Aspetti della poesia popolare a Montefiascone · acritica, un mondo perfetto e amabile, senza...

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Aspetti della poesia popolare

a Montefiascone

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Aspetti della poesia popolare

a Montefiascone

EX LIBRI$ GIANCARLO BRECCOLA

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Pubblicato a cura del Circolo ARCI di Montefiascone in col­laborazione con l'Assessorato alla Cultura della Regione La­zio

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Se per poesia popolare intendiamo quella che, nel nostro am­biente, nasce dalla ripresa dei valori e delle idee che circolano nel mondo contadino, una poesia che si diffonde negli strati più bassi della società, perché questi vi ritrovano la propria concezione di vita e la propria lingua, ci accorgiamo che dobbiamo far giustizia di mode folkloristiche e di equivoci nati intorno al concetto di "'produzione" o di "poesia popolare".

Leggendo infatti la nostra produzione poetica popolare, sco­priamo che per la maggior parte essa risente di una forte sudditan­za alla poesia colta o "ufficiale", peraltro malir,tesa. Basta scorre­re i temi di questa pretesa poesia popolare per atcorgersi che han­no poco a chef are con lo strato sociale di cui questa dovrebbe es­sere l'interprete: l'esaltazione dell'Impero romano, della guerra, della Patria, sono temi del tutto estranei alla cultura popolare o sono da essa intesi, quando appaiòno, come imposizione. E' in­! atti ovvio che dove certe classi non hanno coscienza del proprio stato, queste non riescono nemmeno a organizzare le proprie con­cezioni di vita in un sistema organico ideologico e tanto meno poetico; ed è proprio dove manca la possibilità di riconoscersi in una serie di valori definiti e rispettati che la cultura "ufficiale", la cultura delle classi che detengono il potere economico e politico, riesce ad imporsi, se pure in maniera non palesamente violenta.

Allora la "produzione popolare" ci appare tale solo in quanto espressione di persone incolte, il che non basta per f arie acquisire il merito di "cultura popolare".

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Se la nostra produzione popolare ricorre il più delle volte a ri­fare il verso alla Bibbia, a Dante, al Tasso, ad Ariosto od anche a Omero, alla terzina, all'ottava o al sonetto, può voler dire che non ha mezzi di espressione propri, se si immerge in un mondo mitolo­gico, che non fa parte della sua tradizione, significa molto proba­bilmente che vuole imitare la poesia colta, con il ritardo, inoltre, di qualche secolo.

Questa produzione ci appare quindi come la pretesa da parte dei suoi autori di sfuggire alla propria tradizione per accedere a quella delle classi "superiori", ci sembra che molti "poeti popolari" sfuggano alla propria condizione per rincorrere valori che sono loro estranei: quelli di un mondo che non conoscono be­ne, che immaginano solo e del quale hanno una visione idilliaca e acritica, un mondo perfetto e amabile, senza contrasti e ingiusti­zie. Tanto è vero che in molta produzione popolare non ci sono riferimenti a valori, ambienti, condizioni di vita, che posBtmo rife­rirsi ad un sistema culturale popolare, o quando ci sono, sono ' oleQgrafici.

Inoltre la lingua di questa produzione non è dialettale: un contenuto popolare è ovvio che dovrebbe essere espresso nella forma che più gli è propria; invece la maggior parte della nostra produzione popolare è in italiano, un italiano scorretto, ma che tradisce il desiderio dell'autore di farsi riconoscere poeta e la poe­sia diventa allora privilegio di pochi, mezzo di distinzione e non è rivolta a tutti, non appartiene a tutti.

E proprio dal Magone, il nostro "poeta popolare" per eccel­lenza, si possono trarre, forse un po' provocatoriamente, esempi di quanto affermiamo.

Possono forse esistere forme intermedie, composizioni che ri-4

sentono fortemente del peso della cultura ufficiale, all'interno del­le quali si sente talvolta una certa autonomia dell'autore, un pre­s~~io di idee che nascono al di fuori e talvolta contro la cultura uf­ficiale. Sono passi troppo esili per poter parlare di "poesia popola­re" o di "cultura popolare", ma certo non vi appaiono più il "cor", il "riemo", il "divo" o il "ciglio", allora anche la forma non simula più il linguaggio colto, l'italiano ambito e sconosciuto.

Questo accade il più delle volte quando il "poeta" tralascia di trattare temi mitologici o comunque estranei al suo ambiente per affrontare argomenti .che lo toccano più da vicino, argomenti umili, maliziosi o polemici che si rivelano però più autentici e consoni al modo di vivere e di pensare dello strato sociale di cui fa parte. Ea flora, accanto al "biondo divo", compaiono espressioni, melense e più vigorose e dure:

La terra a chi è matre a chi matrigna a chi dà frutto, a chi rende veleno;

a noe ci ha consegnato la gramigna, il peggio frutto che tiene nel seno.

C'è infine tutta una produzione poetica in dialetto che a noi sembra più delle altre la più vera espressione orale, popolare. Questa produzione, soprattutto orale, circola di bocca in bocca, si deforma e si abbellisce, è una produzione che sa fare a meno del suo autore perché si identifica col gruppo sociale a cui appartiene; non vi troviamo traccia della personalità dell'autore e sarebbe as­surdo cercarvela, perché autore ne diviene di volta in volta chi la ripete e chi vi si riconosce; non vi troviamo, nella maggior parte, riferimenti storici precisi, perché chi la ripete spesso è fuori della storia dei libri; non vi troviamo uno stile curato, rime faticose e ri­cercate, ma una semplicità senza pretese, perché il suo fine non è

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la raffinatezza. Sono ninne nanne, stornelli, canti di nozze, brinzi, cantilene

o canti di lavoro. Certo non bastano queste poche espressioni poetiche qui ri­

portate per poter parlare di "cultura popolare". Tuttavia, secondo noi, la produzione alla quale ci si deve soprattutto rivolgere è que­sta, ma è necessario un più ampio lavoro di raccolta e trascrizio­ne, anche perché queste espressioni poetiche sembrano improvvi­samente dileguarsi tra gli scarti di una cultura ufficiale che tende sempre più ad assorbire nella propria logica tutto ciò che tenta di sfuggirle.

a cura del Circolo ARCI di Montefiascone

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Questa raccolta di espressioni poetiche del mondo contadino di Montefiascone vuole essere un minimo contributo al più ampio dibattito, tutto da costruire, sull'esistenza e sui contenuti di una "cultura popolare" montefiasconese. Un minimo contributo sia per l'esiguità del materiale pubblicato, sia perché c'è ancora da compiere un faticoso lavoro di trascrizione di tutte quelle espres­sioni poetiche che circolano oralmente e di cui pubblichiamo una piccola parte. per questo anche l'impostazione data alla raccolta è suscettibile di modifiche e ripensamenti qualora compaiano nuovi elementi di giudizio.

La raccolta è articolata in tre parti; la prima parte comprende poesie "d'imitazione dotta"; la seconda quelle che pur risentendo della "cultura ufficiale" accolgono elementi schiettamente popola­ri; la terza, infine, presenta componimenti di autentica cultura po­polare.

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Prima parte

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L'onor di Roma

Silenzio sfere ed in sembianze umile;

E tu, inalza le Trombe itale scena, Che il verso mio con melodia gentile Fa del tuo mare germogliar l'arena.

Musa, benché tu sei fatta senile Ringiovanisce del cuor mio la vena;

Tu dal somma di Pindo e verde alloro Canta su plettro mio questo lavoro.

Oh! benedetto suolo dell'oro Da più tempo promesso, or sei venuto: MoÌto ti ritardò l'arabo e il moro

Perché forte con questi hai combattuto: Ma riacquistasti l'antico tesoro

Che i padri lo credea certo perduto. Hai riscattato quell'antica dote

che spetta ai figli ed ai nipote.

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Ah! Roma, ben sei degna ch'io ti note.

Sei più dell'altre, sei grande e pietosa . E che l'umile tue divine gote

Hanno il profumo di candida rosa

E che la terra sotto il pie' ti scote Perché di Cristo, sei la prima sposa Per cui di tutto il mondo ogni persona

Sente l'invidia della tua corona.

A te non può uguagliarsi altra matrona Imperatrice di sì degno impero:

Quindi di tutto il mondo sei padrona Perché nel seno tuo chiudesti Piero. Ti onora Londra, Berlino e Lisbona

Qualsiasi regno d'Europa o sia straniero; Il Danubbio, la Senna ed ogni fiume Vanno sotto la scorta del tuo lume.

Chi è che non conosce il tuo costume Mentre hai di tutti la superba doma? E chi non sa che il sempiterno Nume

Quando nacque e morì si volse a Roma? E dell'aquila tua le sante piume Fanno di tutti ventilar la chioma.

E chi non sa che dalla nostra stanza Cacciasti la miseria e l'ignoranza?

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Di cibo e di danaro era mancanza, Pietosa tu mandaste la procura

A quei belli lavori d'importanza

Che ci danno guadagno oltre misura. Per questi ogni persona sopravanza. Sparita è la vergogna e la lordura.

Insomma il tuo giardino tutto quanto Bisogna dir che ha messo il nuovo manto . .

L'altre regine che ti stanno accanto

Vedendoti ogni giorno esser più bella, Ti faranno la visita ogni tanto

Chiamandoti di lor maggior sorella

Perché tu nata sei da un germe santo. 'sotto benigna e vertuosa stella

Che la nave di Pietro alla tua sponda

Percossa è forte; ma già mai si affonda.

Oh! Lurida Turchia vagabonda

Vai ' saltellando incontro al precipizio

Come abbattuta, in mezzo all'onda

Che del porto non trova alcun indizio E che non ti accosti a questa donna bionda Che ti richiama a tanto benefizio. Quel pellicano ti presenta il seno E tu tiranna le mostri il veleno?

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Viene a veder per una volta almeno L'apostolica sede e i santi chiostri,

Piantate sopra a questo umil terreno Dagli avi antichi, cari padri nostri. Vieni a veder la luce al ciel sereno,

Vieni lebrosa alla stanza Romana A lavarti di Cristo alla fontana .

Non è più il tempo di pregar Diana Né Venere, Minerva e né Latona

Lasciate indietro la storia profana. Che sorto è il nuovo fonte in Elicona:

E scaturì dal sen della sovrana Che portò su nel ciel aurea corona

Venite tutti a rischiararvi il viso Che vi farà più belli che Narciso.

Sultano, tu che sei di sangue intriso, Di quel sangue civile ed innocente,

Cadrà la sua vendetta all'improvviso E disfarratte fino ai fondamente.

La schiera che sta su nel Paradiso Piomberà il ferro sovra a te, repente E impareratti ad imbrattar le mani

Nel civil sangue degli eroi Italiani.

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E voi ladri d'Arabia e mussulmani Ciriucci, Tripolini e miscredente,

Sapete, quanto il ferro dei Romani

Dei padri vostri entrò nei petti ardente? Lo sanno i Siri, lo sanno i Persiani

Lo sa l'Egitto, e poi tutto l'Oriente

lo sa Gerusalemme, che il nostro Tito Confisse in croce un popolo infinito.

Lo sai per prova, e ti si mostra al dito Se gli antichi romani eran guerriere! Guarda sul Campidoglio riverito. Vedrai la lunga serie e le bandiere

Tu non pensar che il valore è fenito

Anzi si fa più grande il bel mestiere; Che rimembrando quell'età vetusta, La man si fa più ardita e più robusta.

Razza creata dalla polve adusta

Non creder che il romano già sia stanco; Vedrai ben tosto ti darà la susta

E premeratti l'uno e l'altro fianco

Che la mano del ciel potente e giusta Ha stabilito su l'Empireo banco Che devi cader sotto il romano Così comanda l'alto Capitano.

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L'anfiteatro che fe' Vespasiano È ben raggion che sia ricostruito.

E porve dentro quel sangue inumano

E da più fere belve sia schernito. Si armi d'Atropo la superba mano Acciò sia della terra disparito

Il maledetto germe di Turchia Perch'hanno ucciso il figlio di Maria.

Quanto pianto versaste patria mia Per gaggion degl'indomiti efferrate;

Quando che i tuoi figlioli in agonia

Miraste sotto il ferro trucidate Ma lor sapranno agevolar la via A noi poi che nel cielo sono entrate Fra il martire celeste tutti quanti

Combattente di Cristo e trionfanti.

Cessate o madre i lacrimosi pianti

Che inulte non restar le vostre salme, Ma su nel cielo alla maggion dei santi

Fra gl'italici eroi son giunte l'alme. Innanzi a Cristo con festose canti Innalzeranno le sanguigne palme

Perché chi muore per la fede è degno

Chi muoia in terra è sopra all'altn? regno.

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'se di Urbinati avessi il tanto ingegno

Quella medesma tela e il santo inchiostro Vorrei provarmi col suo bel disegno

A pinger la vertù del secol nostro Ma però, non mi trovo a tal contegno -

Che son l'umil vaticello vostro Canto l'onor della città latina

Che di qualsia regno, è la regina.

Scorgo da lungi la bella Eroina

Sotto l'alto vessillo trionfale Colla faccia ridente e peregrina

E porta le corone nel grembiale, Innanzi a lei l'ancella mattutina

Che le fa scorta alle romane scale Quindi chinarci della patria amice A salutar la bella vincitrice.

Questa è del mondo la santa nutrice Che porge il petto a tutte le famiglie Anche il santo Evangelo ve lo dice

Che le sette vertù, sono sue figlie. E l'Arabia Petrea e la felice Dovran calar !'antenne ai suoi naviglie

E recandole in mano la Bandiera Gridando: Evviva Roma, alma guerriera.

Pietro Trapè detto il Magone

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La vittoria prevista

Sorse l'alba ridente e sparve intorno Con la prodica man m'ebbi di fiori

Dall'usio del Gange il carro adorno Trasse del biondo Apollo i corridori

Del mar tranquillo e del sereno giorno La dolce calma e i lucidi splendori Ciascuna saluta e grazia al ciel ne rende Alza le palme e la vittoria scende.

Già vedo in alto le gloriose tende Su Trento, Su Gorizia e su Trieste Su !'aquile romane il sol vi splende E dei più bei colori le riveste

Vedo il guerriero all'alto che discende Per le scalon de la maggion celeste Alza la coltre e le aie spande

E porta seco esercito sì grande.

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Cantate bambinelle venerande Cantate l'inno della santa guerra Alzate ai vostri padri le ghirlande

Che il sangue loro riscattò la terra Cantate lingue sacre e memorande

Dal batro attile dove il mondo serra Cantate alme celeste su il saltero

Che a Roma ha vinto il danubbiano impero.

Eccola là, la città di Piero Più grande più festosa e assai più bella

Guardate su Trieste il suo destriero Che batte il piede e fa brillar la sella Quello di Parigi è un guerriero

Tanto geloso della sua sorella Guardate l'Ondra, madre di Bretagna Come la bacia il viso e l'accompagna.

Guardate il Portogallo con la Spagna La Serbia, Montenegro e Romania

Il Belgio mutilato ancor che piagna Si fa coraggio e gli fa compagnia Del Norde americano ogni compagna

Venne a soccorso della patria mia Anche il Brasile varcò la liviera Per far più bella l'Italica bandiera.

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I giapponesi andarono di carriera

Contro la Russia ignobile e mendica Buffona favolosa e menzoniera Che non mantenne la promessa antica

Schiava della Germania e prigioniera Che gli rischiara il muso con l'ortica

Fece all'Italia tante promissione

E poi si dette in preda a Guglielmone.

La Russia è una famiglia di moscone

Che l'alito del vento la scompagna Va cercando sempre la staggiane Quando che so i piagasi alla campagna

Lecca la marcia e poi fugge al Macchione Perché ha tanta paura della ragna Ditemi voi la Russia cosa vale Mentre ha il fastidio dell'altre animale.

La Russia è stata tutto l'essensiale

per cui si è prolungata questa guerra la Russia a tutto il mondo à fatto male

perché si accompagnò col Caisserra

però le abbiamo vinta tale quale lo volle il cielo lo volle la terra

che tutto il norde america è venuto a prestare all'ltaliani aiuto

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Notar si deve chi avrebbe mai creduto che Dio ci classi tanto benifizio

ma l'alta sua bontà così à voluto che terminasse questo sacrifizio benché lungi da noi pur si è veduto

che se ne andava tutto in precipizio però ci benedece e ci consola e fa di tanti, una famiglia sola.

L'aquila dell'Austria più non vola

che si è spennata e indebolita i vanni un osso che gli si è messo nella gola che non gli passerà da qui a mill'anni.

A per compagna la cornacchia sola animalaccio che fa tanti danni si cerca li risparmi e si lavora

e questa bestia tutto ci divora.

Roma che del mondo è la signora gli angioletti di vari colore

si allodoletta assieme con l'aurora sinnalza e canta l'inno al Creatore e Filomena canta sun quell'ora

che si rammenta del suo seduttore ora che il canto è fra i nostre amice

sventola bandiera vincitrice.

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Ecco risorta è ormai l'ora felice

l'ora che porta a noi pace e contento e ci godremo tante benefice

conquistate col sangue e col il tormento così dal sangue nostro ogni radice sparir dovrà come la nebbia al vento sparir dovrà la collera e il veleno

che questi brutte mostre anno nel seno.

Da tempestose nube esce il baleno che squarcia l'aria e desta le procelle

e dopo della pioggia il bel sereno ci riporta nel ciel tutte le stelle

poscia innaffiato il liquido terreno partorisce dal sen l'erbe novelle

ringiovanisce le piante odorose che ci riporta le viole e rose.

Così dalle battaglie sanguinose che poi tutte le cose anno i confine ritorneranno liete e vittoriose

da l'alti campi i gran guerrier latine in braccio ai genitore, figlie e spose fra tanti applausi e libre cittadine sotto l'alte trofei della vittoria

verranno scritte alla Romana storia.

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Chi mai cancellerà questa memoria che al mondo serberà memoria eterna che questa sacra patria pien di gloria a combattuto nella valle inferna

mo non vi sarà più l'obblicatoria libera sempre lei e chi la governa

sempre alleata con le sue sorelle come fanno nel ciel le due gemelle

Sotto a la volta di tutte le stelle fuori di Turchia, d'Austria e di Germania sarà una gran famiglia di fratelle

tutto un linguaggio e tutti una lavania mo che a sparito le fiere ribelle

dal mondo sparirà tutta la smania Or mai che queste mostre son schiacciate speriamo di star sempre ariposate.

Figlie d'Italia mai non vi scordate a render grazie a chi ci ha dato aiuto

questi santi fratelli rispettate

che fide al fianco vostro a combattuto chiamo fratelli tutti l'alleate

se si conosce il ben che ci a voluto che son partite dalle punte estreme

per salvar dei romani il gentil seme.

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Ed'or che sia accolte tutte assieme

con questa frata e grande compagnia si godrà della guerra i sante preme si banchette, si canti e così sia cosa ci cagli se Gugliemo freme

perché è saltato dall'etrofobia abbasta tutto il mondo si diverta

a vederlo impiccato all'aria aperta.

Chi al mondo a fatto male, male meerta specie costui fra gli antri sei

che scaturì da quella vena certa d'Attila re, detto flagello un dei vana speranza ormai che si converta e gli si canti il misereremei,

i santi non lo vuonno in paradiso e Pluto si lo vò non'è deciso.

Tanto era bello il giovane Narciso che un giorno all'acqua si specchiò la fronte poscia s'innamorò del suo bel viso

avido di beltà cadde nel fonte

chi tanto si alza cade all'improvviso Icaro cadde e poi cadde Fetonte così è caduto dalla somma altura

chi tanto offese il mondo e la natura.

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Guglielmo che è imbrattato di lordura in cielo non lo vuole il padre Eterno

laggiu tutti i dannati hanno paura non vuonno che sia messo nell'inferno.

La terra non lo vuole addirittura,

io non so dove questo governo, nessun lo vuole che è troppo tristo, e poi, se vonno gli altri, non vogliamo noi.

Trapè Pietro detto il Magone

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Seconda parte

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Un giovanotto ...

Un giovanotto, dopo un mese che ha sposato, va soldato. Ritorna dopo un anno. La moglie dopo

cinque mese che è tornato partorisce una bambi­na.

In un villaggetto sotto tramontana

C'è un giovanotto che vuol prende moglie

Una ragazza di statur mezzana È buona a soddisfar tutte le voglie.

Dopo un mese che ha sposato

V a lo sposo a far soldato E la sposetta,

Col suocero è rimasta poveretta .

Pianger dalla sera alla mattina

Per tener sempre chiusa la bottega Piangere, piange fino a che si destina

Aprir chi vuole e sia chi frega, frega Col il fregare giorno e notte Si trovò le porte rotte

La serratura Tutta sfasciata che facea paura,

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V a dal falegname ossia l'artista Per rifare la porta uguale a quella

Le disse bella mia io non l'ho vista Eguale non si può far senza vederla

Disse il mastro per piacere Me la porte un po' a vedere

Di che modo Di che legname è fatta e con che chiodo

Quando le vide il mastro falegname Le disse bella mia sarà impossibile

Non si conosce chiodo e né legname È ridotta in uno stato orribile Io sì, leò accomodate

Di queste porte sfracassate Ma nò come questa Che l'è ridotta proprio disonesta

Quando torna il marito poveretto Che troverà la porta in brutto stato

Dirà che fu colui che tanto ardito Qui nella mia bottega a penetrato Capitò un guardianaccio

Volle far da bravonaccio E serra, serra Rompe la porta e mise il culo atterra

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Mo che torna il marito per davero E va in bottega a vender la pannina Come fa il bottegaio di mestiere

E trova dentro l'urna una bambina

Disse allor perdios bacco Mi pareva di esser fiacco

Con il mio pennello Sono stato forte più di Raffaello

Credono che io sia un mammalucco

Che voglia strapazzar la mia consorte Dicono che mi fa passar da cucco Che un prepotente le à rotto le porte

Cinque mesi, lo sapete Che son torno e che volete Perdia, perdia Non c'è da mormorar la figlia è mia

Dice quanto è bella sta bambina La prende e la guarda ogni momento

Da tanti baci alla sua sposina Sei stata brava e sono assai contento. Donne mie, state contente

Cinque mesi non so niente

Di gravidanza Che la natura ha cambiato usanza.

Salvatore Stef anoni 31

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Contrasto tra padrone e garzone

Un giorno per disgrazia andavo a spasso

per via sgraziata di un certo paese in una casa intese un gran fracasso e si trattava dell'anno e del mese .... Un signore mangiava a capo basso

parlava unpò tedesco e unpò francese e l'altro era il garzone risoluto che appunto da la campagna era venuto

Picchia alla porta e gli rese il saluto come dovere, si levò il cappello

anzi che gli dicessi benvenuto gli si avventò qual cane da macello a tavola quest'anima di Pluto

aveva li presciutti di un agnello

quando vide il padrone a ciglio chiuso arruffassi i baffi e storse il muso.

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Il pastorello ne restò confuso perché trovato avea il padrone a pranzo vide tante vivande fuor dell'uso

bottiglie di vin santo, polli e manzo

disse signor padrone a voi mi scuso per carità, me date il vostro avanzo? Ma lui risponde in pessima maniera

quel che mi avanza le mangio stasera

Ti pigliasse cent'anni di galera

mangia tutto per te lupo affamato

tu giocave il tresette e la primiera quando nacque l'agnello giù nel prato di giorno e notte, di mattina e sera

solo io lo so di quanto ho tribolato per custodir la pecora e il montone ho messo la mia vita in perdizione.

Come una bestia rispose il padrone

levati davanti brutta piaga

non voglio che mi conti li boccone

se no ti pista il muso con la daga

se tribolate tanto, è di raggiane

apposta vi si spesa e vi si paga

tu vorresti campar senza diritto

non sai ch'io pago, le tasse e l'affitto?

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Bestia che sei, almeno Statte zitto che fosse questo l'ultimo boccone e se tu paghe le tasse e l'affitto le paghe con le mie tribolazione

io con la paga tua non fo un profitto mi manca la giacchetta e le calzone

lò fatto un par di scarpe sto gennaro tre volte ... mi ha citato il calzolaro.

Che mi racconti pezzo di somaro

vorresti ch'io pagassi le tue spese

m'avanze un po' di soldi di febbraro

te li darò quando finisce il mese

io vedo che qualunque pecoraro

vorrebbe andar vestito da marchese

vorrebbe scarpe, stivali e cappotto

neanche si avesse vinto un terno all'otto.

Ma ora tu mi parli da pucciotto vorresti ch'io stassi alla campagna in cima dei poggetti a far il merlotto

con la franzina di tela di ragna la notte, niente sopra e niente sotto poi dite che il pastore è una cuccagna

con tutte quelle grinze nella panza così si campa bene, a vostra usanza.

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Io vi passo la roba in abbondanza

il sale e l'olio per far l'acquacotta

vi passo l'acqua fresca che vi avanza

e qualche volta, il brodo di ricotta.

Siete gentaccia piena d'ignoranza

volete tirar troppo nella grottà

volete moglie, figlie, cane e gatto

così per noi non resta niente affatto.

Scusami, per pietà, sei proprio matto

vorresti ch'io al mondo stassi solo

non sai che la natura fece il patto che ogni madre deve avere, il suo figliolo

anzi voglio rinnovar contratto se no in fede di Dio ti lascio solo

voglio trenta lir.e di mesata e del trentuno pure la giornata. Di questo hai fatto una brutta penzata

vendo le bestie, la vigna e il podere

mi f ace io di quattrini una cassata

e vado all'osteria a mangiare e bere

così mi passo una vita beata

non ho più per la testa li pensiere

e quando vedo qualche ricciolina

la fo chiamar dall'amica vicina.

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Tu mi sembri ubriaco stamattina oppur mi parli da vero insensato

se vendi, in quattro giorni addio rovina la gente ti dirà il sor disperato

non si va più col fiasco alla cantina non si fa più la vita da prelato

non si mangia più polli e bistecche

quante volte sterete a dente secche.

Quando avrò preso tutte quella scecche la gente mi diranno il sor Giovanni

prima che della borsa il fondo tecche termineranno i secoli co gli anni

voglio far le pastore tutte becchi

sarò temuto più che il prete fanne

metto tutte le salde in una cassa

tra frutte e sorte le farò una massa.

Guarda quanto è intricata la matassa io ne o vedute assai di queste casse

non sai che la fortuna alza ed abbassa prima in' alza la grande e poi le bassa

vedi che il tempo è un vecchierel che passa e nota tutte, mentre move i passe

non sai che de sti banche per fortuna ogni giorno fallisce, qualcheduna.

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E' vero, e ce l'approva la tribuna

che a Napoli, Palermo e ogni loco salva, salva, non ce n'è . .. più una

che tutti hanno imparato questo gioco

son gente birbe, corpo della luna

che a dillo qui fra noi mi fido poco

ho fatto unpò di soldi con tant'anni

e in poco, arrivederci sor Giovanni

E' vero che a dir questo non t'inganni

e ti serva d'avviso il mio ricorso

che si tu dai li soldi a le tiranni ti trovi pelato come un tordo se tu non voi passar da Barbaggianni.

E in tutta la tua vita esser milordo tiene di conto la tua masseria oppure fai l'affitto, o mezzadria.

Sarebbe questa, la mia fantasia

se sei d'accordo pastorello mio

vanne presto in campagna e tira via

mi raccomando per l'amor di Dio

e tiene conto poi la roba mia

che magerai quel che mangio io

e di soldi avrai piena la tasca

e di vino bono avrai, piena la fiasca.

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Così fu terminata la burrasca

conclusero tra loro la santa pace se prima se nandò di palo in frasca rnossò costrette a darsi tante bace.

Però il padrone è una foglia che casca di mantenere i patti non gli piace

promette, ripromette e poi non regge vuole ogni giorno, rinnovar la legge.

Lascio considerare attè che legge

chio non voglio trovarmi a tal questione Vedi, non c'è nessun che ci sorregge così, staremo sempre in confusione.

Benché il padrone, c'è chi lo protegge e sottomette sempre vo il garzone quindi veniamo tutti per espresso

che poi in fine il pastor, farà lo stesso.

Pietro Trapè detto Il Magone

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Avventenze del carovivere

Non più di guerra la mia diva canta perché l'arme deposta è tutta ormai si anche la guerra fosse stata santa le nostre piaghe son profonde assai perché di sangue la terra si ammanta pur ci a lassato in preda a tanti guai che è a tutti nota questa profezia che guerra lassa morgo e carestia.

Però non avvilirti o patria mia perché si spera che guarisce il male e tosto sparirà la malattia e non saranno più piaghe mortale però ci vuole molta economia e molta calma su lo camminare ci vuole economia addirittura spece sopra ai vestiti e calzatura

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Son giunti i prezzi che fanno paura però non date colpa al bottegante che anche lui compra e si non fa ficura non si ritrova al posto da mercante e chi con il metro suo non si misura si teme di andar tosto mendicante perché la guerra a tutti quanti impara di adattarsi alla meglio alla ciociara

Invece poverine fanno a gara invece di un paio le comprano due chi compra e vende la fa para para e tiene a posto l'interesse sue ma chi deve comprar la roba è cara se da vender non a povero lue cosa si mangia? e come va vestito? mostra il culo la moglie con il marito

Si presto non si piglia altro partito povere figlie mie povere figlie i soldi non ci son il grano è fenito e il corpo non si piena di sbadiglie ditemi che vi fa l'anello al dito i nastri le spillone e le maniglie di più le stivalini di coppale roba che tanto costa e poco vale.

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Guardate si è giusta la morale e chiara ve la porta la raggione per far proprio le cose al naturale ci vuol le scarpe con le bollettone di panno tinto ci vuole il zinale e sulle spalle quelle giacchettone che usavano una volta alla villana che ci salva dall'acqua e tramontana

Famiglia mia, non esser tanto vana fa a modo del tuo vecchio genitore cammina dritto per la strada piana e lassa star l' artiste e le signore lo so vorresti la bottega sana le stoffe ricamate in più colore ma si noi con la bottega fama a tigna sparisce la casetta con la vigna

La terra a chi è matre a chi è matrigna a chi da il frutto e a chi rende il veleno a noi ci ha consegnato la gramigna il peggio frutto che porta nel seno ci è tirante la redine e la cinghia a tanti dona libertà nel freno li cede quanto è grande la fortuna a noi ci dona l'aco senza cruna.

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Per questo qualche volta si digiuna la sera si va a letto a corpo vuoto la notte la miseria ci importuna che le budella stanno sempre in moto ma presto s'uscira dalla laguna e troveremo più sicuro il nuoto nell'acque più dolcissime e più chiare dove burasca non permette il mare.

I nostri valorosi marinare sapranno regolar la navicella per non farci da l'onde naufragare e lungi ci terrà dalla procella e noi tutti daccordo a remeggiare la nave si farà sempre più bella con corde innocentissime e tenace stringendo la famiglia sempre in pace.

Tanto dico a chi piace e a chi non piace del carpine la gran coperativa ogni giorno è più forte e più vivace più onorata più ricca e più giuliva per questo la mia musa non si tace risorgerà cantando sempre e viva la società del carpine che è grata alla storia moderna è riggistrata.

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Questa la dritta via ce l'a insegnata che più non la dobbiamo abbandonare però ci vuol la mente delicata e molta calma su lo camminare ecco la società che si è fondata per chi piace la terra lavorare la terra è detta la gran madre antica per chi la custodisce è tanto amica.

Sia bendetta lei e chi l'a nutrita e il frutto che germoglia nel suo seno sia benedetto l'uomo che fatica e versa il suo sudore sul terreno O santa libertà lassa ch'io dica le cose che non posso farne ammen lodando sempre il nome del villano che porta panno vino olio e grano

Tutto quello che consuma il germe umano viene prodotto dal braccio potente il cielo gli dotò ]angusta mano che basta a governar tutta la gente se non cosa farebbe l'artiggiano si alla bottega non avesse niente però fraternamente si comparte quella poca miseria che dà l'arte.

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Così la gente da tutte le parti credo nessun vi resti a labra sciutte e quando è sera che il sole si parte anno mangiato le belle e le brutte il braccio del villano è come Marte forte e costante che governa a tutte che governa l'ami ce e i nemice e poi governa tutte l'infelice.

Dunque la classe mia è lavoratrice è degna di lodarla e farle onore questa tutti vi è benefattrice dee rispettarla il piccolo e il maggiore ci dobbiamo trattar da veri amice amarci sempre con fraterno amore io vi ripeto come disse il Tasso dalla cuna alla tomaba un breve passo.

Pietro Trapè detto il Magone

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Terza parte

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Montefiascone

Montefiascone è filato col refe a una a una cascono le case

a una a una cascono le case scappate amore mio si drento sete

Montefiascone che c'è 'l vino vero ce l'ho bevuto assieme co Frajano

ce l'ho bevuto assieme co Frajano e tanto ce piacia adera sincero.

La brumbabò

Bee bee compagno sinnò t'~mmazzarò nun m'ammazzà compagno ch'adesso bearò

e mentre che lue bee je cantamo la brumbabò

la brumbabò 'L barlozzo è finito e 'mbriaco nun so

l'acqua fa male il vino fa cantare 'l sugo della cresta te fa girà la testa. Bee compagno sinnò t'ammazzarò

nun m'ammazzà compagno ch'adesso bearò e mentre che lui bee je cantamo la brumbambò

la brumbabò ....

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Genitore ve chiedo licenza

Genitore ve chiedo licenza

si permesso me date de cantare '

ogge la vostra fija fa partenza

dall'altra parte je conviene d'annare levata l'ete co 'na gran pacienza

felice ar monna chi la goderane.

Ogge porta la parma dell'onore

evviva chi l'ha corto 'sto ber fiore.

Marsilia Macini

Sposo

Sposo te see capata un mese bono

che de 'sti mesi quello è 'r capitano,

un mese che la va la vacca ar toro

e che l'erbetta lo ricopre 'r piano;

quanno ce va a la vigna 'r vignarolo

subitamente se lo stura 'r guado

e poi la mette la su' zappa in opra

così farae tu co' la tu' sposa.

Vittoria Buroni

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'

Rosina ar ballo

E dov'è la mia Rosina che al ballo lei non c'è

è in camera rinchiusa che non ha le scarpe ai piè

E purché lei venga al ballo le scarpette le farò

le scarpette co le fiocchette fatte apposta pe ballà

E mentre che lei ballava un fiocchetto je cascò

mentre che lo raccojeva mille baci a lue donò

Se n'accorse 'l su fratello via co lue se la portò

viene a casa bricconcella che da tutte te fae bacià

M'ha baciato lo mio amore m'ha baciato e bacerà

m'ha baciato tante volte e non m'ha mae fatto mal.

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La civetta

'Na sera annava a spasso m'incontqi co' Marietta,

me sapea ',n pò graziosetta me ce mise a fare l'amor.

Alla notte cuccumava

non facea mae riposà

e nel buco dove drentava je ce tese la tajola

la birbona ch'adere de scola nun ce volse capità.

Capo a 'n anno

me venne pensato de quella civetta je ce tese la trappoletta ce la fece capità.

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Cìa n'occhio scarpellato cìa 'l becco a uncinello cìa 'l becco a uncinello

me volia pizzicà. Cìa le zampe assai pelose che mostraa la vergogna

si t'afferra co quell'ogna nun se ponno più sdradecà. Si t'afferra co quell'ogna nun se ponno più sdradecà.

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Annamoce ne ne ne

Annamo amore mio vene alla vigna che te l'ho fatta 'na bella cappanna Annamoce ne ne ne

annamocene a dormì

No nun ce jengo amore jo alla vigna perché lo sai nun vole la mi mamma Annamoce ne ne ne annamocene a dormì

E 'l letto te l'ho fatto de gramegna e 'l capezzale de foje de canna Annnamoce ne ne ne annamocene a dormì

E io ce jengarò si me voe bene

Basta che tu me lee da sti pene Annamoce ne ne ne annamocene a dormì

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Stornelli

Fiore de scareia la pena de l'amore quant'è grossa che Emanuelle le disegne guasta ( 1)

Chi pe' sorte un pecoraro pija

nun è né maritata né zitella povera mamma ha affogato la fija (2)

E io che de stornelle ne so tante,

le so pe caricà sei bastimente, chi ne sa più di me si faccia avante .

E io che de stornelle ne so na gregna,

me so calata jò da la montagna, me so calata jò da la montagna, me l'ha mannate jò la mi matrigna

Da la finestra mia se vede 'l treno, ma l'urtomo vagone c'è 'l mi Adamo,

ma l'urtomo vagone c'è 'l mi Adamo,

l'ho conosciuto dal cappello nero.

(1) Vittoria Buroni

(2) Pasquina Notazio

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Filastrocca

Il contadino

che zappa la terra , si gira la carta,

si vede la guerra, e la guerra

con tanti soldati, si gira la carta,

si vede i malati, ed i malati

con tanto dolore, si gira la carta

si vede il dottore, ed il dottore

che fa le ricette, si gira la carta

si vede la gente, e la gente che va che va per la via,

si gira la carta si vede Lucia

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e Lucia che fa uno zampetto, si gira la carta, si vede il galletto

e il galletto che canta forte, si gira la carta,

si vede la morte

e la morte che spaventa la gente,

si gira la carta no~ si vede più niente.

Ascoltata da Graziella Pieretti

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Ninne nanne

Fate la ninna ch'è passato Peppe a la fija portateje le scarpe

e 'r vestituccio bello per le feste . ( 1)

fate la ninna ch'è passato Peppe 'r mejo giocatore de le carte,

pijia 'r mi core e giocalo a tresette (2)

Ninna putigna

le pecore ma la vigna le bove ma 'r pajaro

curre curre pecoraro ( 3)

Ninna nanna ninna nanna

chi ci ha un piede e chi una gamba e c'è 'r babbo puarino

che nun ci ha manco un piedino ( 4)

(1) Ascoltata da Anna Angeli

(2) asc9/tata da Concetta Nasoni

(3) ascolt{,lta ..da Concetta Nasoni

(4)ascoltata da Filomena Fornello

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Fate la ninna, citalo mio, quanta birba me fae fa, si nun era lo citalo mio

me toccava d'anna a zappà (1)

Fate la ninna che la culla è d'oro, accullato c'è stato S. Isidoro, fate la ninna che la culla è d'argento,

accullato c'è stato S. Vincenzo. Fate la ninna che la culla è d'acciaro,

accullato c'è stato S. Gennaro.

Fate la ninJ!a che la culla è d'ulio, acculhtto c'è stato 'r fijo de Dio (2)

(1) Ascoltata da Anna Angeli

(2) ascoltata da Elvira Maurizi

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Montesicuro

Sò stato a laorà a Montesicuro

si tu sapesse quanto ho guadagnato,

me manca nove pavele a 'no scudo.

'N te posso di però quant'ho sudato, sò mezzo morto me se ferma 'l core

' e l'anama me và per conto suo.

Mannaggia a l'ora a guaono ci ho pensato d'annatte a laorà man quel diserto

che p'arricchì 'n brigante sò crepato.

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Ringraziamo tutti coloro che ci hanno offerto il materiale qui ri­portato: Liseno Maurizi che ci ha fornito i suoi quaderni dove ha faticosamente trascritto molta parte della produzione poetica montefiasconese; Luciana Volpini per la sua Tesi di Laurea sulle tradizioni popolari di Montefiascone, Elio Tarantello per la rac­colta di canti popolari tra i quali spicca "So ito a lavorà a Monte­sicuro" (da lui passato a Dario Foche lo ha inserito nel suo canzo­niere); ma soprattutto coloro che indirettamente ci hanno fornito, cantandoli o recitandoli, queste esili composizioni poetiche.

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INDICE

Introduzione Pag. 3 Presentazione 7

Prima parte

L'onor di Roma 11 La vittoria prevista 18

Seconda parte

Un giovanotto ..... 29 Contrasto tra padrone e garzone 32 Avventenze del carovivere 39

Terza parte

Montefiascone 47 La brumbabò 47 Genitore ve chiedo licenza 48 Sposo 48 Rosina ar ballo 49 La civetta 50 Annamocene ne ne ne 52 Stornelli 53 Filastrocca 54 Ninne nanne 56 Montesicuro 58

Ringraziamento

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Finito di stampare il 30 giugno 1979 nello stabilimento litografico Union Printing - Villanova - Viterbo