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Studi e documenti Aspetti della questione agraria e delle lotte contadine nel secondo dopoguerra in Italia: 1944-1948* Un primo dato che emerge dall’analisi di quanto prodotto sul piano storiogra- fico è la continuità dei problemi connessi alla questione agraria e alle lotte contadine nel secondo dopoguerra con il periodo della Resistenza e, piu in gene- rale, la collocazione di questi entro l’arco complessivo della storia contempo- ranea nel nostro paese. Infatti la storia del movimento contadino è ormai da tempo parte integrante di quella del movimento operaio e anche i nodi- politici e teorico-economici della struttura agraria costituiscono un passaggio obbli- gato per la comprensione dell’intera struttura capitalistica del paese. Gli studi più recenti sul periodo sottolineano questo elemento di continuità negli avvenimenti compresi tra la caduta del fascismo e la liberazione e quelli relativi agli anni della ricostruzione e la « svolta » del 1947-48, evidenziando la carenza di risposte che appartengono ad una vera e propria riflessione storica *. Intanto la stretta continuità dell’immediato dopoguerra con il periodo della Resistenza pone la necessità di approfondire ulteriormente la partecipazione delle masse contadine alla lotta di liberazione2. * Il presente studio è frutto del lavoro di un gruppo interregionale di ricerca sulle lotte agrarie dalla Resisetnza al dopoguerra che ha operato nel 1973-74 presso gli Istituti regionali della Toscana, dell’Emilia Romagna e delle Marche, nell’ambito del programma generale di ricerche suUTtalia dal fascismo alla Repubblica promosso dallTstituto Nazionale. 1 Così, Legnani, nota come: « A lungo l’immediato dopoguerra è stato da più parti considerato come naturale prolungamento del 1943-45, di verifica degli esiti della Resi- stenza. È il momento delle comparazioni tra le aspettative e le realizzazioni e il fuoco della polemica investe ugualmente i partiti della sinistra e lo schieramento moderato [...]. Non deve perciò stupire che l’interpretazione del dopoguerra sfoci spesso in giudizi sostan- zialmente recriminatori, più di taglio morale che di carattere storico ». Cfr. M. L egnani, Restaurazione padronale e lotta politica in Italia 1945-1948: ipotesi di lavoro e dibattito storiografico, in « Rivista di storia contemporanea » 1974, n. 1, pp. 2-3. 2 Ci preme qui sottolineare che l’indagine storiografica andrebbe estesa al periodo pre- cedente non tanto, e non solo, al « regno del sud », sul quale già diversi studi sono stati compiuti o sono in via di pubblicazione, quanto più specificatamente su quel periodo che dai mesi dell’assalto alla linea gotica dell’estate ’44 giungono sino alla completa li- berazione del paese. Riteniamo perciò una lacuna avere ignorato quanto avviene in questi mesi in una zona, dal Lazio alle Marche, in cui da una parte si determina per la prima volta l’impatto tra le forze alleate (inglesi, americani, polacchi) che avanzano e le forma- zioni della Resistenza già militarmente organizzate, efficienti, politicamente orientate e

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Studi e documenti

Aspetti della questione agraria e delle lotte contadine nel secondo dopoguerra in Italia: 1944-1948*

Un primo dato che emerge dall’analisi di quanto prodotto sul piano storiogra­fico è la continuità dei problemi connessi alla questione agraria e alle lotte contadine nel secondo dopoguerra con il periodo della Resistenza e, piu in gene­rale, la collocazione di questi entro l’arco complessivo della storia contempo­ranea nel nostro paese. Infatti la storia del movimento contadino è ormai da tempo parte integrante di quella del movimento operaio e anche i nodi- politici e teorico-economici della struttura agraria costituiscono un passaggio obbli­gato per la comprensione dell’intera struttura capitalistica del paese.

Gli studi più recenti sul periodo sottolineano questo elemento di continuità negli avvenimenti compresi tra la caduta del fascismo e la liberazione e quelli relativi agli anni della ricostruzione e la « svolta » del 1947-48, evidenziando la carenza di risposte che appartengono ad una vera e propria riflessione storica *.

Intanto la stretta continuità dell’immediato dopoguerra con il periodo della Resistenza pone la necessità di approfondire ulteriormente la partecipazione delle masse contadine alla lotta di liberazione2.

* Il presente studio è frutto del lavoro di un gruppo interregionale di ricerca sulle lotte agrarie dalla Resisetnza al dopoguerra che ha operato nel 1973-74 presso gli Istituti regionali della Toscana, dell’Emilia Romagna e delle Marche, nell’ambito del programma generale di ricerche suUTtalia dal fascismo alla Repubblica promosso dallTstituto Nazionale.1 Così, Legnani, nota come: « A lungo l’immediato dopoguerra è stato da più parti considerato come naturale prolungamento del 1943-45, di verifica degli esiti della Resi­stenza. È il momento delle comparazioni tra le aspettative e le realizzazioni e il fuoco della polemica investe ugualmente i partiti della sinistra e lo schieramento moderato [...]. Non deve perciò stupire che l’interpretazione del dopoguerra sfoci spesso in giudizi sostan­zialmente recriminatori, più di taglio morale che di carattere storico ». Cfr. M. Legnani, Restaurazione padronale e lotta politica in Italia 1945-1948: ipotesi di lavoro e dibattito storiografico, in « Rivista di storia contemporanea » 1974, n. 1, pp. 2-3.2 Ci preme qui sottolineare che l’indagine storiografica andrebbe estesa al periodo pre­cedente non tanto, e non solo, al « regno del sud », sul quale già diversi studi sono stati compiuti o sono in via di pubblicazione, quanto più specificatamente su quel periodo che dai mesi dell’assalto alla linea gotica dell’estate ’44 giungono sino alla completa li­berazione del paese. Riteniamo perciò una lacuna avere ignorato quanto avviene in questi mesi in una zona, dal Lazio alle Marche, in cui da una parte si determina per la prima volta l ’impatto tra le forze alleate (inglesi, americani, polacchi) che avanzano e le forma­zioni della Resistenza già militarmente organizzate, efficienti, politicamente orientate e

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4 G. Bertolo, R. Curti, L. Guerrini

Per il periodo che qui interessa va rilevato che sull’arco cronologico 1944- 1953 è possibile una ricomposizione complessiva dei temi e degli obiettivi di lotta per la riforma agraria e che tale ambito vede al proprio interno at­tuarsi una articolazione assai diversificata. In primo luogo il periodo dei governi di unità democratica (1945-1947), strettamente congiunti agli sviluppi della Resistenza, portò ad una ipotesi di ricostruzione del paese da realizzarsi nel­l’ambito della collaborazione tra i partiti di massa (DC, PCI, PSI) che finì per riflettersi sull’intero movimento « condizionandone » l’obiettivo di fondo della lotta per la terra. In questo contesto, la rottura di tale coalizione gover­nativa contrassegnò in maniera determinante, nel periodo 1948-’53, la crescita di un fronte di azione anticapitalistica di lunga durata capace di ricomporre, attraverso una ripresa delle lotte per la terra, l’ipotesi generale della riforma agraria. Da ciò l’articolarsi dei vari possibili livelli di ricerca, dai quali emerge con carattere di priorità la necessità di approfondire gli aspetti relativi alle lotte e al dispiegarsi degli obiettivi di queste, strettamente connessi al suc­cedersi degli eventi organizzativi e sindacali del movimento contadino.

Tali questioni andrebbero poi considerate accanto al disegno di conservazione agraria col quale finirono per intrecciarsi. L’analisi, così, si rivolgerebbe sia alla struttura e alle scelte delle tradizionali organizzazioni padronali (Confida, Ac­cademia dei Georgofili, Consorzi agrari, ecc.), sia al ruolo, per certi aspetti nuovo, che vennero a svolgere la Democrazia Cristiana e il Vaticano stesso come elementi di organizzazione e di direzione di tale disegno3.

schierate, mentre dall’altra proprio tra il giugno-luglio del ’44 ed il maggio ’45 vengono mandate ad effetto una serie di marcate contrapposizioni politiche e di scontri sociali tra gli Alleati e gli schieramenti ciellenisti, tra contadini e proprietari terrieri, tra clero e forze social-comuniste, che riflettono in nuce quanto su scala più vasta si verificherà nel­l’immediato dopoguerra in tutta la nazione ed in particolare nel nord.3 Non a caso nel testo saranno appunto più accentuati tali aspetti. Infatti lo stesso « migliolismo » che tanto aveva caratterizzato in senso progressista il movimento conta­dino cattolico nel primo dopoguerra non troverà più riscontro ora nel secondo. Miglioli sarà in tale movimento un emarginato e gli verrà rifiutata dalla DC persino la tessera al­lorché nel febbraio 1946 avanzò richiesta d’iscrizione al partito.Cfr. G. Miglioli-R. G rieco, Un dibattito inedito sul contadino della Valle Padana, a cura di A. Zanibelli, Firenze, 1957, pp. XXVI-XXXI. Nel 1947, Miglioli, per riprendere l ’azione unitaria tra i contadini, di fronte all’incipiente crisi del movimento sindacale uni­tario, parteciperà alla fondazione della « Costituente della terra » così come nel ’48 si presenterà candidato nella lista del Fronte democratico popolare. Se come osserva Zam- belli « non ci è dato di conoscere » la motivazione del rifiuto della direzione della DC ad accogliere l’iscrizione di Miglioli nel partito {Ibid., p. XXX), una spiegazione può ve­nirci da ciò che dirà Grieco commemorando su « Riforma agraria » la sua morte, avvenuta il 24 ottobre 1954. Egli afferma che « Miglioli fu un avversario ideologico del comuniSmo » ma che « non fece mai dell’anticomunismo ideologico un’arma di lotta e di discriminazio­ne » condannando « come non cristiana la rinuncia alla lotta per una migliore condizione, su questa terra ».In modo particolare per il dopoguerra Grieco sottolinea come tre almeno fossero le posizioni di principio e di sostanza maturate attraverso le passate esperienze di dirigente del movimento contadino ed esule antifascista, che finirono per differenziarlo dalla DC: « L ’unità dei lavoratori, la conquista del potere da parte dei lavoratori e l ’anticentrismo come un aspetto della lotta contro la reazione e il fascismo » (Cfr. R. G rieco, Guido Miglioli e l’unità contadina, in « Riforma agraria », 1955, n. 3, pp. 3-8). Più in generale per una analisi di quelli che furono gli obiettivi del movimento contadino cattolico nel primo dopoguerra, e che furono poi abbandonati dalla DC, cfr. A. Caracciolo, Il trasfor­mismo dei cattolici sulle questioni della riforma agraria, in « Rinascita », X II, 1955, n. 2, pp. 87-90.

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Questione agraria e lotte contadine: 1944-1948 5

Non ultimo il dibattito teorico circa i temi della riforma agraria che si inserì nella discussione delle diverse forze politiche attraverso i convegni specializzati, i congressi di partito e sindacali e l’assemblea Costituente.

Nella rassegna risulterà intanto che tale dibattito, al di là delle dichiarazioni di principio, si esaurì in un progetto « moderato » di riforma agraria. Esso sten­tò a mettere in discussione determinati tipi di conduzione (come nel caso della mezzadria classica), e, più in generale, cercò di riassorbire e neutralizzare le spinte nuove espresse dal movimento verso un diretto possesso della terra e della stabilità dei contadini su questa.

Si rileverà perciò la difficoltà che incontrò l’attuazione di un progetto di ri­forma fondiaria in grado di mettere in discussione fino in fondo il ruolo ed il peso economico della rendita.

Mentre per il periodo della Resistenza è stato possibile condurre l ’indagine attraverso un panorama di opere e ricerche già avviate che costituiscono di per sé un punto di riferimento, per il dopoguerra la storiografia non sempre ha presentato tali caratteristiche e, come risulterà, è stato necessario ricor­rere spesso al dibattito diretto che si sviluppò allora su riviste e giornali e sui resoconti dei diversi convegni che man mano vennero organizzati.

L ’analisi relativa alla specifica situazione del mezzogiorno risulterà qui non del tutto sufficiente sia per la particolare attenzione dedicata nella rassegna alla situazione del centro-nord, sia per una oggettiva accentuazione dei limiti storiografici sopra accennati.

Il problema agrario di fronte alle forze politiche ed alla situazione economica del 1944-’45

Il dibattito sulla questione agraria nell’Italia dell’immediato dopoguerra si articolò intorno ai grossi temi della trasformazione fondiaria e della riforma dei patti agrari. Perciò l ’ormai storica problematica politica ed economica relativa alla struttura agraria — parte rilevante dei rapporti interni dello sviluppo capitalistico — si presentava alle forze politiche e sindacali, come pure agli esperti ed agli studiosi, in tutta la sua interezza.

D ’altra parte la storia del movimento contadino e delle sue lotte testimonia­vano ampiamente come tali temi fossero ormai, da lungo tempo, sollevati nel­le campagne italiane e come fossero parte integrante del quadro generale delle rivendicazioni per l ’emancipazione delle classi subalterne4.

4 Cfr., Lotte agrarie in Italia. La Federazione nazionale dei lavoratori della terra (1901- 1926) a cura di R. Zangheri, Milano, 1960, passim ; L. Preti, Lotte agrarie nella Valle Padana, Torino, 1955, passim-, G . Procacci, Geografia e struttura del movimento contadino, in La lotta di classe in Italia agli inizi del secolo X X , Roma, 1970, pp. 77-160; E. Sereni, Il capitalismo nelle campagne, Torino, 1968, passim, e dello stesso autore Capitalismo e mercato nazionale in Italia, Roma, 1966; I. Barbadoro, Storia del sindacalismo italiano dalla nascita al fascismo, vol. I, La Federterra, Firenze, 1973; A A .W . Le campagne emi­liane nell’epoca moderna, Milano, 1956.

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6 G. Bertolo, R. Curti, L Guerrini

Infatti, abbattuto il fascismo e riconquistata la libertà di movimento e di lotta, ancora una volta i conflitti agrari videro i braccianti mobilitarsi per il salario, il lavoro, il collocamento; i coloni, mezzadri, piccoli affittuari battersi per i contratti; i contadini poveri e i braccianti del sud occupare le terre incolte e mal coltivate del grosso proprietario latifondista5.

Gli elementi di novità di tale dibattito erano costituiti, da un lato dalla passata esperienza fascista, fino alla sua conclusione nella tragedia bellica che così fortemente aveva inciso sulle condizioni generali dell’economia ita­liana; dall’altro dalla consapevolezza politica che avevano maturato le masse contadine soprattutto del nord-Italia, attraverso la Resistenza: fenomeno che inseriva l ’ipotesi di riforma agraria come uno dei momenti essenziali delle prospettive di ricostruzione del paese.

Questo secondo punto emerge con chiarezza dalla recente storiografia allorché si afferma che « insieme con l ’estendersi della battaglia per le evasioni agli ammassi, la fase politica che la Resistenza attraversa nell’estate-autunno del ’44, favorisce anche una ripresa del dibattito sui temi della riforma agraria, giacché le esperienze in corso e le prospettive di un’ormai prossima liberazione dell’Italia settentrionale inducono i partiti a precisare i loro orientamenti pro­grammatici sul futuro assetto del paese » 6.

Dal punto di vista del coinvolgimento nella lotta delle masse contadine delle zone occupate del nord, ed in particolare dell’Emilia-Romagna, l ’estate 1944 costituisce il riferimento cronologico più puntuale: da allora si può parlare del radicarsi del movimento di Resistenza nelle campagne7.

5 Su tali questioni cfr. «Quaderni C G IL » La situazione nelle campagne, Roma, 1956; E T ortoreto, Lotte agrarie nella Valle Padana nel secondo dopoguerra, in « Movimento operaio e socialista », X III, 1967, pp. 225-288; il fascicolo di « Critica marxista », V i l i , 1970, n. 1-2, dedicato ai problemi dell’agricoltura italiana, e in particolare il saggio di L. Arbizzani, Tradizioni socialiste e problemi attuali del movimento contadino emiliano, pp. 316-342; A. Caracciolo, L ’occupazione delle terre in Italia, Roma, s.d.,; S.G. T arrow, Partito comunista e contadini nel mezzogiorno, Torino 1972, pp. 238-332.6 Cfr. M. Legnane, Aspetti economici delle campagne settentrionali e motivi di politica agraria nei programmi antifascisti (1942-45), in « I l movimento di Liberazione in Italia», 1965, n. 78, p. 35.7 La problematica relativa alla partecipazione dei contadini alla Resistenza, trova ri­scontro nei saggi di M. Legnane, Aspetti economici, cit.; E. Brunetta-G. Bertolo- L. G uerrini, La Resistenza e le campagne ( inverno ’43 - primavera ’44) in Operai e con­tadini nella crisi italiana del 1943/1944, Milano, 1974, pp. 257-433; L. Casali, Il pro­gramma agrario del PCI durante la Resistenza, in « Critica marxista », V i l i , 1970, n. 6 pp. 160-177; L. Romagnoli, Aspetti della Resistenza nelle campagne bolognesi, in «E m i­lia », 1955, n. 1, pp. 11-16; A A .W . Le campagne emiliane nell’epoca moderna, Milano, 1957. Da tali studi emerge che la prima grande lotta popolare sul terreno delle rivendi­cazioni economiche fu lo sciopero delle mondine del maggio 1944. In tale lotta si realizzò per la prima volta un intreccio di rivendicazioni economiche e politiche: migliori salari, vitto adeguato, riso, vestiario per lavoro, mezzi di trasporto, ed in mancanza di questi, richieste di gomme per le biciclette; ma anche la fine dell’occupazione tedesca e della RSI. Tale sciopero non presentò i caratteri della spontaneità ma fu opera della direzione e dell’orientamento del PCI, trasformandosi in un momento di formazione e selezione di quadri, per le successive vicende della Resistenza e del dopoguerra. Infatti sorsero su tali basi i « Comitati di difesa » dei braccianti, dei compartecipanti, dei contadini; l’in­sieme cioè, di una vasta rete organizzativa di varie categorie determinanti per la ricostru­zione stessa della Federterra.

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Questione agraria e lotte contadine: 1944-1948 7

Ma è proprio « il punto di congiunzione tra le particolari condizioni economi­che dell’Italia settentrionale e il grado di penetrazione nelle campagne del movimento clandestino » 8 che, in tale periodo, finisce per costituire un mo­mento di generale verifica delle posizioni delle diverse forze politiche rispetto al problema generale.

All’interno del movimento, i comunisti costituiscono la forza che con mag­giore consapevolezza e preparazione si pone in rapporto alle condizioni econo­miche generali del paese, che li vede portare « una nuova ed illuminante im­postazione dei problemi della politica agraria, quella stessa che poi avranno modo di sviluppare più ampiamente a liberazione avvenuta. La saldatura tra le masse dei lavoratori della terra (e la loro tradizione leghista) e il leninismo avviene in quel periodo tormentato e difficile, al fuoco della guerra di libera­zione » 9.

Tale rilievo verrà più ampiamente sviluppato nelle pagine successive e co­stituirà un tema di fondo dell’indagine; per ora esso impone alcune osserva­zioni circa le posizioni in precedenza assunte dai partiti antifascisti sui temi della riforma agraria.

Infatti, durante la clandestinità i partiti antifascisti non tralasciarono di impo­stare i loro programmi agrari e si avvalsero della partecipazione delle centrali all’estero come pure dell’apporto dei gruppi che operavano direttamente in Italia: ne risultò un confronto politico ed ideologico di grande interesse, del quale merita riferire.

Nell’aprile del 1931, al IV Congresso del PCI tenutosi a Colonia, il pro­gramma agrario del partito precisava che la nazionalizzazione della terra avreb­be colpito soltanto la grande proprietà fondiaria e i grandi consorzi agrari, prevedendo, al contrario, un’azione di appoggio alle conduzioni in cooperativa e in collettivo. La riforma agraria avrebbe inoltre fornito le terre ai brac­cianti, ma anche ai contadini poveri e medi-lavoratori, e, oltre che sgravare questi ultimi dai debiti e dalle tasse, sarebbero stati forniti, in generale, gra­tuitamente gli attrezzi agricoli10.

Come si può intendere, si prefigurava uno schema articolato di obiettivi pra­tici e immediati da sottoporre ai contadini e questo schema teneva conto della varietà della situazione agraria italiana in vista di un’azione all’interno di essa. Tale impostazione nasceva dal superamento avvenuto nel 1924 delle

8 Cfr. M. Legnani, Aspetti economici, cit., p. 45.9 Cfr. L. Romagnoli, Aspetti della Resistenza, cit., p. 12.10 Cfr. « Lo stato operaio », Parigi, V, 1931, n. 5. Nella « Risoluzione » del IV Con­gresso, ivi pubblicata, venivano elencate le rivendicazioni immediate: « Salari dei brac­cianti del Mezzogiorno uguali almeno a quello dei braccianti del Settentrione; revisione di tutti i contratti agrari; riduzione di tutti gli affìtti di almeno il 50 per cento; soppres­sione della mezzadria e ripartizione di due terzi dei prodotti ai coloni; reintegrazione dei mezzadri e fittavoli sulla terra che furono costretti ad abbandonare; esenzione del paga­mento delle imposte di tutti i contadini lavoratori; soppressione dei debiti dei contadini lavoratori verso le banche e lo Stato ». Inoltre le « Tesi » (Cfr. Il IV Congresso del PC d’Italia, Tesi e Risoluzioni, Milano, Reprint Feltrinelli, 1969, p. 119) sottolineavano la par­ticolare attenzione che occorreva rivolgere « all’organizzazione e alle lotte dei braccianti agricoli che in Italia ammontavano quasi a 4 milioni (circa metà del proletariato italiano) ».

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8 G. Bertolo, R. Curti, L. Guerrini

posizioni bordighiste “ attraverso l ’elaborazione che il nuovo gruppo dirigente del partito formulò relativamente alla questione agraria nel Congresso di Lione 11 12 13. Ciò si evidenzia maggiormente allorché, come abbiamo detto, accanto ad una più approfondita indicazione degli obiettivi di determinate cate­gorie agricole (mezzadri, salariati del nord e del mezzogiorno), si precisava che la nazionalizzazione della proprietà terriera avrebbe tenuto conto dell’esi­stenza nella struttura produttiva agricola, delle esigenze della grande massa dei piccoli proprietari coltivatori Sarà proprio la guerra che, ponendo con urgenza la necessità di rovesciare il fascismo e quindi di concludere il conflitto, di abolire le restrizioni sulla vendita dei prodotti, di sopprimere le imposte, di impedire i richiami, permetterà un collegamento generale di difesa degli interessi delle varie categorie produttive, in vista di una riforma agraria che, contenendo l’obiettivo strategico della nazionalizzazione della grande pro­prietà fondiaria, fosse nel dopoguerra capace di dare la terra ai braccianti e ai contadini14.

Queste scelte, se accentueranno nel dopoguerra la propensione del Partito co­munista verso alleanze sociali capaci di superare lo schema rigido del braccian­tato, punto di riferimento tradizionale nell’impostazione del socialismo rifor­mista, non sempre evidenzieranno, come vedremo, la portata del potenziale di lotta maturato dal movimento durante la Resistenza, verso l ’obiettivo ge­nerale dell’immissione dei contadini al possesso della terra.

Il movimento politico che, insieme al Partito comunista, più discusse fin dalla sua costituzione il problema della riforma agraria, fu Giustizia e Libertà15. La proposta da questi avanzata, si articolava fin dal 1932 16 intorno alla parola d’ordine « la terra a chi la lavora ». Si tendeva alla creazione di nuovi strati di piccoli proprietari mediante esproprio con modeste indennità, senza tuttavia analizzare e precisare a chi avrebbe dovuto essere tolta la terra da distribuire

11 In tale periodo si diceva, rispetto ai problemi agrari, che bisognava « fare come in Russia » ossia socializzare la terra come proprietà dello Stato e di dare l’uso della terra ai contadini: cfr. La questione agraria, relazione di A. Graziadei e di G . Sanna, in « Ordine Nuovo », 13 settembre 1921, che servirà come base alle « Tesi agrarie » del I I Congres- so del P.C. d’L , riportate in « Rassegna Comunista » del 30 gennaio 1922. Da tali documenti risulta precisato che per socializzazione si intendeva il passaggio della terra direttamente a chi la coltivava, con l ’esonero da fitti, censi e debiti, però con l ’obbligo di consegnare una data percentuale di prodotti al governo proletario, che restava il proprietario della terra.12 Cfr. G. Chiaromonte, Agricoltura, sviluppo economico, democrazia. La politica agra­ria e contadina dei comunisti (1965-1972), Bari, 1973, pp. 52-56.13 Cfr. R. G rieco, Il nostro programma contadino e i suoi critici, in « Lo stato operaio », VI, 1932, n. 6, pp. 302-310, Milano, Reprint Feltrinelli, 1966.14 Cfr. Collezione de « l’Unità » 1942-1945, Milano, Reprint del Calendario, 1969.I! « Giustizia e Libertà » raccogliendo l’eredità del « Non mollare » sorse, come è noto, nel 1929: Cfr. L. Valiani, G. B ianchi, E. Ragionieri, Azionisti, cattolici e comunisti nella Resistenza, Milano, 1971, p. 182 e sgg.“ Lo Schema di Programma con il quale « G L » prende posizione di fronte ai problemi della situazione italiana, fu pubblicato nel primo numero dei « Quaderni » nel gennaio 1932. Sin d’allora si sviluppa un intenso e ricco dibattito tra le forze antifasciste nella clandesti­nità. In particolare Grieco, Sereni, Marabini e Montagnana per il PCI polemizzano con le posizioni via via assunte dai giefiisti: cfr. « Lo Stato operaio » 1927-1939, a cura di F. Ferri, Roma, 1964, passim.

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Questione agraria e lotte contadine: 1944-1948 9

e limitandosi a parlare di tipi d ’azienda e non di tipi di proprietà fondiarie da espropriare. Veniva invece precisato che i beneficiari dovevano essere ca­tegorie contadine quali i mezzadri e i piccoli fittavoli e che costoro avrebbero dovuto condurre le nuove proprietà in collettivi, consorzi e cooperative assi­stiti tecnicamente e finanziariamente dallo Stato 17 * 19. I teorici del gruppo giellista polemizzavano con l ’impostazione comunista imputandole di aver scelto come « classe rivoluzionaria » trainante il proletariato agricolo, senza tenere nel debito conto la distribuzione di questo nelle varie regioni italiane e di « tra­sportare » di peso il formulario e « la esperienza russa » in Italia, ignorando le sostanziali diversità tra i due paesi. I comunisti, da parte loro, ribadivano che il programma giellista era falsamente concorrenziale al loro, oltreché teoricamente errato, perché prescindeva dal contenuto di classe che una rifor­ma agraria doveva avere. Inoltre lo giudicavano conservatore, in quanto man­teneva e prevedeva « la proprietà privata dei mezzi di produzione e di scam­bio ». Ciò risultava confermato dal fatto che la riforma agraria di G.L. pre­vedeva non la espropriazione, ma l ’acquisto della terra mediante indennizzo e comportava perciò un consolidamento della rendita fondiaria. Inoltre la man­canza di qualsiasi proposta di risoluzione del problema bracciantile consolida­va l ’emigrazione come sistema di sbocco tradizionale alla disoccupazione agri­cola. In ultima analisi era prevedibile che la terra sarebbe tornata nelle mani dei vecchi proprietari, determinando così la formazione di « strati di contadini controrivoluzionari » “ .

Allorché nascerà, nel 1942, il Partito d’Azione, il suo programma ignorerà i problemi agrari di fondo che avevano impegnato i giellisti e, pur avanzando previsioni di cattere generale circa la « nazionalizzazione delle imprese mono­polistiche e di interesse collettivo », tacerà sulle vecchie parole d’ordine della « terra ai contadini ».

Solo dopo l ’8 settembre 1943 verrà riproposto « il postulato della terra ai contadini [...] e la riforma agraria [...] con [...] la espropriazione del lati­fondo », la bonifica a spese dello stato e la costituzione di cooperative: pro­gramma ancor più radicalizzato da Lussu al Congresso di Cosenza, quando provocherà una decisione a favore della « collettivizzazione della grande orga­nizzazione industriale, bancaria, agraria e commerciale » ” . Questa voce rimarrà peraltro abbastanza isolata nel contesto generale.

17 Su tale impostazione si riflettevano le considerazioni negative dei teorici giellisti circa l ’esperienza soviettista della Russia e dell’Ungheria dove, secondo loro, si verificavano nella prima effetti antiproduttivi nel settore agricolo, mentre in Ungheria la stessa rivolu­zione era fallita proprio a causa degli errori compiuti nell’attuazione della riforma agraria. Svolgevano, al contrario, considerazioni positive verso il progetto spagnolo di riforma agra­ria dibattuto allora nella vicina repubblica che si imperniava nelle proposte dei « Consigli comunali dei contadini », intesi come organismi che permettevano ai contadini di gestire direttamente il processo produttivo. Il « Progetto » spagnolo veniva pubblicato sul n. 4 dei « Quaderni » del settembre 1932. Degno di nota è pure il fatto che anche i socialisti lo pubblicarono sul loro organo di stampa: cfr. « L ’Avanti! » — « L ’Avvenire del lavoratore », Zurigo, 26 dicembre 1931.“ Su tale critica cfr. gli articoli di R. G rieco, II programma agrario di «G iustizia e Libertà » in « Lo Stato operaio », V I, 1932, n. 4, pp. 157-165 e II nostro programma conta­dino e i suoi critici, cit.19 Cfr. G. P ischel , Che cos’è il Partito d’Azione, Milano, s.d., pp. 68-74 e 146-156.

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Sia nel periodo clandestino, sia nel periodo resistenziale non risulta vi siano stati tentativi positivi di agitare il problema della riforma agraria tra i contadini italiani, né che i contadini di qualche parte del paese si siano rivolti agli azio­nisti per sollecitarli a prese di posizione impegnative. Di contro si assiste — di fronte ai risultati politici ed organizzativi (sia pure moderatamente positivi) dei comunisti tra i contadini poveri e in special modo tra i mezzadri, e dei democratici cristiani tra i coltivatori diretti — ad un tentativo concorrenziale rivolto verso i « Comitati per la terra » (avviati dal Grieco) quando dal Par­tito d’Azione, auspice Ernesto Rossi, viene formulato il programma del M.R.A., Movimento per la Riforma Agraria, aperto a tutte le forze interessate20 21.

Il Partito socialista aveva avviato intorno al 1930 una revisione del suo pro­gramma agrario tradizionale. In quell’anno, un documento Nenni-Saragat pre­sentato al « Convegno dell’unità » prevedeva il riconoscimento « come sola proprietà legittima della terra, quella di chi la lavora » e indicava quale possi­bile conduzione « il sistema delle affittanze collettive » ” .

Nel ’32 veniva precisato che la terra doveva essere « proprietà collettiva del­la nazione, nel rispetto della piccola proprietà, sotto forma dell’uso » 22 23 24. La po­sizione del PSI sul problema della riforma agraria veniva così sintetizzato dal­l’organo del partito: « espropriazione di tutta la terra da parte della nazione [...] uso permanente della terra al coltivatore [...] senza diritto di proprietà perché la proprietà implica libertà di compra-vendita e libertà di accumulazio­ne della terra stessa e quindi il risorgere delle forme capitalistiche in agricol­tura » B. Dall’Italia i socialisti di Unità rivoluzionaria (l’unico gruppo attivo di orientamento socialista operante all’interno) rispondevano di accettare tale programma e di criticare quello giellista 2\ mentre « Italo », dirigente di primo piano dei socialisti nell’esilio, ancora nel 1935 perorava una soluzione che facesse leva sui piccoli coltivatori da mobilitare per la revisione dei contratti25 26.

All’indomani della liberazione le proposte dei socialisti si riassumeranno in una posizione che rigetterà la parola d’ordine « la terra ai contadini » contrap­ponendole quella della terra « proprietà della collettività in uso a chi la la­vora » “ . Più in generale, circa la riforma agraria, si precisò che questa avreb­be implicato:1° — la costituzione di un « demanio » attraverso la requisizione delle terre

20 Cfr. E. R ossi, Il problema della riforma agraria, Milano, 1945.21 Cfr. « Quaderni di Giustizia e Libertà », 1932, n. 2, p. 4.22 Cfr. « Avanti! », 13 febbraio 1932, 20 febbraio 1932.23 Cfr. « Avanti! », 11 giugno 1932.24 Cfr. « Quaderni di Giustizia e Libertà », marzo 1932, n. 2 cit. pag. 18. Tali critiche erano apparse sulla pubblicazione clandestina « Unità rivoluzionaria », organo dei socialisti rivoluzionari, diretto da R. Morandi, cfr. S. Merli, Primi tentativi di elaborazione di unità classista. Pensiero antifascista (1931-1932) in «R ivista storica del socialismo» V ili , 1965, nn. 25-26 pp. 97-128, e A. Agosti, Rodolfo Morandi, il pensiero e l’azione politica, Bari, 1971, pp. 181-202.25 Cfr Italo, Dalla crisi del Regime alla gestione operaia delle aziende, in « Politica so­cialista », Parigi, marzo 1935, n. 3 e Italo, Dna politica per la piccola coltura, Ibidem, agosto 1935, n. 4.26 Cfr. N. Mazzoni, La Riforma Agraria, Roma s.d., (ma 1945).

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mal coltivate o abbandonate, dei latifondi, delle terre dei gerarchi e magnati fascisti, delle proprietà realizzate tramite la borsa nera, ed infine le terre già in proprietà dello Stato;2° — la conduzione delle terre in economia consorziale là dove esistevano grandi masse di braccianti o in presenza di tipi di produzioni parziarie o mez­zadrili;3° la cooperazione non solo nella produzione, ma anche nel settore del con­sumo per allargare forme di controllo sulla produzione e sui prezzi27.

Le successive elaborazioni del partito si muoveranno all’interno di una logica, che fu peculiare al periodo della ricostruzione e oltre, basata sullo stretto rap­porto politico-organizzativo con i comunisti. Infatti le proposte che saranno avanzate dal PSI (sia pure con le note differenziazioni interne rappresentate da Basso o Morandi), non si discosteranno molto da quelle formulate dal PCI, anche se proprio sulla questione della pianificazione, basata « sulle trasforma­zioni, sull’intensività e la specializzazione delle colture e sull’organizzazione consorziale »M, tenderanno ad assorbire i postulati dell’esperienza soviettista, che i comunisti porranno invece in secondo piano.

I cattolici, attraverso le Id e e ricostru ttive della D e chiedevano un riassetto ge­nerale del regime fondiario. Per potenziare la produzione il programma mira­va alla « graduale trasformazione dei braccianti in mezzadri o in proprietari associati nella gestione di imprese agricole a tipo industriale »; tendevano cioè « alla costituzione di una classe sana di piccoli proprietari indipendenti »M. Le posizioni della DC si differenziavano assai da regione a regione ed agli orientamenti più conservatori del partito in Piemonte “ , faceva riscontro a Firenze, una posizione più aperta, emersa in occasione del primo maggio 1944 (sotto l’influenza degli avvenimenti bellici ed anche per le tendenze cristiano­sociali di molti organizzati, allorché tramite un comunicato apparso sull’or­gano di stampa clandestino, si prometteva ai contadini la proprietà della ter­ra, salvo poi censurare tale affermazione nel numero successivo del giornale “ .

Al riguardo merita di essere rilevato che gli stessi obiettivi indicati dal par-

27 Ibid.28 Cfr. G iovanni Sampietro, Pianificazione e Agricoltura, estratto dagli Atti del Primo Convegno Nazionale dei Tecnici socialisti, Milano, 27-29 giugno 1947, a cura del GTS, Milano, 1947, pp. 3-10. Sulle posizioni assunte dal PSI verso i contadini cfr. anche: Par­tito socialista italiano, Istruzioni per la propaganda ai contadini, I.G.R. « Il Vascel­lo », Roma, 1945 e G iu seppe Bannella, Parole ai contadini, Biblioteca di propaganda socialista n. 7, Roma-Milano, 1946, passim.29 In Atti e documenti della DC, 1943-59, Roma, 1959, p. 7. Si tratta del documento col­legiale reso pubblico subito dopo il 25 luglio 1943 e in seguito rielaborato da De Gasperi ed apparso sul « Popolo » del 12 novembre 1943 (cfr. A. D e G asperi, I cattolici dal­l'opposizione al Governo, Bari, 1954, pp. 477 e sgg.).30 Cfr. D.L. B ianco, Venti mesi di guerra partigiana nel Cuneese, 1946, passim.31 Cfr. « Il Popolo », clandestino, Roma (ma Firenze) 1 maggio e 2 giugno 1944. Sulle posizioni assunte dai cattolici nel periodo della clandestinità cfr. anche: D on G iu seppe Cavalli, La Resistenza e le formazioni cattoliche, in Fascismo e antifascismo (1936-1948), Lezioni e testimonianze, Milano, 1963, p. 549; R ichard A. Webster , La Croce e i Fasci, Milano, 1964, in particolare la parte seconda; e G ianfranco B ianchi, I cattolici in L. Valiani, G. B ianchi, E. Ragionieri, Azionisti, cattolici e comunisti nella Resistenza. Milano, 1971, pp. 151-300.

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tito per la partecipazione dei contadini alla lotta di liberazione, non contenevano accentuati motivi di carattere programmatico, ma si basavano soprattutto su affermazioni generali e ideali di libertà. Solo nel dopoguerra, durante la cam­pagna elettorale del 1946, il programma democratico cristiano verso i contadini terrà conto, sia pur con le differenziazioni esistenti da zona a zona, di alcuni elementi di riforma comuni alle forze della sinistra per fronteggiare esigenze reali espresse dalla propria base sociale, ma nello stesso tempo per impedire una aggregazione a sinistra delle forze interessate alla trasformazione della struttura agraria32.

Come nella clandestinità il tema della riforma agraria fosse sentito quale uno dei punti centrali della ricostituzione programmatica dei partiti, è anche sot­tolineato dal fatto che lo stesso Partito repubblicano, in un elaborato di Schia­vetti risalente al 1927, pose all’ordine del giorno « la nazionalizzazione della terra, lo spezzettamento del latifondo, la divisione delle grandi proprietà, la cooperazione e facilitazione di tutti i tentativi di gestione [...] della terra da parte dei lavoratori », fermo restando il fatto che « la piccola proprietà sarà rispettata perché economicamente feconda e non un fenomeno di sfruttamento capitalistico » 33.

Questi i termini del confronto che saranno presenti anche nel dibattito sulla questione agraria che si aprirà nel periodo della ricostruzione, articolandosi in una lunga serie di convegni specifici e nei congressi di partito e dell’organiz­zazione di parte agraria, i quali accentueranno, nel passaggio dall’esperienza diretta della lotta di liberazione all’ipotesi generale di ricostruzione del paese, i nuovi livelli di « autonomia » dei partiti nei loro stessi rapporti con le forze sociali.

L ’altro termine di confronto generale era costituito dalle condizioni comples­sive della struttura produttiva italiana passata attraverso l’esperienza fascista e la guerra, elemento tra l ’altro che costituiva un termine di confronto per tutto il dibattito ora riferito.

Infatti la storiografia economica e politica sul fascismo, come pure le tracce di lavoro e di ricerca di più recente formulazione34, contengono un elemento

32 Di notevole interesse risulterebbe, in tale ambito, l ’analisi dei programmi elettorali della D.C. nel dopoguerra (da noi esaminati limitatamente alle zone di competenza) e che si muovono, nell’ambito delle indicazioni avanzate da De Gasperi nel discorso tenuto il 23 luglio ’44 al Brancaccio di Roma, e ripreso in parte recentemente, anche se fortemente rimaneggiato, in « La discussione », XXI, 21 dicembre 1973, n. 48-49, p. 44; d ’altra parte è nota la tradizionale influenza politico-organizzativa dei cattolici, maturata sin dal primo dopoguerra con le leghe bianche, tra i piccoli proprietari e i coltivatori diretti e che ora si cerca di superare per un tentativo di inserimento nel nuovo blocco delle alleanze so­ciali che la sinistra cerca di realizzare a vasto raggio nelle campagne.33 Cfr. « L ’Amico del Popolo », organo del Partito Repubblicano Italiano nella Re­pubblica Argentina; la « Dichiarazione » era stata presentata da Mario Pistocchi.34 Cfr. E. Sereni, La questione agraria nella rinascita nazionale, Roma 1946; P. G rifone, Il capitale finanziario in Italia, Roma, 1945, I ed., ristampato, Torino, 1971; di recente pubblicazione e notevole interesse al riguardo si presentano pure i saggi di P. Corner, Rapporti tra agricoltura e industria durante il fascismo, in « Problemi del socialismo », III serie, XIV, 1972, nn. 11-12, pp. 721-745; D. Preti, La politica agraria del fascismo: note in­troduttive, in « Studi storici », XIV, 1973, n. 4, pp. 802-869.

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comune: l ’affermazione cioè che il fascismo, almeno da quando si realizzò ap­pieno come regime, non potè sfuggire, sotto la spinta generale dello sviluppo capitalistico, dal confrontarsi coi temi generali della questione agraria.

La riflessione critica si volge quindi all’analisi delle risposte che il regime fa­scista diede a tali problemi e perciò allo studio della sua politica economica e, in particolare, alle scelte di politica agraria. Seppure questa non sia la sede per una rassegna dettagliata di tali posizioni, merita tuttavia rilevare che, per quanto riguarda l ’analisi della struttura economica alla vigilia della seconda guerra mondiale, le interpretazioni sembrano convergere, ormai, nel definire tale struttura come agricolo-industriale33 e quindi a sottolineare l ’importanza che l ’agricoltura riveste nel quadro generale dell’economia nazionale, impor­tanza collegata agli interventi diretti del regime nella politica doganale, nella battaglia del grano, per le bonifiche e la trasformazione fondiaria, la ristrut­turazione del settore attraverso i consorzi e le corporazioni, e non ultimo at­traverso il consolidamento di certe forme di produzione e di impresa agraria34.

Da ciò l’estendersi nelle campagne dell’azione e del ruolo del capitale ban­cario e finanziario, accanto a quello dell’impresa agraria capitalistica, mentre veniva ribadito l ’intervento determinante di uno Stato completamente al ser­vizio di tale processo35 36 37. Questa linea di tendenza corrispondente ad un pa­dronato, industriale ed agrario, che trovava tali scelte perfettamente omoge­nee ai propri interessi e profitti anche quando il livello dello sviluppo econo­mico non corrispondeva ad un più generale e teorico modello di sviluppo ca­pitalistico « classico ».

La guerra porrà drasticamente sotto accusa le scelte politiche compiute dal re­gime; la sconfitta militare evidenzierà il collasso generale dell’economia nazio­nale, sia pure nell’ambito dei più gravi problemi di carattere interno ed inter­nazionale, che si imponevano all’attenzione del paese38, all’ordine del giorno stavano perciò decisioni economiche tali da permettere la riconversione del­l ’industria di guerra in industria di pace, favorire la ricostruzione delle infra­strutture, soddisfare i bisogni essenziali della popolazione e fronteggiare la disoccupazione.

Infatti, i danni causati dal conflitto al sistema produttivo ammontavano a 3200 miliardi di lire, erano cioè pari all’incirca a tre volte il valore del red­

35 Cfr. E. Sereni, La questione, cit., pp. 38-39 e 55-56. Poi cfr. A. Pesenti e V. Vitello , Tendenze attuali del capitalismo italiano, in Tendenze del capitalismo italiano, Atti dei Convegno economico dell’Istituto Gramsci, Roma, 1962, vol. I, p. 20.36 Cfr. E. Sereni, La questione, cit. pp. 216-218. P. G rifone, Il capitale, cit. p. 209-211.37 Cfr. P. G rifone, Il capitale, cit. pp. 84 e 112, 113.38 A proposito di tali difficoltà, Parri nella sua relazione del 26 giugno 1961 tenuta al teatro Lirico di Milano, ricordò fra gli altri problemi quelli di « intuibili difficoltà politiche psicologiche », cfr. Ferruccio Parri, Balla resistenza alla repubblica, in Fascismo e anti­fascismo (1936-1948), Lezioni e testimonianze, Milano, 1963, p. 619; anche Togliatti ri­cordò che « nell’apparato dello Stato, nel ceto medio intellettualmente elevato, fra i magi­strati, nell’esercito, persino fra gli ufficiali di grado subalterno, noi troviamo dappertutto le tracce profonde del fascismo»: Palmiro Togliatti, Il partito comunista e il nuovo stato, in Fascismo e antifascismo, cit. p. 641.

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dito nazionale italiano del 1938; e il reddito pro-capite nazionale italiano nel 1945 si era dimezzato rispetto alla media del triennio anteguerra 1938-1940; e nel 1945, rispetto ad una netta riduzione della produzione industriale com­plessiva, l ’agricoltura esprimeva il 58,1 per cento del prodotto lordo privato, sopravanzando così, se pur di poco, il settore industriale ed il terziario, nono­stante i problemi di arretratezza tecnica, economica e sociale che ancora pre­sentava al proprio interno35.

Inoltre la circolazione monetaria, rispetto al 1938, era aumentata di 18 volte ed il costo della vita rispetto la stessa data di 24 volte; l ’inflazione, l’elevata disoccupazione, la sottooccupazione e la disoccupazione nascosta nel settore agricolo, unitamente alla diversità di sviluppo territoriale che si era andata accentuando sotto il regime fascista, completavano il quadro generale dei problemi che la ricostruzione doveva affrontare.

Pur non rientrando nella nostra indagine un esame analitico di tali dati, me­rita sottolineare che se da un lato l’aumento dell’incidenza dell’agricoltura nella formazione del prodotto lordo privato va collegata più puntualmente con gli effetti della politica economica bellicaw, dall’altro il settore agricolo costituiva ancora una parte determinante dell’intera struttura economica del paese.

Così la prospettiva generale di tale ripresa, indicata dalle forze di sinistra, pri­vilegiava la necessità di uno sviluppo del reddito e della occupazione sulla base di un’ampia domanda di beni, domanda capace di realizzare un rapido riequilibrio territoriale rispetto alle zone industrializzate anche attraverso tra­sformazioni radicali dell’agricoltura.

Diventavano perciò elementi essenziali di tale proposta le riforme di struttura che coinvolgevano vari settori di intervento (settore industriale, privato e pubblico, sistema fiscale e bancario e settore agricolo) accanto all’utilizzazione dell’apparato dello Stato riformato dalla entrata in vigore di una nuova Co­stituzione democratica avanzata ",

Al contrario, le indicazioni di parte conservatrice finivano con l ’affidarsi quasi unicamente alle scelte di mercato e ad esse era affidato lo stesso ampliamento dei consumi, essendo l’unico elemento di riferimento della stessa evoluzione produttiva, l’unico criterio selettivo degli investimenti. Inoltre i conservatori prevedevano un ruolo « tradizionale » dello Stato inteso come elemento equi­libratore della vita economica, fatta salva l ’azione ed il complesso delle rela- 39 * *

39 Cfr. ISTAT, Sommario di statistiche storiche italiane“ Va qui sottolineato che la variazione degli indici risente da una parte dell’inversione di tendenze che si registra nel settore agricolo con i raccolti del 1943-44, e dall’altra che proprio con il ’43 si ha il crollo dell’approwigionamento di materie prime per l’industria: cfr. M. Legnani, Aspetti economici, cit., pp_ 13-14." Cfr. B. Manzocchi, Lineamenti di politica economica in Italia (1945-1959), Roma, 1960, pp. 47-58; A. G raziani, Introduzione a L ’economia italiana 1945-1970, Bologna, 1972, pp. 15-31 e pp. 137-152; G. Amendola, Lotta di classe e sviluppo economico dopo la liberazione, in Tendenze del capitalismo italiano, Atti del Convegno economico dell’Isti­tuto Gramsci, Roma, 1962, pp. 151-153.

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zioni di scambio tra i vari operatori economici e i diversi settori di attività. I punti di riferimento diventavano perciò, da un lato la coincidenza degli in­teressi del capitale privato italiano con quelli delle economie di mercato oc­cidentali e dall’altro la tradizione della elaborazione teorica degli economisti liberali che trovarono in Einaudi il loro massimo teorico,2.

Il dibattito sulla questione agraria nella ricostruzione post-bellica

Le argomentazioni e le analisi espresse dalle forze che in quegli anni si fron­teggiarono e che si manifestarono in occasione dei congressi di partito e sindacali, dei convegni di parte governativa e padronale, come pure nel dibattito svol­tosi all’Assemblea Costituente, tenevano conto di una generale ripresa del mo­vimento di lotta contadina.

Erano in corso, infatti, in tale periodo vertenze sindacali di grande portata, ge­neralizzatesi nell’ottobre del 1945, e che ancora duravano quando si aprì la crisi del governo Parri. Tali vertenze avevano come obiettivo l ’adeguamento dei salari, nelle città e nella campagna, all’inflazione galoppante. Nelle campa­gne erano in agitazione braccianti, salariati e particolarmente mezzadri; anche nel mezzogiorno, nel sud e nelle isole i termini della questione agraria si erano modificati dopo il conflitto: venivano anzitutto avviate lotte contadine per la occupazione delle terre, segno di tensioni sociali e di scontri di classe che chia­mavano in causa direttamente l’intervento dello Stato.

Alla fine del dicembre 1945 nelle campagne a prevalente conduzione mezza­drile venne momentaneamente sospesa la lotta da mesi intrapresa per spezzare o modificare i vecchi patti colonici. La Federterra accettò l ’invito del governo alla pacificazione in cambio dell’impegno di dare soluzione al problema. Ciò no­nostante la parte padronale rimase su posizioni di netto conservatorismo: il pre­sidente dell’Associazione agricoltori di Reggio Emilia definì le « Commissioni di mezzadri» « commissioni di banditi », sottolineando che i mezzadri « non hanno nessun diritto da rivendicare e nessuna riforma agraria da sostenere » ", e ciò mentre la Confida accusava i contadini emiliani di avere ucciso durante l ’agitazione ben 127 agricoltori e quelli bresciani di avere fatto morire oltre mille vacche di mastite perché non munte41. Alle accuse dei giornali di parte padronale non venne a corrispondere una adeguata presa di posizione della CGIL e della Federterra.

A parte le argomentazioni, gli agrari non mancavano di utilizzare lo stesso apparato dello Stato che rispondeva ancora alle loro scelte e si adoperavano affinché la magistratura applicasse ancora le leggi repressive fasciste. La classe operaia spesso dovette intervenire in appoggio alle lotte contadine, come in Umbria, dove gli operai della Terni scioperarono perché ad Orvieto erano stati processati numerosi contadini e perché il procuratore del regno, alla richiesta 42 43 44

42 Cfr. G. Amendola, op. cit., p. 179.43 Cfr. « l ’Unità », edizione di Milano, 25 gennaio 1946.44 Cfr. « La Patria », Firenze, 24 gennaio 1946.

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del segretario locale della Federterra di rinviare gli sfratti in attesa della com­posizione delle vertenze, lo aveva fatto arrestare.

Se l ’agitazione mezzadrile costituiva la punta più alta del movimento nel cen­tro-nord del paese, nel sud, come in Sicilia, la tendenza dei contadini all’occu­pazione diretta del latifondo esprimeva più direttamente la necessità di un pronto intervento di riforma agraria. Tale diversità di rivendicazioni eviden­ziava però la mancanza di una impostazione unitaria di lotta per la riforma intesa come attacco generale alla struttura fondiaria del paese che, come avre­mo modo di rilevare, non sarà senza conseguenze negative sullo sviluppo gene­rale del movimento.

Occorre notare che nel momento in cui si processavano i contadini e si or- ganizzzava la repressione del movimento per l ’occupazione delle terre, dal­l’estero non mancavano indicazioni circa le possibili vie da percorrere per la soluzione del problema della terra. In Jugoslavia venivano pubblicamen­te sottoposti a giudizio gli agrari collaborazionisti o fascisti e le loro ter­re venivano distribuite ai contadini poveri e ai « patrioti » 45 * 47. In Polonia, alla fine del 1944, erano stati già confiscati e redistribuiti in forma collettiva 2 miboni di ettari di terra e nel 1945 in Cecoslovacchia, Bulgaria, Ungheria e Romania, si appHcava la più « radicale riforma agraria ».

Una riforma agraria di tipo particolare veniva avviata anche in Francia, dove per legge si obbligava « alla ricomposizione dei fondi » attraverso la Hmita- zione della grande proprietà e di quella assenteista; anche nella Germania orientale tutte le terre che erano appartenute agH Junker erano state seque­strate. Per l ’Itaha un punto generale di riferimento del dibattito che ci pro­poniamo di approfondire “ , è costituito dall’incontro del 7 gennaio 1946, quan­do vennero convocati a Firenze dal ministro dell’Agricoltura Gullo i prefetti delle altre regioni, per constatare l ’awenuta sospensione delle agitazioni mez­zadrili in attesa del promesso « lodo » De Gasperi: sospensione che non frena comunque la spinta delle lotte nel sud.

Le scelte strategiche che il Partito comunista italiano finì per compiere nel 1944 circa la nuova concezione del partito e la funzione di governo che sa­rebbe spettata ai comunisti come forza responsabile ed indispensabile per la soluzione dei problemi di fondo della società ebbero un ruolo determinante

45 Cfr. « l’Unità » edizione di Milano, 31 gennaio 1946. Del resto non sono privi di si­gnificato gli articoli di « Rinascita » sull’esperienza e l ’organizzazione dei Colcos (gennaio 1945), sulla presentazione dettagliata della riforma agraria in Polonia (aprile 1945) ed in Ungheria (luglio 1945).44 Ovviamente nel prendere in esame tali posizioni si fa riferimento fondamentalmente ai momenti salienti del dibattito ed alle posizioni espresse dai leaders e capiscuola delle di­verse tendenze.47 È Togliatti nel discorso di Firenze del 3 ottobre 1944 a gettare le basi di tali scelte strategiche; egU affermava, infatti, che i comunisti non potevano più essere « soltanto una associazione di propagandisti degli ideali del comuniSmo ». Essi avevano il compito « di raccogliere attorno a sé tutte le forze produttive del paese e dirigerle alla ricostruzione e alla rinascita dell’Italia », e, continuava « noi dobbiamo avere un programma preciso per quanto concerne tutti i problemi della vita nazionale. Noi dobbiamo fare conoscere questo programma a tutto il popolo e dobbiamo immediatamente iniziare il lavoro per la sua realizzazione [...]. Questo significa che dobbiamo avere tali collegamenti con la massa del

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nella definizione della linea politica scaturita dal V Congresso tenutosi a Roma tra il dicembre 1945 e il gennaio 1946. Tale impostazione rifiutava ogni vi­sione semplicistica della rivoluzione e tenendo conto degli equilibri nazionali ed internazionali determinatisi con la guerra, definiva una base unitaria nazio­nale sulla quale costruire la trasformazione democratica del paese: cioè conso­lidare il nuovo regime repubblicano, avviando le riforme di struttura propu­gnate da tutti i partiti di massa (DC, PCI, PSIUP), e soprattutto realizzare un programma di emergenza che migliorasse le condizioni di vita delle classi popo­lari ". All’interno di tale prospettiva quindi, si collocava anche per il PCI il problema agrario e in particolare quello della riforma agraria, anche se in quel periodo, come è stato rilevato dalla stessa storiografia di parte comunista, nelle discussioni interne del partito questi temi non acquistarono tutto il rilievo ne­cessario a causa del problema dell’equilibrio della coalizione di governo4’. Ma per i comunisti, lo abbiamo già visto, i problemi relativi alla questione agraria costituivano da tempo un’asse centrale della loro strategia ed elaborazione teo­rica, sia per essere un partito leninista che perciò affrontava tale problematica nel momento stesso in cui conduceva l ’analisi delle alleanze sociali e delle forze trainanti della rivoluzione italiana50, sia per l ’importanza che rivestiva tutta la tradizione di elaborazione « autonoma » di Gramsci sul contesto sto­rico nazionale, sui grandi temi del blocco storico e della questione meridionale, nonché del rapporto città e campagna51.

Questi i presupposti che permettono di rendere esplicite le affermazioni di Gullo quando di fronte all’immagine idillica di un regime agrario di piccoli e medi

popolo e con la classe operaia, con i contadini, con i professionisti, con gli intellettuali che ci permettano di fare arrivare dappertutto le nostre soluzioni, mentre dobbiamo lavorare completamente per la realizzazione di esse. Ecco perché il nostro partito deve oggi di­ventare un grande partito di massa »; cfr, l ’introduzione di G. Amendola a II Com uni­Smo nella I I guerra m ondiale , Roma 1963, pp. 26-27.48 Cfr. G. Amendola, Lotta di classe, cit., -passim.49 Cfr. G. Chiaromonte, Agricoltura, sviluppo, cit. pag. 57; cfr. anche Ricostruire, reso­conto dei Convegno economico del PCI, a cura del Centro Studi economici del PCI, Roma 1945, passim. Su tale convegno così si esprime Chiaromonte: « il riferimento ai problemi agrari fu pressoché assente nella relazione introduttiva e nella maggior parte de­gli interventi (se non visti sotto l’angolo visuale importantissimo, ma circoscritto, all’ap­provvigionamento dei generi alimentari) e trovò una qualche ampiezza solo in due inter­venti, quelli di R. Grieco e di P. Grifone » cfr. G. Chiaromonte, cit., pag. 58-59.50 Si rimanda qui all’esposizione sulla elaborazione del I I I Congresso del PCI, svol­tosi a Lione nella clandestinità, e al dibattito che ne seguì su « Lo Stato operaio » e, come indicazione bibliografica specifica alle tesi approvate alla Conferenza meridionale del PCI tenutasi, clandestinamente, a Bari il 12 settembre 1926, riportate in appendice al vo­lume di R. G rieco, Introduzione alla riforma agraria, Torino, 1949, pp. 249-277.51 Ciò era confermato anche dal fatto che, in tale periodo, venivano pubblicati due saggi di E. Sereni, che accoglievano l’impostazione gramsciana ed ampliavano l’analisi fino alla sconfitta stessa del fascismo (E. Sereni, Il capitalismo nelle campagne, Torino, 1947, e ibid, La questione, cit.). Cfr. pure L. Campagna, Note in margine alla « Ricostruzio­ne » in « Giovane critica », 1973, n. 37, p. 8.L ’autore afferma che « La riforma agraria apparteneva come direttrice politica alla sto­ria autonoma del PCI, il quale sin dagli anni ’20 aveva assunto, con Gramsci, nel proprio programma di azione la tradizione di lotta dei contadini meridionali, configurando una versione nazionale delle indicazioni teoriche leniniste sulla alleanza degli operai e dei contadini ».

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contadini autosufficienti, rimarcava come « questi contadini si difendano con le unghie e con i denti dal pericolo di cadere nel proletariato e solo una parte economicamente più forte resiste e migliora le proprie posizioni sulla rovina degli altri » e sottolineava che « i contadini come massa non sono socialisti, sebbene in Italia la coscienza associativa nei braccianti e nei salariati e anche tra gli attuali mezzadri [...] sia abbastanza sviluppata. Questa coscienza as­sociativa [...] non basta a caratterizzare l ’aspirazione di masse di contadini che è oggi prevalentemente rivolta al possesso individuale delle terre e al mante­nimento di questo possesso » 52 53. Da ciò l’indicazione di un possibile sistema di alleanze da costruirsi sull’incontro tra la classe operaia e le masse contadine ” , che implicava, in primo luogo, una profonda riflessione sugli errori e le cause del fallimento dell’azione socialista nel primo dopoguerra. Nel 1946 a Reggio Emilia, patria del socialismo riformista, Togliatti affermava:

Le nostre campagne si avviano al socialismo e vi arriveranno attraverso un processo mol­teplice mediante l’introduzione e l’estensione di differenti forme associative tali che evitino la rottura e tendano a ridurre il contrasto tra le masse dei braccianti e degli altri gruppi dei contadini lavoratori [...]. La sconfitta del movimento riformista emiliano fu essenzial­mente una grande rottura fra i braccianti socialisti organizzati e di tendenze collettivistiche e i gruppi intermedi delle campagne e delle città54.

Le linee di intervento di Grieco al V Congresso del partito circa le proposte generali di riforma agraria, furono strettamente conseguenti a tali impostazioni. In primo luogo, la ricostruzione democratica del paese doveva avviare una « rior­ganizzazione su basi più moderne, più avanzate e quindi l ’aumento della pro­duttività del lavoro » 55. Partendo dal dato ormai acquisito della persistenza di pesanti residui feudali nella struttura agricola del paese, si prospettava, così, una battaglia per la riforma agraria articolata nella riforma fondiaria, nella trasformazione fondiaria e nella riforma dei patti agrari che tendeva a soddi­sfare l’esigenza contadina di stabilità sulla terra di fronte all’esistenza di un forte monopolio terriero.

Già le analisi di Sereni, come sopra ricordato, dimostravano la subordinazione delle forze produttive agricole alla alleanza tra capitale finanziario, grossi mo­nopoli e rendita fondiaria, alleanza che proprio attraverso il regime fascista, si era consolidata e i cui effetti trovavano un puntuale riscontro nella forma­

52 Cfr. R. G rieco, introduzione, cit., p. 117.53 Cfr. R. G rieco, Introduzione, cit., p. 118. L ’autore qui afferma che tale punto d’in­contro « è nel comune interesse della classe operaia, del proletariato agricolo, dei contadini poveri e anche di larghi strati di medi e piccoli contadini, di lottare contro il dominio economico e politico del capitalismo e della grande fondiaria. [...] In altri termini, nella sua lotta per il socialismo, il proletariato deve portare a compimento fino in fondo la ri­voluzione democratica borghese nelle campagne, che la borghesia non ha saputo fare quando era una classe rivoluzionaria né può fare ora che è diventata una classe conservatrice e reazionaria ». Al V II Congresso del partito, Grieco ribadirà tali concetti affermando che « il proletariato che non abbia coscienza del problema contadino ha ancora una immatura coscienza della propria funzione di classe dirigente » (cfr. R. G rieco, La lotta per la terra, Roma, 1951, pp. 41-42.54 Cfr. P. T ogliatti, Ceto medio e Emilia rossa, in « Critica Marxista », II , 1964, n. 4-5, p. 146.55 Cfr. R. Grieco, Scritti scelti, Roma, 1968, vol. II , p. 23.

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zione dei prezzi dei prodotti agricoli industriali e nella distribuzione del reddito agrario56. Era in tale direzione che occorreva

stimolare l ’organizzazione e lo sviluppo tecnico della nostra agricoltura e a questo punto modificare i rapporti [...] tra la grande proprietà fondiaria e la massa dei contadini « al fine di promuovere » con tutti i mezzi idonei uno sviluppo tecnico organizzato della agricoltura italiana e quindi della produzione agricola, allo scopo di accrescere la quantità dei prodotti alimentari a disposizione della popolazione e delle colture industriali e riprendere [...] l ’esportazione dei prodotti delle nostre agricolture57 58.

Tali problemi implicavano per i lavoratori agricoli una ridefinizione dei contratti allora vigenti che migliorasse il quadro complessivo delle loro esigenze ele­mentari, e che tuttavia tenesse conto nell’elaborazione del partito, del pro­blema del possesso della terra come tema di fondo della riforma agraria.

La riforma dei sistemi contrattuali significava inoltre, sul versante delle allean­ze sociali, una articolazione che prevedesse il « rispetto assoluto per la piccola e media proprietà ». Lo scopo principale della riforma restava quello di « met­tere la grande proprietà fondiaria a disposizione del paese », e si sottolineava che una riforma agraria che « non considerasse come uno dei suoi scopi fon­damentali la liquidazione del latifondo sarebbe una riforma solamente di no­me e tradirebbe gli obiettivi della ricostruzione » ss.

Le indicazioni relative alla grande proprietà agraria capitalistica a coltura in­tensiva delle zone della valle padana e dell’Italia centrale, si riassumevano in un intervento per eliminare l’indirizzo speculativo che tale impresa aveva assunto sotto il fascismo, mentre per il latifondo a coltura estensiva si preve­deva l ’esproprio, intervento che solo in un secondo momento avrebbe avviato una politica di trasformazione fondiaria (bonifiche anche tramite lo Stato) per sostenere forme diverse di azienda agricola (individuali, di coloni associati e cooperative), per favorire una rinascita tecnica di questi complessi produttivi.

Nell’azienda agraria capitalistica del centro-nord l ’intervento si sarebbe realiz­zato tramite il potenziamento del controllo diretto dei lavoratori sulla dire­zione dell’azienda stessa poiché, accogliendo le necessità impellenti della pro­duzione, si considerava negativo un suo spezzettamento, così come si conside­rava prematuro il passaggio immediato a forme cooperative di conduzione che avrebbero implicato condizioni di ordine politico, industriale, finanziario e tecnico diverse da quelle esistenti.

56 Cfr. E. Sereni, La questione, cit., pp. 217 e 273-283. L ’autore sottolinea come attraverso il sistema degli ammassi obbligatori si realizzasse una politica dei prezzi che teneva bassi quelli dei prodotti agricoli, determinando un fenomeno di « forbici » tra i prezzi dei prodotti agricoli e quelli dei prodotti industriali; determinando una preminenza del valore lordo della produzione industriale su quella agricola. Questa ultima aumentava tra il 1924 e il 1938 di 10 milioni di lire e ciò tenendo conto delle vicende monetarie, signi­ficava un aumento nominale assai lento che si traduceva in una diminuzione, allorché si considerava la capacità d’acquisto dell’agricoltura. Anche per quanto riguarda la distribu­zione del reddito agrario, Sereni rileva, nello stesso periodo, un aumento del profitto ca­pitalistico del 10 per cento a cui si accompagna un aumento dell’l per cento della rendita fondiaria che risulta notevole se si pensa che nel periodo 1914-1924 era stata pressoché dimezzata: ciò in presenza di una caduta dell’l l per cento del reddito da lavoro.57 Cfr. R. G rieco, Scritti scelti, cit., pp. 23-24.58 Ibid., p. 26.

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L ’impianto generale di tale proposta di riforma si riassumeva perciò in un’ipo­tesi di rinascita dell’agricoltura attraverso una nuova sistemazione dei rapporti di proprietà, e una modificazione degli istituti contrattuali capaci di provvedere ai gravi bisogni alimentari del paese e nello stesso tempo di allargare il mercato nazionale delle merci e dei prodotti industriali, in una prospettiva di aumento della produzione e della occupazione. Sereni, più tardi, come avremo modo di vedere, rileverà che l ’impostazione data in quegli anni dal partito non sarà senza effetti negativi sul versante delle lotte contadine, poiché essa non chiarì e anzi avvalorò la duplicità dei loro obiettivi: lotte contrattuali al nord del paese e lotte per la terra nelle zone del latifondo meridionale59.

La stessa definizione di ricostruzione democratica che Grieco diede due anni dopo, quando affermò che occorreva ricostruire ciò che era stato distrutto, modernizzare l ’attrezzatura industriale agricola, compiere queste opere assor­bendo la disoccupazione e con il presupposto di accrescere il reddito nazionale, elevare il livello materiale e culturale delle masse lavoratrici, mirava più ad evidenziare gli scopi sociali e produttivistici della riforma agraria che non gli obiettivi di trasformazione strutturale60. Infatti se è vero che una riforma agra­ria così concepita tendeva a diminuire la rendita fondiaria a vantaggio del la­voro e del capitale agrario, con la conseguenza di sviluppare il mercato dei prodotti industriali necessari al rinnovamento ed allo sviluppo dell’agricoltura favorendo quindi un interesse dell’industria alla riforma61, solo modificando il rapporto con la terra delle varie categorie di lavoratori agricoli e dei contadini sarebbe stato possibile incidere, attraverso il settore agricolo, sul complesso della produzione.

Un obiettivo senz’altro positivo che tale progetto di riforma si prefiggeva era quello di ridurre, sul piano socio-economico, lo stacco ancora esistente tra città e campagna, tra centro e periferia, con una chiara implicazione politica: raggiungere la solidarietà fra la classe operaia e il movimento contadino. Que­sta proposta di risoluzione si proponeva di affrontare in termini realistici la tradizionale arretratezza del sud che era stata ulteriormente aggravata dalle condizioni economiche create dal fascismo.

Ancora agli inizi degli anni 50, mentre per la popolazione non agricola la totalità dei consumi si effettuava attraverso rapporti di mercato, per la popo­lazione agricola si esplicava all’infuori di esso, nell’interno cioè di uno schema di autoconsumo. Infatti il sud, che partecipava nel 1938 alla distribuzione del reddito nazionale con il 23,6 per cento, subiva un processo di depauperamento scendendo nel 1948 al 21,7 per cento e con il 37 per cento della popolazione realizzava un reddito pro-capite inferiore alla metà di quello delle regioni

59 Cfr. E. Sereni, Una nuova fase nella lotta per la terra, in « Riforma Agraria », 1955, n. 11, pp. 1-4.60 Cfr. R. G rieco, Introduzione, p. 124-125. Al riguardo L. Cafagna, Note in margine, cit., p. 8, osserva che: « Impostata, come senza esitazioni si fece, secondo un profitto priva­tistico [...] la riforma agraria poteva giocare benissimo un ruolo ambivalente, sia come obiettivo transitorio in fase di corsa rivoluzionaria, sia come soluzione a regime di una democrazia di tipo nuovo ».61 Cfr. R. G rieco, Introduzione, cit., pp. 127 sgg.

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centro-settentrionali. Pur occupando il 46,4 per cento della superficie agraria, mezzogiorno ed isole fornivano, sempre agli inizi degli anni 50, non più del 33,8 per cento della produzione agraria nazionale, con una produzione agricola lorda per ettaro, sempre secondo i dati del Sereni, di oltre il 40 per cento inferiore a quella delle regioni centro-settentrionali62.

Pur non avendo largo seguito tra i contadini e assai poco anche tra gli agri­coltori, il Partito d’azione finì per svolgere un ruolo assai importante in tale periodo in quanto, mentre il problema della riforma agraria si andava defi­nendo, molti dei suoi uomini partecipavano ai primi governi dell’Italia libera­ta in ruoli di grande rilievo. Parri fu nominato presidente del Consiglio nel giugno 1945, proprio quando le lotte dei contadini poveri nel sud si intrec­ciavano con quelle dei mezzadri e dei braccianti del centro-nord del paese. Nel 1965 al congresso dell’Alleanza dei contadini egli riconoscerà che « for­se, come Comitato di liberazione nazionale potevamo allora fare di più per i contadini e la riforma agraria » 63. Tale affermazione acquista non solo un carattere autocritico personale, ma investe l ’insieme delle forze democratiche avanzate ed in particolare il PdA, che allora non mancò certo di validi teorici di problemi agrari, da Manlio Rossi Doria a Ernesto Rossi che ebbe dirette re­sponsabilità ministeriali proprio nel campo dell’agricoltura.

Nel 1945, riprendendo i temi di fondo del programma agrario del Partito di Azione, Salvemini riproponeva l ’ormai ricorrente necessità di togliere la terra alla proprietà assenteista, salvo il pagamento di un « compenso fisso » annuo agli ex proprietari64. Tale proposta supponeva una relativa disponibilità degli agrari a tale operazione e si illudeva di avere eliminato i problemi derivanti dalla esistenza della rendita fondiaria per il solo fatto di diminuirne la portata fino a prefigurare un « idillio » tra i capitalisti agrari e gli organi di intervento dei lavoratori agricoli circa il controllo della produzione, ipotizzando una loro partecipazione in qualità di « esperti » alle cooperative autogestite. In tutta questa confusa prospettiva forse l’unico elemento di chiarezza consisteva, co­me afferma lo stesso Salvemini, nella volontà di « contrastare il programma co­munista ».

Diversa per più aspetti l ’impostazione data da Rossi Doria, il quale partiva dalla considerazione che fosse un’illusione credere che, nelle condizioni preca­rie in cui si trovavano, contadini e braccianti potessero accettare ancora per decenni questa loro sorte e concludeva che « ai grandi problemi sociali delle campagne italiane bisognava dare una soluzione [...] o avremo una rivoluzione caotica o si dovrà fare presto una rivoluzione agraria » 65. Quest’ultima doveva investire con forme diverse non solo il mezzogiorno, ma anche tutte le zone

“ Cfr. E. Sereni, Vecchio e nuovo nelle campagne italiane, Roma, 1956, pp. 294-295.63 Tale osservazione è riportata nel saggio di R. Stefanelli, La Confagricoltura, inA. Collidà, L. D e Carlini, G. Mossetto, R. Stefanelli, La politica del padronato italiano dalla ricostruzione all’« autunno caldo », Bari, 1972, p. 174.“ Cfr. G. Salvemini, G. La P iana, La sorte d’Italia, Roma-Firenze-Milano, 1945, pp. 285-289.63 Cfr. M. R ossi D oria, Prospettive dell'agricoltura italiana in « Quaderni agrari » del Partito d’Azione, 1945, n. 1, pp. 25-26.

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agricole del paese e cioè anche quelle a più avanzato sviluppo capitalistico della Lombardia e dell’Emilia, unitamente a quelle a prevalente conduzione mezzadrile. Rossi Doria prefigurava un impianto generale di riforma che si poteva così riassumere: esproprio delle proprietà che superavano una certa ampiezza e del latifondo (senza entrare o meno nel merito di un indennizzo agli espropriati); potenziamento dell’impresa agricola capitalistica; forme col­lettive cooperative di conduzione anche di tipo « colcosiano » per le terre mal coltivate; rafforzamento della media proprietà; aiuti materiali e finanziari per la piccola proprietà coltivatrice per avviarla verso trasformazioni associa­tive sul tipo della cooperativa. Entro tale quadro si poneva l’accento sul va­lore riformatore che avrebbe potuto assumere la revisione dei contratti agrari e si valorizzava l’azione consorziale di trasformazione fondiaria attraverso la bonifica. Un problema che non veniva affrontato era invece quello del brac­ciantato, e non risulta in quale prospettiva si intendesse risolverlo.

Seguendo una propria evoluzione teorica del tutto personale Rossi Doria pro­porrà tanto l ’esproprio della grande che della media proprietà “ , salvo poi nel 1948, definire « gatto morto » l’ipotesi stessa di riforma agraria un tempo so­stenuta 66 67. Dopo tale revisione, la riforma, come egli ebbe modo di affermare, si ridusse ad « una politica di riforma dei patti agrari, di bonifica e di formazione graduale della proprietà contadina », che prevedeva solo nel mezzogiorno in­terventi di parziale limitazione della proprietà fondiaria68.

I cattolici ed in particolare la Democrazia cristiana, come abbiamo visto, si trovavano in questo periodo su posizioni favorevoli ad un’ipotesi di riforma agraria e prevedevano precise linee di intervento: gran parte delle iniziative che a livello di governo furono poi intraprese, si collocavano in queste pro­spettive 69.

Va detto che — così come per la sinistra — il problema della riforma agraria si riassumeva in una riforma dei contratti agrari, nella riforma e trasformazione fondiaria, mentre l’asse portante di tale iniziativa era dato dal fatto che tali interventi erano intesi come presupposto di un allargamento e di un consoli­damento della piccola proprietà coltivatrice per condizionare l ’intero fronte di lotta del movimento contadino.

La riforma dei patti agrari, intesa sotto il duplice aspetto di una più diretta

66 Cfr. Intervento di M. R o ssi D oria in Atti del Convegno sulla Riforma Agraria, Fi­renze, 5-6 settembre 1948.67 Tale definizione che M. Rossi Doria diede alla riforma agraria e più in generale le sue recenti elaborazioni, determinarono una vivacissima polemica condotta da R. Grieco su « l ’Unità » del 29 settembre e del 6 ottobre 1948, alla quale si rimanda.68 Cfr. Intervento di M. R ossi Doria al V II Congresso internazionale degli economisti agrari, tenutosi a Stresa nell’agosto 1949.69 Nella successiva esposizione sul testo delle iniziative della DC si farà riferimento prin­cipalmente al saggio di G. Medici, L ’agricoltura e la riforma agraria, Milano, 1946, al quale si rimanda per un approfondimento dei temi segnalati. Sono stati presi pure in con­siderazione gli interventi dello stesso autore e di altri sulla rivista « Critica economica » e in particolare G. Medici, Agricoltura e industria, in « Critica economica », 1947, n. 10, pp. 51-58 e l’intero n. 8 del 1947 di tale rivista interamente dedicato ai problemi dell’a­gricoltura.

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partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa e di un momento di incremento generale della produzione, era diversamente considerata a seconda delle varie zone agrarie. Nella Valle Padana, l’impresa capitalistica poteva coesi­stere accanto all’impresa cooperativa di salariati e braccianti, nelle zone appo­derate era prevista l’istituzione di una quota di conguaglio.

Nel sud venivano distinte le zone a coltura intensiva (sulle quali la libera lotta sindacale avrebbe potuto strappare migliori contratti esistendo margini econo­mici per elevare il salario), da quelle del latifondo tipico, dove era prevista la trasformazione del piccolo e precario affitto contadino in forme stabili di pro­prietà attraverso lo spezzettamento del latifondo stesso. In quest’ultimo caso non veniva scartata neppure l ’ipotesi di cooperative a conduzione divisa, sep­pure questa venisse presentata come di assai difficile realizzazione.

La riforma fondiaria in senso stretto non tralasciava di considerare l ’esistenza nel nostro paese dell’ostacolo determinato dal carattere monopolistico della proprietà terriera. Su tale questione, lo abbiamo visto, insisteva pure il pro­getto della sinistra, che prevedeva forme di esproprio da parte dello Stato o, come si precisò in un momento successivo, ipotizzava l ’utilizzazione di stru­menti giuridici quali l’estensione dell’enfiteusi a bassi canoni al fine di impedire che le spese di acquisto per le terre gravassero sui patrimoni economici dei contadini. Si voleva in tal modo far sì che i risparmi servissero ad avviare le nuove imprese senza rendere precaria, nel lungo periodo, l ’autonomia e la sopravvivenza stessa delle nuove proprietà ™.

Al contrario, nell’impostazione cattolica tali problemi non venivano affrontati con precisione in quanto l’esistenza del monopolio della proprietà terriera era visto solo come impedimento alla formazione di un libero mercato di terre. Inoltre veniva lasciata nel vago la possibilità di un intervento da parte dello Stato, al quale invece avrebbe dovuto spettare un ruolo centrale nel realiz­zare la cessione delle terre eccedenti il limite che si sarebbe stabilito.

L ’esproprio — extrema ratio — veniva preso in considerazione solo qualora non venissero rispettati i termini suesposti e l’assegnazione delle terre avrebbe dovuto avvenire tramite enti regionali per la riforma fondiaria: i terreni che non necessitavano di trasformazioni venivano passati direttamente ai contadini attraverso vendita o stipulazione di enfiteusi.

Dal Rapporto Economico per l ’assemblea Costituente non escono schemi e nep­pure proposte organiche di riforma agraria: le indicazioni che emergono sono 70

70 Un fenomeno di allargamento della piccola proprietà si era già verificato in Italia tra la fine della prima guerra mondiale e il 1927-28 (Cfr. G. L orenzoni, Inchiesta sulla pro­prietà coltivatrice formatasi nel dopoguerra, Roma, 1938; e A. Serpieri, La guerra e le classi rurali italiane, Bari, 1930). Merita però ricordare che Sereni (Cfr. E. Sereni, La questione, cit., pp. 122-129) sottolinea che tale fenomeno finì per rappresentare un ulte­riore rafforzamento della proprietà fondiaria in quanto, cessati gli elementi congiunturali che lo avevano determinato (lotte sociali, congiunture favorevoli per determinate colture, guerra, ecc.) attraverso il controllo delle vendite dei terreni e il « sistema » degli indebi­tamenti e fallimenti a catena, la grossa proprietà e la banca ebbero buon gioco a ricom­prare le stesse proprietà o quanto meno a subordinare economicamente i nuovi proprie­tari.

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per larga parte egemonizzate dalle ipotesi che abbiamo già definito come di parte conservatrice liberale.

L ’analisi compiuta dal Tofani sulla mezzadria nellTtalia centrale71, finiva per riproporre la validità di questo istituto. Infatti, pur prevedendo alcune revi­sioni dei patti agrari a vantaggio dei coloni, ciò che non veniva posto in di­scussione era l ’assetto fondiario e il principio di proprietà e quindi il tipo di rapporto di lavoro che, evolvendosi, la mezzadria aveva posto in essere 7\

L ’evoluzione capitalistica del sistema mezzadrile si era caratterizzata a seconda delle diverse zone agrarie: in Toscana aveva prevalso il sistema della fattoria, in Emilia e in alcune parti delle Marche, si era determinato un processo di dif­ferenziazione nelle aziende che vedeva sussistere di fronte a una larga massa di mezzadri poveri, aziende più moderne ed evolute. Ma la caratteristica gene­rale di tale evoluzione veniva data dal fatto che il colono, privo ormai dei fondamentali mezzi di produzione, si era trasformato in un semi-proletario legato al proprietario-capitalista solo da un rapporto di compartecipazione al prodotto. Il rapporto che aveva caratterizzato la mezzadria classica (la parte­cipazione del colono al possesso dei mezzi di produzione che lo rendeva un produttore semi indipendente) si era ormai sostanzialmente modificato, ren­dendo il mezzadro un partecipante che forniva solo il proprio lavoro, situa­zione che lo avvicinava a quella del salariato a cottimo in natura73.

Di fronte a tali sviluppi, che non a caso avevano determinato sotto il regime fascista una « apoteosi » della mezzadria e della compartecipazione, intesa que­sta in senso peggiorativo rispetto alla prima dal punto di vista economico, nell’analisi del Tofani acquista semmai rilievo il dare per scontato tale processo.

La monografia del Bandini sulle conseguenze della passata politica doganale sull’agricoltura italiana74 fornisce, da parte sua, la formulazione più chiara dell’ipotesi conservatrice7!. In altra parte del Rapporto economico76 veniva già posto in evidenza come la politica autarchica e protezionistica del fascismo avesse inciso sull’equilibrio economico generale dei vari settori della produ­zione. In particolare, risultava una netta situazione di dipendenza del settore primario dalla politica dei prezzi dei principali monopoli industriali esercitanti

71 Cfr. Ministero per la Costituente, "Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea Costituente, vol. I, Agricoltura, Appendice, M. T ofani, La mezzadria nell’Ita­lia centrale, Roma, 1946, pp. 469489.72 Su tale questione e per una illustrazione dell’evoluzione capitalistica della conduzio­ne mezzadrile nelle diverse zone agricole cfr. E. Sereni, La questione, cit., pp 113-115.73 Ibid., p. 114.74 Cfr. Ministero per la Costituente, Rapporto, cit., vol. I, Agricoltura, Appendice, M.Bandini, Conseguenze e problemi della politica doganale per l’agricoltura italiana, pp.392422.75 Ibid., p. 420, afferma l’Autore: « Il nostro ideale è comunque e sempre un sistema li­bero scambista cui crediamo fermamente si possa col tempo arrivare e che riteniamo il solo capace di portare l ’agricoltura italiana ad un progresso definitivo e stabile ».76 Cfr. Ministero per la Costituente, Rapporto, vol. II , Industria, Appendice, L. F ede­rici, Relazione tra i costi e i prezzi dell’industria e quelli dell’agricoltura in Italia, Roma,1946, pp. 127-146.

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un diretto controllo sul mercato della produzione agricola. Dalla grave crisi economica mondiale del 1929-34, che produsse un generale ribasso dei prezzi dei prodotti agricoli e industriali (più forte per i prodotti agricoli), l ’agricol­tura non raggiunse più fino alla guerra gli indici dei prezzi ante-crisi, mentre l ’industria rimontò assai più rapidamente (almeno in certi settori). La guerra era poi intervenuta come elemento di riaggiustamento di tale situazione, ma in via del tutto anomala e contingente alla durata stessa del conflitto.

Ora l ’analisi del Bandini va vista alla luce di tali elementi di giudizio, ma an­che di alcune tendenze di fondo del commercio estero italiano che comincia­vano a manifestarsi77. I dati ci mostrano che le importazioni di generi alimen­tari andavano assumendo una eccezionale rilevanza. Si pensi all’importazione del grano, che pari a 3 milioni di quintali nel 1938, passa a 25 milioni nel 1948, per un valore di 450 milioni di dollari, a cui va aggiunto, sempre in tale periodo, il forte regresso delle esportazioni di tessuti e di manufatti di cotone e di lana (che di poco hanno superato il 50 per cento del livello del ’38) e ancora più quello dei tessuti e dei manufatti di fibre di seta e di canapa.

Anche la distribuzione del commercio estero per paesi di destinazione e pro­venienza indicava ormai come nel 1949, l ’Italia si trovasse inserita, in maniera del tutto subordinata, nell’area del dollaro. Già nel 1948, rispetto ai dati del 1938, le importazioni registravano un aumento del 38,4, raggiungendo il li­vello del 58,9 per cento, mentre solo il 30,6 per cento delle nostre esporta­zioni, rispetto al 21,6 per cento del 1938, si indirizzava verso tali paesi, regi­strando un aumento complessivo di oltre il 215 per cento della percentuale delle nostre importazioni dagli Stati Uniti e dal Canada. Lo stesso commento contenuto nella pubblicazione dalla quale i dati sono tratti, sottolinea che questi

servono a mettere in rilievo il profondo mutamento, strutturale e congiunturale, della di­stribuzione del commercio [...]. La distribuzione del 1938, è vero, anch’essa non era normale, non corrispondeva cioè [...] alle condizioni di una naturale distribuzione del lavoro internazionale. Ma la distribuzione geografica del 1948 è già più di quella normale. Questa anormalità economica è la ragione prima delle nostre difficoltà [...] che sono in gran parte analoghe a quelle degli altri paesi dell’Europa78.

Nelle proposte presentate da Bandini il verificarsi di tale anormalità viene pre­sentato come il minore dei mali possibili. La scelta di una ristrutturazione della agricoltura secondo i principi del libero scambio si presenta valida in un’ipo­tesi di lungo periodo, in quanto, essendo il mercato il punto di riferimento e di equilibrio, tale meccanismo dovrà avere tempo per produrre i propri effetti regolatori e di aggiustamento. Tale processo implicherà una selezione dei tipi di culture privilegiate a detrimento di altre, ad esempio grano, significherà rior­ganizzare il settore agricolo attraverso momenti di aggregazione-disaggregazione della produzione e quindi fenomeni veri e propri di emigrazione da zona a

77 Ci riferiremo qui ai dati riportati nel volume, I stituto di E conomia Internazio­nale, Le recenti svalutazioni monetarie e il commercio con l’estero dell'Italia, a cura della Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Genova, Genova, 1949.

Ibid., p. 23.78

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zona e, non ultimi, una ripresa dell’emigrazione verso l’estero, che lo Stato dovrà regolare79 80 81 82.

Ora, se da un lato tale ipotesi non eviterà l’esplicarsi degli effetti negativi ri­levati dall’andamento del commercio estero, finirà anche per aggravare nel breve periodo il quadro complessivo del settore agricolo. Da ciò la palese contraddizione in cui lo stesso Bandini finisce per cadere quando, affermando che « la rapida attuazione di un sistema libero scambista determinerà una crisi gravissima per la nostra agricoltura », si dice favorevole, o almeno non contrario, ad un sistema di medio protezionismo, cioè « protezionismo in senso classico, con dazi chiari, non elevati, e, nella ipotesi della stipulazione di trat­tati di commercio, con la generalizzazione della applicazione della clausola del­la nazione più favorita » In tal modo si ripropone di fatto una linea di poli­tica agraria che anziché invertire un’antica tendenza, ripropone di fatto forme di protezionismo che hanno storicamente collegato determinati settori del­l’industria a quelli del padronato agrario e ciò viene giustificato dall’autore come necessità di un adeguamento del protezionismo industriale ai bisogni del­l ’agricoltura di concimi, macchine, rame, petrolio, rivendicando a quest’ultima l ’« assoluta libertà di importazione » “ .

A tali posizioni si ricollega il dibattito e le risposte che i proprietari agrari intesero dare al movimento di lotta per la conquista degli obiettivi di riforma. Le organizzazioni cui essi fanno capo infatti, si impegnano in tale periodo nella elaborazione di linee alternative e nella ricerca di strumenti che non siano sem­pre e solo quelli classici della repressione. Certamente, bisogna distinguere le componenti più retrive e reazionarie da quelle più moderne sotto un profilo capitalistico-imprenditoriale83, poiché nella serie dei convegni che vengono or­ganizzati, tali differenze emergono con evidenza. Occorre segnalare, inoltre, che

79 Cfr. Ministero per la Costituente, Rapporto cit., M. Bandini, Conseguenze, cit., p. 418.80 Ibid., p. 420.81 Cfr. E. T ortoreto, Lotte agrarie, cit. pp. 231-233, l’autore sottolinea che anche nel secondo dopoguerra gli agrari non perdettero mai di vista l ’interesse essenziale della loro politica agraria e cioè il protezionismo che si riassumeva nell’alto livello dei prezzi dei cereali, in forme di difesa doganale e nel finanziamento pubblico dell’agricoltura che pre­supponeva un netto rifiuto ad una riforma degli ordinamenti colturali e ad una inte­grazione dell’agricoltura nella società industriale, e afferma: « È questa la linea dei pro­prietari terrieri, che godono di rendite pagate a riferimento di generi protetti. Per questo la proprietà identifica principalmente nella protezione dei cereali i propri interessi, te­mendo inoltre di dover reinvestire in migliorie le proprie rendite in seguito a innovazioni colturali », Ibid , p. 232.82 Cfr. M. Bandini, Conseguenze, cit., p. 421.83 Tale distinzione ci è parsa opportuna in quanto, nonostante il significato politico che questi convegni finiranno per mostrare e che sarà rilevato nel testo, in tale periodo venivano avanzate anche dalla parte padronale, interessanti proposte, seppure isolate, di riforma, cfr. A. Bertuzzi, La Riforma agraria, Milano, 1945. L ’autore, infatti, ipotizza la nazionalizzazione della terra e venendo al potenziamento delle colture specializzate e della zootecnia in alternativa alla vecchia concezione dell’agricoltura propone interventi pub­blici pianificati, attraverso strumenti che assomigliano agli enti di sviluppo più tardi in­trodotti nel sistema, accanto ad una forte cooperativa, tali da essere capaci di orientare le scelte anche dei privati. Tali proposte nascono nell’ambito di un contesto agricolo assai sviluppato come quello di certi settori produttivi del nord e finiscono per essere in contraddizione con gli interessi del forte padronato agrario meridionale e di certi settori arretrati dell’agricoltura del paese.

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in tali convegni sono impegnate anche le organizzazioni dei tecnici agrari dei vari istituti e centri di elaborazione di politica agraria e spesso vi partecipano i rappresentanti politici e sindacali della sinistra.

Il 25 gennaio 1946, organizzato dalla Facoltà di agraria della Università e dalla Regia accademia dei Georgofili, ha luogo a Firenze un Convegno agrario italo-americanoM. Il fatto che tale convegno si occupi ancora largamente del problema della mezzadria sottolinea che le lotte in corso nel paese costituivano un punto di riferimento dal quale non si poteva prescindere e che erano tali da mettere fortemente in discussione tale tipo di conduzione. Ben tre furono le relazioni su tale questione, ma se ciascuna di esse riflette la necessità di ri­toccare con urgenza i patti, tale necessità serve a coprire la preoccupazione ben più profonda di una riforma che coinvolga la struttura stessa dell’istituto.

Lo stesso intervento del ministro dell’agricoltura Gullo, se da un lato intro­duce nel dibattito ipotesi di riforma agraria, mostra dall’altro come le osser­vazioni svolte85 risentano del clima e del significato politico del convegno, che mira nella sostanza a mediare gli aspetti più interessanti della riforma allo scopo di neutralizzarne gli obiettivi e gli sviluppi. Ciò appare più chiaramente dalla mozione conclusiva, allorché si afferma, sul problema centrale della mez­zadria, che questa « non solo non ha esaurito la sua funzione economica so­ciale [...] è destinata a perfezionarsi [ ...] , potenziata dalla tecnica e dalla scienza e ha mezzi per elevare contemporaneamente il reddito dei proprietari e dei coloni e sgravare i lavori ora compiuti dai contadini » “ .

Anche il Convegno per le trasformazioni fondiarie nel mezzogiorno, che si tenne a Napoli verso la fine dello stesso anno87, segue sostanzialmente tale linea e raramente viene sollevato il problema della riforma agraria, quasi ignorato in molti degli interventi. Nella mozione conclusiva si fa riferimento ad essa quando si auspica che

sia facilitata e promossa l’azione bonificatrice dei proprietari, rimuovendo gli ostacoli che derivano dalla presente incertezza circa i modi e i limiti di una eventuale riforma agraria,

" Cfr. Atti del congresso agrario italo-americano, Accademia dei Georgofili, Firenze, 1946.85 Gullo afferma genericamente che la riforma agraria « deve assicurare un aumentodella produzione, sì che ne consegua la necessità di valorizzare al massimo, l’iniziativa della produzione [...] e la cooperazione di tutti, in modo che il più grave dei problemi italiani venga risolto dalle aumentate capacità produttive generali » cfr. « l’Unità », 27 gennaio 1946. “ Cfr L. B o n if o r t i , Al di sopra delle frontiere, in « La Nazione del Popolo », organo del CTLN, 2 febbraio 1946; le corrispondenze impostate da « l ’Unità » e dall’organo liberale « La Patria » e cfr. Atti del Congresso, cit. Degni di rilievo, per la cronaca, appaiono gli in­terventi del prof. Cadorna, il quale ipotizza per la ripresa del settore agricolo un parco mac­chine di 6.500 trattrici, 30.000 aratri e 15.000 seminatrici, e del prof Giuliani. Quest’ultimo rilevato che in Italia vi sono 18 milioni di capi di bestiame, sottolinea la necessità che nel corso di un quinquennio, tramite l’intervento diretto del governo, debba essere raggiunto un quoziente di 30 milioni di capi. Ma a questa posizione si contrappone l’intervento di Sceiba il quale nega la validità di una presenza governativa nel settore. Nelle relazioni dei tecnici americani, il dr. Sullan ritiene necessaria l ’emigrazione agricola italiana in America, mentre il Parker, agronomo dell’ambasciata, prospetta per l ’agricoltura italiana un avvenire di consumatrice di prodotti industriali americani in cambio di forniture agricole specializzate; cfr. « l’Unità », 27 gennaio 1946.87 Tale convegno fu organizzato dall’Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e migliora­menti fondiari, insieme al Centro economico italiano per il mezzogiorno e vede la partecipa­zione, tra gli altri, di Sereni, Medici, Rossi Roria, che è pure uno dei relatori, mentre vi ade­riscono anche Giorgio Amendola e Pietro Grifone.

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con il precisare [...] gli obblighi dei proprietari [...] con 1’assicurare che sarà tenuto intera­mente conto ai fini della riforma, di quanto sarà volontariamente fatto dai proprietari per un migliore assetto sociale della proprietà fondiaria

Durante il 1947 la promozione di tali convegni si rallenta notevolmente man mano che si modifica il quadro di riferimento politico generale sia all’interno che all’esterno. Non a caso tali attività riprendono circa due anni dopo, quando, alla fine di giugno del 1948, viene organizzato dall’Accademia dei Georgofili un convegno di studi per il finanziamento delle trasformazioni fondiare Questo si colloca infatti tra la sconfitta elettorale del Fronte Democratico, che ha definitivamente annullato ogni ipotesi di immediata ripresa di collaborazione governativa da parte delle forze di sinistra, e un rilancio delle lotte dei mezza­dri che, approfittando del periodo di raccolta del grano, sono decisi a conqui­starsi miglioramenti contrattuali. Inoltre è in tale convegno che avviene la com­pleta riabilitazione di Serpieri che, col suo intervento, prepara e per certi aspetti « collauda » l ’impianto del Convegno sulla riforma agraria che si svol­gerà tre mesi dopo a Firenze50.

L ’obiettivo politico di fondo di questi due ultimi convegni è quello di prevenire e contenere l ’esplodere indiscriminato, da parte delle masse contadine, di riven­dicazioni cui difficilmente il governo avrebbe potuto sottrarsi, coordinando anzi la manovra di questo, che affermava ad ogni occasione l ’imminenza di una legge sulla riforma agraria. Con tempestività quindi i Georgofili chiamano a raccolta gli agrari di tutta Italia, organizzano la partecipazione dei teorici e dei tecnici agrari, escludendo però in questa occasione le rappresentanze sindacali delle organizzazioni di classe dei contadini, fatta eccezione, ovviamente, per la Coldiretti.

Il convegno vede contrapporsi, in sintesi, due tendenze di fondo, che fanno sostanzialmente capo a Bandini e a Serpieri, ed è quest’ultimo che, interve­nendo sui problemi della riforma, pare distinguersi dal conservatore ad ol­tranza, sostenendo posizioni assai più « illuminate ». Infatti, la riforma agra­ria, che certamente nuocerebbe alle zone ove il tipo di conduzione è tipica­mente capitalistico, in altre zone essa è necessaria e si impone come prioritaria la riforma dei rapporti contrattuali. Inoltre egli ribadisce la validità di una riforma fondiaria che redistribuisca ai contadini la proprietà arretrata e lati- fondista, salvo pagamento ed indennizzo ai proprietari51.

“ Cfr. Mozione conclusiva in Atti del congresso di Napoli per le trasformazioni fondiarie nel mezzogiorno e nelle isole, Napoli, 26-28 ottobre 1946.19 Cfr. Atti del Convegno in II finanziamento delle trasformazioni fondiarie, Accademia dei Georgofili, Firenze, 27-28 giugno 1948.90 Cfr. Atti del Convegno, in La Riforma Agraria, Firenze 5-6 settembre 1948.91 Ibid., e anche cfr. G. T amagnini, Limiti della riforma agraria, in « La Nazione » 7-8 set­tembre 1948, ove è ripresa, nel suo significato politico, la mozione Serpieri. Per quanto ri­guarda il Serpieri merita qui sottolineare come, nei primi convegni, la sua figura rimase sostanzialmente in ombra. Infatti il suo passato di principale teorico agrario durante il primo periodo del fascismo e la RSI, in pratica lo emarginava dal dibattito. Non a caso i suoi al­lievi tentavano una sua riabilitazione politica presentandolo come « vittima » del fascismo a causa degli scontri che questi ebbe con Mussolini in merito alle proposte di legge di riforma fondiaria, di fronte ai provvedimenti epurativi in atto. In tale prospettiva si ricollega la tem­pestiva pubblicazione di un suo saggio dedicato alla riforma agraria (cfr. A. Serpieri, La rifor-

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Gli interventi di un certo respiro innovatore si riducono a quelli di Tabet, pressoché l ’unico rappresentante della sinistra presente al lavori, al quale si contrappone Rossi Doria, attestatosi ora, passata l ’ubriacatura del « mito » del 1945, su posizioni moderate.

Lotte contadine e organizzazione di classe di fronte alla conservazione agraria

La « fame di terra » dei contadini italiani ha da sempre incontrato la resi­stenza dei grossi proprietari terrieri pronti in ogni occasione a difendere ed a consolidare il privilegio della rendita, a generalizzare le forme più svariate di contratti-capestro92, a tenere divise quanto più fosse possibile, a danno stesso di uno sviluppo economico equilibrato, città e campagna, idealizzando l’arre­tratezza dell’autoconsumo con immagini arcadiche della « naturale » parsimo­nia del contadino” .

Un giudizio complessivo sulle lotte contadine del secondo dopoguerra, che riassuma correttamente il loro significato politico generale, ci pare essere quel­lo che afferma che esse « hanno indubbiamente rappresentato un importante

ma agraria in Italia, Roma, 1946) patrocinato dalla Associazione nazionale dei consorzi e dal­l ’Istituto di economia agraria (INEA).Anche l ’Opera nazionale combattenti, istituto di grande rilevanza nazionale, si incaricò di favorire tale riabilitazione affidandogli un’altra importante pubblicazione: cfr A. Serpieri, La valutazione delle terre concesse ai contadini, Roma, 1948.92 Su tale questione osserverà Grieco: « La molteplicità di contratti, da alcuni economisti vantata come un segno di sanità della nostra economia agricola è, nella realtà, una conferma della sua arretratezza. La disgregazione delle economie contadine e che ha portato al crearsi di un numeroso proletariato agricolo e di un pulviscolo di micro proprietà, ha determinato [...] una larga offerta di mano d’opera agricola a buon mercato e l’estendersi di tipi di con­tratto medioevali e strozzineschi.Un esame particolareggiato di questi contratti dà una conferma più diretta del peso ec­cessivo e molto spesso prevalente che essi assicurano alla rendita sui redditi di capitale e sui salari, ciò che è sempre un indice dell’arretratezza dell’agricoltura [...] per il peso specifico che vi hanno le forme di rendita precapitalistica in confronto al peso della rendita capitali­stica e per l ’insieme delle clausole servili con cui legano il contadino al concedente, cfr R. G rieco, D. Tabet, A. D e Feo, P. G rifone, Sui contratti agrari, Novara, 1954, pp. 8-9. Per esemplificare come tali osservazioni si presentassero nella condizione del sud drammatica- mente aggravate cfr. P. G rifone, La riforma dei contratti agrari condizione -per il progresso del mezzogiorno, in « Riforma Agraria », 1954, n. 2, pp. 6-8.93 Cfr. R. Grieco, D. Tabet, A. De F eo, P. G rifone, Sui contratti, cit., p. 7. Ivi si afferma: « L ’apologià della sobrietà di colui che lavora e che non ha da mangiare a sufficienza o non ha mezzi sufficienti per provvedere ai bisogni civili della propria famiglia, a parte i suoi aspetti ripugnanti dal punto di vista morale, è l ’espressione di un rachitico sviluppo delle forze pro­duttive. I “ nostri” pubblicisti agrari e altri propagandisti, amano troppo spesso immaginare che il lavoratore della terra, il contadino, sia “ frugale” per natura: tale comoda “condizio­ne” li esime dal considerare il lavoratore della terra e i contadini come degli uomini anelanti a soddisfare le stesse aspirazioni degli altri uomini, e mantenere le nostre campagne, in gene­rale, ad un livello arretrato di civiltà ». Tali « schemi » si servivano spesso anche dei valori morali e religiosi che la Chiesa metteva a loro disposizione. Pio XII nell’allocuzione al primo Congresso della Confederazione Coltivatori diretti, affermò: « Voi siete fonte di vita inteme­rata, morale e religiosa [...] il lavoratore dei campi rappresenta ancora l ’ordine naturale vo­luto da Dio [...] laboriosità, rispetto delle autorità, anzitutto dei genitori, amore di Pa­tria, rispetto delle tradizioni » (cfr. D ’A scenzo, I documenti pontifici sulla vita agricola, Università gregoriana, Roma 1961. Su tali questioni e più in generale, circa le posizioni ufficiali della Chiesa relative ai « Problemi della vita rurale » si rimanda agli Atti delle « Settimane sociali dei Cattolici d ’Italia », di volta in volta pubblicati).

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fattore di spostamento della precedente situazione, spingendo l ’agricoltura verso forme relativamente più avanzate nel campo dell’ordinamento fondiario, dei contratti agrari, dei salari, degli investimenti » M.

È necessario rilevare, però, che nel periodo considerato, le tappe, le scelte, le forme di tali lotte e non ultimi i loro essenziali momenti organizzativi, si col­locarono all’interno di un dibattito e di uno scontro politico e sindacale del quale merita riferire.

Un elemento di confronto, come abbiamo già accennato, fu costituito dal ri- pensamento di Sereni sulla tematica delle lotte contadine nel secondo dopo­guerra e sul loro svolgersi nel tempo9S.

« A che punto siamo con le lotte per la terra? » si chiede nel 1956 l ’autore impegnandosi a tracciare un bilancio della situazione. I più importanti risul­tati, egli afferma, si ottennero « non già nel primo più facile slancio degli anni immediatamente successivi alla liberazione, bensì in quelli di un più aperto avvio alla restaurazione capitalistica, quando — dopo le elezioni del 18 aprile 1948 — a molti pareva che il monopolio reazionario e clericale stesse per ri­divenire un dato permanente della situazione politica e sociale italiana ». È nel periodo 1948-53 che si registra una ripresa delle lotte per la terra, che di­venta perciò

l ’agente decisivo per l’incrinatura di quel monopolio [...]. Si può ben dire che dal punto di vista politico, come da quello legislativo, economico e sociale, questa prima fase della lotta per la terra si è sostanzialmente conclusa con le elezioni del 7 giugno 1953. [...]. Non dimentichiamo, infatti, che — in quella prima fase — la lotta delle masse dei contadini poveri e dei braccianti (specie meridionali), indirizzate alla redenzione ed alla conquista delle terre incolte e mal coltivate del latifondo tradizionale, era rivolta, in sostanza, quasi esclusivamente contro i più pesanti ed appariscenti residui feudali del regime fondiario ed agrario del nostro paese, concentrati appunto nel mezzogiorno. Nei confronti della grande proprietà e della grande azienda capitalistica, invece, o anche del latifondo di tipo non più tradizionale [...] la lotta delle masse si è sviluppata, dapprima, non già immediatamente e direttamente come lotta per la terra, bensì come lotta per la riforma dei contratti agrari:

84 Cfr. « Quaderni CG IL », La situazione nelle campagne, Roma, 1956, p. 105.85 Cfr. E. Sereni, Una nuova fase nella lotta per la terra, in « Riforma Agraria », 1955, n. 11, pp. 1-4. Che, del resto, le posizioni dei gruppi dirigenti non sempre siano state un dato monolitico nel panorama complessivo del dibattito nella questione agraria di quegli anni e che induce ad una seria riflessione protagonisti e studiosi sugli avvenimenti è rimarcato in una serie di testi generalmente collegati a convegni o congressi; tra questi di rilevante interesse l’intervento di G. Amendola al Convegno dell’Istituto Gramsci di Roma del 1962 sulle « Ten­denze del capitalismo italiano » dove si afferma che « soltanto nel 1950, dopo una lunga bat­taglia politica interna al partito comunista e al partito socialista, sorse l’associazione dei con­tadini del mezzogiorno », fatto questo che « ha pesato sullo sviluppo delle lotte contadine nelle campagne italiane ed ha facilitato l’azione della DC per affermare il suo controllo ideo­logico ed organizzativo sulle masse contadine » (cfr. G. Amendola, Lotta di classe e sviluppo economico dopo la Liberazione, in Tendenze del capitalismo italiano, Roma, 1962, p. 172). Ancora sul problema dell’agricoltura ed in particolare sul ruolo da assegnare all’azione nel Mezzogiorno, lo stesso autore rileva ancora come non mancarono « polemiche vivaci all’interno del movimento operaio ed anche all’interno del PCI » [Ibid., p. 187). Diverse posizioni ap­paiono anche all’interno della DC, tra De Gasperi e Gronchi, per esempio (cfr. S.I. D orofeev, Istorija Italii, vol. I l i , Mosca 1971, pag. 292 e sgg). Anche parte della storiografia più recente ha assunto posizioni di critica verso la linea strategica portata avanti dalle forze di sinistra nei confronti della questione agraria nell’immediato dopoguerra, come esempio cfr.: G . Bo­laffi, A. Varotti, Agricoltura capitalistica e classi sociali in Italia, Bari, 1973 (in particolare l’introduzione e le pp. 149-164, 239-249); e C. Daneo, Agricoltura e sviluppo capitalistico, Torino, 1969, passim.

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che ha certo, già di per se stessa, un carattere ed un valore strutturale, ma che non ha posto, come compito immediato, quello della conquista della terra a chi la lavora, come invece è avvenuto sulle terre del latifondo tradizionale56.

Dalle considerazioni di Sereni emergono sostanzialmente due punti di riferi­mento. Da un lato ci pare detto molto chiaramente che nel dopoguerra le lotte contadine, pur non sottovalutando alcune importanti conquiste si mani­festarono come lotte per i contratti al nord e lotte per la terra al sud: tale diversità finì per far perdere di vista un progetto generale di riforma agraria che avesse come unico obiettivo l ’immissione del contadino al possesso della terra. Dall’altro Iato, questo obiettivo che ebbe fasi alterne nel periodo 1945-48, registrò nella direzione sopra indicata più battute d’arresto che « importanti risultati », mentre nel periodo 1948-53, caratterizzato dalla restau­razione capitalistica, segnalò alcuni significativi segni di ripresa.

Tali considerazioni rimandano per l ’intero periodo, ed in particolare per il 1945-48, ad una valutazione del ruolo della componente comunista nel qua­dro delle forze antifasciste, per il carattere, del resto già rilevato, di novità che tale presenza venne a rappresentare: sia perché egemone nell’organizza­zione e nella direzione della componente di classe nelle campagne e sia perché presente nei governi di unità democratica, fino alla primavera del 1947.

Durante tali governi il quadro politico e sindacale delle lotte contadine si ri­propose gran parte degli obiettivi delle lotte che si erano susseguite fino alla liberazione registrando, come abbiamo visto, nel sud una ripresa delle oc­cupazioni del latifondo dei contadini poveri e senza terra e, nel nord, un im­ponente movimento che vide mobilitate diverse categorie di lavoratori: mon­dine, braccianti, mezzadri, affittuari coltivatori.

Nel nord, tali lotte, da un lato, riproposero come punto di riferimento tutto il significato ancora vivo e presente della tradizione socialista e riformista, ma segnalarono anche, come elemento determinante per gli sviluppi successivi, l ’impostazione comunista. Tale elemento è sottolineato da Romagnoli quando afferma che l ’unità tra braccianti e mezzadri si realizzò nella lotta per il nuovo patto colonico di mezzadria sulla base di rivendicazioni che andavano « nella direzione del soddisfacimento delle aspirazioni di ambedue queste categorie » 96 97. Cioè per i contadini si richiesero nuovi riparti, indennizzi, ecc. e per i brac­cianti migliorie da compiersi a carico della proprietà.

96 Sereni ribadirà tali considerazioni in un saggio successivo sottolineando con maggiore durezza le proprie conclusioni politiche: « In un’epoca, in un paese come il nostro, nel quale il problema di una riforma fondiaria generale è e resta una delle chiavi di volta di ogni pro­gresso economico, sociale, politico, ogni attenuazione della prospettiva di lotta per la terra come lotta politica attuale è estremamente pericolosa, e va energicamente criticata; ogni lotta per la riforma dei patti agrari — perché possa assumere tutto il suo necessario slancio risolu­tivo — può e deve essere impostata come un momento, come una tappa di avvicinamento alla lotta per la conquista della terra a chi la lavora, non può e non deve in alcun caso divenire un suo surrogato, che releghi in realtà la lotta per la conquista della terra stessa in una prospettiva puramente propagandistica. Che debolezze in questo senso si siano potute riscon­trare e si riscontrino in questi anni di grandi e difficile lotte, anche nello schieramento demo­cratico avanzato, non vogliamo certo negare ». Cfr. E. Sereni, Vecchio e Nuovo nelle cam­pagne italiane, cit., pp. 2-3 e 38.n Cfr. L. R omagnoli, Aspetti della Resistenza, cit., p. 14.

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L ’azione dei comunisti puntò quindi ad una rivalutazione generale della tra­dizione leghista e sindacale nelle campagne attraverso l’antifascismo come ele­mento di consolidamento di un nuovo sistema di alleanze sociali9 * * 98 * 100.

Tra il 1944 e il 1945 le lotte, come nel caso delle agitazioni mezzadrili, in­vestirono tutta la fascia centro-settentrionale. Come risultò dal Convegno regionale toscano della Federazione nazionale lavoratori della terra, che si tenne a Siena nel maggio 1945, il programma rivendicativo di tale categoria si presentava ormai corredato di una piattaforma generale, base delle rivendi­cazioni degli anni successivi. Di fronte al rifiuto della Confida di trattare a qualsiasi livello, la Federazione inviò alle proprie organizzazioni periferiche linee organizzative e tattiche che confermavano gran parte del significato poli­tico ed economico delle rivendicazioni maturate sotto la spinta della guerra di liberazione e si riassumevano, oltre che nell’obiettivo generale del superamento della partizione al 50 per cento (base tradizionale del patto stesso) in quello del trasferimento e scarico delle migliorie sulla parte padronale, permettendo così un collegamento organico con la componente bracciantile ” .

Al contrario nel sud il movimento di lotta aveva tradizioni e radici diverse. In­fatti se il bracciante della Valle Padana ha sempre trovato nella tradizione di organizzazione e di lotta socialista il momento della propria emancipazione, quello del sud rimane sostanzialmente « un contadino senza terra » e cioè « un ex contadino che aspira a tornare nuovamente tale, il cui ambito mentale e il cui comportamento sociale sono dominati dal rimpianto verso il pezzo di terra al sole che egli e i suoi ascendenti un tempo possedevano e dalla spe­ranza che egli potrà tornare ad avere del suo, senza più essere costretto a vendere la propria forza lavoro ai suoi colleghi più fortunati » 10°.

Anche nel dopoguerra la spinta delle masse dei braccianti e contadini poveri a riversarsi sulle terre del latifondo, secondo una ormai secolare tradizione, sarà determinata da tali aspirazioni.

Il fenomeno delle occupazioni delle terre incolte e mal coltivate trovò nel de­creto Gullo n. 311 del 19 ottobre 1944 una significativa regolamentazione sulle concessioni delle terre ai contadini singoli e associati. Il decreto sarà poi perfezionato da altre norme nel settembre 1946 e rappresentò, nel com­plesso, uno dei principali risultati conseguiti dal programma agrario dei pri­mi governi democratici101. Tali provvedimenti non mancarono di scatenare la reazione agraria che si scagliò contro l’applicazione di tali disposizioni di

9S Ibid ., pp. 12-13.99 Tali elementi emergono dai congressi e convegni specifici, quale quello del 21-22 mag­gio 1946 a Roma, che vede riuniti i rappresentanti dei mezzadri dell’Emilia, Toscana, Marche,Umbria, Veneto e quelli della provincia di Teramo; come pure quello svoltosi a Firenze ii 12-13 aprile 1947. L ’impegno organizzativo che così si esprime tende a realizzare il massimodi mobilitazione della categoria e ad allargare intorno ad essa il sistema delle alleanze, poiché, con la trasformazione del « lodo » in legge, occorrerà garantire che sia effettivamente attuato il nuovo riparto al 53 per cento e che la parte padronale rispetti l’impegno a reinvestire il 4 per cento previsto in miglioria.100 Cfr. G. Procacci, Geografia e strutture, cit., p. 83.101 Per una analisi della politica agraria di tali governi cfr. M. G omez, La politica agraria governativa, in « Critica Marxista », V i l i , 1970, n. 1-2, pp. 218-236.

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legge, favorita nella repressione dalle forze dell’ordine. Fu proprio in queste occasioni infatti che gli agrari ritrovarono un valido appoggio nelle diverse au­torità alleate (A.M.G.), locali e dello Stato (Prefetture, Carabinieri, Tribu­nali, ecc.) e riuscirono a rendere pressoché nulla l ’attività delle Commissioni Circondariali preposte alle distribuzione delle terre 102.

Parallelamente le lotte bracciantili del nord puntarono a consolidare alcuni elementi contrattuali tipici quali la gratifica natalizia, la retribuzione per gli avventizi a giornata anziché a ore, ecc., lotte che nell’autunno 1946 ebbero come obiettivo generale l ’assorbimento della disoccupazione attraverso l’impo­nibile di mano d ’opera, la richiesta del pagamento del salario in denaro e l ’ag­ganciamento di questo alla scala mobile. Il lodo De Gasperi del giugno 1946 realizzò la conquista, anche normativa, di un migliore riparto per i mezzadri e la « tregua » che ne seguì tendeva ad un alleggerimento della tensione sociale allo scopo di incentivare nel paese la ripresa della produzione nel quadro della ricostruzione democratica.

Il 1947 si presentò come un anno di intensa attività sindacale e organizzativa, che impegnò sin dalla primavera larghe masse di lavoratori in vasti scioperi in tutto il paese. Nel settore agricolo le lotte vennero condotte su obiettivi di carattere generale: obbligo delle migliorie fondiarie a carico della proprietà, fissazione dell’imponibile, adeguamento dei salari alla scala mobile, giornata lavorativa di otto ore come nell’industria, ecc.

Su tali punti il movimento realizzò in agosto risultati positivi nel bolognese e sull’onda di tali realizzazioni si estese a tutta la Valle Padana, fino al patto interregionale del 18 settembre. Tale iniziativa di lotta si affiancava a quel­la che la classe operaia stava conducendo nei centri industriali per il caro vita, contro la spinta inflazionistica che riduceva drasticamente il potere d ’acquisto dei salari dei lavoratori.

Nel sud la lotta di classe si manifestò ancora una volta con l ’occupazione delle terre a cui seguì la repressione con l ’eccidio di Portella della Ginestra (1° maggio 1947).

Tale quadro di riferimento ci pare sostanzialmente confermare le annota­zioni di Sereni. Non si vuole qui dimenticare che tali lotte porteranno nel 1948 alla presentazione da parte delle sinistre di due progetti di legge relativi alla riforma dei contratti agrari ed alla riforma fondiaria che pongono con

Relativamente alla situazione del contadino meridionale la più recente storiografia conferma quanto detto sul testo. Infatti se il decreto legge del 1944 « specificava che questa terra po­teva essere coltivata o da gruppi di contadini in forma di coltivazioni miste, o dei singoli coltivando separatamente singoli appezzamenti » si è constatato che dei « 180.000 ettari di terra che erano stati temporaneamente concessi con questo sistema, solo il 10 per cento verme coltivato in forma collettiva; il 7 per cento venne coltivato in forma mista e l’83 fu coltivato da contadini individualmente, cfr. S. G. T arrow, Partito comunista e contadini del mezzo­giorno, Torino, 1972, p, 249.102 Infatti al dicembre 1946, su 565.986 ettari di terre incolte richieste, solo il 24 per cento (136.917 ettari) venne assegnato ai contadini nelle varie forme di conduzioni, cfr. «Quaderni CG IL », La situazione, cit., p. 110.

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fermezza l ’urgenza di una generale riforma agraria 103. Né va dimenticato come anche sotto la spinta delle lotte contadine fu possibile arrivare alla realizzazione di una Costituzione democratica che sancì come uno dei fini generali dello Stato la ristrutturazione del regime della proprietà privata, subordinandola al criterio della funzione sociale, prevedendo, perciò, una riforma fondiaria capace di conseguire un razionale sfruttamento del suolo ed equi rapporti sociali, stabilendo la possibilità di fissare limiti alla estensione della proprietà fondia­ria ed imponendo la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostruzione delle unità produttive. Ciò che occorre qui rilevare è che le va­rie forme rivendicative in cui si articolarono le lotte per la riforma agraria, non sempre posero il possesso della terra come obiettivo principale.

Ciò si può rilevare anche dalle difficoltà che incontrarono le parziali conces­sioni di terra avvenute tramite i decreti di legge. Lo stesso ministro Gullo affermò :

Allo stato attuale della legislazione, che va considerata in funzione di una fase iniziale di una molto più ampia e profonda riforma, si mira a conseguire due risultati di innegabile efficacia miglioratrice. Il primo è che la terra venga concessa non al singolo contadino ma alle cooperative dei contadini, ossia ad una associazione la quale, poiché intende a convo­gliare le singole attività per attingere con maggiori vantaggi una meta comune, lascia fondatamente sperare che verranno realizzate forme di conduzione collettive, le quali costi­tuiscano la sicura base di più razionali e moderni metodi colturali. L ’altro risultato è che, assicurando la terra alle cooperative per un considerevole numero di anni, si rendano possibili quelle opere, più o meno vaste, di trasformazione e di miglioramento che il monopolio dei grandi proprietari terrieri non ha mai potuto né saputo realizzare l04.

Emerge da queste considerazioni che tali obiettivi di riforma procedono e si realizzano solo quando si collegano alla spinta di un movimento generale ca­pace di dare la terra a chi la lavora, il solo, come osserverà Sereni, capace di rendere esplicito che « l ’obiettivo della lotta non è più considerato dal punto di vista del legislatore, del giurista o del tecnico della politica, bensì da quello delle masse lavoratrici agricole come garanzia più che mai necessaria ed urgente di lavoro e di vita » 105.

Nella prima fase del dopoguerra proprio tali aspetti « legislativi » della rifor­ma furono accentuati e finirono poi per riflettersi negativamente sugli stessi obiettivi del movimento. Afferma Grifone che « non appena [i comunisti] sono andati al governo [...] si sono subito preoccupati di preparare una serie di leggi che venissero incontro concretamente, subito, a talune delle più ur­genti necessità dell’agricoltura e dei contadini italiani » 106.

Ma accanto agli indubbi vantaggi che tali provvedimenti di legge realizzarono per i contadini va, comunque, rilevata la debolezza di proposte che ancora

103 II « Progetto di riforma dei contratti agrari » fu presentato, il 17 giugno 1948, al Senato da un gruppo di senatori del Fronte democratico, mentre il « Progetto di riforma fondiaria » fu pubblicato il 10 agosto dello stesso anno su « L ’Unità » di Roma per sot­toporlo ad una discussione generale sulla stampa nazionale e provinciale del partito. Per una analisi tali progetti sono riportati in R. G rieco, Introduzione, cit., pp. 291 e sgg.1M Cfr. F. Gullo , Il latifondo e la concessione delle terre incolte ai contadini, in « Rina­scita », II, 1945, n. 7-8, pp. 175-176.105 Cfr. E. Sereni, A proposito di parole d'ordine nella lotta per la terra, in « Riforma Agraria », 1956, n. 2, p. 24.106 Cfr. P. G rifone, L ’Azione dei comunisti in difesa dei contadini, Roma, 1945, p. 3.

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una volta si riducevano ad espedienti « tecnico-amministrativi ». Secondo Gri­fone il decreto legislativo relativo alla proroga dei contratti agrari del 5 aprile 1945, ha voluto « solamente stabilire il principio che i contadini non pos­sono essere sfrattati, ma non ha voluto affatto impedire che i contadini attra­verso le loro organizzazioni riescano a stipulare nuovi patti colonici » per cui se il decreto anche « lasciando piena libertà ai grandi proprietari consente a questi ultimi di aumentare i canoni ne risulterà, è vero, un aumento della rendita », ma risultando questa in maniera certa dal contratto, « sarà molto più facile colpirla con forti tasse in modo da annullare l ’eventuale vantaggio del proprietario » 107.

La prospettiva di un intervento dall’alto, dalla direzione generale dello Stato in vista di soluzioni parziali riemerge e finisce, di fatto, per mediare le poten­zialità stesse del movimento, diminuendo la spinta verso una sempre più graduale partecipazione alla scelta dei sistemi colturali, alla direzione della produzione e quindi al controllo della terra quale strumento fondamentale per conseguire i due fini precedenti.

La stessa elaborazione del PCI per l ’organizzazione dei comitati per la terra, che nacque nel 1947 dalla « Costituente della terra » 10S, risentì già allora del tentativo di rivedere tali questioni. Come rileverà Grieco al VI Congresso del partito, questi organismi non sono più intesi, come accadde nel 1945 per i comitati per la riforma agraria, ma concepiti come momenti di studio della ri­forma, che li portò ad avere scarso rilievo e peso politico (tranne in Sicilia e dove ebbero modo di saldarsi con il movimento di lotta per la terra), ma come iniziative politiche e di lotta m.

Si trattava, perciò di riconsiderare tutto il significato e la portata politica di quella che la storiografia ha definito « la proposta contadina sulle riforme di struttura » 1,0 e che, nel centro-nord del paese, subito dopo la liberazione, aveva dato vita ai « consigli di cascina » e « di fattoria », insieme a forme dirette di conduzione sul tipo dei collettivi emiliani e delle cooperative.

Tali organismi eletti dal basso ed ai quali parteciparono i lavoratori agricoli non erano intesi come strumenti sindacali di intervento nelle singole imprese, ma come una infrastruttura di base sulla quale riorganizzare democraticamente 107 * 109 110

107 Ibid., p. 21.Affermerà Grieco alla «Costituente della terra»: «Bisogna creare dappertutto, in

ogni comune, in ogni paese, in ogni villaggio, gli organi periferici della Costituente della terra, i comitati per la terra, chiamare a parteciparvi tutti quanti sono disposti ad appog­giare le lotte dei contadini per le rivendicazioni immediate, che sono sulla via della riforma agraria, e per la riforma agraria. Che i sindacati, le cooperative, i collettivi agrari, le as­sociazioni di ex combattenti, i reduci, i partigiani, i consigli di cantina e di fattoria, gli artigiani, i piccoli commercianti, i partiti, i comitati di difesa della piccola proprietà en­trino a far parte dei comitati per la terra. Che gli agronomi, i medici, e tutte le perso­nalità locali che conoscono la vita dei contadini e sono convinte della necessità e della urgenza di rinnovare senza indugi la nostra agricoltura, entrino nei comitati per la terra. Facciamo dei comitati per la terra gli organi dirigenti ed esecutivi del movimento per la riforma agraria. La Costituente della terra segna l ’inizio dell’azione organizzata, su scala nazionale, per l ’attuazione della riforma ». Cfr. R. G rieco, Introduzione, cit., p. 141.109 Cfr. R. Grieco, Introduzione, cit., pp. 153-154.110 Cfr. E. T ortoreto, Lotte agrarie, cit., pp. 249 e sgg.

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la produzione, e per approfondire gli orientamenti generali della Confederterra e della Federbraccianti. Su tali questioni si tennero specifici convegni sin­dacali m.

Questi riaffermarono la necessità di un impegno nella gestione diretta dei contadini per il controllo della produzione e la vendita dei prodotti; ma svi­lupparono anche una tematica simile a quella che stavano svolgendo le « commis­sioni interne di fabbrica », ossia: controllare l’applicazione dei contratti e il ri­spetto delle norme legislative, difendere sindacalmente gli interessi dei lavoratori, proporre modifiche ai contratti e segnalare i necessari provvedimenti legislativi, incrementare la produzione e i conferimenti agli ammassi, garantire una poli­tica di piena occupazione, eliminare il « mercato nero » e limitare i prezzi di monopolio dei prodotti necessari all’agricoltura, partecipare alla direzione tec­nico-amministrativa dell’azienda.

Tali proposte si articolarono da zona a zona con accentuazioni diverse11Z fino a che trovarono un momento unificante nel « Convegno dei Consigli di fatto­ria » del 7 dicembre 1947 a Livorno, che indicherà nella struttura consigliare l ’asse portante delle lotte contadine future e, ricomponendo le passate espe­rienze, ne rappresenterà, nel 1948-49, l ’elemento di direzione sia nell’azienda che nella fattoria.

Riassumendo, ci pare, che l’azione del PCI in questa fase dello scontro di classe e nello sforzo di costruzione e di direzione di un movimento contadino possa essere sintetizzata con le parole di Chiaromonte quando rilevando « una certa inadeguatezza generale del Partito comunista nel porre, in quell’epoca, i pro­blemi della riforma agraria e, più in generale, delle riforme di struttura », af­ferma: « la stessa argomentazione fondamentale, che allora avanzammo sulla necessità di tutto subordinare ai compiti immediati, urgenti e drammatici, della ricostruzione, ci sembra oggi non del tutto giusta e comunque incompleta, specie nel campo agrario, dove forse, sin d’allora, un più stretto collegamento tra riforme e ricostruzione era possibile trovare e dove anzi la stessa rico­struzione era di fatto condizionata alla risoluzione di alcuni problemi di ri­forma » “3.

Anche le fasi della riorganizzazione sindacale nelle campagne risentirono for­temente del tipo di subordinazione testé accennata. Qui, anzi, più forte si ma­nifestò la necessità di evitare ogni discussione che determinasse fratture fra i partiti di massa che gestivano il governo ed in particolare tra le sinistre e la DC. Infatti col patto di Roma « gli esponenti delle principali correnti sin­dacali dei lavoratori italiani — comunista, democratico-cristiano e socialista — dopo un largo scambio di vedute [...] , lasciando impregiudicate tutte le altre questioni relative all’orientamento generale dell’organizzazione, alla sua strut- 111 112 113

111 Tali dibattiti si svolsero nei diversi Convegni che ebbero luogo nel novembre e dicem­bre 1947 e che porteranno al congresso costitutivo della « Costituente della Terra » tenu­tosi a Bologna.112 Difforme, infatti, si presenta il ruolo che tali organizzazioni svolsero nelle diverse zone anche relativamente alla accentuazione delle lotte: più marcato, ad esempio, in Toscana e nel Ravennate, meno incisivo nel Piacentino.113 Cfr. G. Chiaromonte, Agricoltura, sviluppo, cit., p. 58.

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tura definitiva, alla compilazione del progetto di statuto [...] » "4, realizzarono l ’unità sindacale. Molti problemi rimanevano sospesi, al momento in cui si intendeva intraprendere in forma nuova un rapporto di collaborazione tra forze politiche e componenti popolari diversamente schierate sul piano sociale, proponendo un terreno di eventuale mediazione sul quale far sorgere la stessa collaborazione.

Il problema si spostava allora sui contenuti di tale mediazione e sul significato delle ripercussioni che essa avrebbe avuto sul disegno strategico di ciascuna forza politica.

Per la sinistra, ed in particolare per il PCI, l’aver accettato l’imposizione de­mocristiana di mettere nella CGIL la componente dei coltivatori diretti si­gnificò rivedere, o almeno « dimenticare », una delle fondamentali elaborazioni che il partito aveva compiuto negli anni 1924-26.

Tale elaborazione aveva dato delle indicazioni precise:

se l ’interesse dei contadini e dei salariati agricoli è quello di liberarsi dal dominio del ca­pitalismo, gli uni e gli altri hanno fra loro interessi divergenti che sono talora motivi di contrasto. L ’unità fra salariati agricoli e contadini non può essere, perciò, una unità orga­nica, la quale, per essere solida, suppone una unità di interesse, ma deve essere unità di sforzi “5.

Tra la costituzione del Patto di Roma e il primo congresso della Federterra che si tenne a Bologna nell’ottobre del 1946, nell’ambito dell’organizzazione contadina è già avvenuta la scissione organizzata dalla Coldiretti di Paolo Bo- nomi, anzi la scissione si era realizzata pochi mesi dopo il Patto di Roma.

Il processo di revisione del PCI su tali questioni emerse in piena luce allor­ché, dissolta la coalizione dei governi di unità democratica, prodottasi la spac­catura sindacale, anche l ’impostazione e la direzione delle lotte contadine im­porrà una maggiore chiarificazione dei propri obiettivi.

Già nell’ottobre del 1949, Romagnoli, sul « Quaderno dell’Attivista », sot­tolinea come al suo primo congresso la Federterra fosse « un’organizzazione indifferenziata ed indistinta dei contadini italiani » sul tipo della vecchia Fe­derterra pre-fascista. Da tale rilievo emerge inoltre che, se è vero che la me­diazione con la componente cattolica creerà le maggiori difficoltà, non pochi furono i residui della passata tradizione del riformismo socialista che continua­vano a gravare su una corretta impostazione del problema. Romagnoli pro­segue infatti affermando che « i lavoratori della terra non costituiscono una sola grande categoria e neanche una sola classe ». L ’unità non si raggiunge quindi attraverso un processo di confusa aggregazione: « noi siamo per orga­nizzare in una propria organizzazione di categoria, ciascuna categoria di con­tadini, per portarli alla lotta per le loro rivendicazioni immediate di categoria, perché vogliamo difendere tutti i contadini di tutte le categorie. Nello stesso tempo noi siamo per l’azione coordinata delle varie organizzazioni contadine, 114 115

114 Cfr. Il testo integrale del Patto di Roma, riportato in G. Galli, I cattolici e il sin­dacato, Varese, 1969, pp. 184-185.115 Cfr. R. G rieco, La questione meridionale e il problema dello stato operaio in Italia, in « Lo Stato operaio », I, 1927, n. 2.

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per una grande alleanza contadina, per una organizzazione confederale dei con­tadini che sia capace di dirigerla in modo unitario »116. L ’intervento di Roma­gnoli preannuncia, sulla stessa rivista, un più ampio dibattito che lo stesso Grieco aprirà nel gennaio 1950. Sin dall’esordio egli fa capire che pur trat­tandosi di un problema di organizzazione «problemi simili [...] derivano da necessità politiche, dalla ricerca di mezzi più idonei ed efficaci per la realizza­zione dei compiti politici » “7.

Il tema di fondo di tale intervento riguarda sostanzialmente la validità o meno dell’inserimento dell’organizzazione dei coltivatori diretti nella struttura or­ganizzativa della CGIL attraverso la Confederterra. Afferma Grieco:

I contadini possono e debbono essere organizzati (in forme particolari e molteplici); sepa­ratamente dal proletariato industriale ed agricolo e dai semiproletari. Se oggi esiste una Associazione dei coltivatori diretti nel quadro della C G IL [...], ciò, come sappiamo, è stata la conseguenza di un compromesso fatto nel 1944 tra i nostri compagni e la corrente sindacale democristiana, allorquando i democristiani posero come una delle condizioni della unità sindacale la inclusione dei contadini nella CGIL. Il punto di vista dei democristiani non poteva essere accettato da noi, in linea di principio: ma i nostri compagni incaricati di promuovere l’unità sindacale dovettero subirlo per non compromettere l ’unità. Come al solito, noi fummo leali verso gli impegni assunti, mentre i democristiani, dopo qualche tempo, si dettero ad organizzare, per iniziativa dell’on. De Gasperi, una propria Confederazione dei Coltivatori diretti staccata dalla CGIL, che è poi quella del signor Paolo Bonomi. Dunque, noi non avevamo dimenticato, nel 1944, che l’organizzazione dei contadini piccoli proprietari e coltivatori diretti nella C G IL era, dal nostro punto di vista leninista, un errore di principio. Ma un errore di principio commesso nel 1944 resta un errore di principio anche nel 1950. Ed esso, a mio avviso, non è stato senza conseguenze11*.

È dunque l ’inserimento stesso della Confederterra nella CGIL, che viene messo in discussione. Grieco propone

che le due federazioni nazionali, dei salariati e dei braccianti e dei mezzadri e dei coloni, aderiscano direttamente alla C G IL e non come ora attraverso la Confederterra; e che que­sta di sganci dalla C G IL per diventare un’unione autonoma dei lavoratori della terra, nella quale si alleino per evidenti motivi le federazioni dei braccianti e dei mezzadri, l’As­sociazione coltivatori diretti riorganizzate su nuove basi e qualsiasi altra organizzazione au­tonoma di coltivatori diretti, i tecnici ed impiegati dell’agricoltura, le cooperative agrico­le ecc.119.

Questi elementi critici non chiariscono però tutte le implicazioni che da tali « errori » erano derivate. Come osserva giustamente Stefanelli, anche la

Confagricoltura non capì all’inizio la creazione della Confederazione coltivatori diretti di Paolo Bonomi. Pensava di poter direttamente lei, nel vecchio ambito corporativo in senso stretto, usare i contadini piccoli proprietari contro la « rivoluzione ». Invece del nuovo c’era: i contadini potevano essere usati in un diverso assetto soltanto attraverso la media­zione delle forze politiche uscite vincitrici sul fascismo. Altre cerniere occorrevano per la saldatura delle nuove articolazioni corporative 12°.

116 Cfr. L. Romagnoli, L ’organizzazione della Confederterra, in « Quaderno dell’attivista », 1949, n. 1, p. 19.117 Cfr. R. G rieco, S u alcune questioni d i organizzazione dei proletari agricoli, dei sem i­proletari e dei piccoli e m edi contadini, in « Quaderno dell’attivista », 1950, n 6, p. 11.118 Ibid.119 Ibid., p. 12.129 Cfr. R. Stefanelli, La Confagricoltura, in A. Collidà, L. D e Carlini, G. Mossetto, R. Stefanelli, La politica del padronato italiano, dalla ricostruzione all’« autunno caldo » , cit., p. 175.

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Sarebbe necessario al proposito, proprio per le conseguenza politiche che eb­bero tali eventi, un’approfondimento di ciò che rappresentò la organizzazione « bonomiana » 121 sia all’interno delle contraddizioni che si aprirono in seno al fronte padronale agrario, sia per il ruolo che essa giocò nell’organizzazione della Federconsorzi122 e dell’uso che ne fece la DC come strumento di con­trollo economico e ideologico sulle masse contadine.

A questo fine, andrebbe condotta un’analisi tendente ad approfondire i rapporti che, in tale periodo, si intrecciarono tra la Confida e queste organizzazioni. Infatti, dagli articoli pubblicati sul « Giornale d’Italia agricola », organo degli

121 La Coldiretti dell’on. Bonomi, come risulta dal testo, venne costituita il 31 ottobre1944 in aperto contrasto con le decisioni del sindacato unitario appena realizzatosi. La ca­ratteristica generale di tale confederazione è la commistione che essa realizza tra pubblico e privato per cui istituti diretti dalla « bonomiana » diventano di fatto enti pubblici at­traverso la partecipazione ad essi dei rappresentanti dei ministeri. Si trattava di una Con­federazione perché formalmente raggruppava cinque Federazioni nazionali: Federazionenazionale affittuari e coltivatori, Federazione piccoli proprietari della Riforma agraria, Fe­derazione nazionale coloni e mezzadri, Federazione nazionale pastori, Federazione italiana periti agrari. Queste federazioni non hanno però una loro autonomia, ma costituiscono solo strumenti per una propaganda differenziata tra le varie categorie, infatti non tengono con­gressi autonomi né rendono noto il numero degli iscritti. Gli uffici della confederazione sono organizzati come la direzione di un ministero e prevedono sette divisioni: affari ge­nerali, assistenza fiscale, assistenza economica, assistenza legale, affari sindacali, stampa e propaganda, consiglieri ecclesiastici. Inoltre la Confederazione controlla i più importanti istituti nazionali e la Federconsorzi: l ’INPC (Istituto Nazionale per la proprietà contadina), l ’INIPA (Istituto per la preparazione professionale nel settore agricolo), l ’EPACA (che detiene l’assoluto monopolio legale dell’assistenza ai coltivatori diretti). Dispone di una ampia e articolata rete di stampa settimanale, quindicinale e mensile (« Il Coltivatore », « Bollettino dei dirigenti », « Il coltivatore italiano », « Gioventù dei campi », « Le donne rurali », per accennare solo ai più importanti) e controlla pure le casse mutue per l’assi­stenza ai coltivatori diretti, che formalmente dovrebbero essere un’ente pubblico e non di parte. Il potere della « bonomiana » si estende poi fino a legare a sé gran parte dei diri­genti della DC (a più riprese nel dopoguerra tale confederazione controllerà circa 22.000 consiglieri comunali e ben 112 parlamentari). Per un approfondimento di tali questioni cfr. E. R ossi, Viaggio nel feudo di Monomi, Roma, 1965; G. D. Marino, La Confedera­zione di Bonomi nella vita politica italiana, Roma, 1967.122 La Federconsorzi, ricostituita con la legge del 1948, è forse il più importante stru­mento di controllo delle masse contadine. Disporrà di 5.000 agenzie dei Consorzi agrari in tutto il paese (cioè in quasi tutti i comuni) e di 92 Consorzi agrari provinciali alle di­pendenze dirette del centro delle Federconsorzi. Prima del fascismo l’attività della Feder­consorzi si esplicava in una mediazione puramente passiva tra agricoltura e industria e tra agricoltura e mercato, nel dopoguerra interverrà e regolerà direttamente la domanda e l ’of­ferta nel mercato agricolo. Le imprese contadine, per la loro inferiorità economica rispetto alle aziende capitalistiche, devono ricorrere ad essa sia per quanto riguarda l ’acquisto dei prodotti industriali (concimi, macchine ecc.) sia per la cessione dei loro prodotti attraverso gli ammassi, come pure il credito, perché l’istituto della cambiale agraria fondamentale strumento di credito a cui ricorrono i contadini, è gestito dai consorzi agrari. Inoltre la Federconsorzi arriverà a disporre di 3.253 magazzini per cereali (con una capacità di ammas­so di 30 milioni di q.li di grano, di 40 milioni di mangimi) di 114 stabilimenti per la sele­zione delle sementi, 119 enopoli (per 3 milioni di ettolitri di vino), di 24 oleifici, 18 stabilimenti lattiero-caseari, 68 mercati per il bestiame, 23 centri agricoli, 35 attrezzature ortofrutticole, di 18 centrali frigorifere (con una capacità di 400 vagoni al giorno), di 4 caseifici, di 110 officine meccaniche, di 574 spacci alimentari, di 1455 depositi ed impianti per il carburante. Il valore complessivo degli impianti e delle attrezzature supererà 1270 miliardi di lire e il fatturato annuo della Federconsorzi sarà calcolato in 284 miliardi, in­feriore solo a quello della FIAT, dell’EN I e della FINSID ER. Da essa dipendono FUMA (immatricolazione delle macchine agricole e carburante a prezzi agevolati) e la FATA (Com­pagnia di Assicurazione nata nel 1947 e fondata dall’on. Bonomi che ha l’esclusiva della copertura di tutti i rischi delle merci manovrate dalla Federconsorzi, con un capitale

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agrari, dal direttore generale della Confagricoltura Zappi Recordati123 emerge un vero e proprio tentativo di inserire la « bonomiana » nella Confida stessa.

Questo tentativo fallì, così come fallì l ’ipotesi di un « Fronte unico degli agricoltori », ed anzi si rileva in generale che, i contrasti, in modo particolare con la categoria degli affittuari, si accentuarono in seguito ad un accordo sti­pulato fra la Confida e la Federazione Italiana della proprietà fondiaria 123. Gli stessi rapporti tra la Confida e la Coldiretti si fecero più tesi a seguito del primo congresso di quest’ultima, tenutosi a Roma nell’inverno del 1946. Dopo un generico riconoscimento formale circa l ’efficienza e l ’eventuale utilizzazione di tale organizzazione « di fronte agli eventi sociali che potrebbero caratterizzare il nostro prossimo avvenire », Zappi Recordati polemizza con essa, ponendosi retoricamente

l’interrogativo dell’utilità vera — cioè riferita agli interessi generali della nazione — dello smantellamento degli ordinamenti fondiari che attualmente non siano caratterizzati dalla diretta coltivazione per gran parte in favore di questa ultima alla quale — continua — quindi sin da ora, costi quello che costi, si dovrebbe addivenire il più largamente possibile, sia pure facendo ricorso allo stadio intermedio delle gestioni cooperative dei terreni da sud­dividere poi, un tempo successivo 12S.

La Confida, nel muovere tali critiche, fa proprio le osservazioni espresse da Pio XII nel ricevere i coltivatori diretti partecipanti al Congresso. Anche il pontefice, afferma Zappi Recordati, « ha voluto intrattenersi su queste impor­tanti questioni » e, aggiunge,

per la Confederazione dei coltivatori diretti [...] è sperabile che la parola del Santo Padre possa costituire un concreto elemento moderativo al riguardo. Giacché, sia pure conscia della sua forza, [...] come ha avvertito il Santo Padre, prima di dare vita ad un movimento artificioso e disordinato di costituzione della piccola proprietà e di estensione della con­duzione diretta coltivatrice, ragionevolmente vorrà prestare le sue cure all’effettivo miglio­ramento — secondo finalità nazionali — di quelle esistenti; naturalmente creando, in pari

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sociale di 750 milioni). Inoltre controlla gli enti corporativi del settore: l ’Associazione nazionale dei bieticoltori (che organizza l ’80 per cento dei bieticoltori); l ’Ente Risi (che controlla praticamente la produzione risicola italiana); l ’Associazione italiana allevatori (che controlla gli albi della zootecnia). Per un approfondimento di tali problemi cfr. I. Bar- badoro, La Federconsorzi nella politica agraria italiana, Roma, 1961.Tale complesso monopolistico sarà ampiamente combattuto e denunciato dalle forze di sinistra e nel rapporto fatto da M. Rossi Doria nel 1962 alla Commissione antitrust si af­ferma: « Nel 1948 la decisione di mantenere intatta gran parte della grossa macchina for­matasi in funzione della politica granaria è avvenuta non in base alla convinzione che non ci fosse altra alternativa a quella politica, ma in funzione di un preciso disegno di politica interna, che suggeriva di rafforzare nelle campagne una struttura organizzativa capace di con­trastare capillarmente l ’iniziativa della quale il Partito comunista si era dimostrato capace. [...] La macchina organizzativa, cui si era dato campo libero e strumenti di potere nel 1948 [...] aveva ormai preso la struttura e il comportamento di un potente gruppo di pressione.« Questo si mostrava quindi capace di usare la propria forza (oltre che nei settori di sua specifica competenza che abbracciavano la massima parte delle organizzazione operanti in agricoltura) nella sfera elettorale e parlamentare, in larghi settori della sfera economica e in una cospicua parte della stessa amministrazione statale », in E. R ossi, P. Ugolini, L. Pic- cardi, La Federconsorzi, Milano, 1963, p. XV.

123 Tali articoli sono raccolti nel volume A. Zappi Recordati, Scritti sindacali agricoli, Imola, 1954. Dello stesso autore cfr. Riforma agraria e riforma dei contratti agrari, in Scritti vari (1946-1951), Imola, 1953.124 Cfr. A. Zappi Recordati, Scritti, cit. pp. 78-80.

Ibid., p. 72.125

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tempo, il presupposto anche per la ulteriore loro graduale estensione. Solo così essa, dif­ferenziandosi da quelle concezioni ed azioni che, secondo le impressionanti espressioni usate dal Santo Padre, si risolverebbe in una « pura demagogia », acquisterebbe il titolo ed il merito per rappresentare e dirigere la parte più viva e vitale dell’agricoltura italiana m.

Riassumendo, si può concludere che se il periodo 1949-53 registra una ripre­sa generale della lotta per la terra, il forte patrimonio di esperienza e di lotta, maturato, come abbiamo visto, negli anni precedenti, finisce per costituire una premessa indispensabile per la comprensione dell’intero dopoguerra.

Già nel maggio 1948, quando il contrattacco reazionario si fa più acuto (at­traverso la sconfitta elettorale del Fronte democratico e nel clima politico che porterà di lì a poco all’attentato a Togliatti), ha inizio a Bologna lo sciopero dei braccianti, salariati, mondariso e impiegati agricoli.

L ’insieme delle rivendicazioni rientra nella piattaforma generale del movimento, precedentemente delineata, ma si amplierà poi fino a ricomprendere ulteriori ri­vendicazioni socialiI27. L ’elemento di estrema novità di tale sciopero, come sottoli­nea Romagnoli, è costituito dal fatto che i lavoratori scesero in lotta « con la conoscenza esatta della stratificazione sociale delle campagne ed agendo in modo che tutti gli strati sociali attivi fossero loro alleati, dai mezzadri ai coltivatori diretti, nel rispetto dei quali non si è scioperato, ai tecnici agricoli che hanno scioperato, unitamente ai braccianti »

Tale impostazione della lotta, definita « sciopero differenziato », costituirà, sul terreno delle alleanze sociali l’elemento di forza del grande sciopero braccian­tile nazionale dell’anno successivo (18 maggio-23 giugno 1949) per il contratto collettivo di lavoro, per il collocamento e l’imponibile di mano d’opera U9.

L ’estate del 1948 registra anche una ripresa del movimento e un rilancio dei temi della riforma agraria da parte dello schieramento democratico avanzato e delle forze sindacali, con obiettivi di grande importanza e novità 1M. La re­tribuzione attraverso un salario in denaro tenderà a spezzare la condizione di isolamento e di autoconsumo in cui la massa dei lavoratori agricoli era co­stretta da tempo a vivere. Le richieste degli assegni familiari e dei sussidi di disoccupazione permetteranno un più stretto collegamento della lotta contadina con quella della classe operaia e quindi un contributo al superamento di antiche barriere. Egualmente si dica per il collocamento e l’imponibile di mano d’ope-

126 Ibid., pp. 73-74.127 Nel caso dell’inclusione nell’elenco delle rivendicazioni di quella relativa alla costru­zioni di asili infantili per assicurare alle lavoratrici « la cura materiale e morale dei propri bimbi quando esse si recano al lavoro », cfr. C G IL — Confederterra, Perché è stato vinto un grande sciopero agricolo, Roma, 1948, p. 10.128 Ibid., pp. 6-7.09 Cfr. CGIL, La situazione, cit., p. 124.130 Le osservazioni che seguono nel testo rimandano ad un approfondimento del periodo 1948-53 che la rassegna non ha compreso direttamente, ma che attende una analisi parti­colare. Alcuni degli elementi che verranno indicati costituiscono una prima traccia delle linee generali del dibattito e del confronto che emerge seguendo le principali indicazioni for­nite dalle riviste sindacali e del PCI che lo accolsero, quali « Riforma Agraria », « Poli­tica ed economia » (prima serie), « Rinascita », « Rassegna sindacale », « Quaderni C G IL ». Ovviamente il campo di rilevazione dovrà essere assai più vasto e articolato e ad esso, nel suo complesso occorrerà fare riferimento.

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ra, che furono altrettanti elementi essenziali della battaglia per la riforma agraria. Ad esempio, il realizzarsi di quest’ultimo obiettivo di lotta significò un grande momento di partecipazione allo scontro politico e una profonda esperienza egualitaria: era la lega che gestiva il collocamento e faceva rispet­tare l ’imponibile di mano d’opera, ma erano i braccianti che in assemblea con­trollavano sui tabelloni la correttezza o meno delle decisioni della lega. Inoltre, tramite l ’imponibile, si interveniva sul terreno sociale costringendo il padrone ad accettare livelli più alti di occupazione; si realizzava un’incidenza diretta da parte dei lavoratori agricoli sulle scelte di politica agraria. Infatti la discus­sione sulla scelta delle colture, sui piani aziendali, finiva per spingere verso decisioni che privilegiassero tipi di colture richiedenti una maggiore mano d’o­pera. Venne messo in discussione, in tal modo, il concetto classico dell’unicità e della discrezionalità padronali di tali scelte; i criteri tradizionali della pro­duttività furono collegati ai problemi del lavoro e quindi dell’occupazione; si affrontarono, da un punto di vista di classe, i problemi della qualificazione professionale.

Ma è all’inizio degli anni ’50 che il segno del superamento di quella separa­zione tra lotta per i patti e lotta per la riforma fondiaria, si fa più marcato attraverso l’iniziativa sindacale per la riforma agraria. Vengono avviati studi relativi all’indirizzo del capitale variabile nell’agricoltura. Si ripartirà dalle analisi del Serpieri e perciò dalle ricerche e dagli studi sui progetti di bonifica, per arrivare a definire ed a mettere in discussione le spese e gli investimenti che lo stato aveva fatto o stava facendo nell’agricoltura a vantaggio, come sempre, degli agrari. Questo impegnerà il sindacato ad impedire che i terreni bonificati fossero restituiti integralmente ai padroni e che a costoro venisse dato del terreno bonificato, solo la parte corrispondente, in termini di valore eco­nomico, al valore che l ’intero terreno aveva prima della bonifica. Si lotterà perché la parte del terreno sistemato con la bonifica e quindi con la spesa pub­blica resti dello stato e che questi si impegni a darlo in sfruttamento diretta- mente ai lavoratori agricoli.

Anche nelle lotte contadine per il superamento dei contratti di miglioria nel sud si introdurranno elementi di attacco diretto alla proprietà terriera. Gli obiettivi di tali lotte saranno la stabilità sul fondo, l’introduzione della giusta causa nei licenziamenti e il diritto di prelazione. In generale il problema di­venterà, quindi, quello di un controllo dei lavoratori sui problemi della rifor­ma agraria tendente a quantificare il valore in terra del contributo dello Stato e ad una traduzione in termini economici e di valore di ciò che significa la miglioria contadina.

Forse il significato di questo nuovo periodo che si apre dopo il 1948, risiede fondamentalmente nella creazione, dopo l ’esperienza delle coalizioni di unità antifascista, di uno schieramento di forze direttamente impegnato nella lotta anticapitalistica.

G ianfranco Bertolo, Roberto Curti, L ibertario G uerrini

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1944

Cronologia 1944-1948

Questione agraria e lotte contadine: 1944-1948 43

Marzo — Primo convegno della Federazione provinciale della terra di Bari.Mezzadri e braccianti, piccoli proprietari dell’Italia centrale (dall’Empolese all’Emilia) dimostrano, in forme diverse, la loro solidarietà allo sciopero generale nell’Italia oc­cupata.

maggio — Scioperi e agitazioni nelle campagne emiliane.

20 maggio - 20 giugno — Sciopero delle mondariso nella Bassa Bolognese.

3 giugno — Patto di Roma: viene promossa l’unità organizzativa di tutti i lavoratori nella CGIL.

9 agosto — La C G IL presenta al governo e alle autorità alleate un piano per la ricostruzione del paese.

28 agosto — Al termine di un convegno dell’ICAS (Istituto cattolico di attività sociali), ven­gono fondate le ACLI: Achille Grandi, presidente, Giulio Pastore, segretario.

19 ottobre — Su proposta del ministro Gullo, il governo approva il decreto 311 sulla quota di riparto dei prodotti in mezzadria.

31 ottobre — Viene fondata la Confederazione nazionale dei coltivatori diretti detta anche “bonomiana” .

dicembre — I mezzadri rifiutano le “regalie” agli agrari e le portano alle CdL.

1945

24 gennaio — Esce il primo numero del quotidiano della C G IL “ Il Lavoratore” .

28 gennaio — Primo congresso confederale a Napoli.

11 marzo — I rappresentanti delle ACLI, al termine del loro primo convegno nazionale, vengono ricevuti in udienza da Pio XII.

marzo — Edizione clandestina nel nord del progetto di riforma agraria del Pd’A a cura di Ernesto Rossi.

20-21 maggio — Convegno regionale toscano della Federazione nazionale lavoratori della ter­ra a Siena.

19 giugno — Dimissioni del ministero Bonomi. Formazione del governo Parri, emanazione del CLN.

1 luglio — Convegno della DC per l’Alta Italia a Milano.

estate — La resa unitaria per ha. del frumento subisce un forte calo: q.li 9,4 rispetto ai 16,1 d’anteguerra.Nel Livornese un capo-lega è ucciso da un proprietario.

21 - 23 agosto — Si svolge a Roma il convegno economico del PCI sulla “ricostruzione” .

22 agosto — Presentazione di un piano di ricostruzione da parte del sindacato al presidenteParri.

25 settembre - 8 ottobre — Primo congresso della FSM a Parigi.

23 novembre — Caduta del governo Parri.

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44 G. Bertolo, R. Curti, L. Guerrini

novembre — Esce il n. 1 dei “ Quaderni Agrari” del P d ’A, “Prospettive dell’Agricoltura italiana” a cura di Manlio Rossi Doria.

6 dicembre — Si concludono con un accordo transitorio le trattative tra CG IL e la Confin- dustria.

11 dicembre — Primo ministero De Gasperi.

dicembre — Agitazioni mezzadrili per il rifiuto delle “regalie” ai proprietari.

1946

8 gennaio — Si conclude a Roma il V congresso del PCI.

13 gennaio — L ’UNNRA decide di fornire all’Italia aiuti per i bisogni alimentari imme­diati, materie prime e macchinari.

29-31 gennaio — Congresso italo-americano sui problemi dell’agricoltura promosso dal­l ’Accademia dei Georgofili di Firenze.L ’INEA avvia un’indagine statistica sulla distribuzione della proprietà fondiaria in Italia.Viene pubblicato il libro di Emilio Sereni, La questione agraria nella rinascita na­zionale italiana.

febbraio — I compartecipanti della valle padana e dell’Emilia concludono positivamente una lunga lotta per il miglioramento delle quote di riporto.

18 marzo — Inizia la campagna elettorale per il referendum.

21 marzo — A Messina violenti scontri tra manifestanti e polizia: 12 morti e 31 feriti tra i dimostranti.

26 marzo — Tumulti di Adria (Bari).

3 aprile — Provocazione monarchica a Napoli: la CG IL risponde con lo sciopero generale.

4 aprile — Decreto legge n. 144 sulla mezzadria.

17 aprile — Si conclude a Firenze il 24° congresso del PSIUP.

20-21 maggio — Convegno sindacale a Roma dei lavoratori mezzadri dell’Emilia, Toscana, Marche, Umbria, Veneto e Teramo per la revisione dei “ Patti colonici” .

2 giugno — Referendum sulla questione istituzionale ed elezione dell’Assemblea Costi­tuente. Caduta della monarchia.

6 giugno — “Giudizio o Lodo De Gasperi” : viene soppressa la divisione dei prodotti in mezzadria al 50/50, riconosciuti i nuovi riparti per le annate agricole 1945- 1946 e l’indennizzo di guerra ai mezzadri.

21 giugno — Il governo approva il decreto di amnistia per i compromessi con il fascismo.

luglio — In Toscana la polizia interviene in favore degli agrari e a Poggibonsi spara sui cittadini solidali con i contadini.

agosto — Scontro a Caccamo (Palermo) tra polizia e contadini: 12 morti e 80 feriti tra i dimostranti.

6 settembre — Decreto legge che stabilisce le nuove norme per la concessione delle terre incolte e malcoltivate.

28 settembre — Sciopero generale in Sicilia contro il carovita e per l’indennità di caropane.

9 ottobre — Scontro tra operai edili e polizia a Roma: 2 morti e 150 feriti tra i mani­festanti.

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Questione agraria e lotte contadine: 1944-1948 45

17-21 ottobre — Primo convegno na2Ìonale della Federterra a Bologna: nasce la Confe- derterra aderente alla CGIL, articolata in quattro settori: Federazione salariati e braccianti, Federazione coloni e mezzadri, Sindacato impiegati e tecnici agricoli, As­sociazione coltivatori diretti.

26-28 ottobre — Convegno di Napoli per le trasformazioni fondiarie nel mezzogiorno e nelle isole.

autunno — Le Federterra provinciali inviano alle Associazioni degli agricoltori le disdette dei patti colonici fascisti. Viene richiesto l’avvio di trattative per nuovi patti.

autunno/inverno — Occupazione di terre in Maremma, Lazio, nel Fucino, in Campania, Puglie, Lucania, Calabria, Sicilia e Sardegna.

dicembre — Le ex “ regalie” natalizie vengono donate dai mezzadri alla Federterra per finanziare l ’organizzazione sindacale.

1947

4 gennaio — A Sciacca (Agrigento) viene ucciso il segretario della CdL. Cadono dirigentisindacali a Ficarazzi (Cagliari) e a Partinico (Palermo). È la risposta degli agrari alle lotte dei contadini poveri.

5-8 gennaio — De Gasperi in visita negli Stati Uniti.

5 gennaio — Scissione di Palazzo Barberini: si forma il PSLI.

24 marzo — Votato l’articolo 7 sul concordato tra la chiesa e lo stato.

1 maggio — Eccidio a Portella della Ginestra: 7 morti e 33 feriti.

16 maggio — Dimissioni di De Gasperi: inizio del monocolore. Con la crisi e l’esclusione dei partiti operai dal governo ha inizio la linea Einaudi. Accentuazione della curva inflazionistica, i prezzi all’ingrosso aumentano del 43 per cento in un semestre.

27 maggio — Trasformazione in legge del “Lodo De Gasperi” .

27-28 maggio — Primo convegno nazionale a Pesaro delle lavoratrici del tabacco.

1-7 giugno — Si svolge a Firenze il I Congresso della CGIL.

5 giugno — Marshall propone un piano di aiuti economici ai paesi europei.

24 giugno — Accordo per una “ tregua mezzadrile” tra Confida e Federconsorzi.

27-28 giugno — Convegno nazionale dei tecnici socialisti a Milano.Viene presentato il Rapporto della commissione economica all’Assemblea costituente.

16 agosto — Dopo mesi di lotte e trattative, braccianti e salariati agricoli emiliani otten­gono l ’adeguamento dei salari, della scala mobile e la fissazione dell’imponibile alle aziende.

8-20 settembre — Sciopero “dei dodici giorni” per il conseguimento di un patto inter­regionale per il nord in vai padana.

21-28 settembre — Si svolge a Napoli la XXI settimana sociale dei cattolici italiani.

9 novembre — A Marsala viene ucciso il capolega Pipitone.

15 novembre — La polizia pone in stato d ’assedio Cerignola (Foggia): negli scontri ri­mangono uccisi diversi lavoratori e due agenti di polizia, molti i feriti.

16 novembre — A Napoli si svolge il II congresso della DC.

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46 G. Bertolo, R. Curti, L. Guerrini

18 novembre — Durante uno sciopero la forza pubblica uccide un operaio e una donna a Corato (Bari). Due cittadini feriti in modo analogo a Trani.

20 novembre ■— A Campi Salentino 2 morti e 7 feriti negli scontri tra dimostranti e forzedell’ordine.

22-23 novembre — Convegno di Cremona sui consigli di cascina.

29-30 novembre — Convegno a Ravenna per i collettivi emiliani.

Fine novembre — Tumulti a Milano contro la sostituzione del prefetto Troilo ex coman­dante partigiano.Le lotte dei contadini e braccianti in Puglia e Lucania portano alla realizzazione degli Accordi apulo-lucani.Si conclude positivamente lo sciopero dei braccianti toscani.

5 dicembre — Convegno di Pozzuoli per la “Rinascita del mezzogiorno” .

6-7 dicembre — Primo convegno nazionale a Livorno dei Consigli di azienda nella mez­zadria classica.

12-14 dicembre — Primo congresso nazionale a Siena dei mezzadri e coloni in cui si dà vita alla Federazione nazionale mezzadri e coloni (Federmezzadri).

21 dicembre — Costituente della terra a Bologna promossa da Grieco e Miglioli.

22 dicembre — L ’assemblea costituente approva la nuova Costituzione.A Canicattì (Agrigento) e a Campobello 4 morti in seguito a scontri tra dimostranti, forza pubblica e carabinieri.

dicembre — Primo convegno dell’Associazione nazionale coltivatori diretti a Napoli.

1948

18-24 gennaio — Il XXV congresso nazionale del PSI ratifica la costituzione del Fronte democratico popolare.

25-28 gennaio — Primo congresso della Federbraccianti a Ferrara. In Lombardia si susse­guono agitazioni spontanee in diverse aziende agricole. Repressione poliziesca a Bre­scia, a Torino, a Garavina, in provincia di Napoli e in Toscana.

9 febbraio — Gravi incidenti a San Ferdinando di Puglia: cinque morti e feriti tra i la­voratori.

3 marzo — Convegno a Lodi dei Consigli di cascina nel milanese.

2 aprile — Assassinato dalla mafia a Camporeale (Palermo) il segretario della Confederterra: è il trentaseiesimo dirigente sindacale ucciso in due anni in Sicilia.Conflitti tra i dimostranti e forza pubblica a Somma Vesuviana, a Sinopoli, a Lizza- rello: due contadini uccisi oltre venti i feriti.

7 aprile — Con decreto legge si attua la riprivatizzazione della Federconsorzi e dei con­sorzi agrari.

18 aprile — Vittoria democristiana alle elezioni politiche.

23 maggio — De Gasperi presenta il nuovo governo: DC-PSLI-PLI-PRI.

maggio-giugno — Scioperi in tutta Italia per il miglioramento dei salari e la difesa del col­locamento in agricoltura.

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Questione agraria e lotte contadine: 1944-1948 47

17 giugno — Presentato al Senato il progetto di riforma contrattuale elaborato dalla Co­stituente della terra.

23 giugno — Mafioso attacco con bombe a mano contro una decina di sedi comuniste in Sicilia provoca due morti e tre feriti.Nel cremonese viene ucciso dalla polizia un giovane bracciante.

27-28 giugno — Convegno di studi a Firenze per il finanziamento delle trasformazioni fon­diarie promosso dall’Associazione nazionale bonifiche e dall’Accademia dei Georgofili.

2 luglio — Relazione di Luciano Romagnoli al comitato direttivo della Federbraccianti na­zionale sulle agitazioni sindacali nelle campagne.

14 luglio — Attentato a Togliatti. La C G IL proclama lo sciopero generale.

22 luglio - 6 agosto — Scissione sindacale: sorge la LC G IL che prenderà, poi, il nome di CISL.

21 agosto — Lotta dei sindacati e braccianti per il collocamento affidato al sindacato.Vengono elaborate dalla Costituente della terra le linee fondamentali del progetto di riforma fondiaria.

5-6 settembre — Convegno a Firenze sulla riforma agraria promosso dall’Accademia dei Georgofili.

11 novembre — Discorso di Gronchi a Pesaro contro la politica del suo partito verso le riforme.

22 novembre — Presentato alla Camera dal ministro dell’Agricoltura, Segni, il primo pro­getto di legge sui contratti agrari.A Bondeno (Ferrara) la polizia spara contro i contadini in lotta: numerosi i morti e i feriti.

dicembre — La Federbraccianti promuove agitazioni sindacali per il conseguimento del contratto collettivo nazionale di lavoro della categoria.