Articolo Repubblica

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3 SETTEMBRE 2016 D 123 Foto di Henrik Sorensen/Getty lavoro M e ne vado», e si sbatte la porta, tra amarez- za e rancore: il copione delle separazio- ni professionali si ripete sempre uguale. Perché, nonostante accurate selezioni, il 75% degli impiegati continua a essere scontento di quello che fa. Come mai? Ci sono voluti 26 anni di lavoro in giro per l’Europa, 300 interviste ad altrettante persone che si sono licenziate e parecchie ri- cerche per permettere a Paolo Gallo, oggi responsabile Risorse umane del World Economic Forum di Ginevra (ieri capo del personale alla Banca Europea e poi della formazione in Banca Mondiale) di trovare una risposta a questa domanda. La soluzione è scritta nel suo libro La Bussola del Successo, ora in libreria (Rizzoli Etas). Gallo ha lavorato in 73 paesi diversi e ha all’attivo più o meno 10mila colloqui. La materia, diciamo, la conosce piuttosto bene. Dunque, come si fa a stare in quel 25% di lavoratori soddisfatti? «Una cosa ovvia, ma a cui la gente non pensa, è che bisogna utilizzare i criteri giusti di scelta. Spesso per valutare un’azienda si utilizza un metro di misura basato su prestigio, stipendio, vicinan- za a casa, benefit... Ma la domanda che bisogna farsi è: “Amo davvero il mio lavoro?”. Perché scegliere un mestiere in base al profitto è un po’ come sposare una persona perché ha un enorme conto in banca. Forse non basta per un buon matrimonio», dice Gallo. Per essere soddisfatti, bisogna però anche trovarsi in ar- monia con il resto della squadra, con quello specifico sistema di regole sociali che è il luogo di lavoro. «C’è un detto inglese che dice “Quando sei a Roma fai come i romani”. Significa che per stare bene è necessario in- tegrarsi con la cultura di un’organizzazione. In molti falliscono perché non riescono ad adattarsi», spiega il manager. Del resto, come si fa a capire qual è il mood di un’azienda prima di entrarci, visto che le regole in que- stione sono implicite e non scritte? Gallo offre 7 indica- tori, molti dei quali sono quesiti da porre al momento della selezione, perché «l’obiettivo di un colloquio non è solo ottenere il lavoro, ma anche capire se quell’azienda fa al caso vostro.Va detto che chi punta a sedurre il selet- tore è destinato a fallire». Dunque, la prima regola è osservare chi sono e come sono stati nominati i manager al vertice della società. Se il capo è una persona di prestigio, credibile, arrivata lì per doti personali, significa che l’azienda è meritocratica. Se invece il posto l’ha conquistato con sotterfugi e racco- mandazioni le dinamiche interne rispecchieranno quel metodo. Secondo, è necessario analizzare i sistemi di re- tribuzione: se gli aumenti sono assegnati in base ai risul- tati si tratta di un’azienda attenta e dinamica. Se vengono distribuiti “a pioggia” in base all’anzianità, allora non si tratta di una realtà aziendale competitiva, frizzante, equa. Bisogna fare attenzione inoltre al processo di selezio- ne. Quanto dura, come sono trattati i candidati, quante domande vengono poste, qual è il livello di chiarezza e disponibilità? Piccoli dettagli - dall’offerta di pagare il La soddisfazione è la chiave per fare carriera. Banale? Non secondo un esperto di HR, che qui suggerisce i modi per raggiungerla di G. Riva OCCUPATI E FELICI LE 7 REGOLE D’ORO

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Me ne vado», e si sbatte la porta, tra amarez-za e rancore: il copione delle separazio-ni professionali si ripete sempre uguale. Perché, nonostante accurate selezioni, il 75% degli impiegati continua a essere

scontento di quello che fa. Come mai? Ci sono voluti 26 anni di lavoro in giro per l’Europa, 300 interviste ad altrettante persone che si sono licenziate e parecchie ri-cerche per permettere a Paolo Gallo, oggi responsabile Risorse umane del World Economic Forum di Ginevra (ieri capo del personale alla Banca Europea e poi della formazione in Banca Mondiale) di trovare una risposta a questa domanda. La soluzione è scritta nel suo libro La Bussola del Successo, ora in libreria (Rizzoli Etas). Gallo ha lavorato in 73 paesi diversi e ha all’attivo più o meno 10mila colloqui. La materia, diciamo, la conosce piuttosto bene. Dunque, come si fa a stare in quel 25% di lavoratori soddisfatti? «Una cosa ovvia, ma a cui la gente non pensa, è che bisogna utilizzare i criteri giusti di scelta. Spesso per valutare un’azienda si utilizza un metro di misura basato su prestigio, stipendio, vicinan-za a casa, benefit... Ma la domanda che bisogna farsi è: “Amo davvero il mio lavoro?”. Perché scegliere un mestiere in base al profitto è un po’ come sposare una persona perché ha un enorme conto in banca. Forse non basta per un buon matrimonio», dice Gallo.Per essere soddisfatti, bisogna però anche trovarsi in ar-monia con il resto della squadra, con quello specifico

sistema di regole sociali che è il luogo di lavoro. «C’è un detto inglese che dice “Quando sei a Roma fai come i romani”. Significa che per stare bene è necessario in-tegrarsi con la cultura di un’organizzazione. In molti falliscono perché non riescono ad adattarsi», spiega il manager. Del resto, come si fa a capire qual è il mood di un’azienda prima di entrarci, visto che le regole in que-stione sono implicite e non scritte? Gallo offre 7 indica-tori, molti dei quali sono quesiti da porre al momento della selezione, perché «l’obiettivo di un colloquio non è solo ottenere il lavoro, ma anche capire se quell’azienda fa al caso vostro. Va detto che chi punta a sedurre il selet-tore è destinato a fallire». Dunque, la prima regola è osservare chi sono e come sono stati nominati i manager al vertice della società. Se il capo è una persona di prestigio, credibile, arrivata lì per doti personali, significa che l’azienda è meritocratica. Se invece il posto l’ha conquistato con sotterfugi e racco-mandazioni le dinamiche interne rispecchieranno quel metodo. Secondo, è necessario analizzare i sistemi di re-tribuzione: se gli aumenti sono assegnati in base ai risul-tati si tratta di un’azienda attenta e dinamica. Se vengono distribuiti “a pioggia” in base all’anzianità, allora non si tratta di una realtà aziendale competitiva, frizzante, equa. Bisogna fare attenzione inoltre al processo di selezio-ne. Quanto dura, come sono trattati i candidati, quante domande vengono poste, qual è il livello di chiarezza e disponibilità? Piccoli dettagli - dall’offerta di pagare il

La soddisfazione è la chiave per fare carriera. Banale? Non secondo un esperto di HR, che qui suggerisce i modi per raggiungerla di G. Riva

OCCUPATIE FELICILE 7 REGOLED’ORO

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trasporto per raggiungere l’azienda per l’intervista, al caffè servito all’arrivo - non vanno trascurati, da quelli si intuisce molto sullo stile di un’impresa.La quarta regola è informarsi sul turnover. Se il livello di sostituzione del personale supera il 20% o è inferiore al 10%, allora significa che nel primo caso molti scappano, nel secondo l’azienda è piuttosto rigida, ingessata, lenta.Meglio chiedere inoltre qual è l’età media dei dipenden-ti, per capire se si tratta di un’azienda giovane o meno. Poi domandare per quanti anni, in media, si trattengo-no le persone in quel posto di lavoro, così da capire qual è l’atteggiamento dei colleghi. Infine, settimo, capire qual è l’aspettativa del manager e dell’organizzazione nei confronti del dipendente. In questo caso è buona prassi cercare costantemente momenti di confronto con il proprio capo, per verificare se gli obiettivi sono comuni, se c’è intesa.Non è tutto. Nella terza parte del libro, Gallo fornisce alcuni parametri utili a ridefinire una carriera di succes-so, che non si basano solo sullo stipendio: «Ci sono vari aspetti da considerare. Il più importante è non smet-tere mai di tenersi aggiornati, di imparare. Un’azienda che spreme i dipendenti e non investe su di loro non li fa crescere e non costruisce un ambiente stimolante», dice Gallo, che fa notare come, dal 2008 a oggi, negli

Stati Uniti, secondo uno studio del World Economic Forum, si-ano stati creati 11,8 milioni di nuovi po-sti di lavoro e il 99% siano stati occupati da persone qualifica-te. A dimostrazione dell’importanza di ap-prendere e continuare ad aggiornarsi. Qua-lità e consapevolezza, questo il binomio fon-damentale per essere felici al lavoro.

41%di chi troverà

lavoro in Italia entro il 2020

avrà una qualifica

elevata (le “high skill”), secondo

un’indagine di Unioncamere

LA MODA DEGLI IBRIDIStilisti che lasciano multinazionali del lusso per mettersi alla prova con un’ etichetta propria, fashion designer che diventano art director ed esperti di merchandising... Il settore moda è giunto a una svolta: il talento da solo non basta e servono competenze ibride. Non sempre e non tutti si sentono pronti a muoversi con disinvoltura, tanto che scuole, brand e aziende stanno immaginando percorsi formativi per non disperdere il valore di chi, da solo, pensa di non farcela. Pitti Immagine ha lanciato una nuova divisione Tutorship per assistere l’evoluzione dei talenti moda. «Le nostre attività servono a costruire una strategia personalizzata, sostenendo i piani di crescita imprenditoriale» , racconta il direttore Riccardo Vannetti. «Vanno dall’affiancamento nel concept delle collezioni alla ricerca di partner produttivi, commerciali e di distribuzione, dall’aiuto nella strutturazione di un portfolio modulabile al supporto legale». Il raggio d’azione è ampio, «e il risultato migliore si avrà quanto più si affinerà una strategia misurata a obiettivi e capacità». Un ruolo di accompagnamento in cui sono impegnate anche le aziende: Max Mara ha avviato una collaborazione proprio con la formazione per irrobustire i creativi. «Quest’anno assieme ad Istituto Marangoni e Woolmark Italia», dice Laura Lusuardi, fashion director Max Mara, «portiamo avanti il progetto Textyle per far acquisire consapevolezza dell’importanza che hanno la conoscenza della materia prima per realizzare collezioni di successo in termini di business». Anche Polimoda di Firenze ha rimodulato la sua didattica in «contenitori tematici, che dal Fashion Business all’Art Direction e Design Management, riescano a formare la figura ibrida del designer imprenditore, un maker che riesca a lanciare la propria azienda partendo da un prodotto». Senza dimenticare il supporto ai giovani che investono nel digitale. Per implementare progetti che portano innovazione, l’edizione autunnale di Decoded Fashion Milan (milan.decodedfashion.com) ha presentato la quarta edizione di The Fashion Pitch (partner Gruppo Miroglio) a cui si potrà aderire fino al 10 ottobre con soluzioni che dovranno riguardare una fase della supply chain: dalla progettazione (ricerca, stile, sviluppo taglie, modellistica) alla messa in produzione e alla commercializzazione del prodotto. L. Antonini