Aspetti di vita ebraica a Rimini

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ANTONIO MONTANARI ASPETTI DELLA PRESENZA EBRAICA A RIMINI LUOGHI, ECONOMIA, RAPPORTI POLITICI E PERSECUZIONE RELIGIOSA TRA XI E XVIII SECOLO

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Storia della presenza ebraica a Rimini dal medioevo sino al secolo XVIII.

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ANTONIO MONTANARI

ASPETTI DELLA PRESENZA EBRAICA A RIMINI LUOGHI, ECONOMIA, RAPPORTI POLITICI E PERSECUZIONE RELIGIOSA TRA XI E XVIII SECOLO

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INDICE I. «L’heretico non entri in fiera», pagina 3 II. Linee di una «storia» israelitica, pagina 10 III. Linee di una «geografia» israelitica, pagina 18 IV. Nota bibliografica ai capitoli II e III, pagina 24 V. «L’heretico non entri in fiera», testo completo, pagina 25 VI. Sussulti sociali e crisi economica nel 1600, pagina 40

Rimini. La piazza della fontana com’era avanti il 1583. In primo piano c’è l’isolato che la chiudeva verso l’attuale corso d’Augusto con la chiesa di San Silvestro demolita in quell’anno. Da essa prendeva nome il tratto di strada che costeggiava le case dal lato della fontana. Dopo il 1583 anche quel tratto si chiama «rivolo della fontana» come l’altro pezzo di strada verso le mura ed il Castello. Il ghetto ebraico (1555) è ben visibile nell’ultimo isolato sulla sinistra. (Particolare tratto dall’incisione di Giorgio Braun, stampata nel 1593.) In copertina, Rimini 1581, da Civitates Orbis Terrarum di G. Braun, S. Novellanus, F. Hogenberg, Colonia.

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I. «L’HERETICO NON ENTRI IN FIERA». Società, economia e questione ebraica a Rimini nei secoli XVII e XVIII. Documenti inediti1

1. La questione ebraica a Rimini tra 1600 e 1700 ripropone aspetti specifici già presenti in età precedente: l’alternanza di acute tensioni e di condizioni favorevoli.

Il 10 giugno 1432 Galeotto Roberto Malatesti ha ottenuto da papa Eugenio IV un «breve» che imponeva agli ebrei riminesi il «segno» di distinzione obbligatorio. Il «segno» era stato introdotto nel 1215 dal IV concilio lateranense sotto Innocenzo III: una rotella di stoffa gialla da portare cucita sulla parte sinistra del petto. Due assalti ai loro banchi avvengono nel 1429 e nel 1503.

Finita la dominazione malatestiana nel 1509, agli ebrei nel 1510 è concessa l’autorizzazione a «facere bancum imprestitorum», cioè di svolgere legalmente attività finanziaria.

Nel 1515 succede l’episodio che meglio riassume i caratteri della questione ebraica a Rimini. Il 13 aprile 1515 il Consiglio generale della città prende atto che a Rimini gli ebrei sono visti «ut inimicos», ed approva all’unanimità tre provvedimenti:

1. chiedere licenza al papa di bandirli; 2. far loro pagare le spese per i soldati a piedi ed a cavallo «qui condotti, e trattenuti per guardia de gli Ebrei» medesimi; 3. stabilire «che nell’avvenire volendo detti Ebrei continuare l’habitatione in questa Città, portassero il capello, o la beretta gialla».

Gli ordini del segno distintivo restano disattesi se nel 1519, dietro istanza di frate Orso dei Minori di San Francesco, essi sono ripetuti, in obbedienza anche ai decreti del 1215.

Gli ebrei richiedono di non essere costretti alla berretta od alla benda gialle, ma di poter recare semplicemente un segnale sul mantello: la «rotella» di cui s’è detto. La città ricorre al papa, «da cui fu commandato, o che quelli partissero da Rimini, overo obbedissero alla Città» stessa.

2. I soldati usati nel 1515 «per guardia de gli Ebrei», sono forse parte dei 600 armati già impiegati nel 1510 per volere del papa, a causa di 1 Questo testo, letto a Rimini il 28 ottobre 2007 al convegno della Società degli Studi Romagnoli,

è una sintesi della comunicazione preparata per gli atti dello stesso convegno che presento successivamente in questo stesso fascicolo (vedere cap. V, pag. 25).

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risse e disordini politici locali. Oppure sono i «nuovi fanti» giunti nel febbraio 1513 «per la custodia della città», afflitta da continue violenze. Oppure sono le guardie destinate frenare i «faziosi» del contado (maggio 1513), per le quali è creata una nuova tassa.

Carlo Tonini scrisse che nel 1515 Rimini «era in tumulto per cagione degli Ebrei». È un’affermazione priva di fondamento. Non ci fu nessun tumulto «degli Ebrei», ma semmai «contro» di loro. La gente li considerava (scrive Tonini), «quali nemici della Religione e promotori di scandali». («Ut inimicos» abbiamo letto nel verbale del Consiglio generale sotto la data del 13 aprile.)

Nel 1515 si vuol semplicemente far pagare alla comunità ebraica la spesa militare degli ultimi cinque anni, fatta però non per colpa sua. In quell’anno, come osserva lo stesso Carlo Tonini, «fra gli altri mali eravi quello, di tutti forse peggiore, della mancanza di pecunia».

La questione ebraica a Rimini nel 1515 si sovrappone perfettamente con il clima di guerra civile provocato, dopo la morte di Sigismondo Pandolfo Malatesti (1468), dalle due fazioni in lotta. Nel luglio 1512, con la vana speranza di pacificare la città, si sono istituiti i «signori Venti di Giustizia», attribuendogli «facoltà assoluta di punire, e condannare». Ma neppure essi, sul finire dello stesso 1512, hanno potuto evitare l’uccisione di Vincenzo Diotallevi. È uno dei tanti delitti politici che si susseguono dal 1470. Delitti che, come ha osservato Rosita Copioli, continueranno «a far colare sangue» per un secolo.

3. Nel 1540 la Municipalità è costretta ad intervenire per difendere gli ebrei, con l’intimazione ai cristiani di non colpire gli usci e le finestre delle loro case. Il 22 luglio 1548 il Consiglio generale obbliga gli ebrei riminesi a non abitare fuori delle tre contrade dove si trovavano. Si anticipa così il provvedimento di papa Paolo IV che il 17 luglio 1555 istituirà il ghetto in tutto lo Stato della Chiesa, secondo il modello realizzato nel 1516 dalla Repubblica di Venezia.

Il 27 marzo 1549 agli ebrei di Rimini è imposta una contribuzione straordinaria per il «Sacro Monte della Pietà», nato nel 1501 proprio per fare concorrenza ai prestatori israeliti. Al «Monte» però gli ebrei riminesi non possono accedere.

4. Le norme discriminatorie dettate da Paolo IV contro gli ebrei nel 1555, sono attenuate nel 1562 da Pio IV. Nel 1569 Pio V dà il bando agli ebrei da tutte le sue terre entro tre mesi, ad eccezione di Roma e d’Ancona, con la «bolla» Hebraeorum gens sola, anticipata nel 1566 dalla Romanus Pontifex di Pio V.

Rimini va controcorrente. Il 9 dicembre 1586 il Consiglio generale autorizza a risiedere nel ghetto cittadino gli ebrei titolari di licenza per abitare nello Stato della Chiesa. Il 22 dicembre 1586 gli

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ebrei chiedono al Consiglio di poter continuare a vivere «familiariter» al di fuori del ghetto, dove si rifiutano di permanere. Non ricevono risposta, a quanto risulta.

Soltanto il 19 settembre 1590 in Consiglio è presentata la proposta di approntare gli strumenti giuridici per cacciare dalla città gli ebrei che non l’avevano ancora abbandonata, e che sono equiparati a «vagabondi e forestieri».

Approvata a larghissima maggioranza, la decisione è destinata a restare senza risultato, grazie ad una aggiunta secondo cui l’espulsione sarebbe avvenuta nel «caso si potesse e vi fosse Motu proprio o Breve pontificio». Gli ordini papali c’erano già (bando del 1569).

Nel 1593 Clemente VIII (1592-1605) delibera l’espulsione definitiva degli ebrei dallo Stato della Chiesa, fatta di nuovo eccezione per Roma ed Ancona (come nel bando del 1569).

5. Dopo il 1593 dunque a Rimini non dovrebbe esserci più alcun ebreo. Ma non è così. Nel 1615 una rivolta popolare distrugge il loro ghetto posto «in Via S. Andrea o S. Onofrio».

La rivolta popolare è favorita (se non promossa) dall’atteggiamento della Chiesa locale e di alcuni nobili. Tra i quali figura un personaggio di spicco nella vita curiale e politica romana, Giovanni Galeazzo Belmonti, vice gran priore dell’Ordine militare di Santo Stefano.

Nel 1624 Roma proibisce agli ebrei il domicilio nello Stato ecclesiastico, ma non il soggiorno in qualsiasi luogo o città «per occasioni di mercantie», secondo la regola introdotta da Clemente VIII per periodi massimi di tre o quattro giorni.

6. Il 15 maggio 1656 a Rimini un «Gentilhuomo Hebreo di questa Città» (forse un componente della famiglia Gentilomo, attestata a Pesaro), si fa mallevadore di «un tal Hebreo Banchiere», al quale è concesso di aprire il banco con la facoltà di tenere presso di sé la famiglia.

Il 16 giugno 1666 il Consiglio generale riminese boccia la proposta di chiedere al papa di ricostituire il ghetto, ad «utile e beneficio» della città. Rimini è sulla linea commerciale che dalle coste marchigiane porta a quelle ferraresi, entrambe controllate dai mercanti ebraici. I domini estensi nel 1598 sono passati sotto il governo di Roma, come accaduto a Pesaro nel 1631.

Sul finire del 1670, la Municipalità riminese inoltra (inutilmente) al papa la richiesta di concedere la «facoltà di poter eriggere in questa Città un nuovo Ghetto d’Hebrei». Ci si giustifica con la necessità di portare «sollievo» economico a Rimini per mezzo di un «qualche poco» di commercio, fondamentale per una ripresa nelle

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«presenti contingenze della nuova fiera», per la quale gli ebrei sono considerati «necessarissimi».

Nel 1693 gli ebrei chiedono di essere autorizzati a rivolgersi direttamente al pontefice per poter ottenere di rientrare in città. E fanno presente di avere a Roma un «buon mezzo» per comunicare con il papa. Il 17 febbraio 1693 il Consiglio generale discute il memoriale di quei commercianti ebrei «soliti a venire a servire con le loro mercanzie» a Rimini, e concede loro l’autorizzazione ad inoltrare al papa la supplica desiderata. Come sia andata a finire la faccenda a Roma, non è dato di sapere.

7. La votazione del 1693 rovescia l’atteggiamento del Consiglio generale circa la presenza ebraica. I contrari sono soltanto due su 43. Erano stati 31 su 45 nella votazione del 16 giugno 1666 circa la richiesta di ricostituire il ghetto.

Nel verbale del 17 febbraio 1693 si legge pure che «d’alcun tempo in qua» agli ebrei era stata proibita la dimora in Rimini con «danno comune» sia del «Monte della Pietà», sia della dogana, sia di «altro per la loro assenza». Gli israeliti erano dunque tornati ad essere presenti a Rimini dopo la distruzione del ghetto nel 1615. Nel loro memoriale si dichiara che «l’avergli levato il libero commercio» aveva provocato «danni notabili» a tutta la vita cittadina.

8. Il memoriale è del 1693. L’anno prima a Ferrara (la cui realtà economica era caratterizzata dalla predominanza ebraica), è stato introdotto dal cardinal legato Giuseppe Renato Imperiali il «libero commercio» dei grani (anche se per soli dodici mesi), nella provincia e fuori di essa, ripetendo analogo provvedimento pontificio di Clemente IX (1667-69).

Il memoriale riminese del 1693 sembra rispondere alle attese del governo cittadino, il quale tenta di realizzare una propria politica, autonoma da Roma, nei confronti degli ebrei, non in nome di astratti princìpi ma in virtù di concretissime ragioni di generale convenienza economica.

9. Nel 1660 avviene a Rimini un episodio emblematico. L’«Hebreo Servadio» è fatto prigioniero per esser stato trovato «senza licenza di dimorarvi», assieme al «suo amico» David. Servadio è salvato dalla pena corporale dei «tre tratti di corda» grazie all’intervento presso il vicario vescovile, di «Girolamo Giordani, gentilhuomo di Pesaro», di passaggio a Rimini.

Servadio è multato di dodici scudi destinati alla Curia, e di due scudi per la cancelleria. La somma è pagata per lui da «un tal Gioseffo Montefiore hebreo di Pesaro». Servadio e David inviano un memoriale

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di protesta al Sant’Offizio. Il Sant’Offizio chiede al governatore riminese Angelo Ranuzzi «una sincera, ed esatta informazione della verità del fatto».

Nel frattempo il vicario ottiene da Servadio la dichiarazione di non aver presentato alcun ricorso a Roma. Ma Roma ordina a Ranuzzi che siano restituiti a Servadio i dodici scudi della multa, con la spesa di uno scudo per la cancelleria.

Ranuzzi esegue, ed informa Roma della richiesta fatta a Servadio dal vicario di una smentita circa il memoriale inoltrato dall’ebreo al Sant’Offizio. Richiesta a cui Servadio s’è sottomesso allo scopo di evitare ulteriori fastidi.

10. Ritorniamo al 1656 ed alla concessione al «Gentilhuomo Hebreo» di aprire il banco a Rimini, tenendo presso di sé la famiglia.

Il 1656 è anche l’anno in cui a Rimini prende avvio la nuova fiera di sant’Antonio sul porto (dal 6 all’11 luglio), ripetuta nel 1659 e sospesa nel 1665 dal governatore. Essa riprende dal 1671 al 1680 con una continua diminuzione del «concorso» di mercanti e compratori. Per cui porta soltanto «incomodo» ai commercianti locali.

Abbiamo visto che nel 1670 Rimini chiede al papa «un nuovo Ghetto d’Hebrei», «necessarissimi» nelle «presenti contingenze della nuova fiera». Nel 1678 non c’è disponibilità di moneta per gli affari della fiera, «per non essere seguiti li raccolti».

Nel 1691 la fiera ritorna, senza smalto e senza gli effetti positivi sperati.

11. Alla fiera del 1671 (durata undici giorni anziché gli otto previsti), sono presenti otto ditte di ebrei, tutte del settore tessile-abbigliamento: tre di Ancona, tre di Urbino, due di Pesaro.

Le merci da loro introdotte hanno un valore pari al 28,25% del totale.

Gli affari invece sono magri, immaginiamo non per la qualità dei prodotti offerti ma per il pregiudizio religioso nei loro confronti.

Essi vendono soltanto il 16,82% dei loro prodotti, cioè il 10,16% del venduto totale della fiera. La media generale del venduto è del 46,71% contro il 10,16 degli ebrei.

12. La prima notizia del diciottesimo secolo relativa alla presenza ebraica a Rimini, risale al 1775 e riguarda il battesimo di Isacco Foligno, di probabile origine pesarese.

Nel 1796 alla fine di giugno, la contribuzione per i francesi è imposta pure agli ebrei. I quali sono arrestati «onde sottrarli da quegli insulti che una certa malafede del Popolo, avrebbe potuto accagionargli». Appartengono a cinque ditte, intestate a Moisé di Bono

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Levi, Samuel ed Elcanà Costantini, fratelli Foligno, Samuele Mondolfo, ed Abram e Samuel Levi.

Quegli ebrei, «dimoranti con negozio da lungo tempo in Rimini»,

temendo, nel «passaggio delle Truppe Francesi», di poter esser «molestati per raggion d’avere per Comando Pontefficio il solito segno nel Capello», ottengono di toglierlo dopo il versamento alla comunità riminese di un «dono gratuito» di cinquecento scudi. Il «dono» è fatto, come scrivono i consoli di Rimini, «in luogo di darci conto del loro peculio, e del valore de rispettivi negozj, come da noi esigevasi». La Municipalità, soddisfatta della generosa offerta, versata oltretutto in moneta e non in oggetti preziosi, tralascia di sottolineare che essa andava contro le leggi.

Nel 1799, il 30 maggio, la rivolta dei marinai, a cui s’accodano quelli che il mercante–cronista Nicola Giangi chiama «li birbanti di Città», si conclude con il saccheggio anche di due botteghe gestite da ebrei.

Il notaio-cronista Zanotti descrive l’episodio come opera degli «insorgenti» antifrancesi che egli (da convinto legittimista) però distingue dai «rivoltosi» i quali, spinti dal «maligno furore della Plebaglia», agiscono invece contro la cosa pubblica.

13. In un documento romano del 1793 si parla delle pelli d’agnello commerciate da Abramo Levi, imbarcate proprio a Rimini, e dirette verso il nord Europa. A Rimini sin dal 1500 si teneva una «fiera delle pelli» per la ricorrenza di sant’Antonio dal 12 al 20 giugno. Da essa deriva la fiera che nasce sul porto nel 1656, dedicata a sant’Antonio. Il 1656 è l’anno in cui si concede ad un israelita di aprire il banco. Per quanto sconosciuto nella sua precisa identità, questo «Hebreo Banchiere» è simbolo della tesi sostenuta da Maria Grazia Muzzarelli per la realtà cesenate del Quattrocento: gli ebrei sono stati considerati «da sfruttare sempre, tollerare a tratti e vessare ogni volta che» ce ne fosse bisogno politicamente.

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Il porto di Rimini nel 1788, acquerello di G. Mazzuoli, dal volume (a cura di P. Delbianco) Ruggiero Giuseppe Boscovich, «mezzo turco, matematico pontificio a Rimini», Bologna 2002, © by IBC Bologna

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II. LINEE DI UNA «STORIA» ISRAELITICA IN CITTÀ2 1. Nel 1548 Rimini anticipa il ghetto ebraico. Sette anni dopo c’è la «bolla» di Paolo IV. Il 22 luglio 1548 il Consiglio generale della città obbliga gli Ebrei riminesi a non abitare fuori delle tre contrade dove già si trovavano. Si anticipa così il provvedimento di papa Paolo IV che con la «bolla» intitolata «Cum nimis absurdum» del 17 luglio 1555 istituisce il ghetto in tutto lo Stato della Chiesa seguendo il modello realizzato nel 1516 dalla Serenissima Repubblica di Venezia. La «bolla» pontificia induce la nostra Municipalità il 20 agosto 1555 a delimitare la zona in cui agli Ebrei è permesso risiedere, ovvero la sola contrada di Sant’Andrea corrispondente all’odierna via Bonsi, in un tratto che va dall’angolo degli attuali Bastoni Occidentali (detti allora «Costa del Corso») sino all’oratorio di Sant’Onofrio. All’inizio ed alla fine del ghetto sono posti due portoni.

Le tre contrade citate nel 1548 sono quelle di San Silvestro, Santa Colomba e San Giovanni Evangelista. La chiesa di San Silvestro sorgeva nell’attuale piazza Cavour chiudendola verso la nostra via Gambalunga. Fu atterrata nel 1583 «per la nuova fabbrica del Palazzo Comunale, e per rendere libera tutta la piazza della fontana fino alla strada maestra», ora corso d’Augusto (Tonini, «Mille», p. 55).

La parrocchia di San Silvestro occupava la zona che partendo dalla piazza è delimitabile con il corso d’Augusto, via Cairoli e via Sigismondo.

Attraversata dall’odierna via Cairoli verso l’esterno (cioè verso Sud) la via Sigismondo, si entrava a sinistra nella parrocchia di San Giovanni Evangelista (Sant’Agostino) a fianco della chiesa; ed a destra in quella di Santa Colomba che prendeva il nome dall’allora cattedrale. Sotto la sua giurisdizione passa la zona amministrata da San Silvestro dopo la demolizione di questa chiesa nel 1583.

La strada che costeggiava il lato Est della piazza (dove sorge la Pescheria settecentesca) prima è stata chiamata contrada di San Silvestro e poi (dopo il 1583) «del rivolo della fontana» o «del corso», adottando il nome già usato per il tratto che va dal Castello alla piazza.

2. La delibera del 22 luglio 1548 prevede per gli Ebrei anche l’obbligo di portare un distintivo. Ma non è una novità. Già il 13 aprile 1515 il Consiglio riminese aveva stabilito il dovere da parte loro d’indossare 2 I capitoli Linee di una «storia» israelitica e Linee di una «geografia» israelitica sono apparsi su «il

Ponte», anno XXX, nn. 42, 43, 44, Rimini, 27 novembre, 4 ed 11 dicembre 2005.

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una berretta gialla se maschi ed un qualche «segno» (una benda anch’essa gialla) se donne. Il precedente più antico risale al 1432 quando Galeotto Roberto Malatesti aveva ottenuto da papa Eugenio IV un «breve» che introduceva per loro il «segno» di distinzione obbligatorio.

Il provvedimento del 1548 impone anche una serie di divieti che riguardano ad esempio l’acquisto di «beni stabili eccetto casa et Bottega», lo stabilirsi in città «senza licenza» del Consiglio generale e persino il «toccar frutti in piazza, né metter le mani ne’ panieri, cesti o some». Questo editto riafferma una consolidata linea politica locale, diretta a limitare i diritti della comunità ebraica.

Nel 1489 a carico dei loro componenti era stata decisa un’imposta destinata a finanziare la difesa costiera contro i Turchi. L’astio esistente nei loro riguardi aveva prodotto nel 1429 e nel 1503 un assalto ai banchi ebraici. Da ricordare che nel 1501 era nato il «Sacro Monte della Pietà» (o banco dei pegni) per fare concorrenza ai prestatori ebraici e togliere loro la clientela più povera (fino a cinque lire il prestito era gratis).

Ma il 22 giugno 1510 agli Ebrei è stata poi concessa l’autorizzazione a «facere bancum imprestitorum», cioè di svolgere legalmente attività finanziaria. E l’anno successivo è stato stipulato l’accordo con Emanuelino ed Angelo da Foligno che per il loro banco avrebbero pagato alla Municipalità una tassa annua di 400 lire. Delle società di prestito ebraiche nel corso del secolo si servì lo stesso Comune, afflitto da costante mancanza di denaro.

3. Nel 1515 (il 13 aprile) si discute la proposta di bandire gli Ebrei dalla città quali nemici della Religione e promotori di scandali nel popolo.

Quel giorno il Consiglio generale approva all’unanimità l’adozione di tre provvedimenti: chiedere licenza al papa di bandire gli Israeliti; far loro pagare le spese per i soldati a piedi ed a cavallo «qui condotti, e trattenuti per guardia de gli Ebrei» medesimi; ed infine stabilire «che nell’avvenire volendo detti Ebrei continuare l’habitatione in questa Città, portassero il capello, o la beretta gialla».

Per le donne il successivo 28 aprile è introdotta la regola di recare una benda gialla in fronte, facendo loro nel contempo divieto di porre sul capo i mantelli secondo (aggiungiamo noi) l’usanza comune della nostra popolazione di sesso femminile. Restano disattesi questi ordini del segno distintivo se nel 1519, dietro istanza di frate Orso dei Minori di San Francesco, sono ripetuti in obbedienza anche ai «decreti del Sacro Concilio». Gli Ebrei richiedono di non essere costretti alla berretta ed alla benda gialle (secondo il sesso), ma di recare semplicemente un segnale sul mantello. La città ricorre al papa «da cui fu commandato, o che quelli partissero da Rimini, overo obbedissero alla Città».

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I tre punti del 13 aprile 1515 hanno una premessa di tutti rispetto negli atti del Consiglio generale, che è però dimenticata dagli storici (Clementini prima e Carlo Tonini poi). In tale premessa si dice che gli Ebrei erano visti in città come «inimici».

Carlo Tonini, nel riferire i provvedimenti del 13 aprile 1515, premette che «la città era in tumulto per cagione degli Ebrei». Riferisce che «fu proposto di sbandeggiarli, quali nemici della religione e promotori di scandali nel popolo», chiedendone licenza al pontefice. Conclude che «in causa di questo tumulto fu fatto venire un numero di cavalli di lieve armatura», la cui spesa «volevasi fosse fatta pagare agli Ebrei, alla cui difesa appunto erano venuti que’ militi».

Il passo di Clementini sui soldati «condotti, e trattenuti per guardia degli Ebrei», ha portato Carlo Tonini a scrivere di un «tumulto per cagione degli Ebrei» (del quale non c’è traccia nel testo di Clementini). Tonini aggiunge che i militi erano stati chiamati in città a «difesa» degli Israeliti, e quindi da considerarsi a loro carico. Clementini aveva parlato di «guardia», termine il quale oltre che difesa (di una parte lesa) può significare anche controllo (e repressione di facinorosi…).

Se il passo di Tonini sul «tumulto per cagione degli Ebrei» significa che erano stati essi a provocare una sommossa, tale affermazione non ha nessun legame logico con quella successiva, relativa all’intervento di truppa forestiera per proteggerli («alla cui difesa appunto erano venuti que’ militi»).

Questo controsenso non ci sarebbe nella peggiore delle ipotesi, che cioè quel «per cagione degli Ebrei» significasse che la loro sola presenza in città (che li considerava «nemici») aveva provocato una rivolta popolare arginata dall’autorità manu militari per salvaguardare l’ordine pubblico.

Nel 1422 papa Martino V aveva fatto divieto agli Ordini mendicanti di provocare sommosse popolari contro gli Ebrei, accusati di avvelenare le fonti dell’acqua e di produrre azzime intrise di sangue umano (Segre, pp. 157/158). Nel 1442 Eugenio IV aveva pubblicato una «bolla» per interrompere ogni rapporto economico fra Ebrei e Cristiani, ordinando agli «infedeli» di vivere isolati e segregati, di portare il solito segno distintivo, di restituire le usure percepite e di non esigerne più per il futuro (ibidem).

A Rimini la Municipalità il 24 marzo 1540 era stata costretta ad intervenire per difendere gli Ebrei, con l’intimazione ai Cristiani di non colpirne le case ad usci e finestre. Nello stesso anno gli è concesso di tenere un banco a Rimini, Verucchio e Montescudo.

4. Da un atto notarile del 1556 sappiamo che le famiglie ebree riminesi erano allora dodici. Il 7 marzo esse delegano un correligionario a rappresentarle davanti all’autorità cittadina onde

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chiedere la consegna delle abitazioni necessarie ed adatte alle loro singole esigenze, per non risultare inadempienti alla «bolla» papale.

Nel 1557 la Municipalità ha già realizzato il ghetto trasferendovi i singoli nuclei famigliari come documenta un rogito del 10 novembre, relativo alla vendita di una casa situata nella contrada assegnata appunto agli Ebrei «pro habitatione».

Nel 1562 la Municipalità proibisce (29 aprile) ai Cristiani di abitare nella contrada degli Ebrei, ma autorizza (14 ottobre) il ricco Ebreo Ceccantino di avere casa «extra ghettum».

Nel 1569, il 26 febbraio, Pio V dà il bando agli Ebrei da tutte le sue terre, ad eccezione di Ancona e Roma. Però nel 1586 se ne trovano ancora a Rimini. Essi chiedono in Consiglio il 22 dicembre di poter continuare a vivere «familiariter» in città al di fuori del luogo detto «il ghetto» dove si rifiutano di permanere. Non ricevono risposta, a quanto pare. Il 9 dicembre dello stesso 1586 il Consiglio aveva autorizzato gli Ebrei che avevano licenza di abitare in tutto lo Stato della Chiesa, a risiedere a Rimini appunto nel ghetto.

Il 19 settembre 1590 sostanzialmente non è approvata in Consiglio la proposta di approntare gli strumenti amministrativi per cacciare dalla città gli Ebrei che non l’avevano ancora abbandonata, e che sono equiparati a «vagabondi e forestieri» per i quali si voleva una pronta espulsione.

Le cose andarono così: si richiese, ottenendo voto positivo (13 pro, 2 contra), che fossero cacciati gli Ebrei, ma con l’aggiunta fondamentale che ciò sarebbe avvenuto «caso si potesse e vi fosse Motu proprio o Breve pontificio». Il cavillo giuridico contraddiceva l’esito del voto stesso. Gli ordini papali c’erano (il ricordato bando del 26 febbraio 1569 di Pio V), ma evidentemente nessuno aveva voluto in passato applicarli né voleva attenersi ad essi in futuro. Quindi le cose restavano immutate, con la parvenza di una novità, il desiderio di allontanare da Rimini gli Ebrei considerati pericolosi per l’ordine pubblico al pari dei «vagabondi e forestieri».

5. Nel 1615 il ghetto è distrutto da una rivolta popolare, secondo il racconto di monsignor Giacomo Villani (1605-1690). Alla «perfida gens Iudeorum» è ordinato di lasciare Rimini, e le porte del ghetto sono distrutte su richiesta di alcuni nobili. Commenta Carlo Tonini: «Così la Città nostra ebbe il contento di vedersi liberata da quella odiata gente» (VI, II, p. 761). La cui vicenda era a suo avviso «principalmente religiosa» (ibidem, p. 748).

Nel 1656 a «un tal Hebreo Banchiere» di cui non si fa il nome ma che era conosciuto dal mallevadore («il gentilhuomo Hebreo di questa Città»), si concede di aprire un banco con la facoltà di avere presso di sé la famiglia. Il 16 giugno 1666 il Consiglio di Rimini invece boccia (31 contrari, 14 a favore) la proposta di chiedere al papa di ricostituire il ghetto per gli Ebrei ad «utile e beneficio» della città.

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Infine nel 1693 alcuni commercianti ebrei «soliti a venire a servire con le loro mercanzie» a Rimini, con un memoriale letto in Consiglio il 17 febbraio ottengono l’autorizzazione ad inoltrare al pontefice la supplica per poter rientrare in città. Come sia andata a finire la faccenda, la Storia non lo dice. Essi ritornano ad apparire (improvvisamente) nei documenti un secolo dopo.

Torniamo alla via del ghetto. Contrada Sant’Andrea era chiamata nel secolo XVI la strada che oggi conosciamo come via Bonsi. Nel 1615 essa cambia denominazione (racconta Villani), quando il 15 giugno è ordinato agli Ebrei di andarsene da Rimini, ed il loro «vicum» diventa di Sant’Onofrio, come l’oratorio che vi sorge. Successivamente muta ancora, ed è via dei Bottari. A parlare di contrada di Sant’Andrea sono gli atti pubblici della Municipalità del 20 agosto 1555 (AP 859, Archivio di Stato di Rimini, Archivio storico comunale, c. 282v).

La storia della contrada è legata alla vicenda delle due porte che in epoche successive chiudono l’uscita meridionale della città. Quella «antica», l’arco di porta Montanara ora collocato verso piazza Mazzini, è della metà del XIII secolo (1240-1248, quando si costruiscono le mura federiciane, scrive Luigi Tonini, I, pp. 196-197). Essa sorgeva aderente all’oratorio di San Nicola fra le vie Bonsi e Venerucci.

Nel XIV secolo è posta sui Bastioni la porta «nuova», demolita nel 1890. Secondo monsignor Villani essa era detta anche «Aquarola» perché attraversata dall’acquedotto (Ravara, p. 19). Nello spazio che vi intercorreva (chiamato «fra le due porte» dal Medioevo sino all’Ottocento) esistettero due ospedali, uno dei quali era definito di Sant’Andrea.

6. Dal dazio del porto ai prestiti. Le attività economiche a partire dal 1015. La prima notizia relativa alla presenza ebraica in Rimini risale al 1015 e riguarda il teloneo «judeorum» ovvero l’appalto dei dazi d’entrata nel porto, del quale si parla pure in un testo del 1230. In entrambi i casi l’appalto è condiviso con altri soggetti locali, il monastero di San Martino nel 1015 ed i Canonici nel 1230.

Attività di prestito ad usura sono documentate nel quattordicesimo secolo per Verucchio (1336, da parte di tale Sabbato) e per Rimini: nel 1357 e nel periodo fra 1384 e 1387 figura Manuello di Genatano che compare negli atti notarili assieme a Gaio di Leone, Dolcetta di Guglielminuccio (vedova di Genatano e quindi madre di Manuello), Vitaluccio di Consiglio, Abramuccio di Bonaparte, Matassia di Musetto, Abramuccio di Bonagiunte, Elio di Olivuccio.

I ricordati Manuello e Vitaluccio appaiono anche in contratti di soccida, ovvero relativi all’allevamento di bestiame (Muzzarelli, pp. 33-35, 39).

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I prestiti potevano essere restituiti non soltanto a Rimini ma pure a Perugia, Fano, Ancona, Urbino, Forlì, San Marino, Santarcangelo, Montefiore o Gradara. Esisteva cioè un vasto collegamento fra gli agenti finanziari locali e le varie piazze, tra cui negli atti è ricordata pure Mantova (ibidem, p. 35).

7. Nel corso del quindicesimo secolo gli Ebrei ebbero notevoli favori da parte dei Malatesti (Jones, p. 15). Agli inizi del Quattrocento Rimini era «costituita prevalentemente da ceti mercantili e artigianali», con «una fiorente comunità ebraica a completare il quadro variopinto di una città cosmopolita» (Vasina, p. 29). Nel 1429 con la morte di Carlo Malatesti finisce l’equilibrio da lui creato all’interno della società riminese, «ed affiorano con immediatezza umori e contrasti da lungo tempo sopiti o repressi» (ibidem, p. 51). Avvengono manifestazioni contro i mercanti forestieri e la comunità ebraica, con il saccheggio dei loro banchi: è un favore fatto agli agenti fiorentini presenti in città come emissari dei Medici i quali vedevano negli israeliti una terribile concorrenza (ibidem, p. 65).

Abbiamo già ricordato che in questo periodo (1432) Galeotto Roberto Malatesti ottiene da papa Eugenio IV un «breve» che introduce per gli Ebrei il «segno» di distinzione obbligatorio. E che nel 1503 si replica l’assalto contro i loro banchi, due anni dopo la creazione di quello dei pegni, il «Sacro Monte della Pietà».

Anche Sigismondo fu in rapporto con i banchieri ebraici. Nel 1462 per la fabbrica del Tempio egli ottiene un prestito da Abramo figlio di Manuello di Fano (Vasina, p. 62). Sul finire del secolo quattordicesimo abbiamo incontrato Manuello di Genatano e sua madre Dolcetta. Abramo figlio di Manuello aveva un fratello, Salomone, banchiere ed importante personaggio della comunità ravennate. Abramo e Salomone si trasferiscono dalle nostre parti, e gestiscono un banco nel castello di Montefiore attorno al 1459 (Muzzarelli, p. 36).

Salomone sposa Benvenuta da cui ha quattro figli, uno dei quali (Beniamino) sposa Dolcetta avendone due eredi maschi. La madre Benvenuta, il ricordato Beniamino e sua moglie Dolcetta muoiono di peste nell’arco di dieci giorni durante l’estate del 1482 (Segre, p. 165). Nel 1494 a Cesena è ucciso dalle truppe francesi di Carlo VIII, Rubino di Giacobbe (appartenente ad una dinastia di finanzieri) mentre tentava di fuggire verso Rimini. I furti commessi da quelle truppe a danno della comunità ebraica cesenate, impediscono a quest’ultima di versare alla Tesoreria pontificia la tassa dovuta nel 1494-95, come annotò il cronista cesenate coevo Giuliano Fantaguzzi (ibidem, p. 169).

A metà del quindicesimo secolo Rimini «continua a rappresentare il principale centro finanziario ebraico della Romagna»

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(ibidem, p. 162), dalla quale transitano gruppi provenienti dalla Marca e dall’Umbria e diretti nella pianura padana per evitare gli effetti della predicazione degli Zoccolanti contro gli Ebrei e le loro attività finanziarie caratterizzate da tassi che a Ravenna sono documentati anche al 30 ed al 40 per cento (ibidem). Al proposito va però precisato che solitamente gli Ebrei praticavano «tassi notevolmente inferiori agli usurai cristiani» (Falcioni, p. 158).

I felici rapporti intrattenuti dagli Ebrei con Sigismondo finiscono con «acuire l’intransigenza religiosa popolare e l’odio sociale» nei loro confronti. Negli Ebrei si vede espresso il sostegno ad un regime finanziariamente e politicamente aggressivo, caratterizzato da un’economia di tipo aristocratico in cui una gran massa di bisognosi s’oppone ad una corte di privilegiati (ibidem, pp. 5, 114, 159).

8. Legata strettamente al traffico di denaro, è l’impresa agricola gestita con il citato contratto di soccida che prevede la compartecipazione a guadagno e spese, secondo la regola «ad medietatem lucri et damni», come ricaviamo dagli atti relativi a Manuello di Genatano negli anni Ottanta del secolo quattordicesimo (sono ben cinque nell’agosto 1386). La durata del contratto variava da uno a quattro anni.

Nel 1445 Angelo di Manuello per un anno di affitto di un bue pretende tre sestari di grano che diventano quattro allo scadere dell’anno. Nel 1483 un altro affitto riguarda metà di un bue, per due sestari di grano del successivo raccolto. (Muzzarelli, p. 39)

Ci sono poi i contratti di enfiteusi, come quello che il prestatore di denaro Elia di Leone stipula nel 1397 con un Cristiano impegnandosi a fornire quanto necessario per coltivare una vigna di tre tornature (ibidem). L’enfiteusi è la concessione di un fondo con l’obbligo di migliorarlo e di pagare annualmente un canone in denaro o in derrate.

Per gli altri mestieri s’incontrano tintori come Bonaventura di Dattilo, oppure stracciaroli come Abramo di Giacobbe detto «el seccho» e Sabatuccio di Salomone (Muzzarelli, p. 40), oltre ad un Abramo di Angelo da Rimini che poi opera a Ravenna, dove è presente un suo ricco collega nel mestiere, il forlivese Daniele detto Maiucolo (Segre, pp. 159, 169).

Nel 1456 Sigismondo Pandolfo Malatesti vende una casa a Giuseppe di Manuele residente a Rimini ma proveniente da Fossombrone. Nel 1452 Manuello di Salomone di Fano vende a due Cristiani altrettanti piccoli canneti. Nel 1478 Salomone di Musetto di Rimini compra da un altro ebreo una casa in contrada San Giovanni e Paolo, e tre anni dopo una tornatura di terra arativa da un Cristiano.

Nel 1484 incontriamo Musetto di Musetto e Salomone di Musetto (forse fratelli) che acquistano rispettivamente tre tornature

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di terra in parte arativa, in parte a vigna ed in parte a canneto, assieme alla terza parte di un mulino «ab oleo». Musetto il padre dell’omonimo e di Salomone potrebbe esser lo stesso che è citato in un documento vaticano (Segre, p. 156) del 1436 con cui il cardinal camerlengo gli concede un salvacondotto di sei mesi per circolare liberamente nello Stato pontificio. Questo Musetto (padre) è qui definito figlio di Elia da Rimini ed appare come il tipico uomo di finanza signorile operante in Ravenna. Egli nel 1446 per cause politiche (la dominazione veneziana), e per la riduzione dei tassi dal 40 al 30 per cento (imposta nel 1441) arriva sull’orlo del disastro economico, ed è costretto a cedere al suo creditore addirittura i rotoli della «Thora» ed i paramenti rituali usati in Sinagoga (Segre, pp. 158, 162).

Ebrei riminesi appaiono anche in contratti d’affitto per lo stesso periodo di fine 1400. Uno è stipulato con frate Girolamo rettore del convento di San Giovanni per una casa in contrada San Silvestro. (Muzzarelli, pp. 40-42)

Per riassumere i caratteri economici della locale società israelitica, vale quanto i loro avversari scrivevano a Ravenna: gli Ebrei hanno «ardimento» di comprare cose stabili «contra ogni bon costume, la fede catolica et quello che per tutto el mondo se observa». Cioè l’attività di prestito è il punto di partenza per acquisire proprietà immobiliari (Segre, p. 164).

Questo fa temere che essi conquistino troppa autorità e libertà, per cui si richiede di porre loro un freno. D’altra parte la Chiesa romana emana frequenti «lettere di tolleranza» allo scopo di autorizzare «e giustificare sul terreno della politica più che della fede» i banchi ebraici (ibidem, p. 163).

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III. LINEE DI UNA «GEOGRAFIA» ISRAELITICA IN CITTÀ

1. Nel febbraio 1506 gli Ebrei riminesi decidono di realizzare il loro cimitero ed acquistano un campo di proprietà di Sigismondo Gennari e fratelli (Tonini, p. 749), posto fuori della porta di Sant’Andrea e confinante con la fossa della città («fovea civitatis»), con l’Ausa e con due appezzamenti di terra appartenenti ad Ebrei. Nel marzo 1507 il cimitero detto anche «Orto degli Ebrei» è già pronto se Stella di Deodato esprime nel proprio testamento la volontà di esservi sepolta (ibidem).

Nel 1520 il cimitero è concesso in affitto dalla comunità israelitica ad un Cristiano che s’impegna a tenerlo in modo appropriato, utilizzandone una parte ad orto, evitando il suo uso a pascolo e creando le fosse «pro sepulturis Hebreorum pauperum et miserabilium decedentium in Civitate» (Muzzarelli, pp. 41-42). Quindi non tutti nella comunità ebraica riminese erano di ceto economicamente elevato o medio.

Il luogo dove sorgeva il cimitero ebraico è indicato sulla pianta della città di Rimini disegnata da Alfonso Arrigoni e pubblicata nel 1617 nel Raccolto istorico di Cesare Clementini

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2. Il documento del 1506 permette una precisa collocazione del cimitero. Nella pianta della città di Rimini disegnata da Alfonso Arrigoni e pubblicata nel 1617 nel Raccolto istorico di Cesare Clementini, è ben delineato il corso del canale dei Mulini che prende acqua dal Marecchia ed entra in Rimini vicino alla porta di Sant’Andrea la quale s’affaccia sull’antica via Aretina. Ancor oggi esiste la via dei Mulini che dai Bastioni meridionali scende sino alla via Venerucci (allora San Nicola, dall’omonimo oratorio sull’angolo con via Garibaldi).

Il corso del canale dei Mulini è documentato all’esterno della città nelle mappe contemporanee dell’Istituto Geografico Militare ed è schematicamente indicato entro le mura in una pianta del 1520 (Archivio di Stato di Rimini, «Carte Zanotti», busta 3), recentemente edita da Oreste Delucca (p. 37). In maniera ovviamente approssimativa la pianta indica il percorso del canale dei Mulini che all’uscita dal mulino del Comune si divide in due corsi. Uno s’avvia «in foveam civitatis», cioè alla fossa che è ricordata come confine per il cimitero ebraico. L’altro corso prosegue verso il centro della città.

Nella carta di Arrigoni il bivio fra i due corsi è invece correttamente posto sotto la chiesa di San Matteo detta «degli Umiliati». I quali erano stati chiamati a Rimini nel 1261 affinché lavorassero e facessero lavorare panni di lana di ogni genere e colore, eccettuato gli scarlatti, i verdi ed i dorati (L. Tonini, III, p. 111, e «Mille», p. 124). L’acqua che usciva dalla loro manifattura dove si usavano sapone ed argilla, doveva essere scaricata nel fiume.

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Le sinagoghe. S1.1486, sinagoga «vechia». S2.1507, sinagoga «magna» nella contrada di Santa Colomba (via Sigismondo, collocazione ideale). S3. 1555-1569, sinagoga «magna» nella contrada di San Giovanni Evangelista o degli Hebrei (via Cairoli, collocazione ideale).

3. La prima sinagoga (nell’immagine, S1) è attestata sin dal 1486. S’affaccia sulla piazza della fontana (ora Cavour) dal lato della pescheria settecentesca, nella contrada di San Silvestro. Essa è poi definita come «vechia», quando è realizzata la seconda (S2) che in rogito del 1507 è chiamata «magna», nella contrada di Santa Colomba o San Gregorio da Rimini (via Sigismondo), nella porzione di quartiere tra l’odierna via Cairoli ed il Teatro Galli, lato monte. Nel 1555 la sinagoga «magna» (S3) risulta invece situata in contrada di San Giovanni Evangelista detta «delli Hebrei» (via Cairoli), a poca distanza dalla chiesa di San Giovanni Evangelista

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(Sant’Agostino), e proprio dalla sua parte, come si ricava dal documento datato 14 novembre riguardante la decisione presa dagli Ebrei riuniti nella Sinagoga «magna» di vendere la casa detta «la Sinagoga vechia» (Zanotti, Atti, p. 207).

Della sinagoga «vechia» in questo documento del 1555 si scrive che è posta vicino («iuxta») alla strada detta «Rivolo della Fontana» o «del Corso», cioè nell’angolo della piazza Cavour con la contrada di Santa Colomba (via Sigismondo). Il «Rivolo» andava dalla piazza del Castello sino alla piazza Cavour, cambiando poi qui il nome in contrada di San Silvestro. La sinagoga «vechia» era quindi situata nella parrocchia di San Silvestro, delimitabile con il corso d’Augusto, via Cairoli e via Sigismondo e piazza Cavour. La nuova sinagoga è trasferita prima nella zona della parrocchia di Santa Colomba che è speculare verso monte rispetto alla parrocchia di San Silvestro; e poi nella parrocchia di Sant’Agostino sul lato dove sorge la chiesa.

4. Nel 1569, dopo che il 26 febbraio papa Pio V ha dato il bando agli Ebrei da tutte le sue terre ad eccezione di Ancona e Roma, gli israeliti di Rimini decidono di vendere l’ultima sinagoga, quella posta nella parrocchia di Sant’Agostino. Il 16 maggio il bolognese Prospero Caravita (abitante in Rimini) ed il ravennate Emanuellino di Salomone, come rappresentanti della comunità israelitica locale, stipulano l’atto relativo, consapevoli che per l’editto pontificio tutti gli Ebrei che si trovavano nella nostra città l’avrebbero dovuta abbandonare entro breve tempo. Quest’ultima sinagoga è composta di tre stanze («una domum consistentem ex tribus stantiis»): la più grande è quella dove si riunivano a pregare gli uomini, un’altra più piccola dove si adunavano a pregare le donne, ed un’altra infine posta sopra quest’ultima e sempre ad uso delle donne.

Pure questo documento ci è stato tramandato da Zanotti (Atti, pp. 152-154), ed è ricordato da Carlo Tonini nella sua preziosa storia degli ebrei Rimini, dove però non parla di una casa con tre stanze bensì di tre case distinte (VI, 2, p. 759).

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Le strade degli ebrei. Sulla base della pianta della città pubblicata nel volume Rimini di Gobbi-Sica (Roma-Bari 1982, p. 42), con le chiese cittadine nel XIII secolo (indicate con numeri arabi), abbiamo inserito con le lettere dell’alfabeto i richiami alle strade legate alla storia ebraica locale: A. Contrada di Sant’Andrea, poi dal 1615 via Sant’Onofrio (omonimo oratorio, n.

37) e quindi via dei Bottari, attuale via Bonsi. B. Contrada di San Giovanni Evangelista o degli Hebrei (via Cairoli). C. Strada del «Rivolo della Fontana» (o «del Corso»), dalla piazza del Castello (nel

lato di Levante) sino alla piazza della fontana (Cavour). La via dalla piazza Cavour alla piazza Tre Martiri, era la strada Maestra od anche via Regia.

D. Contrada di Santa Colomba, dalla piazza Cavour verso Sant’Agostino (n. 32), detta anche contrada di San Gregorio da Rimini (via Sigismondo).

E. Contrada di San Silvestro (chiesa omonima, n. 20), dall’angolo della contrada di Santa Colomba, lato pescheria in piazza Cavour sino all’angolo della strada Maestra.

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5. Della presenza ebraica a Rimini si perdono le tracce nei due secoli successivi. Nel 1775 le cronache di Zanotti e Capobelli registrano un battesimo conferito all’Ebreo Isacco Foligno (C. Tonini, VI, 2, p. 762, nota 1). Sappiamo da documenti della Municipalità che nel 1796 gli «Ebrei dimoranti con negozio da lungo tempo in Rimini» gestivano cinque ditte, intestate a Moisé di Bono Levi, Samuel ed Elcana Costantini, fratelli Foligno, Samuele Mondolfo, ed Abram e Samuel Levi. Il 30 maggio 1799 durante la rivolta dei marinai si registra il saccheggio di due loro botteghe. Zanotti nel suo «Giornale» del 1796 (SC-MS. 314, BGR, p. 155) scrive che i fondachi ebraici si trovavano «ne soffitti del Palazzo de Conti Bandi […], situato lungo la via Regia in faccia al palazzo del conte Valloni» (Dolcini, p. 495). Palazzo Valloni è quello del Cinema Fulgor, all’angolo di corso Giovanni XXIII.

Forse quegli Ebrei erano tornati a Rimini al tempo del pontificato di Clemente XIV (1769-1774) che aveva assunto un atteggiamento favorevole nei loro confronti, cercando di risollevarne le sorti economiche. Un episodio ci illumina sul suo atteggiamento: «Da cardinale il Ganganelli era stato inviato dal papa Clemente XIII a Jampol in Polonia per fare un’inchiesta, sollecitata da una ambasceria inviata al papa dagli Ebrei di quella città, su un presunto omicidio rituale.

Il resoconto del Ganganelli (di cui una copia, che si trovava presso la Comunità di Roma, fu scoperta dallo storico Abramo Berliner), spiega che si trattava di un caso di suggestione collettiva» (Mascioli).

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V. NOTA BIBLIOGRAFICA

C. Clementini, Raccolto istorico, II, Rimini 1627, p. 663 O. Delucca, Una terra fra le acque. Il borgo e il territorio Sant’Andrea nel Medioevo, in

«Sant’Andrea un borgo fra le acque», 2005, pp. 29-64 A. Dolcini, Napoleone il “bifronte”, Bologna 1996 (qui il cognome dei «Conti Bandi» cit.

da Zanotti, Giornale 1796, è erroneamente riportato come «Bondi») A. Falcioni, La Signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesti, 1. L’economia, Rimini 1998 M. G. Muzzarelli, Rimini e gli Ebrei fra Trecento e Cinquecento, «Romagna arte e

storia», 10/1989, pp. 31-48 C. Ravara Montebelli, Le acque nel borgo Sant’Andrea in epoca romana, in

«Sant’Andrea un borgo fra le acque», 2005, pp. 11-26 R. Segre, Gli Ebrei a Ravenna nell’età veneziana, in «Ravenna in età veneziana» a cura

di D. Bolognesi, 1986, pp. 155-170 Carlo Tonini, Storia di Rimini 1500-1800, vol. VI, 1, 1887; vol. VI, 2, 1888, pp. 748-

763 Luigi Tonini, Rimini dopo il Mille, a cura di P. G. Pasini, Rimini 1975 Luigi Tonini, Storia di Rimini, vol. I, 1848 Luigi Tonini, Storia di Rimini nel secolo XIII, III, 1862 Mascioli, <http://www.mascioli.info/storiaebreiitaliani.html> A. Montanari, Fame e rivolte nel 1797. Documenti inediti della Municipalità di

Rimini, «Studi Romagnoli» XLIX (1998), Stilgraf, Cesena 2000, pp. 671-731; e Furore dei marinai, in corso di stampa (ma leggibile in Internet)

A. Montanari, 1615, distrutto il ghetto in «Il Sito riminese del 1616, Quante storie n. 2», p. 8, «il Ponte», anno XXX, n. 41, Rimini, 20 novembre 2005

M. Zanotti, Atti, SC-MS 285, BGR M. Zanotti, Giornale di Rimino 1796, SC-MS 314, BGR Gli scritti di Philip James Jones ed Augusto Vasina sono ripresi da Studi

Malatestiani, Studi storici, fascc. 110-111, Istituto storico italiano per il Medio evo, 1978

ACR, ASR = Archivio comunale, in Archivio di Stato di Rimini BGR = Biblioteca A. Gambalunga di Rimini Nota bene. I capitoli Linee di una «storia» israelitica e Linee di una «geografia»

israelitica sono apparsi sul settimanale «il Ponte», anno XXX, nn. 42, 43, 44, Rimini, 27 novembre, 4 ed 11 dicembre 2005.

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V. «L’heretico non entri in fiera». Società, economia e questione ebraica a Rimini nei secoli XVII e XVIII. Documenti inediti [Testo pubblicato negli Atti del Convegno 2007]

1. L’«ultima ruina» da papa Urbano VIII3 Gli ebrei sono stati «considerati dei “diversi” da sfruttare sempre,

tollerare a tratti e vessare ogni volta che si verificavano esigenze di maggiore compattezza ed uniformità»4. Le conclusioni tratte da Maria Grazia Muzzarelli per la realtà cesenate quattrocentesca, valgono anche per la vicenda politica riminese di età successiva, argomento di queste nostre pagine. Il titolo datovi, «L’heretico non entri in fiera», sintetizza un passaggio dei Capitoli sulla fiera del 1671 alla quale avrebbe potuto «liberamente venire, andare, e pratticare, vendere e comprare ogni sorte di Persone, eccettuati Heretici, Scismatici, Ribelli di S. Chiesa, Banditi di vita, e condannati, acciò che li Mercanti, che vi vengano possino assicurarsi da essi»5. Gli ebrei, normalmente evitati dai cristiani al pari di «Heretici, Scismatici, Ribelli di S. Chiesa», non figurano nella lista degli esclusi per il motivo magistralmente indicato dalla Muzzarelli. Non accettati e riconosciuti dalle istituzioni, essi sono tollerati nella speranza che la loro presenza permetta di uscire da una situazione di grave depressione economica.

Attraverso l’esame dei rapporti intercorsi nei secoli XVII e XVIII fra Rimini ed i gruppi ebraici che la abitarono o frequentarono6, tenteremo di riassumere la vita sociale della città, delineando aspetti inesplorati dell’azione politica della classe dirigente locale. La quale si scontrò continuamente con il potere centrale del governo ecclesiastico, e con quello periferico del clero cittadino arroccato nella difesa di privilegi e di esenzioni7. Nel 1659 il cardinal legato Giberto Borromeo8 può lamentare

3 Abbreviazioni usate: ASBo = Archivio di Stato di Bologna; ASCRn = Archivio storico del

Comune di Rimini presso Archivio di Stato di Rimini; BGR = Biblioteca comunale Alessandro Gambalunga di Rimini; MMR = Miscellanea Manoscritta Riminese, Fondo Gambetti, BGR.

4 Cfr. M. G. MUZZARELLI, Gli Ebrei a Cesena nel XV secolo. Dalle ricerche di Antonio Domeniconi, «Studi Romagnoli» XXX (1979), Bologna, Fotocromo Emiliana, 1983, pp. 197-207, p. 207.

5 Cfr. la premessa ai Capitoli della Fiera da farsi sul Porto di Rimini (22.2.1671), AP 623, 1600-1700, C, foglio 12, ora in Carteggio generale, busta 5 «Capitoli vari» (ex AS4), ASCRn, c. 1v.

6 Le prime notizie risalgono al 1015 e riguardano il teloneo «judeorum» ovvero l’appalto dei dazi d’entrata nel porto, del quale si parla pure in un testo del 1230. Attività di prestito sono documentate dal 1357. Cfr. MUZZARELLI, Rimini e gli ebrei fra Trecento e Cinquecento, «Romagna arte e storia», 16 (1986), pp. 31-48, 32.

7 Cfr. A. RANUZZI, Informazioni sopra il Governo di Rimini [...], Roma, 1660. Il testo è in G. GARAMPI, Apografi. Miscellanea Ariminensis, I, cc. 317-34, Sc-Ms. 227 [1782], BGR; ed è stato trascritto e riprodotto in Rimini dai secoli XV al XIX nei documenti del tempo, II, Rimini, Bacchini, 1979, a cura di A. POTITO, pp. 301-320, 321-357. Qui (pp. 317-318) si cita una «grave causa» della comunità contro il clero cittadino «sopra il pagamento dei pesi» fiscali, «pretendendo gli ecclesiastici» di esserne gravati «più di quello che loro» toccherebbe secondo i beni posseduti, con la precisazione: «ma ora si tratta amichevolmente l’aggiustamento per via di concordia». Della «transazione stipulata» nel 1664 fra i cleri riminesi e la Municipalità si parla in un inedito ed importante testo, Dimostrazione degli utili…, «Rimini. Clero», MMR, spiegando che da essa gli stessi cleri ricavarono «riguardevoli vantaggi». La «transazione» fu

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d’aver visto messa a dura prova la propria pazienza nelle discussioni con gli amministratori riminesi durate «sette, et otto hore continue». E ne ricava l’implicito ammonimento impartito al governatore della città Angelo Ranuzzi, che il «grave sconcerto» in cui versava Rimini è la conseguenza del comportamento di quegli stessi amministratori, «disapplicati» a ben dirigere gli affari pubblici9. Il «tedio» di cui Borromeo parla con Ranuzzi, e che ha sperimentato in quelle discussioni, nasce probabilmente da un fatto: gli amministratori circa la crisi riminese10 avevano opinioni diverse dalle sue, e insistevano sopra un punto particolarmente indigesto al legato ed al clero. La città, secondo gli amministratori riminesi, era stata condotta all’«ultima sua ruina» dalle spese militari imposte pochi anni prima (1641-1644) da Urbano VIII, come la Municipalità spiega alla Congregazione del Buon Governo11.

Anche per motivi meno gravi ma non per questo di minore importanza, Rimini doveva incessantemente discutere sia con il vescovo della città sia con le autorità romane. Basti qualche esempio. Nel 1668 papa Clemente IX scioglie la Congregazione dei Girolamini che a Rimini dal 1517 aveva in affidamento la chiesa della Colonnella, il cui juspatronato era stato riconosciuto nel 1506 da papa Giulio II alla Municipalità12. Il vescovo vuol togliere alla comunità il diritto di nominarne i cappellani13. I consoli ribadiscono alla Congregazione della soppressione14 che già nel 1622 i Girolamini «fecero litigio con il Publico, ma furono costretti a mantenere il jus patronato del Publico». La Congregazione temporeggia. Il vescovo Marco Gallio cerca anche di far «applicare» la chiesa della Colonnella al seminario vescovile, il che appare agli amministratori locali «stravagante e cosa molto

approvata il 2 febbraio 1664 dal Consiglio cittadino (56 voti pro, uno contra) allo scopo di godere «la quiete sì bramata» con gli ecclesiastici. Cfr. AP 869, Atti Consigliari 1655-1676, ASCRn, c. 114r. Nella stessa seduta si donano tremila scudi alla Santa Sede per la guerra in corso e le conseguenti «urgenti necessità» (ivi, c. 113v).

8 Giberto III Borromeo (1615-1672), nato da Carlo III e Isabella (figlia di Ercole e Margherita d’Adda, e vedova di Carlo Barbiano di Belgioioso), studia dai gesuiti a Brera ed a Pavia, dove consegue nel 1636 la laurea in legge. Nel 1638 si trasferisce a Roma. È nominato nel 1644 vice-legato di Ferrara e governatore di Perugia da Urbano VIII (1623-1644). Sotto Innocenzo X (1644-55) entra a far parte della legazione di Avignone (1645), ed è creato cardinale (1652) e protettore dei padri minori conventuali (1654). Da Alessandro VII (1655-67) è inviato in Romagna nel 1657. Cfr. <www.nuovorinascimento.org/rosp-2000/persone/borromeo/borromeo.htm>.

9 Lo scritto di Ranuzzi è paradigmaticamente proposto in P. MELDINI, La formazione del fondo manoscritto della Gambalunga, «I codici miniati della Gambalunghiana di Rimini», Arese, Motta, 1988, p. 10. Il 19 giugno 1660 il Consiglio generale di Rimini concede la cittadinanza onorario a Ranuzzi per il suo «ottimo governo» (pro 46, contra 6, cfr. AP 869, cit., c. 64v/r).

10 Nel 1663 l’Annona riminese censisce 15.392 bocche: 3.183 (20,7%) sono in città ed 889 (5,8%) degli ecclesiastici. Le restanti 11.320 (73,5%) si dividono fra contado e bargellato. Le percentuali di grano e farina disponibili per ogni bocca sono in generale rispettivamente del 2 e dello 0,14. Quelle per il contado, dell’1,3 e dello 0,082. Quelle della città, del 3,9 e dello 0,24. Agli ecclesiastici vanno il 3,6 e lo 0,23. Il contado con il 41% delle bocche, dispone del 26% di grano e del 23% di farina. Le bocche di città (20,7%) dispongono del 40% di grano e del 34,5% di farina. Gli ecclesiastici registrano il 5,8% di bocche, il 10,3 di grano e il 9,3 di farina. Dati elaborati su Descriptio Animarum, etc, «Rimini, Annona frumentaria», MMR.

11 Cfr. doc. 31 in «Rimini, Comune di», MMR. Si tratta della «prima guerra del ducato di Castro» che ci coinvolge nel 1643: il 26 maggio Toscana, Venezia e Modena firmano un trattato per invadere dal Veneto e dalla Toscana lo Stato ecclesiastico proprio in Romagna.

12 Sulla storia della chiesa della Colonnella, cfr. A. MONTANARI, I Padri "della Becca" alla chiesa della Colonnella di Rimini. Documenti (1680-1726) dell'Archivio storico comunale di Rimini conservati nell'Archivio di Stato di Rimini, copia pro manuscripto, 2007, BGR, segn. M.0700.01085, passim.

13 Cfr. sub 10.1.1669 e 27.1.1669, in AP 452, Registro di lettere, 1669, ASCRn. 14 Cfr. ivi, sub 20.2.1669.

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disdicevole»15. Rimini replica a Roma che non potevano esserle tolti i propri diritti né dal vescovo né dal legato né dalla sede apostolica16. La morte di Clemente IX (9 dicembre 1669), e la sede vacante sino al 29 aprile 1670 quando è eletto Clemente X, bloccano la pratica. Soltanto nel gennaio 1671 la città, grazie ai buoni uffici del futuro cardinale Gasparo di Carpegna, pro-datario e vicario generale ma soprattutto ex vescovo di Rimini (1656-1659), ottiene parziale soddisfazione: restava aperto il discorso sui beni della chiesa17. Di una «lite» intercorsa fra la Municipalità ed un Ordine religioso, è traccia in carte relative al monastero di San Giuliano ed alla fiera su cui diremo infra e che si svolgeva nell’omonimo borgo. In occasione di essa i monaci volevano affittare alcune stanze di loro proprietà. La Municipalità si oppone, non ritenendole «opportune ad abitazione di onorati mercatanti», in quanto erano state ridotte dal monastero «a stalle d’animali, et a postriboli di femmine di mondo»18. Indicativa dell’ingerenza romana negli affari cittadini, è una vicenda del 1775: Pio VI, a proposito della gestione della riminese «Eredità Gambalunga», sospende gli effetti del testamento di Alessandro Gambalunga (fondatore dell’omonima biblioteca, dal 1619 la prima in Italia ad essere civica) e, anziché tutelare, come l’atto prevedeva, i diritti di quattro «Luoghi Pii», interviene per riparare alle «tante dissipazioni» e ad una mole «smisurata di debiti» che stavano portando verso la «total ruina» gli eredi di quella famiglia19.

Il governatore Ranuzzi nel 1660 stila un ritratto di Rimini in cui si mescolano sagaci annotazioni ed ammonimenti di pedagogia politica20. Detto che i suoi cittadini sono «più dediti all’amoreggiare, che al combattere», e che «quasi tutti i delitti sono commessi» dai contadini in campagna, Ranuzzi osserva che i nobili per apparire eleganti sperperano con grande facilità tutto il loro patrimonio21. Nessun dubbio esiste circa l’incapacità dei nobili non soltanto riminesi di sapersi amministrare (come i fatti dimostrano ampiamente). Ma Ranuzzi nello scrivere quel ritrattino al curaro era forse guidato soltanto da un suo privato livore verso quanti reggevano la cosa pubblica, piuttosto che dal desiderio di recare un contributo alla comprensione di una società in crisi tremenda anche per colpa della politica romana. L’alleanza fra aristocratici e potere ecclesiastico regge sino all’arrivo dei francesi in Italia nel 1796, mentre una nuova mentalità sta diffondendosi in Europa, sulla scia della bufera dell’Ottantanove con i conseguenti risvolti giuridici e politici22. La contribuzione richiesta dai francesi alle città occupate manu militari è l’occasione per rompere ogni

15 Cfr. ivi, sub 12.5.1669. In quel periodo (1668-69) mons. Gallio era nunzio papale a Napoli,

dopo esser stato (dal 1666) vice reggente della diocesi di Roma e consultore del Sant’Uffizio. 16 Cfr. ivi, sub 26.5.1669. 17 Cfr. ivi, sub 29.1.1671. 18 Cfr. Informationi sopra le giurisdizioni della Fiera, e del Capitano del Porto della Città di

Rimino, AP 626, ASCRn, c. 1v. (Il doc. è post 1625 ed ante 1668.) 19 Cfr. MONTANARI, L’«opulenza superflua degli Ecclesiastici». Nobili, borghesi e clero in lotta per

il «sopravanzo» della contribuzione del 1796. Documenti inediti della Municipalità di Rimini, per una storia sociale cittadina del XVIII secolo, «Studi Romagnoli» LI (2000), Cesena, Stilgraf, 2003, pp. 941-986, p. 953.

20 Cfr. RANUZZi, Informazioni sopra il Governo di Rimini, cit., pp. 302-303. 21 Cfr. Rimini dai secoli XV al XIX, cit., p. 302: «Vi sono molte famiglie antiche e nobili che fanno

risplendere la Città, trattandosi i Gentiluomini con decoro et honorevolezza, con vestire lindamente, far vistose livree et usar nobili carrozze: nel che tale è la premura et il concetto fra di loro, che si privano talvolta de’ propri stabili, né si dolgono di avere le borse essauste di denari per soddisfare a così fatte apparenze».

22 Cfr. MONTANARI, L’«opulenza superflua degli Ecclesiastici», cit., p. 952.

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infingimento e denunciare che i capitali degli ecclesiastici erano «morti, e di solo lusso», in virtù di considerazioni politiche ed economiche che inserivano Rimini nel circuito dei lumi lombardi di Beccaria23.

Se l’ascesa dei «giacobini» locali è la pagina conclusiva di una vicenda che contrappone Municipalità e Chiesa, il momento in cui (un secolo prima) si prende coscienza della necessità di gestire la città seguendo una linea di indipendenza nei confronti di Roma, è il 1670 quando Rimini chiede «un nuovo Ghetto d’Hebrei»24, considerati «necessarissimi»25 all’economia cittadina da decenni in ginocchio. Nel 1666 in Consiglio era stata bocciata analoga proposta26, legata alla nuova fiera27 sul porto autorizzata nel 1656, ripetuta nel 1659 e sospesa nel 1665 dal governatore. Essa riprenderà28 dal 1671 al 1680 con una continua diminuzione del «concorso» di mercanti e compratori29 per cui non porta «se non incomodo» ai commercianti locali30. Soltanto nel 1691 la fiera ritorna31, senza smalto e soprattutto senza gli effetti positivi sperati.

Alla fiera del 1671 (durata undici giorni anziché gli otto previsti), sono presenti otto ditte di ebrei32, tutte del settore tessile-abbigliamento. Tre sono di Ancona, tre di Urbino, due di Pesaro33. Le merci da loro introdotte hanno un valore pari al 28,25% del totale. Gli affari invece sono magri, immaginiamo non per la qualità dei prodotti offerti dagli ebrei, ma per un 23 Al proposito si veda quanto scriviamo sul ruolo di Nicola Martinelli ne L’«opulenza superflua

degli Ecclesiastici», cit., pp. 956-964: si può verificare in momenti anteriori (1763) la sottomissione del potere laico a quello religioso (ivi, p. 959). Sugli eventi riminesi del 1797 e degli anni successivi, cfr. MONTANARI, Fame e rivolte nel 1797. Documenti inediti della Municipalità di Rimini, «Studi Romagnoli» XLIX (1998), Cesena, Stilgraf, 2000, pp. 671-731, e ID., Il furore dei marinai. Crisi istituzionale della Municipalità di Rimini per la rivolta dei "pescatori" (30.5.1799-13.1.1800), «Studi Romagnoli» LIII (2002), Cesena, Stilgraf, 2005, pp. 447-511.

24 Cfr. lettera dei consoli di Rimini all’agente romano Ceccarelli, AP 453, Lettere degli Eletti, 1670, ASCRn, 28.12.1670.

25 Cfr. le missive allo stesso Ceccarelli, AP 453, cit., 19.3.1671 (ove si legge che la città aveva bisogno di uscire da uno stato di «depressione» tentando «i proprij, e più risoluti sollievi») e 9.4.1671.

26 Su questa proposta, cfr. infra. 27 Circa le vicende delle varie fiere riminesi, cfr. nel testo infra. 28 Sulle difficoltà incontrate a Roma per riavere la fiera, cfr. AP 453, cit., lettere del 13.7, 4 e

18.12.1670. 29 Nel 1678 «per non essere seguiti li raccolti» non c’è disponibilità di moneta per gli affari della

fiera: cfr. AP 871, Atti del Consiglio 1676-1684, ASCRn, sub 25.4.1678. Circa la crisi economica, cfr. pure lettera a Papei, 24.2.1669, AP 452, cit.; ed il divieto legatizio per l’esportazione del pesce (26.3.1669) la quale privava il clero di cibo in quaresima, AP 896, Registro de' Bandi e Patenti (1621-1694), ASCRn, c. 198r.

30 Cfr. AP 871, cit, ivi. 31 La decisione è presa il 17.6.1690: cfr. AP 873, Atti del Consiglio Generale, 1684-1702, ASCRn,

c. 105v.; ed il doc. 39, «Rimini, Comune di», MMR. 32 Le loro undici presenze sono il 17,74% di quelle dell’intero settore, pari a 62 presenze su 168

ingressi complessivi in fiera. Il settore tessile-abbigliamento vende il 43% circa delle proprie merci, contro una media generale del 47% circa. La media di vendita degli ebrei è del 16,82%. I prodotti più richiesti, escludendo gli alimentari su cui ci sono dati parziali, sono gli strumenti di lavoro (67,44%). Nella merceria la vendita media è del 41%.

33 Tra le 47 provenienze dei mercanti indicate (in 120 delle 160 registrazioni, cfr. Simone Leonardi, Nota di tutte le merci vendute sulla fiera del porto, 1671, AP 836 [ora busta 1974], ASCRn), Cesena ha 12 mercanti, San Mauro 8, Milano 7, Bologna, Pesaro, Savignano ed Urbino 6, Santarcangelo 5, Gatteo e Pergola 4, Ancona, Forlì, Monte Colombo, San Marino, Sogliano e Venezia 3, Camerino, Fabriano, Iesi, Monte Grimano, Pizziegitone, Rimini, Verona 2, Caioletto (S. Agata Feltria), Cantiano, Chioggia, Comacchio, Faenza, Forlimpopoli, Francia, Friuli, Gambettola, Macerata, Macerata di Monte Feltro, Matelica, Meldola, Monte Scudolo, Montiano, Padova, Piacenza, Reggio, Sant’Angelo in Vado, Santa Sofia, Spoleto, Stia, Talamello e Valle Lagarina 1 mercante.

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pregiudizio religioso nei loro confronti. Dei 5.914 scudi dichiarati come valore delle merci entrate, le otto ditte di ebrei vendono soltanto il 16,82%, pari a 995 scudi34, cioè il 10,16% del venduto totale della fiera, pari a 9.787 scudi. Nel 1693 alcuni ebrei che erano «soliti a venire a servire con le loro mercanzie» a Rimini prima che fosse loro proibito «d’alcun tempo in qua», ottengono di poter inoltrare al papa un memoriale per farvi ritorno35. Essi sostengono che «l’avergli levato il libero commercio» ha provocato alla città un «danno comune».

La questione ebraica è una specie di cartina di tornasole nell’analisi dei due fronti: quello statuale-religioso da una parte, e dall’altra quello amministrativo locale. Il potere statuale-religioso (centrale e periferico) appare rigorosamente vessatorio ed intollerante man mano che si scende dai vertici ecclesiastici alla base del clero. A sua volta il clero influenza e condiziona il comportamento ostile delle masse popolari verso gli ebrei, fatti oggetto di scherno e violenze. Il governo cittadino ad un certo punto tenta di realizzare una propria politica autonoma da Roma nei confronti degli israeliti, non in nome di astratti princìpi ma in virtù di concretissime ragioni di generale convenienza economica. I mercanti ebraici scrivono il loro memoriale nel 1693, l’anno dopo che a Ferrara (la cui realtà economica era caratterizzata dalla predominanza del ceto ebraico36), è stato introdotto dal legato Giuseppe Renato Imperiali il «libero commercio» dei grani, anche se per soli dodici mesi, nella provincia e fuori di essa37, ripetendo analogo provvedimento pontificio di Clemente IX (1667-69). Il libero commercio (già realizzato a Rimini nel 1468 sotto il governo di Isotta, Roberto e Sallustio Malatesti per mercanti cittadini e forestieri), sarà riconosciuto nello Stato della Chiesa, per eliminare il contrabbando38, dalla Constitutio di Benedetto XIV nel 1748, in cui si dichiara come la sua proibizione nel passato fosse stata eseguita dalla Inquisizione «con tale asprezza» da rovinare le «povere» famiglie di «buona parte de’ Possidenti, coloni e contadini»39.

2. Per «un nuovo Ghetto d’Hebrei» Su questo sfondo possiamo rievocare un emblematico episodio del

1660. L’«Hebreo Servadio»40 è fatto prigioniero per esser stato trovato a 34 Gli anconetani vendono 110 scudi su 144 dichiarati; i pesaresi 450 su 1.500, gli urbinati 435

su 4.270. 35 Cfr. AP 873, cit., «Memoriale di alcuni Ebrei», 14.2.1693, c. 144r. 36 Gli ebrei sono presenti a Ferrara dal 1275. Tra fine del XV sec. ed inizio del XVI, gestiscono

quattro banchi. Nel 1598 molti di loro abbandonano la città e seguono gli esuli estensi a Modena. Nel 1599 ottengono nuovi «capitoli» per la loro attività di prestito che si svolge dove nel 1627 è poi realizzato il ghetto. Il 6 dicembre 1683 tale attività è proibita dal legato Nicolò Acciaioli. Sino ad allora c’era stata «impossibilità da parte dei legati e della città di rinunciare ai servizi offerti dai banchieri ebrei». Cfr. M. CORBO, Alfin si fece: il monte di pietà di Ferrara, «Sacri recinti del credito. Sedi e storie dei Monti di pietà in Emilia-Romagna», a cura di M. CARBONI, M. G. MUZZARELLI e V. ZAMAGNI, Venezia, Marsilio, 2005, pp. 151-167, passim.

37 Cfr. G. TOCCI, Le Legazioni di Romagna e di Ferrara dal XVI al XVIII secolo, «Storia della Emilia Romagna», 2, Bologna, University Press, 1977, p. 95.

38 Sul fenomeno del contrabbando di grano a Rimini, cfr. un doc. del 1696, «Astalli, card., 1696-1716», MMR.

39 Alla Constitutio nel 1749 tenne dietro un Moto proprio. 40 Cfr. Rimini dai secoli XV al XIX, cit., I, pp. 84-85. I docc. sulla vicenda sono qui riprodotti

parzialmente. Cfr. G. L. MASETTI ZANNINI, Legazione, governo e magistrato nella Informazione di Angelo Ranuzzi governatore di Rimini (1659-1660), «La legazione di Romagna e i suoi archivi. Secoli XVI-XVIII», a cura di A. TURCHINI, Cesena, Il ponte vecchio, 2006, pp. 419-427: a

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Rimini «senza licenza di dimorarvi», assieme al «suo amico» David. Salvato dalla pena corporale dei «tre tratti di corda» per intervento presso il vicario vescovile, del signor «Girolamo Giordani, gentilhuomo di Pesaro»41 di passaggio a Rimini, Servadio è multato di dodici scudi destinati alla curia e di due scudi per la cancelleria. L’intera somma è pagata per lui da «un tal Gioseffo Montefiore hebreo di Pesaro»42. Servadio e David inviano un memoriale di protesta al Sant’Offizio. Il quale chiede al governatore riminese Ranuzzi «una sincera, ed esatta informazione della verità del fatto»43. Nel frattempo il vicario vescovile di Rimini ottiene da Servadio la dichiarazione di non aver presentato alcun ricorso a Roma. Ma Roma ordina a Ranuzzi che siano restituiti a Servadio i dodici scudi della multa44, con la spesa di uno scudo per lo «zoco» (emolumenti della cancelleria). Ranuzzi esegue ed informa Roma della richiesta fatta a Servadio dal vicario per la smentita circa il memoriale inoltrato dall’ebreo al Sant’Offizio. Richiesta a cui Servadio s’è sottomesso per evitare ulteriori fastidi. Dieci anni dopo, nel 1670, la Municipalità inoltra inutilmente al papa la richiesta di concedere la «facoltà di poter eriggere in questa Città un nuovo Ghetto d’Hebrei»45, giustificandola con la necessità di portare «sollievo» economico a Rimini per mezzo di un «qualche poco» di commercio, fondamentale per una ripresa nelle «presenti contingenze della nuova fiera» per la quale gli ebrei sono ritenuti «necessarissimi»46. La vicenda economica locale s’intreccia con la più generale questione ebraica. Partiamo da quest’ultima, riassumendola in ordine cronologico.

Il 10 giugno 1432 Galeotto Roberto Malatesti ottiene da papa Eugenio IV un «breve» che impone agli ebrei riminesi il «segno» di distinzione obbligatorio, del resto già introdotto dal IV concilio lateranense del 1215 sotto Innocenzo III: una rotella di stoffa gialla cucita sulla parte sinistra del petto. Nel 1433 il podestà di Cesena adotta analogo provvedimento, valido anche per Bertinoro e Meldola. Il signore di Cesena Domenico Malatesta Novello, dietro supplica di due banchieri ebraici, Masetto Angeli e Leone Zenatani, ordina la revoca del provvedimento, per mantenere buoni rapporti con la società israelitica tanto utile alla città con i propri traffici mercantili e monetari. Nel 1501 nasce a Rimini il «Sacro Monte della Pietà» per fare concorrenza ai prestatori ebraici47. Due assalti ai loro banchi avvengono nel 1429 e nel 1503. Nel 1510 è concessa loro l’autorizzazione a «facere bancum imprestitorum», cioè di svolgere legalmente attività finanziaria48.

p. 426, nota 30, troviamo indicate tutte le Carte Ranuzzi dell’ASBo (Archivio Ranuzzi, Carte politiche, tomi III, IV) relative al nostro argomento, cfr. infra.

41 Cfr. le citt. Carte Ranuzzi, III, c. 335, lettera di Ranuzzi al card. Antonio Barberini, 11.3.1660. La risposta di Barberini (IV, c. 975) è del 15.3.1660.

42 Cfr. ivi, III, lettera di Ranuzzi al card. Barberini, 18.3.1660, c. 340. A proposito del cognome di «tal Gioseffo Montefiore», va detto che si tratta di un toponimo relativo ad un paese del Riminese, in cui la presenza ebraica risale al sec. XIV: cfr. MUZZARELLI, Rimini e gli ebrei fra Trecento e Cinquecento, cit., pp. 35-36. Cfr. infra, nota 45.

43 Cfr. le citt. Carte Ranuzzi, IV, c. 801, lettera del card. Antonio Barberini, 19.2.1660. 44 Cfr. ivi, c. 975: è la cit. risposta di Barberini del 15.3.1660. 45 Cfr. lettera dei consoli di Rimini all’agente romano Ceccarelli, AP 453, cit., 28.12.1670. 46 Cfr. le missive allo stesso agente Ceccarelli, AP 453, cit., 19.3 e 9.4.1671. 47 Nel 1471 il Monte era già nato a Montefiore Conca, nel 1487 a Cesena ed il 15 gennaio 1492 a

Ravenna da dove contestualmente gli ebrei sono cacciati, dopo il 2 aprile 1492 quando è imposto il segno distintivo, e prima dell’ottobre 1493. Cfr. Sacri recinti del credito, cit., pp. 14, 28, 30, 224. L’apertura dei Monti in tutto il territorio emiliano-romagnolo è la premessa per una politica forte contro gli ebrei.

48 Dal 1511 Emanuelino ed Angelo da Foligno per il loro banco pagano alla Municipalità una tassa annua di 400 lire.

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A Rimini il 13 aprile 1515 il Consiglio generale, preso atto che gli ebrei sono visti in città «ut inimicos»49, approva all’unanimità tre provvedimenti: chiedere licenza al papa di bandirli; far loro pagare le spese50 per i soldati a piedi ed a cavallo «qui condotti, e trattenuti per guardia de gli Ebrei» medesimi51; ed infine stabilire «che nell’avvenire volendo detti Ebrei continuare l’habitatione in questa Città, portassero il capello, o la beretta gialla»52. Restano disattesi questi ordini del segno distintivo se nel 1519, dietro istanza di frate Orso dei Minori di San Francesco53, essi sono ripetuti in obbedienza anche ai «decreti del Sacro Concilio» lateranense del 1215. Gli ebrei richiedono di non essere costretti alla berretta od alla benda gialle (secondo il sesso), ma di recare semplicemente un segnale sul mantello54. La città ricorre al papa «da cui fu commandato, o che quelli partissero da Rimini, overo obbedissero alla Città»55. Circa i soldati usati nel 1515 «per guardia de gli Ebrei», va precisato che essi forse sono parte dei seicento armati impiegati nel 1510 (per volere del papa, a causa di risse e disordini politici); oppure dei «nuovi fanti» giunti nel febbraio 1513 «per la custodia della città», afflitta da violenze continue d’ogni sorte, e delle guardie destinate a frenare i «faziosi» del contado (maggio 1513), per le quali è creata una nuova tassa. Si può ipotizzare che nel 1515 si vogliano far pagare alla comunità ebraica le spese militari registrate negli ultimi cinque anni. Soprattutto perché in quell’anno «fra gli altri mali eravi quello, di tutti forse peggiore, della mancanza di pecunia»56.

Nel 1540 la Municipalità è costretta ad intervenire per difendere gli ebrei, con l’intimazione ai cristiani di non colpirne le case ad usci e finestre. Il 22 luglio 1548 il Consiglio generale obbliga gli ebrei riminesi57 a non

49 Cfr. AP 853, Atti del Consiglio 1510-1517, c. 243r, ASCRn. Nel 1442 Eugenio IV ha pubblicato

una «bolla» per interrompere ogni rapporto economico fra ebrei e cristiani, ordinando agli «infedeli» di vivere isolati e segregati, di portare il solito segno distintivo, di restituire le usure percepite e di non esigerne più per il futuro. Cfr. R. SEGRE, Gli ebrei a Pesaro sotto la signoria dei Della Rovere, «Pesaro nell’età dei Della Rovere», Venezia, Marsilio, 1998, pp. 133-165, 157-158. Nel 1462 per la fabbrica del Tempio Sigismondo ottiene un prestito da Abramo figlio di Manuello di Fano (cfr. A. VASINA, La società riminese nel Quattrocento, «Studi malatestiani», Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1978, p. 62). Sui rapporti fra Malatesti e finanza ebraica, cfr. A. FALCIONI, La Signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesti, 1. L’economia, Rimini, Ghigi, 1998, pp. 158-161: EAD, Appendici, «Galeotto Roberto Malatesti» di A. G. LUCIANI, Rimini, Ghigi, 1999, pp. 127-129. Qui il doc. 6 (28.9.1430, p. 129) ricorda che gli ebrei a Fano «non vogliono prestare» non fidandosi dei Malatesti: viene da chiedersi se tra questo atto ed il «breve» del 1432 esista un rapporto di causa ed effetto.

50 Nel 1489 a carico loro era stata decisa un’imposta destinata a finanziare la difesa costiera contro i Turchi.

51 Cfr. C. CLEMENTINI, Raccolto istorico, II, Rimini, Simbeni, 1627, p. 663. Carlo Tonini, nella continuazione dell’opera del padre Luigi, invece scrive di un «tumulto per cagione degli Ebrei», del quale si ignorano i motivi, aggiungendo tuttavia che i militi erano stati chiamati in città a «difesa» degli israeliti visti «quali nemici della Religione e promotori di scandali nel popolo». Cfr. C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, vol. VI, 1, Rimini, Danesi già Albertini, 1887, pp. 133-134; vol. VI, 2, Continuazione e Appendice di documenti, 1888, p. 750.

52 Cfr. CLEMENTINI, Raccolto istorico, II, cit., p. 663. Per le donne il successivo 28 aprile è introdotta la regola di recare una benda gialla in fronte. Nel contempo si fa loro divieto di porre sul capo i mantelli. Cfr. AP 853, cit., c. 243r.

53 Cfr. CLEMENTINI, Raccolto istorico, II, cit. p. 670; C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 1, cit., p. 156 (senza il particolare relativo a frate Orso).

54 Si veda la ricordata rotella di stoffa sulla parte sinistra del petto. 55 Cfr. CLEMENTINI, Raccolto istorico, II, cit., p. 670. 56 Cfr. C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 1, cit., p. 133; la fonte è in AP 853, cit.,

22.3.1515, c. 241v. 57 La prima sinagoga è attestata dal 1486. Il cimitero ebraico è realizzato fra 1506 e 1507. Nel

1520 esso è dato in affitto ad un cristiano che s’impegna a creare le fosse «pro sepulturis

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abitare fuori delle tre contrade dove già si trovavano (San Silvestro, Santa Colomba e San Giovanni Evangelista). Si anticipa così il provvedimento di papa Paolo IV che con la «bolla» Cum nimis absurdum del 17 luglio 1555 istituisce il ghetto in tutto lo Stato della Chiesa, seguendo il modello realizzato nel 1516 dalla Repubblica di Venezia. Il 27 marzo 1549 agli ebrei è imposta una contribuzione straordinaria per il Monte di Pietà58. Al quale però gli stessi ebrei non possono accedere59. La «bolla» pontificia del 17 luglio 1555 induce la nostra Municipalità il successivo 20 agosto a delimitare la zona in cui agli ebrei è permesso di risiedere, ovvero la sola contrada di Sant’Andrea60 corrispondente all’odierna via Bonsi, in un tratto che va dall’angolo degli attuali Bastioni Occidentali (detti allora «Costa del Corso») sino all’oratorio di Sant’Onofrio. All’inizio ed alla fine del ghetto erano stati posti due portoni. Nel 1557 il ghetto è già realizzato. Vi si trasferiscono i dodici nuclei famigliari esistenti in città61. Nel 1562 la Municipalità proibisce (29 aprile) ai cristiani di abitare nella contrada degli ebrei62, ma autorizza (14 ottobre) il ricco ebreo Ceccantino di avere casa «extra ghettum»63. Sabato 26 febbraio 1569 Pio V dà il bando agli ebrei da tutte le sue terre entro tre mesi, ad eccezione di Roma e d’Ancona64.

Rimini va controcorrente. Il 9 dicembre 1586 il Consiglio generale autorizza gli ebrei con licenza di abitare nello Stato della Chiesa, a risiedere nel ghetto cittadino65. Il 22 dicembre 1586 essi chiedono allo stesso Consiglio di poter continuare a vivere «familiariter» a Rimini al di fuori del luogo detto «il ghetto», dove si rifiutano di permanere. Non ricevono risposta, a quanto risulta dalle carte66. Soltanto il 19 settembre 1590 in Consiglio67 è presentata la proposta di approntare gli strumenti giuridici per cacciare dalla città gli ebrei che non l’hanno ancora abbandonata, e che sono equiparati a «vagabondi e forestieri». Approvata a larghissima maggioranza, la decisione è destinata a restare senza risultato, grazie ad una aggiunta secondo cui l’espulsione sarebbe avvenuta nel «caso si potesse e vi fosse Motu proprio o Breve pontificio». Il cavillo giuridico contraddiceva l’esito del

Hebreorum pauperum et miserabilium decedentium in Civitate»: non tutti nella comunità ebraica riminese erano di ceto economicamente elevato o medio. Per altre notizie, cfr. MONTANARI, Ebrei, le sinagoghe e il cimitero, «il Ponte», Rimini, XXX (44), 11.12.2005, p. 24.

58 Cfr. AP 859, Libro de’ Consigli, 1546-155, ASCRn, c. 97r. 59 Cfr. i Capitoli del Sagro Monte della Pietà sinora noti (1582, 1756, 1768 e 1772, AP 605 [B

1744], Sagro Monte di Pietà. Capitoli, ASCRn), e quelli inediti del 1641 («il prestar denari sopra pegni […] mai per gli Hebrei», «Rimini. S. Monte di Pietà», MMR, c. 2v). Era pure prevista una pena pecuniaria per il cristiano o per il «continuo habitante» di Rimini che s’impegnasse «per servigio di qualche hebreo» (art. 24, 1582, e poi nei successivi «capitoli» citt.). Cfr. L. MASOTTI, Sotto la loggia del palazzo, passate le prigioni. Quattro secoli di prestito su pegno nella città di Rimini, «Sacri recinti del credito», cit., pp. 253-262; sui divieti per gli ebrei, p. 257; sui «capitoli», p. 261.

60 Tale contrada non va confusa con l’omonimo borgo di Sant’Andrea, posto fuori delle mura verso Sud e pure conosciuto da fine Ottocento come «borgo Mazzini» (cfr. MONTANARI, Rimini. Dall’Italia all’Europa, 1859-2004, «Storia di Rimini. Dall’epoca romana a capitale del turismo europeo», Rimini, Ghigi, 2004, p. 271).

61 Il dato si ricava da atto notarile del 1556 (richiesta delle abitazioni necessarie ed adatte alle singole esigenze, per non risultare inadempienti alla «bolla» papale). Cfr. C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, vol. VI, 2, cit., p. 758.

62 Cfr. AP 859, cit., c. 122v. 63 Ivi, cc. 128v-129r. 64 La «bolla» Hebraeorum gens sola (1569) di Pio V è anticipata nel 1566 dalla Romanus

Pontifex di Pio V, dopo che nel 1562 Pio IV ha attenuato le norme di Paolo IV del 1555. 65 Cfr. AP 862, Atti del Consiglio 1581-1591, ASCRn, c. 165. 66 Ivi, c. 167. 67 Ivi, cc. 309v-310r.

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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voto stesso. Gli ordini papali c’erano già (bando del 26 febbraio 1569), ma non erano stati applicati. Nel 1593 Clemente VIII delibera l’espulsione definitiva degli ebrei dallo Stato della Chiesa, fatta di nuovo eccezione per Roma ed Ancona, sulla scia del provvedimento di Pio V del 1569.

A Rimini gli ordini di Clemente VIII restano disattesi se gli ebrei sono ufficialmente scacciati dalla città soltanto nel giugno 1615, quando una rivolta popolare (favorita dall’atteggiamento della Chiesa locale, in modo particolare dei padri Girolamini o Romiti di Scolca68 e di alcuni nobili69) distrugge il loro ghetto posto «in Via S. Andrea o S. Onofrio, e in quella occasione si vide l’odio popolare contro quella gente»70. Nel 1624, per combattere «la pernizie che suol apportare a Christiani la frequenza, e la continua pratica» con gli ebrei, è pubblicato da Roma un bando che proibisce loro il domicilio nello Stato ecclesiastico, ma non il soggiorno in qualsiasi luogo o città «per occasioni di mercantie»71 secondo la regola introdotta dal ricordato Clemente VIII (il fanese Ippolito Aldobrandini, 1592-1605) per periodi massimi di tre o quattro giorni. Il 15 maggio 1656 a Rimini un «Gentilhuomo Hebreo di questa Città» (forse un componente della famiglia Gentilomo, attestata a Pesaro), si fa mallevadore di «un tal Hebreo Banchiere, di cui si dirà a suo tempo», al quale è concesso di aprire un banco con la facoltà di tenere presso di sé la famiglia72. Il 16 giugno 1666 il Consiglio generale boccia (pro 14, contra 31) la ricordata proposta di chiedere al papa di ricostituire il ghetto ad «utile e beneficio» della città73. La richiesta va inquadrata nella situazione storica dello Stato della Chiesa ed in quella geografica particolare di Rimini. La città è sulla linea commerciale che dalle coste marchigiane porta a quelle ferraresi, entrambe controllate da mercanti ebraici. I dominii estensi74 nel 1598 sono passati sotto il governo di Roma, come accadde a Pesaro nel 1631, dopo che è cessato il potere roveresco75 per la morte di Francesco Maria II.

Nel 1693 gli ebrei cambiano politica. Non lasciano decidere al Consiglio generale come nel 1666, ma chiedono ad esso di essere autorizzati

68 Costoro convincono il cardinal legato Domenico Rivarola ad ordinare l’abbattimento dei due

portoni del ghetto (11 giugno 1615). I Girolamini di Scolca appartengono al ramo «pisano» fondato nel 1380 da Pietro Gambacorta (1355-1435). Il ramo «fiesolano» è quello degli Eremiti voluto nel 1360 da Carlo dei conti di Montegranelli, sacerdote e terziario francescano. I «pisani» sono presenti a Rimini dal 1430, quando ricevono l’oratorio di san Girolamo fondato sul colle del Paradiso da fra Angelo da Corsica del Terzo Ordine Regolare di San Francesco, su terreno concesso da Carlo Malatesti nel 1393. I «fiesolani» sono arrivati a Rimini successivamente (1517), quando come si è visto è concessa ai padri di Santa Maria degli Angeli di Venezia la nuova chiesa della Colonnella.

69 Tra questi nobili va ricordato un personaggio di spicco nella vita curiale romana ed in quella politica italiana, Giovanni Galeazzo Belmonti, vice gran priore dell’Ordine militare di Santo Stefano. Cfr. Villani, De vetusta Arimini urbe et eius episcopis, Sc-Ms. 174, BGR, c. 290, cit. da C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 2, cit., p. 760.

70 Cfr. C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 1, cit., p. 410. 71 Cfr. AP 896, cit., bando del 9.4.1624. 72 Cfr. AP 869, cit., c. 10v. 73 Cfr. AP 869, cit., c. 153v. Sono consoli Mario Guidoni, Eusebio Cattanei, Giulio Postumi,

Marc’Antonio Melzi, Goffredo Roggieri, Giorgio Diotallevi (che nel 1673 ucciderà il cugino Malatesta Bandi) e Sperandio Sperandii.

74 Nel 1639 papa Clemente VIII ordina a tutti gli ebrei del ducato di concentrarsi nei ghetti di Ferrara, Lugo e Cento, sorti rispettivamente nel 1627 (come si è già visto), nel 1634 e nel 1636.

75 Dopo il 1631 Roma «optò per una espulsione parziale» degli ebrei, conservando tre insediamenti ed istituendo altrettanti ghetti a Pesaro, Urbino e Senigallia. Cfr. V. BONAZZOLI, L’economia del ghetto, «Studi sulla comunità ebraica di Pesaro», a cura di R. P. UGUCCIONI, Pesaro, Fondazione Scavolini, 2003, pp.16-53, p. 17.

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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a rivolgersi direttamente al pontefice per poter ottenere di rientrare in città. Essi fanno presente al Consiglio di avere a Roma un «buon mezzo» per comunicare con il papa. Il 17 febbraio 1693 il Consiglio76 discute il memoriale di quei commercianti ebrei «soliti a venire a servire con le loro mercanzie» a Rimini, e concede loro l’autorizzazione ad inoltrare al pontefice la supplica desiderata. Come sia andata a finire la faccenda a Roma, la Storia non lo dice. Invece i documenti riminesi contengono tra le pieghe altri interessanti elementi. Anzitutto nella votazione del 17 febbraio 1693 (pro 41, contra 2), si rovescia l’atteggiamento dei consiglieri a riguardo della presenza ebraica, rispetto a quella del 16 giugno 1666 per ricostituire il ghetto (pro 14, contra 31). Nel verbale del 17 febbraio 1693 poi si legge che «d’alcun tempo in qua» agli ebrei era stata proibita la dimora in Rimini con «danno comune» sia del Monte della Pietà sia della dogana e di «altro per la loro assenza». Gli israeliti erano dunque tornati ad essere presenti a Rimini dopo il 1615. Nel loro memoriale del 1693 si dichiara che «l’avergli levato il libero commercio» aveva provocato «danni notabili» alla vita cittadina.

3. Le fazioni annientano Rimini Agli ebrei si addossavano responsabilità politiche che invece hanno

altre cause negli eventi riminesi successivi alla scomparsa di Sigismondo Pandolfo Malatesti (9 ottobre 1468). Il breve governo di Isotta, Roberto e Sallustio è diviso sui rapporti con Milano per cui parteggia Roberto, e con Venezia, sostenuta da Isotta e Sallustio. Nell’agosto 1469 le truppe pontificie bombardano con 1.122 colpi la città e distruggono quasi completamente il Borgo Nuovo di San Giuliano. Sallustio l’8 agosto 1470 è ucciso dietro la casa della famiglia Marcheselli a cui apparteneva la giovane della quale egli s’era invaghito77. Ed un cui componente, Giovanni Marcheselli, è accusato del delitto. Linciato dal popolo e ridotto in fin di vita, Giovanni Marcheselli78 è lasciato morire vicino all’anfiteatro. Le autorità fanno bruciare il suo cadavere quattro giorni dopo. I Marcheselli subiscono la condanna dell’esilio. La situazione riminese peggiora nel 1482 alla scomparsa di Roberto «il Magnifico» con la successione del figlio Pandolfo IV detto Pandolfaccio. Dieci anni dopo, il 6 marzo 1492, Raimondo Malatesti, discendente della collaterale «branca Almerici», è ucciso dai figli di suo fratello Galeotto Lodovico, tutore di Pandolfaccio (nato nel 1475). L’uccisione di Raimondo è considerata da Clementini all’origine di tutti i mali che affliggono successivamente Rimini, ovvero «il precipizio de’ cittadini e l’esterminio de signori» Malatesti e della loro casa79. Il 31 luglio 1492 Pandolfo e Gaspare sono utilizzati dal padre Galeotto Lodovico per una congiura contro Pandolfo IV e la sua famiglia. A mandarla all’aria evitando una strage, ci pensa Violante Aldobrandini, seconda moglie dello stesso Galeotto Lodovico e 76 Sono consoli Domenico Tingoli (ultimo discendente maschile dell’illustre famiglia che vantava

ottimi rapporti con Roma), Scipione Diotallevi, Pietro Cima, Federico Tonti, Pasio Antonio Belmonti, Niccolò Paci e Francesco Ugolini.

77 Cfr. G. L. MASETTI ZANNINI, I rami collaterali della famiglia Malatesti, «I Malatesti», Rimini, Ghigi, 2002, pp. 211, 260, 236.

78 Giovanni Marcheselli aveva sposato Simona di Barignano, cugina di Sigismondo Pandolfo Malatesti. Simona era nipote ex fratre di Antonia moglie di Pandolfo IV Malatesti, la quale è pure la nonna di Roberto Malatesti.

79 Cfr. CLEMENTINI, Raccolto istorico, II, cit., p. 566.

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sorella di Elisabetta, madre di Pandolfo IV. Galeotto Lodovico ed il figlio Pandolfo sono uccisi. Gaspare, arrestato e processato sommariamente, è decapitato80. Per circa un secolo, questi omicidi politici continuano «a far colare sangue»81. Nello stesso 1492 le comunità ebraiche di Sicilia82 e Sardegna sono espulse dalla dominazione spagnola che, a partire dal 1505, le caccerà pure dal Regno di Napoli (Napoli, Trani, Nola, Bari). Esse si rifugeranno a Roma, nel Levante, in Turchia ed a Corfù.

Nel marzo 1497 «a Rimano morivano di fame», ricorda il veneziano Marin Sanudo che cita gli aiuti inviati in città dal suo governo, e la visita fatta in laguna da Pandolfo I e sua madre Elisabetta Aldobrandini, sorella del «conte Zoan» da Ravenna, condottiero della Serenissima83. Nel 1508 Rimini assiste ad una congiura «in favore degli ecclesiastici»84, alla vigilia della sconfitta di Venezia (14 maggio 1509) da parte della lega di Cambrai, ed alla cessione della città dalla Serenissima a papa Giulio II (26 maggio) che le dà un nuovo assetto politico con la «costituzione Sipontina»85. In essa si prevede che le tasse degli ebrei restino nella casse municipali86. Agli scontri tra le fazioni cittadine si cerca di reagire durante il periodo di «disordine» del luglio 1512 con l’istituzione dei «signori Venti di Giustizia», ai quali è attribuita «facoltà assoluta di punire, e condannare». Ma neppure essi possono evitare sul finire dello stesso 1512 l’uccisione di Vincenzo Diotallevi, dopo la quale i consoli riminesi il 14 febbraio 1513 decidono (come abbiamo visto) di «condurre nuovi fanti per la custodia della città», ed il 2 maggio chiedono a Roma un governatore «virile» ossia di «petto forte», come chiosa con elegante pudicizia Carlo Tonini87.

Le lotte intestine di Rimini favoriscono l’arroganza del potere centrale di Roma. Una vicenda esemplare, ma non troppo nota, può riassumere simbolicamente la crisi di Rimini dalla morte di Sigismondo a tutto il secolo XVIII. È quella della biblioteca malatestiana di San Francesco. Nata da un progetto del 1430, essa anticipa quella di Cesena, ed è la prima ad essere pubblica88, precedendo l'Ambrosiana di Milano (1609), l'Angelica di

80 Cfr. R. COPIOLI, Gli Agolanti e i Malatesti, e la Tomba Bianca di Riccione, in «Agolanti e il

Castello di Riccione», Rimini, Guaraldi, 2003, p. 105. 81 Ivi, p. 108. 82 La grande persecuzione «raggiunge il culmine negli anni Venti del Cinquecento»: la maggior

parte degli ebrei ha dovuto convertirsi, e «chi non è fuggito o non è stato bruciato ha perduto la propria identità culturale e ogni potere economico a causa della sistematica cancellazione della cultura ebraica e delle confische dei beni eseguite contro i neo-conversi». Cfr. M. S. MESSANA, Inquisitori, negromanti e streghe nella Sicilia moderna (1500-1782), Palermo, Sellerio, 2007, p. 85.

83 Cfr. G. L. MASETTI ZANNINI, I rami collaterali della famiglia Malatesti, cit., pp. 271-272, 304 nota 39.

84 Cfr. CLEMENTINI, Raccolto istorico, II, cit., pp. 620-621; C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 1, cit., p. 54. Clementini (ivi, p. 621) ricorda le scorrerie continue da parte di genti d’arme del papa «predando e uccidendo i contadini».

85 Cfr. C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 2, cit., pp. 836-857. 86 Ivi, p. 842, e ID, Storia di Rimini 1500-1800 VI, 1, cit. p. 66. La tassa sugli ebrei era

solitamente destinata alla Camera apostolica, in quanto essi erano direttamente soggetti alla Santa Sede per volere di papa Paolo II («breve» del 15 gennaio 1466).

87 Cfr. C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 1, cit., p. 125. 88 Questo indiscutibile primato non è mai stato riconosciuto alla biblioteca riminese, un cui

inventario del 1560 conservato a Perugia è in G. MAZZATINTI, La biblioteca di San Francesco (Tempio malatestiano) di Rimini, «Scritti vari di Filologia», Roma, Forzani, 1901, pp. 345-352. Cfr. MONTANARI, Sigismondo, filosofo umanista, «La Signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesti, II. 2, La politica e le imprese militari», Ghigi, Rimini 2006, pp. 319-339, pp. 321-322; ID., Biblioteca malatestiana di San Francesco a Rimini. Notizie e documenti, «il Rimino-

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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Roma (1614) e la stessa Gambalunghiana di Rimini (1619). Essa è lentamente depredata prima da Giulio II nel 1511 e poi a metà Seicento dal vescovo Angelo Cesi. La dispersione del patrimonio che essa conteneva illustra bene il senso di decadenza di una città resa incapace, dalla politica romana e dalle rivalità nobiliari ad essa funzionali, di guardare alle proprie glorie passate per costruire un presente che ne fosse degno.

4. La ricomparsa degli ebrei nel XVIII secolo89 La prima notizia del secolo XVIII relativa alla presenza ebraica a

Rimini, risale al 1775 e riguarda il battesimo di Isacco Foligno, di probabile origine pesarese90. Nel 1796 alla fine di giugno, la contribuzione per i francesi è imposta pure agli ebrei che sono arrestati «onde sottrarli da quegli insulti che una certa malafede del Popolo, avrebbe potuto accagionargli»91. Quelli «dimoranti con negozio da lungo tempo in Rimini»92, temendo, nel «passaggio delle Truppe Francesi», di poter esser «molestati per raggion d'avere per Comando Pontefficio il solito segno nel Capello», ottengono di toglierlo dopo il versamento alla comunità riminese di un «dono gratuito» di cinquecento scudi. In realtà il «dono» è fatto, come scrivono i consoli di Rimini, «in luogo di darci conto del loro peculio, e del valore de rispettivi negozj, come da noi esigevasi». La Municipalità, soddisfatta della generosa offerta, versata oltretutto in moneta e non in oggetti preziosi, tralascia di sottolineare che essa andava contro le leggi. Nel 1799, il 30 maggio, la rivolta dei marinai93, a cui s’accodano quelli che il mercante-cronista Nicola Giangi94 chiama «li birbanti di Città»95, si conclude con il saccheggio anche di due botteghe gestite da ebrei. Il notaio-cronista Zanotti descrive l’episodio come opera degli «insorgenti» antifrancesi che egli (da ferreo legittimista) riesce però a distinguere dai «rivoltosi» i quali, spinti dal «maligno furore della Plebaglia», agiscono contro la cosa pubblica.

Riministoria», aprile 2007, <http://www.webalice.it/antoniomontanari1/bib.malatestiana.rimini.html>.

89 Le notizie seguenti sono tratte da MONTANARI, Gli ebrei di Pesaro a Rimini a fine 1700, «il Ponte», XXXI (21), 11.6.2006, p. 16.

90 Cfr. BONAZZOLI, L’economia del ghetto, cit., p. 30. La notizia è nelle cronache di Michel Angelo Zanotti ed Ernesto Capobelli: cfr. C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 2, cit., p. 752 nota 1. (Capobelli è autore di pettegoli Commentarj, Sc-Ms. 306, BGR: quanto racconta è uno spaccato vivace della realtà riminese; le sue pagine vanno valutate con la massima attenzione, perché non espongono soltanto dati di fatto ma contengono spesso anche interpretazioni tendenziose. Nel 1769, ad esempio, accusa l’Annona di «arricchirsi col vero sangue de’ poveri», e di voler far regnare «una vera carestia».)

91 Sono cinque ditte, intestate a Moisé di Bono Levi, Samuel ed Elcana (recte, Elcanà) Costantini, fratelli Foligno, Samuele Mondolfo, ed Abram e Samuel Levi. Cfr. MONTANARI, Fame e rivolte nel 1797, cit., note 42 e 44, p. 687; AP 502, Copialettere della Municipalità, dal 1° maggio 1796 al 28 febbraio 1797, ASCRn, 22.7.1796.

92 Cfr. documenti vari in AP 999, Carte concernenti le fazioni militari, ASCRn, senza data, ma successivi al 30 giugno 1796.

93 Cfr. MONTANARI, Il furore dei marinai, cit., pp. 447-466. 94 Su Nicola Giangi, cfr. ivi, p. 447 nota 1; e MONTANARI, Aurelio Bertòla politico, presunto

rivoluzionario. Documenti inediti (1796-98), «Studi Romagnoli» XLVIII (1997), Cesena, Stilgraf, 2000, pp. 549-585, 564 nota 26.

95 Cfr. N. GIANGI, Cronaca (1782-1809), Sc-Ms. 340, BGR.

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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In un documento romano del 1793 si parla delle pelli d'agnello commerciate da Abramo Levi96 ed imbarcate proprio a Rimini verso il nord Europa. Abramo Levi aveva per le mani la maggior parte di quel prodotto: «la sua concorrenza suscitava le proteste dell'Università dei pellicciai, ultimi deboli echi di motivi antiebraici delle corporazioni di mestiere»97. Una «fiera delle pelli» si teneva fin dal 1500 a Rimini tra borgo San Giuliano e le Celle98, per la ricorrenza di sant’Antonio dal 12 al 20 giugno. Era seguìta da quella di san Giuliano nata nel 1351 nell’omonimo borgo (dal 21 giugno, vigilia della festa del santo, sino al 22 luglio). Il calendario resta stabile fino all’inizio del 1600, quando soprattutto a causa delle carestie, le due fiere sono spostate fra settembre ed ottobre99, inglobando pure quella detta di san Gaudenzio100 nata in ottobre nel 1509101. La concentrazione delle tre fiere in un unico appuntamento (successivamente tra 8 settembre ed 11 novembre102), è l’effetto del declino commerciale ed economico della città, a cui non si sa reagire. Nel 1627 esse come unica «fiera generale» sono anticipate dal 15 agosto al 15 ottobre, e nel 1628 ritornano dall’8 settembre all’11 novembre103. Nel 1630 è sospesa la «fiera delle pelli» per la pestilenza104, preceduta da due anni di carestia. Nel 1656 nasce invece la ricordata fiera di sant'Antonio sul porto, dal 6 all’11 luglio (riscoperta soltanto di recente105). Nello stesso anno, come abbiamo visto, a «un tal Hebreo Banchiere» si concede di aprire un banco portando con sé la famiglia a Rimini. Di lui si fa mallevadore quel «Gentilhuomo Hebreo di questa Città» che, per quanto sconosciuto nella sua precisa identità, resta come simbolo di una verità evidente ma taciuta. Quella appunto sottolineata da Maria Grazia Muzzarelli, e che abbiamo ricordato all’inizio: gli ebrei sono stati considerati «da sfruttare sempre, tollerare a tratti e vessare ogni volta che» ce ne fosse politicamente bisogno.

96 Cfr. R. SEGRE, Gli Ebrei a Ravenna nell’età veneziana, «Ravenna in età veneziana» a cura di D.

BOLOGNESI, Ravenna, Longo, 1986, p. 172. 97 Ivi. 98 La fiera s’estendeva dal ponte di Tiberio o della Marecchia (dove erano allestite botteghe di

legno) sino al torrione del monastero del Monte della Croce alle Celle, posto lungo la strada per Cesena (lato a monte) poco dopo il bivio con la via per Ravenna. È la zona del Borgo Nuovo di San Giuliano distrutto, come si è visto, nel 1469.

99 Cfr. R. ADIMARI, Sito riminese, Brescia, Bozzòli, 1616, II, p. 9. 100 Sino al 1538 la fiera si tiene fuori dalla porta di San Bartolo (cfr. C. TONINI, Storia di Rimini

1500-1800, VI, 1, cit., p. 251). Tale porta sorgeva verso la attuale Flaminia uscendo dall’arco d’Augusto, il quale apparteneva al quartiere di Sant’Andrea ed anticamente aveva fatto «l’ufficio di porta, e perciò fu detto porta di San Genesio, e di San Bartolo»: cfr. L. TONINI, Rimini dopo il mille, Rimini, Ghigi, 1975, pp. 128-130. Dopo il 1538 la fiera è spostata alla piazza maggiore, ossia nell’antico foro romano, «propter ruinam» dello stesso borgo di San Gaudenzio, provocata dalle ultime guerre con i Malatesti (C. TONINI, ivi).

101 Cfr. C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 2, cit., p. 865. 102 Cfr. C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 1, cit., p. 455: talora qui date e nomi delle fiere

sono riportati erroneamente, rispetto a quanto si trova in due documenti del cit. AP 626: il primo è Fiere, e Mercati (1768); il secondo, le già citt. Informationi sopra le giurisdizioni della Fiera.

103 Cfr. C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 1, cit, pp. 416, nota 1, e 455. 104 Cfr. C. TONINI, Storia di Rimini 1500-1800, VI, 2, cit., p. 459. 105 Cfr. M. MORONI, Il porto e la fiera di Rimini in età moderna, «Tra San Marino e Rimini: secoli

XIII-XX», San Marino, Centro Sammarinese di Studi Storici, Università degli Studi, 2001, pp- 43-93, p. 75; A. SERPIERI, Il porto di Rimini dalle origini ad oggi tra storia e cronaca, Rimini, Luisè, 2004, p. 71.

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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FIERA DI RIMINI 1671. QUADRO STATISTICO GENERALE

Tipologia merci

Italiani ingressi

Stranie-ri ingressi

«Hebrei» ingressi

Merci Dichia-rate

Merci vendute

% Ingressi valore non dich.

Totale In-gressi

Abbigl. 49 1 11 15.642 6.683 42.72 1 62 Mercerie 14 1.841 757 41,18 0 41 Strum. lav. 59 3.363 2.268 67,44 2 61 Alimentari 5 55 55 100,00 26 31 Totale ingressi

127

1

11

29

168

Totale merci

20.901

9.763

46,71

Nel calcolo delle merci si è tenuto conto soltanto di quelle dichiarate

(139 ingressi su 168). Statistiche riguardanti i settori merceologici. Tutti i dati si

riferiscono a 139 presenze su 168, cioè a quelle per cui è stato dichiarato il valore delle merci introdotte in fiera. Le percentuali sono arrotondate per eccesso.

Il settore tessile-abbigliamento introduce in fiera il 75% di tutti i prodotti e ne vende il 69% (ovvero il 43% dei propri). Seguono gli strumenti di lavoro (16% di entrate, 23 di vendite), e le mercerie (9% di entrate, 8 di uscite). Gli alimentari costituiscono lo 0,26% di entrate e lo 0,56% di vendite.

Se il settore tessile-abbigliamento vende il 43% delle merci dichiarate in entrata, gli ebrei (undici persone di otto ditte, tutti nel settore tessile-abbigliamento) vendono soltanto il 17% circa.

La percentuale media, su tutti i settori, delle merci vendute rispetto a quelle offerte, è del 47% circa. I valori sono espressi in scudi.

DATI RIGUARDANTI GLI EBREI (VALORE IN SCUDI)

Città di provenienza

Valore del venduto Valore introdotto % del venduto

Ancona 110 144 76,38 Pesaro 450 1.500 30.00 Urbino 435 4.270 10,18 Totale 995 5.914 16,82

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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FIERA DI RIMINI 1671. QUADRO STATISTICO GENERALE

TIPOLOGIA MERCI

ITALIANI INGRESSI

STRANIERI INGRESSI

EBREI INGRESSI

MERCI DICHIA- RATE

MERCI VENDUTE

% INGRESSI, VALORE NON DICH.

IN-GRESSI TOT.

Abbigl. 49 1 11 15.642 6.683 42.72 1 62 Mercerie 14 1.841 757 41,18 0 41 Strum. lav. 59 3.363 2.268 67,44 2 61 Alimentari 5 55 55 100 26 31 Totale ingressi

127

1

11

29

168

Totale merci

20.901

9.763

46,71

Nel calcolo delle merci si è tenuto conto soltanto di quelle dichiarate (139 ingressi su 168).

Statistiche riguardanti i settori merceologici. Tutti i dati si riferiscono a 139 presenze su 168, cioè a quelle per cui è stato dichiarato il valore delle merci introdotte in fiera. Le percentuali sono arrotondate per eccesso.

Il settore tessile-abbigliamento introduce in fiera il 75% di tutti i prodotti e ne vende il 69% (ovvero il 43% dei propri). Seguono gli strumenti di lavoro (16% di entrate, 23 di vendite), e le mercerie (9% di entrate, 8 di uscite). Gli alimentari costituiscono lo 0,26% di entrate e lo 0,56% di vendite.

Se il settore tessile-abbigliamento vende il 43% delle merci dichiarate in entrata, gli ebrei (undici persone di otto ditte, tutti nel settore tessile-abbigliamento) vendono soltanto il 17% circa.

La percentuale media, su tutti i settori, delle merci vendute rispetto a quelle offerte, è del 47% circa.

DATI RIGUARDANTI GLI EBREI (VALORE IN SCUDI)

Città di provenienza

Valore del venduto Valore introdotto % del venduto

Ancona 110 144 76,38 Pesaro 450 1.500 30.00 Urbino 435 4.270 10,18 Totale 995 5.914 16,82

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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VI. SUSSULTI SOCIALI E CRISI ECONOMICA NEL 1600106

1. Qualche fiera ed un terremoto disastroso Il 13 dicembre 1600, festa di santa Lucia, entra in Roma «con magnifica pompa» la «Confraternita di Santa Maria in Acumine» di Rimini, composta da 180 «fratelli nobili» vestiti con un lungo sacco nero e preceduti da uno stendardo costato ben duemila scudi d’oro. Tra loro c’è lo storico Cesare Clementini. Nella sua cronaca ricorda i conterranei che hanno avuto un ruolo nell’organizzazione ecclesiastica quali capitani, maestri di Camera, canonici di San Pietro, segretari secreti, inquisitori, vescovi, cardinali, nunzi. Come a dire: se Roma è «caput mundi», la nostra città vi gravitava con un ruolo privilegiato.

La «magnifica pompa» del corteo contrasta con le condizioni in cui vive Rimini. Nel 1601 il Consiglio generale discute dei danni provocati dalle eccessive spese per il lusso del vestire e per i funerali. Un’altra piaga affligge la comunità, il gran numero di cialtroni e vagabondi. Sin dalla metà del Cinquecento il vagabondaggio è un problema europeo, legato soprattutto alle carestie. C’è chi lo interpreta secondo l’antica tradizione cristiana che vede nei poveri dei fratelli da aiutare. Altri, come certi cattolici e soprattutto i protestanti, sostengono che i poveri meritano soltanto il castigo. Alla condizione di povertà dei vagabondi s’avvicina l’amministrazione pubblica di Rimini per la mancanza del denaro necessario alle spese locali ed alle imposizioni governative, come le riparazioni al porto di Civitavecchia.

2. Carestie, pesti e guerre Le carestie sono frequenti in tutto il continente. Conseguenze disastrose hanno quelle del 1594-1597 e del 1659-1662. Da Roma nel 1558 si era scritto: «Nulla di nuovo qui, tranne il fatto che ci sono delle persone che muoiono di fame». Dopo di che si descriveva un banchetto culminato in statue fatte di zucchero. Lo stesso abbagliante contrasto tra vita comune e feste pubbliche si registra a Rimini. Nel 1627 l’arrivo del nuovo vescovo Angelo Cesi (fratello di Federico, fondatore dell’Accademia dei Lincei nel 1603), mette in angustia gli amministratori civici «per quel male perpetuo e irrimediabile della borsa esausta» (C. Tonini). E per onorare il duca di Toscana si sborsano 1.048 scudi. In prestito se ne trovano soltanto 600. Tre anni dopo ne occorrono 3.650 per organizzare il cordone sanitario contro la peste arrivata ad Imola.

Carestie, pestilenze e guerre (lontane, ma segnalate in loco dai continui, costosi passaggi di truppe), sono i mali che affliggono pure la 106 Si tratta di due pagine speciali preparate nel 2006 per un settimanale locale, e poi non

pubblicate per motivi indipendenti dalla mia volontà.

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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nostra città. Un conflitto (contro il duca di Parma) che nel 1630 svanisce a causa della peste, mette in crisi il capitano Lorenzo Tingoli. Aveva assoldato a sue spese una compagnia di corazze sperando di fare la solita fortuna d’ogni campagna militare che per gli altri seminava miseria e morte.

Scarso raccolto è segnalato nel 1606. Epidemie in bovini, pecore e porci, nel 1611. In tutta la regione è avvertibile un processo d’involuzione a partire dal 1618-19. Nel biennio 1628-29 una carestia prelude alla peste del 1630. Per un’altra «straordinaria carestia» nel 1648 (C. Tonini) il governatore di Rimini vive «in grandissime angustie», come lui stesso scriverà più tardi, «perché quel popolo nemico della nobiltà, minacciava sollevarsi». Ma per l’anno successivo (1649) monsignor Giacomo Villani ricorda una rivolta della «plebs ariminea» contro i consiglieri municipali ed i cattivi amministratori dell’Annona per l’eccessivo costo del grano di cui «tota Italia fuit in penuria». Nel 1615, come leggiamo ancora in Villani, un’altra insurrezione popolare aveva distrutto il ghetto ebraico.

3. Nuova fiera sul porto Villani nel 1650 attribuisce ad un’eclissi di luna la rovina d’Italia prodotta dalle guerre. Nel 1618 per carestie ed epidemie egli ha dato la colpa all’apparizione di una cometa. Secondo Villani la crisi di Rimini nasceva dalla scomparsa dei cittadini migliori. Erano rimasti gli incapaci ed i meno ricchi. Di soldi in giro ce ne sono pochi. Il cardinal legato riduce le cariche (a pagamento) in Consiglio civico, i cui componenti passano da 130 a 80. Diminuisce la popolazione urbana. Dalle circa diecimila anime tra fine 1500 e 1608, si passa nel 1656 a 7.717 con più di tre anni. Sui dati precedenti manca ogni altra precisazione circa l’età. Nel 1524 le anime registrate sono 5.500, ma dai cinque anni in avanti. L’alta mortalità infantile faceva prendere queste precauzioni statistiche.

Nel 1656 la città ottiene dal legato una nuova fiera sul porto in onore di sant’Antonio da Padova dal 6 all’11 luglio inclusi. All’inizio del secolo la crisi economica aveva unificato ad ottobre in una «fiera generale» i tre appuntamenti tradizionali: la fiera delle pelli per sant’Antonio (12-20 giugno), la fiera di san Giuliano (presente dal 1351) tra 21 giugno e 22 luglio e la fiera di san Gaudenzio (nata nel 1509) ad ottobre. Era l’effetto di un declino commerciale ed economico a cui non si sapeva reagire. Già nel 1613, narra Adimari, cinquanta mercanti tra forestieri e cittadini, avevano chiesto una nuova fiera in primavera, «mossi dalla bona commodità del vivere et negotiare, et conversare et fare esito delle loro mercantie in questa città». Finalmente nel 1656 c’è questa iniziativa che si ripete nel 1659, ma è sospesa nel 1665 quando il governatore di Rimini rifiuta di prorogarla. Riprende il 22 maggio 1671 per undici giorni (cioè sino

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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al primo giugno), con l’autorizzazione di papa Clemente X del 13 agosto 1670.

4. Ricerca della data migliore Nel 1678 l’apertura è posticipata al 3 agosto, per sperimentare «se in questo tempo potesse prendere quell’augmento che hoggi giorno fa’ conoscere l’esperienza non ritrovarsi, a causa forse di venire in tempo scarso di monete per non essere seguiti li raccolti». Non sono d’accordo i doganieri: in agosto con la franchigia per la fiera riminese, non pagherebbero dazio le barche che ritornano dalla fiera di Senigallia. Il 10 maggio 1681 la fiera sul porto è sospesa. Ogni anno era andato «diminuendo il concorso» di mercanti e compratori per cui non portava «se non incomodo» ai commercianti di Rimini (AP 871).

Nel 1691 la fiera riprende. L’anno precedente il prefetto delle «Entrate» ha scritto al Consiglio: sono andate in disuso e sono state tralasciate le due fiere tradizionali, quella d’ottobre dalla porta del borgo di san Giuliano alla Madonna del Giglio, e l’altra di maggio sul porto (AP 873). Nel giro di un secolo l’appuntamento autunnale di san Gaudenzio era passato dal borgo di porta romana a quello di san Giuliano. Il prefetto proponeva di «rimettere ò l’una ò l’altra», con un calendario adatto sia alla città sia ai mercanti forestieri.

Il 17 giugno 1690 il Consiglio civico aveva approvato (25 contro 12) di ripristinare alla fine del maggio 1691 «la fiera che si faceva nel Porto», seguendo concessioni e privilegi papali del 1670. Il segretario comunale Felice Carpentari il 18 ottobre 1690 ha suggerito un posticipo al 6 luglio, in deroga agli ordini di papa Clemente X del 1670, «parendo che in detto tempo si rendesse più facile l’introduzione, e più numeroso il concorso» dei mercanti. Ed il Consiglio ha approvato (34 contro 6).

Il 14 febbraio 1693 non è però giunta ancora l’autorizzazione allo spostamento della data quando in Consiglio si legge ed approva (32 contro 11) un nuovo memoriale del prefetto delle «Entrate» che invita ad osservare il vecchio calendario di fine maggio. Lentamente le fiere riminesi vanno di nuovo «in disuso». Soltanto nel 1726 si riapre quella sul Porto in onore di sant’Antonio (AP 626). 5. I danni del terremoto Per tutto il XVII secolo grava su Rimini anche la minaccia dei pirati barbareschi. Nel 1673 Clemente X finanzia la costruzione di sei torri costiere d’avvistamento e difesa. Ma anche i pirati sono presto oscurati: nel 1672 la città è stata devastata dal terremoto del giovedì santo. Per molti, leggiamo in una cronaca anonima, seguì «prima la sepoltura che la morte». Il papa manda 12 mila scudi per sistemare le case dei poveri. La ricostruzione è lenta. Circa quella della chiesa

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della Colonnella, documenti inediti smentiscono vecchi studi107. I restauri non terminano nel 1676. Anzi l’anno dopo ancora manca da Roma la licenza di riedificazione. Nel 1688 figura in piedi il cantiere al convento. Non può quindi essere del 1676 l’epigrafe (scomparsa) a ricordo della conclusione dei lavori, firmata dal secondo priore della chiesa. Anche perché un’altra epigrafe (scomparsa) datata 1686 reca la firma del primo priore Girolamo Serra. Mentre il terzo priore di un’ultima epigrafe (pure essa scomparsa) è collocato nel 1682 in successione fra il secondo ed il primo priore. Altrove si legge che un’epigrafe ben nota (citata da C. Tonini), è del 7 settembre 1698. Essa invece si riferisce al 7 settembre 1682, data dell’investitura ai Padri Riformati del Terzo Ordine. La cifra è scritta: «MDCXIIXC». Va letta «1600 più (100 meno 18)» ovvero 1682.

Nel 1676 dal vescovo il Consiglio ottiene il parere favorevole ad utilizzare nei restauri i denari dei legati per le lampade della chiesa. Ma ogni decisione spetta a Roma. Invece il vescovo contesta l’investitura ai Riformati, che trova contrari anche i Minimi i quali ricorrono alla Congregazione del Concilio. L’investitura legale del 7 settembre 1682 è preceduta da delibera del Consiglio del 16 ottobre 1680. Il 4 maggio 1682 (prima dell’investitura) il Padre provinciale di Bologna Ippolito Rosini assicura ai sei religiosi della Colonnella un sostegno economico garantito da tre conventi della sua Provincia: la Carità di Bologna, il Pradello (ossia Piratello) di Imola e di San Rocco «fuori di Cesena». Ad essi sarà associato nel 1683 quello di Santa Maria di Curola (ora Corla) a San Martino in Argine di Molinella.

6. La grande inondazione della Marecchia, 1614 In una cronaca di Anonimo datata 1728 le vicende riminesi a partire dall’anno 1601 sono narrate in una successione cronologica che passa in rassegna personaggi eminenti ed eventi clamorosi. Si comincia con il capitano Antonio Tonti «insigne ingegnere nelle guerre del Piemonte». Si prosegue con le immagini miracolose della Vergine della Polverara e del Molinazzo fuori porta di sant’Andrea. Si alternano le «discordie con i Veneziani» (1606, anno di gelo e vento), la nomina di Michel Angelo Tonti a cardinale (1608), ed il miracoloso salvataggio di un giovane che stava per annegare, davanti all’immagine della Madonna della Scala da lui impetrata. E che i borghigiani riconoscenti vollero onorare con la chiesetta terminata nel 1611.

Un’altra storia d’acqua è quella presentata del 1614, quando «fu una inondazione così grande, che unitasi la Marecchia con altri fiumi, e massime in lontano col Rubicone che apportò danno molto notabile restando le barche, cessata quella disperse per gli orti di 107 Sulla storia della chiesa della Colonnella, cfr. il già cit. A. MONTANARI, I Padri "della Becca" alla

chiesa della Colonnella di Rimini. Documenti (1680-1726) dell'Archivio storico comunale di Rimini conservati nell'Archivio di Stato di Rimini, copia pro manuscripto, 2007, BGR, segn. M.0700.01085, passim.

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Marina, e molte fracassate, e moltissimi marinari anegati, e molte merci perite, e la terra per tutta la campagna ove era stata l’inondazione restò per molto tempo infeconda». Due anni dopo per un fortunale (citato dal canonico Giacomo Antonio Pedroni nei suoi «Diari» gambalunghiani), affondano molte barche, «s’affogarono assai persone» e si registrano molti danni nel borgo di san Giuliano. Nel 1646, secondo l’Anonimo, è il gran caldo a provocare la morte di molti mietitori «sul campo».

Prima di elencarci l’apparizione in cielo d’una gran cometa (1618), l’arrivo del nuovo vescovo Cipriano Pavoni (abate degli Olivetani di Scolca) e l’apertura della libreria pubblica nel palazzo di Alessandro Gambalunga (1619), l’Anonimo si sofferma brevemente sulla cacciata degli Ebrei da Rimini (1615) «per le infinite indegnità che comettevano contro la nostra Santa Fede, ed imagini de’ Santi, ed altre enormità le quali non è da me dirle».

7. Una nobiltà spiantata Un altro memorabile evento è del 1629. Il canonico Giovanni Antonio Pavoni prima di ripartire alla volta di Roma fa un giro veloce a salutare i parenti. Entra in casa del nipote Alessandro «col quale passava grandissima inimicizia» per motivi di soldi. Vi trova soltanto la moglie, Diamante Diotallevi. Conclusi i convenevoli di rito, mentre s’avvia ad uscire incontra il nipote che, visto lo zio, pone mano alla spada. Lo zio gliela toglie. Il nipote sfodera una pistola con cui ferisce mortalmente il canonico. Alessandro è l’ultimo erede di casa Pavoni che s’estingue nel 1635 con la sua scomparsa.

Nel bene e nel male i protagonisti di questa cronaca sono unicamente personaggi illustri, gli esponenti della ristretta oligarchia patrizia che governa la città: «Una nobiltà provinciale, presenzialista e spiantata, preoccupata solo di salvare le apparenze e gettare fumo negli occhi. Con esiti disastrosi per le finanze pubbliche», come leggiamo sul web in una pagina non firmata, ma certamente uscita dalla penna arguta di Piero Meldini. Che facendo la storia della Biblioteca Gambalunga (p. 24) riporta l’«eloquente e malizioso» ritratto del «tronfio quanto spiantato ceto patrizio locale» (sono parole di Meldini) composto nel 1660 dal bolognese Angelo Ranuzzi108, referendario apostolico e governatore di Rimini: «Vi sono molte famiglie antiche e nobili che fanno risplendere la Città, trattandosi i Gentiluomini con decoro et honorevolezza, con vestire lindamente, far vistose livree et usar nobili carrozze: nel che tale è la premura et il concetto fra di loro, che si privano talvolta de’ propri stabili, né si

108 Su queste pagine si confronti supra la parte contenuta nel testo destinato alla pubblicazione

«L’heretico non entri in fiera», e precisamente in passo in cui osservo che «Ranuzzi nello scrivere quel ritrattino al curaro era forse guidato soltanto da un suo privato livore verso quanti reggevano la cosa pubblica, piuttosto che dal desiderio di recare un contributo alla comprensione di una società in crisi tremenda anche per colpa della politica romana».

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dolgono di avere le borse essauste di denari per soddisfare a così fatte apparenze».

I dimenticati della Storia passano sullo sfondo. Sono ricordati con qualche riga quando certi eventi interessano tutta la collettività. Come per l’«inondazione così grande» che colpisce le principali attività dell’economia riminese, marineria ed agricoltura. E che affascina le fantasie degli storici ottocenteschi come Carlo Tonini. Nel narrarla egli rimanda non alla miseria che dovette seguirne per molte famiglie (se non per buona parte della città), ma ad un ricordo letterario. Scrive che a quella alluvione si potevano «ottimamente applicare i versi delle Metamorfosi di Ovidio, ne’ quali è si vivamente descritto il Diluvio di Deucalione e di Pirra».

8. La lettura del passato Il cronista Carlo Tonini che torna sul fatto due secoli dopo rispetto ai colleghi secenteschi, ci consegna un’immagine ben delineata del modo con cui a Rimini si è scavato in questo campo: con il paraocchi della buona letteratura sotto le cui ali protettrici tutto si pone, spiega ed illumina. Tonini immaginava di rivolgersi soltanto a pochi, eruditi lettori i quali come lui sapevano ovviamente tutto di Ovidio, del mito pagano del diluvio (derivato da Esiodo), come se fossero quel Giacomo Leopardi che racconta le stesse cose ad apertura programmatica delle «Operette morali» nella «Storia del genere umano», non per soddisfare curiosità dotte, ma per mettere in crisi tutto un sistema pensiero (alla fine «Giove [...] mandò in terra la Verità e rimosse tutti gli altri antichi fantasmi, ad eccezione dell’Amore: sorse così la quarta ed ultima età dell’uomo, quella della infelicità»). Ovidio aveva fatto di Deucalione il simbolo di una rinascita. Scelto da Zeus assieme alla moglie Pirra per la pietà che li caratterizzava, si salva con lei durante i nove giorni di diluvio che sommerge la Grecia quale punizione divina alla degenerazione umana.

Quando Carlo Tonini raccoglie le memorie riminesi già da tempo gira la triplice lezione «cattolica» di Alessandro Manzoni. Contro la mitologia «pagana». Sui limiti della Storia che «è costretta a indovinare. Fortuna che c’è avvezza». E sul considerare la Storia come frutto soltanto dell’azione di pochi uomini illustri. Su quest’ultimo aspetto si sofferma nell’ironica «Introduzione», dove demistifica le pretese dei vecchi libri di raccogliere le vicende umane in una solenne sfilata di personaggi egregi, quegli «Heroi» che il Gran Lombardo deride non per semplice gusto letterario, ma in virtù d’una concezione religiosa che fa degli umili i protagonisti della Storia stessa. Di contro s’eleva la vecchia, drammatica concezione del mondo illustrata da don Rodrigo: «Son come gente perduta sulla terra; non hanno neanche un padrone: gente di nessuno».

Ma la Milano di don Lisander è molto diversa da una città di periferia come Rimini dove le novità giungevano in ritardo o non

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giungevano affatto. Però Carlo Tonini s’era laureato in legge a Roma. Cioè aveva vissuto un’esperienza non provinciale. Il padre lo descrive tutto preso dagli interessi filologici e dalle Belle Lettere. Fu poeta in cerca di gloria con versi di «gusto oraziano e di significato cristiano» (Masetti Zannini, p. 52). Possiamo immaginare il suo scandalo quando, avendo chiesto all’alunno Giovanni Pascoli «quale fosse la sua dottrina di carattere filosofico e religioso», si sentì rispondere: «Io, signor professore, la penso come Giacomo Leopardi». Con un retroterra da letterato umanista, Carlo Tonini ben poco può interessarsi alla sorte (non alla filosofia) del «semplice pastore», alle vicende dei poveri marinai e dei contadini disgraziati. Tutti costoro quando appaiono nella sua «Storia» sono appena un breve accenno, quasi involontario nei suoi progetti narrativi. La gente vera e viva s’intravede più facilmente attraverso i documenti inediti che a migliaia sono conservati nei pubblici archivi.

9. Le carte raccontano Torniamo ad esempio alla storia della chiesa della Colonnella che abbiamo ricordato a proposito del terremoto del 1672. Un passo indietro. La chiesa è affidata nel 1517 alla «Congregazione di S. Maria degli Angeli di Venezia» degli eremiti di san Girolamo di Fiesole, fondata nel 1360 da Carlo dei conti di Montegranelli, sacerdote e terziario francescano. Essi sono presenti in laguna dal 1412. Da noi giungono nel 1504 (durante la dominazione veneziana, 1503-1509), ottenendo il convento e la chiesa di Santa Maria degli Angeli «alla Patarina» (zona dell’anfiteatro). Al priore di tale chiesa, Salomone da Treviso, è concessa la Colonnella nel 1517. I Girolomini «fiesolani» non vanno confusi con quelli di Pisa, nati nel 1380 per volere del beato Pietro Gambacorta (1355-1435), ed attivi a Rimini nel 1494 quando comprano l’oratorio di sant’Onofrio. I «fiesolani» sono soppressi nel 1668: perché, scrive nel 1773 papa Ganganelli («Dominus ac Redemptor»), «non portavano nessun utile o vantaggio al popolo cristiano».

Nel 1669 la Colonnella è affidata ai padri Angiolo e Filippo dell’ordine dei Filippini. Nel 1671 è istituita una commissione comunale per trattare l’investitura della chiesa ad altro ordine. Nel 1676 il cardinal Gasparo Carpegna, prefetto della Curia romana, raccomanda un don Carlo Ricci. Nello stesso anno in Consiglio a Rimini sono ballottati gli Osservanti di san Bernardino e i Riformati del Terzo ordine che prevalgo con 46 voti contro 36. Nel 1678 i Riformati non hanno ancora accettato, poi il 16 ottobre 1680 avviene la loro investitura resa legale il 7 settembre 1682. Pare che tra 1676 e 1682 abbiano officiato cappellani locali.

Il 4 maggio 1682 il Padre provinciale di Bologna Ippolito Rosini assicura ai sei religiosi destinati alla Colonnella un sostegno economico che però arriverà soltanto in parte. Nel 1726 il debito sarà

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di 2.480 scudi sui 2.772 dovuti, pari all’89,47%. Padre Rosini è subentrato come provinciale nello stesso 1682 a Giacomo Guidotti che era stato nominato nel 1681. Guidotti, priore a Santa Maria della Carità di Bologna, il 16 ottobre 1680 era stato scelto a Roma dal Ministro generale quale responsabile della costruzione e del restauro della Colonnella. Nel 1681 Guidotti come provinciale ha nominato i titolari di San Rocco di Cesena (Placido Fantini), di Santa Maria del Popolo a Forlimpopoli (Giovanni Battista Caleffi) e di Santa Maria della Carità di Bologna dove è mandato padre Girolamo Serra, che sarà il primo priore di Rimini. Padre Guidotti diverrà successivamente ministro generale. Un volume bolognese del 1690, conservato nell’Archiginnasio, lo ricorda in tale carica quale erede di Lodovica Segni Tebaldi per beni destinati a Santa Maria della Carità.

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APPENDICE. DATI STATISTICI SULLA FIERA DEL 1671. 1. Luoghi di provenienza dei mercanti

1. Ancona = 3 2. Bologna = 6 3. Caioletto, S. Agata Feltria = 1 4. Camerino = 2 5. Cantiano = 1 6. Cesena = 12 7. Chioggia = 1 8. Comacchio = 1 9. Fabriano = 2 10. Faenza = 1 11. Forlì = 3 12. Forlimpopoli = 1 13. Francia = 1 14. Friuli = 1 15. Gambettola = 1 16. Gatteo = 4 17. Iesi = 2 18. Macerata di Monte Feltro = 1 19. Macerata = 1 20. Matelica = 1 21. Meldola = 1 22. Milano = 7 23. Monte Colombo = 2 24. Monte Grimano = 2

25. Monte Scudolo = 1 26. Montiano = 1 27. Padova = 1 28. Pergola = 4 29. Pesaro = 6 30. Piacenza = 1 31. Pizziegitone = 2 32. Reggio = 1 33. Rimini = 2 34. San Marino = 3 35. San Mauro = 8 36. Sant’Angelo in Vado = 1 37. Santa Sofia = 1 38. Santarcangelo = 5 39. Savignano = 6 40. Sogliano = 3 41. Spoleto = 1 42. Stia = 1 43. Talamello = 1 44. Urbino = 6 45. Valle Lagarina = 1 46. Venezia = 3 47. Verona = 2

Luoghi [47] di provenienza geografica con numero di presenza dei mercanti. Nominativi indicati nei documenti = 120. Non indicati = 40.

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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2. Classifica dei luoghi di provenienza in base al numero di mercanti relativo. Nominativi indicati nei documenti = 120. Non indicati = 40.

1. 01 Caioletto, S. Agata Feltria = 1 2. 01 Cantiano = 1 3. 01 Chioggia = 1 4. 01 Comacchio = 1 5. 01 Faenza = 1 6. 01 Forlimpopoli = 1 7. 01 Francia = 1 8. 01 Friuli = 1 9. 01 Gambettola = 1 10. 01 Macerata = 1 11. 01 Macerata di Monte Feltro = 1 12. 01 Matelica = 1 13. 01 Meldola = 1 14. 01 Monte Scudolo = 1 15. 01 Montiano = 1 16. 01 Padova = 1 17. 01 Piacenza = 1 18. 01 Reggio = 1 19. 01 Sant’Angelo in Vado = 1 20. 01 Santa Sofia = 1 21. 01 Spoleto = 1 22. 01 Stia = 1 23. 01 Talamello = 1 24. 01 Valle Lagarina = 1 25. 02 Camerino = 2 26. 02 Fabriano = 2 27. 02 Iesi = 2 28. 02 Monte Grimano = 2 29. 02 Pizziegitone = 2 30. 02 Rimini = 2 31. 02 Verona = 2 32. 03 Ancona = 3 33. 03 Forlì = 3 34. 03 Monte Colombo = 3 35. 03 San Marino = 3 36. 03 Sogliano = 3 37. 03 Venezia = 3 38. 04 Gatteo = 4 39. 04 Pergola = 4 40. 05 Santarcangelo = 5

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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Sono 47 le provenienze dei mercanti indicate in 120 delle 160 registrazioni (cfr. Simone Leonardi, Nota di tutte le merci vendute sulla fiera del porto, 1671, AP 836 [ora busta 1974], ASRn). Cesena ha 12 mercanti, San Mauro 8, Milano 7, Bologna, Pesaro, Savignano ed Urbino 6, Santarcangelo 5, Gatteo e Pergola 4, Ancona, Forlì, Monte Colombo, San Marino, Sogliano e Venezia 3, Camerino, Fabriano, Iesi, Monte Grimano, Pizziegitone, Rimini, Verona 2, Caioletto (S. Agata Feltria), Cantiano, Chioggia, Comacchio, Faenza, Forlimpopoli, Francia, Friuli, Gambettola, Macerata, Macerata di Monte Feltro, Matelica, Meldola, Monte Scudolo, Montiano, Padova, Piacenza, Reggio, Sant’Angelo in Vado, Santa Sofia, Spoleto, Stia, Talamello e Valle Lagarina 1. Nota sulla provenienza geografica: Estero: 1, Francia. Marche: 31 Tre Venezie: 10 Milano: 7

41. 06 Bologna = 6 42. 06 Pesaro = 6 43. 06 Savignano = 6 44. 06 Urbino = 6 45. 07 Milano = 7 46. 08 San Mauro = 8 47. 12 Cesena = 12

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3. Elenco delle località di provenienza e delle generalità dei mercanti. 160 schede nominative: 120 con indicazione della provenienza, 40 senza indicazione della provenienza

ancona iren buonaventura ancona leone jacobbo ancona samuelle di salvadore bologna evangelista giovanni bologna garra giuseppe antonio bologna ghelfi michelangelo bologna pezzi bernardino bologna tonelli alberto bologna zacchini domenico Caioletto S.

Agata F. arcani paulo

camerino Borghinotti camerino strada nicola cantiano orlandini luca antonio cesena alessi giacomo cesena balarsi andrea cesena castellani carlo cesena finali carlo cesena finali silvestro cesena franceschini lorenzo cesena gratiadei girolamo cesena marani giovanni antonio cesena marzoni tomaso cesena orsi giovanni battista cesena polletti domenico cesena valentini paolo chioggia trombini paron pasqualino comacchio barbieri giovanni battista fabriano nanni marcíantonio fabriano (fabrignano)

bianchi domenico

faenza stauar aloisio forlÏ ferri francesco forlÏ ononi (?) giovanni forlÏ valentino battista forlimpopolo borghini pietro paolo francia mororsi giovanni Friuli forlano

(friulano?) zanghetti giovanni battista

gambettola sanala francesco gatteo domenica (?) manca gatteo fabbri francesco gatteo rasponi pietro gatteo gatteo tramidori francesco iesi fordilmondo tomaso iesi gorriani claudio jesi polidori polidoro macerata mazai antonio macerata di monte feltro

di gregorio girolamo

matelica torn tomaso meldola ambrosio cesare milano fedi tadeo

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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milano gerboni berbardino milano pallottino e tarboni (2) milano poatti giovanni milano ramelli carlo antonio milano stopani domenico milano tarboni v. pallottino monte colombo

casicci bartolomeo

monte colombo

maria francesco

monte grimano

grimani francesco maria

monte grimano

di paolo francesco

monte scudolo

fantini nicolò

montiano pasini cesare non indicato battani sante non indicato bisulli pietro non indicato bonaccia claudio (v. Morigi) non indicato bonometti francesco non indicato cherubini matteo non indicato corsi ? non indicato cosatti giovanni antonio non indicato cradare monsù (?) non indicato culpi giuseppe non indicato fabbri francesco non indicato fanoin giovanni non indicato galuppi lucio non indicato giancoli giacomo non indicato gianini girolamo non indicato gotta giuseppe non indicato guerini matteo non indicato iaccazzi francesco non indicato lonardi giovanni luigi non indicato manfrino giovanni non indicato mazzocchi matteo sergente non indicato migliari tomaso non indicato montanari gregorio non indicato morigi giacomo

e bonaccia claudio

non indicato panari paron marco non indicato poisulli ? non indicato prazoli pietro non indicato priulli pietro non indicato pronometti francesco non indicato sarsi andrea non indicato spina pietro non indicato squadrani fabritio non indicato squadrani lorenzo non indicato squadrini matteo non indicato torra antonio non indicato trasbon alessandro non indicato trebi pietro maria non indicato ursani tomaso non indicato zanoli giacomo non indicato zappetti domenico non indicato franceschini bernardino padova calza lorenzo pergola dieppa bastiano pergola nicolini nicola pergola pasquini bartolomeo

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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pergola ruggeri gergorio pesaro bendar con salomone [con salomone] pesaro cenzi giovanni pesaro compagno di leomber [con leomber} pesaro leomber e compagno pesaro salomone e bendar [con bendar] pesaro zannini girolamo piacenza coda giuseppe pizziegitone guarniero sante pizziegittone gambucci francesco maria reggio sarsi lorenzo rimini gota gioseffo rimini mursani nicola s. angelo in

vado spina pietro

san marino martelli marchionne san marino ridolfo san marino spagnuolo giovanni san mauro bioldri giovanni san mauro maioli francesco san mauro palimizano biagio san mauro pazzaglia maddalena díAndrea san mauro pillamento giacomo san mauro ruberti maria san mauro rubini francesco maria san mauro spocillime biagio santa sofia mori bastiano santarcangelo buganti matteo santarcangelo cipriani ottaviano santarcangelo donzello francesco santarcangelo farabegola crisofaro santarcangelo praganti matteo savignano capanna silvestre savignano foresti lorenzo savignano sansinelli lorenzo savignano sante cronelio savignano trebbi giacomo savignano trebj pietri sogliano bragagna antonio maria sogliano valentino paolo sogliano vetturali spoleto giorgio da.. stia locatelli girolamo talamello facchinetti nicola urbino chianasini giovanni battista urbino david di moiese urbino michele da urbino urbino sabba da castro (con

vivante) (v. vivante david)

urbino vanucci tommaso urbino vivante david e sabba da castro (v.) Valle Lagarina

di francesco girolamo

venezia beltramme venezia buoni sante venezia pizzinardi francesco verona zicalis fratelli (v.) verona zicalis fratelli (v.)

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4. Tabella dei 47 luoghi di provenienza dei 120 commercianti indicati

NUMERO COMMERCIANTI

NUMERO LOCALITÀ

TOTALE

1 24 24 2 07 14 3 06 18 4 02 8 5 01 5 6 04 24 7 01 7 8 01 8

12 01 12 TOTALE 47 120

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5. Elenco alfabetico dei cognomi registrati

alessi giacomo cesena ambrosio cesare meldola arcani paulo Caio (Caioletto) balarsi andrea cesena barbieri giovanni battista comacchio battani sante non indicato bellaisi andrea cesena beltramme venezia bianchi domenico fabriano

(fabrignano) bioldri giovanni san mauro bisulli pietro non indicato bonaccia claudio non dincicato bonometti francesco non indicato borghini pietro paolo forlimpopolo Borghinotti camerino bragagna antonio maria soiano (sogliano) buganti matteo santarcangelo buoni sante venezia calza lorenzo padova capanna silvestre savignano casicci bartolomeo monte colombo castellani carlo cesena cenzi giovanni pesaro cherubini matteo non indicato chianasini giovanni battista urbino cipriani ottaviano santarcangelo coda giuseppe piacenza corsi ? non indicato cosatti giovanni antonio non indicato cradare monsù (?) non indicato culpi giuseppe non indicato david di moiese urbino di francesco girolamo Valle Lagarina di gregorio girolamo macerata di monte

feltro di paolo francesco monte grimano dieppa bastiano pergola domenica (?) manca# gatteo donzello francesco santarcangelo evangelista giovanni bologna fabbri francesco gatteo facchinetti nicola talamello fanoin giovanni non indicato fantini nicolò monte scudolo farabegola crisofaro santarcangelo fedi tadeo milano ferri francesco forlì finali carlo cesena finali silvestro cesena fordilmondo tomaso iesi foresti lorenzo savignano franceschini lorenzo cesena franceschini bernardino non indicato galuppi lucio non indicato gambucci francesco maria pizziegitone garra giuseppe antonio bologna gerboni berbardino milano ghelfi michelangelo bologna

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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giancoli giacomo non indicato gianini girolamo non indicato giorgio da.. spoleto (?) gorriani claudio iesi gota gioseffo rimini graziadei girolamo cesena grimani francesco maria monte grimano guarniero sante pizziegitone guerini matteo non indicato iaccazzi francesco non indicata iren buonaventura ancona leomber e compagno pesaro leone jacobbo ancona locatelli girolamo stiano (stia) lonardi giovanni luigi non indicata maioli francesco san mauro manfrino giovanni non indicato marani giovanni antonio cesena maria francesco monte colombo martelli marchionne san marino marzoni tomaso cesena mazai antonio macerata mazzocchi matteo sergente non indicato michele da urbino urbino migliari tomaso non indicato montanari gregorio non indicato mori bastiano santa sofia morigi giacomo non indicata mororsi giovanni francese mursani nicola rimini nanni marc’antonio fabriano nicolini nicola pergola ononi (?) giovanni forlì orlandini luca antonio cantiano orsi giovanni battista cesena palimizano biagio san mauro pallottino domenico milano panari paron marco non indicato pasini cesare montiano pasquini bartolomeo pergola pazzaglia maddalena d’Andrea san mauro pezzi bernardino bologna pillamento giacomo san mauro pizzinardi francesco venezia poatti giovanni milano poisulli ? non indicato polidori polidoro jesi polletti domenico cesena praganti matteo santarcangelo prazoli pietro non indicata priulli pietro non indicato pronometti francesco non indicato ramelli carlo antonio milano rasponi pietro gatteo gatteo ridolfo san marino ruberti maria san mauro rubini francesco maria san mauro ruggeri gergorio pergola salomone e bendar

pesaro

samuelle di salvadore

ancona

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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sanala francesco gambettola sansinelli lorenzo savignano sante cronelio savignano sarsi andrea non indicato sarsi lorenzo reggio spagnuolo giovanni san marino spina pietro s. angelo in vado spocillime biagio san mauro squadrani fabritio non indicato squadrani lorenzo non indicato squadrini matteo non indicato stauar aloisio faenza stopani domenico milano strada nicola camerino tarboni milano tonelli alberto bologna torn tomaso matelica torra antonio non indicato tramidori francesco gatteo trasbon alessandro non indicato trebbi giacomo savignano trebj pietri maria? savignano trombini paron pasqualino chioggia ursani tomaso non indicato valentini paolo cesena valentino battista forlì valentino paolo sogliano vanucci tommaso urbino vetturali (generico senza indic.)

sogliano

vivante david e sabba da castro urbino zacchini domenico bologna zanghetti giovanni battista Friuli (forlano) zannini girolamo pesaro zanoli giacomo non indicato zappetti domenico non indicato zicalis fratelli (2) verona zicalis fratelli (2) verona

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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Nota bibliografica Le notizie locali sono in Carlo Tonini, Storia di Rimini 1500-1800, vol. VI, 1, 1887, pp. 191, 388-389, 455-456, 459, 479; vol. VI, 2, 1888, pp. 512-523. Cfr. inoltre R. Adimari, Sito riminese, Brescia 1616, p. 9; C. Clementini, Trattato de’ luoghi pii e de’ magistrati, Rimini 1617, pp. 111-114; H. Kamen, L’Europa del Seicento (ried. de «Il secolo di ferro», 1985), Milano 2004, pp. 48-49, 551; G. L. Masetti Zannini, Vita e opere di Carlo Tonini, in appendice a La cultura letteraria e scientifica in Rimini…, a cura di P. Delbianco, ed. an. Rimini 1988; P. Meldini, La Biblioteca Civica Gambalunga. L’edificio, la storia, le raccolte, Rimini 2002, p. 24; M. Moroni, Il porto e la fiera di Rimini in età moderna in «Tra San Marino e Rimini: secoli XIII-XX», San Marino 2001, p. 73; C. Penuti, Carestie ed epidemie in «Storia della Emilia Romagna», 2, Bologna 1977, (pp. 189-207), p. 193; G. Villani, De vetusta Arimini urbe et eius episcopis, IV, Sc-Ms. 177, Biblioteca Gambalunga di Rimini [BGR], cc. 291, 313; wwwold.comune.rimini.it/cultura.

Manoscritti. In BGR: Pedroni, Giacomo Antonio, Sei libri di diarii di varie cose descritte dalla bona memoria del signor Canonico Giacomo Antonio Pedroni..., Sc-Ms.209-214 1652 (ante); Storia della città di Rimini antichissima [anni 1601-1720], Sc-Ms. 225 e 634, riprodotta in Anonimo, Cronaca di Rimini (1601-1712), a cura di A. Potito con documenti aggiunti, Rimini 1982. In Archivio Storico Comunale di Rimini, Archivio di Stato di Rimini: serie AP nn. 626, 871, 873. Per la vicenda del ghetto ebraico, cfr. A. Montanari, Rimini anticipa il ghetto ebraico, «il Ponte», 27.11.2005, p. 18. Ringrazio sentitamente: padre Luciano Bertazzo, direttore del Centro Studi Antoniani di Padova; padre Giovambattista Montorsi, Guardiano alle Grazie di Rimini; frate Fernando Scocca, TOR, Definitore generale, Roma; don Gianfranco Maurizio Mattarelli, parroco di Santa Maria di Corla a San Martino in Argine di Molinella; i PP. Cappuccini di Bologna; lo storico Pierluigi Sacchini; l’Archivio di Stato di Rimini e la Civica Biblioteca A. Gambalunga di Rimini.

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A. MONTANARI, Presenza ebraica a Rimini

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Il borgo di Sant’Andrea, particolare della veduta della città di Rimini dal Covignano (1730 circa), opera di Friederich Bernhrad Werner, incisione di I. Christian Leopold

Il presente testo, ai sensi di legge, è inteso quale copia pro manuscripto a cura dell’autore. Rimini, revisione 2009-04-04.