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Prospettive di cooperazione: le voci delle università italiane di Irene Marocco A metà settembre, a Padova, le università italiane che si occupano di cooperazione allo sviluppo si sono confrontate sul loro operato e sui rapporti con società civile e imprese. Tra le problematiche emerse, quella della visibilità: le buone pratiche e le numerose iniziative promosse dagli Atenei sono valide ma poco note agli altri professionisti del medesimo settore. Inoltre, lo scarso coordinamento con partners aventi competenze scientifiche e professionali complementari rischia di minare l'efficacia dei progetti di cooperazione implementati. Al termine dei lavori del Congresso di Padova, le Università hanno ribadito la necessità di maggior sinergia tra gli attori coinvolti e di multidisciplinarità progettuale. Nel contesto di crisi finanziaria generalizzata e di azzeramento dei fondi alla cooperazione, si guarda a futuri accordi interuniversitari, nonché con associazioni non-profit e imprese for-profit, per definire strategie d'azione e percorsi di sviluppo condivisi. Il II° Congresso biennale CUCS 1 si è svolto a Padova il 15-16 settembre scorso. I partecipanti -circa un centinaio presenti nell'aula magna di Palazzo Bo- hanno affrontato il tema della “cooperazione universitaria e la sinergia con la società civile e le imprese” in tre momenti consecutivi di 1 Nato nel 2007 dall'iniziativa di alcuni atenei del centro-nord Italia e promosso dalla DGCS-MAE, il Coordinamento Universitario per la Cooperazione allo Sviluppo (CUCS) si fonda sull'idea di una Università che collabori attivamente con le altre istituzioni - del Nord e del Sud del mondo- per lo sviluppo umano, in una prospettive di lungo termine in grado di salvaguardare le culture, le tradizioni e i modelli locali di sviluppo, e di supportare la comunità internazionale verso un cammino sensibile alla pace, alla sostenibilità socio-economico-ambientale e ai diritti umani. Ad oggi, i circa 20 membri del comitato scientifico del CUCS si riuniscono quattro o cinque volte l'anno con l'obiettivo di: 1) predisporre percorsi comuni di educazione, formazione, progettazione e divulgazione scientifica nel settore dello Sviluppo Umano e Sostenibile e della Cooperazione allo Sviluppo; 2) dare impulso alla formazione di nuove generazioni di ricercatori, accademici e professionisti in grado di operare in questi ambiti a livello locale e internazionale; 3) costruire e consolidare Reti di competenze sinergiche (orizzontali o trasversali tra Università, ONG, Organizzazioni internazionali, Non Profit, Imprese; Istituzioni locali e nazionali); 4) promuovere una nuova visione della ricerca scientifica come strumento per lo sviluppo equo, innovando le pratiche della cooperazione per migliorarne l’efficacia. Tra le iniziative promosse dal CUCS si ricorda in particolare la creazione di un database on-line (DABACU, http://www.dabacu.polimi.it ) per censire e divulgare le iniziative delle singole università sul tema della cooperazione allo sviluppo, favorendo i partenariati tra gli attori coinvolti.

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Prospettive di cooperazione: le voci delle università italiane

di Irene Marocco

A metà settembre, a Padova, le università italiane che si occupano di cooperazione allo sviluppo si sono confrontate sul loro operato e sui rapporti con società civile e imprese.

Tra le problematiche emerse, quella della visibilità: le buone pratiche e le numerose iniziative promosse dagli Atenei sono valide ma poco note agli altri professionisti del medesimo settore. Inoltre, lo scarso coordinamento con partners aventi competenze scientifiche e professionali complementari rischia di minare l'efficacia dei progetti di cooperazione implementati.

Al termine dei lavori del Congresso di Padova, le Università hanno ribadito la necessità di maggior sinergia tra gli attori coinvolti e di multidisciplinarità progettuale. Nel contesto di crisi finanziaria generalizzata e di azzeramento dei fondi alla cooperazione, si guarda a futuri accordi interuniversitari, nonché con associazioni non-profit e imprese for-profit, per definire strategie d'azione e percorsi di sviluppo condivisi.

Il II° Congresso biennale CUCS1 si è svolto a Padova il 15-16 settembre scorso. I partecipanti -circa un centinaio presenti nell'aula magna di Palazzo Bo- hanno affrontato il tema della “cooperazione universitaria e la sinergia con la società civile e le imprese” in tre momenti consecutivi di

1 Nato nel 2007 dall'iniziativa di alcuni atenei del centro-nord Italia e promosso dalla DGCS-MAE, il Coordinamento Universitario per la Cooperazione allo Sviluppo (CUCS) si fonda sull'idea di una Università che collabori attivamente con le altre istituzioni - del Nord e del Sud del mondo- per lo sviluppo umano, in una prospettive di lungo termine in grado di salvaguardare le culture, le tradizioni e i modelli locali di sviluppo, e di supportare la comunità internazionale verso un cammino sensibile alla pace, alla sostenibilità socio-economico-ambientale e ai diritti umani.Ad oggi, i circa 20 membri del comitato scientifico del CUCS si riuniscono quattro o cinque volte l'anno con l'obiettivo di: 1) predisporre percorsi comuni di educazione, formazione, progettazione e divulgazione scientifica nel settore dello Sviluppo Umano e Sostenibile e della Cooperazione allo Sviluppo; 2) dare impulso alla formazione di nuove generazioni di ricercatori, accademici e professionisti in grado di operare in questi ambiti a livello locale e internazionale; 3) costruire e consolidare Reti di competenze sinergiche (orizzontali o trasversali tra Università, ONG, Organizzazioni internazionali, Non Profit, Imprese; Istituzioni locali e nazionali); 4) promuovere una nuova visione della ricerca scientifica come strumento per lo sviluppo equo, innovando le pratiche della cooperazione per migliorarne l’efficacia.Tra le iniziative promosse dal CUCS si ricorda in particolare la creazione di un database on-line (DABACU, http://www.dabacu.polimi.it) per censire e divulgare le iniziative delle singole università sul tema della cooperazione allo sviluppo, favorendo i partenariati tra gli attori coinvolti.

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esposizione dei progetti selezionati e di dibattito.Nella prima parte del Congresso sono state illustrate alcune delle più interessanti iniziative portate avanti dagli Atenei, realizzate con il coinvolgimento diretto di studenti italiani e stranieri e delle comunità autoctone. Per ciascuna delle sei sessioni tematiche (diritti umani, economia, salute, attività imprenditoriali, tecnologia e architettura), i moderatori hanno selezionato i tre progetti più significativi tra gli abstracts ricevuti, per farli esporre dai rispettivi autori. Ad esempio, per citare alcuni dei temi affrontati, il gruppo di ricerca dell'Università Cattolica ha presentato un progetto di borse alimentari per garantire l'accesso all'istruzione alle bambine in Afghanistan, mentre Federica Burini -una giovane ricercatrice dell'Università di Bergamo- ha mostrato i risultati dell'applicazione del metodo cartografico SIGAP nell'area periferica del parco transfrontaliero W in Africa Sub-sahariana. Si è poi parlato di architettura d'emergenza in Sri Lanka con Marco Morandotti (Università degli Studi di Pavia), delle criticità nei progetti di supporto ai servizi sanitari dei PVS per la lotta all'HIV con i ricercatori del Dipartimento di psicologia dell'Università di Padova, e dalla messa a coltivazione dei terreni lungo il Rio delle Amazzoni per la sostenibilità alimentare locale e l'export di frutti tropicali con UNIMI e CRA-IIA di Milano. Oltre ai diciotto lavori presentati de visu dai relatori, parte dei lavori pervenuti e non selezionati è stata esposta in una speciale sezione posters.Nella seconda e terza parte del Congresso si sono succeduti interventi diversi, anche con relatori esterni al mondo accademico, per approfondire le relazioni con la società civile e le imprese. Di seguito, si riportano alcune delle principali riflessioni emerse nelle due giornate di confronto.

Fare FORMAZIONELa formazione -intesa come missione all'universalizzazione del sapere- rimane la prima ragion d'essere delle università italiane. Non a caso, il primo progetto di cooperazione promosso dalla rete CUCS (che prevede la collaborazione tra le università che vi aderiscono) riguarda un programma di borse di studio per dottorandi provenienti dai Territori Palestinesi.Le sfide attuali sono quelle di formare talenti capaci di offrire soluzioni innovative e di educare all'approccio cooperativo chi di cooperazione non si occupa direttamente, ad esempio le imprese for-profit che investono parte degli utili nel terzo settore.Da sottolineare l'iniziativa dei tavoli di confronto e discussione organizzati in Piemonte per approfondire criticità e sviluppi della formazione, oltre che della ricerca e dell'azione universitaria. Avviati ad aprile di quest'anno su iniziativa congiunta degli atenei regionali (Università degli Sudi di Torino, Politecnico di Torino, Università del Piemonte Orientale) e del Consorzio delle Ong Piemontesi, i tavoli costituiscono un luogo privilegiato in cui docenti, ricercatori, tecnici, studenti e cooperanti possono concretamente lavorare per il cambiamento. In particolare, ad oggi gli argomenti individuati per la concertazione riguardano i contenuti e le metodologie della didattica, la strutturazione delle collaborazioni tra Atenei e ONG per la realizzazione dei progetti di tesi di laurea all'estero, l'opportunità di una didattica integrata attraverso la realizzazione e l'utilizzo di webinar e collegamenti on-line, la formazione per il personale del nei PVS.

Fare RICERCAModeratori e relatori hanno ribadito che fare ricerca scientifica nella cooperazione allo sviluppo si può e si deve. La ricerca scientifica risponde di fatto a un'esigenza precisa di accumulo della conoscenza su base esperienziale: la collaborazione con le università permette alle ONG di indagare, sperimentare, verificare e validare i risultati ottenuti sul campo, rinnovando la metodologia delle azioni intraprese. Urge che questo aspetto fondamentale venga compreso in primo luogo dai donors, e da questi preteso quale garanzia di una progettazione efficace ed efficiente. Senza la sistematizzazione dei risultati infatti la cooperazione non funziona perché non fa passi in avanti, continua a percorrere errori del passato attraverso metodologie superate. D'altra parte, non è facile gestire l'interrelazione tra domanda e offerta di ricerca universitaria ai fini della cooperazione allo sviluppo: le ONG lavorano a progetto mentre gli studi accademici

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necessitano di tempi più lunghi e flessibili, richiedendo numerosi progetti consecutivi e tematicamente affini su cui lavorare. C'è la necessità di una cooperazione di sistema, ovvero di un rapporto tra atenei e associazioni strutturato -e non strumentale- nel lungo termine, attraverso tavoli di confronto, piani strategici concordati, un maggior coinvolgimento delle ONG nella strutturazione dei corsi accademici.

Contemporaneamente, è necessario che le università attivino reti di collaborazioni interne (intra- e inter-ateneo) per favorire la collaborazione tra discipline diverse e fornire ai progetti la completezza di saperi necessaria. A partire dai posters presentati nel corso delle due giornate del Congresso, si auspica che ingegneri, geografi, medici, architetti, sociologi, educatori, ecc., aderenti al CUCS offrano il proprio contributo personale e dipartimentale a quei progetti settoriali in cui sono state riscontrate delle carenze disciplinari (ad esempio, la necessità di effettuare studi di patologia vegetale per il progetto di commercializzazione di frutta esotica lungo il Rio delle Amazzoni; il reperimento di docenze di ingegneria disponibili per realizzare corsi di I livello in Sierra Leone; una consulenza chirurgico-infermieristica nell'ideazione di un battello fluviale ad uso sanitario in Perù).Certamente positivo il riscontro delle numerose e crescenti collaborazioni di ricerca e realizzazione di progetti tra università del Nord e del Sud del mondo emerse dalle relazioni.

Università e imprese: tra competenze complementari e conoscenze diverse, come coniugare profit e non-profit?Probabilmente la sessione più interessante e ricca di stimoli per la riflessione è stata la terza, rivolta a questo attualissimo argomento. È evidente infatti come università e società civile abbiamo ormai trovato delle linee di pensiero condivise, e la volontà di collaborazione sia ben radicata. Al contrario, il rapporto col mondo del profit è certamente ancora campo aperto di discussione, basti pensare agli interventi al congresso -SYGENTA Crop Protection, Morellato & Sector, Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza-, che hanno suscitato vivaci interventi da parte dell'uditorio. I settori for profit e non profit sono infatti molto distanti per linguaggi, metodi, motivazioni e attività; tuttavia è convinzione del Comitato Scientifico del CUCS che sia importante consolidare anche con le imprese commerciali una linea di cooperazione, in cui ciascuno -restando fedele alla propria mission- operi sulla base di un obiettivo comune di sviluppo globale.Le imprese hanno affermato di potere e voler coniugare gli obiettivi economici (approccio for profit) ai principi di responsabilità sociale (approccio solidaristico), come d'altronde avviene spontaneamente in contesti culturali diversi e all'estero. Ad esempio, nei paesi a cultura islamica questa duplicità d'intenti e attività è prevista molto più che in Italia; emblematiche le joint-ventures tra aziende scandinave manifatturiere e piccole imprese nei PVS, coniugando la necessità delle prime di accedere a nuovi mercati commerciali e il sostegno all'imprenditorialità delle comunità locali.Il valore aggiunto di questa collaborazione riguarderebbe in primo luogo l'appropriazione da parte del mondo non-profit delle logiche dell'imprenditoria, che potrebbe stimolare positivamente il settore del non-profit sotto tre diversi fronti:• della cooperazione: formando i professionisti del settore in Italia e nei PVS• imprenditoriale: portando a meccanismi maggiormente efficaci ed efficienti• accademico: per la formazione alla conoscenza e allo sviluppo autonomo locale.Inoltre, lavorare con modalità sinergiche tra gli obiettivi di business e quelli di sostegno ai PVS garantirebbe nuove fonti di finanziamento per la ricerca universitaria: le agevolazioni fiscali di cui godono attualmente le imprese per i settori di R&S potrebbero essere valorizzate in favore di progetti di cooperazione alla ricerca.La realizzazione di questa linea di cooperazione tra profit e non-profit implica tuttavia una grande trasparenza nei modi e nelle intenzioni, per evitare facili strumentalizzazioni a beneficio economico e di immagine di aziende opportuniste e enti non-profit compiacenti.I pregiudizi da parte del mondo accademico sono molti, le imprese sono viste negativamente e i due

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settori considerati come tendenzialmente separati e antitetici; d'altronde, parte di questa diffidenza è giustificata da esperienze di scarsa coerenza e professionalità nelle iniziative “caritatevoli” finanziate dalle varie fondazioni aziendali e bancarie. Esemplare in questo senso la presentazione dei progetti di cooperazione della Fondazione SYGENTA: l'approccio è meritevole in quanto si è deciso di investire in progetti riguardanti il proprio settore di competenza e conoscenza (agronomia), mettendo a disposizione un sapere specifico; tuttavia, parte dei dati e degli indicatori scientifici utilizzati dai relatori per giustificare il proprio approccio teorico allo sviluppo sono inadeguati se non addirittura errati.Nel successivo momento di dibattito, sono emersi alcuni temi “caldi”: in particolare, la questione dei brevetti, in quanto la privatizzazione del sapere risulta antitetica all'obiettivo accademico di diffusione della conoscenza, e quella degli approcci teorici (sempre in relazione all'intervento della SYGENTA, mentre i rappresentanti accademici presenti -supportati inoltre dalle indicazioni dell'IFAD- sostengono la necessità di lavorare sullo sviluppo rurale prima per ottenere quello agricolo in seguito, i rappresentanti della multinazionale affermano il principio opposto).

Conclusioni e nuovi spunti di riflessioneA due anni dal primo evento CUCS “L’Università e i giovani per la cooperazione e la pace - Formazione, ricerca, innovazione e partenariati per lo sviluppo globale” a Pavia nel giugno 2009, nel settore della Cooperazione allo Sviluppo delle università italiane c'è ancora molta confusione a livello concettuale (ad esempio, nel distinguere l'internazionalizzazione dalla cooperazione) ed è necessario aumentare l'interazione tra discipline diverse. La partecipazione accademica è stata buona ma da segnalare purtroppo la scarsità di studenti partecipanti, in ragione del mancato finanziamento del DGCS-MAE (che avrebbe consentito almeno un parziale rimborso delle spese di viaggio e alloggio) e della pubblicizzazione -probabilmente migliorabile- dell'evento; aumentare il coinvolgimento degli studenti dev'essere certamente un obiettivo prioritario per il CUCS in futuro, per garantire la continuità nel tempo degli sforzi attuati oggi.Sulla base di quanto emerso durante i lavori del Congresso, il Comitato Scientifico del CUCS ha sottolineato come sia proprio la caratteristica di universalità degli atenei a garantire la formazione, proporre la ricerca, creare interazione nei diversi ambiti specifici, fornire consulenza e sostenere concettualmente ONG e imprese.Il bilancio sulla collaborazione con le ONG (che mostra direzioni sempre più biunivoche e interrelate) e con il settore for-profit risulta positivo. Tuttavia nei riguardi di quest'ultimo è necessaria un certa attenzione affinché la responsabilità sociale (ovvero gli investimenti a disposizione del Terzo settore) non sia usata per indirizzare la ricerca, che dev'essere mantenuta libera.Nel corso delle tre sessioni, sono state avanzate proposte di lavoro e riflessione alla rete degli Atenei: • dal portavoce dell'UNESCO Mario Scalet, affinché l'Europa -tramite la ricerca universitaria-

individui il giusto approccio alla cooperazione per il prossimo futuro, e in particolare riesca a identificare un'adeguata risposta all'interesse manifestato dai beneficiari dell'Est Europeo per i centri di tecnologia avanzata, scienza e innovazione

• dalle imprese, perché le università favoriscano il dialogo tra profit e non-profit• dalle ONG, che sottolineano il desiderio di una conoscenza reciproca approfondita, al fine di

decidere insieme su quali pochi ambiti specifici si può collaborare per cercare dei risultati importanti

• dalle stesse Università, perché la riflessione sulle possibili soluzioni parta dai problemi del contesto vicino e locale (ad esempio: come collaborare e costruire insieme valide iniziative se chi lavora con più professionalità ed entusiasmo all'interno delle Università spesso è personale precario non strutturato?).

Vedremo se e a quali di queste gli Atenei sapranno rispondere al prossimo Congresso CUCS, che si terrà a Torino nel 2013.

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