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1/5/2014 Notizie di libri e cultura del Corriere della Sera

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DALLA CINA ALLE LETTERE ALLA MOGLIE, FINO ALLA MALATTIA FATALE

«Angelina, sei tu a tenereil fuoco di tutti acceso»La guerra nell’ultima nota: «Mi vergogno di essere così impotente dinanzi a un tale orrore.

Forse ha ragione Vivek: questa civiltà merita di essere salvata?»

Tiziano Terzani

1° ottobre 1981, Pechino.

Festa per l’anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese. A vedere il

circo. Tutti i migliori ginnasti, i migliori cani, il migliore orso-uomo cinese che gioca al

pallone, che spinge la carrozzella. Eppure tutto è senza fascino: la perfezione fascista

dei ginnasti, le luci da varietà... La gente va e viene. È qui perché le unità hanno dato i

biglietti, ma non si interessa, non applaude, non gode.

La vita cinese ha perso, se mai l’ha avuta, la gioia.

Si esce nella notte, dovrebbe essere festa ma le lucine sui palazzi sono già spente, per

risparmiare. Da anni, per risparmiare, non vengono fatti fuochi di artificio. Alcuni

pedalano faticosamente nella sera, nel silenzio grigio della piazza Tienanmen.

La Cina è senza ispirazione.

Ci avviamo sempre più verso una forma di fascismo senza ideologia, se non quella

della disciplina, dell’ordine, della forza, della delazione, del sospetto. Mai una punta di

ironia, mai una follia dell’intelligenza.

***

7 luglio 1985, Tokyo.

(...) Per la prima volta, qui in Giappone, proprio qui, sento una grande nostalgia,

bruciante, per la grandezza della Cina.

Osservo la gente. Un vecchietto, in uniforme e manganello rosso di plastica con la luce

dentro, dirige i passanti ad attraversare la strada. Pagato da chi? Le donnine del

ristorante di tofu sorridono, si inchinano, sorridono di nuovo e dicono mille inutili

sciocchezze. Il vero segreto di questo Paese è che la gente adora lavorare, che non ha

altro da fare, non sogna altro, non gode d’altro e con questo davvero mi paiono i più

infelici della terra, anche se magari loro questo non lo sanno.

Imparare dal Giappone? Nemmeno a pensarci. Anzi dobbiamo conoscerlo bene per

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non averci niente da imparare, per averlo da temere. Educhiamo i nostri figli alla

fantasia, alla libertà e fregheremo i giapponesi, ma soprattutto faremo delle

generazioni di felici.

***

1° agosto 1993, sul treno da Nanjing a Xian (Cina).

Ore dieci del mattino, il treno si ferma a Changsha, il luogo dove è nato Mao. Penso al

passato eroicizzante. E ora?

Una stazione moderna, piena di gente sudata, carica di pacchi, valigie, sporca, mal

messa. Strana la libertà. Ora che i cinesi si muovono senza le unità di lavoro, ora che

hanno più soldi, i problemi crescono con la immensa massa che si muove.

In verità, più lo guardo, più questo popolo fa paura con le sue potenzialità di violenza,

rabbia e desiderio di vendetta. L’impressione che ho oggi è che la Cina vada verso

una crescente crisi. Crisi di anarchia in cui chi ha i soldi avrà più potere e licenza,

mentre i disgraziati non saranno più protetti da nulla.

***

12 agosto 1993, in treno a Novosibirsk (Siberia, Russia).

(...) Mi addormento con questa immagine del popolo russo. Una nazione inquieta, in

corsa, insoddisfatta, irata, ma per il momento ancora timida, ancora intimorita dai

manganelli di due poliziotti con un berretto a padella con striscia rossa. E domani?

Non può della gente così restare a lungo repressa, insoddisfatta, docile dinanzi alla

miseria, al sopruso.

E dei cinesi cosa dire, così anche loro in corsa, così vincenti? Così tronfi di sé, ancor

più vedendo questi miseri russi dipendere dalla loro industria per coprirsi le carni

bianche, pompate di grasso e di pane poco sano?

Due grandi popoli ora al centro di grande instabilità. L’Europa ha da preoccuparsi, da

ripensare.

Quanti si rendono conto?

Quanti politici viaggiano su questi treni, vedono queste scene? Debbo riuscire a

spiegare questo fenomeno.

***

1° novembre 1997, mezzogiorno, New York.

(...) Ancora una giornata dura, ma - credimi - pacifica. Comincio a capire come

debbono soffrire gli altri, quelli a cui la chemio arriva nel profondo e non trovano la pace

che io ho la fortuna di vedermi sempre davanti. Chi sa perché? (...) Sono andato nel

profondo del bosco selvaggio, poi è venuta una pioggia a dirotto, poi al ritorno non

riuscivo ad attraversare la strada del parco: era invasa da migliaia e migliaia di

maratoneti che domani parteciperanno alla grande gara che finisce proprio qui, nel mio

parco, passando davanti a casa.

Era strano vedere tutta quella bella, tantissima gente, sana, forte, che correva, sudava

sotto la pioggia con le bandiere di tutto il mondo. Non avevo nostalgia: mi veniva in

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mente l’immagine di me che correvo davanti al ritratto di Mao sulla piazza Tienanmen e

vedevo un vecchio cinese col cancro che da qualche parte allora mi guardava,

pensando quel che penso io ora e a cui veniva in mente un’immagine di sé. Il mondo

continua e gli uomini tutto sommato mi danno speranza.

***

3 aprile 1999, Gurukulam.

Ad Angela. Ore quattro del mattino, mi sveglio in mezzo a sogni senza drammi di posti

lontani, di storie come di un’altra vita e mi ritrovo in questo strano posto, con le zanzare

che mi ronzano negli orecchi e mi costringo a non ucciderle, con la brezza fresca, quasi

fredda della notte che soffia fra le due finestre.

Il mio primo pensiero è a te, Angelina, a scriverti, a tendere questa mano verso una

lontananza dove so che tu sei e che se non ti sapessi esistere mi lascerebbe senza

vita. Sono qui solo perché so che, non da qualche parte del mondo, ma lì in quella

casa, a tenere acceso il fuoco di tutti ci sei tu.

Seduto sotto delle giovani palme che frusciano rumorose come avessero fronde di

metallo, ripenso al nostro rapporto di giovani. La nostra, fin dall’inizio, è stata - vista da

ora - una comunione di vita, un istintivo accordo su come guardare al mondo e sul dove

andare; un istintivo riconoscersi. Il desiderio fisico non era mai quello che si consuma

nell’umidità sudorosa di due corpi; almeno a me pareva che il «dopo» fosse sempre

l’inizio di quella serena unità alla quale ho sempre tenuto più che a ogni altra cosa.

Certo non avessimo mai avuto rapporti fisici, quell’unità non sarebbe nata e persino

ora soffrirebbe, ma non è sicuramente un caso che col passare del tempo l’ossessione

della carne recede per lasciar posto a questa molto più profonda, languida, penetrante

nostalgia dell’essere.

***

9 aprile 2003, Binsar.

Compleanno di Angela. Un altro da passare separati.

Cerco di scrivere, ma non riesco. La guerra mi angoscia, non mi fa dormire,

concentrare, stare distaccato. Sento la radio notte e giorno e mi chiedo cosa posso

fare, andare in Europa? Scrivere una lettera aperta al Corriere in cui invito ognuno a

fare qualcosa (io a non andare mai più negli Usa a curarmi il cancro)? Andare a Delhi

a seguire le cose alla tv e aspettare Angela?

Mi vergogno di essere così impotente dinanzi a un tale orrore.

Forse ha davvero ragione Vivek con la sua assurda domanda: «Dimmi, questa civiltà

merita di essere salvata?»

Mando Govind ad Almora con un fax per fare ad Angela gli auguri e cerco di finire un

capitolo.

© 2014 LONGANESI & C.

1 maggio 2014 | 09:07

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