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Artrosi e Osteoporosi riflessioni Dr.Marco Rivieri

Il sistema osteomuscolare umano è strutturato in modo da favorire prioritariamente il movimento. Caratteristiche differenziali della nostra specie sono infatti l’elasticità, la plasticità, la capacità di cercare le soluzioni più varie ed idonee per il proprio benessere e di modellare l’ambiente circostante. Tutto è fondamentalmente connesso al “muoversi”, in maniera personale ed originale.E’ tale dote che ci rende estremamente liberi e potenti malgrado la nostra specie sia tra le più deboli e dipendenti dalle condizioni esterne. Stare fermi è, fin dagli albori della nostra storia, inappropriato alle nostre caratteristiche ed anche nella struttura del nostro scheletro e dei nostri apparati tutto è predisposto per facilitare una risposta rapida. La nostra struttura centrale è rigida e poco mobile solo laddove le nostre ossa devono proteggere organi vitali per la vita o la riproduzione (gabbia toracica e bacino) ma sopra e sotto, attraverso cifosi, lordosi e ammortizzatori vari si svincolano potenziali enormi di azione. In periferia poi l’aumento del numero e della mobilità delle articolazioni rispetto alle altre specie ci garantisce la più raffinata possibilità di svolgere attività fini e di entrare in relazione con gli altri e con il mondo, in un infinita varietà di sfumature meccaniche ed emozionali. Ecco perchè la Catena Statica Posteriore, quella costituita dalle fasce che avvolgono i muscoli posteriori e superficiali della schiena e che ci consente di stare fermi,in piedi, è progettata per lavorare con un dispendio minimo di energia in quanto l’attività muscolare è ridotta al minimo. Ed ecco perché con una minima pressione sull’avampiede iniziamo a dirigerci in avanti. Se non interviene un controllo inibitorio da parte della corteccia cerebrale, che attiva invece una contrazione muscolare, l’organismo è portato a rispondere alle situazioni esterne e ai segnali interni spostandosi, allontanandosi, avvicinandosi con estrema rapidità e coerenza globale. Soprattutto nelle situazioni di conflitto, il corpo recupera innanzitutto degli schemi generali arcaici di movimento (lotta/fuga), per elaborare solo successivamente, in modo razionale, le situazioni e relazionarsi ad esse in maniera più evoluta e consapevole. Purtroppo l’educazione ed i modelli imposti (dagli adulti) pretendono che, durante lo sviluppo emotivo e cognitivo, l’organismo adotti comportamenti “maturi” e complessi senza aver rispettato e compreso la fase istintuale, egocentrica e protettiva delle sue risposte. In questo modo rimangono o si strutturano, anche successivamente, dei conflitti nelle zone muscolari adibite ognuna a ben precisi comportamenti; il risultato è un’aumento, inutile, del tono muscolare. Agonisti e antagonisti si combattono. Il motore si accende ma la macchina non può partire, freno e acceleratore sono premuti assieme. Tutto ciò è ovviamente inconscio, ossia è attuato appunto direttamente dal sistema nervoso e muscolare, dal corpo insomma, senza che l’individuo se ne accorga.

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Quando questa situazione si cronicizza, per il ripetersi delle azioni di controllo, la struttura dei tendini muscolari ( che si attaccano alle ossa per spostarle) si modifica.

La “stupida saggezza corporea” dell’organismo trova una soluzione molto economica da un lato ma autolimitante lo sviluppo dall’altro: mette calcio e rigidità al posto delle fibre elastiche e della contrattilità….e d’altronde, perché continuare a sforzarsi mantenendo teso un elastico se posso trasformarlo in un paletto di cemento armato? A tale processo diamo il nome di Artrosi. Questa si sviluppa inizialmente nelle zone periferiche delle articolazioni, dove si inseriscono appunto tendini, fasce, capsule. Questi sono i quadri radiologicamente descritti come entesopatie, periartriti e vari aspetti della spondiloartrosi. A questa situazione segue un continuo ripetersi di conflitti questa volta all’interno delle articolazioni con fasi irritative ( che si sviluppano immediatamente quando il movimento non può liberarsi o quando viene imposto dalla coercizione della nostra volontà), che si manifestano con dolore e blocco funzionale, alternate a fasi di “riparazione” in cui l’articolazione viene bloccata e inutilizzata, con esiti che vanno sempre più verso la sclerosi dei tessuti. La progressiva riduzione dell’ampiezza dei movimenti “risolve” quelli che un tempo erano conflitti ancora attivi: lo meno o non lo meno?, l’abbraccio o aspetto che lo faccia lui? Me ne esco o continuo a sopportarla? Vado al mio passo o aspetto e mi adeguo?…. Se non posso più aprire le mani, allargare le braccia, scendere le scale o camminare al passo dei miei ritmi, il problema è risolto a monte, nel soma! Al limite mi sentirò sfigato…con tutti questi acciacchi, o mi darò almeno il diritto di lamentarmi ed esonerarmi da qualcosa. Quando si osservano le radiografie di un paziente consapevoli di questa storia e poi lo si guarda in faccia, come sta in piedi e come cammina, ecco che il romanzo delle sue relazioni, del suo carattere e delle vicende che lo riguardano diventano il quadro unico ed irripetibile da cui partire, anche per iniziare una cura. Le medicine possono solo alleviare il dolore e, se usate in modo estremamente originale e consapevole, rallentare la sclerosi, senza poter modificare affatto gli schemi coatti e inibitori. Anche una fisioterapia, lo sport o una “ginnastica” che facilitino solamente un ampliamento meccanico dei movimenti, pur potendo sicuramente alleggerire e distribuire meglio i carichi e prevenire peggioramenti ed anchilosi, non riescono a trasformare le manifestazioni sclerotiche e radiologiche delle energie bloccate. Visti i meccanismi adattativi e di difesa, un recupero funzionale ed un miglioramento istologico saranno possibili solo riportando fluidità ed energia nei movimenti espressivi e quelli legati alla relazione con le situazioni di scelta e quelle emozionali. Tuttalpiù questo potrà essere facilitato con l’uso di rimedi alimentari e integrativi che mirino all’elasticizazione dei tessuti. L’Osteoporosi sembrerebbe svincolarsi maggiormente da un interpretazione così psicosomatica. A prima vista, anche se andiamo oltre quell’interpretazione così superficiale che la fa dipendere da una perdita di calcio dalle ossa (oggi ritenuta legata a fattori ormonali, vedi menopausa, o strettamente degenerativi naturali,ossia all’invecchiamento), questa sembrerebbe del tutto connessa ad una alterazione dei carichi ( dove l’osso non è usato si demineralizza) distribuiti in modo troppo

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diverso a seconda della vita che si conduce, del tipo di lavoro, dei traumi precedenti. L’osteoporosi infatti non è una malattia delle ossa, ma di alcune zone di alcune ossa dello scheletro. Dando calcio, vitamina D ed ormoni “ricalcificanti” noi spesso continuiamo a far mettere calcio dove già se ne deposita troppo ( vedi zone artrosiche) e ben difficilmente dove manca, a meno che non ristimoliamo, appunto, tali zone con l’uso attraverso cambiamenti posturali e un’attività fisica personalizzata. Ma se riflettiamo più a fondo, anche nell’osteoporosi sembrano intervenire fattori più legati ad aspetti “olistici” , psicosomatici, del singolo individuo. Come spiegare la presenza di quei rari novantenni che hanno ossa 40 anni più giovani? O la presenza di “riassorbimenti ossei” in giovani per il resto del tutto sani?. Gli anziani immuni dall’osteoporosi pare siano tutte persone che si sentono ancora valide e capaci sul piano generale; in alcune popolazioni, dove l’anziano ha ancora ruoli sociali e culturali importanti e riconosciuti, la “malattia” sembra non esistere. Perché, quando si ritrovano carcasse di uomini antichi, anche dove non vi sono nella tradizione metodi di imbalsamazione o conservazione particolari, troviamo sempre scheletri di famiglie o personaggi privilegiati, con i loro arnesi vicino e quasi mai di schiavi o gente comune? Ed ancora, perché uno sportivo che viene leso fortemente nelle sue aspettative di gloria, più spesso di altri ha problemi di riparazione in caso di frattura e…non calcifica il callo osseo? Un sentimento di squalifica di se stessi o di alcune funzione rispetto alle nostre aspettative o alla nostra posizione e ai nostri ruoli nei confronti degli altri sembra allora un fattore molto importante. Sarà allora più importante non la vecchiaia o la menopausa ma come le viviamo, così per certi deficit e cambiamenti che incontriamo nella vita, sarà da chiarire come dipendiamo o siamo svincolati dai valori e dagli schemi che ci consegnano o ci tolgono la stima e l’affetto per noi stessi. Ancora una volta, la consapevolezza di tali riflessioni, ci può far avvicinare ad una situazione terapeutica in modo anche solo leggermente diverso dal solito, dal punto di vista tecnico, ma molto più proficuo ed efficace.