Ascoltare la Parola di Dio - Parrocchia San Sabino · 2018. 5. 26. · 1 Ascoltare la Parola di Dio...

5
1 Ascoltare la Parola di Dio DIO, NON IL DENARO! XXV Domenica del Tempo Ordinario 22 Settembre 2013 «Non potete servire Dio e la ricchezza» «Nessun servitore può servire due padroni». (Lc 16,13) Commenti al Vangelo Quando Cristo elogia i farabutti Una delle poche volte che Gesù di Nazareth si lascia andare ad un filo di sconsolazione, tradendo forse un pizzico d’invidia verso quel mondo che nel suo cuore immagina diverso: «I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce». Che è come confidare a quel manipolo di discepoli che ha scelto e amato: “Perché invece voi non siete così scaltri? Eppure avete Me accanto!”. È una parabola intricata e intrigante quella di questa domenica: parla di un amministratore, di un padrone e di una mezza truffa in piena regola (immagino le espressioni di qualche mio parrocchiano in carcere, quasi a dire “urca, è la mia storia!”). Per salvarsi il futuro, dal momento che a causa della sua disonestà

Transcript of Ascoltare la Parola di Dio - Parrocchia San Sabino · 2018. 5. 26. · 1 Ascoltare la Parola di Dio...

  • 1

    Ascoltare la Parola di Dio

    DIO, NON IL DENARO!

    XXV Domenica del Tempo Ordinario

    22 Settembre 2013

    «Non potete servire Dio e la ricchezza»

    «Nessun servitore può servire due padroni». (Lc 16,13)

    Commenti al Vangelo

    Quando Cristo elogia i farabutti Una delle poche volte che Gesù di Nazareth si lascia andare ad un filo di sconsolazione, tradendo forse un pizzico d’invidia verso quel mondo che nel suo cuore immagina diverso: «I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce». Che è come confidare a quel manipolo di discepoli che ha scelto e amato: “Perché invece voi non siete così scaltri? Eppure avete Me accanto!”. È una parabola intricata e intrigante quella di questa domenica: parla di un amministratore, di un padrone e di una mezza truffa in piena regola (immagino le espressioni di qualche mio parrocchiano in carcere, quasi a dire “urca, è la mia storia!”). Per salvarsi il futuro, dal momento che a causa della sua disonestà

  • 2

    il padrone lo ha destituito – non senza prima, però, avergli dato la possibilità di una difesa onesta (“Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore”) –, quell’amministratore s’ingegna una furbizia, lodata da Cristo stesso: dimezza ciò che i debitori devono al suo padrone e in tal modo ottiene la loro simpatia. Forse anche il loro riconoscimento che gli potrebbe essere d’aiuto già domattina, quando dovrà rimboccarsi le maniche e andare a cercare un nuovo lavoro per sé. Significa che Dio allora, fuori di parabola, elogia l’inganno e la disonestà? Figurarsi: un Uomo dalla schiena dritta e dallo sguardo pulito come il Suo non avrebbe mai potuto mettere la faccia (anche Dio ne ha una sola, ndr) per sponsorizzare la Menzogna. Ad essere elogiata invece è la furbizia, l’intraprendenza, l’intuizione di quell’amministratore. Nel tempo antico il guadagno dell’amministratore veniva tolto dal guadagno del padrone: è su quella percentuale – che quindi spetterebbe a lui dopo la riscossione – che l’uomo s’inventa un contropiede da manuale. Quasi a dire: “È vero, ho sbagliato. Rinuncio alla parte che mi spetterebbe di diritto e, così facendo, alleggerisco la somma dei debitori. Chissà mai!”. E in questo sta la sua grandezza: rinunciare a qualcosa adesso per investire nel suo futuro. Forse ancora di più: rinunciare a qualcosa di allettante come il denaro (o i barili d’olio) rischiando di investirli in affetti e legami, in amicizia e prossimità, in umanità e speranza. Quello che – stando all’amarezza dell’espressione di Gesù – non sembrano ancora capaci di fare i suoi amici/discepoli: rischiare la sicurezza di una piccola schiavitù per assaporare il rischio della vera libertà, quella che rallegra il cuore dell’uomo e della storia. Più che moralista – nessuna pagina del Vangelo racconta di un Gesù stile “predicatore di morale” – è un Gesù dallo sguardo sveglio, capace di cogliere negli atteggiamenti profani e pagani quel frammento di bellezza e di autenticità che tanto fervore arrecherebbe anche alla sua piccola chiesa che sta facendo nascere. Così quell’amministratore da figura perfida e delinquenziale diventa metro di misura: perché lui, pur essendosi complicato la vita con il denaro, riesce a trovare un qualcosa che supera di gran lunga quel valore, a lungo immaginato come insuperabile: non accetta di rimanere suo schiavo, corre il rischio di barattarlo in legami e affetti. «Sì, posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: “sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”». E ripete: «io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto Miserando atque eligendo l’ho sentito sempre come molto vero per me». Il motto di Papa Francesco è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: «Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi». E aggiunge: «il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando». Papa Francesco continua nella sua riflessione e mi dice, facendo un salto di cui sul momento non comprendo il senso: «Io non conosco Roma. Conosco poche cose. Tra queste Santa Maria Maggiore: ci andavo sempre». Rido e gli dico: «lo abbiamo capito tutti molto bene, Santo Padre!». «Ecco, sì – prosegue il Papa –, conosco Santa Maria Maggiore, San Pietro... ma venendo a Roma ho sempre abitato in via della Scrofa. Da lì visitavo spesso la chiesa di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a contemplare il quadro della vocazione di san Matteo di Caravaggio». Comincio a intuire cosa il Papa vuole dirmi. «Quel dito di Gesù così... verso Matteo. Così sono io. Così mi sento. Come Matteo». E qui il Papa si fa deciso, come se avesse colto l’immagine di sé che andava cercando: «È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: “no, non me! No, questi soldi sono miei!”. Ecco, questo sono io: “un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice». Quindi sussurra: «Peccator sum, sed super misericordia et infinita patientia Domini nostri Jesu Christi confisus et in spiritu penitentiae accepto».

    (Antonio Spadaro e Papa Francesco, La Civiltà Cattolica)

  • 3

    Non perde occasione il Maestro per additare ai suoi amici il di più che è sempre possibile: l’uomo è sempre in uno “stato di parto” dentro le pagine della Scrittura. Di più: è un Dio che sorprende e spiazza, una Presenza che è di strada nelle strade dell’impensato, dell’inimmaginabile. Un Dio la cui irruenza s’incunea dentro le pieghe del cuore e sconquassa quelle certezze che sono false perché solo presunte. Insomma, un Dio che questa domenica è come se ci consigliasse di staccare lo sguardo dalle mille cose che ce lo rubano per arrischiarci di investire quello sguardo su orizzonti che profumano di novità e di stupore, forse anche di un’autenticità più piena. Con un’aggravante come aggiunta: che anche stavolta l’atteggiamento di un peccatore diviene una lectio difficilis da digerire per quei piccoli genietti che ronzano attorno a Gesù. Peccatori che, colpa Sua, ci ricordano ogni giorno di festa che la strada è ancora lunga da percorrere. (a cura di don Marco Pozza)

    Fonte: http://www.qumran2.net Scaltrezza sì, ma per il Regno! A me il Dio di Gesù ha cambiato la vita. O rovinata, fate voi. È che, frequentandolo, uno impara chi è lui “dentro”, quale immenso progetto di amore Dio ha sull’umanità. E allora tutte le cose, o quasi, cambiano, acquistano una coloritura diversa. Incontrare Dio, il Dio di Gesù, significa cambiare ordine alle cose, priorità alla vita, energia alle scelte. In questo senso i discepoli, in qualche modo, incidono nella storia. Incidono (o potrebbero) nella storia reale del nostro paese inquieto e alla deriva, che abbandona la profondità del messaggio evangelico per lasciarsi sedurre dal gossip di turno, che scorda l’essenziale trasmesso dai padri (?) per cedere ad una logica piccina e opportunista, superficiale ed inquietante. E uno dei problemi concreti che dobbiamo affrontare è quello di un’economia che, indifferente ad ogni etica, assetata solo di guadagno, sta mandando al macero milioni di sogni, di valori, di persone. La Parola che illumina

    Tutti, se seriamente avvinti dal Maestro, se affascinati dal suo Vangelo, portano una domanda conficcata nel cuore: come cambiare il destino del mondo? Come arginare la deriva dell’economia che spazza la dignità degli uomini, come evitare questa spietata e indolore dittatura del capitalismo? In altri tempi ci sono state altre risposte, da parte dei discepoli del Risorto: comunità solidali, la carità come dimensione necessaria alla vita interiore, opere di carità, ospedali. Altri tempi, ambigui, forse, ma evidenti, leggibili, rintracciabili: un padrone cristiano era tenuto a comportarsi prima da cristiano e poi da padrone. Ma ora tutto è complesso, contorto: la new economy, la globalizzazione, il mercato che impera e divora, un sistema basato sul guadagno, costi quel che costi, e di lì organizza la politica, le guerre, pianifica il futuro. Come fare, noi cittadini del mondo? Tracce

    Il Vangelo di oggi una traccia ce la lascia, debole, come quella lasciata dalle lumache. Prima considerazione da fare: la ricchezza, il potere, non sono questioni di portafoglio ma di cuore, non di quantità, ma di atteggiamento. Nessuno di noi risulta fra i “grandi” del

  • 4

    mondo, e questo potrebbe falsamente rassicurarci. Anche con poco possiamo avere un atteggiamento di attaccamento ai beni che ci distoglie dall’obiettivo della nostra vita che è la pienezza del Regno. Amos, nella prima lettura, guarda alla situazione del suo tempo con amarezza: un potere corrotto e un’ipocrisia diffusa osservano le pratiche religiose permettendo l’oppressione del povero. Quanto tristemente attuale è questa pagina: davanti alla perfida logica del capitalismo in cui vince il più forte, la nostra coscienza cristiana deve reagire; non certo ricorrendo a pie elemosine ma affrontando con onestà la realtà per proporre nella concretezza un’economia in cui prevalga l’uomo e la persona sul capitale, una economia meno capitalista e più personalista, che metta al centro la persona, non il profitto. Studi economia e commercio? Perché non discuti una tesi sulla realizzazione dei principi cristiani nell’economia? Hai un’attività commerciale? Che relazione hai con l’equità e la giustizia? Sei chiuso nei tuoi interessi? Perché non sfogli qualche pagina di stampa alternativa (Oggi la stampa che si allontana dall’ombelico Italia è diventata “alternativa”!) per sapere che un Nigeriano guadagna in un anno 100 Euro e che in Pakistan il 50% dei bambini è sfruttato con lavori pesanti e logoranti perché costano meno? La conoscenza è il primo passo verso la condivisione! Occasioni di condivisione, poi esistono continuamente. Paolo ammonisce a non pensare che la fede si occupi solo del sacro. Fino a che la fede non diventa contagiosa, illuminante, strumento per costruire un mondo nuovo, non abbiamo realizzato il Regno. L’amministratore disonesto

    L’amministratore delegato della parabola è lodato da Gesù per la sua sagacia, per la sua scaltrezza (non per la sua disonestà!) e Gesù sospira tristemente: “Se mettessimo la stessa energia nel cercare le cose di Dio!”; se mettessimo almeno la stessa intelligenza, lo stesso tempo, lo stesso entusiasmo che mettiamo nell’investire i nostri risparmi anche per le cose di Dio! La scaltrezza dell’amministratore è l’atteggiamento che manca alle nostre stanche comunità cristiane: pensiero debole che si adagia su quattro devozioni e un po’ di moralismo senza l’audacia della conversione, del dialogo, della riflessione. Cerchiamo di capire la parabola: il proprietario loda l’amministratore. Perché, visto che gli ha provocato un ulteriore danno? Non è così: l’amministratore aveva una percentuale sul raccolto del padrone, era la sua paga. Ed egli rinuncia alla sua paga per avere in futuro un aiuto da parte dei debitori del padrone. Rinuncia alla sua percentuale, e fa bene. Gesù sta dicendo: investi nell’amicizia, rinuncia a qualcosa di tuo per andare incontro all’altro. Tempo, intelligenza, denaro. Investi dalla parte giusta... Io, discepolo, posso vivere nella pace, ma anche nella giustizia: libero dall’ansia del denaro, libero da mammona, per essere discepolo. Ecco, la sostanza è questa: se sono discepolo di Cristo so quanto valgo, so quanto valgono gli altri e vado all’essenziale nei miei rapporti, dall’onestà nello svolgere il mio lavoro, alla solidarietà, ad uno stile di vita retta e consona al Vangelo. Chi è il padrone dell’umanità? Dio? O la ricchezza? Ricchezza che oggi ha mille seducenti nuovi volti: mercato, profitto, auto-realizzazione. Gesù non è moralista: il denaro non è sporco, è solo rischioso perché promette ciò che non riesce a mantenere e il discepolo, il figlio della luce, ne usa senza diventarne schiavo. E la Scrittura ha le idee molto chiare: la ricchezza è sempre dono di Dio e la povertà è sempre colpa del ricco... Concludo unendomi a Paolo, mio patrono e fratello nella fede. Rileggete l’invito fatto a Timoteo, preghiamo con fede, alziamo al cielo mani senza contese, invochiamo il dono della pace per la nostra terra, impegniamoci a trascorrere una vita tranquilla, con tutta pietà e dignità.

  • 5

    (a cura di Paolo Curtaz)

    Fonte: http://www.qumran2.net Non si può servire Dio e la ricchezza La parabola del fattore infedele si chiude con un messaggio sorprendente: l’uomo ricco loda il suo truffatore. Sorpreso a rubare, l’amministratore capisce che verrà licenziato e allora escogita un modo per cavarsela, un modo geniale: adotta la strategia dell’amicizia, creare una rete di amici, cancellando parte dei loro debiti. Con questa scelta, inconsapevolmente, egli compie un gesto profetico, fa ciò che Dio fa verso ogni uomo: dona e perdona, rimette i nostri debiti. Così da malfattore diventa benefattore: regala pane, olio, cioè vita, ai debitori. Lo fa per interesse, certo, ma intanto cambia il senso, rovescia la direzione del denaro, che non va più verso l’accumulo ma verso il dono, non genera più esclusione ma amicizia. Il personaggio più interessante della parabola, su cui fermare l’attenzione, è il ricco, figura di un Signore sorprendente: il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza, aveva puntato tutto sull’amicizia. Qui il Vangelo regala una perla: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza perché quando essa verrà a mancare vi accolgano nelle dimore eterne. Fatevi degli amici. Amicizia diventata comandamento, umanissimo e gioioso, elevata a progetto di vita, fatta misura dell’eternità. Il messaggio della parabola è chiaro: le persone contano più del denaro. Amici che vi accolgano nella casa del cielo: prima di Dio ci verranno incontro coloro che abbiamo aiutato, nel loro abbraccio riconoscente si annuncerà l’abbraccio di Dio, dentro un paradiso generato dalle nostre scelte di vita. Nessuno può servire due padroni. Non potete servire Dio e la ricchezza. Affermazione netta: il denaro e ogni altro bene materiale, sono solo dei mezzi utili per crescere nell’amore e nella amicizia. Sono ottimi servitori ma pessimi padroni. Il denaro non è in sé cattivo, ma può diventare un idolo e gli idoli sono crudeli perché si nutrono di carne umana, aggrediscono le fibre intime dell’umano, mangiano il cuore. Cominci a pensare al denaro, giorno e notte, e questo ti chiude progressivamente in una prigione. Non coltivi più le amicizie, perdi gli amici; li abbandoni o li sfrutti, oppure saranno loro a sfruttare la situazione. La parabola inverte il paradigma economico su cui si basa la società contemporanea: è il mercato che detta legge, l’obiettivo è una crescita infinita, più denaro è bene, meno denaro è male. Se invece legge comune fossero la sobrietà e la solidarietà, la condivisione e la cura del creato, non l’accumulo ma l’amicizia, crescerebbe la vita buona. Altrimenti nessun povero ci sarà che apra le porte della casa del cielo, che apra cioè fessure per il nascere di un mondo nuovo. (a cura di padre Ermes Ronchi)

    Fonte: http://www.qumran2.net