci-litata dall’impostazione dei work shop – dove tutti i partecipanti di un grup-po sono chiamati ad assumere un at-teggiamento aperto al dialogo – crean-do le condizioni per una partecipazione collaborativa.

In tale atmosfera relazionale diven-tano possibili le due fondamentali for-me di ascolto: a) l’ascolto empatico, co-stituito dal sapersi decentrare, immede-simandosi nel problema dell’altro e per-mettendogli, poi, una visione più ampia e distaccata della difficoltà incontrata; b) l’ascolto attivo, basato sull’opportu-nità che si offre di rispondere a doman-de, servendosi di supposizioni e di ipote-si, cogliendo il sentimento che ha mos-so l’interrogativo o spinto la richiesta.

È riuscendo ad ascoltare che si per-viene all’atteggiamento ipotetico, ali-mentandosi all’umiltà di chi sa che ogni situazione è diversa. Sapere non basta. È necessario riuscire a intuire la do-manda intima e poter cogliere lo sta-to interiore del sentimento (paura, an-sia, attesa, aspettativa, rabbia, risenti-mento, preoccupazione, interessamen-to, speranza, ecc.).

Per ascoltare in profondità bisogna tener presente la relazione interumana e la rete emotiva che s’istituisce. Euge-nio Borgna afferma che “c’è sempre rela-zione e, cioè, costruzione, sia pur fragile e frammentaria - di ascolto e di dialogo, d’intersoggettività e di reciprocità”9. È

9 E. Borgna, Le emozioni ferite, Feltrinelli, Milano 2009, p. 22.

in tale prospettiva che ci si deve porre come uomini della domanda e non su-bito come uomini della risposta. L’uomo della domanda è colui che cerca di porsi dal punto di vista dell’altro.

Si tratta di un atteggiamento di com-passione profonda, derivante della ca-pacità di provare empatia per un altro, per una comunità o per una situazio-ne di vita10.

Tale atteggiamento empatico si basa sulla capacità di ascoltare in profondi-tà, sintonizzando il proprio animo sulle lunghezze d’onda della persona in diffi-coltà o delle situazioni problematiche. Questo richiede che non ci si fermi a un ascolto emotivo e neppure ci si limiti a un ascolto ideologico, ma ci si apra a un ascolto patetico. Si deve, infatti, di-stinguere fra: a) ascolto emotivo: basa-to sull’emotività e sulla momentanei-tà, limitato alla percezione dell’imme-diatezza. È destinato a svanire presto nel tempo, assieme alla sollecitazione che ha generato l’emozione; b) l’ascolto ideologico, limitato a ciò che rientra nei propri schemi mentali e nel proprio si-stema di valore, diffidando di tutto ciò che si presenta come diverso e distante dal proprio mondo; c) l’ascolto patetico: basato sull’interessamento e sulla com-passione, prodotto di appassionamento e apertura mentale.

L’ascolto patetico è possibile se ci si accorge della presenza e dei problemi delle altre persone. Nel riferirsi alle si-

10 È in tal senso che Jeremy Rifkin sostiene che Schopenhauer è stato il primo a descrivere un rapporto empatico, anche se non ha usato proprio questo termine, ponendolo alla base dell’atto morale e in forza del convincimento dell’essere tutti uno stesso essere (cfr. J. Rifkin, La civiltà dell’empatia, ed. cit., pp. 321-322).

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tuazioni problematiche, rappresenta ciò che mette in moto un meccanismo di compartecipazione. Da qui l’attenzione verso i bisogni degli altri e la disponibi-lità a condividere situazioni di via, en-trambe condizioni della possibilità del prendersi cura11. Una leaderschip coo-perativa deve possedere tale predispo-sizione, mossa da compassione, spinta dall’amore e partecipe con intelligenza.

11 Paul Ricoeur definisce l’ascolto come un “luogo pre-etico” e il dialogo come quello spazio nel quale sorge l’etica.

1980 Educazione alla pace; da sinistra G. Giugni (univ di Perugia), A. Pieretti (univ di Perugia), avv. L. Giugni (sindaco di Praia).G. Serio (presidente

fondazione), dott. G. Impedovo (Segr naz Aspei).

Educazione alla pace. Iil saluto di S.E. Mons. A. Lauro, vcescovo di S. Marco A - Scalea.

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Il dialogo odierno, come forma d’aiuto e d’esercizio professionale pedagogico

di FRANCO BLEZZA*

RiassuntoLa pedagogia ha una storia antica,

anche se il termine si è consolidato nel-la cultura molto più di recente: il richia-mo alle sue radici nella Grecia classica è essenziale perché da quella fonte attin-giamo tutto un complesso di strumenti concettuali ed operativi di fondamenta-le importanza, sia per l’esercizio profes-sionale pedagogico che per la pedago-gia generale, e tra questi proprio il διά-λόγoς è di assoluto rilievo come eserci-zio professionale e come potenzialità di riflessione generale e metodologica. In questo saggio si riprende la storia del dialogo. dalle sue origini non filosofi-che fino a taluni suoi rilevanti sviluppi successivi, per approdare a quella for-ma attuale di dialogo che è l’interlocu-zione pedagogica. Si discutono, attra-verso i tratti salienti di questa tecnica e modalità d’esercizio, alcuni dei tratti di fondo della pedagogia professionale odierna, come il suo carattere di relazio-ne d’aiuto e di cura (to care of) ma non terapeutica (to cure), la necessità di un saldo fondamento scientifico, il carat-tere non normativo, il ruolo essenziale della riflessione sul metodo.

AbstractPedagogy has a long history, al-

though the term has established itself

in culture much more recently: the ref-erence to its roots in classical Greece is essential because from that source we draw a whole series of conceptual and operational tools of fundamental impor-tance, both for pedagogical professional practice and for the general pedagogy, among them just the διά-λόγoς is of ab-solute importance as a professional exer-cise and as a potential for an overall and methodological reflection. This essay dis-cusses the story of the dialogue from its non philosophical origins up to some of its major developments, to arrive at the current form of dialogue that is the peda-gogical interlocution . Through the main features of this technique and the proce-dures of its practice, some of the pivotal features of today’s professional pedago-gy are discussed, such as its character of supportive relationship and care (to take care of) but not therapeutic (to cure), the need for a strong scientific foundation , its non-regulatory character, the essen-tial role of the reflection on method.

“Dialogo”, come noto, non è sostanti-vo che indichi una qualunque forma di comunicazione tra persone o un canale di socializzazione generico, bensì è un termine tecnico che designa una forma molto particolare e specifica di esercizio di cultura umana con fini promoziona-li, evolutivi, di conquista di sé stessi e di conoscenza della realtà.

Questa essenziale concettualità va coniugata con quelle analogamente ti-

* Redattore di Qualeducazione - Ordinario di Pedagogia sociale nell’Università G. D’Annun-zio, Chieti.

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piche della civiltà greco-classica ed al-trettanto caratterizzanti.

Potremmo cominciare dal πάντων χρημάτων μέτρον ἐστὶν ἄνθρωπος, τῶν μὲν ὄντων ὡς ἔστιν, τῶν δὲ οὐκ ὄντων ὡς οὐκ ἔστιν di Protagora di Ab-dera (ca. 490-420 a.C.); ουδέν εστίν, ει δ’ εστίν ου νοητόν, ει δε νοητόν, αλλ’ ου γνωστόν, ειδέ και γνωστόν, αλλ’ ου δηλωτόν άλλους di Gorgia da Lenti-ni (ca. 485-c.380 a.C.); φύσει μέν εστιν ‘άνθρωπος ζωον πολιτικόν di Aristote-le (384-322 a.C.); dal ruolo e dall’impor-tanza della’ρητορεία; dal διάλογος so-cratico; dalla πολιτεία intesa come so-cializzazione e come partecipazione at-tiva alla vita politica; dalla logica clas-sica con le sue regole; dal γνῶθισεαυτόν (nosce te ipsum), nel senso profondo del-la limitatezza dell’essere umano e della piena consapevolezza delle potenziali-tà e dei limiti propri di ciascuno, con la conseguente condanna della ‘ύβρις, su-perba ed arrogante violazione di que-sto carattere umano essenziale; ma po-tremmo continuare a lungo per linee al-trettanto significative.

La contestualizzazione storica e cul-turale di questi strumenti concettuali, e la loro integrazione in quella civiltà, consente di coglierne appieno i caratte-ri e le valenze essenziali, sia dal pun-to di vista storico che con riferimento all’attualità.

Non risulterà allora una coinciden-za il fatto che il Socrate primo teorizza-tore del dialogo come forma di promo-zione umana fosse anche quello stesso Socrate che interpretò correttamente il responso dell’oracolo di Delfo, nel sen-so di una saggezza umana che si iden-tifica direttamente con la consapevolez-za dei propri limiti e di quanto ancora non si conosce.

In questo senso, il tema del presen-te numero speciale di “Qualeducazione” nell’occasione del suo trentennale si of-fre ad una avanzata competenza peda-gogica come la sede più adatta per fare il punto dello stato dell’arte della pro-fessione di pedagogista circa il dialogo nei tempi correnti: tempi caratterizzati da un’evoluzione frenetica e con carichi pedagogici pesantissimi, tempi di tran-sizione epocale dopo un periodo storico caratterizzato da un particolare spirito borghese e durato all’incirca due secoli, poco più poco meno a seconda delle real-tà geografiche e culturali considerate.

Questo ci sembra anche il modo più coerente per seguitare una collaborazio-ne iniziata nel 1987, e prestata regolar-mente dal 19901.

Non sarebbe in linea con la peda-gogia odierna, che non è una scienza normativa in senso forte, cogente e co-strittivo, declinare questo tema gene-rale (ancorché non generico) nel senso della prescrizione o dell’esortazione o del monito a dialogare sic et simplici-ter. Ciò potrebbe portare, fra l’altro, ad un’accezione del termine “dialogo” tan-to aspecifica da risultare di scarso valo-re informativo, e comunque molto lon-tana da ciò che è stato il dialogo dalla sua fondazione, due millenni e mezzo fa, fino ai tempi attuali.

Un adempimento attualissimo, e specificamente pedagogico a questo pro-posito, consiste invece nell’analizzare questo prezioso ed estremamente rigo-roso strumento di comunicazione inter-

1 Il primo contributo è apparso nel fascicolo 19 (anno VI, n. 4, ottobre-dicembre 1987, pag. 33-39). La cura della rubrica “Ricerca ed innovazione educativa e didattica” è iniziata con il fascicolo 29 (anno IX, n. 3, luglio-settembre 1990).

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personale e di evoluzione umana, con un riguardo per gli sviluppi millenari e per le attuali discendenze legittime, le quali fanno parte della cassetta de-gli attrezzi dei pedagogisti professiona-li e di ogni professionista intellettuale, della cultura, dell’area socio-sanitaria, il quale si avvalga nel suo esercizio pro-fessionale anche di strumenti specifica-mente pedagogici.

Ne ricaveremo, fra l’altro ma non in seconda battuta, la testimonianza di come la normatività non sia uscita dal novero degli adempimenti della pedago-gia attuale, ivi compresa la pedagogia professionale intesa come branca degli studi pedagogici portante una partico-lare professione sociale e tutte le altre che a questa attingono, e di come essa si ridefinisca precisamente nel senso di normatività di metodo. Il pedagogi-sta, o chi eserciti comunque in modo pe-dagogico, non ha prescrizioni di meri-to da impartire, bensì norme di meto-do, imperativi ipotetici (o doppiamente ipotetici) da prospettare al proprio in-terlocutore.

L’attualità del dialogo a partire dal fondatore, e taluni suoi sviluppi nel lungo lasso di tempo che ci porta fino all’oggi, risulterà in modo particolare attraverso la presa d’atto di quanto sia prezioso questo strumento, o meglio di quanto lo sia questo complesso di stru-menti, per la persona e per la società d’oggi, che di esercizio professionale specificamente pedagogico nel sociale dimostrano di avere un bisogno sem-pre crescente e sempre più essenziale, ancorché ostacolato da pesanti inerzie e largamente inadeguato come consa-pevolezza diffusa.

Il “dialogo” alle origini della pe-dagogia

Il termine λόγoς, come noto, si rife-risce sia alle varie accezioni del discor-so (espressione, parola, colloquio, …), che alla ragione (intelligenza, regola, giudizio, computo, valutazione, corri-spondenza, analogia, …); la preposi-zione διά significa “attraverso”, “per”, sia nel senso temporale che nel senso del moto per luogo, con una derivazio-ne che indica la penetrazione, la sud-divisione conseguente a tale penetra-zione nell’oggetto nel quale essa viene compiuta, la spaccatura, lo squarcio. Il termine può quindi intendere sia un λόγoς che attraversa più persone, sia un λόγoς che penetra nelle idee, nel-le cose, nella realtà con discernimento profondo ed essenziale.

L’origine del dialogo è nella Grecia classica, ed è esterna alla Filosofia: an-che se la mente andrebbe direttamente a Socrate, il dialogo era presente in al-cuni generi poetici, nella tragedia greca (tra agonisti e coro, tra agonista e agoni-sta), e nella storiografia (Erodoto, 484-430 a.C.). Si originò in quello stesso pe-riodo la Filosofia occidentale, sulla base di problemi educativi, secondo il John Dewey più noto2 che, almeno per chi si occupi di pedagogia, dovrebbe costitui-re un riferimento essenziale.

Facciamo risalire basi importanti della teoria e della metodologia peda-gogica, in ispecie il dialogo, proprio a Socrate; o meglio, ai dialoghi socratici scritti da Platone, a quanto ci ha rife-rito Senofonte e a qualche altra fonte

2 Democracy and Education. In rete ad es. all’URL http://www2.hn.psu.edu/faculty/jmanis/johndewey/dem&ed.pdf, pag. 337-338.

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ancora per lo più indiretta, essendo ben noto che Socrate non ha lasciato scritto nulla ed anzi ha asserito l’im-portanza dell’oralità e della memoria proprio in un periodo storico nel qua-le la scrittura stava affermandosi nel mondo greco e, anche per questa ere-dità, si sarebbe consolidata definitiva-mente in occidente.

Invece, l’esercizio professionale pe-dagogico è ancora precedente, ricon-ducibile ai Sofisti cioè al primo corpo di professionisti specificamente eser-citanti in educazione.

I Sofisti insegnavano ’ρητορεία, e si facevano carico dell’educazione dei giovani al fine di farne dei cittadini in grado di vivere la vita politica nella loro πóλις. La pedagogia nasce in occidente come professione sociale ai massimi li-velli. Pensiamo a Protagora (V secolo a.C.) che si presentava come maestro di εύβουλία3, sia negli affari privati, os-sia il modo migliore di amministrare la propria casa, sia negli affari politici cioè della πóλις, ossia il modo di diventare in sommo grado abile nel governo del-la città-stato, negli atti e nelle parole.

È da una simile prospettiva, più pe-dagogica che non filosofica, che si com-prendono e si apprezzano le posizioni di quei professionisti dell’educazione in età adulta che invece suscitavano e suscitano la critica da una prospettiva filosofica in senso stretto. Ad esempio, la citata massima di Protagora secon-

3 Platone, Protagora [319 A - B]. Il termine designa una capacità di consigliare bene: βουλή indica la volontà, la decisione, come anche il parere, l’avviso, o il progetto, il disegno, e l’atto di riflettere e di deliberare, nonché in concreto alcune forme di adunanza, di assemblea, di consiglio; e il prefisso εΰ indica un’accezione buona, positiva, ben fatta.

do la quale l’uomo è misura di tutte le cose4, coniugata con la centralità del-la ’ρητορεία come arte di persuadere con la parola i concittadini, le autori-tà e ogni istanza sociale5. In una de-mocrazia come quella delle πóλεις, è il consenso maggioritario dei cittadini che conta; altra questione è se esista-no una Verità, una Giustizia, una Vir-tù ed altri assoluti e, se del caso se essi siano conoscibili, individuabili, descri-vibili, trasmissibili, e come.

Si capisce come la ’ρητορεία dei So-fisti potesse anche essere impiegata come esercitazione al limite estremo, ma fondamentalmente come attesta-zione di questo atteggiamento corret-tamente relativistico in un contesto di democrazia diretta.

Socrate, da parte sua, è chiaro al ri-guardo fin nel suo ultimo discorso, la difesa o απολογία da lui pronunciata davanti al tribunale ateniese nella pri-mavera del 399 a.C., rispetto alla grave accusa di empietà e di stravolgimento delle idee e dei valori in un’azione di-seducativa e di corruzione delle giova-ni generazioni. Dopo aver citato il re-sponso che il suo amico, e stimato con-cittadino, Cherofonte ebbe dall’Oraco-lo di Delfo, secondo il quale non c’era maggior saggio di Socrate stesso: “Da un tale accurato esame, o cittadini ate-niesi, […] mi derivò anche tale reputa-zione, ossia di essere sapiente […] che io fossi sapiente in quelle cose sulle quali confutavo l’altro. Invece, o citta-dini, si dà il caso che, in realtà, sapien-te sia il dio e che il suo oracolo voglia dire appunto questo, ossia che la sa-

4 Teeteto, 166 D-167 B.5 Gorgia, 452 D-E.

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pienza umana ha poco o nessun valo-re. E il dio sembra che parli proprio di me Socrate , e invece fa uso del mio nome, servendosi di me come di esem-pio, come se dicesse questo: «O uomi-ni, fra di voi è sapientissimo chi, come Socrate, si è reso conto che, per quan-to riguarda la sua sapienza, non vale nulla». Appunto per questo anche ora, andando attorno, io ricerco e indago, in base a ciò che ha detto il dio, se io posso giudicare sapiente qualcuno dei cittadi-ni e degli stranieri. E, dal momento che non mi sembra che sia tale, venendo in soccorso al dio, dimostro che non esiste un sapiente.”6.

Se ne può trarre anche una prospet-tazione realistica dell’atteggiamento “sapiente”, nel senso che “la sua sa-pienza non vale nulla” in un certo senso assoluto, che il professionista di cultu-ra pedagogica deve avere nel suo eser-cizio nel sociale.

La limitatezza umana, intrinseca all’uomo in quanto tale, non consente né sapienza né verità: ma questo non toglie alcunché all’eventuale convinci-mento che una Verità, un Sapienza, ed anche una Giustizia o una Virtù esista-no; semmai, è nella limitatezza umana che si evidenzia l’importanza dell’atto educativo, anche eventualmente raf-frontandola o riferendola agli assolu-ti, anche come ricerca di andare oltre questi limiti pur non potendo mai li-berarsi dai limiti stessi.

Si può quindi riconfermare la vali-dità come strumento concettuale del dialogo con i suoi due momenti del-la ’ειρωνία e della μαιευτική τέχνη7,

6 Ivi, 21 B e 22 E - 23 C.7 Essi sono esplicati nei vari dialoghi, in par-

con riguardo particolare al carattere di questo secondo di dazione alla luce delle idee maturate nell’allievo da par-te dell’allievo stesso, con il maestro che lo aiuta esattamente come una levatri-ce aiuta la partoriente, metafora effi-cacemente ripresa da Socrate nell’ar-te di sua madre Fenarete. Ma una tale attualità va correttamente coniugata con il senso del limite umano e della consapevolezza di questa limitatezza come caratteristica connaturata all’uo-mo in quanto tale, rispetto al quale sarebbe gravissima ‘ύβρις derogare; il che, almeno dal punto di vista specifi-camente pedagogico, esclude la ricer-ca di ‘αλήθεια cioè di verità assoluta.

Queste idee di fondo conservano la loro attualità, pur se il dialogo ha avu-to, da quei tempi lontani, un suo svi-luppo cospicuo, come forma espositiva letteraria, filosofica, scientifica, anche a voler prescindere da tutto ciò che ri-manda a generi teatrali.

In Latino antico, la forma-dialogo sarà impiegati da Cicerone , da Seve-rino Boezio (480-526), e da altri anco-ra; e sarà ulteriormente impiegato an-che in Greco.

Questa forma verrà poi fatta pro-pria anche da alcuni importanti auto-ri cristiani come forma di discussio-ne, di propaganda, di polemica contro movimenti od idee di carattere eretico (Gerolamo, 347-420 ca.; Agostino d’Ip-pona, 354-430). Per Agostino, vi è cor-rispondenza tra la SS. Trinità e la for-ma dialogica dello spirito umano.

Ed è da notarsi che non sono man-cati esempi notevoli di impiego del dia-logo come forma letteraria nella quale

ticolare nel Menone e nel Teeteto.

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esprimere dei saggi: per la lingua ita-liana, la mente va immediatamente ai vari dialoghi di Galileo Galilei8 (1564-1642), nei quali l’insegnamento disci-plinare di Fisica moderna va insieme ad un insegnamento metodologico e ad una critica “ironica” nei confronti di po-sizioni anti-scientifiche, retrive, chiuse, reazionarie. Ma esso fu impiegato an-che da filosofi e saggisti molto diversi, come Nicola Cusano (1401-1464), Gior-dano Bruno (1548-1600), George Berke-ley (1685-1753), e da altri ancora.

Oggi, il termine “dialogo” è nel lin-guaggio comune: ad esso si tende ad attribuire prima di tutto un’accezione di apertura, di disponibilità, di ascol-to reciproco, ad esempio tra insegnanti ed allievi, tra genitori e figli, comunque tra educatore ed educando; oppure, tra partiti politici, tra maggioranza e mi-noranza, tra parti sociali. Queste ca-ratteristiche rimangono valide anche per il dialogo inteso come termine tec-nico, che indica un modo particolare di esercitare la professione, una procedu-ra specifica, od anche un modo partico-lare di scrivere saggi di pedagogia o di filosofia o di scienze dell’uomo.

Un pedagogista attento ai ceti e ai popoli oppressi come Paulo Freire (1921-1997) fece del dialogo addirittu-ra il fondamento dell’educazione.

8 Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mon-do (cioè Tolemaico e Copernicano) pubblicato nel 1632 è solo il più noto. Ad esempio, anche i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e i movimenti locali (cioè sulla statica e sulla dinamica), pub-blicato nel 1638, è dialogico nella stessa forma e con gli stessi personaggi.

L’interlocuzione pedagogica e l’at-tualità del dialogo

Chiamiamo “interlocuzione pedago-gica” l’erede attuale in campo pedago-gico professionale del dialogo socratico e, più in generale, del dialogo per come questa forma di comunicazione umana si è evoluta nei millenni.

Essa è stata sviluppata nel conte-sto della relazione d’aiuto professiona-le. Essa è stata proposta pubblicamen-te nel 1997, tanto alla comunità scien-tifica dei pedagogisti accademici quan-to all’associazionismo del settore della professione9 9. La sperimentazione era in corso da molti anni10, ed è seguita-ta. Da un punto di vista più generale questa proposta, con l’esperienza rela-tiva, si offre come forma paradigmati-ca di tecnica di relazione d’aiuto, nella quale implementare la metodologia e la strumentazione concettuale ed operati-va specifica del pedagogista professio-nale, o del professionista di cultura pe-

9 In particolare, una dispensa universitaria (Pedagogia professionale odierna e problemi di genere, Treviso 1997), largamente diffusa anche in rete; la lezione magistrale al I Congresso Scien-tifico dell’A.N.Pe. (Roma, 10-11 ottobre 1997) dal titolo L’educazione come relazione d’aiuto (in L’educazione come relazione di aiuto ed etica professionale; Professione Pedagogista, Bologna 1998, pag. 21-44); e in svariati articoli scientifici.

10 Molti scritti in materia sono stati pubblicati in rete, nell’associazionismo e nella convegnistica dei Pedagogisti professionali, e nella sezione di Pedagogia che si è ottenuto fosse aperta presso il sito www.larchivio.com. La prima sintesi organica è stata data in Pedagogia della vita quotidiana – La formazione del Pedagogista professionale, un aiuto per chiunque sia educatore (Pellegrini, Cosenza 2001). Quest’ultima opera ha avuto una nuova edizione, interamente riscritta ed aggior-nata, in Pedagogia della vita quotidiana. Dodici anni dopo (Pellegrini, Cosenza 2011).

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dagogica. L’I.P., insomma, fornisce delle indicazioni fruibili da chiunque eserci-ti una qualsiasi relazione d’aiuto peda-gogica, ed offre i suoi contributi, per il tramite di una opportuna mediazione, alla pedagogia generale.

Questa rivista ne ha ospitato la pri-ma proposta in forma di nota scienti-fica11. A quelle prime sedi si rimanda per i dettagli che qui non è opportuno ricapitolare, come anche nelle opere più recenti in materia12.

“Provando e riprovando”

Il richiamo a Galileo come dialogi-sta non è puramente storiografico od attinente ad un genere letterario mol-to particolare, ove si consideri atten-tamente anche il ruolo simbolico che si attribuisce al grande pisano circa la scienza moderna propriamente detta, cioè dell’evo moderno. Si rifletta sul noto motto che la fiorentina Accade-mia del Cinto, la prima società scien-tifica sorta in Italia quindici anni dopo la morte di Galileo, vale a dire sul no-tissimo «Provando e riprovando», mot-to che divenne comune tra quanti si ri-chiamavano metodologicamente allo stesso Galileo.

Non altrettanto noto è che si tratta di un’eredità dantesca (Paradiso, can-to III verso 3):

11 “L’interlocuzione come relazione d’aiuto del pedagogista professionale” (anno XVI. n. 3-4, fascicolo n. 50 della serie, pp. 33-41, luglio-dicembre 1997).

12 In particolare La pedagogia sociale (Liguori, Napoli 2010), Pedagogia della vita quotidiana. Dodici anni dopo, citata, La pedagogia professio-nale (E-book, ScriptaWeb, Napoli 2011).

Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,di bella verità m’avea scoverto,provando e riprovando, il dolce aspetto;

Non è scorretto interpretare questo motto nel senso della reiterazione de-gli approcci, che è tipica della ricerca e che la connota fin dall’etimo latino tardo13; sbagliato e fuorviante sarebbe semmai interpretarlo in modo ridutti-vo. I due gerundi, in effetti, andrebbe-ro letti in ordine logicamente inverso rispetto a quello che la metrica ha ri-chiesto al Sommo Poeta, ed indicano il “riprovando” propriamente un confu-tare, e il “provando” cioè il dimostra-re e avvalorare o, come diremmo oggi, il corroborare. Poi, va discusso il ruo-lo della via empirica, o delle “sensate esperienze”, e quello della via logica o delle “necessarie dimostrazioni”, galile-ianamente parlando; ma il fondamen-to rimane quello.

La scienza moderna è andata in-contro nella seconda metà dell’Otto-cento ad una crisi, sia di ordine empi-rico che di ordine logico, che ben pre-sto si è rivelata insuperabile. La rivo-luzione scientifica che ne ha costitui-to il seguito è approdata ad una dua-lità di paradigmi nelle teorie della re-latività e nelle teorie dei quanti, con le loro ricadute nelle scienze chimiche, nelle scienze della vita, nelle scienze geografiche e dell’universo. Fra l’altro, non è banale il fatto che la prima con-

13 “Circari” indicava la verbalizzazione della preposizione “circa”, intorno, e tendeva a denominare un “andare attorno a” qualcosa di determinato. La particella “re” a prefisso indica quell’impegno, quella costanza, quella determina-zione, quella volitività che, in genere, richiedono una reiterazione di atti ed un ritorno continuo su fatti e circostanze, ipotesi e riflessioni.

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futazione empirica del sistema scienti-fico moderno si sia avuta storicamente nell’osservazione del moto dei pianeti attorno al sole (la precessione del pe-rielio di Mercurio, cioè la non validità della prima delle leggi di Keplero che erano state a fondamento proprio del-la costruzione meccanica di Newton); e che una delle conseguenze empiriche più rilevanti della Relatività Genera-le stava proprio nella ridefinizione del moto dei pianeti in conseguenza della nuova Meccanica, che ha consentito di corroborare la costruzione di Einstein misurando via via le precessioni dei pe-rieli anche dei pianeti meno centrali.

Nuovi paradigmi significano anche visioni evolutive delle idee sulla ricer-ca scientifica e sulla sua metodologia, delle quali è opportuno fruire anche in pedagogia e nel relativo esercizio pro-fessionale.

Ad esempio, l’approccio quantisti-co significa anche inseparabilità tra osservatore e osservato, da cui il li-mite nella determinazione; nel nostro caso, non distinguibilità del maestro dall’allievo e del pedagogista profes-sionale dall’interlocutore, parti di un unico dialogo, nel quale è impossibile anche in linea di principio isolare un dialogante con le sue problematiche dagli altri, come è impossibile qualun-que cosa assomigli al “distacco clinico”.

Relatività non significa solamente impossibilità di un sistema di riferi-mento assoluto, non si può ridurre un complesso di teorie organiche con un generico “tutto è relativo!”; ma anche dovere di formulare le leggi in modo da garantire l’equivalenza di ogni riferi-mento, cioè in modo che conservino la stessa forma oltre che la stessa sostan-za se osservate da qualunque sistema

alternativamente. Una simile proprie-tà si chiama “covarianza”.

Ma sono solo le primissime idee che se ne dovrebbero trarre.

Non è cambiata quella parte essen-ziale dei fondamenti che consentono di parlare legittimamente di scienza e di ricerca in continuità, e che è quan-to sostanzia la continuità anche della pedagogia e del dialogo. In particola-re, il considerare la scienza come un esercizio di creatività umana entro la ricerca continua, priva di certezze e di definitività, sempre fallibile, sempre ipotetica, congetturale, provvisoria, storicamente contestualizzata. Tale riconferma è andata di pari passo con la crisi del Positivismo, vale a dire di una concezione filosofica che si è ap-poggiata alla scienza moderna quan-do essa era ormai matura e poi già in crisi o addirittura superata, e che ha avuto ricadute anche in campo pedago-gico e didattico come in altri campi di scienze professionalmente applicative come quello medico o quello sociologico.

Il dialogo, anche attraverso i suoi eredi legittimi, esemplifica e svilup-pa egregiamente una pedagogia che è necessariamente anche esercizio pro-fessionale per il fatto stesso di essere scienza. Del resto, l’etimo corretto del termine “pedagogia”, apparso a caval-lo tra Medio Evo ed Evo Moderno, di-rettamente latino e solo mediatamen-te greco-classico14, rende efficacemente

14 Arte del paedagogus. Che, poi, paedagogus fosse un calco linguistico di παιδαγωγός, e che questo termine derivasse a sua volta da παίς e ’άγω, è un altro discorso. La rigorosissima rico-gnizione in materia operata da Luigi Volpicelli nel volume 2 del Lessico delle scienze dell’edu-cazione da lui diretto (Vallardi, Milano 1978), proprio alla voce “Pedagogia”, è estremamente

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l’idea di una materia non riducibile né a pura teoria (o filosofia dell’educazio-ne o teoretica), né a pura prassi educa-tiva. Essa è inscindibile dall’impegno e dalla presa in carico nei confronti di chiunque sia educando, e costituisce una materia che esige un rapporto or-ganico con l’esperienza sull’oggetto di applicazione.

Vale il paragone con la Medicina Chirurgia, anche in senso metodolo-gico, anche nel senso dei fondamen-ti, anche nel senso dell’espressione di una professione e del relativo eserci-zio. Con la sostanziale differenza che la pedagogia non comporta una tera-pia, che significa il ristabilimento del-la fisiologia violata, in quanto la peda-gogia stessa non reca una fisiologia o normalità o normatività di merito di riferimento che si possa considerare ad essa interna ed intrinseca.

Semmai, essa mutua ad esempio le norme del Diritto positivo, o quelle del-le scienze naturali e della medicina, o quelle della cultura e del costume so-ciali nei quali essa agisce, ma appun-to dall’esterno.

Vi sono invero norme anche all’in-terno della pedagogia: ma esse sono norme di metodo, che riguardano non il che cosa fare ma il come. E si ricon-ferma come il pedagogista sia anche un metodologo e la metodologia faccia par-te del suo strumentario più essenziale.

illuminante in proposito. Nel greco classico, lingua di grande vocazione filosofica e peda-gogica, vi sarebbero state le risorse lessicali a questo scopo; ma nessuna tradizione ha portato il termine παιδαγωγία, che designava appunto l’arte o l’ufficio o il compito del παιδαγωγός, oppure una locuzione come παιδαγωγική τέχνη, dall’antichità attraverso il medio evo e fino all’evo moderno.

La pedagogia, e il pedagogista, non curano (to cure someone or something), bensì si prendono cura (to care of so-meone or something). Il dialogo greco-classico e quello socratico, evolutosi in millenni di storia e alla luce delle conquiste recenti della scienza e della pedagogia, costituisce per questo uno strumento essenziale Il come è stato ampiamente esposto nelle sedi citate15 e viene continuativamente investigato anche attraverso un esercizio profes-sionale volontaristico.

15 Opere citate, in particolare alla precedente nota 12.

Da destra F. Fusca, I. Bertone (univ. Genova), A. Pieretti, G. Serio, L. Giugni, G. Giugni.

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Comunicazione e dialogo. Riflessioni sulla conoscenza e crescita umana

di GRAZIA ANGELONI*

RiassuntoA seguito delle numerose teorie svi-

luppatesi nel corso degli anni sulla co-municazione, a partire dal primo No-vecento, essa è attualmente considera-ta quale processo che pone in interdi-pendenza contemporaneamente due o più esseri umani. Tale relazione è fina-lizzata a dare alla realtà un significa-to comune, ad interpretare e ri-costrui-re il mondo fenomenico attorno all’uo-mo, a porre e risolvere problemi. Il dia-logo come forma privilegiata di comu-nicazione adempie questo compito, ma perché venga posto in essere, devono es-sere richiamate talune sue caratteristi-che: in primis riconoscere l’altro da sé, esercitare un ruolo attivo, partecipativo e di ascolto e coltivare l’ Einfühlung. Lo scritto che di seguito si propone enfatiz-za le potenzialità della comunicazione e del dialogo per la crescita umana e so-ciale. Parimenti, nel discutere gli effetti di una comunicazione autentica, si sug-gerisce di partire da quelle istituzioni in cui la sua mancanza sembra rafforzar-ne il legame lasco.

AbstractAfter the many theories developed

throughout the years regarding commu-nication, starting from the early XXth century, nowadays it is considered as a

process that puts two or more human beings in interdependence. Such a rela-tion is in order to give reality a common meaning, to interpret and build again a phenomenic world around man, to pose and solve problems. Dialogue as its pri-vileged form fulfils this task, but in or-der to occur it needs some features i.e. to acknowledge the other self, to exerci-se an active, participative listening and to nurture a sense of Einfühlung. This issue is focused on the potentiality of ei-ther communication and dialogue in the human and social growth. In discussing the effects of an authentic communica-tion it suggests to start from those in-stitutions where the lack of it seems to strengthen their loose-coupling systems.

Ad un esame attento delle teorie del-la comunicazione che dal 1949 arrivano ai nostri giorni, notiamo una evoluzione che sposta il focus dal canale e dal con-tenuto degli atti di parola scambiati tra un emittente ed un referente alla rela-zione intercorrente tra due o più perso-ne, processo che si svolge in un contesto specifico e che acquista funzioni emi-nentemente formative più che informa-tive. Non è peregrino richiamare autori quali Shannon e Weaver (1949) e i re-lativi studi sulle modalità strettamente fisiche dell’informazione, Pierce (1867) e il suo contributo alle teorie linguisti-che relative al segno, Wiener (1958) considerato il padre della cibernetica e tanti altri ancora che, come de Saus-

* Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali, Università G. d’Annunzio, Chieti.

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sure (1916) nell’ambito della linguisti-ca strutturalista e Roman Jakobson (1961,1963) hanno tracciato sentieri di ricerca, e riferirsi a tali suggestioni che di fatto rappresentano modi di esplora-zione ancora in progress dialettico.

Riconosciamo oggi alla comunicazio-ne una dimensione sociale senza la qua-le essa non esisterebbe. Comunicazione e gruppi sociali o, in alternativa, comu-nicazione e persone si configurano quale binomio inscindibile. La scuola di Palo Alto ed il suo autorevole rappresentan-te: Paul Watzlawick nella Pragmatica della comunicazione (1971) enunciava il suo primo assioma, detto anche meta comunicazionale “Non si può non comu-nicare” e per il tramite del secondo, con il quale egli riconosceva ad ogni atto co-municativo un aspetto di contenuto ed uno di relazione, lo studioso procedeva nella definizione degli altri tre che met-tono rispettivamente in risalto la natu-ra circolare della comunicazione tra gli esseri umani, la non contraddittorietà della stessa, grazie alla relazione con-testuale che funge da cornice di riferi-mento per l’interpretazione del linguag-gio e dei suoi contenuti.

Tale framework di contesto è crea-to proprio dai parlanti, cioè da coloro che attraverso atti linguistici scambia-no punti di vista, o rimangono irretiti nelle loro personali convinzioni, nego-ziano ed effettuano transazioni di modi di pensare e della loro stessa identità o oppongono resistenza all’altro, nell’af-fermazione intenzionale o non volonta-ria del proprio ego.

Comunicare implica una persona-le abilità, un saper fare che si nutre di quella particolare disposizione inte-riore di apertura e di accettazione del-la diversità ed unicità rappresentata

dall’altro e, che nel suo divenire, si de-termina quale competenza interperso-nale. Parafrasando Lévinas, la comuni-cazione è la “grande avventura dell’es-sere”, perché immerge ogni persona, nel riconoscimento di un bisogno inna-to, appunto quello di entrare in contat-to con i propri simili, nella complessi-tà di una o più relazioni. All’interno di queste vengono veicolati, attraverso il linguaggio che è manifestazione este-riore e perciò più visibile della cultura intesa in accezione antropologica, va-lori ed assunti taciti condivisi. I primi sono a fondamento dell’essere umano e del suo stesso svolgimento in contesti reali o ideali, i secondi rappresentano le grandi categorie che la mente pone a se stessa. Kant le nomina “idee regolati-ve”: l’idea di ragione, dell’Io, del mondo, di Dio che consentono all’uomo di pro-iettarsi oltre l’esperienza e che di fatto la ordinano e la regolano. Schein (2000) le classifica come natura della natura, natura del tempo, natura dello spazio, natura delle relazioni umane, natura della realtà e della verità.

Sono queste, per lo studioso del MIT le cinque categorie che giacciono in pro-fondità e che, similmente ad un iceberg, rappresentano la parte sommersa che può all’occorrenza riemergere attra-verso talune tecniche dialogiche e co-municative.

Quando qualcuno entra in relazione con l’altro, affinché si realizzi l’evento dialogico che è manifestazione partico-lare della comunicazione, pone se stesso in scambio reciproco con un tu dal qua-le, secondo Buber l’io stesso dipende. Né l’uno senza l’altro potrebbero mai esi-stere, perché è proprio in virtù dell’al-tro che il sé acquista la sua vera identi-tà. L’io-tu, diverso dall’io-esso è sempre

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soggetto, promotore di uno scambio in-teriore che è manifestazione piena di sé all’altro, che riconosce questi come com-plementare e mai antagonista, che è ri-spetto in termini di intimità e discrezio-ne, condizioni per Simmel (1906) essen-ziali della comunicazione. Ciò implica il non entrare forzatamente nella sfera privata dell’altro, non irrompere nella altrui personalità attraverso l’eloquio invadente, se mai discretamente e con tatto riuscire a fare in modo che si rea-lizzi quel processo di scambio valoriale che in primis è narrazione del proprio essere, senza alcuna pretesa di provo-care una risposta immediata dall’altra parte e perciò di accedere alla parte più intima dell’altro.

La contingenza che è anzitutto cir-costanza storicamente oltre che social-mente stabilita, è intimamente legata alla posizione di chi riconosce il carat-tere fugace e perciò contingente – di ciò che è ora, ma potrebbe non essere più – delle proprie convinzioni, dei pro-pri modi di pensare, delle proprie visio-ni rispetto ad un evento, un fenomeno o anche un problema. Quest’ultima ca-pacità che caratterizza l’essere umano che vive non il disincanto, ma la certez-za che i fenomeni nel mondo e tutto ciò che è precostituito all’uomo debbano es-sere interpretati e, di fatto lo sono, sul-la base di assunti culturali che regola-no la vita di una data comunità in un dato periodo storico, viene nominata da Rorty (1989) “ironia”, la quale pur se in accezione diversa da quella socratica, segna una sorta di relativismo cogniti-vo, funzionale all’integrazione di altri modi di pensare, di sentire, di percepi-re la complessità di situazioni proble-matiche, di eventi ed esistenti.

Lo stesso Socrate, parimenti, attra-

verso l’ironia mirava al disvelamento delle false congetture, alla dimostra-zione dell’infondatezza di un ragiona-mento che ha il carattere di mera opi-nione, pertanto vacillante ed effimero. Attraverso il dialogo che implica sem-pre un confronto orale tra le parti per mezzo del discorso ci si può avviare, se-condo il filosofo greco alla ricerca della conoscenza.

Il processo gnoseologico si costitui-sce quale bildung personale, rielabo-razione cognitiva in un dialogo intimo dell’uomo con se stesso che nell’atto di intuire, afferrare, fare proprio, inferi-re dall’esperienza, sintetizza, dà ordi-ne, classifica, stabilisce connessioni tra dati e informazioni di vario genere, ma non senza il supporto di un contesto so-ciale che lo aiuta ad esplorare meglio, lo sostiene nella scoperta, lo orienta nel-la definizione del sé. La conoscenza di-viene così costruzione sociale e, nel suo farsi storico, rappresenta la risposta di una comunità che attraverso atti di pa-rola, ricchi di significato, cerca di con-ferire senso al mondo, dandone rappre-sentazione congiunta, perpetuando, nel mentre, quella continuità che è tensio-ne dell’essere umano verso l’infinito ed insieme speranza di lasciare qualcosa al mondo dopo di sè.

Ancora, con il dialogo e per il suo tramite le questioni problematiche che sono nelle cose, possono essere poste quali problemi effettivamente avverti-ti che presuppongono soluzioni sì per-sonali, ma sempre sollecitate, fatte na-scere da altri. Il richiamo a Socrate e alla maieutica, anche in questo caso, è del tutto evidente. L’interlocuzione che è forma privilegiata di dialogo (Blezza, 2001, 2007, 2008), infatti, dispone tan-to l’emittente quanto il referente del-

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la comunicazione ad una migliore de-finizione della situazione-problema, in termini popperiani, dando adito ad una rappresentazione più intellegibile, do-tata dei caratteri dell’evidenza e della nitidezza.

Per due o più menti che si predispon-gono a tale circostanza, il linguaggio e la comunicazione sono strumenti del pensiero che pone idee-ipotesi da cor-roborare costantemente, da porre al vaglio di una realtà che si offre quale trama da ri-tessere congiuntamente e dove ciascuno è di diritto legittimato ad apportare il proprio contributo (Lave & Wenger, 1991).

Tuttavia ci sono alcune condizioni che devono verificarsi perché il discor-so tra le parti possa avvenire e perché la situazione comunicativa sia davve-ro edificante: l’apertura nei confronti dell’altro in termini di riconoscimento quale interlocutore privilegiato è la pri-ma, dalla quale discendono tutte le al-tre. Rogers evidenzia il ruolo dell’ascol-to attivo che implica empatia, un rico-noscersi nell’altro e che, secondo Bian-chi (2010) è anche il “dono del tempo: attendere l’altro, con le sue esitazioni e i suoi ritardi, con la sua difficoltà ad esprimersi, con i suoi timori e le sue re-ticenze”.

Gordon, nel richiamare il principio dell’ascolto attivo lo pone in successio-ne all’ascolto da lui definito “passivo”. La capacità dell’interlocutore di pre-stare totale attenzione a ciò che l’altro dice è preliminare e condizione neces-saria per effettuare una compiuta ri-flessione, senza giudicare o sentenzia-re su ciò che l’altro ha espresso. L’em-patia, diversa dall’Einfühlung steinia-na, dispone a sentirsi parte di uno stes-so costrutto umano, a soffrire, a sorri-

dere, in sostanza a provare le stesse emozioni della persona con la quale si è in relazione dialogica. L’ Einfühlung è invece ben altra cosa: è un processo che proietta la persona nella situazione problematica dell’altro, nella persona-lità dell’altro, fin da farsi carico e non solo emotivamente del vissuto del pro-prio referente.

Il dialogo implica dunque crescita personale e sociale, nella misura in cui la relazione comunicativa è improntata al senso di comunanza, di condivisione di interdipendenza. È solo allora che la parola si fa logos che non è solo discorso, racconto, ma come sostiene Heidegger essendo il termine greco intimamente connesso al verbo leghein è anche con-servazione, raccolta, accoglimento di ciò che viene detto e quindi ascolto. Il dia-logo ha il potere di costruire o di demo-lire, di creare o di distruggere, di par-tecipare o di occultare.

Le possibilità in positivo e le even-tuali distorsioni sono sempre a carico dell’uomo e dell’immagine di sociali-tà che questi ha sviluppato attraverso la propria esperienza e la formazione. Quando la parola perde la sua pregnan-za, in termini valoriali e acquisisce ac-cezioni meramente conative, il dialogo e la comunicazione risultano in decli-no, impoveriti strutturalmente e priva-ti della loro primaria funzione: quella di fungere da collante tra gli uomini, di porli non gli uni accanto agli altri, ma in prossimità degli altri, lasciando loro presagire orizzonti comuni di senso.

Quando persino significante e signi-ficato perdono la loro connessione e co-erenza, quasi a riprodurre una torre di Babele, i linguaggi diventano una sor-ta di “clashing grammars” e rinsaldano legami a connessione debole - è il caso

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di numerose organizzazioni umane, tra cui la scuola e la famiglia-. In tali isti-tuzioni in cui lo sviluppo umano e so-ciale è strettamente correlato alla co-municazione ed alla predisposizione del contesto nel quale essa avviene, si rende oggi, più che mai auspicabile la formulazione e l’esercizio di azioni for-mative mirate all’apprendimento della capacità di dialogo proprio lì dove essa è in difetto. Apprendere a dialogare dia-logando, una sorta di learning by doing, teso ad un obiettivo più alto: la riscoper-ta dell’uomo.

“Considera l’uomo con l’uomo, e ve-drai congiuntamente, ogni volta, la dualità dinamica che è l’essenza uma-na: (…); sempre due in uno, completan-dosi l’un l’altro nel reciproco impegno, mostrando l’uno con l’altro uomo. (…). Alla risposta alla domanda “che cos’è l’uomo?”, saremo più vicini se impare-remo a comprendere nell’uomo l’essere nel cui stato dialogico, nel cui recipro-co attuale essere in due, si realizza e si riconosce ogni volta l’incontro dell’uno con l’altro” (Buber, 2004, p. 119).

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Convegno internazionale I valori socio-politici nella vita giovanile e nelle istituzioni

da sinistra G. Serio, G. Catalfamo (univ Messina).

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Dalla sofferenza alla speranza. Un percorso dialogico per la maturazione della persona

di ROSA GRAZIA ROMANO*

RiassuntoIl vertiginoso progresso della scienza

e della tecnica sembra rendere l’umanità impreparata ad affrontare i complicati risvolti di questo progresso, che toccano gli aspetti della vita sociale, educativa, affettiva, emotiva, spirituale, rendendo l’uomo sempre più inquieto ed infelice, incapace di vivere la sofferenza e di cu-stodire la speranza.

Occorre riuscire a contrapporre un percorso educativo che sia orientato ad una maggiore capacità dialogica dell’es-sere umano con se stesso e con il mondo, in modo che possa superare e trascende-re la logica dell’isolamento narcisistico e dell’indifferenza.

L’articolo traccia un percorso possi-bile di crescita in tale direzione, riflet-tendo su quali siano le condizioni per-ché la persona possa guardare oltre la propria sofferenza e le proprie paure ed aprirsi ad una relazionalità positiva. Inoltre, propone un modo di conservare, in tutte le circostanze della vita, quel-la forza che aiuta a superare le ineludi-bili difficoltà dell’esistere e di muover-si in un’ottica di speranza, recuperan-do il desiderio, la fiducia ed il perdono, che aiutano a custodire la pace profon-da del cuore.

AbstractThe rapid progress of science and

technology seems to make mankind unprepared to deal with the complica-ted aspects of this progress, which affect aspects of social, educational, emotional, spiritual life, making the man more and more restless and unhappy, unable to ex-perience the suffering and guard/keep the hope. It is essential to oppose an edu-cational route oriented towards a greater dialogical capacity of the human being with himself and the world, so that he may overcome and transcend the logic of narcissistic isolation and indifference.

The article outlines a possible growth path in this direction, reflecting on the conditions for which the person can see beyond his pains and his fears and open up to a positive relationality. Also, the article proposes a way to preserve, in all circumstances of life, the strenght that helps to overcome the inevitable diffi-culties of existence and to move in a per-spective of hope, recovering desire, trust and forgiveness, which helps to keep the deep peace of the heart.

È possibile vincere l’inquietudine e l’incomunicabilità?

Nonostante il progresso della scien-za e della tecnica consenta ormai all’uo-mo di esercitare un potere sempre mag-

* Ricercatrice di Pedagogia generale, Universi-tà di Messina.

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giore sulle forze della natura e sulla realtà che lo circonda, non sembra che si possa affermare che l’umanità sia più felice, più in relazione e più in dialogo.

La nostra si rivela come un’epoca in cui nuove inquietudini stanno perme-ando tutti gli aspetti della vita dell’es-sere umano, da quelli materiali, pratici ed operativi, a quelli psicologici, ideali e valoriali. Si respira nell’aria una ten-sione diffusa, densa di paura e incom-prensione, anche perché sono forti gli squilibri che continuano ad alimentare conflitti a tutti i livelli e che ostacolano l’instaurarsi di un clima relazionale po-sitivo ed accogliente. Come afferma Be-nedetto XVI – si constata che “il dialogo tra le generazioni si fa faticoso e a volte prevale la contrapposizione; assistiamo a fatti quotidiani in cui ci sembra che gli uomini stiano diventando più ag-gressivi e più scontrosi; comprendersi sembra troppo impegnativo e si prefe-risce rimanere nel proprio io, nei pro-pri interessi»1. Prevale la tendenza del soggetto a rivendicare la propria auto-nomia, a negare ogni limite al proprio desiderio, a costruire la propria felicità ed il proprio benessere in maniera au-toreferenziale ed isolata, rimarcando la propria indipendenza ed indifferen-za nei confronti degli altri.

Sembra quasi che la ricerca della felicità e del dialogo nella società delle persone si configuri come una opposizio-ne tra la sfera personale e quella rela-zionale e sociale, il che produce inevita-bilmente un progressivo isolamento del soggetto ed il conseguente sfaldamento della coesione sociale e del senso di so-

1 Benedetto XVI (2012), Omelia nella solennità di Pentecoste, Basilica Vaticana 27 Maggio 2012, Libreria Editrice Vaticana.

lidarietà. La corsa a “salvarsi da soli” sta avviando, cioè, un processo perver-so di avvitamento in un circuito vizio-so di incomunicabilità, incomprensione e conflittualità che, lungi dal liberarci dall’inquietudine, ci condurrà verso l’a-ridità dei sentimenti e l’incapacità di costruire un futuro accettabile per l’in-tera umanità.

È possibile interrompere questa cor-sa disperata e disperante verso l’annul-lamento della vita e della speranza per ricostruire, invece, un diverso e più po-sitivo percorso che vada “oltre” l’inquie-tudine e l’incomunicabilità? È possibile attrezzare il soggetto perché sia messo in grado di attraversare questa nuova temperie culturale senza soccombere ai nuovi conflitti ed alle diverse e più subdole inquietudini che la rendono vi-schiosa e, alla fine, distruttiva?

Urge ripensare un cammino capa-ce di rafforzare le difese che l’uomo del XXI secolo deve mettere in campo per neutralizzare le rischiose e paralizzanti derive che si aprono lungo il suo percor-so esistenziale. Occorre riuscire a con-trapporre, al senso di angosciosa solitu-dine e di sfiducia in un futuro comune e solidale, un percorso educativo che sia orientato ad una pacificazione dell’es-sere umano con se stesso e con il mon-do, in modo che possa divenire capace di superare e trascendere la logica dell’iso-lamento narcisistico e dell’indifferenza.

Nel tracciare un percorso possibile di crescita in tale direzione, riflettere-mo su quali siano le condizioni perché la persona possa guardare oltre la propria sofferenza e le proprie paure ed aprir-si ad una relazionalità positiva e ad un dialogo costruttivo. Ci interrogheremo su come si possa trovare un modo di conservare, in tutte le circostanze del-

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la vita, quella forza che aiuta a supe-rare le ineludibili difficoltà dell’esiste-re ed a muoversi in un’ottica di speran-za, recuperando il desiderio e la fidu-cia. Ci sforzeremo di trovare le buone ragioni per custodire la pace profonda del cuore2 e per rintracciare altri modi meno paralizzanti di leggere il dolore e la sofferenza (causati anche dalla soli-tudine e della mancanza di dialogo), al-tre e più positive logiche per orientare le dinamiche relazionali, altri approdi verso cui indirizzare desideri, attese e comportamenti.

Desiderio e attesa: i volani della vita

Il desiderio è un’esperienza umana fondativa ed ineludibile, connessa sia con il piacere che con il dolore, genera-tiva di felicità ma anche di infelicità. Tutte le culture e le società, riconoscen-do la carica energetica e trasformativa che da esso promana, gli attribuiscono un valore ed un peso particolare nell’e-sperienza personale e sociale ed inter-vengono variamente sul suo controllo, preoccupate della forza dirompente che esso riesce a sprigionare.

Nel mercato capitalistico occidenta-le, ad esempio, il desiderio è considerato come la molla vitale del sistema econo-mico/finanziario e, pertanto, viene con-tinuamente sollecitato, rappresentato ed orientato nei modi più vari. Diver-sa è, invece, la cultura che si ispira al buddismo perché, considerando il desi-

2 Come insegnano i maestri di spiritualità, la pace si perde sempre per cattive ragioni. Si veda, tra gli altri, il denso libretto di: Philippe J. (1991), La pace del cuore, tr. it. Dehoniane, Roma, 1992.

derio come la vera fonte della sofferen-za, propone di raggiungere la felicità at-traverso pratiche ascetiche che portino all’assenza di ogni desiderio, il nirvana.

Può accadere, cioè, che si rincorra continuamente la soddisfazione di ogni desiderio o, al contrario, che si scelga di rinunciare al desiderio oppure an-che che si smarrisca il desiderio, a se-guito di drammatiche delusioni. In ogni caso, al desiderio si rimane comunque legati, anche quando si desidera di non desiderare per non soffrire nel deside-rare invano. Ma, se desiderare è inevi-tabile, come dice Salonia, «sta a noi de-cidere il cosa e il come desiderare. Si può dire anzi che imparare a desidera-re è una competenza necessaria nella vita, che ne decide probabilmente pure la qualità»3.

Può accadere, infatti, che si faccia l’errore di desiderare qualcosa instead of, “al posto di” qualcos’altro perché non si riesce a capire ciò di cui si ha real-mente bisogno e, in questo modo, si ri-schia di rimanere sempre insoddisfatti, perché si insegue un desiderio illusorio che non è quello reale. Ecco perché l’e-ducazione al e del desiderio dovrebbe essere un momento fondamentale del processo educativo, un compito da non sottovalutare.

Proprio perché viviamo nella socie-tà dell’overdose4, dove c’è troppo di tut-to e non si riesce più a discriminare tra cose necessarie e cose superflue, diven-ta vitale saper discernere tra i desideri del cuore, più significativi e arricchen-

3 Salonia G. (2011), Sulla felicità e dintorni. Tra corpo, parola e tempo, Il pozzo di Giacobbe, Trapani, p. 27.

4 Da Empoli G. (2002), Overdose. La società dell’informazione eccessiva, Marsilio, Venezia.

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ti, e quelli superficiali ed inessenziali, indotti dai modelli del consumismo im-perante e dalle pubblicità martellanti di esperti imbonitori. Diventa sempre più difficile distinguere verità e falsità, bene e male, positività e negatività in un tempo, come il nostro, in cui le cose superflue e perfino inutili sono percepi-te come necessarie e dove la struttura economica poggia proprio sulla continua creazione di nuovi bisogni indotti che sollecitano il desiderio di comprare e di consumare subito, inoculando l’illusione di poter diventare felici col possesso di alcuni oggetti. La nostra sembra ormai una società della “felicità usa e getta”, dove il desiderio è sempre mutevole, li-quido e inafferrabile anche quando ri-guarda oggetti, legami e persone: tut-to si usa finché serve e poi si butta via.

Ecco perché una delle sfide più im-pegnative è diventata quella di fornire criteri per poter distinguere, nella plu-ralità di offerte e possibilità, cosa è da considerare positivo e complessivamen-te accettabile e cosa è invece pericolo-so o inutile, quindi da lasciare ed evi-tare. Ma, per saper desiderare e saper scegliere, occorre apprendere a sostare consapevolmente nel desiderio, piutto-sto che continuare ad inseguire desideri inconsistenti, riuscire a saper discernere cosa sia valido e desiderabile e cosa non lo sia, scoprire per cosa e per chi valga la pena attendere, lavorare e soffrire.

La prima competenza da appren-dere, pertanto, è il riuscire ad essere consapevoli di cosa si desidera davve-ro. L’antica saggezza greca a riguardo ci mette in guardia: «Quando gli dei ci vogliono punire, realizzano i nostri de-sideri». Ci sono aspettative sbagliate il cui perseguimento porta infelicità, sco-raggiamento e delusioni distruttive, in

un crescendo di agitazione e di pretese piuttosto che di soddisfacimento, sere-nità e felicità.

Saper desiderare significa anche sa-per attendere, esser capaci cioè di dila-zionare nel tempo il raggiungimento dell’obiettivo del desiderio, accettando le condizioni necessarie (scelte, rinun-ce, fatiche, sofferenze, ecc.) perché que-sto divenga possibile. Senza maturare la capacità di attesa, cui risulta collega-ta anche quella di progettare e organiz-zare coerentemente i propri comporta-menti, il desiderio, infatti, può diventa-re fonte di infelicità ulteriore. Un’altra competenza che occorre raggiungere ri-guarda il modo in cui occorre rapportar-si con le proprie attese. Infatti, ogni per-sona, a partire dalle proprie esperienze, costruisce uno stile personale ed adotta delle strategie che dovrebbero condur-la alla realizzazione delle aspettative. Se è vero che non esiste un unico stile giusto o vincente, è pur vero che c’è una linea di demarcazione tra stili di atte-sa personali patologici, rigidi e disfun-zionali, e stili sani, flessibili, che per-mettono alla persona di adattarsi alle circostanze, di individuare con ponde-ratezza ed equilibrio sia l’obiettivo da conseguire, sia la strada da percorrere (direzione) e l’energia/impegno neces-sari per raggiungerlo.

L’esperienza stessa del desiderare, pertanto, può diventare strategia vin-cente soltanto se non alimenta aspetta-tive irrealistiche, asfittiche ed orientate in senso individualistico, e si trasforma invece in un percorso maturativo della persona, occasione di sviluppo delle sue potenzialità e del suo impegno attivo verso il bene comune. La tensione alla realizzazione dell’obiettivo del deside-rio, in questo caso, non rimane vincola-

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ta sempre e soltanto autarchicamente a sé stessi (stile relazionale narcisisti-co), né legata esclusivamente alla pre-senza di un’altra persona (stile relazio-nale dipendente), ma si apre all’alteri-tà in senso più ampio, con percorsi di crescita comune (stile dialogante e co-operativo) basati sulla capacità di dare e chiedere aiuto.

Maturare in senso pieno la capaci-tà educativa della tensione dell’attesa desiderante diventa, in tal modo, l’oc-casione per recuperare e valorizzare le forze più potenti della vita. Si può dire, anzi, che da come viviamo l’attesa di-pende il modo in cui noi viviamo la vita, la nostra capacità di affrontare e reagi-re alle esperienze più difficili.

Dolore e sofferenza: riuscire a guardare al di là della siepe

E particolarmente difficili sono le esperienze del dolore e della sofferen-za che non mancano in nessuna esisten-za, anzi diventano la cartina al torna-sole per misurare la forza vitale della persona.

La società dell’immagine e del con-sumo non aiuta certo ad affrontare con equilibrio queste esperienze e queste tematiche, che tratta invece in modo schizofrenico e contraddittorio. Infatti, da un lato, nel mondo edulcorato ed ir-realistico delle rappresentazioni pub-blicitarie massmediali così come nella stessa organizzazione delle città si fa di tutto per negare spazio e visibilità alla sofferenza e al dolore della realtà quo-tidiana di poveri, emarginati, malati, isolati di fatto in luoghi dove non pos-sano incontrare, interferire o infastidi-re chi è sano, ricco, felice. Con questa

lontananza si vuole esorcizzare, negan-dola e circoscrivendola, la realtà della negatività e del limite per distrarre il pubblico dei consumatori5, rassicuran-doli sulla bontà e appetibilità di alcuni beni verso i quali si tende ad orienta-re i consumi. Per altro verso, invece, il male e la sofferenza fanno irruzione in tutta la loro forza e virulenza nei media sia in dossier e reportage sia in partico-lari fiction, dove appaiono a dosi mas-sicce sotto forma di crude rappresenta-zioni di violenza, indulgendo con sadi-ca pervicacia su immagini di efferatezza inaudita. Dolore, malattia, sofferenza, anche quando riguardano altre persone reali, diventano parti di uno spettacolo e, come tali, psicologicamente tendono ad essere confinate nella distanza del-la rappresentazione filmica, non senti-te più come realtà coinvolgenti vissute da nostri simili, ma come entità astrat-te, lontane e allontanabili a piacimento con un click del telecomando.

Questa spettacolarizzazione ed as-suefazione alla rappresentazione del do-lore e della sofferenza produce, a lungo andare, un inevitabile distanziamento ed una insensibilità rispetto al dolore così raffigurato ma, quel che è peggio, non aiuta il soggetto a confrontarsi re-alisticamente né con le proprie emozio-ni né con l’altro (attraverso il dialogo); anzi lo rende ancor più fragile ed indi-feso, convinto di poter allontanare da sé la fatica della rielaborazione dei propri vissuti di sofferenza, quando questa si presenterà.

5 Confronta su questi temi le efficaci descrizio-ni del sociologo Bauman Z., in particolare il suo Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consu-matori e la miseria degli esclusi, tr. it. Erickson, Trento, 2007.

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Purtroppo ogni esistenza umana pri-ma o poi viene attraversata, in un modo o nell’altro e con diversa intensità, dal dolore e dalla sofferenza e nessuno ne può essere esente del tutto. Si tratta di esperienze che nessuno sceglie né può allontanare a piacimento, che talvolta risultano anche positive, quando rie-scono a temprare e rafforzare la perso-na, ma che tante volte possono essere talmente gravi e dolorose da schiaccia-re ogni resistenza, fino all’esperienza estrema del suicidio.

Ma sarebbe riduttivo e miope fer-marsi all’affermazione che il dolore e la sofferenza, in sé e per sé, non hanno alcun senso e sono una realtà negativa: questo non aiuta certo ad affrontarli. Meno banale e più significativo diventa, come ci ricorda la saggezza della nostra migliore tradizione culturale, riconosce-re che tutta la vita è comunque e sem-pre una lotta per cui, in qualche misu-ra, diventa fisiologico attraversare sof-ferenze e sconfitte. Più difficile, invece, è comprendere quando e perché la sof-ferenza che l’uomo è costretto a speri-mentare risulti eccessiva e disperante.

Quanta sofferenza è possibile sop-portare? E cosa fare per imparare a sop-portarla meglio?

Se è vero che non esistono risposte magiche e valide sempre, tuttavia si può imparare a trattarla se si riesce a distinguere tra:

– la sofferenza “fisiologica”, cosid-detta “normale”, legata cioè ai cambia-menti fisiologici e traumatici dell’esi-stenza, (come, ad esempio, la sofferenza di chi sperimenta un lutto o quella le-gata ad uno stato doloroso passeggero);

– la sofferenza che si fa problema, che richiede la competenza dell’esperto, perché ha provocato un blocco, una in-

terruzione della crescita e della trama relazionale, con la conseguente chiusu-ra nei confronti della vita e degli altri6.

Saper distinguere tra sofferenza e problema è fondamentale, perché de-termina il tipo di sostegno da chiedere o da dare e, conseguentemente, il tipo di intervento da mettere in campo.

Indubbiamente, una via fondamen-tale per sopportare ed andare oltre è quella di trovare un senso al dolore ed alla sofferenza7. Non è cosa facile da fare: è come chiedere di lanciarsi nel buio oltre la siepe, andando contro e sfi-dando l’evidenza con lo sguardo più in là rispetto al vissuto immediato! E non tutti ci riescono e lo possono fare da soli.

Per dare un senso occorre riuscire a guardare con gli occhi della speranza per vedere in filigrana quello che gene-ralmente non si riesce a vedere. Se si riesce a fare questo salto avviene una inversione di ottica che può cambiare di segno tutta l’esperienza ed il vissuto del-la persona. La “forza salvifica” del dolo-re la si scopre meglio a distanza, quan-do il dolore è finito ed ha lasciato le sue tracce, facendo maturare atteggiamenti più comprensivi, convinzioni meno pre-

6 Cfr. Salonia G. (2011), Sulla felicità e dintorni…, op. cit., pp. 75-80.

7 Sul tema del dolore e della sofferenza si vedano, tra gli altri, i classici: Görres A. - Rahner K. (1982), Il male, tr. it. Paoline, Cinisello Bal-samo; Mounier E. (1995), Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero della sofferenza, tr. it. BUR, Milano; Teilhard de Chardin P. (1991), Sulla sofferenza, tr. it. Queriniana, Brescia; ed inoltre: Natoli S. (1986), L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Feltrinelli, Milano; Andreoli V. (2007), Capire il dolore. Per-ché la sofferenza lasci spazio alla gioia, BUR, Milano; Ravasi G. (2002), Fino a quando Signore? Un itinerario nel mistero della sofferenza e del male, San Paolo, Cinisello Balsamo.

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suntuose e attese più realistiche.La sofferenza, d’altra parte, è la con-

dizione che aiuta ad aprirsi all’ascolto degli altri che soffrono se viene accetta-ta da chi soffre, che fa scoprire il sano attaccamento alla vita ed ai suoi aspetti essenziali, che abitua ad accettarsi pur nella condizione di fragilità, ridimensio-nata e relativizzata. Soltanto a contatto col dolore, accettandolo, la persona ne può scoprire, autonomamente, l’oscuro significato.

Non sono le spiegazioni scientifiche o i significati esoterici che possono aiu-tare a vivere il dolore; per accettarlo, serve molto di più l’esperienza conso-lante della presenza e della vicinanza dell’altro che resta accanto ad ascolta-re, anche in silenzio, il nostro racconto. Sarà poi ognuno a scoprire, all’interno dei temi della sua esistenza e dei suoi particolari percorsi evolutivi, il senso particolare del proprio dolore, attraver-so un non facile cammino di accettazio-ne e di risignificazione della propria fa-tica di vivere8.

Seguendo questa logica, la sofferen-za, il nostro “essere spezzati”, non è più semplicemente una noiosa interruzio-ne nella nostra vita, ma rivela qualco-sa su chi siamo, sul nostro limite, sul-la nostra creaturalità e vulnerabilità9, così come insegna a guardare in faccia la solitudine e il dolore, senza stordirsi ed anestetizzarsi, vivendo con pazienza il “non ancora” e confidando in un futu-ro più luminoso.

Sappiamo ormai dalle scienze uma-

8 Cfr. Salonia G. (2011), Sulla felicità e dintorni…, op. cit., p. 78.

9 Gensabella Furnari M. (2008), Vulnerabilità e cura. Bioetica ed esperienza del limite, Rubbettino, Soveria Mannelli.

ne, che lo hanno ampiamente dimostra-to, che un modo per affrontare meglio il dolore è l’uscire dall’isolamento e condi-viderlo con qualcuno che sa e può acco-glierlo. Infatti, entrare in relazione dia-logica, raccontare i problemi, confidare le lotte e le solitudini serve non soltan-to a chi li vive ma anche a chi li ascolta, aiuta a crescere insieme nella consolan-te condivisione dei problemi che allevia le pene e toglie dall’isolamento. Nella sua lunga esperienza di aiuto a coloro che soffrono, Nowen scrive: «Quando scopro di non essere più solo nella mia lotta e quando comincio a sperimenta-re una nuova “fraternità nella debolez-za”, allora può prorompere la vera gio-ia, in mezzo al mio dolore»10.

È il modo di vivere il dolore che con-sente ad esso di non costituirsi come ostacolo alla gioia. Come dimostrano tante testimonianze di mistici e di per-sone credenti di ogni tempo e cultura che hanno subìto sulla propria persona persecuzioni e violenze o che hanno do-vuto lottare con gravi malattie, la soffe-renza, quando viene accettata e vissu-ta con serenità come una esperienza di amore necessaria per raggiungere qual-cosa di più grande, può diventare il mez-zo attraverso cui attraversare la siepe e trasfigurare il dolore, la chiave segreta che fa dell’essere spezzati un passaggio misterioso verso la gioia.

Il Perdono: un modo di vivere la gratuità

In fondo, a ben guardare, molta della

10 Nowen H.J.M. (1994), Vivere nello Spirito, tr. it. Queriniana, Brescia, p. 33.

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umana sofferenza, soprattutto di quella che riguarda i sentimenti e le relazioni, dipende dal rimanere legati ad una lo-gica materialistica ed utilitaristica che ci blocca in circuiti viziosi di reazioni e contro-reazioni oppositive dai quali non riusciamo a liberarci, vittime delle no-stre stesse emozioni e passioni che ci posseggono e che non sappiamo ricono-scere, controllare e gestire. Diverso sa-rebbe se riuscissimo a scoprire la for-za liberante della logica della gratuità che ci aiuterebbe ad adottare elementi di moderazione e dinamiche ricostrut-tive dei nessi essenziali per una sana vitalità ed una positiva relazionalità, anche in situazioni in cui la sofferenza obnubila la capacità di autocontrollo e non lascia spazio alla ragionevolezza.

Un passaggio importante per po-ter consentire al dolore di tramutarsi in uno strumento di cammino verso la gioia è, infatti, quello che porta la per-sona a superare ogni tipo di astiosità e le fa scegliere di azzerare il complesso intreccio di crediti/debiti, colpe/offese che ne ostacolano l’avvio.

Si inizia il percorso quando la per-sona decide di riappacificarsi con se stessa, e può farlo se riesce a liberarsi di tanti sensi di colpa, che molto spes-so sono indotti socialmente e cultural-mente. Si tratta invero di un percorso in salita, un po’ ostico ma di fondamen-tale importanza. È utile precisare che “sentire la colpa” è molto differente dal provare “senso di colpa”: se il sentire la colpa può essere un sentimento sano, restare in perenne senso di colpa per ciò che si prova o per ciò che si è fatto può portare ad una paralisi psicologica per nulla costruttiva.

Pacificarsi con sé stessi, quindi, com-porta il superamento del conflitto inte-

riore, nel quale – per sua natura – ci sono degli elementi che si contrappon-gono. Questo confliggere di elementi op-posti porta un grande senso di infelicità, perché fa vivere l’individuo in uno sta-to di perenne combattimento interiore.

Certamente, il modo migliore, più rasserenante e durevole, per superare il conflitto interiore è quello di perdo-nare, adottando la logica della gratui-tà, applicata nelle tre declinazioni del:

1) perdonare sé stessi: spesso i giudi-ci più impietosi contro di noi siamo pro-prio noi stessi che non ci perdoniamo gli errori commessi, perché non ci accettia-mo come esseri imperfetti;

2) perdonare la Vita e Dio, che ha permesso tanta sofferenza nella nostra vita ed in quella dei nostri cari o di per-sone innocenti e indifese;

3) perdonare gli altri, tutti coloro che ci hanno fatto del male, o sono sta-ti indifferenti alla nostra sofferenza, si-ano essi lontani ed estranei oppure no-stri stessi familiari.

Se è vero che molta della nostra sof-ferenza più profonda deriva proprio dal rapporto con noi stessi e con coloro che amiamo di più e che ci amano di più, con cui condividiamo la nostra vita quo-tidiana, perché nella quotidianità, con-tinuità e vicinanza della sofferenza si acuiscono/esasperano i vissuti dei pro-blemi, quindi, è anche lì che occorre tro-vare soluzioni e rimedi. Fondamentale e primario diventa, quindi, il perdona-re sé stessi perché da questo discendo-no anche le altre forme di perdono. Fac-ciamo molta fatica, infatti, ad accet-tarci con i nostri limiti ed a rinunciare alle logiche giustificatorie che ci fanno imputare sempre ad altri i fallimenti: a volte, preferiamo crogiolarci nell’il-lusione consolatoria che i nostri errori

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derivino dal fatto di essere stati vinco-lati da forze esterne ingestibili di cui ci sentiamo in balìa.

Tutto può essere ribaltato solo se sappiamo fare un salto di qualità nel rinunciare all’idea di onnipotenza ed accettarci limitati ma, anche e comun-que, capaci di scegliere il percorso di autotrasformazione: questo gesto gra-tuito ci restituisce la libertà di riavvia-re il cammino. La persona che non sa perdonarsi non sa neppure perdonare agli altri, anzi rimane stritolata dalle fratture dei propri sentimenti ed invi-schiata in un circuito narcisistico, inca-pace di avviarsi su un sentiero di novi-tà di pensiero e di vita.

Ma che significa “perdonare”? In quasi tutte le lingue, il perdono è colle-gato al “dono”11, nel senso cioè di un atto gratuito, che offre in dono ciò che è più prezioso e nuovo, senza cercare motiva-zioni nel passato o nelle caratteristiche (meriti, competenze, ecc.) del soggetto a cui esso è rivolto. Come il dono, anche il perdono si proietta nel futuro senza attendere nulla in cambio.

È pur vero che, di fronte alla logica del dono/perdono non può considerar-si irrilevante l’obiezione avanzata da Jankélévitch, il quale sosteneva che per certi crimini perdonare dovrebbe essere impossibile, inopportuno e perfino im-morale, perché il perdono potrebbe si-gnificare legittimare il crimine e gene-rare l’oblio delle vittime12. Si pensi, ad

11 Sirna C. (2004), Educazione alla libertà come educazione al per-dono, in Sirna C. (a cura di), Tempo formativo e creatività. Scritti in onore di Leone Agnello, I Tomo, Pensa MultiMedia, Lecce, pp. 231-239.

12 Jankélévitch V. (1987), Perdonare?, tr. it. Giuntine, Firenze.

esempio, alle vittime del nazismo e dei crimini hitleriani e al dibattito che, a riguardo, ha agitato il mondo sociale, culturale e politico lungo tutto il perio-do del secondo dopoguerra.

Altrettanto intrigante e comples-so da sciogliere è il nodo «se si perdo-na qualcuno o si perdona qualcosa a qualcuno»13: è un problema che entra nel merito se l’imperdonabilità riguardi la persona nella sua interezza, oppure salvi la persona e si riferisca soltanto ai suoi atti. Diverse dovrebbero essere le implicazioni operative sulla valutazio-ne degli atti di compensazione che an-drebbero richiesti a riparazione del dan-no, in nome di una giustizia che non si può comunque mettere a tacere. Senza voler entrare nel complesso intrigo dei nodi teorici problematici che si aprono nella trattazione del tema in questio-ne, ferma restando la salvaguardia dei fondamentali principi di equità e giusti-zia, ci sembra opportuno comunque ri-chiamare l’attenzione sulla grande va-lenza innovativa del tema della gratu-ità e del perdono in campo educativo e formativo. In questo settore, infatti, ai fini della crescita personale e relaziona-le diventano estremamente importanti gli effetti dinamizzanti correlati a tut-te quelle forze che sono collegate alla “cura del cuore”14 oltre che alla dimen-sione cognitiva e razionale.

Pertanto, di fronte ai tanti fatti che siamo tentati di considerare imperdo-

13 Cfr. Derrida J. (2004), Perdonare. L’imperdonabile e l’imprescrittibile, tr. it. Raf-faello Cortina, Milano, pp. 30 ss..

14 Cfr. Rossi B. (2007), Aver cura del cuore. L’educazione del sentire, Carocci, Roma; Natoli S. (1994), La felicità. Saggio di teoria degli affetti, Feltrinelli, Milano.

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nabili15 e che bloccano la positiva evo-luzione della realtà personale e socia-le, ci sembra particolarmente fruttuo-so in termini di novità di vita, serenità e libertà creativa ricorrere all’adozione della logica del perdono, per quanto dif-ficile e fragile essa possa apparire, per iniziare un percorso di crescita creati-va e liberatoria, svincolata da paure e da schemi, sicuramente realistica e ri-equilibrante sul piano intra-personale ed inter-personale.

Perdonare significa liberare dal car-cere il cuore sia della persona che offre il perdono che quello della persona da perdonare. L’unico vero pericolo, infatti, è rimanere prigionieri della rabbia, del rancore, del risentimento che, anche sul piano psicologico, ci legano all’altro mol-to di più di qualunque altro sentimento. Scegliere di perdonare è, in ultima anali-si, voler ricomporre l’integrità personale e lasciare che il lupo e l’agnello, che vi-vono dentro ogni persona, giacciano in-sieme16, far sì che la parte adulta, matu-ra e forte conviva con la parte bambina, spaventata, ferita, bisognosa di affetto, di approvazione e di comprensione. Se diamo retta solo al lupo, ci scopriremo capaci di vedere solo i nostri obiettivi ed incapaci di vedere l’altra persona. Se prestiamo attenzione solo all’agnello, di-venteremo vittima di noi stessi, dell’altro e del bisogno di attenzione altrui.

15 Cfr. Derrida J. (2004), Perdonare…, op. cit.. La vera condizione del perdono, scrive l’A., è la sua imperdonabilità, Infatti, se un fatto fosse perdonabile, che bisogno ci sarebbe di perdono? Il perdono, in realtà, è concepibile soltanto per-ché c’è qualcosa che ha creato una frattura, una lacerazione che si fa fatica a far rientrare nella normale economia della riparazione.

16 Si veda Isaia 11, 6.

Oggi più che mai, l’arte dell’educare che voglia aprire l’uomo alla sanità, alla ricchezza e alla dialogicità della vita è chiamata a riconoscere, al contempo, la forza e la vulnerabilità di ogni essere, ad accettare ognuno nella sua integrità ed interezza e, soprattutto, ad avviare ciascuno ad accettare se stesso, gli altri e il mondo con cuore aperto, compren-sivo e fiducioso.

Condizioni della dialogicità: fidu-cia e speranza

Se manca la fiducia, il cammino verso la serenità e verso il dialogo con sé stessi e con l’altro è impossibile per chiunque. Ma in chi o in che cosa si può e si deve avere fiducia?

Sicuramente occorre che la persona abbia fiducia in se stessa e nell’umanità e non consideri la realtà come immuta-bile e gli eventi come inesorabili. Abbia fiducia, cioè, in quella libertà che rende ogni persona capace di agire e reagire agli eventi che la sovrastano creando strumenti, oggetti, relazioni e contesti diversi da quelli dati, inventando così situazioni migliori rispetto a quelle in cui si trova a vivere ed operare.

La realtà può essere modificata, tra-sformata e migliorata soltanto da chi crede che la realtà è modificabile ed ha fiducia di poter intervenire, con le pro-prie forze, per progettare soluzioni ai problemi17. In caso contrario non esi-ste altro che la paralisi e l’attesa fata-listica degli eventi o, peggio ancora, la creazione di condizioni negative e falli-

17 Cfr. Kristeva J. (2006), Il bisogno di credere. Un punto di vista laico, tr. it. Donzelli, Roma.

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mentari: si pensi, ad esempio, ai circu-iti viziosi che si innescano nelle borse dove la sfiducia in un titolo finanziario produce di fatto perdite indotte proprio dall’effetto domino delle vendite relati-ve a quel titolo.

Occorre avere fiducia in sé stessi per iniziare il proprio percorso di crescita, per affrontare compiti evolutivi e pro-cessi di apprendimento che esigono im-pegno così come per riuscire a matura-re forme sempre più alte di autocon-trollo delle proprie emozioni e relazio-ni più positive.

Ma, se si vuole crescere, occorre ave-re fiducia anche negli altri, in tutti co-loro da cui in qualche modo si dipende, perché offrono gli strumenti necessari alla vita ed alla crescita, anche in quel-li che, pur con tutti i loro limiti, rappre-sentano i punti di riferimento operativi e istituzionali con i quali ci si deve con-frontare per acquisire informazioni, co-noscenze e saperi indispensabili.

Chi non ha fiducia negli altri rischia di fatto di mettere in atto comporta-menti che, inconsapevolmente ma ine-sorabilmente, lo portano ad accentua-re la distanza e la sfiducia anche degli altri nei loro confronti, perché di fat-to il loro convincimento funziona come una “profezia che si autoadempie” (Watzlawick)18.

La fiducia negli altri è doverosa e ineludibile anche, e soprattutto, per chi esercita funzioni educative e formative, perché deve sempre scommettere sulla possibilità di sviluppare le potenziali-tà ancora inespresse degli interlocuto-ri. Rosenthal e Jacobson (1976) hanno

18 Watzlawick P. - Beavin J.H. - Jackson D.D. (1967), Pragmatica della comunicazione umana, tr. it. Astrolabio, Roma.

dimostrato sperimentalmente quale peso esercitino le nostre credenze e le nostre aspettative relativamente all’e-sito positivo degli interventi formativi (effetto Pigmalione): possono influen-zare in maniera radicale le relazioni e le performance che si possono ottenere dagli altri.

Avere fiducia, in fondo, significa scommettere su qualcosa possibile, che può avvenire ma che è ancora solo pre-annunciata da alcuni segnali che il sog-getto sa cogliere e che vuole valorizzare, attivando tutte le sue energie nella di-rezione indicata. Una scommessa che, come dimostra tutta la storia umana, vale sempre la pena di fare perché di-namizza l’esistenza personale e sociale in maniera straordinaria, contribuen-do al conseguimento di risultati spes-so impensabili.

Soltanto chi crede ha la forza di pro-gettare e di guardare al futuro con en-tusiasmo e dinamismo: la fiducia/fede scaccia la paura e mette nella condizio-ne di sperimentare realtà e forze, al-trimenti nascoste ed inattingibili (ad esempio, riesce a sentire la forza e la po-tenza dal paracadute solo chi ha avuto il coraggio di gettarsi nel vuoto).

In realtà, la serenità della persona dipende molto dalla sua capacità di aver fiducia nella vita e di riuscire a proget-tare il proprio futuro, contrastando pro-blemi e sofferenze. La vera fiducia, quel-la che produce grandi cose, non è mai senza rischi: è sempre un fidarsi senza capire tutto necessariamente o subito, un accettare di mettersi in cammino, non con rassegnazione, ma con un vivo e gioioso desiderio di realizzare qualco-sa di cui si è intuita la grandezza e che ormai si ha nel cuore. Come scrive Kier-kegaard, credere è «inoltrarsi per quel-

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la strada dove tutti i cartelli indicato-ri dicono: Indietro, indietro!», è «venir-si a trovare in mare aperto, là dove ci sono settanta stadi di profondità sotto di te»; è «compiere un atto tale che per esso uno si viene a trovare completa-mente gettato in braccio all’Assoluto»19.

Il premio per chi crede è il dono del coraggio della speranza, una speranza necessaria per intraprendere il percor-so di pacificazione e di apertura all’al-terità ed all’Alterità che ci fa accetta-re i grandi misteri della vita – nascita, vita, morte, sofferenza – rifuggendo dai fantasmi di morte che continuamente ci tentano20. Chi crede e spera è consape-vole che, per quanto possa impegnarsi, il mistero della vita non sarà mai sve-lato del tutto e che la realtà trascende le possibilità di comprensione, previ-sione e controllo totale. Questo signifi-ca eliminazione di tante inutili rigidi-tà e blocchi mentali che ci fanno vivere nella «dimensione ambigua e dilemma-tica» dell’attesa ed aprono ad un futuro interpretato, invece, in una «dimensio-ne radicalmente aperta e luminosa»21, capace di far fronte alla disperazione dell’uomo.

L’opposto di speranza, infatti, non è paura, come spesso si è portati a ri-tenere, bensì disperazione. Di-sperare è vivere senza speranza, vivere con le prospettive di un futuro fermo al pre-sente, di un futuro morto o, nel miglio-

19 Kierkegaard S. (1850/2012), Esercizio del cristianesimo, tr. it. SE, Udine, passim.

20 Si veda l’ormai classico di Bloch E. (1994), Il principio speranza, tr. it. Garzanti, Milano; ed il recente Mosconi F. - Natoli S. (2012), Sperare oggi, Il Margine, Trento.

21 Borgna E. (2005), L’attesa e la speranza, Feltrinelli, Milano, p. 51.

re dei casi, un futuro molto, talvolta troppo, prossimo. Sono i tanti dispera-ti quelli che commettono scelleratezze e si sentono legittimati a commetterle, perché divenuti incapaci di aprirsi agli orizzonti luminosi della speranza, che colora la vita di gioia e brillantezza ri-empiendola di calore, di aperture e di fervida serenità.

Nel tempo della speranza diventa possibile vivere più pienamente l’espe-rienza della partecipazione, della con-divisione, della solidarietà e del dialo-go, perché si è più pronti ad aprirsi ad inedite possibilità e, soprattutto, si com-prendono meglio le sofferenze e le emo-zioni altrui.

La speranza, quindi, non si configura tanto come uno “sperare che”, ma come uno “sperare in” perché è sua peculia-re caratteristica la necessità di aprirsi all’alterità, e quindi alla fiducia in un Altro: come scrive Gabriel Marcel «la speranza è sempre centrata su di un noi, su di una relazione vivente; e se non ce ne rendiamo conto è perché usia-mo troppo spesso la parola speranza là dove invece si tratta del desiderio»22.

Non esiste quindi la speranza in sé, ma esistono soltanto persone chiama-te a sperare, che decidono di abitare la

22 Marcel G. (1951), Structure de l’ésperance, in “Dieu vivant”, n. 19, pp. 76-77. La speranza cristiana diviene certezza di una felicità futura poiché si fonda sulla fede in Dio, ma si traduce in una attesa attiva, quella dell’homo viator di cui parla Marcel, sempre in cammino e sostenuto dalla speranza: consapevole di essere straniero e pellegrino, frutto di elezione e non di esclusione, egli è al contempo appartenente ed estraneo al mondo, è nel mondo senza essere del mondo (cfr. Gv 17) e spera e si spende per la attuazione del Regno promesso [Cfr. Marcel G. (1944), Homo viator. Prolegomeni ad una metafisica della spe-ranza, tr. it. Borla, Roma].

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speranza. Vera speranza è solo quella che si incarna in uomini e donne che hanno il coraggio di sperare e si impe-gnano a realizzare quello in cui spera-no: sono gli uomini che hanno impara-to a sperare e che vogliono continuare a farlo. Come dice Jürgen Moltmann, teologo protestante tedesco, la speran-za permanente non fa parte del nostro corredo genetico, non ce la portiamo die-tro dalla nascita, né l’acquisiamo dall’e-sperienza, ma è una possibilità esisten-ziale che dobbiamo apprendere23 ed ap-prendere a coltivare.

Coltivare la speranza non solo è pos-sibile, ma necessario. Non si può essere felici senza avere speranza, poiché è la speranza che fa accettare gli errori del passato ed apre la porta al futuro, riem-pie di senso e di luce l’inevitabile soffe-renza che avvolge l’esistenza, ridona lo stupore e il desiderio di conoscere cose nuove, incoraggia ad entrare in novità di vita, sollecita ad aprirsi all’ascolto ed al dialogo. Essa rappresenta un impor-tante punto di partenza per la crescita e l’arricchimento dell’umanità, senza la quale la visione del mondo e di sé ri-mane fortemente amputata: è la pista di volo necessaria per intraprendere il viaggio della vita, per accettare il rischio di andare avanti ed affrontare il futuro.

È compito di ogni uomo apprendere e coltivare il coraggio della speranza e la forza del dialogo, un dovere educati-vo soprattutto verso quelle persone che non li hanno mai conosciuti o li hanno smarriti durante il percorso della loro esistenza.

23 Moltmann J. (1979), Esperienze di Dio. Speranza, angoscia, mistica, tr. it. Queriniana, Brescia. Cfr. anche Moltmann J. (2011), Etica della speranza, tr. it. Queriniana, Brescia.

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Convegno Educazione alla Giustizia. Da sinistra G. Serio, I. Bertoni, A. Pieretti, L. Giugni, I. Marrone, apertura dei lavori.

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Il dialogo come reciproco ascoltodi

VINCENZO PUCCI*

RiassuntoIl presente contributo vuole ribadi-

re che l’emergenza educativa scaturisce dalla pratica crescente e deleteria (nei passati decenni) nei confronti degli edu-candi, del permissivismo e della “facili-tazione”, cioè la rinuncia alla formazio-ne morale e alla buona educazione (già carente in famiglia) della gioventù. Tale “politica” ha tolto dignità e tempo all’in-segnante indifeso, e ha dato via libera alla “vivacità” sempre più distruttiva e incontrollabile di certi allievi, piccoli “Attila”, iperprotetti, “ipersensibili” [se vengono corretti, quando sbagliano, si offendono (!?!)]1 ma incapaci di rispet-to verso gli altri e privi del senso del li-mite. Dalla scuola autoritaria si è pas-sati alla scuola confusa e fracassona, sottomessa al diktat di genitori e figli

* Vincenzo Pucci, redattore della Rubrica Aperta di Qualeducazione.

1 “«Fili mi, noli neglegere disciplinam Do-mini, neque deficias, dum ab eo argueris: quem eum diligit, Dominus castigat…» Ad disciplinam suffertis; tamquam filios tractat Deus. Quis enim filius, quem non corripit pater? Quod si extra disciplinam estis… ergo adulterini et non filii estis!” (Epistula ad Hebraeos 12, 5-9).

(“«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti scoraggiare quando sei da lui ripreso. Il Signore infatti corregge colui che ama….» Per correzione voi soffrite; Dio si presenta a voi come a figli: qual è il figlio che il padre non corregge? Se invece siete senza correzione… allora siete dei bastardi e non figli!”) Cfr. Al termine disciplina, nella Vulgata, corrisponde nella versione dei LXX, la parola παιδεία: c’è motivo di riflettere su questo insegnamento biblico, solida profonda perenne “paideia” dei popoli.

viziati. Anno dopo anno, la scuola si è appiattita e impoverita, è divenuta poco seria, caotica, ingovernabile per chi vo-glia educare e formare, oltre che istrui-re. Non c’era il dialogo, prima, non c’è un vero dialogo neanche adesso. Gli edu-catori non possono operare nel tumul-to permanente . Una volta si stava at-tenti in classe, per rispetto e per timore di ripetere l’anno; oggi si pretende di essere promossi, pur non rispettando le regole di comportamento(corretto) e rendimento(almeno sufficiente). Dall’at-tacco all’Autorità (storica e metafisica) è scaturito il declino e la barbarie nella scuola e nella società. Socrate, maestro di dialogo e di arte maieutica, nella sua amata πόλις, ieri, 2500 anni fa, martire della libertà, oggi ci è più vicino di ieri. Gesù di Nazaret, l’unico Maestro, super-stite (perché Risorto), di dialogo senza confini, da 2000 anni, coi suoi Discepo-li, è Lui il solo che può salvare la Fami-glia (e la “razza”) umana dall’estinzione.

L’unico possibile dialogo è Amo-re nella Verità. Wo Gott ist, da ist Zukunft(Dove c’è Dio, c’è il futuro).

AbstractThis paper wants to repeat that Edu-

cational Emergency springs from per-missivism and “facilities”, that is from renunciation of moulding young people about Freedom, Truth, Correctness and Humility. Someone asked Mother(the Blessed)Teresa of Calcutta: “When you pray, what do you say to God?” “I don’t speak, I listen” “And what God says?”

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“God, He listens…” Praying is a mu-tual listening. Speaking, today, inste-ad, is a mutual ignorance, because of ego-latria (individual) and ethno-cen-trism (collective). The rush of life is the opposite of the joy of living. In absence of Project Life, we live as if God did not exist (=etsi Deus non daretur). Yes, we must learn to talk between us, so that we become human, again and finally. The lack of listening in the educational activity (family, school, church, society) is a direct con-sequence of “forbidden to forbid” in May ’68; by this way, it’s im-possible to dialogue (mutual listening)! But, thank God, there are Islands of Re-sistance to drift legal-judicial and mo-ral eclipse: a) The World Youth Days with the Pope and b) honest and free people, sincere and supportive persons of every faith, in every place on Earth: Citizens of the world [=Κοσμοπολίται]. Together, in the name of Jesus of Naza-reth, we can build, in the mind and he-art, the Family of Mankind (of the Hu-man Race) …The only possible dialogue is Love in Truth!

Qualcuno chiede a Madre Teresa di Calcutta: “Quando prega, che cosa dice a Dio?” «Ma io non parlo, ascolto…», ri-sponde, lei , serafica. “E Dio che dice?” «Lui, ascolta…». La preghiera è un re-ciproco ascolto. Il dialogo, primordiale, con Dio è un reciproco ascolto nel silen-zio torrenziale d’Amore. La realtà del mondo d’oggi si colloca a distanze si-derali, in una condizione inconciliabile con la preghiera, immersa com’è nel ru-more e nella fretta insonne; è necessa-rio, per chi prega, ritagliarsi degli spa-zi di silenzio e di pace, all’insegna del «Festīna lente» [ affrettati lentamente], perché la gente vive – correndo furiosa-

mente – come se Dio non esistesse, in un mondo asfittico.

Non ci sono, no, alternative: o recu-periamo la capacità dialogica e di mu-tuo rispetto (rallentando la vita, nostra e altrui) o finiremo per scannarci, gli uni con gli altri, cioè col nemico, che, volta per volta, abbiamo introiettato! Basta seguire la contesa elettorale e i dibatti-ti in cui ci si sbrodola addosso in modo inverecondo! Sì, dobbiamo imparare di nuovo a parlarci, ad ascoltarci, per ri-diventare umani. Per ora, dappertutto, vediamo individui che pretendono di … celebrare «matrimoni gay», impor-re a tutti il «gender» [«genitore 1 e ge-nitore 2»], praticare la “religione fai da te”, ritoccare (cioè “smontare”) la Co-stituzione, avere “tutto e subito”, per-ché non distinguono il Bene dal Male e non si curano del bene comune, nelle aule parlamentari, nelle aule giudizia-rie, nelle aule scolastiche, tra le pareti domestiche, nelle piazze, senza mai ve-ramente ascoltarsi reciprocamente, pen-sando solo a sé stessi, murati in una maschera beota o eginetica. Si blatera di “progetti” in ogni ambiente, per rica-varne guadagno o prestigio, ma il Pro-getto Vita (la vita buona del Vangelo) è minoritario: la qualità della vita vien (quasi) sempre dopo i soldi, dopo l’ideologia libertaria di turno. La liber-tà è in vendita: «I shop, (also) I am!» A proposito delle «nozze» fra due uomini o due donne “la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessua-lità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale. Pre-cludono all’atto sessuale il dono del-la vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale”. Tali persone “sono chiamate alla casti-tà. Attraverso la virtù della padronan-

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za di sé…con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gra-datamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana” recita il Cate-chismo della Chiesa Cattolica (C.C.C. n. 2357). Per bonificare le paludi del-lo spirito che ci circondano, 1) occor-re considerare seriamente “lo smo-dato desiderio”, cioè il peccato («Poi-ché tutto ciò che vi è nel mondo: concu-piscentia carnis, concupiscentia oculo-rum, iactantia vitae non è dal Padre» [1Gv2, 16]) prenderne coscienza, per-ché il mondo ce lo presenta come mo-delli di comportamento da imitare[ la cronaca quotidiana sembra suggerire la trasgressione!]2 per smascherarlo e combatterlo, e, naturalmente, 2) consi-derare i “novissimi”(morte, giudizio, inferno, paradiso) le realtà ultime nella vita di ogni uomo, credente o agnostico o ateo; è imprudente vivere senza pen-sare al morire (“Laudato si, mi Signore, per sora nostra morte corporale” come la chiama Frate Francesco…).3 Vagan-do, come Diogene, con la lanterna acce-sa in pieno giorno, in cerca dell’Uomo, troviamo, spesso, cupo mutismo e reti-cenza, apatia, menzogna, ghigni e sghi-gnazzi, calunnia, mugugni e grugniti,

2 La pubblicità invita a coltivare non la sobrietà, ma l’avarizia e lo sperpero, la lussuria e la gola, non l’umiltà ma la superbia, l’invi-dia, la collera e l’accidia (quelli che la sapienza millenaria della Chiesa chiama “vizi capitali”). Ma sono proprio l’umiltà e la sobrietà che ci s-occorrono, adesso e in ogni difficoltà della vita, ovviamente insieme alle virtù teologali: fides, spes, caritas…

3 «Ci tocca scegliere tra una liquidazione tecnica e una vita offerta. Non c’è alternativa: darsi la morte o donare la vita per ciò che ne vale la pena» (Fabrice Hadjadj) [N.d.R.: l’eviden-ziatura è nostra].

sofismi , discorsi idioti, volgarità… e, sovrana, regna su tutta l’ecumene, l’i-ninterrotta chiacchiera telematica, una muta logorrea, che “parla” tanto e non dice niente.

Ma la Parola (Λόγος, Verbum, Wort, Palabra) resta, viva, nel Cuore che ascolta.« Non ci sono parole senza risposte … anche se non incontrano che il silenzio, purché abbiano un ascolta-tore». Infatti, a prescindere dal “gran-de orecchio” degli intercettatori di ogni genere (“cimici” & affini), che non cer-cano il dialogo, perché origliano nell’e-tere per ben altri motivi, c’è un Gran-de Ascoltatore della mente e del cuore umano, Dio, che non tralascia nean-che un sospiro o un batter di ciglia e dà sempre una risposta a ciascuna creatu-ra vivente (passata, presente e futura). “Qui habet aures, audiat”. E tutti coloro che s’illudono, che si illusero, che conti-nuano a illudersi (i furbi, gl’ipocriti e i malvagi) di poter sfuggire alla propria personale responsabilità, possono elu-dere la giustizia umana ma, alla morte, dévono rispóndere a Lui. La «facoltà di non rispondere» non è prevista davanti a Dio “illa nocte” (Lc 17, 34). Qualche premessa è necessaria per uscire dal vi-colo cieco in cui ci siamo cacciati.

Insegnare stanca. “La professione educativa esige un grado di resistenza alla fatica incomprensibile a chi non ne abbia fatto prova” scrive il grande pe-dagogista francese René Hubert [1885-1954], e aggiunge: “Tale equilibrio psi-cofisico non è meno necessario di quello morale, della costanza di umori, della padronanza di sé”. Oggi, però, al con-trario di un passato che sembra miti-co, preistorico (solo qualche decennio fa!) l’insegnamento è divenuto un’at-tività poco gratificante, sempre meno

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proficua per docenti smarriti e per di-scenti “frenetici” (specialmente nella fascia più delicata, quella che era chia-mata la “scuola dell’obbligo”) bistratta-ta dai media, trascurata dalla politica, vissuta senza letizia, come reclusione. Ci sono delle isole felici, dove i ragazzi hanno imparato a leggere! Ha ragione il Prof. Alessandro D’Avenia a parlare di una «lettura “responsabile”» e Geor-ge Steiner a proporre “in ironica pole-mica con le scuole di scrittura creativa, l’inizio di «scuole di lettura creativa»”. Bisogna prima imparare a leggere, per riuscire, poi a “intus legere” e ad “inter legere” (cioè capire e far capire) la Pa-rola, le parole e la realtà “effettuale” e virtuale che incontriamo nell’avventu-ra di imparare ad apprendere, cioè di imparare a vivere.

Educare è faticoso, oggi come non mai, perché manca la capacità di ascol-to, che è naturale conseguenza del ses-santottardo “Il est interdit d’interdi-re” («proibito proibire!»). L’educazione permissiva è come il sonno della ra-gione: «El sueño de la razón produce monstruos». È come affidare una mac-china da corsa ad un bambino. Il dialo-go è il colloquio fra due o più persone, ma se l’interazione comunicativa in fa-miglia, a scuola, per televisione, dap-pertutto assume si-ste-ma-ti-ca-men-te la modalità della lite, della rissa, del-lo scontro (o, peggio, della supponente sufficienza)… è praticamente impossi-bile conversare, realizzare un pacifico scambio, un incontro che, esso solo, migliora e arricchisce gli interlocutori. La Tv e gli ordigni telematici, con po-che eccezioni, fanno a gara a rimpin-zarci di violenza e di scetticismo, a mo-strarci tutto il negativo che si esprime nel mondo, con cupa e martellante mo-

notonia e con effetti nefasti e variegati.Il cattivo esempio, che ci viene of-

ferto da talune personalità pubbliche (non bilanciato dall’esemplarità di tan-ti sconosciuti servitori dello stato o di semplici cittadini che, in Italia o all’e-stero, esaltano la dignità, l’onestà, la creatività del proprio Paese) non aiu-ta ad avere fiducia nelle varie autori-tà e nei confronti del prossimo. Dalla seconda metà degli anni ’60 del secolo (e millennio)scorso, è cominciata la de-molizione del concetto di autorità, an-che se Messer Lionardo da Vinci ricor-da che «Chi disputa allegando l’autorità [Ipse dixit], non adopra lo ingegno, ma più tosto la memoria». Demolito il con-cetto di autorità, che non sempre coin-cide con l’autorevolezza, rimane, però, il Potere, in cui è sempre presente un’al-ta dose di ambiguità e di prevaricazio-ne, ed ecco che ci troviamo a vivere in una società non più libera, senza valori, priva del senso del limite, grazie all’“e-ducazione” libertaria che ha favorito lo sviluppo di generazioni “invertebrate”, che reclamano i diritti e ignorano i dove-ri. Qualcuno diceva: «Il potere logora!» a cui altri rispondeva: «Il potere logora chi non ce l’ha!». È vero, invece, che il potere inquina, se non viene assunto come servizio , con umiltà e dedizione [deditio=resa, alla “Divina Potentia” da cui proviene ogni umana “potestas”].

Solo la Grazia di Dio può salvare dal-la petrificazione nel cinismo mercanti-le che disumana e reifica … gli utenti della condizione umana. Tutto il resto è … “pulvis et umbra”.

C’è anche il buon esempio di colo-ro che, andando contro corrente, fan-no filtrare la verità e la giustizia dal-la coltre di malaffare, dalla conclama-ta disonestà, dalla ‘ύβρις (tracotanza)

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contemporanea, che è contrastata solo dalla chiara e tenace testimonianza dei “ptōchòi tō pnèumati” (i poveri in ispi-rito) dei “catharòi tē cardìa” (i puri di cuore) e degli “eirēnopoiòi” (gli operatori di pace), dai noti o, spesso, sconosciuti Hoffnungsträger (i portatori di speran-za) di ogni età, di ogni epoca e di ogni parte del mondo…

Viviamo nell’epoca della contuma-cia universale, in cui si proclama – so-lennemente e ufficialmente – l’etica del-la responsabilità, ma – in pratica – nes-suno risponde mai di nulla. Responsa-bile, secondo l’etimologia, è colui che ri-sponde, ma nella realtà di ogni giorno ognuno fa quel che gli pare. Alla Forza del Diritto è subentrato, in ogni ambi-to dell’operare umano, il “diritto” della violenza e dell’etno-ego-centrismo, che non è forza ma debolezza, vacuità del-lo spirito, che spegne, però, la vita! Sul-la sana forza del Diritto prevale, hic et nunc, la “logica” paranoica del Cavillo (& del Profitto ad ogni costo), la bruta-lità materiale e “culturale”, l’ottusa pro-tervia, il vile servilismo, la libertà… re-cintata, la verità e la giustizia… malme-nate ed offese, la Pace dilaniata e (qua-si) irraggiungibile.

Ma, grazie a Dio, ci sono delle iso-le di Resistenza alla deriva giuridico-giudiziaria e all’eclissi morale:

– dei magistrati esemplari (per l’abnegazione[fino al sacrificio], per l’u-miltà e l’ efficienza);

– tanti ignoti cittadini (medici, inse-gnanti, sacerdoti, artigiani, operai, ca-salinghe) che fanno il loro dovere fino in fondo – malgrado tutto, sempre e dappertutto.

È necessario, dunque, che si ricom-ponga il puzzle del ministerium potesta-tis (servizio del potere) per combattere

il mysterium iniquitatis (mistero del male) che sconvolge l’universo (Ap 12, 9): “Et proiectus est draco ille magnus, serpens antiquus, qui vocatur Diabolus et Satanas, qui seducit universum or-bem; proiectus est in terram, et angeli eius cum illo proiecti sunt [= il grande dragone, il serpente antico, quello che è chiamato Diavolo e Satana, colui che inganna tutta la terra (tēn oikoumènēn hòlēn) fu precipitato sulla terra (tēn ghēn) e con lui furono precipitati anche i suoi angeli”].

Ai nostri giorni, babelici e dementi, la generale contumacia è la conseguen-za diretta della demolizione della scuo-la ad opera della politica-parolaia e del-la pedagogia-virtuale: coloro che (sen-za avere mai sperimentato lo squallore culturale spirituale ed umano di clas-si della secondaria di 1° e di 2° grado, dove la Parola è sconosciuta o calpe-stata, la Luce è fioca o assente, l’“aurĕa curiosĭtas” è [quasi] spenta) parlano di riforme, progettano di costruire sulle … macerie. La rivolta contro l’autori-tarismo ha travolto l’Autorità in ogni ambito della società (Famiglia Scuola Chiesa Lavoro) e il «ribellismo» gene-rale è cresciuto negli anni e nei decen-ni sui binari dell’ignoranza-arroganza, non all’insegna della moderazione e del buon senso ma sotto la spinta iconocla-sta e trionfante dell’effimero dell’e-donismo e dello sperpero. E del non senso. E la famiglia è ferita, la scuo-la è devastata, la Chiesa sopra-v-vive(« sed portae inferi non praevalebunt»). Il lavoro è alienante o virtuale, spesso nomade, non più stabile; per tanti non c’è più lavoro per vivere. Per ricompor-re le tessere del potere come servizio (ministerium potestatis) occorre purifi-care la volontà e il pensiero inquinati

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dal mistero del male e ri-costruire l’uo-mo frammentato e deformato dal pec-cato originale (mysterium iniquitatis) e dalle sue conseguenze. Si parte sempre dall’educare [= educāre + educĕre] e, fi-nalmente… l’hanno capito (quasi) tutti che l’Italia (insieme agli altri “Grandi”) è fuori strada da decenni . Nelle scuole euro-nippo-americane (nei Paesi cosid-detti “civilizzati”) enfatizzando, ma non troppo, potremmo dire che si sta “alle-vando in batteria” l’uomo a una sola di-mensione: cioè il-cliente-ha-sempre-ra-gione, cioè bestiame, animali senz’ani-ma… “Chronica” (=mass media) do-cet. Possiamo combattere questa gra-ve involuzione, rinnovando il vocabola-rio anglicizzato e tecnocratico, recupe-rando – nel deserto e nel silenzio della preghiera del cuore – la gratitudine e lo stupore, la disciplina: l’arte infinita di imparare ad apprendere il poema del Creato. Recuperiamo la fiaba, la capaci-tà di narrare, l’innocenza del Bambino; difendiamola dagli Orchi che si aggira-no indisturbati fra di noi. Abbiamo la Costituzione: impariamo a conoscer-la e a difenderla, prima che una briga-ta di prestigiatori, sforbiciando, la fac-cia sparire. Abbiamo il Decalogo: im-pariamo a conoscerlo e a viverlo, prima che lo mandino al macero. La carta fon-damentale della nostra nazione, nata dall’esperienza eccezionale (nel bene e nel male) della Resistenza [una guerra di popolo, dopo le guerre dei re, che ha completato e ha dato senso al Risorgi-mento, “rivoluzione” borghese del seco-lo XIX] ha scelto la Repubblica fondata sul lavoro. Se alla nostra Repubblica de-mocratica (e all’Unione Europea) diamo le regole umane e divine [=la Costi-tuzione; il decalogo e il discorso del-la montagna] che sono state ripudiate

(perché scomode e obsolete? Ma il Fu-turo ha un cuore antico!), vivremo tutti meglio nel mondo. L’emergenza educa-tiva è molto avanzata, e per risolvere l’ intrico occorre:

a) far emergere dalla “palude stigia” l’umile forgiatore di coscienze, l’educa-tore “utopiano” (come, ad es., Socra-te, S. Agostino, S. Tommaso d’Aquino <Doctor Angelicus>, S. Filippo Neri, S. Teresa de Àvila, S. Teresa di Lisieux, Don Bosco, il Mahatma Gandhi, Don Lorenzo Milani, Giuseppe Lazzati, Sal-vatore Battaglia e infiniti altri) sulle orme di Gesù Maestro… ridando alla scuola dignità ed efficacia, efficienza e rispetto;

b) restituire a ognuno il suo ruolo (il docente formi le nuove generazioni se-condo i valori perenni e, nel contempo, le renda capaci di rispondere alle sfide del futuro; il genitore faccia il genitore, l’alunno faccia l’alunno) Ma è un com-pito immane, hic et nunc… Non pos-siamo più perdere tempo in questio-ni di lana caprina, come tanti “avvento-ri” del ns Parlamento;

c) rimuovere i “docenti” non motiva-ti [e incapaci di ascoltare l’infanzia e la gioventù, incapaci di dialogare con esse, nel cercare insieme la verità, nel difen-dere la comune libertà]; essi, gli “igna-vi”, «a Dio spiacenti ed a’ nemici sui», vanno assegnati a mansioni più conso-ne ai loro talenti…

d) aiutare la famiglia sana, la scuo-la viva, la parrocchia profetica , le as-sociazioni di volontari a vivere dignito-samente, a combattere e a sconfiggere, insieme, la Schwarzdenkung (il pen-sare in nero, la necrofilia) dovunque si annidi, riscoprendo insieme alle nuove generazioni tutto ciò che di bello gran-de e santo c’è, nel caleidoscopio diacro-

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nico/sincronico della natura e cultura umana.

Senza norme da rispettare, senza va-lori da testimoniare … non c’è identità, non c’è appartenenza, non c’è senso di responsabilità. Non c’è futuro, perché non si può interagire dialogando. Una società ipocrita e violenta che non rispetta più le regole, non ci consente di insegnarle e trasmetterle neanche con l’esempio. L’unica autorità mora-le universale è il Papa [nella “Caritas in veritate”c’è una sintesi pedagogica grandiosa: «la verità.. è “lόgos” che crea “diά-logos” e quindi comunicazione e comunione»]; ogni altra autorità vive in uno stato di compromesso, spesso di ostilità o di indifferenza, nei confronti dei valori irrinunciabili: la Vita (dall’al-ba : l’aborto uccide crudelmente una creatura indifesa [50 milioni di morti ogni anno] al tramonto: l’eutanasia è un eufemismo che non può maschera-re l’uccisione di un’altra creatura indi-fesa) la Libertà, la Verità, la Giusti-zia, la Pace. Dalla deriva dei valo-ri non può nascere un mondo nuovo [“Maledictus homo qui confidit in homi-ne” (Ger17, 5): è la perenne tentazione e presunzione dell’uomo (che pensa di po-tersi salvare, da solo, senza la Grazia!)] ma soltanto una realtà da incubo. E ci siamo già, per chi vuole capire… che il lavoro umano “não è a pena que paga para ser homem / mas um modo de amar - e de ajudar / o mundo a ser melhor… canção de amor geral que eu vi crescer/ nos olhos do homem que aprendeu a ler” [Thiago de Mello, Faz Escuro Mas eu Canto - Porque a Manhã Vai Chegar. Poesias, Editora Civilização Brasileira, Rio, 1965].

I ragazzi delle GMG (Giornate Mon-diali della Gioventù, WYD) confermano

al mondo che, se gli affidiamo i doveri, i compiti, le sfide sempre più grandi che ci interpellano, questi giovani se ne as-sumono la responsabilità perché cre-dono (sanno chi sono: da dove vengo-no, dove vanno, perché vivono) e san-no obbedire [= ob + audio =oboedio= ascoltare per] e sono capaci di lottare (e perfino dare la vita) per un ideale for-midabile e concreto: la santità, una pa-rola sovversiva, proscritta (dai pennaio-li del consenso facile). Se tutti i giovani studiassero l’agiografìa come… quella delle «star» del cinema, dello spettacolo e dello sport, essi potrebbero fare il con-fronto e non avrebbero orizzonti an-gusti e mercantili, ma sconfinati. La facile, immune trasgressione è il modo di agire della persona incompiuta, fa-cilmente soggiogabile, incapace di sce-gliere, sempre manipolata dai Media e dall’artificio di Mammona (=denaro po-tere successo ad-ogni-costo) che barat-ta l’integrità della vita propria e altrui col miraggio della “ribalta” (che spesso brucia giovani esistenze con la droga e con lo sperpero di tessuti irenico-seman-tici), che baratta la vita eterna per … un effimero istante di notorietà e, poi, con la rinuncia alla speranza di ri-na-scere per sempre! I Cristiani sanno che tutti risorgeremo, ma c’è un bivio: l’in-ferno o il paradiso? La dannazione o la felicità senza limiti? La nostra vita sarà pesata sulla bilancia: pensieri, pa-role, opere ed omissioni saranno final-mente valutati nella giustizia perfet-ta, senza ombre, senza “patteggiamen-ti”… Come ci svelano i poeti, il rumo-re e l’insensatezza delle “guerre” degli uomini(pensiamo alla meschina “que-relle” infinita dei politicanti nostrani “aggrappati” alle poltrone… il reciproco monologo tra filistei) è «ronzìo di un’ape

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dentro il bugno vuoto». Abbiamo la te-stimonianza di scienziati come Galileo Galilei, Albert Einstein, Enrico Medi ed Antonino Zichichi, in cui fede e scien-za convivono armoniosamente. Ci sono filosofi come Fabrice Hadjadj [nato nel 1971, moglie e 6 figli; libri specia-li: “Réussir sa mort: Anti-méthode pour vivre”, Presses de la Renaissance, 2005 etc]4 che dall’ateo-nichilismo sbarca nel-la vita buona del Vangelo, nel cuore del cristianesimo.

La crisi sempre più globale e totali-taria, che stiamo vivendo, sta mostran-do con chiarezza meridiana che non può essere superata, se non si torna alle ra-dici dell’essere uomini. Dobbiamo recu-perare la sobrietà e la solidarietà del se-condo dopoguerra [1945-1960]. C’è biso-gno di un lavoro onesto e stabile per le ultime generazioni, non il gioco d’azzar-do e la «ludopatia», la microcriminalità e la follia suicida quotidiana. Dobbiamo tornare a Cristo, che ci ha detto: «senza di me non potete fare niente». Ed è vero. L’Italia, l’Europa e il mondo si sono affi-dati ai faccendieri, ai tecnocrati, ai pre-stigiatori della finanza e ai bucanieri della politica, che hanno fatto scempio della speranza e del futuro delle ulti-me generazioni. «La tierra no es una herencia de nuestros padres, sino un préstamo de nuestros hijos». Stia-mo diventando tutti poveri – material-mente – perché abbiamo scelto di esser

4 “Entre una liquidation tecnique et une vie offerte, il nous faut choisir. Il n’y a pas d’alter-native: se donner la mort ou bien donner sa vie pour ce qui en vaut la peine.” (Fabrice Hadjadj, «philosophe juif, de nom arabe et de confession catholique», autore di: Réussir la mort [2005] La profondeur des sexes [2008] La foi des démons ou l’athéisme dépassé [2009] Le Paradis à la porte [2011] etc).

poveri spiritualmente: l’egoismo è l’at-teggiamento più diffuso fra i governan-ti e i “decisori” , e l’empatia non abita (quasi) più nelle case, nelle strade, nei luoghi di lavoro, nei nostri cuori aridi. Solo una stupida superbia può ostinar-si a combattere contro l’Amore di Cristo e contro i suoi seguaci: i cristiani, colo-ro che si sforzano di essere, alla seque-la del Maestro, “radicalmente umani”!

La “guerra” che era invisibile [il com-battimento spirituale] è divenuta sem-pre più tangibile, giorno dopo giorno. C’è una tenera madre, Maria, che ci chiama a raccolta da Medjugorje (Bo-snia) da oltre trent’anni. Ascoltiamo le sue parole: «Cari figli, in questo tempo di grazia, vi invito tutti a rinnovare la preghiera. Apritevi alla Santa confes-sione perché ognuno di voi accetti col cuore la mia chiamata. Io sono con voi e vi proteggo dall’abisso del peccato e voi dovete aprirvi alla via della conversio-ne e della santità, perché il vostro cuore arda d’amore per Dio. DateGli il tempo e Lui si donerà a voi e così nella volon-tà di Dio scoprirete l’amore e la gioia della vita. Grazie per aver risposto alla mia chiamata» (25/11/2012). Le stra-de dell’uomo & la Via “Quante strade [«How many Roads…»] deve percorrere un uomo Prima che lo si chiami uomo?” (Bob Dylan). «Deve versare fiumi di la-crime / di gioia e di dolore, / ascoltare e produrre / fontane di risate / e bere l’o-dio e la paura, / cocenti umiliazioni, fe-rite laceranti / ed amare la vita e tutto ciò che vive. / Sentirsi respinto da tut-ti, / da tutti non voluto: / un profeta che sanguina, / senza essere creduto, [S. di Cassandra] ed avere ancora / il corag-gio di sperare… / per potersi avviare / sulle strade dell’Uomo…

Animale in bilico / è la creatura uma-

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na, / sospesa sull’abisso, tra il rifiuto che annichila / e il silenzio dell’Annun-cio, che brucia la mente / e prepara il Risveglio / dell’Eterna Primavera, del-la Pienezza senza fine, / della Sorgente che significa, / dell’Energìa che popola di grazia / il groviglio semantico dell’Uo-mo. / La Sincronia-Diacronia: / l’esserci insieme per sempre / nelle Radici della Vita, ci rende liberi finalmente / di at-tingere la joie de vivre.

Ci consente di respirare / la letizia e la sapienza / la salute e l’innocenza / nella Natura Immacolata / senza più la colpa disperata / senza più solitudine. / Capaci finalmente di guardare / l’impla-cabile Amore di Dio / che ci fascia di te-nerezza. / Finalmente capaci di capire / la Sua gioia di averci ri-trovati».

Il dialogo, conflitto tra forti identità, ma soprattutto reciproco ascolto, è il metodo giusto per comunicare fra di noi, dappertutto: a casa, in famiglia, fra ge-nitori e figli; a scuola, fra gli allievi-di-

scepoli e i docenti-educatori; nel vasto mondo, fra tutti coloro che insieme cer-cano il senso della vita, che cammina-no con la speranza nel cuore, vestiti di umiltà e di empatia, armati di carità e di parresìa, per incontrare Cristo Via-Verità-Vita, la concreta Utopia-Ucro-nia (=lo spazio-tempo che non è ancora, non del tutto realizzato…Work in Pro-gress) che ricapitola risana e rinnova il pianeta martoriato e la storia e il cuo-re dell’uomo: non è una “pietosa insa-nia”, come temeva Foscolo, ma, caduto “il muro d’ombra” di cui parla Ungaret-ti, ci attende la pienezza della Vita eter-na. Non è un mito, ma una promessa. Non possiamo non ripetere, con Sant’A-gostino: «…fecisti nos ad Te, et inquie-tum est cor nostrum, donec requiescat in Te» . Θεός Πατήρ, Θεός ́Αγάπη (Dio è Padre, Dio è Amore) ci ricorda Gio-vanni. Ed è vero. «Benedictus vir qui confidit in Domino» (Ger 17, 7). Il solo possibile dialogo, reciproco ascolto, è Amore nella Verità (= Caritas in Ve-ritate). “Tutto è Grazia!”

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Maieutica, auto-progetto,rapporto empatico con l’alterità:

attualità della proposta pedagogico-socialedi Antonino Mangano

di ANTONIA ROSETTO AJELLO*

RiassuntoAntonino Mangano ha dedicato la

maggior parte dei suoi studi ai margi-nali, alle relazioni tra diversità, al ruo-lo che la pedagogia e l’educazione gio-cano nel costruire una società più giu-sta ed inclusive, capace di promuovere in tutti i suoi membri una crescita con-tinua. Negli ultimi dieci anni della sua carriera, egli ha sviluppato la sua pro-posta pedagogica confrontandosi con l’e-pistemologia della complessità e la mai-eutica di Danilo Dolci. Egli ha messo in relazione la libertà con la responsabili-tà: la libertà comporta un impegno ad assicurarsi che l’altro sia libero. In tal modo, egli appartiene alla corrente della pedagogia emancipatoria, di cui Freire e Dolci sono rappresentanti. I risultati della sua ricerca sono ancora molto si-gnificativi e pieni di spunti per la costru-zione di una pedagogia sociale attenta allo sviluppo delle comunità.

AbstractAntonino Mangano devoted the most

part of his studies at the marginal peo-ple, the relationship between the diver-sity, the role of pedagogy and education in building a more equitable and inclu-

sive society, able to promote in all its members a continuous growth. In the last ten years of his career, he developed his pedagogical proposal by comparing it with the epistemology of complexity and the “maieutica” of Danilo Dolci. He related the freedom with responsibility: freedom involves a commitment to en-sure that the other is free. He thus be-longs to the emancipatory pedagogy of which Freire and Dolci are representa-tives. The results of his research are still highly topical and full of ideas for the construction of a social pedagogy atten-tive to the development of communities.

Questo importante momento di cele-brazione mi offre l’occasione per ricor-dare a tutti noi il prof. Antonino Man-gano1, scomparso nel 2010. Attento fre-quentatore degli appuntamenti dell’As-sociazione “Gianfrancesco Serio”, au-tore di saggi che hanno trovato spazio sulla rivista e sugli Atti di alcuni con-vegni, era un convinto sostenitore del suo progetto culturale, che ponendo al centro le tematiche della pace, dell’in-tercultura, della lotta alle marginalità incrociava in molti punti la sua sensi-bilità. Io stessa sono venuta in contat-

1 Antonino Mangano fu professore ordinario di Pedagogia Sociale presso l’Università di Messina.* Pedagogista sociale - Messina.

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to con questa realtà grazie alle sue sol-lecitazioni ed è una delle cose di cui gli sono grata. Ricordarlo in un testo che ha come tema di fondo il dialogo, inol-tre, mi sembra quanto mai opportuno perché lui era un uomo di dialogo e an-che nella sua ricerca (oltre che nel suo impegno di docente) questo aveva un ruolo di primissimo piano. Chi lo ha co-nosciuto sa bene che Mangano è stato, per le sue caratteristiche personali, un maieuta. Con gli studenti e con i suoi giovani collaboratori proponeva, solle-citava, coltivava le tendenze e le curio-sità di ciascuno, con la mitezza e la sot-tile ironia che sapeva manifestare con le persone che sentiva vicine.

In questo saggio ricorderemo soprat-tutto alcuni aspetti della riflessione de-gli ultimi anni della sua carriera di stu-dioso, nei quali ha approfondito la mai-eutica di Danilo Dolci e l’epistemologia della complessità, individuandone e analizzandone i punti di intersezione.

L’amicizia con Danilo è stata per lui soprattutto l’occasione per confrontarsi con una personalità stimolante e polie-drica, con cui condivideva l’amore con la natura, il senso di giustizia sociale, l’amore per la cultura contadina e il de-siderio di promuovere la valorizzazione e lo sviluppo dall’interno di una cultu-ra meridionale che entrambi riteneva-no potesse dare un importante contri-buto ad una diversa impostazione del-le relazioni tra uomini, tra uomo e na-tura, tra uomo e tecnologia2.

2 Il suo amore per questa cultura è testimonia-to dall’ultimo testo da lui pubblicato, una raccolta di poesie popolari siciliane su cui ha lavorato negli ultimi anni della sua vita di studioso: A. Mangano, F. Lazzara, Poesia popolare siciliana, Armenio, Brolo (ME) 2010.

In alcuni brani da lui scritti alla morte di Danilo si rileva chiaramen-te come si trattasse di un reciproco nu-trirsi di spunti di riflessione, di un dia-logo, spesso sorridente, tra due perso-ne curiose del mondo e delle relazioni3.

La pedagogia maieutica di Antonino Mangano non nasce infatti al momen-to dell’incontro con Danilo Dolci, avve-nuto a metà degli anni ’80. La si coglie nel modo di interrogare la realtà sociale, nella scelta dei problemi da trattare (si veda il suo porsi dalla parte degli alun-ni dispersi nella ricerca da lui pubblica-ta nel 1976 e la sua difesa della cultura di partenza di questi ultimi4), nel suo affermare l’importanza di un atteggia-mento costante di ricerca sia da parte degli insegnanti5 che di ogni uomo6. In età giovanile alcune esperienze lo han-no orientato verso quell’atteggiamento verso la cultura e l’educazione che poi hanno caratterizzato la sua proposta pedagogica7. Conclusi gli studi superio-

3 http://www.centrostudialeph.it/archivio/dolci/web_site/dda/mangano.html

4 A. Mangano, S. Cambareri, I processi selet-tivi nella scuola elementare, Peloritana, Messina 1976.

5 A. Mangano, L’assenteismo dei docenti e la democrazia formale nei processi educativi, Her-der, Messina 1984.

6 A. Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizio-ni Cultura della Pace, Firenze 1992; Id., Problemi e prospettive della pedagogia sociale, Bulzoni, Roma 1989; A. Mangano, A. Michelin Salomon (a cura di), La devianza dei minori come problema educativo, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 1996; A. Mangano-A.Michelin-Salomon (a cura di), La scienza sociale dell’educazione nel contesto della civiltà planetaria, Lacaita, Bari-Manduria 1998; A.Mangano, Dispersione scolastica e qualità della scuola, «Qualeducazione», 51, 1998.

7 Per un racconto autobiografico del suo per-corso di ricerca cfr. A. Mangano, La mia proposta

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ri, in un periodo trascorso a stretto con-tatto con la natura durante il quale ha avuto modo di meditare sui propri biso-gni profondi, ha appreso il piacere della ricerca come forma di autoeducazione, di crescita permanente della personali-tà. Ha maturato così l’idea che il vero apprendimento non è quello che avviene per effetto di un’induzione dall’esterno, ma quello che ha come molla la ricer-ca, che prende le mosse da una curiosi-tà interna e da una volontà di innovare che egli vede come connaturate all’uo-mo, molla dell’evoluzione, della cresci-ta permanente dell’uomo e della comu-nità umana. Questa convinzione lo ha indotto a caratterizzare la propria pro-posta socio-pedagogica “come teorizza-zione, appunto, della ricerca, della pro-gettualità creativa, nell’apprendimento, nei contesti relazionali, nella vita civile; come istanza di un’educazione non iso-lata ma contestualizzata nei più gran-di problemi umani del momento pre-sente: collegata ad es. ai bisogni micro e macro-sociali dell’era planetaria, alla nozione dell’interdipendenza in ambito culturale, biologico, cosmico”8. E questo atteggiamento di ricerca ha promosso anche negli altri, convinto che ciascu-no possa accedere ad esso, anche se a livelli e in modi diversi.

A partire dagli anni Ottanta Man-gano ha cominciato ad approfondire la riflessione sul tipo di educazione ne-cessario per affrontare le pressanti sfi-de che l’attuale situazione planetaria propone. Attribuisce, infatti, educazio-

socio-pedagogica, in M. Borrelli (a cura di), La pedagogia italiana contemporanea. III volume, Pellegrini, Cosenza 1996, pp. 171-192.

8 A. Mangano, Evoluzione e struttura maieu-tica in danilo Dolci, «Scuola e città», 5-6, 1996.

ne un ruolo cruciale: le chiede di svol-gere una funzione maieutica rispetto ad una nuova società. Naturalmente non a quella educazione “che riproduce lo sta-tu quo, ma ad un’altra, in grado di pro-muovere negli individui e nei gruppi la capacità del progetto, la realizzazione delle potenzialità di sviluppo presenti nell’uomo e nel mondo”9. Mangano vede in essa il lievito del cambiamento. Dice infatti: “una nuova etica (quella del ri-spetto, dell’apertura verso gli uomini, le culture, il mondo), una nuova economia (quella della valorizzazione e promozio-ne cooperativa delle risorse umane e na-turali – non dello sfruttamento compe-titivo e distruttivo di esse), una nuova politica (collegata ai bisogni umani e planetari, non al dominio e alla violen-za sull’uomo e sulla natura), sono irrea-lizzabili senza una nuova educazione”10.

Epistemologia della complessità e sapere pedagogico

L’epistemologia della complessità ha fornito alla pedagogia spunti interessan-ti per una più articolata e dinamica let-tura della realtà, ispirando nuovi modi di rapportarsi a se stessi, alla conoscen-za, al proprio ruolo, agli altri, al mondo. Aiuta ad impostare in modo co-evolutivo i rapporti tra le culture e tra le diversità, rafforza una lettura autopoietica dei pro-cessi conoscitivi, enfatizza il senso di re-sponsabilità di ciascuno rispetto ai pro-pri atti conoscitivi e alle proprie azioni.

In ambito educativo, richiede un pro-

9 A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit., p. 12.

10 Ibidem.

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liferare di sperimentazioni, di attività esplorative, di progetti di ricerca decen-trati, che vedano come attori principali i soggetti impegnati in un modo o nell’al-tro in attività educative e coinvolgano le professionalità pedagogiche per per-fezionare metodologie e quadri di rife-rimento. Una sperimentazione diffusa, che parta da micro-contesti educativi e si fondi sulla specificità di questi ulti-mi, potrebbe contribuire ad evitare che le spinte frenanti e omologanti tipiche delle istituzioni educative tradizionali incrementino forme di analfabetismo esperienziale che diventano facili stru-menti di dominio, in quanto alimentano il disorientamento e potrebbero condur-re – analogamente a quanto avvenuto nei primi decenni del XX secolo – a cer-care rifugio in a-storici, paternalistici, semplificatori regimi dispotici.

Pedagogicamente, l’indicazione di una direzione positiva per l’azione è fondamentale per arginare il rischio di passivizzazione connesso ad una frui-zione acritica delle informazioni cata-strofiche o drammatiche sui rischi e le emergenze. La critica diventa momen-to di emancipazione se associata alla alternativa, alla possibilità 11. Se è giu-

11 Così Mangano, dopo aver indicato alcuni dei principali elementi di crisi dei nostri tempi sottolinea: “Ma accanto ai segni del disfacimento ci sono pure i segni della ricostruzione. Il nostro è anche il secolo che sta elaborando un «nuovo modo di pensare» in grado, forse, di rivedere l’atteggiamento suicida della segmentazione frammentatrice. Il «nuovo modo di pensare» – di cui Einstein avvertiva la mancanza ad era atomica avviata – è appunto quello relazionale e sistemico, attento alle diversità, al pluralismo, alle parti di un sistema (che sono anch’essi dei sistemi), ma attento anche a non assolutizzare le parti, a non concepire l’insieme come aggrega-zione meccanica di elementi cosificati, irrelati,

sto comprendere ciò che opprime l’uo-mo, è poi egualmente necessario lavo-rare alla costruzione di alternative. Per sostenere l’affermarsi di questa plura-lità di modelli Mangano curò la pub-blicazione di un testo, Frammenti del-la «città futura»12, nel quale accoglieva il racconto di esperienze maturate sul territorio siciliano per contrastare va-rie forme di marginalità.

L’educazione deve fornire agli uomi-ni del XXI secolo gli strumenti per gesti-re l’ipercomplessità. Strumenti flessibi-li, frutto di negoziazione e di riflessione, per individuare i quali occorre tornare a cercare la sapienza, superando – in-tegrandola – la mera conoscenza; recu-perare la meditazione come spazio men-tale autonomo, tanto più in un mondo in cui lo spazio fisico pro capite appare inesorabilmente destinato a ridursi; re-cuperare la capacità di entrare in rela-zione con l’altro (uomo, natura) viven-do questa relazione come relazione-re-ciproca, in ottica comunicativa.

L’epistemologia della complessità of-fre una intrinsecamente dialogica della realtà, nella quale la cooperazione e l’in-terdipendenza svolgono sull’evoluzione un ruolo perfino superiore a quello svol-to dalla competizione e dalla selezione del più debole13. Dallo studio dei sistemi

staccati dal contesto”: A. Mangano, Intercultu-ralità e azione educativa nonviolenta nell’ottica della complessità, in V. Bolognari, C. Sirna (a cura), Razzismo e frantumazione etnica. Politiche sociali e interventi educativi, Quaderni dei «Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina», Herder, Roma, 1995.

12 A. Mangano, Frammenti della «città» futu-ra, Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 1990.

13 cfr. A. Mangano, La scienza sociale dell’e-ducazione nel contesto socio-politico e scientifico contemporaneo, «Qualeducazione», 53, 1998, p. 46.

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autopoietici14 Mangano trae elementi a supporto di quella visione del rapporto con la realtà e con la conoscenza soste-nuta anche dalla psicologia piagetiana e post-piagetiana, per la quale noi co-nosciamo la realtà sulla base non tan-to delle sollecitazioni che questa ci of-fre quanto delle domande che le rivol-giamo15, e dopo cerchiamo il confronto con le osservazioni e le interpretazioni degli altri (dimensione intersoggettiva della conoscenza). Sulla base di questi elementi egli concepisce come compito dell’educazione e dell’istruzione la “cre-scita reale, continua, della personalità vista come «sistema aperto»”16 sostan-ziandola nelle seguenti capacità: “ca-pacità di ricerca e analisi critica, di au-toapprendimento e di autoconduzione o autoprogetto, di apertura cooperativo-progettuale ai problemi della comuni-tà, da quella locale a quella massima o planetaria”17.

L’interdipendenza è un altro dei con-cetti chiave che egli assume dal pensie-ro complesso: nei rapporti tra uomo e ambiente; come interdipendenza e co-fecondazione tra le culture e nei proces-si di apprendimento; come influenza re-ciproca tra contesto sociale ed educazio-ne. Da esso prende elementi a supporto di una “concezione permanentemente evolutiva, non riduttiva, della realtà e

14 Cfr. H. Maturana-F. Varela, Autopoesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Marsilio, Venezia 1985; H. Maturana-F. Varela, L’albero della conoscenza, Garzanti, Milano 1992.

15 Cfr. A Mangano, Dispersione scolastica e qualità della scuola, cit., p. 40.

16 A. Mangano, Presentazione del convegno, in A.Mangano-A.Michelin-Salomon (a cura di), La scienza sociale dell’educazione,cit., p. 44.

17 Ibidem.

della persona, in corrispondenza con i bisogni profondi e le prospettive antro-pologiche del nostro tempo”18.

Nella maieutica dolciana egli vede una modalità educativa consonante con le più recenti acquisizioni scientifiche maturate nell’alveo dell’epistemologi-ca della complessità e uno strumento idoneo ai bisogni di crescita autopoieti-ca dei singoli e delle comunità, ispirata ad un approccio filosofico e metodologi-co nonviolento.

Il metodo maieutico come ambito esperienziale complesso

Mangano mette in relazione l’emer-gere, nel XX secolo, del paradigma del-la complessità e la nascita di un “mo-vimento etico-religioso e socio-politico a carattere nonviolento (Gandhi, Capi-tini, Dolci, per limitarci ad alcuni più recenti) che si organizza grosso modo attorno a due poli: il polo della diversi-tà, della irripetibilità, della singolarità e il polo dell’unità organica dei diversi, all’insegna della verità e della traspa-renza. Ogni entità esistente sulla ter-ra (individuo, specie vegetale o anima-le, bioregione, cultura locale o nazionale o continentale) – continua Mangano – ha diritto ad essere se stessa, ad espri-mere pienamente le sue potenzialità a beneficio di se stessa e del contesto cui è inscindibilmente connessa. Questo processo di «auto-organizzazione» non esclude, ma richiede i rapporti di intera-zione dei diversi tra loro e con l’insieme, a diversi livelli di «eco-organizzazione».

18 A. Mangano, Introduzione, in A. Mangano-A.Michelin-Salomon (a cura di), La scienza sociale dell’educazione, cit., p. 11.

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In tal modo, movimento nonviolento e scienza della complessità – conclude – sostanzialmente coincidono. In Danilo le due fondamentali istanze risultano fuse: sia l’azione nonviolenta che la co-struzione della complessità risultano per lui un programma”19.

In questo programma di costruzione della complessità, la maieutica attribui-sce all’uomo un ruolo attivo, propositi-vo, etico. Si propone come metodo rigo-roso di ricerca e sperimentazione di nuo-vi modi di rapportarsi alla conoscenza, alla verità, nonché come strumento di costruzione di modalità relazionali fles-sibili, creative, cooperative, nonviolen-te, rispettose della diversità. Tale me-todo, in Danilo Dolci, nasce fin dall’ini-zio come un metodo comunitario, con finalità di trasformazione progettuale e dall’interno di una realtà sociale, pur va-lorizzando la soggettività personale. È questo aspetto che appare così interes-sante al pedagogista sociale Mangano.

«Liberazione educativa» e «matu-razione di un nuovo spirito comu-nitario»

Mangano identifica il benessere “con la capacità di crescita aperta e perma-nente, con l’autoaffermazione creativa nel lavoro, nel tempo libero e nella vita associata, con l’autoespansione cultu-rale nei settori congeniali all’individuo (arte, scienza, tecnica, hobbies), con l’autostima o percezione positiva di sé, fiducia nei propri poteri non provenienti deterministicamente dal solo potenzia-

19 A. Mangano, L’impegno educativo di Danilo Dolci, «Scuola e Città», 2, 1994, p. 72.

le genetico dell’individuo, ma costruiti mediante l’impegno, l’educazione”20 e propugna un’educazione liberatoria ed emancipatrice.

L’educazione, egli scrive, è rivoluzio-naria “nella misura in cui aiuta la cre-scita dal di dentro degli individui e della comunità: la crescita autentica, libera-trice, nella quale individui e comunità prendono coscienza dei loro bisogni, in un contesto locale organicamente rac-cordato con quello planetario, e proget-tano la soluzione dei relativi problemi. […] L’educazione può così divenire il nuovo principio dinamico motore della storia, il nuovo legame di interdipen-denza paritaria tra gli uomini”21.

Il tema della liberazione educativa era presente anche nella ricerca sull’as-senteismo degli insegnanti22, dove la ca-pacità di problematizzare e l’atteggia-mento di ricerca erano ritenuti stru-menti chiave per superare quell’alie-nazione che poi si traduce in insuccesso scolastico e formativo per gli alunni. In questo senso egli fa riferimento alle “«li-bertà positive» (Fromm) come poteri di progettualità e di scelta che nessuna or-ganizzazione politica e sociale può elar-gire, ma solo aiutare a conquistare (tra-mite le sue «agenzie» educative)”23. Li-bertà dunque non innate, bensì presen-ti nell’individuo sotto forma di elementi potenziali24, la cui conquista richiede un

20 Ivi, p. 68.21 Ivi, pp. 38-39.22 A. Mangano, L’assenteismo dei docent, cit.23 A. Mangano, Introduzione, in A. Mangano,

A. Michelin-Salomon (a cura), La devianza dei minori, cit., p. 44.

24 Cfr. Id. Introduzione, in A. Mangano, A. Michelin-Salomon (a cura), La scienza sociale dell’educazione, cit., p. 53.

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intervento educativo e condizioni facili-tanti. Libertà legate all’acquisizione di “capacità e competenze di tipo innova-tivo e progettuale, sensibilità comuni-tarie e cooperative, superamento del fa-talismo e dell’individualismo egoistico-familistico, acquisizione di un senso ci-vico che va oltre la chiusura tradiziona-le nella cerchia dello Stato-nazione. Le une e le altre, tali capacità, sensibilità e competenze presuppongono in qualche modo un atteggiamento problematizzan-te, richiedono la dimensione del futuro nella vita individuale e collettiva, come modi di pensare e di essere da parte di individui e gruppi umani impegnati ad esercitare la responsabilità connessa al potere democratico”25. Libertà stretta-mente connesse alle “dimensioni crea-tivo-produttive e progettuali della vita umana concepite come diritto, ma an-che come responsabilità dell’individuo e del gruppo”26 e che possono essere rese effettive solo attraverso un’educazione liberatrice che assuma la forma “della conquista dei poteri di libertà, trami-te l’esercizio del pensiero indipenden-te, della capacità di documentazione, dell’apprendimento collegato all’intu-izione, all’ipotesi e alla verifica, ossia alla crescita tradotta in capacità di ri-cerca e di autopoiesi”27.

Sono evidenti forti legami con la responsabilità e la solidarietà, con la «maturazione di un nuovo spirito comunitario»28 che deve diventare an-che “impegno responsabile per la libera-

25 Ivi, pp. 53-54.26 A. Mangano, Presentazione del convegno,

cit., p. 45.27 Ivi, p. 47.28 Ivi, p. 57.

zione degli Altri e il rispetto dei diritti dell’Alterità (non solo umana)”29.

La pedagogia sociale di Mangano è dunque incentrata sulla difesa di un ruolo attivo della soggettività proget-tante, sia nella dimensione individua-le sia in quella comunitaria. Il concetto autopoietico di autoeducazione fonda la possibilità di ricostruire su basi nuove la vita culturale e sociale. “Una cultura e una vita sociale fondata sui due prin-cipi circolarmente interagenti dell’iden-tità (creativa) e della connessione (coo-perativa) – scrive Mangano – richiedo-no un’educazione consapevole perché la vita sociale possa essere ricostruita su quelle basi”30. E ancora: “Gli indivi-dui, le comunità a diversi livelli cresco-no non isolatamente, come di solito si pensa, ma nella logica dell’interdipen-denza, la quale coinvolge sia le parti che l’insieme. Crescono per impulso interno, secondo i bisogni (sia di ciascuna delle parti che dell’insieme), non per pressio-ne o trasmissione esterna […]. Cresce-re, sviluppandosi nella comunicazione, significa identificarsi (non omologarsi) nella ricerca/valorizzazione: ricerca di sé (espressione, autoascolto) e ricerca dell’altro (ascolto rispettoso, interesse anche per la natura non umana, inter-pretazione decentrata dell’alterità)”31.

Una grande influenza ha avuto su Mangano la lettura degli studi di Ma-turana e Varela sui sistemi autopoie-tici. Anche le persone, le comunità, le culture, devono avere la possibilità di

29 Ivi , p. 60.30 A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit.,

p. 57.31 A. Mangano, Evoluzione e struttura maieu-

tica in Danilo Dolci, cit., p. 262.

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crescere dall’interno, in base ad un au-toprogetto, coltivando un auto-ascolto, un’autorappresentazione. È questa ca-pacità di auto-ascolto e auto-compren-sione che può costituire la base per il cambiamento. “Se l’evoluzione si avvale di processi intimi – mette in luce Man-gano – se vi concorre «la volontà degli organismi», essa non è un fatto, ma uno sviluppo creativo: non il risultato di vio-lenza distruttrice, ma bisogno e volon-tà di co-adattamento, di co-operazione: non spreco ma convergenza, co-valoriz-zazione di energie”32.

Questa attività ricostruttiva richie-de un primo momento di critica dell’e-sistente: è in reazione alla logica del do-minio che questo modello educativo ela-bora le proprie strategie, che investono i diversi ambiti vitali. Scrive infatti an-cora Mangano: “L’assuefazione alla vio-lenza depersonalizzante della vita sco-lastica spiana […] il terreno alle forme di spersonalizzazione, di massificazio-ne extrascolastica: quelle subite nel la-voro e nel tempo libero appunto. […] Quale alternativa? Se il dominio, la re-pressione, la colonizzazione si verifica-no perché il lavoro, il tempo libero, la città, il territorio vengono progettati e organizzati da altri, da persone e grup-pi diversi rispetto a coloro che lavora-no, trascorrono il tempo libero, vivono la città e il territorio, l’alternativa sta nel restituire il protagonismo, la capa-cità di progettazione/organizzazione ai diretti interessati”33.

Ancora una volta, ciò è possibile solo facendo esperire costantemente l’auto-

32 Ivi, p. 260.33 A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit.,

pp. 64-65.

progetto, senza abdicare al ruolo di gui-da (facilitazione?) che ci si richiede in quanto educatori, ma ampliando gra-dualmente le aree di autonomia di cia-scuno. In tutti i casi, se ci si comporta in maniera adeguata rispetto alle esi-genze di progettazione degli individui e dei gruppi, sarà sempre dopo l’ideazio-ne del progetto che dovranno interveni-re gli esperti per discutere, insieme ai diretti interessati, le modalità miglio-ri per il raggiungimento degli obiettivi.

Anche per questi aspetti, la pedago-gia sociale di Mangano è oggi di gran-de attualità: essa consente di inqua-drare entro coordinate squisitamente pedagogiche pratiche in corso di evolu-zione, quali la pedagogia di comunità, la progettazione partecipata o la ricer-ca-azione, considerate sempre più im-portanti ma talvolta messe a rischio da tecnicismi.

«Aprire prospettive alternative al mondo del dominio» (D. Dolci)

Mangano ha elaborato una lettura dell’interculturalità strettamente colle-gata all’epistemologia della complessi-tà e contemporaneamente molto atten-ta rispetto a quella dimensione fonda-mentale delle relazioni inter-umane e inter-specifiche che è la dimensione del potere. L’interculturalità reale è la con-dizione ordinaria del rapporto tra le cul-ture, benchè “implicita, come condizione di fatto” 34: essa comporta lo scambio di

34 A. Mangano, Elementi introduttivi. Dos-sier: Società multiculturale e risposte educative, «Nuova Paideia», 2, 1992, p. 20; cfr. anche Man-gano A., Urgenze planetarie e risposte educative interculturali, in V.A. Baldassarre (a cura di), Le

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tecniche, usi, linguaggi che poi vengo-no riadattati creativamente35, e costi-tuisce “un elemento di dinamizzazione e di progresso, di creatività individua-le e collettiva” per ciascuna cultura36. A questo si è contrapposto in quasi tutte le società storiche il “monoculturalismo esplicito”, come affermazione di una su-periorità culturale enfatizzata fondan-dola su una presunta superiorità gene-tica. Questo monoculturalismo, di cui la scuola “per la sua origine storica”, è portatrice, insieme ad una strutturale difficoltà a fare i conti col cambiamen-to – nella sua ricchezza e nei suoi limi-ti37 –, è alla radice di una buona parte dei processi di selezione scolastica an-che ai danni di autoctoni appartenenti a subculture dialettali38, e/o, aggiunge-rei, portatrici di una qualsiasi forma di diversità, nonostante il formale ricono-scimento dei diritti.

Gli attuali «tagli» economici ai danni della scuola pubblica sembrano un rin-vigorimento di un’idea di darwinismo sociale che sembrava ormai consegna-ta al passato, ma che purtroppo ritrova vigore nell’ideologia neoliberista.

La tutela dell’identità culturale di origine, lungi dall’essere strumen-to di conservazione, è essenziale allo sviluppo della “creatività individuale

scienza della formazione. Prospettive di ricerca nell’area del Mediterraneo. Atti del seminario internazionale 14-16 aprile 1994, Edizioni dal Sud, Modugno, 1996, pp. 221-232.

35 cfr., A. Mangano, Elementi introduttivi, cit., p. 20.

36 Ibidem.37 cfr. A. Mangano, Dispersione scolastica

e qualità della scuola, «Qualeducazione», 51, 1998, p. 41.

38 Cfr., Ivi, p. 39.

e comunitaria”39, dal momento che “la creatività e il senso critico esigono una prospettiva”40. Contemporaneamente la possibilità di attingere alla diversi-tà culturale e linguistica, di apprende-re codici e culture diverse, la capacità di lettura moltiprospettica della real-tà, non solo forniscono le competenze oggi necessarie per vivere nelle nostre società, ma “arricchiscono di per sé l’e-sistenza individuale”41.

Tuttavia conoscere non significa semplicemente incamerare dati, non è sufficiente neanche saperli inserire entro gli opportuni schemi concettua-li (come sostiene una parte del cogni-tivismo). La conoscenza diventa cultu-ra nel momento in cui interagisce con l’esistenza del soggetto, modificandolo. E, reciprocamente, una cultura è viva quando è possibile ad ogni individuo modificarla adeguandola ai propri biso-gni profondi. In questo contesto è possi-bile leggere quella critica alle istituzioni educative – in quanto prevalentemente finalizzate al mantenimento dello statu quo e poco propense a mettere al cen-tro la ricerca e la curiosità – che è sta-ta una costante del lavoro di ricerca di Mangano. Nell’ambito di una pedago-gia maieutica, “l’istruzione che privile-gia la ghettizzazione e l’esclusione, op-pure persegue la repressione dell’origi-nalità, della diversità e creatività, si ri-duce ad indottrinamento passivizzante, massificante”42 è anti-educativa. Al con-trario, un miglioramento delle opportu-

39 Ivi, p. 22.40 Ibidem.41 Ivi, p. 23.42 A. Mangano, Evoluzione e struttura maieu-

tica in Danilo Dolci, cit., p. 261.

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nità di crescita permanente della perso-nalità può prendere le mosse da punti diversi del sistema formativo. Mangano sottolinea l’interdipendenza tra il rin-novamento della scuola, dell’organizza-zione del lavoro e del tempo libero. “Il rinnovamento della scuola, dell’orga-nizzazione del lavoro e del tempo libe-ro si influenzano a vicenda. Lo svilup-po nella scuola delle attività espressi-ve, della esplorazione della natura, del-la cultura locale, dell’attività di ricerca, dell’uso attivo-produttivo delle tecnolo-gie dell’educazione, etc. creano tutte le premesse creativo-progettuali (ma non solo queste) per l’umanizzazione degli altri due settori. Di contro, l’impegno degli emarginati per affrontare i loro problemi […], documentare i bisogni, esaminare le difficoltà, etc., da un lato è il miglior impiego non alienante del tempo libero […], ma da un altro lato produce una maggiore attenzione delle comunità alle istituzioni formative di cui queste hanno bisogno”43.

Dato il legame esistente tra promo-zione dei legami cooperativi e comuni-cativi e sviluppo socio-culturale, “anche la mancata organizzazione o correlazio-ne dei singoli nel gruppo creativo è una piaga cancerosa”, o “quanto meno uno spreco su vastissima scala che l’umani-tà deve imparare ad evitare”44.

Maieutica e cambiamento

L’obiettivo di un’educazione autenti-camente democratica è fornire a tutti gli

43 A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit., p. 68.

44 A. Mangano, L’impegno educativo di Danilo Dolci, cit., p. 74.

individui gli strumenti per apprezzare l’eredità culturale, criticandola e dove è il caso modificandola per renderla sem-pre più idonea a costituire l’ambiente ideale per la crescita di tutte le creatu-re. Questo processo educativo-evolutivo è possibile solo attraverso un autentico e diffuso processo comunicativo. Comu-nicare è rielaborare esperienza, chiarir-si attraverso l’ascolto attivo di chi sa di essere chiamato a comprendere per ve-rificare la vicinanza o la lontananza re-ciproca dei pensieri, senza che si istitu-isca una gerarchia tra le opinioni. Ci si confronta attivamente con l’evoluzione del pensiero proprio e altrui, sapendo di potere esprimere la propria opinio-ne, la quale a sua volta sarà vagliata dagli altri partendo da un atteggiamen-to positivo. Ogni opinione è pertinente, anche se da ciascuna è possibile pren-dere le distanze. Ogni domanda è fatta a tutti e a ciascuno, ed ognuno cerca in sé la risposta perché nessuno si pensa del tutto “incompetente”.

A questo modo di concepire la comu-nicazione corrisponde una precisa visio-ne del processo educativo come processo comunicativo, bene illustrato da Man-gano. “Se la comunicazione (da cum e munus) – egli dice – è il dono reciproco che gli esseri si fanno nel loro rapporto simbiotico, sistemico, la struttura mai-eutica implica la matura consapevolez-za (dopo oltre duemila anni da Socrate) che, a livello educativo, lo sviluppo ha alle sue origini la ricerca, la domanda che l’essere umano pone a se stesso e agli altri, alla natura e alla cultura: la consapevolezza, inoltre, che nel rappor-to reticolare, interattivo - il luogo ove maturano i problemi, gli interrogativi, ma non solo essi – non ci si aiuta reci-procamente soltanto nel partorire ri-

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sposte, soluzioni, progetti, ma pure ci si insemina e ci si aiuta nel concepirli”45.

Essa dunque può modificare l’edu-cazione scolastica ed extrascolastica, la formazione dei docenti e degli educato-ri limitando il momento trasmissivo a quando questo risponde ad un bisogno di informazione da parte del soggetto-in-ricerca46, e coltivando come momento formativo fondamentale il fare emerge-re i bisogni per trasformarli in proble-mi, “consentire che nell’incontro e nello scontro nonviolento fra opinioni diverse matur[i] la prassi, l’innovazione e l’au-tostrutturazione cooperante”47.

La maieutica richiede dunque anche un’educazione al conflitto, che le è es-senziale come la diversità. “In mancan-za di una diversità di esperienza, di una divergenza (più o meno provvisoria) di pensiero e di opinione, la pluridirezio-nalità di un problema non potrebbe es-sere scorta né esplorata. Né ci sarebbe, in tali casi, reciprocità di azione maieu-tica e crescita reale dei membri del rap-porto. Possiamo dire che la divergenza è lievito del pensiero critico e dell’evolu-zione (individuale, comunitaria), men-tre il conformismo, l’uniformità acriti-ca, procedono invece in direzione della stasi, come sanno bene i dominatori di tutti i tempi”48.

Il tipo di conflitto che caratterizza la struttura maieutica è il conflitto nonvio-lento, la cui soluzione richiede che le dif-ferenze si cofecondino e producano una

45 A. Mangano, Evoluzione e struttura maieu-tica in Danilo Dolci, cit.

46 cfr. Mangano, L’impegno educativo di Da-nilo Dolci, cit., p. 75.

47 Ivi, p .78.48 A. Mangano, Evoluzione e struttura maieu-

tica in Danilo Dolci, cit., pp. 263-264.

nuova realtà, fonte di ben-essere per tutti. Il dialogo, lo scambio, l’empatia, l’entropatia (di cui parla la pedagogia fenomenologica) sono strumenti fonda-mentali per trasformarlo in momento di crescita. Nessuno nega le difficoltà, ma quella della co-evoluzione è una strada che va perseguita con convinzione, per-ché un approccio approssimativo e sem-plicistico al problema crea frustrazione, danneggia a volte gravemente la comu-nicazione e la relazione, può giungere a frenare il processo di sviluppo della personalità.

Va perseguita con convinzione an-che per contrastare il continuo preva-lere di interessi ristretti sui diritti alla vita, alla salute e alla crescita perma-nente della personalità di tutti e per dare nuova speranza ai futuri abitanti del pianeta. Una speranza che si pone in azione: “Cultura di pace non è assenza di conflitti, ma azione ricostruttiva che l’uomo rivolge a se stesso e all’ambien-te in cui vive, per rendere quest’ultimo ospitale […] nel rispetto delle diversità-originalità dei luoghi, delle culture, del-le personalità individuali: cioé del mon-do concepito come complessa «creatura di creature»”49. La ricerca pedagogica di Antonino Mangano si è costantemente svolta in questa direzione, cercando di indicare piste di riflessione e di azione agli educatori e agli uomini dei nostri tempi: senz’altro merita di essere cono-sciuta per la sua profondità e per la sua straordinaria attualità.

49 A Mangano, Danilo Dolci educatore, cit., p. 31.

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Quale dialogo per la costruzione del bene comune

di CONCETTA SIRNA*

RiassuntoI complessi problemi che l’umanità

deve affrontare su scala planetaria non sono più risolvibili con le teorie liberal-individualistiche e neo-contrattualisti-che nè con quelle ispirate ai tanti comu-nitarismi fondamentalistici: esse, pur veicolando alcuni principi accettabili, risultano nel complesso riduttive e da-gli effetti perversi. Per realizzare conte-sti globalizzati meno precari e dramma-tici non basta la disponibilità di nuove strumentazioni tecnologiche facilitanti la comunicazione, perchè l’accresciuta vicinanza e interdipendenza degli in-dividui e dei popoli spesso è foriera sol-tanto di incomprensioni e conflittualità. Occorre, invece, impegnarsi a costruire una comunità umana che, riconoscendo-si come un’unica famiglia, riesca a cor-responsabilizzarsi ed a cooperare per la realizzazione del “bene comune”, met-tendo a frutto il contributo di tutti i suoi membri. Non è facile far sì che l’attuale organizzazione socio-economica e poli-tica, governata dalla legge del profitto e della concorrenza ma indifferente rispet-to ai costi in termini di emarginazione e sofferenza umana, venga orientata ver-so una nuova logica etico-solidale, più comprensiva ed equa, capace di avviare processi di sviluppo inclusivo anche per i tanti soggetti tuttora ai margini. L’arti-colo precisa a quali possibili equivoci si

presta il discorso sul “bene comune” e in che misura le attuali democrazie in crisi possano e debbano farsi carico di questo compito, insieme educativo e politico, di ricostruzione di comunità etiche e civi-che, rinunciando alla tentazione di tan-te pericolose scorciatoie (tecnicismi giu-ridici, neutralità valoriale, ideologismi dottrinari, ecc.). Le attuali società post-democratiche eticamente indifferenti, in-fatti, si limitano a negoziare interessi in-dividuali e non riescono più a vedere nel dialogo tra diversi lo strumento principe per interpretare concretamente e corret-tamente il compito ed il destino dell’uo-mo, né a guardare ai valori come a im-pegnativi e condivisi “fini da raggiunge-re”. Nell’educazione, come nella politica, il dialogo come ricerca critica della veri-tà rimane il vero canale del cambiamen-to epocale, quello capace di dar voce ai bisogni di tutti, soprattutto di quegli ul-timi e poveri che costituiscono non “uno scarto” ma una risorsa, anzi, il motore stesso dei processi di umanizzazione e di autentico sviluppo.

AbstractThe availability of new technologi-

cal equipment is not sufficient to achie-ve less precarious and dramatic globali-zed contexts. Efforts should be made to build a human community, which reco-gnize itself as one unique family, and is able to cooperate in the implementation of the “common good”, with the contri-bution of all its members. The text spe-* Università di Messina.

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cifies how many misunderstandings the discourse on the “common good” leds and how ‘’ in crisis ‘’ democracies should take responsibility for this educational and political task. Democracies have the task of reconstructing ethical and civic community, but they must renounce to many dangerous shortcuts (legal techni-calities, neutral values, doctrinaire ide-ologies, etc.). In Education, as in Poli-tics, critical dialogue remains the true channel of the change, that can express the needs of all, especially of those who are poor but must be considered a “re-source” and the engine of both: the ‘ hu-manization process’ and the ‘genuine development’ process

Democrazie in crisi e bisogno di comunità

Le democrazie occidentali, che per lungo tempo si sono proposte come an-coraggio etico per il mondo intero, ve-dono oggi il loro universalismo conflig-gere con altri universalismi. L’Occiden-te, che ha preteso di farsi mondo, si tro-va ormai alla prova della grande crisi, perché non riesce a garantire le sue pro-messe di pace, ordine, benessere e liber-tà. Di fronte alle fratture geopolitiche, alle guerre, al malessere sociale, alle crisi di sovranità che umiliano gli stati e delegittimano la politica, ci si chiede perfino a cosa serva questo modello of-fuscato di democrazia che non riesce a gestire la propria impotenza1.

1 Cfr., tra l’altro, su questi problemi il numero n. 2 del 2012 di “Limes. Rivista Italiana di geopoli-tica” dedicato al tema “A che serve la democrazia? Finanza über alles – L’Occidente che volle farsi mondo – Alla prova della grande crisi”.

Cadute le grandi ideologie, attiva-te in tanti paesi nuove primavere rivo-luzionarie dagli esiti ancora confusi e contraddittori, è diventato a tutti evi-dente quanto numerosi siano ormai gli elementi di fragilità del sistema econo-mico-finanziario e politico complessivo che governa il pianeta. Subdoli dinami-smi attivati da poteri anonimi, perico-losamente fluidi e ingestibili, rischia-no continuamente di portare al collas-so interi paesi e di innescare un effetto domino capace di influenzare negativa-mente le scelte ed il futuro di gran par-te della popolazione mondiale.

Sono tanti i motivi di incertezza e di ansia che offuscano ormai l’orizzon-te di questo XXI secolo, aperto con alte prospettive ma divenuto troppo denso di minacce e di pericoli. E, se è vero che la scienza annuncia quotidianamente in tutti i campi scoperte che aprono nuo-ve possibilità, fornendo soluzioni tecni-che strabilianti, è altrettanto vero che lo spettro della catastrofe eco-sistemi-ca rimane sempre incombente, a moti-vo della estrema complessità delle pro-blematiche da affrontare e governare su scala planetaria.

Le maggiori difficoltà e preoccupa-zioni provengono soprattutto dall’inca-pacità delle persone di relazionarsi in modo positivo e significativo, di trovare cioè quella unità di intenti indispensa-bile all’organizzazione di una conviven-za più equa, previdente e solidale per tutti, l’unica capace di affrontare i tan-ti problemi che assillano l’umanità nel suo complesso e ne minacciano la stes-sa sopravvivenza sul pianeta.

In contesti globalizzati come quel-li attuali, estremamente variegati ma sempre più interdipendenti, siamo tut-ti consapevoli infatti che per governare

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e per superare le tante conflittualità e fratture non basti la semplice vicinan-za. Occorre, come da più parti si auspi-ca, riuscire a dar vita a nuove comunità umane capaci di coordinare e compor-re i diversi interessi, quelli individuali e quelli delle singole realtà etniche, re-ligiose, culturali e politiche, in nome di un “bene comune”, quello dell’umanità intera. Si sente il bisogno cioè di costru-ire un nuovo universalismo etico, non più monocratico ed imposto unilateral-mente, ma frutto di un dialogo di civil-tà rispettoso delle diversità. Lo esige-rebbe anche, e soprattutto, la necessità di risolvere con logiche più comprensi-ve ed olistiche i gravi rischi derivanti dagli squilibri dell’ecosistema, divenuti incommensurabili e incontrollabili per dimensione e complessità.

Non sembrano orientati, invece, in questa direzione i contesti attuali del-le società capitalistiche avanzate occi-dentali, dove lo sviluppo si ispira an-cora in gran parte a logiche settoriali o di mercato e dove è prevalsa la cul-tura dell’individualismo solipsistico e del frammentarismo etico2. Innalza-ta a criterio veritativo l’autonomia del singolo e legittimato come diritto l’in-teresse soggettivo, si è prodotta una società di individui solitari, reciproca-mente indifferenti, incapaci di vera at-tività dialogica e politica. Senza riferi-menti ad un ordine valoriale oggettivo e condiviso, i soggetti risultano infatti

2 Il riferimento riguarda le teorie liberal-individualistica (Nozick, Hayek) e neo-contrat-tualistica (Rawls, Gauthier, Buchnan) che rico-noscono valore primario esclusivo agli interessi individuali dei cittadini ed assegnano allo Stato, laico e neutrale, il ruolo tecnico di garanzia di sicurezza e di equilibrio tra le parti.

slegati da qualsiasi vincolo sociale sta-bile di tipo comunitario e non si sento-no responsabilizzati rispetto ai contesti (territori, modelli, relazioni, valori, per-sone, ecc.). Riconoscono come unica for-ma di appartenenza e di partecipazio-ne rassicurante, non quella di membro di un gruppo o di una comunità, ma lo stare all’interno dello “sciame inquieto dei consumatori” - come dice efficace-mente Bauman3.

L’homo consumens della postmo-dernità accetta di far parte soltanto di raggruppamenti temporanei, orizzon-tali e senza gerarchia fissa, all’interno dei quali condivide la prossimità fisica con altri soggetti, provvisoriamente ed in funzione di obiettivi mobili. Preoccu-pato molto di più di mantenere la pro-pria autonomia e sicurezza, fugge da

3 Z. Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Erickson 2007. L’Autore spiega che la sostituzione del “gruppo”, con i suoi leader e le sue gerarchie, con gli “sciami”, raggruppamenti mobili e provvisori che sorgono e scompaiono in funzione di obiettivi momentanei e mutevoli, risponde al bisogno dell’homo consumens di sfug-gire ad ogni vincolo. Gli sciami non hanno bisogno di una forma definita ma solo di “una direzione di fuga che in se stessa determina la posizione dei leader e dei seguaci per la durata di quella traiettoria, o almeno per una sua parte”. Nello sciame non esiste né divisione del lavoro, né la presenza di specialisti o di persone dotate di par-ticolari capacità da insegnare ad altri: non c’è “né scambio, né cooperazione, né complementarietà, solo prossimità fisica e una generale direzione di movimento”. La sicurezza sulla direzione del volo non dipende dall’autorevolezza del leader, ma dal numero e dalla certezza delle altre persone partecipanti che, proprio perché tante, si pensa che “non potrebbero essere ingannate”. Chi si al-lontana dallo sciame non è un ribelle o un eretico ma, probabilmente, soltanto un pasticcione che, una volta uscito dal perimetro dello sciame, si sente perduto o smarrito.

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ogni vincolo stabile per rifugiarsi in un surrogato di comunità nel quale ripo-ne le proprie certezze, che consistono nel seguire la massa di individui che si muovono nello sciame. Soddisfa così in modo distorto la sua voglia di comu-nità4, rinunciando però alle forme più significative ed impegnative di legame prosociale, quelle di cooperazione e di complementarità.

In questo modo, non soltanto impo-verisce di senso e di relazioni significa-tive la sua esistenza individuale, ma rende anche evanescente ed improba-bile la sua maturazione di un’etica del-la responsabilità sociale ed indebolisce la sua capacità di dialogo e di parteci-pazione democratica, fondamento e me-todo della vita etica e della vera dialet-tica politica.

Con la sua pretesa di essere auto-sufficiente, il soggetto di fatto precipita in un processo di chiusura monadisti-ca che lo fa illudere di essere assoluta-mente libero da vincoli mentre, di fat-to, diventa osservatore isolato ed iner-me della realtà, in balia di forze incon-trollabili e succube di subdoli processi manipolatori che lo rendono irrespon-sabilmente delegante. Per usare la me-tafora5 di una nota canzone di Samuele

4 Cfr. a riguardo anche Z. Bauman, Voglia di comunità, Laterza, Bari 2001; T. Nagel, La pos-sibilità dell’altruismo, Il Mulino, Bologna 1994; E. De Bono, La rivoluzione positiva, Sperling & Kupfer, Milano 2000 (1991); De Beni M., Sviluppo della prosocialità e apprendimento-servizio, Intro-duzione a M. N. Tapia, Educazione e solidarietà. La pedagogia dell’apprendimento-servizio, Città Nuova, Roma 2006.

5 Sull’importanza e l’utilità delle metafore per rappresentare realtà e processi in campo pedagogico si veda, tra l’altro, C. Sirna, Metafore di libertà, nel volume E. Colicchi (a cura di), Edu-

Bersani, si comporta come uno “scruta-tore non votante”6, figura emblematica del soggetto postmoderno, struttural-mente apolitico e trasgressivo, che in-terpreta la propria libertà in modo in-dividualistico e soddisfa il proprio ine-ludibile bisogno di comunità con surro-gati inefficaci e comportamenti contrad-dittori: sta sempre collegato nella realtà virtuale ma non conosce i suoi vicini di casa, apparecchia la tavola ma non in-vita mai nessuno, conosce la bellezza e fragilità dell’ambiente ma distrugge le foreste, non sopporta la vista del san-gue ma auspica la pena di morte, ecc. .

È, questa, la rappresentazione di

cazione e libertà nel tempo presente, A. Siciliano, Messina - Civitanova Marche, 2008, pp. 313-336.

6 Riportiamo il testo della canzone di Samuele Bersani dal titolo “Lo scrutatore non votante”.

“Lo scrutatore non votante è indifferente alla politica. Ci tiene assai a dire “ohissa!” ma poi non scende dalla macchina. È come un ateo praticante seduto in chiesa alla domenica; si mette apposta un po in disparte per dissentire dalla predica. Lo scrutatore non votante è solo un titolo o un immagine per cui sarebbe interes-sante verificarlo in un indagine. Intervistate quel cantante che non ascolta mai la musica oltre alla sua, in ogni istante sentiamo come si giustifica. Lo scrutatore non votante è come un sasso che non rotola, tiene le mani nelle tasche e i pugni stretti quando nevica. Prepara un viaggio ma non parte, pulisce casa ma non ospita, conosce i nomi delle piante che taglia con la sega elettrica. Lo scruta-tore non votante conserva intatta la sua etica e dalle droghe si rinfresca con una bibita analcolica. Ha collegato la stampante ma non spedisce mai una lettera, si è comperato un mangia-carte per sbarazzarsi della verità. Lo scrutatore non votante è sempre stato un uomo fragile: poteva essere farfalla ed è rimasto una crisalide. Telefonate al cartomante che non contatta neanche l’aldiquà. Siccome è calvo usa il turbante e quando è freddo anche la coppola. Lo scrutatore non votante con un sapone che non scivola si fa la doccia 10 volte e ha le formiche sulla tavola Lo fa svenire un po’ di sangue ma poi è per la sedia elettrica.”.

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una mentalità ormai molto diffusa nel XXI secolo, soprattutto in quelle real-tà urbane e metropolitane dove prevale l’anomia e dove la “folla solitaria” cerca nuovi spazi di comunicazione, apparen-temente più sicuri e soddisfacenti, nei quali può mantenere il contatto nel qua-si anonimato di relazioni fluide e funzio-nali (le strade, i mercati, luoghi affolla-ti, il mondo di internet). Non è un caso che sia aumentato in modo esponenziale il tasso di rifiuto della politica e che la partecipazione alla vita pubblica spes-so sia ridotta a settoriali forme di pro-testa o a mero commento e chiacchiera virtuale. D’altronde, alle relazioni in-terpersonali dirette dei contesti fami-liari, sociali, esistenziali e civici ormai si tende a preferire la vita di single, con scarsi legami di coppia, fluidi e tempo-ranei, ed un operare confinato preva-lentemente nella sfera della virtualità, dove ciascuno può celebrare il proprio delirio di onnipotenza sentendosi final-mente padrone assoluto del tempo, del-lo spazio e delle relazioni, liberato dal-lo sforzo incerto e faticoso del rapporto col volto dell’altro (Levinas7).

Per quanto illusoria, è ancora forte la tentazione di salvarsi da soli, al di fuo-ri dei vincoli imposti dall’appartenenza alla comunità umana con la quale di fat-to si condividono gli effetti apocalittici dei processi e degli eventi planetari. E mentre l’ideologia individualistica con-tinua a promettere ai singoli tanti spa-zi di libertà che si rivelano falsi, vuoti e densi di incubi, si registra intanto l’au-mento del disagio e la nascita di diver-se nuove patologie relazionali collegate

7 E. Levinas, Totalità e infinito, trad. di A. dell’Asta, Jaca Book, Milano, 1980.

all’uso distorto della cyber cultura: il bi-sogno inevaso di comunità, mal diretto, trova nuovi pericolosi surrogati in com-portamenti massificati, spesso mania-cali, ossessivi e canalizzati verso nuove dipendenze (new addiction)8.

Il progressivo sfaldamento del tes-suto sociale e il diffuso crescente disa-gio dimostrano, a nostro avviso, come le disponibilità tecnologiche e comuni-cative, di cui oggi si dispone, non pos-sano da sole garantire soluzioni efficaci in assenza di una chiara e decisa linea di intervento di una comunità umana, plurale ma coesa, che sappia rappaci-ficarsi per riuscire a governare le forze e i processi in atto. Si sente il bisogno, soprattutto, di una chiara e condivisa riflessione etico-politica che affronti an-che i drammatici bisogni di sopravvi-venza di larghissime fasce della popo-lazione mondiale ed i notevoli costi in termini di emarginazione e sofferenza umana dell’attuale organizzazione so-cio-economia e politico-culturale.

Senza l’adesione ad una nuova lo-gica etico-solidale, più comprensiva ed equa, non è possibile realizzare comu-nità umane accoglienti, orientate a rea-lizzare il bene comune, capaci di attiva-re processi di scambio cooperativo e di sviluppo inclusivo per tutti. Urge quin-di apprestare contesti culturali e sociali che aiutino la nascita e l’affermazione di queste nuove comunità, eticamente esigenti ma democraticamente aperte e dialoganti, all’interno delle quali sia possibile sperimentare quella sicurez-za e libertà, che sono necessarie al sog-

8 Confronta su questi temi il testo di R.G. Romano, Virtualità e relazionalità nella cybercul-tura. Percorsi pedagogici tra ludos e patìa, Pensa Multimedia, Lecce, 2012.

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getto per costruirsi come persona atti-va e responsabile, capace di progetta-re e costruire nuove realtà più frater-ne e libere.

Società democratiche tra neutra-lità e valori

Le democrazie, per quanto grave sia la crisi in cui versano e i limiti da cui sono afflitte, non possono rimanere inerti. Come scrive Eric Weil, la demo-crazia ha “limiti storici, limiti costitui-ti dalle condizioni sociali, limiti ideolo-gici. Nessuno di questi limiti è definiti-vo, nessuno è insuperabile dagli uomini di buona volontà e – va da sé- di sana ragione; ma non si supereranno se non si prende la briga di riconoscere e sma-scherare, sotto il travestimento delle buone intenzioni, la mancanza di chia-rezza e la pigrizia del cuore e del cervel-lo. L’uomo è capace di creare un mondo umano; è questo il credo della democra-zia, ed è questo credo che distingue il democratico. Bisogna che impari a vo-lerlo ragionevolmente, nelle condizioni che la realtà storica gli offre come solo campo della sua azione”9 .

Spetta ad esse, quindi, farsi carico di questo compito, insieme educativo e politico, di ricostruzione di comunità etiche e civiche impegnate nella defi-nizione e nel perseguimento di ciò che può essere da tutti considerato come bene comune, di quel bene cioè che non

9 Eric Weil, Limiti della democrazia, tradu-zione e presentazione di Marco Filoni in “Limes. Rivista Italiana di geopolitica” n. 2-2012 “A che serve la democrazia? Finanza über alles – L’Oc-cidente che volle farsi mondo – Alla prova della grande crisi, p. 111.

coincide soltanto con la sommatoria dei beni individuali ma che si riverbera sul benessere di tutti e può essere intenzio-nalmente perseguito e conseguito sol-tanto con il contributo di tutti.

Per riuscire in questo percorso oc-corre, tuttavia, che esse rinuncino alla tentazione di percorrere tre pericolose scorciatoie:

– la imposizione di ideologismi mo-nocratici dottrinari di varia natura (po-litica, religiosa, etnica, ecc.),

– l’adozione di sofisticati tecnici-smi giuridici, tesi a bilanciare gli inte-ressi individuali attraverso regole for-mali generali,

– il vincolo alle istituzioni pubbli-che della neutralità valoriale e dell’in-differenza etica rispetto ai vari orienta-menti presenti nella realtà sociale e te-stimoniati dai vari gruppi di cittadini.

Si tratta infatti di scorciatoie perico-lose perché, sebbene possano a volte far conseguire qualche risultato positivo, tuttavia non sono in grado di offrire ga-ranzia di sicurezza e libertà per tutti 10.

La prima ipotesi, infatti, proponen-do vecchi e nuovi fondamentalismi (et-nici, religiosi, politici, ideologici, ecc.), confida in comunità forti ma assillanti e totalizzanti, che precludono i neces-sari spazi di libera decisionalità, vita-li per la crescita della persona: risulta, quindi, coercitiva e illiberale, incapace di garantire il dialogo tra diversi.

Analogamente, anche le altre due posizioni, apparentemente più liberali,

10 Già J. J. Maritain aveva denunciato le pe-ricolose derive presenti nella politica del ’900 ed aveva individuato la soluzione nella ricostruzione di quel tessuto culturale, etico e spirituale che poteva rappresentare il fondamento di una reale convivenza democratica .

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di fatto non garantiscono una effettiva e piena partecipazione ed un aperto ed efficace confronto. Infatti entrambe pro-pongono diversi artifici giuridici (nor-me, leggi) ed etici (neutralità, indiffe-renza) per evitare il confronto delle idee dimostrando, così, di considerare irrile-vanti quegli orientamenti di senso che dovrebbero, invece, essere posti al cen-tro dell’attenzione. Questi orientamen-ti di senso sono, invece, fondamentali sia per riuscire a riconoscersi ed accet-tarsi come interlocutori, sia per poter-si confrontare apertamente e in modo approfondito sui temi essenziali lungo il cammino verso la definizione insieme di una agenda comune.

In realtà sono molte le società mul-ticulturali, attraversate da diversità e conflittualità, che ancora preferisco-no dichiararsi eticamente indifferenti e neutre11 proprio per paura di dover affrontare conflitti difficili da gestire. Questo non risolve i problemi, anzi li

11 Esempi di questa contraddittoria e para-dossale difesa del “bene comune” della laicità dello Stato neutrale è la sentenza che in Francia ha imposto il divieto di indossare abiti o segni religiosi in pubblico, perché considerati una esibizione identitaria . Il velo delle musulmane o la croce cristiana, cioè, che potrebbero essere accettabili e legittimi come espressione di futili mode estetiche, sono vietati soltanto perché sono carichi di significati simbolici condivisi da una comunità di credenti, che bisogna occultare nell’a-gorà quotidiana per non evidenziare le diversità esistenti!! Cfr. su questi temi anche i testi C. Sirna, Oltre la neutralizzazione delle culture e la mimetizzazione delle differenze, in A. Portera e P. Dusi (a cura di), Gestione dei conflitti e mediazione interculturale, Franco Angeli, Milano 2005, pp. 102-119 e C. Sirna, Dalla neutralizzazione delle diversità alla pedagogia del conflitto, in A. M. Di Vita e E. Giambalvo ( a cura di), Figure della differenza. Corpi, generi, culture, CISU, Palermo 2005, pp. 9-30.

aggrava perché scoraggia lo sforzo del dialogo, strumento principe per inter-pretare concretamente e correttamente il compito ed il destino dell’uomo. C’è il rischio che si continui a guardare ai va-lori, propri e degli altri, come a vessilli da difendere ad ogni costo e non, come dovrebbe essere, come impegnativi “fini da raggiungere”, su cui discutere e ritro-varsi in un percorso condiviso.

Non è facile realizzare comunità ed istituzioni che sappiano garantire a tut-ti i membri la sicurezza mantenendo, allo stesso tempo, un clima di libertà: c’è sempre il rischio che, prima o poi, da case accoglienti queste si tramutino in gabbie e ghetti pericolosi (es. gli Stati etici, totalitari ed invasivi; i movimen-ti fondamentalisti, le sette religiose, le lobbies occulte, ecc.) oppure, al contra-rio, che la asettica neutralità delle isti-tuzioni democratiche scoraggi la parte-cipazione popolare alla vita pubblica ed all’impegno sociale.

Quando manca un contenuto etico da difendere, lo Stato rischia di cadere preda delle lobbies, cui garantirà inte-ressi e privilegi, la politica diventa sol-tanto una tecnica amorale di gestione del potere, ed il “bene comune” si ridu-ce ad una astratta e vaga formula die-tro la quale si contrabbandano pressio-ni di gruppi e logiche partitiche.

È quello che sta accadendo oggi, con una globalizzazione attuata all’ombra esclusiva della legge del mercato che ha accelerato i processi di secolarizza-zione e di materializzazione e, di fatto, ha diffuso ed imposto la religione uni-ca del consumismo e l’ideologia dell’in-differenza reciproca12, contrabbandate

12 G. Savagnone, I cattolici e la politica oggi.

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come doverosa “neutralità” dello Sta-to liberale nei confronti delle religio-ni positive.

Se manca una comunità etica e ci-vile in cui riconoscersi, ognuno cerche-rà soltanto di difendere e legittimare le proprie pretese e l’azione politica si ri-durrà a mediazione degli interessi per la conservazione del consenso. Ha ori-gine così la “prassi equivoca o addirit-tura disonesta del potere”13 accompa-gnata dal declino intellettuale e mora-le della classe politica.

Per uscire dalla palude occorre quin-di un nuovo progetto culturale e sociale animato di spiritualità e supportato da una efficace azione politica. Deve essere un progetto capace di motivare, mobili-tare e responsabilizzare tutti i cittadini, facendoli uscire dall’indifferenza verso la politica ma, anche, aiutandoli a non soggiacere alle tante forme di coinvol-gimento emozionale di tipo demagogi-co, che circolano nei contesti attuali. È tempo di un rinnovato protagonismo positivo, capace di costruire intese fina-lizzate all’impegno sociale attraverso la sperimentazione di esperienze comuni-tarie e di pratiche cooperative.

Premessa necessaria è la rinuncia ai lobbismi e la ricostruzione di una visio-ne della democrazia che rinunci a fun-gere da strumento puramente formale di spericolate negoziazioni e di offerte politiche contraddittorie e si impegni, invece, a ritrovare la sua carica ideale nelle originarie aspettative etiche lega-te alle promesse di libertà, uguaglian-za e solidarietà.

Sette nodi da sciogliere, Cittadella Editrice, Assisi 2012, p. 38.

13 G. Savagnone, Op. cit., p. 69.

Bene comune come giustizia e gra-tuità

Una democrazia che voglia recupe-rare il senso più profondo della propria essenza non può rinunciare al riconosci-mento del valore fondante del dialogo come procedura di convincimento ra-zionale . Esso costituisce quel confronto non superficiale mediante il quale, en-trando nel merito delle diverse legitti-me prospettive in campo, si può sperare di definire, al di là del fisiologico quan-to inevitabile conflitto, sia gli elemen-ti che possono costituire il “bene comu-ne”, cioè quei fini e quelle proposte che sono più importanti da raggiungere, sia il modo più opportuno per realizzarli prima possibile, o almeno in parte, con accordi condivisi.

Tuttavia un vero dialogo non può af-fidarsi soltanto all’ottica della legalità e della negoziazione degli interessi in campo: potrebbe produrre anche leggi ingiuste e legittimare privilegi. Quello a cui il dialogo deve mirare è una lega-lità che va sempre integrata con la ri-cerca etica di ciò che va oltre la somma degli interessi individuali, quel patri-monio ideale avvertito come senso, de-stino e direzione comune dell’umanità. Soltanto questo, infatti, merita un im-pegno comune e cooperativo per la sua realizzazione, un gioco di squadra ca-pace di valorizzare tutti i componenti nella loro diversità nell’ottica del rag-giungimento del fine scelto, il supera-mento di individualismi e frammenta-zione che diventi cammino assieme per guadagnare tutti di più.

Come ricorda Benedetto XVI nella sua “Caritas in veritate”, è la stessa in-terdipendenza su scala globale che oggi, di fatto, diventa una categoria morale e

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politica di fondamentale importanza, il punto di forza da cui partire per coglie-re e valorizzare tutte le potenzialità in-site nel processo di globalizzazione e fi-nalizzarle alla costruzione di una vera comunità mondiale unitaria. Soltanto se ci riconosciamo come una sola fami-glia, infatti, sapremo anche capovolgere l’attuale sviluppo squilibrato e le tante situazioni di ingiustizia e di esclusione che tuttora costituiscono condizioni di vita non buone per i tanti poveri, esclu-si ed emarginati.

Cogliere il punto di vista dell’etica del “bene comune” non può significare soltanto affermare la ricerca di regole etiche mutuate dalle norme giuridiche (giusnaturalismo positivistico), né può limitarsi alla semplice contrattazione degli interessi individuali in nome del-la giustizia, ma comporta soprattut-to la difesa della comune dignità della natura umana che esige per la persona la libertà, l’uguaglianza dei diritti e so-prattutto la fraternità. Il bene comune – precisa il cardinal Bertone, “non va confuso né col bene privato, né col bene pubblico: Nel bene comune, il vantaggio che ciascuno trae per il fatto di far par-te di una certa comunità non può esse-re scisso dal vantaggio che altri pure ne traggono. Come a dire che l’interesse di ognuno si realizza assieme a quello de-gli altri, non già contro (come accade nel bene privato) né a prescindere dall’in-teresse degli altri (come succede con il bene pubblico) . In tal senso ‘comune’ si oppone a ‘proprio’, così come ‘pubblico’ si oppone a ‘privato’. È comune ciò che non è solo proprio, né ciò che è di tutti indistintamente”14.

14 I. Bertone, L’etica del bene comune nella

Muoversi nella logica del bene comu-ne, quindi, significa ispirarsi al princi-pio di reciprocità che esclude le varie forme di opportunismo (di chi atten-de solo di essere assistito) ma supera anche l’atteggiamento puramente fi-lantropico ( concessione unilaterale) ed il semplice scambio tra equivalenti (do ut des). Nella interpretazione del-la dottrina sociale della Chiesa catto-lica, ad esempio, l’idea di bene comune non si riduce all’idea di società giusta e solidale, diretta soltanto “a rendere uguale i diversi” e a soddisfare i diritti dei cittadini ai beni di giustizia. Il vero “bene comune” per il cristiano è qual-cosa di più ricco ed impegnativo: é rea-lizzare una società “fraterna” che “con-sente agli eguali di affermare la pro-pria diversità” e promuovere, accanto ai beni di giustizia, anche quei “beni di gratuità”15 e di sovrabbondanza (come l’amicizia, la compassione, il perdono, ecc.), fondamentali per il bisogno di fe-licità perché fondati sul riconoscimen-to di “un’obbligazione” che deriva dallo speciale legame che ci unisce come per-sone. Una società è capace di sviluppo e di futuro soltanto se, accanto allo scam-bio contrattuale ed alla redistribuzione giusta della ricchezza, sa testimoniare anche la reciprocità fraterna e la forza dirompente del legame gratuito e libe-ro che anima la vita di comunità. Gra-

dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, 2007, p. 31.

15 Sull’importanza del principio di gratuità in economia si veda S. Zamagni, L’economia del bene comune, Citta Nuova 2004; ma anche i volumi di L. Bruni, Reciprocità. Dinamiche di cooperazione, economia e società civile, Mondadori 2006; Il prezzo della gratuità, Citta Nuova, 2008; La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, Il Margine, 2007.

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tuità, dono e perdono sono le attività etiche e simboliche che rendono possi-bile e rafforzano il senso di appartenen-za alla comunità ed arricchiscono l’esi-stenza umana16.

Indubbiamente, spetta alle società democratiche utilizzare il diritto per tu-telare il principio della libertà e dell’u-guaglianza, assicurare rispetto este-riore, protezione dei beni materiali e ripartizione secondo regole stabilite. Se tutto questo è sicuramente necessa-rio, non sempre però risulta sufficien-te a garantire una convivenza umana veramente arricchente e soddisfacente come è quella che promuove anche l’a-micizia civile e la fraternità, ispira di-sinteresse, distacco dai beni materiali, atteggiamenti di gratuità , disponibili-tà nei confronti dell’altro e reciprocità17.

La storia ci ricorda che tanti si sono cimentati nella difficile definizione del bene comune ma gli esiti non sono stati sempre positivi: tante ideologie comuni-tariste e tanti movimenti politici e re-ligiosi, pur mossi da buone intenzioni, paradossalmente hanno suscitato an-che guerre lunghe e sanguinose per af-fermarlo. Bisogna riconoscere, tuttavia, che molti sono stati anche i contributi che le varie realtà comunitarie hanno apportato nelle varie epoche ai proces-si di pacificazione e di positivo rinnova-mento della civiltà umana. Ad esempio, proprio nell’Occidente rissoso ed impe-

16 Sulla valenza educativa della gratuità e del perdono v. anche il mio contributo: C. Sirna, Educazione alla libertà come educazione al per-dono, in C. Sirna (a cura di), Tempo formativo e creatività. Scritti in onore di Leone Agnello, Pensa Multimedia, Lecce 2007, I tomo pp. 231-239.

17 Cfr. il Compendio della dottrina sociale della Chiesa.

rialista, ispirate dal mondo spirituale cristiano, sono nate anche le maggiori conquiste civili, politiche, economiche e sociali. Sono tante soprattutto le propo-ste e le innovazioni economico-giuridico-finanziarie introdotte dalle comunità re-ligiose (benedettini, francescani, gesui-ti, ecc.) che hanno segnato la nascita e lo sviluppo del moderno stato sociale e della stessa economia di mercato: inizia-tive sorte tutte per migliorare e rispet-tare la dignità delle persone, cercando soluzioni razionali originali (es. nella or-ganizzazione del lavoro e degli scambi – nella diffusione del prestito per pro-durre il miglioramento delle condizioni dei non abbienti – nella realizzazione di attività di sviluppo cooperativo, ecc.) non limitate esclusivamente a forme di elemosina e di assistenza18 .

La società occidentale ha potuto svi-luppare la democrazia e le stesse idee di libertà, uguaglianza e fraternità pro-prio perché si è alimentata della idea-lità e della spiritualità delle comuni-tà religiose, cristiane e non, che hanno interpretato la fede non come un fatto privato, individuale e interioristico, ma come una forza operativa ed unitiva, un legame fondante testimoniato fattiva-mente nella sua carica vitale all’inter-no della vita sociale.

Anche oggi la dottrina sociale del-la Chiesa, mentre rispetta l’esigenza di laicità delle istituzioni pubbliche, contribuisce al dialogo democratico sul bene comune proponendo, in contro-tendenza rispetto alle teorie dominan-ti, di guardare ai poveri come “risorse” e non come problemi. Accogliendo la

18 L. Bruni, A. Smerilli, Benedetta economia. Benedetto di Norcia e Francesco d’Assisi nella storia economica europea, Citta Nuova, 2008.

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sfida della globalizzazione che caratte-rizza il XXI secolo, trova in essi la vera opportunità di rinnovamento per la co-munità mondiale. Nell’enciclica “Deus caritas est” Benedetto XVI indica infat-ti la gratuità e la fraternità come pun-to di riferimento della condizione uma-na e considera l’esercizio del dono come il presupposto indispensabile affinché Stato e mercato possano funzionare avendo di mira il bene comune. Senza pratiche estese di dono si potrà anche avere un mercato efficiente ed uno Sta-to autorevole (e perfino giusto), ma di certo le persone non saranno aiutate a realizzare la gioia di vivere. Perchè ef-ficienza e giustizia, anche se unite, e in-sieme, non bastano ad assicurare la fe-licità pubblica.”19

È rivoluzionario pensare che lo spi-rito del dono non debba essere relegato soltanto nella sfera privata ma possa trovare spazio anche nella sfera pubbli-ca, valere per l’economia e rinnovare la politica. Abbiamo tanto bisogno oggi di una politica e di una economia laiche ma eticamente attente, che sappiano cogliere l’invito religioso a riconoscere

19 A questo tema è dedicato nell’enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, (2009), tutto il cap. III dal titolo “Fraternità, sviluppo economico e società civile” (pp. 52-70) nel quale si precisa che, “Mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguire la giustizia e che la gratu-ità intervenisse dopo come un complemento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia [….] Carità nella verità significa che bisogna dare forma e organizzazione a quelle iniziative economiche che, pur senza negare il profitto, intendono andare oltre la logica dello scambio degli equivalenti e del profitto fine a se stesso” (p.60-61) , cioè alle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali attuando una sorta di eco-nomia della gratuità. .

il “primato della relazione, del legame intersoggettivo sul bene donato, dell’i-dentità personale sull’utile”20 .

Educazione e politica in “dialogo” per il “bene comune”

È evidente che la costruzione di que-sto tipo di bene comune non é mai del tutto realizzabile, perché legato soprat-tutto ai complessi e lenti processi che regolano la maturazione culturale e spirituale dell’umanità. Ancor più dif-ficile diventa oggi in una realtà in cui prevale una cultura egoprotettiva ed autocentrata, che confonde il bene col benessere, che esalta la fuga dall’impe-gno dei sentimenti, che preferisce l’este-tica all’etica. Si è andata profilando or-mai l’affermazione di un tipo di comu-nità molto fragile e poco coesa, fondata sull’apparenza e sullo spettacolo: sem-bra quasi una comunità che ha deciso di disfarsi di se stessa perché è diventa-ta una comunità di individui “soli” che non cercano più un “pensare condiviso” ed uno “star bene insieme”.

Sembra che il potere dell’educazione ed il governo della politica, che di que-sto stare insieme dovrebbero essere i costruttori e garanti, siano progressi-vamente venuti meno. Sono stati sosti-tuiti sia dalla forza seduttiva di illuso-rie forme di comunicazione mediatica e telematica, sia dai vincoli di modelli di propaganda captativi, tesi ad enfatizza-re le differenze e le divisioni. Entram-bi non aiutano a maturare la consape-volezza dei grandi problemi comuni, né contribuiscono a far crescere la sensi-

20 T. Bertone, op.cit., p. 55.

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bilità all’apertura verso forme più ric-che di vita comunitaria e neppure sti-molano forme di impegno trasformati-vo e creativo di tipo cooperativo. Tende a crescere, piuttosto, la paura del con-fronto e del conflitto e, conseguentemen-te, prevale il disperante bisogno di di-fendersi dagli altri, un bisogno che im-poverisce tutti perchè li imprigiona in una spirale perversa.

È ancora possibile recuperare e ri-proporre un concetto di comunità di-verso, dove la conoscenza non sia fi-nalizzata soltanto allo sviluppo di una cultura personale ma trovi il suo sen-so più profondo nel diventare strumen-to di servizio agli altri? C’è spazio per una educazione ed una politica che, in modo coordinato ed integrato, non sia-no più un sottoprodotto dell’attuale de-grado sociale, ma recuperino il ruolo di “motori” del cambiamento e della rico-struzione di una comunità capace di un pensare condiviso?

Senza questa visione prospettica – dice De Beni – educazione e politica ne-gherebbero la loro stessa funzione, quel-la che le fa essere, in primo luogo, stru-menti per costruire fiducia nel futuro e garanzie contro le forme peggiori di di-sunità, distruzione, sopraffazione e mi-seria. Ad esse, pertanto, spetta il com-pito di riuscire a far maturare persone capaci di condividere responsabilmen-te i problemi e di porre limiti alla pro-pria avidità, collaborando con saggez-za alla prevenzione di tante situazioni disastrose e trovando modi più intelli-genti e più sicuri di coesistenza.

L’esito, mai scontato, dipende in pri-mo luogo dal modo in cui la politica riu-scirà a promuovere ed apprestare conte-sti socio-economici e giuridici rispettosi della dignità delle persone, muovendosi

all’interno dei quali sia possibile cana-lizzare, favorire e garantire la forma-zione e la partecipazione comunitaria.

Accanto al compito politico, non meno importante ed urgente risulta anche il lavoro educativo, tanto più ef-ficace quanto più mirato a sviluppare il senso di comunità e la corresponsa-bilizzazione. Va in questa direzione la proposta educativa dell’apprendimen-to servizio21, che si fa promotrice di una cultura rispettosa dell’altro, aperta al dialogo ed orientata alla cooperazione attraverso l’esercizio di un comporta-mento prosociale-altruistico22. In que-sto tipo di percorso, infatti, i processi di apprendimento non vengono attivati in modo formale ed astratto, ma vengono presentati come intimamente correlati con le esigenze di servizio alla comuni-tà, emergenti dai bisogni e collegati alla risoluzione dei problemi.

21 La proposta dell’apprendimento-servizio (ApS), di cui Maria Nieves Tapia delinea i con-torni nel volume Educazione e solidarietà. La pedagogia dell’apprendimento-servizio, Città Nuova, Roma 2006), è già operativa in molti paesi nel mondo, soprattutto in America latina dove è applicata sia in ambiente scolastico che extrasco-lastico e risponde all’esigenza di responsabilizzare gli apprendenti relativamente alle numerose e gravi problematiche delle comunità in cui vivono, attivando un loro pieno ed attivo protagonismo.

22 M. De Beni, Sviluppo della prosocialità e apprendimento-servizio, Introduzione a M. N. Tapia, Educazione e solidarietà. La pedagogia dell’apprendimento-servizio, Città Nuova, Roma 2006, pp.7-19. “Con prosocialità si indicano quei comportamenti finalizzati ad aiutare un’altra persona o gruppo, senza che esista previamente alcuna forma di ricompensa esterna. Si tratta di modi di pensare e di comportamenti socialmente positivi, che spesso richiedono un costo personale, un ‘sacrificio’ da parte di un individuo o di un gruppo a beneficio di altri, un’intenzione anche esplicita di ridurre disagi, disuguaglianze, ingiu-stizie, violenza, ecc.” (p. 12).

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Si tratta di una proposta educativa efficace proprio perché il suo fondamen-to poggia essenzialmente sul lavoro coo-perativo di una comunità degli educato-ri, capaci di creare un clima positivo di accoglienza con il loro comportamento coerente e dialogante, prima ancora che con le esortazioni morali. Si preoccupa-no di insegnare agli apprendenti soprat-tutto ad essere persone in comunione con altre persone, a riconoscere gli altri punti di vista, ad avvicinarsi al sapere non in modo individualistico o solo co-gnitivo ma procedendo insieme, nell’in-terdipendenza degli uni verso gli altri.

La diffusione sempre maggiore in tanti paesi di queste esperienze di ap-prendimento-servizio conferma che, laddove esiste un contesto di tipo co-munitario pro-sociale, esso è in grado di sprigionare quella forza educativa che riesce a dare solidità e durata alle trasformazioni perché diventa capace di attivare, orientare e coordinare le tante energie soggettive, motivandole e sup-portandole nel loro sviluppo verso for-me sublimate e continuative di dialogo e di gratuità. Niente, invece, cambia in senso positivo se manca una comunità di persone che, credendo, scommetta-no e si impegnino in quella che si con-figura come l’unica autentica rivoluzio-ne positiva, quella contro la disperante frammentazione ed insensatezza di una realtà ogni giorno più drammaticamen-te complessa ed ingovernabile.

Queste esperienze di apprendimen-to-servizio si affiancano, in verità, a tante altre forme di impegno educati-vo attualmente presenti e funzionanti nei più vari contesti, tutte nate da grup-pi altamente motivati, spiritualmen-te molto ricchi e idealmente coerenti. Sono queste realtà che oggi ci aiutano

a sperare nella possibilità di un miglio-ramento ed a scommettere sulla forza che si sprigiona da una comunità che crede nell’educazione e nella potenza trasformativa e costruttiva del dialo-go. Esse ci indicano la via che funzio-na in ogni continente e sotto ogni cie-lo, e che può valere quindi anche per le nostre imperfette democrazie, dove quotidianamente dobbiamo fare i con-ti con forme di strapotere, mercanteg-giamenti utilitaristici, ricatti e logiche clientelari. Vale sempre la pena lotta-re per evitare che prevalga la mentali-tà impersonale dell’opinione pubblica, la cultura dell’ovvio, la voglia di illu-dersi che esistano soluzioni facili e mi-racolose ai problemi complessi, il desi-derio di assicurarsi privilegi personali, l’indifferenza per il saccheggio delle ri-sorse comuni, il disimpegno e la man-canza di iniziativa.

Certamente occorrono democrazie che siano rianimate dalla forza delle co-munità che vivono al loro interno, rivi-talizzate dalla partecipazione di cittadi-ni impegnati nella difesa della dignità di tutti e che non si affidino soltanto a leggi e cavilli giuridici formali, preoccu-pati soltanto di difendere i propri privi-legi o le disparità esistenti! Un dialogo corretto e fraterno tra persone respon-sabili rappresenta lo spazio più adatto per un cammino di promozione di una cultura comunitaria e di fraternità che politica ed educazione, in modo integra-to, sono chiamate a costruire: spetta ad entrambe proporre ed attuare provvedi-menti sia di tipo politico-amministrati-vo sia di ordine socio-pedagogico, tesi al rafforzamento dei contesti istituzionali ed alla formazione e supporto di persone capaci di libertà di pensiero e di azione, e quindi di vero dialogo.

QUALEDUCAZIONE • 93

L’impegno educativo, spesso sotto-valutato, rappresenta, a nostro avvi-so, la vera sostanza del processo dia-logico perché va alla radice dei pro-blemi, avviando quei necessari proces-si di coscientizzazione che alimentano la sostanza della vita democratica. Un compito educativo siffatto, coerente-mente supportato dall’impegno politi-co di governo delle cornici istituzionali e dei processi operativi che consentono la libera partecipazione di tutti, rap-presenta, oggi come ieri, il vero moto-re della storia.

Non sempre questo compito educa-tivo, di cui si alimenta il benessere e la vita stessa delle società, viene oggi bene interpretato e realizzato all’in-terno delle varie realtà sociali. Troppo spesso di esso si continua a disconoscere la dimensione etico-valoriale fondante, considerata superflua ed esornativa, e si tende invece a relegarlo nella fascia di una operatività finalizzata esclusiva-mente all’utilità. È riduttivo limitarsi a rispondere soltanto alla preoccupa-zione, sicuramente seria ma non esau-stiva, di offrire a tutti i soggetti quegli strumenti operativi e quelle risposte tecniche che sono indispensabili a cia-scuno per operare e sopravvivere, at-tuando i propri progetti di vita.

Competenza ed eticità non vanno contrapposte nel processo formativo, perché costituiscono entrambe fattori ineludibili del progresso umano. È pe-ricoloso sottovalutare il peso e l’indi-spensabile apporto che ciascuna di esse garantisce. La tentazione di ridurre lo scambio intergenerazionale al sempli-ce scambio di competenze tecno-scien-tifiche ed operative, che aiutano il sog-getto a tutelare il proprio interesse, se apparentemente può sembrare libera-

toria di energie positive in ogni attivi-tà, sia essa economica, politica, scienti-fica, artistica o tecnica, nel lungo perio-do rischia inevitabilmente di impoveri-re e distruggere il benessere comune e la stessa esistenza collettiva ed espone a pericolosi squilibri.

Se manca il fondamentale e prima-rio rispetto della persona che si apre al bene comune in un atteggiamento dia-logico e solidale, se si pensa di poter fare a meno della dimensione etica e valoriale preoccupandosi esclusivamen-te degli effetti a breve termine, prima o poi gli esiti saranno inevitabilmen-te negativi per tutti ed a tutti i livelli. Come scriveva Don Luigi Sturzo, l’as-senza di ideali superiori ha come esito che “tutto si deturpa: la politica divie-ne mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la scienza si applica ai forni di Dachau, l’arte de-cade nel meretricio”23.

Oggi si continua a chiedere alle agenzie educative formali ed alle istitu-zioni politiche di provvedere a miglio-rare la formazione dei cittadini, giova-ni e non, in tutti i campi del sapere ma in modo frammentato. (educazione ali-mentare, sanitaria, tecnologica, econo-mico-finanziaria, civico-istituzionale, ecc.). Quello che è veramente urgente per il nostro tempo, a nostro avviso, è recuperare il compito primario dell’e-ducazione che consiste nel coltivare in ogni uomo la capacità di superare l’ot-tica angusta che lo tiene legato, esclu-sivamente ed in modo miope, ad aspet-ti settoriali e a bisogni soggettivi, per

23 Cfr. L. Sturzo, Coscienza e politica (1953), Zanichelli, Bologna 1972 (a), in Opera Omnia di Luigi Sturzo, a cura dell’Istituto Luigi Sturzo, I serie (Opere), voll. V e VI.

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aprirsi a scelte di ampio respiro24, im-pegnate a difendere e potenziare l’inte-ra comunità umana e l’ecosistema del pianeta di cui si alimenta.

La rivista “Qualeducazione” da un trentennio valorosamente porta avanti questo progetto educativo in modo egre-gio, contribuendo alla sensibilizzazione sui temi cruciali del nostro tempo con l’apporto della riflessione approfondita di studiosi italiani e stranieri di grande caratura scientifica oltre che di grande umanità. Siamo grati a tutti loro e in modo particolare al suo fondatore, Giu-seppe Serio, il quale nel difficile conte-sto calabrese è stato, e continua ad es-sere, testimone attivo e grande anima-tore di un dialogo aperto, coinvolgente e costruttivo che contribuisce alla reale ricostruzione educativa del vivere civile.

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4 – aa.vv.I DIRITTI UMANI.PRESENTE E FUTURO DELL’UOMO.A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.(1986) 291 p. £. 25.000 (10 copie)

5 – aa.vv.EDUCAZIONE E DEMOCRAZIATRA CRISI E INNOVAZIONE.A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.(1988) 192 p. £. 25.000 (30 copie)

6 – aa.vv.DOVE VA LA SCIENZA?EDUCAZIONE ALLA CONOSCENZAE ALLA RESPONSABILITÀ.A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.(1990) 236 p. £. 25.000 (200 copie)

7 – aa.vv.EDUCAZIONE ALLA SALUTETRA PREVENZIONEE ORIENTAMENTO.A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.(1992) 184 p. £. 20.000 (esaurito)

8 – aa.vv.EDUCAZIONE AL LAVORONELL’EUROPA DEGLI ANNI ’90.A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti,G. Serio. (1992) 172 p. £. 20.000 (esaurito)

9 – aa.vv.POPOLI CULTURE STATIA cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti,G. Serio (1994) 330 p. £. 35.000 (25 copie)

10 – aa.vv.L’UOMO NOMADE.UNA METAFORA DEL NOSTRO TEMPOA cura di A. Pieretti (90 copie)

11 – aa.vv.LA NONVIOLENZA. UNA PROPOSTAEDUCATIVA PER IL TERZO MILLENNIOA cura di G. Serio-V. Pucci (1998) 296 p. £. 40.000 (poche copie)

12 – aa.vv.PEDAGOGIA E CULTURA PER EDUCARESaggi in onore di Giuseppe SerioA cura di L. Corradini (2006) 320 p. E 25,00

ACTA PAEDAGOGICACollana diretta da Giuseppe serio

13 – aa.vv.EDUCARE ALL’ONESTÀ, OGGI, NELLA FAMIGLIA, NELLA SCUOLA, NELLE ISTI-TUZIONIA cura di M. Borrelli-G. Serio

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La mediazione culturale come strategia per facilitare il dialogo

di FATANE HASSANI JAFARI*

RiassuntoI flussi migratori sono determinati da

motivazioni diverse tra loro, ma sono uno dei fenomeni dominanti la nostra epoca. Tuttavia, troppo spesso ancora agli im-migrati viene chiesto di abbandonare la propria cultura d’origine e assumere sen-za troppi discostamenti quella del paese di accoglienza. Questo comporta un im-poverimento sia per i migranti che per i paesi ospiti. L’autrice racconta la propria esperienza di migrante e da lì parte per analizzare le difficoltà che incontrano soprattutto i bambini migranti e le loro famiglie. Difficoltà che almeno in parte possono essere alleviate con il supporto del mediatore culturale, che può aiuta-re gli stranieri (soprattutto le donne, i bambini) ad inserirsi nel nuovo paese, nel modo in cui questo è organizzato, ma può anche favorire l’incontro tra il modo in cui lo straniero vede se stesso e il pro-prio modo di vivere nel mondo e le stes-se rappresentazioni negli autoctoni, an-che in vista di un dialogo che sarebbe in grado di arricchire entrambi.

AbstractMigratory streams are caused by dif-

ferent reasons, however they are one of the dominant phenomenon in our socie-ty. Nevertheless, immigrants are very often asked to abandon their own ori-ginal culture and adopt that of the host country without too many divergences.

This means an impoverishment for mi-grant people and for host countries as well. The author tells her own experience as a migrant and goes on analyzing the difficulties especially encountered by mi-grant children and their families. Such difficulties can be partly solved thanks to the help of cultural mediators who are able to help foreigners (especially wo-men and children) to integrate within the host society The cultural mediator acts as a point of encounter between the foreigner’s perception of him/herself and the way of living in the world, as well as the same representations done by autochtones, in such a way that a com-mon dialogue is established.

Globalizzazione e migrazioni

La storia dell’umanità è storia di flussi migratori. Fin dai tempi più an-tichi, dalla preistoria, individui, piccoli gruppi o interi popoli sono migrati at-traverso il pianeta alla ricerca di sicu-rezza, di migliore benessere o per cer-care di realizzare le proprie aspirazioni. Lo stesso popolamento dei continenti è stato determinato da questo spostamen-to di ingenti masse di uomini o di piccoli gruppi alla ricerca di migliori possibili-tà di vita e di sviluppo. Allora come oggi si poteva fuggire da avverse condizioni climatiche (carestie, catastrofi natura-li), dalla fame, dalla guerra, dalla mi-seria o dalla schiavitù; oppure si lascia-va il luogo di nascita per cercare condi-

* Patame Shahr ray, Department of educational of Sciences University Payam Noor di Tehran - Iran.

QUALEDUCAZIONE • 97

zioni di vita migliori, per creare nuove realtà e nuovi paesi, per cercare di rea-lizzare il sogno di una vita migliore per se stessi e per i propri figli.

Gli studiosi hanno suddiviso i fattori che stanno alla base della scelta migra-toria come fattori di espulsione (push factors) e fattori di attrazione (pull fac-tors): i primi sono quelli che spingono le persone a lasciare il paese d’origine, i secondi quelli che inducono a raggiun-gere un altro paese o un’altra città.Oggi la situazione è in parte analoga a quella del passato, in parte è amplificata dal-le diverse condizioni del pianeta. Molti paesi oggi sono contemporaneamente meta di flussi migratori e luoghi di par-tenza di migranti, in quanto attraggono gli appartenenti a paesi più poveri pur non avendo condizioni di grande pro-sperità. La popolazione mondiale negli ultimi anni è aumentata con un ritmo sconosciuto alle epoche passate e que-sto, unito ad una ingiusta suddivisione delle risorse su scala planetaria, produ-ce nelle generazioni più giovani il biso-gno di cercare di sfuggire ad un destino di miseria o di mediocrità per cercare condizioni di vita migliori in quei paesi che presentano livelli di qualità della vita più elevati. Detto altrimenti, lascia il proprio paese chi ritiene di non pote-re in alcun modo trovare al suo interno le risorse per raggiungere un tenore di vita accettabile o un adeguato aumen-to delle proprie condizioni di benesse-re ed ha delle risorse personali da ten-tare di investire in una nuova realtà1.

1 Cfr. G. Carlini, Note sulle migrazioni con-temporanee, in D. Barra, W. Bereta Podini (a cura di), Le migrazioni. Educazione interculturale e contesti interdisciplinari, Roma, CRES/Edizioni Lavoro, 1995, p. 24.

La diffusione dei mezzi di comunica-zione di massa e dei cosiddetti new me-dia, inoltre, rende sempre più possibi-le venire a conoscenza di modelli di vita diversi, anche se spesso ne fornisce rap-presentazioni semplificate, quando non falsate e spettacolari. Questa apertura di orizzonti spinge, soprattutto le gio-vani generazioni, a desiderare di spe-rimentare altri modelli di vita, a cerca-re vie di fuga da condizioni di vita con-siderate impossibili, inaccettabili o più semplicemente indesiderabili. A questo si aggiunga il flusso dei cosiddetti mi-gratori temporanei, di tutti quei giovani che si recano all’estero per motivi di stu-dio o di lavoro per periodi brevi o medio-lunghi, ma avendo in mente di tornare in patria. Nel considerare la realtà del-le migrazioni sarebbe sbagliato e miope considerare soltanto l’aspetto di miglio-ramento legato al cambiamento. Migra-re, abbandonare il proprio paese d’origi-ne per studiare, lavorare o vivere fuori, è faticoso, spesso porta sofferenze cui non si pensa e che gravano su coloro che vi-vono questa esperienza: l’ampliamento delle proprie conoscenze e competenze è legato anche ad una perdita o al rischio di una perdita: la perdita delle proprie radici, del senso del valore della propria appartenenza culturale precedente.

Spesso è difficile sia comprendere la cultura del paese d’arrivo che farsi capi-re dai suoi abitanti, soprattutto quando ci si trova in condizioni di debolezza o di bisogno: si pensi ai bisogni legati alla sa-lute o alla tutela dei diritti rispetto alla propria posizione di lavoratore. Tali sof-ferenze sono però ancora maggiori per i nuclei familiari, in cui i genitori sono spesso combattuti tra la volontà di ve-dere i propri figli vivere serenamente il loro inserimento nel nuovo paese, sen-

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za dover affrontare pesanti esperienze di esclusione o di derisione per la loro diversità, e il desiderio che essi non di-mentichino la cultura, la lingua, le usan-ze, i valori del paese da cui loro stessi provengono. Magari l’ambiente di vita dei ragazzi sarà senz’altro il nuovo pae-se, ma i genitori desiderano che non tut-to il bagaglio culturale che ha costituito il terreno più significativo della loro cre-scita venga ignorato dai figli.

È fin troppo frequente che agli im-migrati il paese di accoglienza chieda proprio questo: di dimenticare la pro-pria cultura precedente, le proprie tra-dizioni, le modalità di affrontare la vita e i problemi, e di accogliere senza discu-terle quelle del nuovo paese. La scuola, ad esempio, fin troppo spesso si limita a cercare di inculcare nei nuovi arriva-ti la lingua e la cultura del paese ospite senza far alcuno sforzo per tenere conto del fatto che i bambini o i ragazzi sono portatori di una propria cultura, che è quella che vivono all’interno della loro famiglia o che hanno sperimentato nel paese che hanno lasciato per seguire i genitori. La cultura d’origine è ignorata o fraintesa e trasformata in uno stru-mento di discriminazione, quasi fosse solo un folclore che è bene sia abbando-nato il più presto possibile, o il retaggio di una forma di incultura o barbarie che va superata attraverso un atteggiamen-to rigoroso o discriminatorio. Chi fati-ca ad apprendere i nuovi codici, i nuovi usi o si attarda nel rispetto dei propri, viene considerato ingrato, pigro o stu-pido e raramente ci si chiede se ci sia-no motivazioni più profonde che lo ten-gono legato alle sue radici.

Il peso di conservare il legame con la cultura di origine, quando non è espres-samente ostacolato in un’ottica assimi-

latrice, viene lasciato per intero sulle spalle dei genitori, che non sempre han-no gli strumenti per farlo. Io stessa, nel-la mia esperienza di migrante in Italia, dove ho vissuto per numerosi anni per motivi di studio e di lavoro, ho potuto conservare il rapporto tra i miei figli e la mia cultura d’origine solo al prezzo molto alto di uno sforzo personale conti-nuo e intenso. Ho seguito personalmen-te e con perseveranza i miei figli nello studio della lingua e della cultura per-siana, nella loro formazione personale e religiosa, ho cercato con determina-zione i contatti per fare in modo che la loro formazione culturale e professiona-le consentisse loro di mantenere aperta la possibilità di realizzarsi nella società iraniana come in quella italiana, senza trasformare la loro doppia appartenenza in un rischio di impoverimento. Ho co-stantemente mediato tra le due culture, per consentire loro di non confondersi e non perdersi. In questo sono stata aiuta-ta però anche dagli studi che andavo fa-cendo e da una consapevolezza profonda del progetto di vita che avevo per loro.

Non tutti i migranti hanno le stes-se caratteristiche e la maggior parte di loro ha bisogno di essere aiutata per poter perseguire questi obiettivi. Sono convinta, d’altra parte, che perseguirli sia utile anche nell’interesse della socie-tà che ospita i migranti, perchè trascu-rare la cultura d’origine porta ad un im-poverimento non solo delle persone, ma anche della qualità delle risorse umane che in quel paese si recano contribuen-do allo sviluppo economico e produtti-vo. Occorre inoltre tener presente che, come si è visto già nei paesi di più anti-ca immigrazione, il riconoscimento del-la diversità culturale all’interno di una società multiculturale rappresenta il

QUALEDUCAZIONE • 99

modo più efficace per evitare l’insorge-re di forme di violenza legate alla tutela di identità d’origine spesso trasforma-te in miti e distorte rispetto alla realtà.

I bambini stranieri a scuola

Ovunque nel mondo, i migranti ven-gono visti dalla legislazione del paese ospite solo come lavoratori: forza lavoro che temporaneamente o in maniera più stabile si inserisce nel tessuto produtti-vo del Paese producendo ricchezza. È in funzione di questo che la loro presenza viene regolata sia negli aspetti formali (permessi di soggiorno, riconoscimen-to di diritti civili) che sociali (riconosci-mento di diritti sociali, come la tutela sanitaria e le condizioni abitative). Mol-te volte, anche a livello umano, lo stra-niero, colui che presenta una diversità culturale o somatica, viene guardato con sospetto o sufficienza, come potenziale nemico o come peso, soprattutto se si sposta dal suo paese spinto dal bisogno.

Una problematica particolare pre-senta l’incontro tra il bambino o il ra-gazzo e la cultura del paese ospite attra-verso la scuola. Questi minori emigra-no soprattutto al seguito delle famiglie, anche se nelle società occidentali non è raro il fenomeno dell’arrivo di minori stranieri adottati all’estero o di quel-li non accompagnati, casi che produco-no ulteriori problemi per la loro tutela fisica e psicologica2. Col passare degli anni aumenta poi la presenza dei figli di stranieri nati nel paese accogliente,

2 Cfr. D. Demetrio-G. Favaro, Bambini stranie-ri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell’infanzia e nella scuola elemen-tare, La Nuova Italia, Firenze, 1997, pp. 39 segg.

ma che non per questo possono essere considerati sradicati dal contesto so-cio-culturale delle famiglie di apparte-nenza. Questo, invece, è quello che ge-neralmente accade. La lingua mater-na viene completamente ignorata, an-che perchè all’interno della scuola non vi sono figure professionali che la par-lino e gli insegnanti sono tutti formati nella lingua nazionale, frequentemen-te associata alla loro lingua regionale e a qualche lingua straniera tra quelle considerate importanti.

In genere, il bambino (o anche il ra-gazzo o la ragazza) che frequenta una scuola in un dato paese viene istruito e socializzato esclusivamente nella lin-gua e nella cultura di quel paese e nel-la lingua straniera che in quel dato mo-mento storico viene considerata utile a farne un lavoratore efficiente per il si-stema economico del paese ospite. I rap-porti tra docente e studente riproducono i codici e i rapporti di ruolo dominan-ti nella società ospite e a questo si ade-guano anche le aspettative riguardan-ti il comportamento dei ragazzi. Questo può dar luogo a fraintendimenti cultu-rali significativi, che intimidiscono lo studente o ne ostacolano l’inserimento scolastico e il profitto negli studi.

Ma può anche verificarsi che l’asso-luta indifferenza della scuola rispetto alle conoscenze pregresse degli studen-ti porti ad una graduale perdita di que-ste conoscenze insieme all’indebolimen-to dell’autostima del giovane e alla per-dita di stima nei confronti della cultura e della lingua dei genitori. Non è infre-quente vedere tra i migranti la tenden-za ad abbandonare la lingua d’origine nel dialogo con i figli per adottare la lin-gua del paese ospite, anche se la si cono-sce poco. In questo modo si ha la sensa-

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zione di aiutare l’inserimento scolasti-co e sociale del bambino, ma in effetti si producono fenomeni di deprivazione linguistica e culturale che si traducono poi anche in deprivazione affettiva ed emozionale, a scapito dello sviluppo ar-monico della personalità3.

In Italia è a partire dalla C.M. n. 205 del 26 luglio 1990 che le istituzioni se-gnalano l’importanza di prestare parti-colare attenzione alla presenza di bam-bini stranieri a scuola, per trasformarla in una risorsa per l’intera comunità sco-lastica attraverso lo sviluppo di una pe-dagogia specificamente interculturale.

Questo approccio interculturale comprende la necessità di un approfon-dimento della conoscenza reciproca del-le culture di cui sono portatori gli stu-denti, con la convinzione che tale cono-scenza reciproca possa favorire la cre-scita di tutti. La stessa circolare mini-steriale sollecita la scuola, o, nel caso in cui ciò non sia possibile, gli enti locali, a promuovere, “in presenza di richieste”, “corsi specifici di lingua e di cultura del Paese d’origine e in carenza di appor-ti delle competenti rappresentanze di-plomatiche, a favorire le iniziative de-gli Enti locali e lo svolgimento di questi corsi da parte delle comunità interessa-te, raccomandando la massima collabo-razione della scuola sia per la disponibi-lità delle attrezzature e sia per quanto riguarda il coordinamento tra gli Enti e le comunità interessate, da realizzar-si possibilmente nell’ambito della pro-grammazione scolastica”4.

3 Cfr. C. Sirna, Lingua e apprendimento in prospettiva interculturale, EDAS, 1992; Id. Peda-gogia interculturale. Concetti, problemi, proposte, Guerini, 2003.

4 Cfr. C.M. n. 205 del 26 luglio 1990.

In questa stessa Circolare ministe-riale è richiamata la possibilità di uti-lizzare mediatori linguistico-cultura-li per agevolare la comunicazione sia all’interno della scuola, sia tra questa e la famiglia. Tali figure professionali possono essere utilizzate anche per rea-lizzare iniziative di valorizzazione della cultura d’origine dei ragazzi5.

Il ruolo del mediatore culturale come facilitatore del dialogo

La prima legge che in Italia defini-sce l’utilizzo dei mediatori culturali è la legge 40/98, divenuta poi «Testo Unico sull’Immigrazione» (d.p.r. 286/98)6. Da quel momento sono nati molti corsi pro-fessionali volti a preparare queste nuo-ve figure di operatori destinate a lavo-rare soprattutto nel sociale (nei servizi alla persona, nei servizi sanitari, nel se-gretariato sociale) e, soprattutto al cen-tro-nord del paese, sono fiorite nume-rose esperienze che hanno avuto anche funzione di sperimentazione rispetto ad un approccio che non aveva precedenti.

Queste figure hanno operato preva-lentemente come mediatori socio-cultu-rali, favorendo l’incontro e la compren-sione reciproca tra stranieri e servizi e mediando sia rispetto agli aspetti del funzionamento e della fruizione dei ser-vizi sia con riferimento all’ambito deli-cato delle differenze culturali. Questo è particolarmente importante quando ad avere bisogno dei servizi sono le donne,

5 Cfr. ibidem.6 Cfr. U. Melchionda, Modello e metamodello

della mediazione linguistico-culturale nell’e-sperienza italiana, in M. Andolfi (a cura di), La mediazione culturale. Tra l’estraneo e il familiare, Angeli, Milano, 2003, p. 101.

QUALEDUCAZIONE • 101

le quali, in molti paesi, sono abituate – a differenza di quanto avviene nei paesi occidentali – a confrontarsi e a sviluppa-re una maggiore confidenza soprattutto , se non esclusivamente, con altre donne.

La mediazione culturale passa quasi sempre attraverso la mediazione lingui-stica, ossia l’affiancamento di persone della stessa cultura o in grado di par-lare la stessa lingua che svolgono un’o-pera di traduzione dei bisogni e del-le richieste dello straniero agli opera-tori dei servizi, o viceversa. Attraver-so la mediazione linguistica è possibile promuovere l’incontro tra le due cultu-re, ossia tra i due insiemi di valori, usi, costumi, tecniche e modi di confrontar-si con la realtà, di cui sono espressione lo straniero e l’operatore dei servizi (o l’insegnante). Attraverso questo primo passo è possibile che vengano ricono-sciuti anche i modi in cui lo straniero vede se stesso, il proprio rapporto con la società e con il suo gruppo di appar-tenenza, il sistema di ruoli all’interno della famiglia e nella società, il rappor-to con la malattia o con la morte, ecc.7 Nel mondo umano, infatti, non sono le cose in sè a produrre i maggiori effetti sulla vita degli uomini, quanto i signi-ficati che gli uomini danno alle cose: e a questi significati è possibile accedere solo mediante il linguaggio8.

La mediazione linguistico-culturale può aiutare a definire meglio la situa-zione tra stranieri e autoctoni in rela-zione alla realtà sociale che essi condi-vidono, creando le condizioni per cui le

7 M. Fiorucci, La mediazione culturale. Strate-gie per l’incontro, Armando, Roma 2007, Ivi, p. 103.

8 Cfr. R.M. Farre-S. Moscovici (a cura di), Rap-presentazioni sociali, Il Mulino, Bologna, 1989.

visioni contrastanti vengano negoziate e tale negoziazione porti ad una defini-zione valida per entrambi: questo può valere, ad esempio, in relazione alle diverse aspettative riguardo a ciò che un servizio offre, oppure nel caso in cui ciascun gruppo ritenga valide esclusi-vamente le norme e i valori elaborati al proprio interno, anche se contrasta-no con quelle dell’altro gruppo.

In questi casi, l’assenza di una vali-da attività di mediazione può portare ad un conflitto, laddove invece la sua pre-senza può portare ad un arricchimen-to reciproco, attraverso un nuovo siste-ma di rappresentazioni che compren-de quelle di entrambi i gruppi. Questo, però, comporta anche un lavoro educa-tivo sul paese ospite affinchè non con-sideri culturalmente inferiori gli stra-nieri, ma li riconosca come interlocuto-ri su un piano paritario.

È a queste condizioni che il lavoro del mediatore può assumere la forma attribuitagli da Melchionda: «Il media-tore culturale lavora nell’ambito del-le scelte che compiono i soggetti coin-volti, fornendo loro le informazioni, gli strumenti, il counseling per effettuare le scelte migliori, ma lasciando a coloro che vivono la situazione nuova di cam-biamento e di transizione la responsa-bilità della scelta»9. Ciò significa non ignorare che le parti coinvolte nel rap-porto si trovano in posizioni di potere differente che sono di ostacolo ad un reale dialogo.

Riconoscere che il ruolo del mediato-re interculturale consiste nel ristabili-re le condizioni per una comunicazione

9 U. Melchionda, Modello e metamodello della mediazione linguistico-culturale nell’esperienza italiana, cit., p. 109.

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tra pari diventa, quindi, la via per au-mentare la possibilità e la capacità dello straniero di far conoscere e comprende-re il suo punto di vista e, al contempo, per avviare un reale costruttivo dialogo interculturale arricchente per entrambi gli interlocutori10. A questo punto appa-re evidente che questa mediazione di-venta particolarmente significativa so-prattutto quando l’asimmetria è ancora più forte, come nel caso del rapporto tra insegnante e studente all’interno della scuola. Qui è più facile che altrove che l’identità culturale del minore stranie-ro venga ignorata, deformata o svalo-rizzata e che in tal modo venga messa in discussione anche la relazione tra il minore e i suoi genitori, la sua famiglia d’origine. L’insegnante poco sensibile a queste problematiche, che si preoccupi soltanto dei processi di alfabetizzazio-ne, mentre trasmette il proprio modo di pensare impone anche la propria visio-ne del mondo attraverso i propri com-portamenti, oltre che attraverso il pro-prio linguaggio. La presenza di stru-menti e competenze adeguate facilita l’adozione di un atteggiamento inter-culturale intenzionale nella relazione tra docente e studente, favorendo una migliore conoscenza reciproca tra stu-denti di culture diverse, con arricchi-mento di entrambi. Ecco perchè diven-ta importante l’inserimento anche nelle scuole della figura del mediatore cultu-rale, come “colui o colei che, in quanto membri delle comunità di appartenen-za dei bambini, hanno il compito di tu-telare che queste non vengano del tut-

10 Cfr. C. Baraldi, Il significato della media-zione con bambini e adolescenti, in C.Baraldi-G.Maggioni (a cura di), La mediazione con bambini e adolescenti, Donzelli, Roma 2009, p. 5.

to disperse e di farle conoscere ai bam-bini” del paese ospite11.

Personalmente ho vissuto questa esperienza di comunicazione durante il mio percorso formativo in Italia in numerose scuole e ho potuto constata-re l’interesse e la curiosità dei ragazzi, la loro apertura verso un’esperienza di confronto che, oltre a rafforzare la sti-ma di sè degli stranieri, che in tal modo non sviluppano più alcun senso di infe-riorità, arricchisce anche loro e li abitua al dialogo rispettoso con l’altro.

Bibliografia

Andolfi M. (a cura di), La mediazione cul-turale. Tra l’estraneo e il familiare, An-geli, Milano, 2003.

Baraldi C.-Maggioni G. (a cura di), La me-diazione con bambini e adolescenti, Don-zelli, Roma 2009.

Barra D., Bereta Podini W. (a cura di), Le migrazioni. Educazione interculturale e contesti interdisciplinari, Roma, CRES/Edizioni Lavoro, 1995.

Demetrio D.-Favaro G., Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica intercul-turale nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare, La Nuova Italia, Fi-renze, 1997.

Farre R.M.-Moscovici S. (a cura di), Rap-presentazioni sociali, Il Mulino, Bolo-gna, 1989.

Fiorucci M., La mediazione culturale, Stra-tegie per l’incontro, Armando, Roma 2007.

Sirna C., Pedagogia interculturale. Concetti, problemi, proposte, Guerini, 2003.

Sirna C., Lingua e apprendimento in pro-spettiva interculturale, EDAS, 1992.

11 Cfr. D. Demetrio-G. Favaro, Bambini stra-nieri a scuola, cit., p. 5.

QUALEDUCAZIONE • 103

Il dialogo elemento portante del Vaticano II

di GIOVANNI MAZZILLO*

RiasssuntoCol Vaticano II la Chiesa si rinno-

va ad intra e ad extra. Una rinnovata autocomprensione della Chiesa procede di pari passo a una rivoluzionaria com-prensione del «mondo». Effettiva ecume-nicità, caratterizzazione pastorale, mis-sione come testimonianza (μαρτυρία) che può arrivare anche al martirio. Gli elementi dell’autocomprensione sono:a) il primato di Dio e della sua Parola…che dialoga con gli uomini; b) la risco-perta dell’ecclesialità come realtà dialo-gante in quanto comunione e conciliari-tà; c) la Chiesa “popolo di Dio in cam-mino verso la parusìa…in dialogo con la storia… Gli elementi portanti della Chiesa ad extra sono: a) la dimensione storica del popolo di Dio; b) la dimen-sione dialogica della Chiesa (il vero ecu-menismo); c) la proposta di una rinno-vata prassi pedagogica e di una prassi ministeriale evangelica, ispirata dalla teologia della comunione e del dialogo.

AbstractWith the Second Vatican Council, the

Church is renewed ad intra(self under-standing) and ad extra (understanding the “world”). The fundamental elements of the Church (ad intra) are: effective ecumenism, pastoral characterization, mission of witness.The fundamental

elements of the Church (ad extra) are: the historical dimension of God’s people, the dialogical dimension of the Church, the proposal of a new pedagogical prac-tice and a ministerial practice of Gospel (theology of communion and dialogue).

Annotiamo brevemente gli elementi caratterizzanti il Vaticano II. Innanzi tutto su due versanti principali: quel-lo dell’autocomprensione (Chiesa che cosa dici di te stessa?) e quello del suo rapporto con la realtà esterna da sé, ma nella quale e per la quale la Chiesa esiste (Chiesa che cosa dici del “mon-do” e soprattutto del tuo rapporto con esso? Che cosa dici dell’uomo e del suo futuro?). Il dialogo non solo innerva en-trambi gli aspetti, ma ne è il fondamen-to costitutivo.

Sul piano dell’autocomprensione (sguardo ad intra) avviene il passag-gio dalla Chiesa come società perfetta alla Chiesa come comunità: come par-tecipazione al Mistero di Dio e come co-munione con gli uomini e tra gli uomi-ni (koinonìa). Sul piano della compren-sione della realtà storica e sociale (del mondo) (sguardo ad extra) si può sche-maticamente annotare che da un nuovo modo di capirsi la Chiesa passa felice-mente a un diverso e più attento e dia-logante modo di capire l’altro, gli altri.

È stato detto che la Chiesa concilia-re è passata dall’anatema al dialogo. È sostanzialmente vero, ma non nel sen-so puramente formale e canonico dell’e-

* Docente di Teologia nel seminario S. Pio X, Ca-tanzaro.

104 • QUALEDUCAZIONE

spressione, bensì nel diverso modo di porsi davanti al suo interlocutore: “il mondo”, spesso identificato con il mon-do anticlericale, laicista, nemico della Chiesa e, in buona sostanza, della re-ligione. Con il Vaticano II la Chiesa ha invece cominciato a guardare il mondo esterno con un atteggiamento nuovo, non più difensivo, né di contrapposizio-ne, e nemmeno di condanna. Ciò è imme-diatamente visibile nel mutato approc-cio alle altre confessioni religiose, non considerate più espressioni demonia-che o pure e semplici credenze erronee.

Ma si evince anche da come il Con-cilio guarda all’uomo e al suo futuro, ai suoi problemi e alle sue legittime aspi-razioni. Ed ancora da come la Chiesa conciliare si rivolge al mondo contem-poraneo, guardando con fiducia alla stessa modernità, alle forme di par-tecipazione democratica e alla stessa emancipazione del pensiero umano. Per capire il carattere rivoluzionario di tutto ciò, basti solo ricordare che le realtà qui menzionate erano prece-dentemente considerate, soprattutto da Pio IX in poi, con molta diffidenza e non di rado espressamente condan-nate. Il Sillabo docet. Una rinnovata autocomprensione della Chiesa proce-de di pari passo a una rivoluzionaria comprensione del «mondo».

Il mondo degli uomini diventa per la Chiesa anche il “proprio” mondo, per-ché mondo degli uomini che Dio ama. Di conseguenza ciò che ne contraddi-stingue l’atteggiamento si può indicare con quello del dialogo che scorga dalla simpatia, nel senso originario del syn-pathein1: sentirsi una sola cosa con il

1 Cf. G. Mazzillo, «Dialog und Sympathie. Die

mondo che gioisce e che cerca, che sof-fre e che lotta. Se la conferma letteraria di quest’assunto viene dal titolo stesso della costituzione pastorale sulla Chie-sa Gaudium et spes, l’humus spirituale e metodologico che ne è alla base è già presente nei primi testi approvati dal concilio. Sicuramente è presente nella costituzione Sacrosanctum concilium, sul rinnovamento liturgico. In verità è presente nella stessa aula concilia-re: «Si potrebbe affermare che i primi convertiti al Concilio sono stati i vesco-vi stessi … proprio nell’assecondare lo Spirito creatore»2.

Chiarendo il contesto in cui avviene questa “conversione”, Mons. Luigi Bet-tazzi indica l’effettiva ecumenicità geo-grafica, a motivo della provenienza dei vescovi da ogni parte del mondo (con il conseguente scambio interculturale che ne deriva), la caratterizzazione “pasto-rale” del Concilio, per espressa volon-tà di colui che l’aveva indetto, Giovan-ni XXIII, la particolare concezione del-la missione della Chiesa cattolica nei termini di una testimonianza, tesa ad «aiutare tutte le religioni e tutti i popo-

Grundmethode des Konzils und die Erneuerung christlicher Gemeindepraxis in Italien», in: Brixner Theologisches Forum 116 (2-3/2005) 111-121: relazione tenuta alla Katholische Akademie in Bayern, reperibile in www.puntopace.net/Mazzillo/konzil-Wue-07-10-05.htm.

Le idee portanti di quest’intervento sono reperibili anche in un contributo in italiano: G. Mazzillo, «Le gioie e le speranze degli uomini di oggi…» in: www.puntopace.net/Mazzillo/Gioie-Speranze-Orsomarso21-01-06.htm; e in «Profezia e simpatia: due valori fondamentali per la Chiesa del Vaticano II», in Horeb 49 [1/2008] 75-81, leg-gibile anche da questo link: www.puntopace.net/Mazzillo/ProfeziaSimpatia-Horeb.pdf.

2 L. Bettazzi, «Memorie del Concilio», in Brixner …, cit., 107-110, qui 107.

QUALEDUCAZIONE • 105

li ad aprirsi all’accoglienza di Dio, alla solidarietà umana e alla pace, come un fermento che sollecita tutti a corrispon-dere sempre più al piano di Dio, cioè al “regno di Dio”»3.

Lo stesso Mons. Bettazzi raccoman-da altrove e ripetutamente la fedeltà alla lettera e allo spirito del Vaticano II, come, ad esempio, nel breve e intenso testo, già chiaro nel titolo: Non spegne-re lo Spirito. Continuità e discontinui-tà del Concilio Vaticano II (Queriniana, Brescia 2006). In questo testo richiama il proclama di Benedetto XVI alla con-tinuità (cf. Discorso alla curia romana del 22/12/2006), ma anche le problema-tiche, tipiche di questi ultimi anni, rela-tive alla discontinuità e alle sue forme: da una “discontinuità moderata” ad una “continuità moderata”, che significa la continuità nei principi e negli orienta-menti di fondo, distanziandosi da quelli che sembrano gli “eccessi”. L’argomento di alcune serpeggianti ostilità al Vatica-no II era già apparso in un suo preceden-te scritto dal titolo Difendo il Concilio, divenuto successivamente Il Concilio Vaticano II Pentecoste del nostro tempo (Queriniana, Brescia 2000).

Pertanto Bettazzi, che è ancora uno dei pochi dei padri conciliari viventi, può concludere: «Credo che la novità – o meglio, la forza – del Concilio, sia con-sistita proprio in questo puntare sulla coscienza e sull’amore, e che a questo debbano orientarsi l’approfondimento e l’impegno dei cristiani, delle comunità e dei pastori»4. La Chiesa si sente frut-

3 Ivi, 108.4 Ivi, 110. Sulle tappe che avrebbe attra-

versato la Chiesa dopo il Vaticano II ad oggi, cf. anche la prima parte del nostro «Dialog und Sympathie…».

to e creatura di un Dio che dialoga con gli uomini perché animato dall’amore, anzi è l’Amore stesso, e acquisisce con-sapevolezza di dover continuamente trasmettere lo stesso amore agli uomi-ni di ogni tempo. È a questa continui-tà sostanziale che occorre sempre rife-rirsi, pur senza nascondersi i processi che recentemente hanno fatto parlare di una discontinuità in orientamenti e scelte ecclesiali particolari5.

5 Sulla discontinuità, che anche a noi sem-bra non sia sulle idee di fondo del Concilio, ma sulle tendenze e i processi da esso messi in atto, potremmo dire che oggi in una certa teologia uffi-ciale e in alcuni degli orientamenti che ne scaturi-scono, più che un ritorno all’epoca pre-conciliare, sembra ci sia qualcosa di simile a ciò che è stato registrato a proposito del documento conclusivo di Aparecida, sulla V Conferenza dell’episcopato latinoamericano, chiusasi il 31 maggio 2007: «È una teologia che si allontana da quella conciliare e soprattutto post-conciliare. Senza voler affermare che c’è un ritorno al pre-conciliare, si percepisce comunque un desiderio di equilibrare tendenze e neutralizzare correnti più audaci che, nel corso degli ultimi decenni, volevano dare alla Chiesa latinoamericana un volto e un pensiero propri, diversi da quelli prodotti dal continente europeo» (M. C. L. Bingemer, «La V Conferenza dell’epi-scopato latinoamericano. La sfida della fede e il lavoro dell’ermeneutica», in Concilium 43 [4/2007] 683-696, qui 688). L’osservazione vale anche e soprattutto per la teologia del popolo di Dio: «… quest’ecclesiologia del popolo di Dio fu cruciale per la elaborazione della cristologia latinoamericana degli anni post-conciliari e appare ben chiara – anche se non è l’unica – nei documenti di Medellín e di Puebla. Dopo il regresso registrato a Santo Domingo, l’ecclesiologia cresce di nuovo, ma in un’altra direzione, che percepisce la Chiesa come comunione tra diversi carismi e stati di vita, nella linea di Rm 12. Si tratta di una comunione nella quale la gerarchia dei segmenti ecclesiali è ben chiara e dove viene enfatizzata la funzione predo-minante dei pastori nella conduzione del processo ecclesiale» (ivi, 687-688). Alle stesse conclusioni si giunge in maniera ancora più stringente in J. Comblin, Il popolo di Dio, Servitium, S. Egidio di Fontanella di Sotto il Monte (Bergamo) 2007.

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A conclusioni simili si perviene an-che da un’altra strada: quella che cor-rettamente vuole interpretare il Vatica-no II a partire dall’intenzione del legi-slatore, con le sue componenti di fondo, tra le quali la pastoralità, l’aggiorna-mento e la centralità dello stesso Con-cilio. A questi criteri ermeneutici si ac-compagna quello di cercare di leggere sia nel Concilio stesso sia nei suoi docu-menti le dinamiche oscillanti tra “com-promesso” e ricerca dell’unanimità6. Ma lasciando tutto ciò agli approfondimenti specialistici, ritorniamo ai principi car-dini del Concilio riconducibili al dialo-go. Intanto sull’autocomprensione del-la Chiesa sembrano essere stati deter-minanti questi elementi:

a) il primato di Dio e della Sua Pa-rola, che crea le fondamenta del dialo-go e dialoga con gli uomini, dialogan-do soprattutto con la Chiesa, in quanto valore fondamentale della Chiesa come mistero7;

b) la riscoperta dell’ecclesialità come realtà dialogante in quanto comunione e conciliarità: due aspetti della mede-sima realtà teologica che vede la Chie-sa inserita nella dinamica salvifica del-la Trinità8;

6 Cf. G. Alberigo, «Fedeltà e creatività nella ricezione del Concilio Vaticano Secondo», in Brixner …, cit., 65-83.

7 Cf. soprattutto la Sacrosanctum concilium, costituzione sulla liturgia, e la Lumen gentium, costituzione dogmatica sulla Chiesa.

8 Sebbene la conciliarità non sia stata svi-luppata pienamente, non è altro che la naturale evoluzione dell’acquisizione della Chiesa come comunione pur nella differenza dei diversi cari-smi. Cf. soprattutto: Lumen gentium; Apostolicam actuositatem, sui laici; Christus Dominus, sui vescovi; Presbyterorum ordinis, sui presbiteri; Perfectae caritatis, sui religiosi. Ma cf. anche

c) la natura escatologica e peregri-nante della Chiesa, che riscopre la sua indole di popolo di Dio in cammino verso la parusìa e pertanto si sente in dialogo con la storia e con gli uomini di ogni pro-venienza, riconsiderando la sua presen-za nel mondo come missione d’amore e di servizio tra gli uomini e tra i popoli9.

Il Dialogo appare così come il valo-re sorgivo e fondante della Parola di Dio, declinata come conciliarità e come dimensione escatologica della Chiesa. Tutto ciò dice molto di più, anche nel-le sue formulazioni teologiche, di quan-to non dica il termine «mistero», sebbe-ne queste dimensioni rimandino conti-nuamente ad esso. Nella categoria del popolo di Dio esse sono ancora più evi-denti: sono evocate dalla stessa entità storica di un popolo che viene e dipende da Dio, ma vive e cammina nel tempo. Se la Chiesa è mistero (1° capitolo della Costituzione sulla Chiesa Lumen gen-tium), lo è per il legame a Cristo, luce delle genti, che svela il mistero di Dio e il mistero dell’uomo (Gaudium et spes 22: «In mysterio Verbi incarnati myste-rium hominis vere clarescit» (nel miste-ro del Verbo incarnato si chiarisce real-mente il mistero dell’uomo). Ciò porta a vedere la realtà ad intra della Chiesa in diretto riferimento alla Chiesa come realtà ad extra.

Gli elementi portanti della Chie-sa ad extra, cioè rispetto all’uomo e al mondo sono:

a) la dimensione storica del popolo di Dio, che vive senza soluzione di con-

Y. Congar, Diversità e comunione, Cittadella, Assisi 1984.

9 Cf. sulla missione: Ad gentes; e sull’indole escatologica cap. VII della Lumen gentium.

QUALEDUCAZIONE • 107

tinuità l’antico e il nuovo Patto, come fasi di un’unica storia della salvezza10;

b) la dimensione dialogica della Chiesa, che seguendo la metodologia di Dio, s’intrattiene con l’umanità come si parla ad amici, ad essa si relaziona11 e ad essa propone una ricchezza non sua e il tesoro di un messaggio d’amore che viene da lontano12. Per questa ragione la Chiesa vuole praticare il dialogo e rivedere i criteri della comunicazione ai più vari livelli in cui si pone la sua azione13: rispetto al mondo orientale e al suo patrimonio spirituale14; rispetto alle confessioni cristiane acattoliche15, alle religioni non cristiane16, e alla re-ligiosità in genere17;

c) la proposta di una rinnovata pras-

10 Cf. cap. II della Lumen gentium.11 Cf. G. Mazzillo, Dio sulle tracce dell’uomo.

Saggio di teologia della rivelazione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2012, per una sintesi cf. http://puntopace.net/Mazzillo/DioSuTracceUomo/Prefazione%20di%20Piero%20Coda.pdf.

12 Cf. la Dei Verbum, costituzione dogmatica sulla rivelazione e la più recente Verbum Domini.

13 Cf. la Gaudium et spes, costituzione pasto-rale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, che si può considerare la magna charta dell’agire della Chiesa, e il decreto sui mezzi di comunicazione sociale Inter mirifica, che fissa alcuni criteri fon-damentali per una comunicazione corretta, cioè fedele alla vocazione trascendente dell’uomo e ai suoi irrinunciabili ed universali valori di verità, giustizia e carità (cf. in particolare il n. 5).

14 Cf. Orientalium ecclesiarum, decreto sulle chiese orientali cattoliche.

15 Cf. Unitatis redintegratio, decreto sull’e-cumenismo. Cf. anche L. Sartori, L’unità della Chiesa - Un dibattito e un progetto, Queriniana, Brescia 1989.

16 Cf. Nostra aetate, dichiarazione sulle rela-zioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane.

17 Dignitatis humanae, dichiarazione sulla libertà religiosa.

si pedagogica e gli indirizzi pastorali per una prassi ministeriale più evan-gelica, ispirata dalla teologia della co-munione e del dialogo tanto per i laici18 quanto per la formazione dei presbite-ri19, ma anche per il rinnovamento del-la vita religiosa20 e per il ministero dei vescovi21.

Sono tutti elementi che hanno una particolare consistenza teologica e pa-storale e che qualificano ulteriormen-te la sottolineatura del popolo di Dio» come comunità frutto del dialogo e por-tatrice di dialogo. Sono princìpi e co-rollari di un’ecclesiologia che appro-fondisce il dato «misterico» del popo-lo di Dio, spingendosi fino alla sua ul-tima e sempre primaria radice, quella della vita Triunitaria di Dio, il cui pro-tendersi verso la storia umana diventa norma di ogni agire della Chiesa. Sono anche le linee portanti di un rinnova-mento non solo strutturale, ma anche personale all’interno dello stesso popo-lo di Dio22, con l’appello a saper mette-re in discussione le modalità storiche e pratiche dell’agire della Chiesa e del singolo cristiano.

18 Cf. la dichiarazione sull’educazione cri-stiana Gravissimum educationis e il decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem

19 Cf. il decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius.

20 Cf. il decreto sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis.

21 Cf. il decreto sull’ufficio pastorale dei ve-scovi Christus Dominus.

22 Una corretta ecclesiologia del popolo di Dio porta infatti a un rinnovamento spirituale della Chiesa, che sa rimettersi continuamente in stato di conversione. Una conversione oggi tanto più necessaria, perché nel confronto con la «moderni-tà», la Chiesa attraversa passaggi e difficoltà che rievocano quelli dell’attraversamento del deserto.

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Dialogare e testimoniare per educare in una società in crisi

di GIOVANNI VILLAROSSA*

RiassuntoIl dialogo educativo va impostato

secondo percorsi euristici adeguati alle nuove esigenze degli educandi. I giova-ni hanno bisogno di esempi e di testimo-nianze. È ritenuto ancora vero maestro chi testimonia con la vita le proprie idee. I giovani chiedono le regole che gli adul-ti non rispettano più. Essi segnalano un grande bisogno di affetto e di soste-gno spirituale proprio col disincanto, la provocazione, l’aggressività. Don Bosco è sempre più vivo. La gioventù vorrebbe volare alto, non vuole una vita banale . In questa fase, difficile e lunga, di tran-sizione, chiedono speranza. Bisogna rac-cordare passato e futuro attraverso un attivo presente. Duc in altum…schola!

AbstractThe educational dialogue must be

adapted to the new needs of young pe-ople. They need examples and testimo-nies. It’s true master who bears witness to life their ideas. Youth ask for the rules that adults no longer respect. They need to fly up, not like a banal life. Young pe-ople demand with disenchantment, with the challenge, to become hopeful.

È necessario favorire un dialogo ido-neo a sostenere la componente testimo-niale nel rapporto educativo e a stabili-

re alleanze con la famiglia, con la chiesa e con altre agenzie educative, così come indicano i Vescovi negli Orientamenti pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo” per il decennio 2010/2020. La componente dialogica, in ambito educa-tivo, necessita del sostegno di una vali-da dimensione culturale, utile per po-tersi esprimere adeguatamente attra-verso la testimonianza. Questa produ-ce nei giovani coinvolgimento, accetta-zione, rispetto e favorisce, a sua volta, la ricerca della dimensione culturale.

Il dialogo educativo, pertanto, va im-postato secondo percorsi da adeguare alla nuove esigenze che esprimono gli educandi. Di fatto, bisogna cercare, in-dividuare, conoscere ed utilizzare alcu-ni mezzi prevalenti nell’uso quotidiano dei nostri giovani digitalizzati. Di con-seguenza sorgono spontanee le seguenti domande: i giovani hanno ancora biso-gno di esempi e di testimonianze? È ri-tenuto ancora vero maestro chi testimo-nia con la vita le proprie idee?

Ritengo di dover rispondere “si” ad entrambe. Perché i news media non hanno reso più forti le nuove genera-zioni, ma più indifese e fragili. I giova-ni che gli educatori incontrano fanno loro da specchio e riflettono un mondo adulto allo sbaraglio, una società vio-lenta dove ci si scontra per futili moti-vi, dove gli stessi adulti non hanno più regole. Regole, che i giovani richiedono!

Amarli e mostrare loro di farlo, scri-veva don Bosco, è la sintesi meravigliosa

* Redattore di Qualeducazione - Presidente eme-rito dell’UCIIM.

QUALEDUCAZIONE • 109

dell’educare! Parlare in questi termini di educazione può sembrare patetico in questa società, ma, alla luce della espe-rienza e del sentire di molti educatori, si può dedurre che è necessario recupe-rare il valore e il senso dell’amore in-teso come esserci, come servizio per la promozione umana, oggi più che mai, di fronte alle ultime generazioni che spes-so manifestano disincanto, provocazio-ne e aggressività.

Se, però, i giovani comprendono che l’educatore è presente, che li coinvolge e dà prova di credere in quello che dice, si rendono disponibili a farsi guidare e si pongono in rispettoso ascolto. L’edu-catore diventa testimone vero quando tutto ciò che comunica passa in prima istanza attraverso se stesso e finalizza la propria azione per aprire l’anima dei giovani verso un corretto flusso vitale.

Una simile azione educativo-testi-moniale è impresa ardua e faticosa: ri-chiede equilibrio, pazienza, motivazio-ne, disponibilità a mettersi in gioco, ol-tre alla capacità di cogliere i sentimen-ti dei giovani anche al di là dei loro at-teggiamenti.

Tale azione va sostenuta da un im-pegno gratuito, significativo e liberan-te, che non manifesta effetti immediati, ma nel tempo dà frutti, ossia concorre a formare persone libere e forti. Perso-ne che si fidano della vita e, soprattut-to, del Dio della vita.

Il riscontro di questa azione, quindi, è collegato a coloro che con la propria vita mettono in pratica ciò che dicono e che sanno pagare di persona le proprie scelte di onestà, di coerenza e fedeltà.

I giovani, alunni o figli, non si pos-sono ingannare. Spesso gli educatori, nel proporre loro alti ideali e di vivere per essi, considerando i propri limiti, si

sentono inadatti, incapaci e scoraggia-ti nell’assumere responsabilità. Si do-mandano: come facciamo a dire ai no-stri alunni o ai nostri figli che bisogna comportarsi in un certo modo se non ri-usciamo mai, per le nostre debolezze, ad essere coerenti?

Nasce così la tentazione di ridurre la verità, di offrire ai giovani solo quel-lo che della vita si riesce a realizzare. Così si riducono gli ideali, si offre un esempio di vita banale.

Non si può ridurre quel che si pro-pone ai giovani solo a quello che vivo-no gli educatori in crisi. Bisogna sempre proporre alti ideali, a cui ci si orienta anche per tentativi. Assieme, educatori ed educandi, potranno essere capaci di pensare una vita migliore. Tante volte gli stessi giovani riescono a ridare fidu-cia alle stanche perdite di speranza de-gli adulti se hanno visto in loro l’umil-tà e la tenacia della ricerca, non tanto la brillantezza del risultato.

L’educazione, attraverso il dialogo e la testimonianza, si concretizza nel for-nire continuamente ai giovani i punti di riferimento di cui essi hanno biso-gno per capire il mondo che li circonda e per comportarsi in maniera respon-sabile e giusta.

Ciò che conta sono la relazione, il confronto, il guardarsi in faccia, l’in-contrarsi e principalmente sapere dove siamo e dove vogliamo andare in questo periodo storico ricco di complessità cul-turali e civili, oltre che di vicende mate-riali ed economiche molto intense, che lo caratterizzano fino al limite della dram-maticità. Lo schema più rappresentati-vo di questo periodo è quello di un tem-po marcato da instabilità politica, da in-certezze economiche e da forme eviden-ti di impoverimento sociale e culturale.

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Siamo, infatti, in una fase di passag-gio, lunga, importante, impegnativa, fa-ticosa, che interessa persone, istituzio-ni, contesti socio-economici e politici; è una fase di crisi profonda, aperta ad un futuro per molti aspetti ancora indeci-frabile, tutto da esplorare come perso-ne e come comunità, in una dimensio-ne nella quale dobbiamo continuare ad impegnare il meglio di noi, i riferimen-ti essenziali a valori condivisi, ribaditi, riproposti. Dobbiamo, infatti, batterci per soluzioni che favoriscano lo svilup-po delle risorse dei giovani attraverso il potenziamento dei grandi valori del-la libertà e della giustizia, in chiave di solidarietà e di cooperazione.

È necessario considerare ed ap-profondire le proposte socio-educative emergenti, che si differenziano dalle no-stre idee, al fine di formulare e/o riba-dire proposte alternative valide o sin-tesi dialogiche.

Il nostro impegno non può rimanere ripiegato sul passato né proiettato uni-camente sul futuro. Bisogna raccorda-re passato e futuro attraverso un atti-vo presente, capace di sostenere sia un significativo processo di apprendimen-to che un armonico sviluppo delle capa-cità critiche, entrambi necessari nella società della conoscenza.

L’azione educativa deve creare le condizioni affinché l’acquisizione di nuove conoscenze sostenga il cammino attraverso una società nuova, che, a sua

volta, deve essere aiutata ed illumina-ta nell’avvalersi delle proprie scoperte e delle proprie risorse tecnologiche per non lasciarsi catturare all’interno di un sistema di negazione dei valori umani-stici, che invece devono essere ulterior-mente vissuti e affermati.

Va effettuata la scelta della cultura della solidarietà per contenere l’idea che il mercato sia inevitabilmente la misura di tutte le relazioni, per mette-re in discussione il primato del profitto e della sua logica sui bisogni di condi-visione e di fratellanza.

È necessaria una maggiore e consa-pevole attenzione verso la scuola, luo-go educativo, mediante il riconoscimen-to di un’effettiva autonomia, indispen-sabile per esercitare con autorevolezza la propria funzione per il risanamento della complessa situazione di degrado in cui è precipitato il nostro Paese.

Ho ragionato anche al futuro, un fu-turo difficile ma possibile, andando ver-so il quale bisogna continuare a produr-re idee per discuterle, per approfondirle, per trovare accezioni consolidate e nuo-ve e cercarne insieme un senso autenti-co: è il caso dei concetti di legalità, tra-sparenza, sobrietà, solidarietà, rispetto, pace e coerenti stili di vita. Sono convin-to che oltre le risposte di breve periodo servano idee strategiche da ripensare e condividere, ricostruendo anche un lin-guaggio comune, di senso, all’altezza dei compiti straordinari che si prospettano.

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Il dialogo formativo interculturale per la scuola democratica*

di GIUSEPPE SPADAFORA**

RiassuntoIl dialogo formativo interculturale

serve a promuove nella scuola uno stile di vita democratica; perciò è necessario focalizzare il concetto di dialogo forma-tivo, dal punto di vista pedagogico, per evidenziarne la centralità al fine di con-tribuire alla definizione e costruzione di una scuola autenticamente democratica. Il dialogo formativo, infine, viene esa-minato anche dal punto di vista dell’in-tersoggettività come problema filosofi-co molto attento al pensiero del Dewey.

AbstractIntercultural educational dialogue

for democratic school Intercultural edu-cational dialogue is needed to promote a democratic lifestyle in school; therefore, it is necessary to concentrate on the con-cept of educational dialogue, in pedago-gical terms, to emphasize its centrality in order to contribute to the definition and to the construction of an authenti-cally democratic school. Educational dialogue, finally, is also analysed in-tersubjectively, as a philosophical pro-blem very strongly focused on Dewey’s thought.

La pedagogia interculturale negli ultimi decenni come oggetto di studio specifico ha avuto e continua ad avere una notevole attenzione da parte della cultura filosofica e pedagogica. In effet-ti, la vasta letteratura specialista non ha sufficientemente approfondito da un punto di vista epistemologico il signifi-cato della relazione intersoggettiva pe-dagogicamente intesa come dialogo in-terculturale, soprattutto in relazione alle applicazioni scolastiche e, in par-ticolare, alla attività dell’insegnante che è il vero protagonista della possibi-le realizzazione dei processi intercultu-rali educativi della classe e della scuo-la. In questo scritto cercherò di focaliz-zare il concetto di dialogo formativo in-terculturale da un punto di vista peda-gogico per evidenziarne la centralità al fine di contribuire alla definizione e alla costruzione di una scuola democratica1.

Per sviluppare questa tematica esa-minerò alcuni aspetti del processo for-mativo al fine di riflettere sul proble-ma specifico del dialogo come questio-ne interculturale. Queste annotazioni saranno le basi per analizzare il signi-ficato del concetto di dialogo formativo interculturale.

1 Cfr R. Fornet Betancourt, Trasformazione interculturale della filosofia, Edizioni Dehoniane, Roma 2006.

* Questo articolo riprende e sviluppa temati-che già trattate in altri due articoli sul tema della comunicazione interculturale.

** Ordinario di Pedagogia - Presidente del corso di laurea in Scienze della Formazione, Università della Calabria.

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Il processo formativo.

La letteratura pedagogica dominan-te, specialmente nel nostro paese, ha evidenziato la centralità del concetto di formazione all’interno del discorso pe-dagogico, in ragione del suo essere ele-mento di sintesi interdisciplinare e, al tempo stesso, una possibile esplicazio-ne, ma anche un problema aperto, di un sapere come la pedagogia, posto tra costituzione e regolazione di senso, tra teorizzazione e applicazione.

Il concetto di formazione, sebbe-ne sia stato variamente e lungamente esplorato dalla cultura e dalle tradizioni filosofiche e pedagogiche che si sono in-crociate e sovrapposte al riguardo (ba-sti pensare nella cultura occidentale ai concetti di paideia greca, di humanitas latina e cristiana e di Bildung romanti-ca che, in effetti, sancivano la perfettibi-lità dell’individuo verso un modello va-loriale espressione del paradigma sto-rico-culturale del tempo), necessita di continui approfondimenti rispetto alle trasformazioni epistemologiche e tecno-logiche della società digitale e globale2.

La formazione esprime una “famiglia di processi”, che si manifestano nello stesso momento e con modalità differen-ziate, in modo autonomo e dipendente. Ci si forma perché si cresce nel tempo secondo una dimensione ontologico-bio-logica – la crescita involontaria –, ma ci si forma in modo più significativo attra-verso un’attività intenzionale e non in-tenzionale nei confronti dell’ambiente di vita e degli altri soggetti, e ci si forma, altresì, indipendentemente da qualsia-

2 Cfr. P. Ferri, Nativi digitali, Bruno Monda-dori, Milano 2011.

si scelta e azione in virtù di accadimen-ti, di eventi positivi e negativi (si pensi alla nascita e alla crescita, ma anche al trauma, agli stati patologici congeniti o che si manifestano improvvisamente e progressivamente e, ovviamente, al mi-sterioso evento della morte) che carat-terizzano la vita umana.

Il prendere forma, infatti, determi-na diversi fenomeni che si sviluppano contestualmente e in modo plurale e si-stemicamente sinergico e che, quindi, sfuggono in un certo senso alla matrice aristotelica del rapporto potenza-atto, sfuggono cioè ad una specifica finalità naturale dell’azione umana, soprattut-to per la complessità della vita interiore del soggetto in relazione alla sua inten-zionalità e all’azione nelle situazioni.

Il processo formativo non solo è vario e plurale ma si connette più o meno di-rettamente a quei processi sociali, cul-turali, politici ed economici che carat-terizzano una data realtà antropologi-ca e sociale in uno specifico e determi-nato tempo storico. In questo processo che si sviluppa tra la crescita, l’azione noetico- pratica, l’intenzionalità, la co-municazione, l’azione e l’evento, diver-si sono i fenomeni che ne caratterizza-no la complessità3.

Innanzitutto, la formazione è espres-sione di una crescita e di uno sviluppo involontario, ontologico-biologico del sog-getto. Ci si forma, trasformando la pro-pria persona nel corso degli anni. Le tra-sformazioni dello sviluppo biologico, neu-ronale, fisiologico, psicologico del sogget-to, nonché le sue trasformazioni patolo-giche determinano cambiamenti spesso

3 Cfr. G. Spadafora, a cura di, Verso l’eman-cipazione, Carocci, Roma.

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inavvertiti dalla coscienza del soggetto e indipendenti dalla sua volontà. Ci si trasforma dall’infanzia all’adolescenza, dall’adolescenza alla età matura e anco-ra di più, dall’età matura alla senescen-za; e l’essere trasformati rappresenta il vissuto del soggetto, che diviene, pren-de forma e si autodefinisce nel tempo e nello spazio4. Probabilmente la crescita non presenta mai una sua specifica spon-taneità in quanto il biologico e, in senso più complessivo, l’ontologico sono deter-minati da programmazioni “genetiche” che derivano sempre dall’azione biologi-ca e culturale e da azioni eteronome im-previste. È indubbio, però, che il quadro della crescita biologica-ontologica risul-ta il momento fondamentale del “vissu-to” del soggetto, un mondo “prelogico” e “precategoriale” che si sviluppa indi-pendentemente dall’azione cosciente del soggetto. È altresì chiaro che la crescita biologica-ontologica si sviluppa, comun-que, indipendentemente dalla coscienza razionale e dalla volontà del soggetto.

Accanto alla dimensione della for-mazione determinata dalla crescita e dallo sviluppo del soggetto esiste anche una dimensione pulsionale-motivazio-nale all’ azione che, studiata da varie correnti psicologiche e psicoanalitiche, è un fattore centrale per determinare l’a-gire formativo5. È il vasto e vago territo-rio della “vita interiore”, della vita pre-sente e non rivelata. La “vita interiore”

4 Cfr. E. Colicchi, Dell’intenzione in educazio-ne. Materiali per una teoria dell’agire educativo, Loffredo, Napoli 2011.

5 Cfr. A. Gaston, Genealogia dell’alienazione, Feltrinelli, Milano 1998. I. Matte Blanco, Preludi della bi-logica. I, Metabolismo psichico e logica dell’inconscio; II. Riflessioni sulla psicodinamica, Liguori, Napoli 2002-2003.

è un fenomeno complesso che può spie-gare le ragioni e le azioni umane attra-verso l’interpretazione filosofica, le rap-presentazioni psicoanalitiche predomi-nanti (l’inconscio freudiano e l’archeti-po junghiano), le vie religiose alla fede (l’interiorità della preghiera, della me-ditazione, della illuminazione ascetica).

È indubbio che la “vita interiore” rappresenta un elemento condizionante per la coscienza e per l’attività umana teorico-pratica. Questo aspetto è fonda-mentale per comprendere il significato della relazione tra la vita interiore e le azioni umane. Quando, ad esempio, la struttura istintuale e la motivazione del soggetto, per varie ragioni, sono limita-te o addirittura negate, si possono insi-nuare nel soggetto elementi di frustra-zione, di apatia, di malinconia, o addirit-tura di depressione, che caratterizzano un rapporto negativo con la realtà6. Un approfondimento della complessa que-stione della vita interiore è sicuramen-te dato dalle recenti scoperte delle neu-roscienze che forniscono ulteriori spie-gazioni al problema dell’apprendimen-to umano. Senza una chiara consapevo-lezza dei rapporti tra la vita interiore e le azioni umane difficilmente si possono comprendere le possibilità formative del soggetto, le sue scelte, le sue decisioni e le sue specifiche realizzazioni pratiche.

Il processo formativo è caratterizza-to anche da altri aspetti, uno dei qua-li può essere sintetizzato dai complessi fenomeni legati al pensare, al comuni-care e all’agire e si afferma attraverso la connessione organica tra il momen-to noetico, la comunicazione intersog-

6 Cfr. Rita Fadda, Sentieri della formazione. La formatività umana tra azione e evento, Ar-mando, Roma 2002.

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gettiva e il momento pratico-applica-tivo secondo una connessione “anima-corpo” che era stata già intravista dal giovane Dewey7.

Il momento noetico è forse l’elemento più complesso legato al rapporto men-te-corpo che ha presentato una vastissi-ma letteratura epistemologica negli ul-timi decenni, di carattere psicoanalitico e psichiatrico o legato al fondamentale sviluppo delle neuroscienze8 .

Quello che in maniera chiara traspa-re dal rapporto tra la dimensione noe-tica e la realtà è la complessità di que-sto rapporto. Si manifesta con chiarez-za una problematicità del pensare (ba-sti fare un riferimento anche se molto generico alla bi-logicità dell’attività del pensiero o ai disturbi psicologici e psi-chiatrici della personalità che determi-nano il complesso rapporto tra mente e corpo) legata alla complessità del comu-nicare e dell’agire. È fondamentale que-sta connessione noetico-comunicativa-pratica che caratterizza il senso centra-le del processo formativo.

La crescita biologica, la motivazione e la pulsione fondamenti della “vita in-teriore” e la dimensione noetico-comu-nicativo-pratica coesistono nell’attività soggettiva in modo integrato e continuo ed esprimono il processo formativo che non potrebbe essere compreso fino in fondo se non si considera il significato dell’agire nei confronti degli eventi, de-gli accadimenti che sono indipendenti dall’attività umana.

Un incontro occasionale, il caso, un

7 Cfr. T. Pezzano, Il giovane Dewey. Individuo educazione assoluto, Armando, Roma 2007.

8 Cfr. John T. Cacioppo, W. Patrick, Solitudi-ne. L’essere umano e il bisogno dell’altro (2008), Il Saggiatore, Milano 2009.

evento tragico, un trauma, una malat-tia improvvisa, un lutto, la morte per-cepita nell’altro ma anche vissuta come aspettativa, “essere per” l’evento fina-le nichilisticamente inteso, esprimono situazioni che determinano, inevitabil-mente, una reazione negativa o positiva del soggetto, un segnale evidente di fru-strazione, uno sforzo di rielaborazione, un momento, comunque, di trasforma-zione cognitiva, affettiva e relazionale del soggetto. L’evento esterno all’atti-vità del soggetto è espressione dei più significativi cambiamenti nella forma-zione della soggettività.

Il processo formativo esprime, quin-di, situazioni di crescita, di sviluppo, di cura e di coltivazione autoformative e eteroformative in una soggettività uni-ca e irripetibile, che si sviluppa nel tem-po e nello spazio attraverso relazioni di spontanea formazione, di consapevo-le autoformazione e di etero-formazio-ne; ma nelle sue trasformazioni è con-dizionata soprattutto dall’occasionali-tà dell’evento.

In questa particolare accezione, il processo formativo è da intendersi come sviluppantesi in modo oscillante tra di-versi contesti: i processi di condiziona-mento e di indottrinamento, le rego-le della competizione sociale, le sugge-stioni del mondo mediatico, i processi di conformazione, le possibilità di emanci-pazione salvifica che conducono il sog-getto-persona alla possibile realizzazio-ne del suo potenziale umano e del suo rapporto con il sé, con le altre persone in forma empatica e dialogica.

In siffatta oscillazione ambivalente tra la conformazione e l’emancipazione, che ha sempre caratterizzato l’educabi-lità umana, due sono le categorie ulte-riori di analisi delle problematiche del-

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la persona: il riconoscimento dell’identi-tà, in altri termini il punto di arrivo del processo formativo, che dalla soggetti-vità in formazione è vissuto come una perenne tensione ideale e l’impossibi-lità di fare a meno di un vincolo, di un punto fermo, necessario a determinare lo sviluppo della potenzialità umana.

Il soggetto, che è un soggetto-perso-na nella situazione specifica, si definisce progressivamente attraverso un com-plesso processo formativo che è insie-me conformativo, emancipativo, legato al riconoscimento e al vincolo. Un insie-me di processi che disvela e costituisce il soggetto-persona nel mondo ma che, nel contempo, propone un complessivo ripensamento del concetto di libertà. La libertà del soggetto-persona non è mai tanto “libera” né nelle sue potenzialità, come “assoluto” biologico, né tantomeno nella sua capacità emancipativa e pro-gressiva di trasformazione del mondo9. La formazione della soggettività del-la persona unica e irripetibile trova un suo elemento decisivo nella relazione in-tersoggettiva, di cui il dialogo formati-vo interculturale è l’elemento fondante.

Le varie dimensioni del dialogo for-mativo interculturale

La cultura filosofica contemporanea ha investito molto nella riflessione sul-la intersoggettività come problema filo-sofico. La dimensione intersoggettiva è espressione di una lunga trasformazio-ne della filosofia con le radici salde nel-la struttura dialogica e confutativa del

9 Cfr. Cfr. R. Laporta, L’assoluto pedagogico. Saggio sulla libertà in educazione, La Nuova Italia, Firenze 1996.

pensiero di matrice platonico-aristoteli-ca. In particolare su uno sfondo religio-so sono stati variamente trattati i temi del riconoscimento dell’altro (Lévinas), del dialogo comunicativo (Buber), ma soprattutto della comunicazione lingui-stico-dialogica (Ebner)10. Ma, accanto a questa impostazione della filosofia in-tersoggettiva, è stata decisiva la “seco-larizzazione” del processo intersogget-tivo e comunicativo che lega l’impianto della filosofia intersoggettiva alla ricerca della democrazia dal basso (Habermas e Apel)11. E, accanto a questa impostazio-ne filosofica, non bisogna dimenticare il tema centrale della ricerca delle neuro-scienze sul tema dei “neuroni a specchio” che può costituire un ulteriore contribu-to alle problematiche culturali che ana-lizzano il tema della intersoggettività12.

In base a questa impostazione il di-battito interculturale contemporaneo ha assunto una sua centralità pedagogica, legata a quelle che sono le politiche so-ciali sulla immigrazione. Come ho cer-cato di dimostrare, il processo formativo individua le trasformazioni del sogget-to-persona in tutta la sua complessità nella crescita, nella vita interiore, nella intenzionalità, nella comunicazione in-tersoggettiva, nell’azione e nell’evento.

10 Cfr. tra i numerosissimi interventi i re-centi: F. Ebner, Proviamo a guardare al futuro, Morcelliana, Brescia 2009; E. Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano 2010; M. Buber, Il principio dialogico e altri saggi, Feltrinelli, Milano 2011.

11 Cfr. K. Otto Apel, Etica della comunica-zione, Jaca Book, Milano 1992; J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano 2002.

12 C. Rizzolati e G. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni a specchio, Raffaello Cortina Milano 2006.

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Un aspetto fondamentale del proces-so formativo è dato dal legame intersog-gettivo che, inevitabilmente, approfon-disce il complesso rapporto tra l’identità e la relazione del soggetto-persona con se stesso e con l’alterità e, per quanto concerne il processo interculturale, la relazione intersoggettiva diventa fon-damentale per analizzare le problema-tiche pedagogiche che ne derivano e, in particolare, il concetto fondante di inte-grazione interculturale13.

L’intersoggettività, dal punto di vi-sta interculturale, si pone come incon-tro di due processi formativi dei sogget-ti-persona che tendono a svilupparsi tra l’appartenenza e l’emancipazione, tra la ricerca dell’identità e la possibilità di trasformazione formativa, tra il vinco-lo della tradizione etnico-culturale-re-ligiosa e la possibilità del cambiamento formativo in relazione all’alterità.

In altri termini, i processi formati-vi dei soggetti-persona si relazionano in modo complesso tenendo conto della chiara oscillazione di ognuno tra il vin-colo della tradizione etnico-culturale-re-ligiosa e le possibilità di trasformazione identitaria. La relazione intersoggetti-va, che si sviluppa nel complesso rappor-to Io-Tu, è determinata da un incontro problematico tra valori di cui sono por-tatori i soggetti-persona che, relazionan-dosi, esprimono un complesso incontro valoriale. Il nodo della questione della relazione intersoggettiva è determina-to dal concetto di dialogo intersoggetti-vo secondo una prospettiva pedagogica.

In effetti, senza un confronto con il concetto di dialogo intersoggettivo pe-

13 A. Portera, P. Dusi, B. Guidetti, L’educazio-ne interculturB.ale alla cittadinanza. La scuola come laboratorio, Carocci, Roma 2010

dagogicamente fondato, intendendo con questo termine un dialogo che determi-na trasformazioni educative nei sogget-ti-persona coinvolti, è difficile approfon-dire la dimensione dell’intersoggettivi-tà. Il dialogo intersoggettivo è, dunque, il luogo di teorizzazione e di applicazio-ne delle problematiche della intersog-gettività pedagogicamente intesa. Que-sta si rivela come una teorizzazione e, al tempo stesso, una pratica dell’agire che nella dimensione interculturale si esprime in modo significativo.

Per tentare di chiarire il problema complessivo della dialogicità intercul-turale dal punto di vista pedagogico, si potrebbero definire dal punto di vista interculturale tre possibilità di dialogi-cità interculturale tra i soggetti-perso-na nella classe scolastica e, in senso più generale, nei rapporti umani nei diffe-renti contesti sociali e politici.

Una prima possibilità è determinata dalla difficoltà dell’incontro stesso, dal-la complessità della comunicazione in-tersoggettiva e, dunque, dalle possibili-tà limitate del dialogo. Tra due soggetti-persona si può ipotizzare una difficoltà di dialogo interculturale, ad esempio, tra un cristiano e un musulmano chia-ramente fondamentalisti. Quello che rappresenta, da un punto di vista pe-dagogico, una siffatta dialogictà inter-culturale è determinato dalla difficoltà dell’incontro e dalla difficile integrazio-ne empatica e valoriale.

Il risultato positivo di una simile si-tuazione nella scuola, nella famiglia e nel mondo esterno non può che essere rappresentata dalla tolleranza dell’al-tro intesa come reciproco rispetto valoria-le. In genere, un rapporto intercultura-le inteso come tolleranza, come accetta-zione ma soprattutto rispetto dell’altro,

QUALEDUCAZIONE • 117

non è pienamente considerato in quanto il tema della tolleranza, secondo la tra-dizione illuministica e massonica14, (K. Popper, 2003) dovrebbe essere supera-to dal concetto di integrazione e, nel re-cente dibattitico culturale e politico del-la formazione, dell’inclusione sociale. La tolleranza è espressione del rispet-to dell’alterità di fede, di culto, di razza, del soggetto-persona in nome dei princì-pi della ragione che permette, in quan-to ragione, di superare l’atteggiamento di intolleranza tipico dello scontro tra le ideologie e le fedi religiose contrapposte.

Eppure, nel caso-limite dell’incontro tra due appartenze etnico-religiose fon-damentaliste e intolleranti è necessario da un punto di vista pedagogico sforzar-si, in ogni modo, con le adeguate strate-gie metodologiche e didattiche per cerca-re il dialogo, l’incontro, l’integrazione, in altri termini la più completa comunica-zione interculturale. Ma il principio pe-dagogico che sorregge questa tipologia di dialogo interculturale è la possibili-tà di realizzare il rispetto reciproco pur mantenendo le diversità molto accentua-te. Un rispetto tollerante, in questo caso, determina non la sopportazione dell’al-terità, ma la consapevolezza che l’alteri-tà può sviluppare la sua specifica forma-zione in relazione alla sua appartenen-za etnico-culturale-religiosa. Si tratta di un caso-limite di dialogicità intercultu-rale, ma è estremamente significativo. La tolleranza come nodo centrale della cultura illuminista e liberale può diven-tare una conquista della comprensione dell’alterità se la si considera come limi-te inviolabile e invalicabile nel rapporto

14 Cfr. K. Popper, In Search of a Better World, Routledge, London- New York 1994.

intersoggettivo. L’atteggiamento di tol-leranza inteso come reciproco rispetto è, comunque, fondamentale per definire il senso del rispetto dell’altro, la conside-razione che l’altro debba esprimere un limite ad ogni azione culturale ed etico-politica che possa violare la sua unici-tà e la sua irripetibilità. La tolleranza è da intendersi, in questo senso, come la presa di coscienza del rispetto culturale e etico dell’altro senza promuovere un processo costruttivo di integrazione. È un riconoscimento che già definisce una possibile integrazione.

Una seconda possibilità di dialogi-cità interculturale è data dalla capa-cità di costruire “piattaforme” valoria-li comuni tra i due soggetti-persona. È, quest’ultima, la dimensione pedagogi-ca più ricorrente nelle possibili relazio-ni interculturali.

Si tratta nell’ambito di un’aula sco-lastica, ad esempio, della modalità di incontro-dialogo più diffusa. La dialo-gicità interculturale di due soggetti-persona che presentano diversi proces-si formativi può esprimere una piatta-forma valoriale comune, “transaziona-le”, di reciproco compromesso tra i due processi formativi.

Non si tratta di una vera e propria integrazione, intesa come costruzione di nuova cultura, di nuovi valori in se-guito all’incontro-dialogo tra i soggetti-persona. Si tratta di un reciproco com-promesso di valori culturali tra i due processi formativi, un punto interme-dio valoriale basato, specialmente dal punto di vista delle strategie didatti-che, sulla conoscenza delle tradizioni culturali, politiche e religiose dell’altro e, quindi, sulla riformulazione dei con-tenuti dell’insegnamento e di alcune metodologie didattiche.

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In effetti, il concetto di integrazione, che è stato sviluppato principalmente nell’ambito della pedagogia speciale per i soggetti-persona diversamente abili con modalità differenziate, diventa il paradigma centrale del dialogo forma-tivo interculturale “transazionale” tra un Io e un Tu.

Dal punto di vista della intersogget-tività non vi è soltanto un “riconosci-mento” dell’altro o una specifica comu-nicazione linguistica, un “agire comuni-cativo” che pone la centralità dell’inter-soggettività come dimensione fondante dell’agire umano, ma c’è dal punto di vi-sta pedagogico qualcosa in più rispetto alle tradizionali definizioni filosofiche della intersoggettività. L’integrazione Io-Tu in questa prospettiva intercultu-rale è un incontro-dialogo, stimolato dal rapporto insegnamento-apprendimen-to, una reciproca concessione di valori, una privazione e un accrescimento che potrebbe determinare un reale incontro tra due soggetti-persona in un momen-to specifico della loro esistenza, nell’in-fanzia e nella preadolescenza.

La terza possibilità della dialogicità interculturale pedagogicamente fonda-ta si può definire quella della integra-zione “realizzata come nuova costruzio-ne di valori”. L’integrazione intercultu-rale è un processo pedagogico-didattico che determina una trasformazione com-pleta dei processi formativi rispetto alle appartenenze originarie. Il processo for-mativo interpersonale tra due soggetti-persona con nette differenziazioni del-le tradizioni etnico-religiose-culturali, costruisce nuovi valori culturali, cogni-tivi, metacognitivi affettivi e sociali Si può raggiungere, in un certo senso, una completa dialogicità interculturale, che può riproporre una importante riflessio-

ne sul significato nella contemporanei-tà della scuola come “nuovo laboratorio di democrazia” e come nuova coscienza empatica nel mondo contemporaneo15. In effetti la dialogictà interculturale diven-ta “empatica” nel momento in cui si rea-lizza la possibilità di costruire nuovi va-lori, nuove possibilità culturali comuni.

L’ibridismo interculturale può atti-vare in modo specifico una comunica-zione dialogica che permetta, ad esem-pio, un nuovo insegnamento della storia che tenga conto delle diverse tradizioni culturali (musulmana, cinese, indiana, ecc.) per riproporre un nuovo insegna-mento della storia non più e non solo italiano o eurocentrico ma addirittu-ra globale, e che permetta, quindi, una formazione specifica più adeguata alle varie dimensioni interculturali della so-cietà contemporanea.

Questi tre paradigmi possono defi-nire uno specifico modello di dialogicità formativa interculturale unitaria e dif-ferenziata al tempo stesso da applicare alla scuola dell’autonomia contempora-nea. In questo senso è fondamentale da parte dell’insegnante che il lavoro pe-dagogico e didattico fondamentale nel-la scuola dell’autonomia è quello di pro-muovere la costruzione intersoggettiva di valori, tenendo in debita considera-zione queste tre possibilità di comuni-cazione interculturale anche per ripen-sare la classica distinzione tra assimila-zione e multiculturalismo che è centrale nelle analisi culturali contemporanee16.

Questa dimensione interculturale

15 Cfr. J. Rifkin, La civiltà dell’empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi, Mondadori, Milano 2010.

16 Cfr. V. Cotesto, Sociologia dello straniero, Carocci, Roma 2012.

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può dare un contributo essenziale ad una pedagogia della democrazia per la trasformazione della società con-temporanea, in quanto la “naturalità” della democrazia, intesa come “way of life”, modo di vivere secondo l’accezio-ne deweyana, non può che fondarsi su un modello pedagogico interculturale.

Il dialogo interculturale nella sua dimensione scolastica

Le complessità del processo forma-tivo del soggetto-persona e del dialogo formativo interculturale pongono con chiarezza un maggiore approfondimen-to del concetto di scuola democratica nel mondo contemporaneo. Facendo riferi-mento a questo problema ritengo che il ruolo culturale e la funzione politica dell’insegnante risulti fondamentale.

Il processo pratico-applicativo non può che essere mediato, come già intui-va Dewey nel testo del 1929 The Sources of a Science of Education, dal docente, dalla “mente dell’insegnante” che ap-plica consapevolmente o inconsapevol-mente i modelli delle scienze dell’educa-zione alle situazioni formative17. Il tema sviluppato dalle ricerche di storia del-la scuola nel nostro paese negli ultimi decenni secondo cui “tanto vale la scuo-la quanto vale l’insegnante” deve esse-re rielaborato in una prospettiva euro-pea nell’ambito del concetto di risorsa umana legata al discorso sulla “società della conoscenza”. “Il capitale umano” nella scuola, (concetto probabilmente da rivedere anche alla luce dei gravi pro-

17 Cfr. L. Hickman G. Spadafora, edited by, John Dewey’s Educational Philosophy in Inter-national Perspective, SIUP, tr. 2009.

blemi economici che la cosiddetta “so-cietà della conoscenza” ha determina-to per l’economia europea ), è rappre-sentato dall’insegnante e da chi agisce educativamente nella scuola.

Nell’ambito della letteratura scien-tifica internazionale sull’argomento è abbastanza chiaro che la formazio-ne dell’insegnante e la sua azione pe-dagogico-didattica sono fondamentali per riaffermare la centralità della scuo-la come centro per la realizzazione dei processi formativi e per la promozione culturale e politica della democrazia delle comunità.

L’insegnante, come è stato già detto con riferimento all’intuizione deweya-na, è un “medium” che determina l’ap-plicazione alle situazioni scolastico-edu-cative dei princìpi culturali e pedagogi-co-didattici. È indubbio che l’insegnan-te ha bisogno di una preparazione “plu-rale” per definire la sua formazione e la sua azione (vi può essere una distinzio-ne temporale e non epistemologica tra i due momenti) nell’ambito della classe e della realtà complessiva della scuola. In effetti, l’insegnante deve conoscere i contenuti del suo ambito disciplinare, i principi della didattica e della meto-dologia e, soprattutto le scienze dell’e-ducazione. Questa rete di conoscenze e di saperi teorico-pratici deve essere ap-plicata e contestualizzata alle specifiche situazioni educative per migliorare la qualità dell’apprendimento e della for-mazione dello studente nelle sue varie fasi di sviluppo biopsichico.

Questo significa che l’azione dell’in-segnante, al pari dell’educatore profes-sionale, si pone come il nodo specifico dell’incrocio tra la teorizzazione e l’ap-plicazione, il momento in cui si defini-sce nei risultati concreti la complessità

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del rapporto tra il sapere pedagogico e l’agire educativo.

Proprio per questo l’insegnante, che nella recente normativa italiana riguar-do la scuola dell’infanzia e la scuola pri-maria non è stato valorizzato adegua-tamente rispettando le sue specifiche e plurali competenze, ha un ruolo fonda-mentale per la costruzione di una scuo-la democratica.

È abbastanza evidente che l’inse-gnante deve preliminarmente mettere in discussione la sua specifica identità culturale e professionale proprio per eliminare quei pregiudizi, inevitabili nell’approccio con l’altro, o in senso più complessivo, per mettere in discussio-ne da un punto di vista culturale e pro-fessionale il proprio approccio critico e per favorire quel pensiero “decentrato” che può ascoltare le ragioni dell’altro e rendersi conto delle diversità cultura-li e sociali18.

È in questa prospettiva che il dialo-go formativo interculturale diventa un momento determinante come applica-zione del processo formativo. In altri termini si determina e si sviluppa una doppia comunicazione formativa nella situazione scolastica: quella dell’inse-gnante nei confronti dell’allievo o de-gli allievi (le due relazioni sono molto diverse) da una parte, e il dialogo for-mativo intersoggettivo tra gli studenti mediato soprattutto, ma non esclusiva-mente, dall’insegnante19.

Un altro aspetto fondamentale da approfondire è la riorganizzazione del

18 Cfr. A. Santoni Rugiu, S. Santamaita, Il professore nella scuola italiana dall’Ottocento a oggi, Laterza, Roma 2011.

19 Cfr. R. Guolo, Identità e paura. Gli italiani e l’immigrazione, Forum Edizioni, Udine 2011.

curricolo secondo una prospettiva inter-culturale. La “rivisitazione” intercultu-rale del curricolo è centrale per orien-tare le scelte interculturali complessi-ve della scuola. L’ampliamento alla pro-spettiva di altre culture dell’insegna-mento, sia nelle discipline di carattere linguistico-umanistico (in particolare il settore storico-linguistico), sia nelle di-scipline di carattere scientifico (in parti-colare il settore logico-matematico e na-turalistico) determina la possibilità di formare gli studenti a competenze cri-tiche più dinamiche e flessibili, adatte alle specifiche dimensioni interculturali della scuola contemporanea.

Il dialogo, tenendo conto di questi due presupposti, diventa una partico-lare dimensione della trasformazione della situazione specifica. Il dialogo for-mativo interculturale, infatti, rappre-senta il momento applicativo centrale di un modello pedagogico in una speci-fica classe della scuola contemporanea per favorire l’educazione alla cittadi-nanza e, quindi, la democrazia20. Il sen-so dell’applicazione che avviene da par-te dell’insegnante è determinato dalla possibile trasformazione dell’esistente, dal passaggio da un modello “tolleran-te” di dialogo formativo ad un modello di “nuova costruzione” di valori, di cui la tensione verso la democrazia e la giustizia etico-sociale è fondamentale21

La complessità del fenomeno educa-tivo, legata ai criteri etico-pedagogici di

20 Cfr. L. Corradini, Cittadinanza e Costitu-zione, Tecnodid, Napoli 2009; S. Chistolini, a cura di, Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea. Saggi in onore di Luciano Corradini, Armando, Roma 2006.

21 K. Amartya Sen, L’idea di giustizia, Mon-dadori, Milano 2010.

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riferimento, si basa sulle effettive e pos-sibili trasformazioni che i vari modelli di dialogo formativo interculturale de-terminano nell’ambito della situazione educativa. Il risultato specifico della ap-plicazione può essere orientato da una scienza educativa della possibilità tra-sformativa (SEPT),(ovviamente da fon-dare e la cui esplicitazione dell’acroni-mo serve solo per definire alcune possi-bilità di orientamento pedagogico), che adatta, secondo criteri di previsione e controllo, quelli che sono le specificità del modello teorico-empirico del dialo-go formativo interculturale.

Le conseguenze fondamentali della applicazione scolastica del dialogo for-mativo interculturale sono determinate dall’orientamento delle possibilità di tra-sformazione delle situazioni educative specifiche e, ovviamente, dalla possibili-tà di favorire la democrazia nella scuola.

Il modello pedagogico del dialogo for-mativo interculturale non può che favo-rire i due aspetti fondamentali di una pedagogia della democrazia: la valoriz-zazione del soggetto-persona e il miglio-ramento del dialogo formativo intercul-turale.

Una pedagogia della democrazia deve orientare verso possibili trasformazio-ni il soggetto-persona nella complessi-tà delle varie fasi della sua formazione e questo può avvenire solo grazie all’a-zione culturale e pedagogico-didattica dell’insegnante. La soggettività della persona è unica, irripetibile, irrinuncia-bile ed è molto legata alla imprevedibili-tà e al possibile insuccesso del progetto di vita di ogni soggetto-persona e del suo agire formativo. L’altro compito dell’a-zione dell’insegnante per costruire una possibile scuola democratica è favorire il processo della relazione empatica inter-

soggettiva specialmente, ma non solo o esclusivamente, da un punto di vista del dialogo formativo interculturale.

Il progetto formativo della persona pone l’insegnante come un “progettista della formazione” unica e irripetibile del soggetto-persona nella sua complessità. L’insegnante, nello spostare il baricen-tro della sua azione dalla trasmissio-ne del sapere alla valorizzazione della formazione del soggetto- persona espri-me la possibilità di analizzare e orien-tare una possibile trasformazione del progetto di vita del soggetto-persona. In questa forma di orientamento alle scelte consapevoli il docente non può che orientare le possibili trasformazioni educative verso la responsabilità e l’au-tonomia del soggetto-persona.

Questi concetti non possono non con-siderare il rapporto con gli altri come un momento fondamentale della crescita e dello sviluppo di ogni soggetto-persona nelle situazioni specifiche. Non si è mai responsabili se non in relazione all’altro e per l’altro, non si è mai autonomi sen-za uno specifico processo di dipendenza da vincoli esterni e, in particolare, da vincoli intersoggettivi di varia natura e di vario genere. Il dialogo formativo interculturale, in questo senso, è una delle azioni più significative dell’azio-ne del docente. La relazione intersog-gettiva trova proprio nell’intercultura-lità una sua dimensione fondamenta-le. L’intercultura è la chiave di lettura per l’insegnante per favorire il proces-so intersoggettivo di una cultura demo-cratica. L’insegnante riesce a formare la soggettività della persona solo se co-glie l’importanza del dialogo formativo interculturale.

Non può sussistere la soggettività della persona se non in relazione all’al-

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tro e la relazione intersoggettiva si pone e si propone come dialogo formativo che diventa il nodo centrale della responsa-bilità umana. Si è responsabili non solo se si interiorizzano le norme e le regole e si operano le scelte e le azioni che de-terminano le conseguenze più opportu-ne, ma soprattutto se questo complesso processo che è stato variamente trattato dalle teorie etiche si relaziona con l’al-terità. Si è responsabili solo se si riesce ad accettare e a costruire una rete va-loriale con l’alterità, ritenuta un vincolo importante per autodeterminare la re-sponsabilità del soggetto-persona. L’in-segnante, nel promuovere il dialogo for-mativo interculturale nelle sue varie di-mensioni, favorisce i processi democrati-ci nell’ambito della classe e della scuola.

Ci si è resi conto come il dibattito complessivo sulle tematiche della de-mocrazia approfondisca soprattutto la ricerca di tecniche politiche per la mi-gliore organizzazione delle istituzioni democratiche per migliorare la gover-nabilità dei sistemi democratici deter-minati, soprattutto, dal criterio della rappresentanza, dal potere delle éli-tes spesso distanti dai bisogni concreti dall’opinione pubblica. Questa fenome-nologia del potere non permette la par-tecipazione dei cittadini ai processi di deliberazione pubblica, in quanto non sviluppa specifici processi formativi e comunitari dal basso22

Proprio per questo, in relazione al dibattito contemporaneo, la vera novi-tà del discorso sulla e per la democra-zia rimane la centralità della scuola e, quindi, principalmente dell’insegnan-

22 P. Ginsborg, La democrazia che non c’è, Einaudi, Torino 2006.

te all’interno del processo scolastico. E in questa prospettiva si deve cogliere il legame profondo tra il concetto di dia-logo formativo interculturale e l’azione culturale, pedagogica e didattica degli insegnanti. L’insegnante, che favori-sce il dialogo formativo intercultura-le, di fatto contribuisce a costruire una nuova scuola come “laboratorio di de-mocrazia”. L’intercultura è la chiave di lettura della contemporaneità per com-prendere e favorire i processi democra-tici, e l’insegnante in questa prospetti-va rappresenta la condizione necessa-ria ma non sufficiente per costruire il processo democratico nella scuola della contemporaneità.

Il dilemma politico assimilazione-multiculturalismo, che sembra essere di difficile soluzione, può essere supe-rato dall’ipotesi complessiva di questo scritto: l’equilibrio tra il modello assi-milazionista e quello multiculturale è quello di promuovere la costruzione del-la democrazia. In effetti non può e non deve esistere una contrapposizione tra l’assimilazione e il multiculturalismo, in quanto l’assimilazione ai valori cul-turali, religiosi e etici della terra ospi-tante dell’immigrazione non può esse-re una conformazione da imporre, ma deve legarsi alla possibilità della costru-zione democratica di una società multi-culturale e questo può avvenire soltan-to all’interno della fondazione di un dia-logo formativo interculturale, condizio-ne indispensabile per ridefinire e rifon-dare il concetto di scuola democratica.

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Breve storiaAlla Fondazione Gianfrancesco Serio [34 anni di promozione della cultura di pace, fondamento della Legalità] si riconosce una ricchezza di idee per la vita onesta e solidale. Nata nel 1977, ha assunto la veste giuridica di fondazione nel 1980 (con ricono-scimento della personalità giuridica); dall’1.04.06 ha assunto la veste attuale di Associazione cultu-rale di volontariato avente le stesse finalità della fondazione. Infatti, continua a svolgere attività di prevenzione della violenza, della corruzione, della cultura di morte diffondendo i valori della vita.Ha assegnato l’Impegno per la pace a Madre Tere-sa di Calcutta (1980), al vescovo anticamorra, Don Antonio Riboldi (1981), al prof. Antonino Zichichi (1984), ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsel-lino, alla memoria (1994), a Nicola Gratteri (2009) e a personalità del mondo della politica (Mandela, Scalfaro, Prodi) oltre che a Il delfino di Cosenza, il Progetto Abele di Torino, il S. Egidio di Roma, l’U-nicef . Per altre informazioni sulle attività svolte dal 1979 ad oggi, è possibile consultare le pagine del sito (www.associazionegianfrancescoserio.itL’Associazione è un Centro studi per la promozio-ne della cultura di pace e del dialogo fra le cultu-re europee. All’uopo ha organizzato eventi regio-nale, nazionali e internazionali; pubblica le riviste Qualeducazione (a partire dal1982) e Vivere la nonviolenza (1994) rivolte a università, bibliote-che, fondazioni, associazioni, scuole e al mondo dell’associazionismo.Cura la collana editoriale Acta Paedagogica dell’E-ditrice Pellegrini di Cosenza i cui testi, adottati dalle università affrontano temi di cultura generale (Non-violenza, Diritti umani, Giustizia, Pace, Legalità, Salute, Onestà). Le si riconosce il merito di aver fondato una Comunità scientifica internazionale per la cultura di pace che si propone di promuo-vere il clima di giustizia mediante la realizzazione di appositi progetti, messaggi, incontri culturali co-niugando la cultura dell’etica con la politica intesa come servizio alla persona.

Progetti recenti:2006 Giornata della legalità: Pace e Giustizia nei cuori -Cetraro (Cs), Colonia San Benedetto. Re-latori: Don Ennio Stamile, direttore della Caritas regionale; Giancarlo Maria Brigantini, vescovo di Locri; Don Giovanni Mazzillo, teologo; Maria Gra-zia Laganà, vedova Fortugno; Antonella Bruno Ganeri, senatrice; Giuseppe Aieta, sindaco della città; Giuseppe Serio, presidente del Centro di pro-mozione della cultura di pace. Concerto di Agnese Ginocchio, cantautrice per la pace. Fiaccolata per il borgo marinaio della città tirrenica.

2007 Formazione di volontari per la cittadinanza attiva in collaborazione con il Comune di Praia a Mare, Assessorato alle Politiche sociali e giovanili. Assistenza ad ammalati soli e inabili (in collabora-zione con il Comune di Praia a Mare e l’ Asses-sorato alle attività di promozione assistenziali); promozione della legalità e stili di vita democratici; promozione d’incontri culturali sul tema Promuovi un clima di giustizia.2008 Convegno nazionale, n collaborazione con la presidenza nazionale dell’ Associazione Pedago-gica Italiana sul tema: Futuro dei giovani e media education. Relatori: Giuseppe Spadafora, Giovan-nella Greco, Mario Caligiuri (Unical); S. Serenella Macchietti, Sergio Angori (univ di Siena); Luciano Corradini, unv. di Roma3; Giuseppe Serio, direttore della rivista Qualeducazione. 2010 Progetto Cittadinanza attiva - Promozione della legalità (finanziato con fondi protocollo d’in-tesa Fondazioni bancarie e volontariato) che si è svolto nel territorio dell’alto Tirreno cosentino. Con l’Associazione Gianfrancesco Serio, responsabile della partnership, partecipano i comuni di Praia a Mare e Tortora, in qualità di Enti erogatori di spazi per la logistica degli interventi. Inoltre, aderiscono le Direzioni didattiche di Praia a Mare e Tortora, l’I-stituto tecnico per il Turismo di Tortora in qualità di partner nello svolgimento autonomo di attività di-dattiche nella scuola sul tema della legalità; il Cen-tro di Accoglienza L’Ulivo di Tortora, Cooperativa sociale per la realizzazione delle attività di riedu-cazione alla legalità, attraverso la Rassegna stam-pa e i Racconti di vita vissuta elaborati dagli ospiti dell’Ulivo; l’Associazione di volontariato Arianna di Tortora in qualità di partner per la realizzazione delle attività didattiche nella scuola, sul tema del-la legalità, riguardanti la tematica “Costituzione e cittadinanza”; il Centro studi Aldo Nicodemo colla-boratore nella gestione del Centro Permanente del Volontariato locale.Alle attività, interne ed esterne, previste dal Pro-getto, hanno collaborato il Centro Permanente per il Volontariato della fondazione Serio di Praia a Mare; il Centro d’accoglienza l’Ulivo di Tortora; l’associazione di volontariato Arianna di Tortora; il Centro di Aggregazione Giovanile di Praia a Mare e l’Osservatorio su “criminalità, illegalità”, in via Piave, 4 Praia a Mare, curato dall’associazione di volontariato Gianfrancesco Serio.Nel progetto era previsto il “Servizio di vigilanza presso le scuole”, svolto dai volontari al fine di pre-venire lo spaccio di droghe. Ha funzionato il sito Web (www.proettolegalita.con) in cui sono state pubblicate le fasi progettuali, la rassegna stampa, le news del progetto dotato del blog su cui i giova-

FONDAZIONE CULTURALE GIANFRANCESCO SERIO

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ni si sono confrontati e raccontati. Oltre al sito, il progetto è stato anche sui social network (con un gruppo su facebook) che ha realizzato le “Giornate di sensibilizzazione e orientamento” per migran-ti regolari finalizzate alla conoscenza della lingua italiana, della normativa concernente il mondo del lavoro e la conoscenza della prima parte della Co-stituzione italiana.La Rassegna stampa, a cura dell’Ulivo, periodi-camente è stata pubblicata sul sito web, con re-gistrazione di eventi di particolare rilievo (crimi-nalità, tossico-dipendenza, alcolismo, devianza). Sono state eseguite delle esercitazioni simulate di cittadinanza attiva (nei comuni di Praia a Mare e Tortora) anche su strada con i volontari e i Vigili. Per ciò che concerne l’attività didattica nelle scuole aderenti, autonomamente, i docenti hanno illustra-to gli articoli della Costituzione italiana inerenti all’ Educazione alla cittadinanza con temi e disegni elaborati dagli alunni delle classi IV di scuola pri-maria e dagli studenti nella quotidianità ordinaria dell’attività scolastica. A gennaio del 2012 è stato pubblicato un libro avente lo stesso titolo del progetto in cui figurano anche gli elaborati degli alunni, mentre, nel corso di svolgimento del progetto sono state presentate al pubblico le esperienze di vita raccontate dagli “ospiti” dell’Ulivo, per una riflessione sui loro per-corsi esistenziali “sbagliati” e la diffusione di esse per una prevenzione indiretta dell’uso di sostanze tossiche ed alcoliche.

I convegni dell’AssociazioneCONVEGNI INTERNAZIONALI Si riportano i nomi degli studiosi che collaborano alle attività della Fondazione con l’indicazione, sol-tanto per la prima volta, della sede dell’università o di lavoro oppure nel caso siano passati ad altra sede

Praia a Mare 2-4 ottobre 1980, Educazione alla pace. Un progetto per la scuola degli anni ‘80. Re-latori i proff. Aldo Agazzi (università cattolica di Mi-lano), Angelo Broccoli (univ. La sapienza di Roma), Serafino Cambareri (univ. di Catania), Pasquale Cammarota (univ. di Salerno), Giuseppe Catalfa-mo (univ. di Messina), Luciano Corradini (univ. di Milano), Benedetto D’Amore (direttore del centro internazionale di relazioni culturali, Roma), France-sco Fusca (dir. did. di Corigliano Calabro), Guido Giugni, (Univ. di Perugia), Gaetano Mollo (univ. di Perugia), Antonio Pieretti (Univ. di Perugia), Fabri-zio Ravaglioli (univ La Sapienza di Roma), Giu-seppe Serio (liceo cl. di Praia a Mare), Giuseppe Spadafora (univ. della Calabria), Giuseppe Trebi-sacce (univ. della Calabria), Matteo Venza (univ. di Messina). Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Editrice Città Nuova 1981. Praia a Mare 18-21 ottobre 1981: I valori socio-politici nella vita giovanile e nelle istituzioni educa- tive del nostro tempo. Relatori proff. Italo Bertoni (univ. di Genova), Giuseppe. Catalfamo, Luciano

Corradini, Francesco Fusca, Guido Giugni, Fran-cesco Inzodda (univ. di Messina), Gaetano Mol-lo, Antonio Pieretti, Fabrizio Ravaglioli, Armando Rigobello (univ. di Roma Tor Vergata), Giuseppe Serio, Vittorio Telmon (univ. di Bologna), Giuseppe Trebisacce, Matteo Venza. Gli Atti sono stati pub-blicati dall’ Ed. Luigi Pellegrini, Cosenza 1982.Praia a Mare, 12-15 settembre 1982: Educazio-ne alla Giustizia. Relatori: proff. Giuseppe Acone (univ. di Salerno), Aldo Agazzi, Italo Bertoni, Giu-seppe Catalfamo, Luciano Corradini, Benedetto D’Amore, Michele Famiglietti (Univ della Calabria), Francesco Fusca, Guido Giugni, Antonio Marche-siello (Suprema corte di Cassazione), Antonio Pie-retti, Fabrizio Ravaglioli, Armando Rigobello, Giu-seppe Serio, Giuseppe Trebisacce. Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini 1983.Praia a Mare 18-21 maggio 1984: I diritti umani. Presente e futuro dell’uomo e dell’umanità. Rela-tori: proff. Giuseppe Acone, Aldo Agazzi, Adriano Bausola (Rettore dell’univ. cattolica, Milano), En-rico Berti (univ. di Padova), Italo Bertoni, Angelo Broccoli, Vittorio Buscemi, Pasquale Cammarota, Serafino Cambareri, Giuseppe Catalfamo, Luciano Corradini, Vito D’Armento (univ. di Lecce),Guido Giugni, Francesco Inzodda, Louis Massarenti (univ. di Ginevra), Jacques Muhlethaler (univ. di Ginevra), Anna M. Murdaca (univ di Messina), An-tonio Papisca (univ. di Padova, direttore dell’ufficio europeo dei diritti dell’uomo), Louis P. Pettiti, Anto-nio Pieretti, Armando Rigobello, Aurelio Rizzacasa (univ. di Perugia), Giuseppe Serio, Jhon Toth (univ. di Ginevra), Matteo Venza. Gli Atti sono stati pub-blicati dall’ Ed. Pellegrini 1985. Praia a Mare 15-18 ottobre 1986: Educazione e democrazia tra crisi e innovazione. Relatori: Silva-na Aggugini Matano (docente di SM, Milano) Enri-co Berti, Italo Bertoni, Angelo Broccoli, Piero Bucci, Pasquale Cammarota, Giuseppe Catalfamo, Hervè Cavallera (univ. di Lecce), Giacomo Cives (univ di Roma, La Sapienza), Luciano Corradini, Giuseppe Flores D’Arcais (univ di Padova), P. De Biase Ga-iotti (deputato europeo), Franco Frabboni (univ. di Bologna), Otto Filtzinger, Francesco Fusca, Antho-ny Lumley (univ. di Londra), Mario Manno (univ. di Palermo), Antonio Pieretti, Franca Pinto Minerva, Alvaro Pollice, Armando Rigobello, Giuseppe Se-rio, Claudio Volpi (univ. di Roma La Sapienza). Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini 1988.Praia a Mare 1-4 maggio 1988: Dove va la scien-za? Educazione alla conoscenza e alla respon-sabilità. Relatori: proff. Giuseppe Acone, Luigi Alici (univ. di Perugia), Massimo Baldini (univ. di Perugia), Franco Blezza (univ. di Trieste), Michele Borrelli, Giovanni Brianda (univ. di Cagliari) Wilheln Büttemeyer (univ. di Olldenburg), Pasquale Cam-marota, Giuseppe Catalfamo, Giuseppe Caval-lini (univ. di Milano), Luciano Corradini, Maria E. Koutlouka (univ. di Salonicco), Italo Mancini (univ. di Urbino), Mario Manno, Pasquale Mascheretti (univ. di Pavia), Riccardo Massa (univ. di Milano), Antonio Pieretti, Louis Prieto (univ. di Ginevra), Mi-

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chele Riverso (univ. di Cassino), Giuseppe Serio, Bernardino Stamino (univ. di Cassino), Barbara Skarga (univ. di Varsavia), Antonino Zichichi, Cen-tro di ricerche nucleari, Ginevra; univ. di Bologna). Gli Atti sono stati pubblicati dall’Ed. L. Pellegrini 1990.Praia a Mare 28-31 ottobre 1990: Educazione alla salute e al lavaro nell’Europa degli anni ‘90. Re-latori: proff. Giuseppe Acone, Franco Blezza, Ca-do Borgomeo, Giovanni Brianda, Michele Borrelli, Luciano Corradini, Renato Di Nubilo (Sole 24ore), Giorgio Ferrazzi (univ. di Milano), KG. Fischer, Lutz Gotz (univ. Wuppertal), Georg Groth (univ di Berlino), Francesco Latella (univ di Messina), Sira Serenella Macchietti (Univ. di Siena), Adele Gioia Pellicciari (preside nei licei), Antonio Pieretti, Gu-stavo Pietropolli Charmet (univ. di Milano), Giovan-ni Maria Pinna (univ. di Cagliari), Michele Riversa, Graziella Scuderi (univ. di Catania), Giuseppe Se-rio, Axel Schulte (univ Norimberga), Bernardino , Maria E. Koutllouka, Giuseppe Zanniello (univ. di Palermo). Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pel-legrini, 1992 due volumi.Praia a Mare 28-30 ottobre 1992: Popoli, culture, stati. Relatori: proff. Bernardo Bernardi (univ. di Ro-ma 3), Italo Bertoni, Franco Blezza, Michele Borrel-li, Luciano Corradini (univ. di Roma 3), Maria Luisa De Natale (univ. cattolica di Milano), Paolo De Ste-fani (univ. di Padova), Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti, Antonino Mangano (univ. di Messina), Giuliana Martirani (univ. Federico II di Napoli), Ma-ria Teresa Moscato, (univ. di Catania), Anselmo Roberto Paolone (MPI, Roma), Antonio Pieretti, Antonio Pisanti (dir. did. Napoli), Michele Riverso, Antonia Roseto Alello (univ. di Messina), Giuseppe Serio, Franco Severini Giordano (dir. did. Crotone), Graziella Scuderi, Vittorio Telmon, Giuseppe Tre-bisacce, Giorgio Vuoso (univ. di Roma 3). Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini 1994.Praia a Mare 28-31 ottobre 1994: L’uomo noma-de. Una metafora del nostro tempo. Relatori: prof F. Giuseppe Acone, Lucia Baldassa (univ. di Trieste), Italo Bertoni, Franco Biancardi (dir. did. Napoli), Franco Blezza, Francesco Brancato (univ. di Pa-lermo), Luciano Corradini, Guido Giugni, Giuseppe Guzzo (Isp. Tec. della PI Catanzaro), J. Lapassade (univ. di Parigi), Sira Serenella Macchietti, Antonio Pieretti, Vincenzo Pucci (docente di SM), Aurelio Rizzacasa, Marina Santinello (docente,Treviso), Giuseppe Serio, Maria Veronese (docente, Trie-ste). Gli Atti sano stati pubblicati dall’Ed. Pellegrini 1996.Praia a Mare 24-28 1995: Progetto di coope-razione scientifica tra 14 università italiane e le università albanesi. La formazione docente nell’università: aspetti psicopedagogici e didattici. Relatori: proff. Sezai Bazai, Vasil A. Bici, Ilir Syri Bzgo, Mehmet Celiku, Adem F. Dalipi, Fatmir J. Dibra, Mira Latif Gjata, Arnaldo P. Hadimaj, Adem Jakilari, Adriatik I. Kalluli, Gjovalin Kolombi, Jetmir Korini, Blenm A. Metani, Gjergi X. Pendarinji, Li-liana H. Recka, Dhimitraq i. Sckende, Vladimir

M. Spahu, Ismaul A. Stafa, Sali Tabaku, Rexhep Y. Vagan, AvduI Handi Veyzi, Fatmir Vadhai, Genc V. Vincani, Semi M. Vorpsi, Vasillaq Zoto (delle università albanesi, compresi i rettori). Italia: proff. Francesco Altimari (Dir. del dip. di lingue, UNICAL), Franco Blezza, Hervè Cavallera, don Giuseppe Colavero (liceo cl. di Otranto), Armando Curatola (univ. di Messina), Elio Damiano (univ. di Parma), Mario Ferracuti (univ. di Potenza), Giuseppe Spa-dafora, Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti, Nicola Paparella (univ. di Lecce), Angela Perucca (univ. di Lecce), Antonio Pieretti, Michele Riverso, Vittorio Telmon, Giuseppe Serio, Giuseppe Trebi-sacce, Simon Villani (univ. di Catania), Giuseppe Zanniello (univ di Palermo).Praia a Mare 15-17 settembre 1996: La non- vio-lenza. Una proposta educativa per il terzo Millen-nio. Relatori: proff. Giuseppe Acone, Franco Blez-za, Michele Borrelli, Rita Borsellino (vice presidente di LIBERA), Enza Colicchi Lapresa, Luciano Cor-radini, Armando Curatola, Elio Damiano, Marcella Farina (Pontificia univ. di Scienze dell’ Educazione, Roma), Franco Frabboni, Francesco Lo Giudice (Ispett. Tec. della PI), Bruno Segre (Presidente dell’ Associazione italiana Amici del Newé Shalon, wa-hat As Salam), Rachele Lanfranchi (Pontificia univ. di Scienze dell’Educazione, Roma), Anna Madeo (preside SMS Rossano), Sira Serenella Macchiet-ti, Antonino Mangano, Antonio Pieretti, Giuseppe Serio, Enzo Srangati (Comunità Baha’i), Giovanni Villarossa (preside nei licei, Caserta).Praia a Mare-San Nicola Arcella 29-31.X.1998: Europa: Economia, Etica, Educazione. Quale fu-turo? Relatori: Proff: Luciano Amatucci, Gennaro Baccile (Ingegnere informatico, Roma), Michele Borrelli, Luciano Corradini, Elio Damiano, Giusep-pe Frega, Agostino Giovagnoli (univ di Milano), Au-xilia Ghang Hiang Chu (Pontificia univ di Scienze dell’Educazione, Roma), Sira Serenella Macchietti, Giuliana Martirani, Anna Paschero (Assessore alle politiche finanziarie, Tivoli-Torino), Franco Pezzot-ti (ex generale della GG. FF., Scalea), Giuseppe Richiedei (presidente dell’Age), Paola Tantucci (presidente dell’E.I.P., Roma), Rudholf Jorg (univ di Wuppertal), Gian Cesare Romagnoli (univ di Ro-ma), Bruno Rossi (univ di Arezzo), Graziella Scu-deri e Giuseppe Serio.Praia a Mare - San Nicola Arcella 28-31.X.2000: POLITICA, ETICA E PEDAGOGIA DELLA PER-SONA OGGI. E DOMANI? Giuseppe Acone, Lui-gi Alici, (univ di Macerata), Sergio Angori (univ di Arezzo), Michele Bartelli (dirigente scolastico), Franco Blezza, Michele Borrelli, Enza Colicchi (univ di Messina), Luciano Corradini, Franco Cri-spini (preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, univ della Calabria), Armando Curatola, Giusep-pe Dall’Asta (Pontificia università delle Marche), Elio Damiano, Roberto Gatti, Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti Anna Madeo (preside), Mar-co Milella (univ di Perugia),Gaetano Mollo, Antonio Pieretti, S.E. Mons Riboldi, Giuseppe Spadafora, Vittorio Telmon, Giuseppina Vetri (membro della

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Giunta dell’As Pe.I.), Giovanni Villarossa.Nel corso del convegno si sono svolte tre tavole ro-tonde: Mutamenti sociali e crescita della persona; Mutamenti politici e crescita della libertà; Mutamen-ti culturali e crescita della fede.Ajeta - Palazzo dei Principi - 28.X.03 nel, pre-sidenza del prof. Luciano Corradini . Interventi di saluto del dott. Gennaro Marsiglia, Sindaco della città, del prof. R. Mandarano, segretario dell’ Asso-ciazione culturale Ajeta; di Don Cono Araugio, Vi-cario per la Pastorale della Cultura della Diocesi di S. Marco Argentano.- Scalea e del prof. B. Praticò, sindaco di Praia a Mare.Nella Sessione inaugurale sono intervenuti i proff. Giuseppe Serio, Giuseppe Acone; Francesco Rennis, pro-Rettore dell’Unical; Pantaleone Sergi, Redattore di Repubblica, docente dell’Unical.Al termine si è svolto un ricco Rinfresco con pro-dotti locali offerti dall’Associazione Ajeta. Succes-sivamente, i partecipanti provenienti da varie città italiane, in corriera hanno raggiunto l’ Hotel Villa del Mare di Maratea dove si sono svolte le altre sessio-ni nei giorni 29, 30 e 31 ottobre.Maratea - Hotel Villa del Mare - 29-30-31/x/2003 alla Seconda sessione hanno partecipato i proff: Sira Serenella Macchietti; Presidente onorario dell’As. Pe. I.; Luciano Corradini (Cittadinanza plu-rima e convivenza civile); Sergio Angori (Università di Siena), Rachele Lanfranchi (Pontificia Universi-tà di Scienze dell’Educazione, Roma), Giuseppe Spadafora (Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’ Unical).Si sono svolti i Gruppi di lavoro su Globalizza-zione e Scuola (Coordinatrice dott.ssa Bianca Strangis, Dirigente scolastico, Segretaria Naziona-le dell’As. Pe. I.. e comandata presso la Direzione Scolastica Regionale di Catanzaro), Relatori: proff. Giovanni Villarossa (Dirigente scolastico e Vice-presidente dell’UCIIM), Francesco Nacci (Ispettore del MIUR); su Globalizzazione e fede (Coor-di-natore: Don Cono Araugio, Vicario per la pastora-le della Cultura (Diocesi di San Marco A.Scalea), Relatori: proff. Antonio Staglianò (Direttore dell’Isti-tuto Calabro di Teologia, Consulente del Servi-zio Naz. del Progetto Culturale della C.E.I.), Giovanni Mazzillo (Pax Christi, docente di Teologia nel Semi-nario S. Pio X di Catanzaro); su Globalizzazione ed educazione (Relatori: proff. Gianni Balduzzi, Università di Bologna), Emilio Lastrucci (Università di Matera).Alla Terza Sessione sul tema Globale e locale hanno partecipato i proff. Giuseppe Zanniello, Pre-sidente dell’As. Pe. I.; On.le prof. Paolo Danuvola (Consigliere Regiona-le della Lombardia, Dirigente scolastico), Franco Blezza (ordinario di Pedagogia, Università G. D’Annunzio, Chieti).Alla Quarta sessione sul tema Globalizzazione ed educazione alla mondialità sono intervenu-ti i proff. Michhele Borrelli e Dietrich Benner (Univer-sità di Berlino), Maria Luisa De Natale (Pro-rettore dell’Università cattolica, Milano).Alla Quinta Sessione sul tema Globalizzazione e

Politica hanno partecipato i proff. Chang Hang-chu (Pontificia Università di Scienze dell’Educazione, Roma), prof.ssa Giuliana Martirani e Nello Ventu-relli (Libera università di Bari).Il convegno si è concluso con la Tavola rotonda coordinata dal prof. Antonio Pieretti, Presidente dei convegni internazionale della fondazione, or-dinario di Filosofia del linguaggio nell’Università di Perugina, sul tema Globalizzazione e Politica Vi hanno partecipato i suoi allievi, proff. Antonio Ca-pecci, Gaetano Mollo, Carlo Vinti (dell’Università di Perugia).Praia a Mare 22, 23, 24 Maggio 2009, Educare all’onestà, oggi, nella famiglia, nella scuola, nelle istituzioni. Hanno partecipato: Antonio Pieretti Pro-Rettore Università di Perugia, On.le Giorgio Napolitano, dott. Carlo Lomonaco sindaco di Praia a Mare, dott. Gianni Malgieri direttore del CSV Cosenza, Giu-seppe Serio Direttore della rivista Qualeducazione, Luciano Corradini Università Roma tre, Sira Sere-nella Macchietti Università di Siena, Giovanni Villa-rossa Coordinatore di Master Università europea Roma, prof. Franco E.Carlino Presidente Provin-ciale UCIIM Cosenza, dott. Antonio Fazio giornali-sta, Giuseppe Spadafora Università della Calabria, dott. Mario Russo sindaco di Scalea, Concetta Sir-na Presidente Nazionale dell’Associazione Peda-gogica Italiana, Giovanni Mazzillo Seminario S.Pio X Catanzaro, Marcello Cozzi Responsabile nazio-nale della Formazione di Libera, Michele Borrelli Università della Calabria, Sergio Angori Università di Siena, Dietrich Benner Università di Berlino, Vin-cenzo Pucci docente Scuola Media Statale Torto-ra, Gaetano Mollo Università di Perugia, Agostino Fortunato Patrocinante in Cassazione, Giuseppe Trebisacce Università della Calabria, Gianni No-vello Pax Christi, Graziella Scuderi Università di Catania, Teobaldo Guzzo Dirigente scolastico, Si-mon Villani Università di Catania, dott. Egidio Lorito Giurispubblicista, Pietro De Paola Assessore alla Cultura Praia a Mare, Marcello D’Amico Assesso-re alla P.I. Scalea, Maria Carmela Aragona Azione Cattolica Diocesi S. Marco Argentano, Maria Gra-zia Cianciulli Dirigente Scolastico, Annamaria De-presbiteris Assessore alle politiche giovanili Praia a Mare, Antonia Palladino Docente, Filomena Serio Docente.

CONVEGNI NAZIONALI E REGIONALI (rivolti principalmente alla formazione e all’aggior-namento di docenti e dirigenti delle scuole di ogni ordine e grado):Praia a Mare 14.03.1979: Migliorare l’uomo. Rela-tore: prof. Letterio Smeriglio, univ. di Messina. Praia a Mare 9.05.1979: I diritti del bambino. Con-siderazioni storiche e pedagogiche. Relatore: prof. Giuseppe Trebisacce (università della Calabria). Praia a Mare 17.05.1979: La personalità del bam-bino. Fattori di sviluppo. Relatore: Guido Giugni (università di Perugia). Praia a Mare 12.04.1982: La continuità educativa

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nella scuola dell’obbligo. Relatore: prof Guido Giu-gni Fuscaldo 27,28,29.10.1982: Scuola di cultura generale Relatori: proff. Franco Frabboni (univ. di Bologna), Guido Giugni, Mario Mencarelli (univ. di Siena), Giuseppe Serio (presidente della sezione As.Pe.I. di Praia a Mare)Tortora 26,27,31.05.1983: Linee innovative nei nuovi programmi della scuola elementare. Proble-mi e prospettive. Relatori: prof. Franco Frabboni (univ. di Bologna), Guido Giugni, Mario Mencarelli, (univ. di Siena), Giuseppe Serio (componente della giunta nazionale dell’As.Pe.l.). Cosenza: 22.02.1985: I nuovi programmi della scuola elementare. Problemi e prospettive. Relato-ri: proff. Mario Mencarelli, Giuseppe Serio, Giusep-pe Trebisacce, Mario Valentini (Isp. Tec. della P.I., direttore di Scuola e vita). Maratea 26.27.04.1985:La competenza pedagogi-ca in un paese che cambia. Relatore: prof. Mario Mencarelli; (partecipano 18 direttori di riviste di pe-dagogia e didattica). Tortora 11,12,13.04.1986: La continuità educativa nella scuola di base. Relatori: proff. Angelo Broc-coli (univ. di Roma La Sapienza), Franco Frabboni, Mano Mencarelli, Giovanni Garreffa (Provveditore agli studi di Cosenza), Franco Nacci (Isp. Tec. della P.I. della Basilicata), Marcello Maiorana (preside della SMS), Francesco Fusca, Pasquale Cavaliere (dir. did.), Giuseppe Serio (direttore di Qualeduca-zione). Tortora 18.04.1986: I nuovi programmi. Una sfida per gli insegnanti. Relatori: prof. Pasquale Cavalieri (direttore. didattico Tortora), Antonio Pieretti, Giu-seppe Serio. Diamante 7.04.1987: Valutazione e teorie dell’ap-prendimento. Relatrice: prof.ssa Maria Antonietta Ruggiero (univ di Roma La Sapienza) Diamante 8.04.1987: La valutazione dell’alunno. Come e perché. Relatori: proff. Francesca Cozzi (direttore. didattico.), Claudio Volpi (univ. La Sa-pienza, Roma). Rende 8.04.1987: Educazione alla convivenza democratica nella scuola. Relatori: proff. Giovanni Garreffa (provveditore agli studi, Cosenza), Mario Valentini, Claudio Volpi. Scalea 8.04.1987: Teoria dell’apprendimento per l’uso di tecnologie informatiche. Relatrice: prof.ssa Maria Antonietta Ruggiero. Scalea 9.04.1987: Programmazione dell’appren-dimento e sistemi di valutazione. Relatori: Maria Antonietta Ruggiero, Franco Lo Giudice (Isp. Tec. della PI, Paola). Scalea 10.04.1987: Programmazione dell’appren-dimento e sistemi di valutazione. Relatori: Maria Antonietta Ruggiero, Franco Lo Giudice. Praia a Mare 11.04.1987: Educazione linguistica e nuovi linguaggi. Relatore: prof. Claudio Volpi. Tortora 30.31.10.1988: Processi decisionali e capa cità manageriali nella funzione direttiva, Relatori: proff. Luciano Corradini (univ. di Milano), Rosa Co-lafranceschi Tobarelli (preside di SM, Milano), Giu-

seppe Guzzo (dir. did. Catanzaro), Francesco Fu-sca (dir. did. Corigliano), Francesco Nacci, Vincen-zo Lo Coco (preside di SMS Palermo),Giuseppe Repaci (preside di SMS, Palmi). Maratea 6,7,8.05.1989: Quarant’anni di cultura democratica nella prospettiva dell’Europa Relato-ri: Luciano Corradini, Francesco Inzodda (univ. di Messina), Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti (univ. di Siena), Antonio Ibanez Martin (univ. di Ma-drid), Antonio Pieretti (univ. di Perugia), Giuseppe Serio (Consiglio Naz. dell’As.Pe.I.). Cosenza 20,21.12.91: Giovani, educazione, mafia. Relatori: Salvatore Di Bella (univ. di Messina), Luigi Maria Lombardi (univ. di Roma, La Sapienza), An-tonio Pieretti, Giuseppe Serio, Mons. Dino Trabal-zini (arcivescovo di Cosenza Bisignano). Cetraro 30.03.1993: I giovani e la salute tra pre-venzione ed orientamento nella scuola. Relatori: proff. Michele Borrelli (Unical), Giuseppe Serio (co-ordinatore della Consulta nazionale delle riviste di Pedagogia). Praia a Mare 5,6.06.1993: L’impegno degli intel-letlettuali cattolici nel rinnovamento della cultura politica per l’Italia e l’Europa. Relatori: Domenico Nunnari (RAI-TV, Cosenza) Antonio Pieretti, Giu-seppe Serio, Sua Eminenza Card. Paul Poupard (già rettore dell’univ. Cattolica di Parigi,presidente della Pontificia commissione della cultura). Praia a Mare 6,7,8.04.1994: Seminario per geni-tori e figli nella scuola. L’educazione sessuale nel rapporto con se stessi e gli altri. Relatori: Paola Ca-stellucci (collaboratrice del Brutium di Rende), Ma-rio Pedranghelu (direttore del COSP di Cosenza), Giuseppe Serio, don C. Spitelli (sacerdote). Praia a Mare 23,24.05.1994: Ama, lavora, vivi l’Europa in Calabria (I conferenza regionale degli studenti calabresi). Relatori: Luciano Corradini, Giovanni Garreffa, Giuseppe Serio ed un gruppo di studenti di istituti secondari superiori. Praia a Mare 1.06.1994: Educazione alla salute e i giovani tra scuola, famiglia, società. Relatori: Pina Boggi Cavallo (univ. di Salerno), Giovanni Garreffa, Mario Managò (dir. did. Tortora), Mario Pedranghe-lu, Giuseppe Serio. Praia a Mare 1995: Camminare eretti. Relatori: proff. Rocco Donnici (univ. di Urbino), Mario Mana-gò, Giuseppe Serio. Lamezia Terme 28,29,30.01.1996: Ecologia scola-stica ed educazione alla salute. Relatori: proff. Lu-ciano Corradini, Armando Curatola (univ. di Messi-na), Sira Serenella Macchietti, Mario Pedranghelu, Giuseppe Serio, Bianca Strangis (dir. did. Lame-zia), Giuseppe Trebisacce. Scalea 27,28.02.1996: Quale carta dei servizi, quale autonomia per la scuola calabrese. Relatori proff: Michele Borrelli (Unical), Antonio Cosentino (liceo sc. di Cetraro), Mario Managò, Giuseppe Se-rio, Giovanni Villarossa (preside nei licei), Osvaldo Ziccarelli (presidente della sez. dell’UCIIM dell’alto Tirreno cosentino). Scalea 10,11 .04.1996: Educazione e continui-tà nella scuola dell’obbligo. Relatori proff: Amelia

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Amatucci (Isp. Tec. del MPI, Roma), Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti. Catanzaro 13,14,15.02.1997: Quale autonomia per la scuola cattolica in Calabria. Relatori: proff. S.E. Antonio Cantisani (Arcivescovo di Catanzaro), Teobaldo Guzzo (dir. did. di Catanzaro, vice pre-sidente dell’IRRSAE della Cal.), Giuseppe Serio, don Nicola Scriniti, Giovanni Villarossa. Tiriolo 7,8,9.04,1997: La scuola della continuità per la persona in evoluzione. Relatori: proff. Teo-baldo Guzzo, Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa. Tortora 20,21,22.10.1997: La scuola della conti-nuità per la persona in evoluzione nella scuola di base. Relatori: proff. Giuseppe Serio, Giovanni Vil-larossa. Rende 8,9.10.1997: La Scienza, oggi: educazio-ne alla conoscenza e alla responsabilità. Relatori: proff. Franco Blezza, Michele Borrelli, Gilda De Ca-ro (preside nei licei), Donatella Laudadio (Assesso-re provinciale alla P.I) Catanzaro: 18,19.11.1997: Il centro di informazio-ne e consulenza negli istituti secondari superiori. Relatori: proff. Luciano Corradini, Anna Maria Jem-bo (vice provveditore agli studi di Catanzaro), Giu-seppe Serio. Paola: 20,21.11.1997: Educazione alla salute, CIC e il progetto giovani 2000. Relatori: prof. Michele Bartelli (preside nei licei), Antonella Ganeri Bruno (sindaco di Paola, senatrice della Repubblica, Isp. Tec. della PI), Luciano Corradini, Giuseppe Serio. Tortora 25,26.11.1997 2,3.12.1997; 27.02.1998: Ridefinizione della professionalità nella scuola dell’autonomia. Relatori:prof. Francesco Lo Giudi-ce, Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa. Tortora: 2-4.04.1998: Autonomia, come? Relatori: proff. Gianni Balduzzi (Isp. Tec. della PI, Bologna), Antonella Ganeri Bruno, Michele Borrelli, Cesarina Checcacci (Presidente del C:N.P.I. , Roma), Elio Damiano, Antonio De Angelis (Provveditore agli studi di Isernia), Francesco Lo Giudice, Sira Sere-nella Macchietti, Eduardo Martinelli (ex alunno di don Lorenzo Milani a Barbiana), Francesco Nacci (Isp. Tec. della PI, Basilicata), Antonio Santagata (vice- provveditore agli studi di Cosenza), Giusep-pe Serio, Giovanni Villarossa San Nicola Arcella 9.06.99, Hotel Bridge: Giubi-leo ed educazione alla speranza in Calabria Rela-tori: S. E. Mons Giusuppe Agostino, S. E. Mons An-tonio Cantisani, S. E. Mons Domenico Crusco. S.E. Mons Vincenzo Rimedio; proff. don Cono Araugio (Direttore dell’I. S. R. di Belvedere Marittimo), Luigi Intrieri (Segretario della Commissione Cultura del-

la C. E. C.), Renato Serpa (docente nell’ I. S. R.), Giuseppe Serio ( id. ) Cetraro (Cosenza), 18. XII.2005: PACE GIUSTI-ZIA LEGALITA’ NEI CUORI, Colonia S. Benedet-to– Cetraro. Con Agnese Ginocchio in Concerto, cantautrice per la pace e i diritti umani, e MARIA GRAZIA LAGANA’, vedova FORTUGNO Relatori: Mons Giancarlo Maria Bregantini, Vesco-vo di Locri - Gerace; prof. Don Giovanni Mazzillo, Seminario S. Pio X, Catanzaro. Interventi: Don En-nio Stamile, Direttore della Caritas diocesana; dott.ssa Maria Grazia Laganà, ved Fortugno; senatrice pof. ssa Antonella Ganeri Bruno; prof. Giuseppe Serio; dott. Giuseppe Ajeta, sindaco di Cetraro.Aieta (Cs) 2 luglio 2006 - Palazzo dei Principi - Pedagogia e cultura per educare Relatori (Saluti del Sindaco dott. Eugenio Marsi-glia): proff. Franco Blezza, Michele Borrelli, Lucia-no Corradini, Sira Serenella Macchietti, Graziella Scuderi, Giuseppe Serio e Giovanni Villarossa. Praia a Mare 15.12.07, La fondazione Serio com-pie 30 al servizio della cultura di pace nella società disorientata. Relatori: prof. Michele Borrelli, Uni-versità della Calabria; dott. Maria Rosalba Lupia, dirigente scolastico, Segretaria Nazionale dell’ As. Pe. I.; prof. Giuseppe Serio, presidente dell’Asso-ciazione culturale Gianfrancesco Serio.Tortora: 16.05.08, Persona Persone Povertà nella società disorientata. Relatori: dott. Mario Daniele Managò, dirigente scolastico; Don Giovanni Mazzillo, teologo; prof.Giuseppe SerioLauria, 18.10.2008, patrocinio del Consiglio Pro-vinciale fo Potenza: “Scienza e fede: quale dialo-go?” Relatori: Michele Borrelli, Università della Calabria; Giuseppe Serio, direttore della rivista Qualeduca-zione. Polistena 30 gennaio 2010: “Giustizia e legalità in Calabria”.Saluti: dott. P. Cullari, Assessore alla Legalità del comune.Relatori:Don Pino De Masi, Libera Calabria; Miche-le Borrelli (Unical); Giuseppe Serio (direttore della rivista Qualeducazione); Maria Grazia Laganà (de-putato al Parlamento).Tortora 19 giugno 2010: “E’ possibile sconfig-gere la ‘ndrangheta?”Saluti: Ing. P. Lamboglia sindaco della città e Maria. Lamboglia, assessore alla culturaRelatori: Michele Borrelli, Luciano Corradini (emeri-to nell’univ di Romatre), Giuseppe Serio

…ed ora la storia della fondazione la continuano a scrivere Filomena e Angelo Serio in collaborazione con i

volontari e gli amici di sempre e quelli futuri…