ARTEMISIA EXTRA 2011/2012 - le ricerche del Centro Studi Italus

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ARTEMISIA EXTRA - Anno I - 2011-2012 EXTRA Le ricerche del Centro Studi Italus - 2011 / 2012

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Artemisia Extra 2011/2012, racchiude tutte le ricerche del Centro Studi. Una pubblicazione fatta per il primo anno editoriale di Artemisia.

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IN QUESTO NUMERO...

Anno I2011-2012Artemisia EXTRA

Tommaso DoreDirettore di Artemisia

Siamo giunti ad un anno dalla fondazione dell’Associazione Italus e dalla pub-blicazione del bimestrale on-line “Artemisia”, oltre che dall’inizo delle attività degli organi di Italus quali il Centro Studi e, in un secondo momento, di Italus Edizioni. Per ricordare il primo anniversario ecco “Artemisia Extra”!“Artemisia Extra” è una raccolta annuale delle ricerche svolte dall’Associazione

Italus tramite il suo Centro Studi.Le ricerche sono, state svolte da settembre 2011 a settembre 2012 e sono state

tutte pubblicate sul bimestrale dell’Associazione Italus “Artemisia”.Alcuni articoli/ricerche del Centro Studi, sono stati ripubblicati anche su riviste,

quali Fenix e Airone; da essi sono stati tratti articoli apparsi su quotidiani, come il Giornale dell’Umbria o Il Messaggero, oltre che su diversi siti internet.L’obiettivo principale delle ricerche del Centro Studi è quello di attirare l’atten-

zione e stimolare la curiosità del lettore, sperando che esso vada poi ad appro-fondire ulteriormente gli argomenti trattati dal Centro, perchè solo la conoscenza rende liberi. Iniziamo questo numero speciale con la sezione “Attualità”, riguardante appro-

fondimenti su tematiche di attualità quali la crisi economica o il cambiamento clima-tico. Proseguiamo poi con le due sezioni “Storia e Archeologia” e “Mitologia e Folklore”, composte da ricerche e approfondimenti su siti archeologici, avvenimen-ti storici, miti e tradizioni popolari; segue poi la sezione “Religioni e Ricorrenze”, un’occasione per conoscere le varie religioni e le relative festività; infine, conclu-dono il numero le rubriche “Uomini e Testimoniante” e “Underground”, la prima tratta brevi autobiografie di personaggi che hanno lasciato un segno nell’umanità, la seconda è un contenitore fatto di reportage e ricerche riguardanti vari argomenti e pratiche, quali la cristalloterapia o la legge d’attrazione, finalizzato cioè a far chia-rezza su tematiche a volte poco chiare o controverse. Che dire, un’altra nostra sfida, sperando che abbia lo stesso successo delle altre

iniziative dell’Associazione Italus.

Vi auguro una buona lettura!

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COS’E’ ITALUS ----------------pag. 3

ATTUALITA’ -------------------pag. 12Come fare la raccolta differenziata ---

------------------------------------pag.12È l’uomo la causa del cambiamento cli-

matico? -------------------------pag.14La crisi economica del 2008 --pag.15L’isola di plastica ---------------pag.17La soia e il suo lato oscuro ----pag.18

STORIA E ARCHEOLOGIA -----pag.22Il Paradiso sul mare di Anzio: casino’ o

tempio massonico? --------------pag.22La shoah -----------------------pag.24La persecuzione pagana ------pag.28I giochi olimpici ---------------pag.32Riscoperta sui Monti Martani la dimen-

ticata “stonehenge” dell’Umbria? ------------------------------------------pag.34

Se la prima Europa fu celtica, la prima Italia fu umbra? gli umbri erano celti? ------------------------------------pag.36

Sulle tracce di Priapo… --------pag.40Umbria pagana, la montagna sacra di

Torre Maggiore -------------------pag.42

MITOLOGIA & FOLKLORE -----pag.46Halloween ----------------------pag.46La Strega ----------------------pag.47L’Albero di Natale --------------pag.48La Befana ----------------------pag.49Il Carnevale --------------------pag.50Le Uova di Pasqua e l’Uovo Cosmico --

------------------------------------pag.53La Dea Madre ------------------pag.55La notte di San Giovanni ------pag.56Ferragosto ---------------------pag.57

SOMMARIO RELIGIONI E RICORRENZE --pag.58Il Neopaganesimo -------------pag.58Il Natale ------------------------pag.61L’Epifania -----------------------pag.62La Quaresima ------------------pag.64La Pasqua ----------------------pag.65Feste e Rituali Primaverili -----pag.66Ramadan -----------------------pag.68 UOMINI & TESTIMONIANZE -pag.69Anna Göldi ---------------------pag.69Charles Godfrey Leland -------pag.70Gerald Brosseau Gardner -----pag.72Gesù di Nazaret ---------------pag.73Ipazia --------------------------pag.75Maometto ----------------------pag.78Mohandas Karamchand Gandhi -------

------------------------------------pag.81

UNDERGROUND ---------------pag.82La Cristalloterapia -------------pag.82La Legge d’Attrazione: il Pensiero Po-

sitivo -----------------------------pag.83

PUBBLICAZIONI DEL CENTRO STUDI ------------------------------------pag.84

Artemisia è una rivista interattiva e ci tiene ad esserlo, noi non pontifichiamo ma comunichiamo, per cui ognuno di voi si senta libero di scriverci.

Saremo lieti, per quanto possibile, di esaudire le vostre richieste e pubblicare i vostri lavori.

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COS’E’ ITALUS?

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COS’E’ L’ASSOCIAZIONE ITALUS ?ITALUS è un’Associazione Culturale Neopagana, a carattere nazionale, sen-

za scopo di lucro, apolitica, fondata sul volontariato, che opera nel campo della spi-ritualità, della cultura, dell’ambiente e della solidarietà e che, tramite attività rivolte ai soci e alla collettività, intende favorire la crescita culturale, etica e spirituale degli individui.

ITALUS è stata istituita e regolarmente registrata a Roma come associazione il 21 giugno 2011. E’ stata promossa da alcuni membri del gruppo spiritule il Qua-drifoglio, costituito fin dal 2008 e aderente al movimento Neopagano della Wica Italica (www.wicaitalica.blogspot.com ).

ITALUS s’ispira all’etica spirituale della Wica Italica ma è indipendente da essa, come è indipendente dal gruppo spirituale del Quadrifoglio.Italus è aperta a tutti i movimenti spirituali neopagani senza eccezione alcuna (www.

neopaganesimo.blogspot.com ).

ITALUS s’ispira a ciò che succede oltre le Alpi, e cioè alla cooperazione delle associazioni e movimenti neopagani, quindi se affini ai propri obbiettivi si è aperti e disponibili a collaborazioni con altre organizzazioni, associazioni o enti.Si tiene a specificare che ITALUS non si pone assolutamente in rivalità o in

concorrenza con organizzazioni similari.

ITALUS persegue i seguenti scopi:• diffonderevalorieticiuniversalidifratellanzaesolidarietàfraipopoli;• sintetizzarearmonicamenteidiversiaspettidelleculturedelmondo;• diffonderel’ideadiunosvilupposociale,economicoetecnologicoinarmonia

con la natura;• perseguireunavisioneegualitariadellasocietà,anchesupportandoepropo-

nendo progetti d’interesse sociale a sostegno dei meno privilegiati;• difendereesostenereglianimaliegliesseriumani;• contribuireallatuteladellanaturaedelpatrimonioartistico-culturale;• contribuireaduna“elevazionedellecoscienze”partendodaunapprocciopri-

vilegiato con la natura, considerata come luogo ideale della dimensione umana;• ricercarelacrescitainterioreespiritualemedianteilricorsoallameditazionee

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ad altre pratiche;• studiarelescienzenaturalicomesupportoallamedicinaoccidentale;• studiare,praticareetutelarelaspiritualitàcomuneWiccaeingeneraleneo-

pagana, anche collaborando allo sviluppo di nuovi gruppi;• ripristinarel’originariadestinazioned’usodiantichiluoghioedificidicultopa-

gano, preservandone l’integrità e valorizzandone l’importanza storico-artistica;• studiareericercarequellepratiche,tradizioniecultiesoterici,paganiescia-

manici propri del territorio italiano (e in generale europeo) anche con apposite pubblicazioni;• ricercarela“purezza”dellapraticaedellaspiritualitàtogliendoilvelodelcon-

sumismo e della mercificazione.

L’Associazione si fonda dunque su un messaggio che non reca nuovi principi ri-spetto ai grandi insegnamenti del passato, ma tenta nuovi metodi di diffusione e un linguaggio chiaro e diretto, che possa agevolmente raggiungere la comprensione di chiunque voglia affrontare le problematiche relative alla crescita interiore.Gli associati hanno l’opportunità di recare un proprio contributo per quanto ri-

guarda il sociale e l’ambiente e di confrontarsi su tematiche d’interesse spirituale, in un’ottica di miglioramento personale anche sul piano umano.

ITALUS nasce anche con lo scopo di riportare alla luce l’antico credo pagano e reinterpretarlo attraverso la lente della realtà odierna, ma non è da considerarsi un’organizzazione prettamente religiosa: ciascun membro è libero di perseguire il proprio personale impegno religioso dal momento che, per l’associazione, scopo primario non è l’affermazione del Neopaganesimo in quanto culto “migliore”, ma la diffusione degli ideali e dei principi etici di solidarietà e fratellanza che essa profes-sa.L’Associazione Italus non effettua in alcun modo opera di proselitismo, intesa a

mostrare la Wica Italica, la Wicca o altri movimenti Neopagani come vere e uniche vie spirituali ma come alcuni dei tanti e validi percorsi, promuovendo lo scambio e il dialogo tra i diversi culti, religioni o spiritualità.L’Associazione non rifiuta la scienza e non rinnega la civiltà, ma crede che la scien-

za stessa debba offrire delle nuove risposte e insegnarci il rispetto per la comples-sità del mondo che ci circonda.I membri di ITALUS dovrebbero adottare la concezione di uno scambio aperto

e costruttivo con il prossimo, consci che ogni essere vivente ha un proprio percorso e una propria saggezza che consideriamo sacro condividere con gli altri, e scegliere di agire “in armonia” verso l’Universo che ci circonda.

I principali mezzi d’azione dell’Associazione consistono nell’organizzazione di eventi quali: incontri, seminari, conferenze, visite guidate; attività di meditazione (tramite danza, musica, canto, ecc.); attività artistiche (pittura, scultura, fotografia,

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ecc.); pubblicazioni di libri (in proprio attraverso Italus Edizioni www.italusedizioni.blogspot.com). Le attività sono rivolte agli associati e ai non iscritti.

L’impegno nel sociale dell’Associazione si esprime anche attraverso azioni di so-stegno e collaborazioni con associazioni animaliste, ambientaliste e umanitarie, con enti preposti alla tutela e alla divulgazione del patrimonio artistico e culturale.Ci si prefigge infatti di diffondere una nuova sensibilità nel pensare e nell’agire,

nel rispetto totale del mondo in cui viviamo e di tutti gli esseri viventi che lo popola-no.

L’Associazione fornisce gratuitamente ai suoi associati (e non solo) ARTEMI-SIA, una rivista on-line, organo d’informazione e comunicazione dell’associazione, alla quale gli stessi potranno fornire i propri contributi.Al suo interno, l’Associazione ha attivo il CENTRO STUDI ITALUS

(C.S.I.) che riunisce tutte le persone (professionisti e appassionati) interessate ad approfondire tematiche riconducibili agli scopi perseguiti dall’Associazione.L’Associazione fornisce un servizio di editoria tramite ITALUS EDIZIONI

(www.italusedizioni.blogspot.it ), un modo vantaggioso dove chiunque, anche il non iscritto, può vedere stampata l propria opera.In futuro speriamo di poter attivare il G.V.A.I. (Gruppo di Volontariato dell’As-

sociazione Italus), un gruppo di volontariato, da attivare in momenti di emergenza ambientale o umanitaria.

E’ nostro ardente desiderio che gli intenti dell’Associazione Italus e i suoi risultati non restino parole, ma siano le basi per imparare nel concreto a migliorarci e vivere in armonia con noi stessi, gli altri e tutto ciò che ci circonda.

Tenteremo di dimostrare che anche con piccoli gesti si può migliorare il mondo.L’Associazione Italus è alla ricerca di persone o gruppi come referenti, responsabili, seri, ma-

turi, che abbiano voglia di creare, per poter estendere le proprie iniziative anche in altre regioni d’Italia.

L’ISCRIZIONE all’Associazione richiede una quota di € 20,00 per i Soci Fondatori e Sostenitori, mentre per i Soci Ordinari la quota è di € 10,00. L’iscrizione va rinnovata annual-mente e garantisce dei pass gratuiti in occasione di eventi organizzati dall’Associazione.

Le donazioni o iscrizioni all’associazione e i suoi organi possono essere effettuati tramite PayPall ([email protected])

PER MAGGIORI INFORMAZIONI VISITARE IL SITO INTERNET: www.italus.infoOPPURE SCRIVERE ALLA SEGUENTE

MAIL: [email protected] Ricordiamo che Italus è presente sul social network Face-

book.

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COS’E’ IL CENTRO STUDI ?Il Centro Studi dell’Associazione Italus riunisce

tutte le persone interessate, professionisti e semplici appassionati, che hanno un serio interesse per:• lostudiodeidiversiaspettidelleculturedelmon-

do;• latuteladell’ambienteedelpatrimonioculturale

italiano (paesaggio e beni culturali);• lo studio, la pratica e la tutela della spiritualità

comune wicca e in generale neopagana;• lo studio delle scienze naturali come supporto

alla medicina occidentale;• unosvilupposociale,economicoetecnologicoinarmoniaconlanatura;• l’organizzazionediprogettid’interessesociale.

Il Centro Studi persegue i seguenti obiettivi:• pubblicareirisultatidellericerchepromossedall’AssociazioneItalussullarivi-

sta on-line di “Artemisia” o realizzando eventuali monografie a stampa;• promuovereepartecipareaincontri,seminari,conferenzeeconvegnirelativi

agli scopi dell’Associazione;• collaborareconentipubblicieprivaticheperseguanoscopianaloghiaquelli

dell’Associazione.

Il Centro Studi Italus non è a scopo di lucro e le risorse per lo svolgimento delle proprie attività sono costituite dalle quote dei soci e da eventuali contributi di pri-vati o enti pubblici.Il Centro Studi vuole essere un luogo dove poter evolversi culturalmente, ripor-

tando l’uomo a confrontarsi realmente con l’altro, facendone tesoro per evolversi anche umanamente.

Può collaborare con il Centro Studi Italus chiunque condivida i principi e gli scopi dell’Associazione Italus.Il Centro Studi Italus è regolamentato dallo Statuto dell’Associazione.

PER MAGGIORI INFORMAZIONI VISITARE IL BLOG: www.italuscentrostudi.blogspot.com OPPURE SCRIVERE ALLA SEGUENTE E-MAIL: [email protected]

Ricordiamo che il Centro Studi è presente anche sul social network Facebook.

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COS’E’ ARTEMISIA ?Artemisia è una rivista stretta-

mente legata alla vita dell’As-sociazione Italus è una pubbli-cazione on-line e dunque non cartacea.La scelta di creare una pub-

blicazione nasce dall’approccio dinamico che abbiamo adottato nei confronti del mondo e della realtà Wicca e Neopagana in un’ottica in cui l’Associazione, pur avendo dei punti fermi ed inviolabili di partenza, si pone in dialogo con sé stessa e con ogni eventuale soggetto interessato ad apportare il suo contributo e partecipare ad una crescita comune; molteplici sono i percorsi che è possibile affrontare nel corso della propria esistenza e in seno ad un movimento ricco e poliedrico quale è la Wicca si impara ad “osservare” fino a giungere, come nella Wica Italica, ad “una personale e positiva celebrazione della vita”.

E’ stato adottato il nome di “Artemisia”, che era la pianta sacra ad Artemide conosciuta anche come Diana, ispirandoci proprio a Diana, Dea sempre giovane, l’unica che decise di regnare sulla terra e non nell’Olimpo, libera e indipendente. Così noi vogliamo che la rivista sia un mix di notizie sia di carattere sociale che cul-turale, sia scientifico che d’informazione riguardante il panorama neopagano e non solo, libera e indipendente al passo con i tempi.Artemisia, come organo di espressione dell’Associazione, si propone quindi come

novità assoluta tra le pubblicazioni di associazioni del panorama neopagano.Come il pensatore, lo scienziato, ricerchiamo per quanto è possibile la verità, la

purezza, e cerchiamo di farla conoscere.Cerchiamo dunque di presentare un’opera che aspiri, per quanto umilmente, a

toccare le sfere del sociale, della comunicazione, dell’informazione, dando giusti-ficazione di sé in ogni sua riga. La stessa spiritualità può essere definita come un tentativo di mettere in luce la verità, multiforme eppure una, che nasconde ogni suo aspetto.Il nostro tentativo è di scoprire nelle sue forme, nei suoi colori, nella sua luce, nelle

sue ombre, negli aspetti della materia e nelle vicende della vita, ciò che è fondamen-tale, ciò che è durevole ed essenziale.

Colpiti da tutti gli aspetti del mondo, sprofondiamo dunque nelle idee, nei fatti, i quali, una volta che da essi si è emersi, mettono in luce qualità del nostro essere che meglio s’adattano a quell’azzardata impresa che è il nostro sistema sociale.Consapevoli dell’umano senso comune, dell’umana intelligenza, del nostro comune

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desiderio di pace, ci proponiamo di scrivere una rivista che stabilisca un dialogo con gli associati, informandoli e comunicandoli delle iniziative dell’Associazione e dei suoi risultati.Questa rivista è per noi uno spazio di conoscenza, informazione, svago e diffusio-

ne del modus vivendi neopagano e non solo.La nostra speranza è quella di creare un’opera che possa regalare al lettore piccoli

momenti di benessere per il corpo e per lo spirito, una rivista che appunto “coccoli” l’individuo nella sua totalità, prendendosi cura del suo desiderio di conoscenza ma anche della sua quotidianità.Uno spazio di equilibrio fisico e spirituale nella freneticità della vita di tutti i gior-

ni.Vogliamo comunicare, informare e trasmettere, in maniera rispettosa e non invasi-

va.Nel nostro piccolo cercheremo anche di far chiarezza sul panorama neopagano/

esoterico/alternativo, denunciando le speculazioni commerciali e i ciarlatani che speculano su ipotetici e spesso vani poteri: cercheremo di rendere più chiare le idee nella conoscenza e comprensione di questa realtà e non solo.

La rivista Artemisia è una pubblicazione on-line e quindi non cartacea, sarà invia-ta gratuitamente in formato Pdf tramite indirizzo di posta elettronica ai tesserati dell’Associazione, ma sarà disponibile gratuitamente anche ai non iscritti dell’As-sociazione, infatti è possibile scaricarla in formato pdf attraverso il sito internet dell’Associaizone: www.italus.info .

PER MAGGIORI INFORMAZIONI SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: [email protected] OPPURE A: [email protected]

Ricordiamo ch Artemisia è presente anche sul social network Facebook.

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COS’E’ ITALUS EDIZIONI ?L’Associazione Italus non crea solo

eventi, ma offre anche servizi innovativi tra cui “Italus Edizioni”.

Come previsto dalle leggi dello Stato Italiano le Associazioni possono trarre risorse economiche per il loro sostenta-mento dalle entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali.

Per Statuto, tra i principali campi d’azione dell’Associazione Italus vi è la pubblicazioni di libri (in proprio o avvalendosi della collaborazione di case editrici).ITALUS EDIZIONI non è quindi un’impresa editoriale ma costituisce solo

uno dei settori in cui l’Associazione può svolgere la sua azione, finalizzata in que-sto caso alla diffusione culturale, fornendo a chi voglia avere la possibilità di veder stampati i propri libri in modo economico. Italus Edizioni come maggior mezzo di diffusione utilizza Internet, in particolare

Facebook ed E-bay.

Crediamo fortemente nella libertà di espressione e consapevoli che molti hanno il desiderio di vedere pubblicate, o semplicemente editate in forma di libro, le proprie opere, come Associazione vogliamo offrire a chiunque ne abbia voglia la possibilità di realizzare il proprio sogno e di poter divulgare il proprio pensiero.

Pubblichiamo libri, realizzati in vari formati, spaziando in ambiti disparati: saggistica e varia (storia, arte, fotografia, religione, filosofia, ecc.), narrativa, poesia, ecc.Non facciamo censura, ma non pubblichiamo libri a carattere diffamatorio o di

stampo propagandistico.

Italus Edizioni si distingue da altre case editrici per delle sue caratteristiche, quali:Il “Copyright” rimane in capo all’autore e non passa all’Associazione.Stampiamo per ogni titolo un minimo di 25 copie, dandone pubblicità tramite in-

ternet garantendo in tal modo un’efficace diffusione. Sarà l’autore a decidere quante copie realizzare e le eventuali ristampe.L’Associazione Italus stipula un contratto con ogni autore, atto a tutelare sia

l’autore che l’Associazione.Il ricavato delle vendite per il 60% sarà destinato a finanziare l’operato dell’Asso-

ciazione Italus, per il 40% sarà destinato all’autore del libro come giusto compenso

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per la sua opera creativa.

Italus Edizioni offre inoltre all’autore la possibilità di veder pubblicato successi-vamente il proprio testo da parte di case editrici eventualmente interessate (distri-buzione commerciale e codice ISBN). Sarà premura dell’Associazione mettere in contatto l’eventuale casa editrice con l’autore; in questo caso l’Associazione annullerà il contratto stipulato senza richiedere alcun diritto od onere.

PER MAGGIORI INFORMAZIONI VISITARE IL BLOG: www.italusedizioni.blogspot.it OPPURE SCRIVERE ALLA SEGUENTE E-MAIL:[email protected]

Ricordiamo che Italus Edizioni è presente anche sul social network Facebook.

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Qui di seguito riportiamo gli indirizzi di posta elettronica dell’Associazione Italus, strumenti di contatto tra l’Associazione e

il pubblico tesserato e non.

Sito internet dell’Associazione Italus:www.italus.info

http://italus.info

E-mail per informazioni generiche sull’[email protected]

E-mail del Presidente dell’[email protected]

E-mail del Consiglio Direttivo dell’Associazione

[email protected]

E-mail della rivista on-line Artemisia, per

collaborare e inviare articoli, immagini, ecc. o opere (grafiche o fotografiche) per

la rubrica “Creatività”, o foto per la sezione “Percorsi Naturali”

[email protected]

E-mail per pubblicare vostre recensioni o segnalazioni nella rubrica di Artemisia

“Recensioni & Post-it”[email protected]

E-mail per comunicare con la rubrica di Artemisia “Oltre la soglia” di Astrosibilla (per richiedere o suggerire argomenti da

approfondire)[email protected]

E-mail per comunicare con la rivista o inoltrare suggerimenti

[email protected]

E-mail per comunicazioni destinate al progetto “Segnala ad Italus”[email protected]

E-mail per il Centro Studi [email protected]

E-mail per Italus [email protected]

CONTATTI

Questa rivista non rappresenta un pro-dotto editoriale, ai sensi della legge

n. 62/2001, essendo strumento informa-tivo interno all’Associazione Italus.Il copyright degli articoli appartiene

ai rispettivi autori.

*** *** ***ARTEMISIA EXTRA

ANNO I° 2011/2012*** *** ***

*** *** ***

PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE ITALUS

E DEL CENTRO STUDI:Leron

DIRETTORE ARTEMISIA:Tommaso Dore

GRAFICO E IMPAGINATORE:Fracesco Voce

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I RIFIUTI VANNO SUDDIVISI IN:Organico (potature, scarti di cuci-

na, fiori secchi ecc.);Carta e cartone;Vetro, lattine, plastica, tetrapak.Rifiuti indifferenziabili come gli in-

dumenti e tessuti;Ingombranti;Medicinali scaduti;Bombole di gas esaurite;Pile;Olio alimentare esausto;Cartucce per stampanti e fotoco-

piatrici;Batterie per auto e moto;Amianto;Materiali ferrosi, oli e grassi usati,

apparecchi elettrici ed elettronici.

ORGANICONei cassonetti marroni (coperchio

marrone) si mettono:i rifiuti alimentari, gli scarti di cuci-

na, i residui delle potature, i fiori sec-chi e le piante.

I rifiuti vanno immessi sempre chiu-si in sacchetti, ad eccezione delle potature.

Chi ha un giardino o un orto a di-sposizione può riciclare direttamente tutto questo nel proprio compostato-re. Per quantità superiori alla norma potete anche utilizzare le apposite stazioni ecologiche.

ATTUALITA’

COME FARE LA RACCOLTA DIFFERENZIATA

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CARTA E CARTONENei cassonetti gialli (coperchio gial-

lo) si mettono:i giornali e le vecchie riviste, la car-

ta e il cartone, i vecchi libri e qua-derni, le scatole e gli scatoloni ben piegati.

Invece non vanno messi: plastica, carta oleata, copertine plastificate.

In alcune località si effettuano la raccolta porta a porta della carta, e gli utenti ricevono appositi contenito-ri gialli.

VETRO, LATTINE, PLASTICA, TETRAPACK

Nelle campane azzurre si mettono:i barattoli, le bottiglie in plastica e

quelle in vetro, i flaconi in plastica, i cartocci del latte e dei succhi di frut-ta, le lattine delle bibite, gli imballag-gi in plastica, gli imballaggi in polisti-rolo, i vasetti in plastica o vetro.

Nelle campane non vanno messi: ceramiche, porcellane e lampadine.

RIFIUTI INDIFFERENZIABILINei cassonetti rossi (coperchio ros-

so) si mettono:i rifiuti che non possono essere rici-

clati, come le lampadine, il polistirolo (non gli imballaggi, che vanno nella

campana azzurra), pannolini e as-sorbenti, oggetti in ceramica, stracci sporchi, scarpe rotte.

Tutti i rifiuti devono essere chiusi in sacchetti.

In questi cassonetti non bisogna gettare ciò che si può riciclare, ma nemmeno i rifiuti speciali come: pile e batterie, metallo, vernici e solventi, materiali elettrici ed elettronici, far-maci scaduti.

INDUMENTI E TESSUTI Nei contenitori bianchi si mettono:i vestiti usati e i tessuti che non ser-

vono più.In questi contenitori non bisogna

mettere stracci e indumenti sporchi o scarpe rotte, carta, metalli, plasti-ca, vetro, rifiuti.

Vestiti e tessuti raccolti verranno

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avviati al recupero presso aziende specializzate.

INGOMBRANTI Potete portare gli oggetti ingom-

branti, come i vecchi mobili, nelle apposite stazioni ecologiche.

Gli oggetti ingombranti non devono essere abbandonati accanto ai cas-sonetti e, ancor meno, lungo le stra-de di campagna.

Per chi abbandona rifiuti sono pre-viste severe sanzioni.

MEDICINALI SCADUTINelle farmacie e presso gli ambula-

tori ASL sono disponibili i contenitori per i farmaci scaduti.

Potete togliete i medicinali dalle scatole (queste possono essere ri-ciclate nei contenitori gialli per la carta).

PILENei negozi che vendono pile e ma-

teriale elettrico si trovano anche i contenitori per la raccolta delle pile esaurite.

Quando dovete comprare le pile nuove portate con voi quelle vecchie e lasciatele al negozio.

Non gettate mai le pile nei casso-netti, né abbandonatele nell’ambien-te, sono altamente inquinanti.

BOMBOLE DI GAS LIQUIDOLe bombole esaurite di gas liquido

sono potenzialmente molto pericolo-se e certamente inquinanti.

Quando acquistate una nuova bombola i rivenditori sono tenuti a ritirare quella vecchia. Solo i riven-ditori sono autorizzati al ritiro delle bombole usate.

Non lasciate mai le bombole esau-rite nei pressi dei cassonetti, né abbandonatele nell’ambiente, sono altamente inquinanti. Non gettatele nei cassonetti.

OLIO ALIMENTARE ESAUSTORiciclare l’olio esausto (il residuo

dell’olio di frittura) è importante per-ché inquina e perché la normativa vigente lo classifica come rifiuto speciale, prevedendone il recupero, il riciclaggio e il riutilizzo delle varie componenti. Anche l’olio vegetale esausto, come quello minerale è ri-generabile con conseguente rispar-mio di materie prime e minore impat-to ambientale.

CARTUCCE PER STAMPANTIToner esauriti per stampanti laser

e fotocopiatrici, cartucce di inchiostri e prodotti simili possono essere rac-colti dalle apposite stazioni ecologi-che oppure depositati nei raccoglito-ri presenti nei negozi che vendono questi articoli.

BATTERIE PER AUTO E MOTOChi vende o sostituisce le batterie

di auto o moto è organizzato per lo smaltimento attraverso un consorzio obbligatorio.

Non abbandonate le batterie esau-rite, sono altamente inquinanti e ri-schiate, giustamente, di subire

pesanti sanzioni.

MATERIALI FERROSI, OLI E GRASSI, APPARECCHI ELET-TRONICI

Materiali ferrosi vari, oli vegetali e grassi animali usati, apparecchi elet-trici ed elettronici, cavi, ecc. possono essere portati alle stazioni ecologi-che, dove verranno posti in conte-nitori di raccolta separati ed avviati al trattamento e smaltimento più ido-neo per ciascun materiale.

IL PROBLEMA AMIANTOL’amianto è un materiale partico-

larmente pericoloso quando viene rilasciato nell’ambiente sotto forma di piccole fibre. Per decenni è stato utilizzato nella fabbricazione di pan-nelli, depositi e coperture ondulate, nella forma del cemento-amianto (Eternit).

Se l’Eternit è ancora in buone con-dizioni non è necessario rimuoverlo, ma se comincia a rompersi, sfaldar-si, sgretolarsi è arrivato il momento di intervenire contattando degli ope-ratori specializzati nella rimozione dell’amianto.

Non azzardatevi a rimuovere l’eter-nit, esso è altamente cancerogeno e pericoloso!!!

Arved

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Per analizzare in modo accurato le modificazioni del clima, le Nazioni Uni¬¬te hanno costituito una Com-missione Intergovernativa sul Cam-biamento Climatico (IPCC) che rac-coglie accademici provenienti delle nazioni del G8.

Secondo quanto riportato dall’In-tergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite (IPCC), la temperatura superficiale globale del pianeta sarebbe aumentata di 0,74 ± 0,18 °C durante gli ultimi 100 anni, almeno fino al 2005.

L’IPCC ha inoltre concluso nei suoi ‘studi di attribuzione’ delle cause che «la maggior parte dell’incremento

osservato delle temperature me-die globali a partire dalla metà del XX secolo è molto probabilmente da attribuire all’incremento osservato delle concentrazioni di gas serra an-tropogenici», attraverso un aumento dell’effetto serra. Viceversa i fenome-ni naturali come le fluttuazioni solari e l’attività vulcanica hanno contribu-ito marginalmente al riscaldamento nell’arco di tempo che intercorre tra il periodo pre-industriale e il 1950 e hanno causato un lieve effetto di raffreddamento nel periodo dal 1950 all’ultima decade del XX secolo.

Queste conclusioni sono state sup-portate da almeno 30 associazioni e accademie scientifiche, tra cui tutte le accademie nazionali della scienza dei paesi del G8.

Le conclusioni raggiunte dall’IPCC sono basate anche da un’analisi di oltre 928 pubblicazioni scientifica dal 1993 al 2007, in cui si osserva che il 75% degli articoli accetta, espli-citamente o implicitamente, la tesi scientifica del contributo antropico al riscaldamento, mentre il restante 25% degli articoli copre unicamente metodologie o paleoclimatologia per cui non esprime opinioni in merito.

Ci sono comunque ricercatori scet-tici sul ruolo antropico nell’attuale riscaldamento: essi rappresenta-no una minoranza nella comunità scientifica, sebbene negli ultimi anni il loro numero abbia conosciuto un significativo aumento.

Tra questi “scettici” vi sono, tra gli

altri, anche il premio Nobel Kary Mullis, oltre che ex membri dei vari comitati IPCC come il meteorologo Hajo Smit o Philip Lloyd, nonché fisi-ci dell’atmosfera come Fred Singer.

Le criticità espresse da tali ricerca-tori sono diverse e variano dalla po-liticizzazione e estremizzazione dei documenti conclusivi dell’IPCC fino alle perplessità sulla possibilità di stabilire una relazione tra aumento di CO2 e riscaldamento globale.

Alcuni di essi inoltre rimarcano il ruolo di altri fattori naturali sul clima tra cui il principale sarebbe la varia-zione dell’attività solare ma anche l’effetto dei raggi cosmici, che avreb-be un ruolo sul mutamento climati-co.

Le loro criticità trovano peraltro riscontro nella diminuzione della temperatura media globale che si è verificata approssimativamente tra il 1940 e il 1976, nonostante conti-nuasse ad aumentare con la stessa costanza la concentrazione di CO2 nell’atmosfera nel medesimo inter-vallo di tempo, così come nell’ab-bassamento della temperatura glo-bale osservato nell’ultimo decennio rispetto al picco del 1998.

Viene in particolare messa in dub-bio la validità degli attuali modelli climatici utilizzati che non sono in

grado di ricostruire efficacemente il clima passato né sono stati in grado di predire il parziale raffreddamen-to dell’ultimo decennio. Queste tesi sono state raccolte in un documen-tario della CBC.

Il matematico e fisico teorico Fre-eman Dyson, che fin dagli anni ‘70 teorizzava la necessità di attuare il sequestro del carbonio piantando nuovi alberi in aree enormi, nel 2007 ha invece rivalutato la questione del riscaldamento globale affermando che “l’allarmismo sul riscaldamen-to globale è fortemente esagerato” dopo aver calcolato che “il problema dell’anidride carbonica nell’atmo-sfera è un problema di gestione del terreno, non un problema meteoro-logico”.

Secondo lo scienziato gli errori commessi sarebbero legati al fat-to che nessun modello matematico atmosferico o oceanico è in grado di predire il modo in cui dovrebbe essere gestita la terra, infine sottoli-nea che dovrebbero avere maggiore priorità altri problemi globali.

Molti sono gli scienziati che, pur ri-conoscendo il ruolo antropico, sono scettici riguardo alle misure adottate per contenere le emissioni e ritengo-

E’ L’UOMO LA CAUSA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO?

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no il protocollo di Kyōto sia troppo blando e poco incisivo in termini di risultati sul clima. Ad aumentare la perplessità vi è il fatto che i princi-pali emettitori di anidride carbonica (USA e Cina) non lo applicheranno sulle proprie economie.

È tutt’oggi tema di accese discus-sioni la reale entità e gli effetti del riscaldamento, dovute al fatto che il clima terrestre non è considerabi-le come un sistema statico, avendo presentato nella sua storia cam-biamenti graduali ma intensi anche senza l’intervento dell’uomo.

Resta il fatto che dal 2500 a.C. al 700 d.C. la Terra ha avuto un piccolo raffreddamento; dal 700 d.C. al 1300 d.C. la Terra ha avuto un ottimo cli-matico, e la differenza era di ben 2 gradi più caldo di oggi; dal 1300 al 1850 la Terra ha subito una piccola glaciazione, gli inverni erano lunghi e il Tamigi a Londra si ghiacciava.

Dal 1850 ad oggi si registra invece un riscaldamento dovuto al post gla-ciale, ma restiamo sostanzialmente

più freddi rispetto al periodo dal 700 al 1300 (-2 gradi).

Considerando che tra il 1940 e il 1976 si è registrata una tendenza opposta, cioè un leggero raffredda-mento.

Sia ai tempi dell’Impero Romano che nel Medioevo le temperature medie erano quindi più alte che in altri periodi, permettendo la coloniz-zazione della Groenlandia e la colti-vazione estesa di viti nell’Europa del Nord.

Entrambi questi periodi sono stati seguiti da periodi di raffreddamento climatico: a Londra il fiume Tamigi gelava tanto da permetterne il pas-saggio a cavallo e lo svolgimento di mercati natalizi sulla sua superficie ghiacciata.

L’estate del 2011 è stata alquanto anomala, stranamente fresca, con ondate di calore manifestatesi a fine stagione, mentre l’estate 2012 non è stata ltra le più calde dell’ultimo secolo (nonostante un certo gior-nalismo ci abbia voluto far credere il contrario), eppure il riscaldamento climatico dovrebbe avere effetti con-

trari.

Di sicuro l’essere umano è capace di alterare (avvolte distruggere) gli eco sistemi, ma è davvero in grado di modificare il clima planetario?

Bisogna sicuramente salvaguarda-re il territorio, l’ambiente e il pianeta tutto, perché è in esso che viviamo e ne vale la nostra salute. Ma a quanto servono gli allarmismi?

Si spera che gli allarmismi non siano mossi da speculazioni econo-miche, non vorrei pensare che qual-cuno vuole tenerci sotto tensione e magari ci specula, anche perché l’uomo è adattabile (a superato sia era glaciali che ere post glaciali), l’ambiente è mutevole, il Pianeta è vivo e di volta in volta si rigenera.

Francesco V.

LA CRISI ECONOMICA DEL 2008La decadenza economica degli

anni 2000 si è cominciata a mani-festare nell’incremento dei prezzi delle materie prime che ha seguito una riduzione del costo delle stesse nel precedente periodo 1980-2000; tuttavia solo dal 2008 l’incremento dei prezzi di queste materie prime, in particolare il rialzo del prezzo del petrolio e di alcuni cereali, si è fatto sentire a tal punto da cominciare a creare veri danni economici, minac-ciando con la fame nel terzo mon-do, la stagflazione ed una riduzione del fenomeno della globalizzazione, il tutto accompagnato da un’ondata generalizzata di ribassi nelle borse di tutti i continenti.

L’aumento dei prezzi delle materie prime si traduce poi nell’aumento dei costi finale di produzione dei beni di consumo.

L’attuale crisi economica, origi-natasi negli Stati Uniti con la crisi dei subprime, ha avuto luogo dai primi mesi del 2008 in tutto il mon-do. Tra i principali fattori della crisi

figurano gli alti prezzi delle materie prime, una crisi alimentare mondia-le, un’elevata inflazione globale, la minaccia di una recessione in tutto il mondo, così come una crisi credi-tizia ed una conseguente crisi di fi-ducia dei mercati borsistici. Agli inizi del fenomeno molti autori ritenevano che non si trattasse di una vera cri-si. Tuttavia, le pesanti recessioni e i vertiginosi crolli del PIL (Prodotto In-terno Lordo) verificatasi in quasi tut-te le economie avanzate del mondo, tra il 2009 e il 2010, hanno smentito queste ottimistiche previsioni.

Innanzitutto bisogna specifica-re che la crisi economica non è “in Italia” ma colpisce tutti i paesi del mondo perché in un epoca di glo-balizzazione come la nostra tutte le economie sono collegate.

Una delle principale cause di que-sta crisi parte dagli Stati Uniti e più precisamente dai mutui subprime, in poche parole mutui concessi a persone, che fin dall’inizio si sape-va che non fossero stati in grado di

estinguerli. Una volta che si sono manifestate le prime insolvenze le banche che li hanno concessi inizia-rono ad avere problemi e non han-no concesso più i finanziamenti alle famiglie e alle imprese, e di conse-guenza la crescita economica è ini-ziata a calare.

In questo periodo di crisi sentiamo spesso parlare di rating, ma di cosa si tratta?

Il rating è un metodo utilizzato per classificare sia i titoli obbligazionari, che le imprese in base alla loro ri-schiosità.

In questo caso, essi si definiscono rating di merito creditizio da non con-fondersi ai rating etici che invece

misurano la qualità della governan-ce, o in generale della sostenibilità sociale ed ambientale di un’emitten-te (in questo caso lo Stato).

Oggi, Standard & Poor’s e Moody’s sono le due maggiori agenzie di ra-ting al mondo.

Ma per meglio capire quale è l’origi-

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ne di questa crisi e chi ne è il respon-sabile, dobbiamo risalire il corso del

fiume a ritroso fino ad arrivare alla sua sorgente.

Il “Signoraggio” possiamo tranquil-lamente dire che è il male dei mali, è una truffa monetaria legalizzata e che rende una Nazione debitrice nei confronti di un Gruppo bancario.

Difficilmente sentirete parlare del “Signoraggio” ne in TV, ne nei gior-nali, ne nei libri, difficilmente i politici ne parleranno (si ha paura per farlo), stiamo comunque parlando della so-cietà più potente al mondo.

Questo ente privato è la Banca Centrale Nazionale di ogni Nazione o Unione, che è una normalissima s.p.a,

batte moneta e la presta (in real-tà la presta e la vende nello stesso tempo) al nostro Stato.

Il meccanismo del “Signoraggio” è molto semplice e diabolico: prendia-mo il caso della BCE (Banca Cen-trale

Europea), essa crea moneta carta-cea, il tutto ha dei costi di produzio-ne relativi all’acquisto e lavorazione delle materie prime (carta, inchio-stro, distribuzione ecc…) tutti que-sti costi vanno a formare il “valore intrinseco” della banconota creata, esempio: il costo per la produzione di ogni banconota è di 30 centesimi, i trenta centesimi equivalgono al “va-lore intrinseco” del bene.

Il “valore nominale” è il valore nu-merico che viene stampato sulla facciata della banconota creata, esempio: banconota da 500 €uro, i cinquecento €uro equivalgono al po-tere d’acquisto che quella bancono-

ta ha nel mercato.Il “Signoraggio” sta nella differenza

che si ottiene dalla sottrazione arit-metica tra il “valore nominale” e il “valore intrinseco” (500 € - 30 cente-simi) uguale: un guadagno di: 499.70 €uro ogni banconota prestata!

La BCE è l’unico organo proposto per l’immissione di moneta all’inter-no di una Nazione, ha il monopolio per

farlo e il tutto è legalizzato e con-cesso dalla legislatura Internaziona-le.

Ora avviene che il nostro Stato contrae un debito con la BCE, che letteralmente ci fa un “mutuo” miliar-dario che va a formare tutto il nostro circuito monetario, (per circuito mo-netario si intendono tutti i soldi che circolano all’interno di una Nazione) prestito che il nostro Stato dovrà re-stituire con gli interessi!

Quindi riassumendo: La BCE stampa una banconota al costo di produzione di 30 centesimi, esegue un prestito/vendita al nostro stato al “Valore nominale” di 500 €uro, in più mette gli interessi, dunque a ogni scadenza l’Italia dovrebbe restituire sia la somma iniziale più gli interessi maturati!

Esempio: Mettiamo il caso che la BCE abbia stampato allo stato Italia-no 100 Miliardi di €uro e gli mette

un interesse del 3%, significa che la BCE europea per “stampare” quei 100 Miliardi ha speso una cifra irri-soria rispetto poi al guadagno che ne trarrà, a questo punto è ovvio che il debito iniziale (100 Miliardi) l’Italia non lo potrà mai estinguere e può

solo limitarsi a pagare gli interessi annui che ammontano a circa 3 Mi-liardi di €uro.

A questo debito vanno aggiunti tut-te le spese che lo Stato intraprende per offrire servizi pubblici ai cittadini, quale istruzione e sanità.

In tv quando parlano solo generi-camente di “debito pubblico” chissà perché non spiegano mai cos’è!

Se ora vi state ancora chiedendo il perché aumenta tutto (benzina, tasse,generi alimentari) avrete capi-to che il nostro Stato i soldi per pa-gare questi interessi non li ha, e di conseguenza strizza sempre di più le tasche dei suoi cittadini con rincari di ogni genere.

Sono tante le domande che po-tremmo porci:

I nostri politici che cosa fanno per salvaguardare i cittadini? È giusto sacrificare vite umane e benessere per i soldi?

È giusto che il benessere di ogni singolo individuo dipenda da pezzi di carta e del loro valore? D’altronde

sono solo carta.

L’unica soluzione possibile per uscire da questo sistema di dena-ro-schiavitù è che uno Stato inizi a stampare moneta da se, emettendo nel proprio circuito monetario, mone-ta in rapporto al numero demografico della popolazione, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo la Banca Centrale che non lo permetterà mai!

Paolo Loprez

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L’ISOLA DI PLASTICA

Il Pacific Trash Vortex, noto anche come Grande chiazza di immondizia del Pacifico (Great Pacific Garbage Patch), è un enorme accumulo di spazzatura galleggiante (compo-sto soprattutto da plastica) situato nell’Oceano Pacifico, approssimati-vamente fra il 135º e il 155º meridia-no Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord. La sua estensione non è nota con precisione: le stime vanno da 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km² (cioè da un’area più grande della Penisola Iberica a un’area più estesa della superficie degli Stati Uniti), ovvero tra lo 0,41% e il 5,6% dell’Oceano Pacifico, nell’area po-trebbero essere contenuti fino a 100 milioni di tonnellate di detriti.

L’accumulo si è formato a parti-re dagli anni cinquanta, a causa dell’azione della corrente oceanica chiamata Vortice subtropicale del Nord Pacifico (North Pacific Subtro-pical Gyre), dotata di un particolare movimento a spirale in senso orario, che permette ai rifiuti galleggianti di aggregarsi fra di loro.

La Grande chiazza di immondizia si è formata nella zona di conver-genza del Vortice subtropicale del Nordpacifico.

Il centro di tale vortice è una regione relativamente stazionaria dell’Ocea-no Pacifico (ci si riferisce spesso a quest’area come la latitudine dei cavalli) al cui centro si accumulano notevoli quantità di rifiuti, soprattutto

plastica, e altri detriti, a formare una enorme “nube” di spazzatura che ha assunto l’informale definizione di Isola orientale di Immondizia o Vorti-ce di Pattume del Pacifico.

A 10 m di profondità è stata indi-viduata una concentrazione pari a poco meno la metà di quella in su-perficie, con detriti che consistono principalmente di monofilamenti, fi-bre di polimeri incrostati di plancton e diatomee.

I rifiuti galleggianti di origine biologi-ca sono spontaneamente sottoposti a biodegradazione, e in questa zona oceanica quindi si sta accumulando una enorme quantità di materiali non biodegradabili come la plastica e rot-tami marini. Anziché biodegradarsi, la plastica si fotodegrada, disinte-grandosi in pezzi sempre più pic-coli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono, la cui ulteriore biodegradazione è molto difficile. Il galleggiamento di tali particelle, che apparentemente assomigliano a zo-oplancton, inganna le meduse che se ne cibano, causandone l’introdu-zione nella catena alimentare. In al-cuni campioni di acqua marina presi nel 2001 il rapporto tra la quantità di plastica e quella dello zooplancton, la vita animale dominante dell’area, era superiore a sei contro uno.

Occasionalmente, improvvisi mu-tamenti nelle correnti oceaniche pro-vocano la caduta di interi container trasportati da navi cargo, il cui con-

tenuto non solo va ad alimentare il Nord Pacific Gyre, ma anche ad arenarsi su spiagge degli atolli. La più famosa perdita di carico è av-venuta nel 1990, quando dalla nave Hansa Carrier sono caduti in mare ben 80.000 articoli, tra stivali e scar-pe da ginnastica della Nike che, nei tre anni successivi, si sono arenati tra le spiagge degli stati della British Columbia, Washington, Oregon e Hawaii. E questo non è stato l’unico caso: nel 1992 sono caduti in mare decine di migliaia di giocattoli da va-sca da bagno e nel 1994 attrezzatu-re per hockey su ghiaccio.

A seguito di ricerche condotte con una serie ventennale di crociere scientifiche svolte fra il Golfo del Mai-ne e il Mar dei Caraibi, la ricercatrice Kara Lavender Law ha riscontrato anche nell’oceano Atlantico un’ele-vata concentrazione di frammenti plastici, in una zona compresa fra le latitudini di 22°N e 38°N, corrispon-dente all’incirca al Mar dei Sargassi. Simulazioni al computer hanno in-dividuato due altre possibili zone di accumulo di rifiuti oceanici nell’emi-sfero meridionale: una nell’oceano Pacifico a ovest delle coste del Cile e una seconda allungata tra l’Argen-tina e il Sud Africa attraverso l’Atlan-tico.

Giovanni Russo

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’LA SOIA E IL SUO LATO OSCUROOgni anno, sembra che la ricerca

sugli effetti della soia e dei suoi com-ponenti sulla salute aumenti notevol-mente.

L’industria della soia sostiene che la soia abbia vantaggi potenziali che possono essere più estesi di quanto si pensava precedentemente.

L’industria della soia multi-miliarda-ria insiste che i vantaggi per la salu-te che la soia offre superano di gran lunga qualsiasi pericolo potenziale.

Quello che una volta non era che un raccolto secondario elencato nel manuale del Dipartimento degli Stati Uniti del 1913 (USDA), da utilizzare non come un cibo ma come prodot-to industriale, ora copre 72 milioni di acri di terreno coltivato. Buona par-te di questo raccolto viene utilizzato per alimentare polli, tacchini, maiali, mucche e salmoni. Un’altra grossa percentuale viene spremuta per pro-durre olio per margarina, grasso per pasticceria e condimenti per insala-te.

Il progresso tecnologico rende possibile la produzione di proteine di soia isolate da ciò che in passa-to era considerato un sottoprodotto - l’elevata proteina della soia priva di grassi - e di trasformare qualcosa che sembra orribile e puzza terribil-mente in prodotti che possono esse-re consumati da esseri umani.

Gli aromi, i conservanti, i dolcifi-canti, gli emulsionanti e le sostanze nutritive sintetiche hanno trasforma-to quello che era il brutto anatrocco-lo dei cibi lavorati, la proteina della soia, in uno dei cibi miracolosi della New Age, dei Vegan e in generale dei Vegetariani.

Oggi la vendita della soia viene spinta verso il consumatore più agia-to, non come cibo povero a buon mercato, ma come una sostanza miracolosa che eviterà l’insorgenza di malattie di cuore e cancro, delle vampate della gravidanza, costruirà ossa forti e ci manterrà per sempre giovani.

La soia servirà da carne e latte per una nuova generazione di vegetaria-ni.

Ma la soia non solo è priva di pro-teine complete, di zinco e ferro, ma contiene composti che bloccano l’as-sorbimento di proteine, zinco e ferro

da altre sorgenti. I cibi a base di soia aumentano le richieste da parte del corpo di vitamina D e B12, elementi essenziali sia per la crescita che per lo sviluppo.

Sostanze attive anti-tiroidee pre-senti in abbondanza nei cibi a base di soia inibiscono le funzioni della ti-roide, conducono alla fatica e ai pro-blemi mentali.

I fitoestrogeni della soia possono inibire il normale sviluppo e nell’età adulta causare problemi di ripro-duzione e fertilità. Recenti ricerche hanno mostrato che questi fitoe-strogeni sono implicati nello svilup-po del morbo di Alzheimers e del-la demenzia senile, promuovono l”invecchiamento” del cervello.

Tutti i cibi a base di soia contengo-no MSG (glutammato di sodio), che causa problemi neurologici, incluso il comportamento violento.

La giustificazione per incrementa-re il consumo di soia è basata sul concetto che dovremmo ridurre la quantità di grassi nell’alimentazione infantile.

I grassi contengono molte sostan-ze nutrienti che sono vitali per la cre-scita e lo sviluppo, e contribuiscono alla funzione corretta del cervello e del sistema nervoso.

I bambini nel periodo della cresci-ta hanno bisogno di più grassi, non meno. Privare i bambini dei grassi di cui essi hanno bisogno è un crimi-

ne.Più soia nei pasti delle mense sco-

lastiche significa più assenteismo, più ferite, più problemi d’apprendi-mento, più ADHD e più violenza. Le insufficienze nutrizionali si accentue-ranno e aumenteranno le malattie.

La crescita del profitto delle indu-strie della soia avviene a spese dei nostri bambini !?!

Solo negli USA vengono spesi 80 milioni di dollari dall’Unione dei Pro-duttori di Soia per sostenere pro-grammi atti a rafforzare la posizione della soia sul mercato e mantenere e aumentare la presenza della soia e dei prodotti da essa derivati sui mercati nazionali ed esteri.

L’industria della soia si è rivolta alla Norman Robert Associates, un’agen-zia di pubbliche relazioni, per ottene-re l’inserimento di un maggior nume-ro di prodotti di soia nei menu delle mense scolastiche.

L’USDA (Dipartimento dell’Agricol-tura Americano) ha risposto con la proposta di togliere il limite del 30 % di prodotti a base di soia nelle mense scolastiche. Il programma permette-rebbe un uso illimitato della soia nel-le mense scolastiche. Aggiungendo la soia ad hamburger, tacos e lasa-gne, i dietisti possono mantenere senza difficoltà il contenuto di gras-so totale sotto il 30 % delle calorie, conformandosi perciò agli ordini del

Semi di Soia

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governo. Negli USA il latte di soia ha procura-

to i guadagni più elevati, spiccando il volo dai 2 milioni di dollari nel 1980 a 300 milioni di dollari nel 1999.

Le vendite di latte di soia sono in aumento in Canada, sebbene là il latte di soia costi il doppio del latte di mucca.

Impianti per il trattamento del latte di soia stanno spuntando in paesi del terzo mondo come il Kenia, ad esempio.

Anche la Cina, dove la soia è re-almente un cibo dei poveri e dove la gente vuole più carne, non tofu, ha optato per la costruzione di fab-briche di soia in stile occidentale piuttosto che sviluppare praterie da pascolo.

Solo alcuni decenni fa, la soia era considerata non commestibile, per-sino in Asia.

Durante la dinastia Chou (dal 1134 al 246 a.C.) la soia era considerata uno dei cinque grani sacri, insieme a orzo, frumento, miglio e riso. Tut-tavia, il pittogramma per la soia, che risale ai tempi precedenti, indica che non è stata mai impiegata come ali-mento, perché mentre i pittogrammi per gli altri quattro grani mostrano la struttura del seme e dello stelo del-la pianta, il pittogramma per la soia mostra la struttura della radice. La letteratura agricola del periodo par-la frequentemente della soia e il suo uso nella rotazione dei raccolti. Ap-parentemente la semina della soia inizialmente veniva fatta come un metodo per fissare l’azoto nel terre-no.

La soia non è servita da alimento fino alla scoperta di tecniche di fer-mentazione, un po’ di tempo dopo durante la dinastia Chou. I primi cibi di soia vennero prodotti facen-dola fermentare come tempeh, nat-to, miso e salsa di soia. Più tardi, probabilmente nel II secolo d.C., gli scienziati cinesi hanno scoperto che un purée di soia cotta poteva essere fatto precipitare con solfato di calcio (gesso) o solfato di magne-sio (sale inglese) per fare un caglio liscio, pallido, il tofu. L’uso di prodotti di soia fermentati e precipitati presto si estese in altre parti dell’oriente, particolarmente in Giappone e in In-donesia.

I cinesi non hanno mangiato soia non-fermentata perché avevano altri

legumi come le lenticchie e perché la soia contiene grandi quantità di tossine o “anti-nutrienti” naturali.

Primi fra tutti ci sono dei potenti ini-bitori di enzimi che bloccano l’azione della tripsina (enzima che scinde

le proteine) e di altri enzimi neces-sari per la digestione delle proteine. Questi inibitori sono proteine com-plesse, fortemente intrecciate che non vengono disattivate completa-mente durante la normale cottura. Possono produrre forti dolori allo sto-maco, digestione ridotta delle protei-ne e insufficienze croniche nell’assi-milazione degli amminoacidi.

Le diete con elevate quantità di ini-bitori di tripsina causano l’ingrandi-mento e altre condizioni patologiche del pancreas, compreso il cancro.

La soia contiene anche emaglutini-na una sostanza coagulante che fa in modo che i globuli rossi del san-gue si raggruppino insieme.

Gli inibitori della Tripsina e l’ema-glutinina sono inibitori della crescita.

I composti inibitori della crescita vengono neutralizzati dal processo di fermentazione, cosicché una vol-ta che i cinesi hanno scoperto come fare fermentare la soia, hanno inco-minciato a incorporare nella loro die-ta alimenti a base di soia. In prodotti precipitati, gli inibitori dell’azione en-zimatica si concentrano nel liquido piuttosto che nel caglio. Quindi nel tofu, gli inibitori della crescita sono presenti in quantità ridotte ma non eliminati completamente.

La soia contiene anche sostanze che inibiscono le funzioni della tiroi-de!

La soia contiene elevate quantità di acido fitico, presente nella crusca o nella cuticola di tutti i semi. È una sostanza che può fermare l’assorbi-mento di minerali essenziali come calcio, magnesio, rame, ferro e spe-cialmente zinco, nel tratto intestina-le.

Benché non sia molto conosciu-to dal grosso pubblico l’acido fitico è stato studiato accuratamente; ci sono letteralmente centinaia di arti-coli sugli effetti dell’acido fitico nella letteratura scientifica.

Gli scienziati sono completamente d’accordo che i regimi alimentari a base di cereali e legumi con elevate quantità di fitati favoriscono l’ampia diffusione di carenze di minerali nei paesi del terzo mondo.

Le analisi mostrano che il calcio, il magnesio, il ferro e lo zinco sono presenti nei cibi coltivati in queste aree, ma l’alto contenuto di fitati del-la soia e dei cereali impedisce il loro assorbimento.

La soia ha un livello di fitati più ele-vato di qualsiasi cereale o legume che sia mai stato studiato, e i fitati della soia sono estremamente re-sistenti alle tecniche normalmente usate per ridurli, come la lunga e lenta cottura.

Solo un lungo periodo di fermen-tazione ridurrà significativamente il contenuto di fitati della soia.

I giapponesi mangiano tradizional-mente una piccola quantità di tofu o miso come ingrediente di un brodo di pesce ricco di minerali, seguito da una porzione di carne o pesce.

I vegetariani che consumano tofu e

Pianta di Soia

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’caglio di fagioli di soia come sostituti della carne e dei prodotti caseari ri-schiano di auto-provocarsi una gra-ve carenza di minerali.

Gli effetti dell’insufficienza di calcio, magnesio e ferro sono ben noti, non così bene quelli dell’insufficienza

dello zinco. Lo zinco è necessario per lo sviluppo e il funzionando otti-male del cervello e del sistema ner-voso.

Gioca un ruolo nella sintesi delle proteine e nella formazione del col-lagene. E’ coinvolto nel meccanismo di controllo del livello di zucchero nel sangue e in questo modo protegge dal diabete. E’ necessario per un si-stema riproduttivo sano. Lo zinco è un componente chiave in numerosi enzimi vitali e gioca un ruolo anche nel sistema immunitario.

I fitati presenti nei prodotti di soia in-terferiscono nell’assorbimento dello zinco in maggior misura che nell’as-sorbimento degli altri minerali.

L’insufficienza di zinco può causare una sensazione “di vuoto” che alcuni (non tutti) vegetariani/vegani scam-biano per un “alto livello” di illumina-zione spirituale.

Il fatto di bere latte vaccino è consi-derato come la ragione per cui i giap-ponesi di seconda generazione in America sono più alti dei loro prede-cessori. Alcuni ricercatori ritengono che il ridotto contenuto di fitati nella dieta dei giapponesi nati in America, quali che siano le altre carenze che possono esserci, è la vera spiega-zione della maggiore altezza.

E’ stato consigliato di alimentare i neonati che non possono essere al-lattati al seno o che hanno reazioni allergiche ad altre formule con pre-parati alternativi a quelli a base di soia.

La ragione per cui ulteriori informa-zioni non sono disponibili su questi problemi è probabilmente una con-seguenza della forza tremenda delle grandi società agricole che domina-no il mercato americano della soia.

Sebbene gli “esperti” della salute, e quasi ogni programma sulla salute & benessere radiofonico e televisivo,

elogiano la soia come l’alimento miracoloso del nuovo millennio, i pe-diatri e la comunità medica dovrebbe saperne di più su questo argomen-to, e avvertire i pazienti dell’impatto

dannoso che il consumo di prodotti di soia può avere sulle funzioni della tiroide e non solo.

Un’indagine fatta da un program-ma televisivo ha rivelato che, fra tutti quegli elogi, alcuni scienziati stanno

ora sfidando questa fittizia saggez-za popolare, e lasciano intendere che ci possono essere aspetti nega-tivi riguardo a questo “alimento mi-racoloso”.

Nuovi studi hanno fatto sorgere do-mande riguardo al fatto che gli ingre-dienti naturali della soia potrebbero aumentare o meno l’insorgenza di cancro al seno in alcuni soggetti femminili, influire sulle funzioni cere-brali nei soggetti maschi e condurre a latenti anomalie nello sviluppo dei neonati.

Nel ottobre 2000, l’FDA ha pubbli-cato un bollettino sulla salute, con-cludendo che la soia può diminuire sia il livello di colesterolo che il peri-colo di malattie di cuore.

Ma due degli esperti di soia dell’ FDA - Doerge e il suo collega, Daniel Sheehan - si sono fatti avanti criti-cando le dichiarazioni della loro pro-pria agenzia e hanno tentato di fer-mare la raccomandazione dell’FDA. La loro preoccupazione principale era che la pubblicazione potrebbe venire fraintesa come un’ invito ad usare le proteine della soia, al di là dei vantaggi esclusivamente per il cuore. Doerge e Sheehan hanno fatto presente che la ricerca mostra un collegamento tra il consumo di soia e i problemi di fertilità e i risulta-ti sono una chiara indicazione degli effetti negativi a cui potenzialmente potrebbero essere soggetti gli esseri umani.

La loro principale preoccupazione ha a che fare con il comportamen-to degli elementi chimici della soia. Oltre a tutte le sostanze nutrienti e le proteine, esiste una sostanza chi-mica naturale che imita l’estrogeno, l’ormone femminile. Alcuni studi mo-strano che questa sostanza chimica può modificare lo sviluppo sessuale. E infatti, due bicchieri di latte di soia al giorno nel corso di un mese por-tano ad un assorbimento di questa sostanza chimica sufficiente a mo-dificare la sincronizzazione del ciclo mestruale femminile.

Lo stesso Sheehan afferma: “Si sta facendo un grande esperimento su neonati incontrollato. Stiamo espo-

nendo i neonati a delle sostanze chi-miche presenti nei preparati a base di soia per bambini sapendo che la sperimentazione ha rilevato che vi sono degli effetti negativi, e non ab-biamo mai fatto delle ricerche sulla popolazione per vedere se si riscon-trano questi effetti”.

Sembra che non ci sia quotidiano, rivista o programma di notizie che non abbia messo in risalto recente-mente una storia sui sorprendenti benefici per la salute dei prodotti ali-mentari a base di soia e dei supple-menti a base di isoflavoni della soia.

Ma ciò che tutte queste storie favo-revoli omettono di dire è che esiste un aspetto negativo molto reale – ma trascurato - del consumo abbon-dante o a lungo termine dei prodotti di soia. Uno studio è stato fatto in Gran Bretagna facendo prendere 60 grammi di proteine di soia al giorno per un mese a donne in pre-meno-pausa.

Si è scoperto che questo esperi-mento ha interrotto il ciclo mestrua-le, e gli effetti dell’isoflavone sono continuati per tre mesi dopo che la soia era stata tolta dalla dieta.

L’isoflavone è noto anche perché modifica le condizioni della fertilità e perché attua cambiamenti sugli ormoni sessuali. E’ stato dimostra-to che gli isoflavoni causano gravi effetti negativi sulla salute di molti mammiferi compreso sterilità, malat-tie della tiroide e malattie del fegato. E questo pericolo è particolarmente grave per i neonati allevati con pre-parati a base di soia.

Queste sono informazioni che l’in-dustria della soia non vuole che ne veniate a conoscenza.

La vendita di prodotti di soia è un grande business, e la domanda cre-scente di proteine di soia, di farine di soia, e di integratori di isoflavoni lo sta facendo diventare uno dei più grandi business mai esistiti.

I ricercatori hanno identificato gli isoflavoni come agenti potenti capa-ci di sopprimere le funzioni tiroidee e causare o aggravare l’ipotiroidismo.

Il Dr. Mike Fitzpatrick, uno scien-ziato dell’ambiente e ricercatore sui fitoestrogeni ha condotto studi approfonditi sulla soia, in particola-re sull’uso preparati per l’infanzia a base di soia. Fitzpatrick si è assolu-tamente sicuro che i prodotti di soia

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possano avere effetti dannosi sia su adulti che neonati. In particolare, ri-tiene fermamente che i produttori di preparati per l’infanzia a base di soia dovrebbero rimuovere gli isoflavoni - quegli elementi della soia che agi-scono come agenti anti-tiroide – dai loro prodotti.

Abbiamo sentito di tutto sui fito-estrogeni. Sono dei composti del mondo vegetale che imitano gli estrogeni, sono propagandati da al-cuni come agenti miracolosi che pre-vengono il cancro, malattie di cuore e delle coronarie, osteoporosi (Tanto per nominarne alcuni). Ma c’è un lato molto più oscuro su questi composti, e cioè il fatto che disturbano il siste-ma endocrino. La soia contiene fito-estrogeno, e quindi nel corpo agisce in modo molto simile a quello degli ormoni e non deve sorprendere il fatto che interagisca con l’equilibrio delicato dei sistemi ormonali della tiroide. Questi composti possono in effetti aumentare il rischio di cancro alla mammella e causare malattie della tiroide. I produttori di preparati per l’infanzia a base di soia si rifiu-tano di rimuoverli dai loro prodotti nonostante sappiano che i neonati alimentati con tali preparati sono a rischio di danni irreversibili.

I nuovi regolamenti della F.D.A. (Amministrazione Federale degli Ali-menti e Medicinali) non permettono che venga inserito alcun tipo di di-chiarazione di prevenzione del can-cro sulle confezioni di alimentari, ma questo non ha impedito alle industrie

e ai suoi marketing operators di farle nei loro opuscoli promozionali. “Oltre a proteggere il cuore”, dice una bro-chure di una società produttrice di vitamine, “la soia si è dimostrata un potente agente anti-cancro...i giap-ponesi, che mangiano soia in quan-tità 30 volte maggiore dei nordame-ricani, hanno un’incidenza più bassa di cancro della mammella, dell’utero e della prostata.

Questo è vero.Ma i giapponesi, e gli asiatici in

generale, hanno tassi molto più alti di altri tipi di cancro, in particolare il cancro dell’esofago, dello stomaco, del pancreas e del fegato.

Gli asiatici di tutto il mondo hanno anche alti tassi di cancro della tiroi-de. La logica che collega tassi bassi di cancro degli organi di riproduzio-ne al consumo di soia impone at-tribuzione di alti tassi di cancro alla tiroide e del sistema digestivo agli stessi cibi, in particolare perché la soia causa questi tipi di cancro in la-boratorio.

Ma quanta soia mangiano poi gli asiatici?

Un sondaggio del 1998 ha rilevato che la quantità giornaliera media di proteine di soia consumata in Giap-pone era di circa otto grammi per gli uomini e sette per le donne, meno di due cucchiaini da tè. Il famoso Cor-nell China Study, condotto da Colin T. Campbell, ha scoperto che il con-sumo di legumi in Cina varia da 0 a 58 grammi al giorno, con una media di circa 12 grammi.

Migliaia di donne ora consumano soia convinte che le protegga dal cancro della mammella. Inoltre, nel 1996, dei ricercatori scoprirono che le donne che consumano proteine di soia isolate hanno avuto un’inciden-za maggiore di iperplasia epiteliale, una condizione che fa presagire la presenza di tumori maligni. Un anno dopo, si è scoperto che il genistein (un supplemento contenente isofla-voni della soia) stimolava le cellule della mammella ad accelerare il ci-clo cellulare, una scoperta che ha portato gli autori a concludere che le donne non dovrebbero consumare soia per evitare il cancro della mam-mella.

Venticinque grammi di proteine iso-late di soia contengono da 50 a 70 mg di isoflavoni. Alle donne in pre-menopausa bastano solo 45 mg di isoflavoni per subire effetti biologici significativi, compreso una riduzione di ormoni necessari per le corrette funzioni della tiroide.

Senza considerare che le coltiva-zioni di soia hanno un grande impat-to ambientale.

Solo per diritto di cronaca, la prima causa del disboscamento della fore-sta amazzonica è dovuta proprio alla soia, la continua ricerca di terreni da destinare al mercato della soia sta distruggendo chilometri di foreste e terreni da pascoli.

In Asia molti pastori sono in difficol-tà perché i terreni da pascolo ven-gono destinati alla coltivazione della soia.

A questo punto bisognerebbe riflet-tere!

Vale la pena mettere a rischio la nostra salute, consumando un ali-mento sul quale le ricerche scienti-fiche non sono concluse e non risul-tano chiare?

Perché dovremmo cambiare le no-stra abitudini alimentari, diventare da onnivori vegetariani, andare con-tro natura?

Giovanni, da www.medicinenon.it

Prodotti vegetali a base di Soia

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STORIA & ARCHEOLOGIA

Il Paradiso sul Mare, con la sua scenografica e ariosa facciata, le soleggiate terrazze protese sull’az-zurro del

Tirreno e le torri-altane coronate da cupole argentee, nonostante il suo aspetto vago e solare, è invece uno degli edifici più misteriosi e originali di tutto il Novecento.

Nella mente del suo ideatore, Giu-seppe Polli, brillante imprenditore e noto commerciante di tessuti della Capitale, il Paradiso era stato con-cepito come casa da gioco e splen-dida passerella per il lancio della moda italiana.

Costruito fra il 1919 e il 1924 sulla riviera di levante di Anzio, che già in quegli anni era una rinomata meta

di villeggiatura dell’agiata borghe-sia romana, è fondato sulla viva roc-cia nella quale è stato ricavato un oscuro salone seminterrato, illumi-nato da torciere, da cui si dipartono

IL PARADISO SUL MARE DI ANZIO: CASINO’ O TEMPIO MASSONICO?

delle grotte che sprofondano nelle viscere della terra. Man mano che si sale verso la parte superiore dell’edi-ficio, attraversando ampie scalee, si incontrano tre grandi sale circolari poggiate una sull’altra in un giroton-do di pilastri e colonne, illuminate da ampie vetrate e caratterizzate da strutture murarie sempre più leggere fino ad arrivare alla terrazza roton-da sulla sommità della costruzione, una sorta di ara centrale all’aperto fiancheggiata dalle due torri-altane, simili ad antenne puntate verso il cielo. Una strana conformazione che sembra quasi voler far interagire le energie telluriche sotterranee con quelle cosmiche celesti…

Non è un caso che il progettista del Paradiso sia stato l’ingegnere-archi-tetto Cesare Bazzani (Roma, 1873-

1939), un personaggio legato agli ambienti massonici e alla Casa re-gnante dei Savoia, molto noto per aver realizzato importanti opere

come la Biblioteca Nazionale di Fi-renze, la sistemazione di Valle Giu-lia con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e il Ministero della Pubbli-ca Istruzione a Roma, nonché mol-tissime altre fabbriche sparse per tutta l’Italia che “messe insieme co-stituirebbero, loro sole, una città va-stissima” (G. GIOVANNONI, Cesare Bazzani. Commemorazione, Roma 1939).

Anche ad Anzio e a Nettuno Baz-zani costruì numerosi edifici tra cui la sua enigmatica villa, chiamata “Montevile a Mare”, che si erge a po-chi passi dal Casinò, e altri progetti dai nomi evocativi, come “Nettuneo” e “Belvedere Neroniano”, purtroppo rimasti sulla carta.

Dato per certo il legame di Bazzani con la Massoneria, non è fuori luogo azzardare un’interpretazione in chia-ve esoterico-massonica del Paradi-so. E’ abbastanza evidente infatti che la disposizione interna dell’edifi-cio, col passaggio dall’oscuro salone scavato nella roccia alle più lumino-se ed aeree sale circolari superiori, nell’ottica della simbologia massoni-ca allude al lavoro che l’iniziato deve compiere per purificarsi e dominare gli impulsi e le passioni, al program-ma iniziatico di crescita interiore che prevede il passaggio dalle tenebre alla luce e il riscatto dalla materia per il raggiungimento di un mondo di solo spirito in cui domina la ragione e il divino.

Come già è stato evidenziato dal-la critica “Il lessico architettonico di Bazzani è infatti talmente intessuto di simbologia esoterico e massonica da far sorgere l’ipotesi che buona parte della sua committenza [inclusa quella del Paradiso] possa apparte-nere alla Massoneria, e che si rivol-ga a lui anche per la sua particolare capacità di esprimersi con i simboli suggerendo discretamente archeti-pi massonici.” (M. GIORGINI, Con

Il Paradiso sul Mare, riviera di levante

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l’arte, per l’arte: ingegnere Cesare Bazzani, architetto, in AA.VV., Cesa-re Bazzani. Un Accademico d’Italia, Perugia 1988, p. 34).

Nel 1923 Mussolini avviò una cam-pagna antimassonica ordinando a tutti i massoni iscritti al Partito Na-zionale Fascista di sciogliere i vin-coli con le Logge. Forse per questo motivo alcuni dei simboli presenti nel Paradiso furono occultati, come nel caso della stella a otto punte sul can-cello d’ingresso che allude alla stella a nove punte simboleggiante l’azio-ne nei tre mondi materiale, psichico e divino. Ciò testimonia inoltre una tendenza del Bazzani a trasgredire alle regole impartite dal Regime no-nostante si dichiarasse apertamente “fascista della prim’ora”.

Anche altri elementi decorativi del Paradiso possono essere letti in

chiave simbolico-massonica: il pavi-mento a scacchiera bianca e nera, tipico dell’iconografia del Tempio massonico, è presente nel salone al piano terra, scavato nella roccia; le croci celtiche e le svastiche ricorrenti nei pavimenti delle terrazze, secon-do antiche credenze pagane, simbo-leggiano il movimento rotatorio del sole e rimandano quindi al ciclo vita-le della natura e dell’uomo; le corde annodate, raffigurazione simbolica del legame che unisce fra di loro i massoni, si trovano infine sulle co-lonne di una delle sale circolari.

Nel 1925 il Fascismo sciolse le Log-ge e negli anni successivi i massoni più determinati a difendere la pro-pria identità spirituale e morale furo-no mandati al confino o incarcerati, mentre quelli che decisero di rinun-ciare alle proprie idee continuarono

a godere di molti privilegi e ad assu-mere ruoli di potere. Bazzani, verso il quale Mussolini in più di un’occa-sione aveva già dimostrato una cer-ta insofferenza, per la sua apparte-nenza alla massoneria fu costretto a lavorare lontano da Roma, in provin-cia e in particolar modo a Terni. E’ proprio in questa città che l’architet-to trascorse molto tempo negli ultimi anni della sua vita e, secondo alcuni studiosi, qui la sua vena creativa si esaurì ed egli cominciò a frequenta-re alcuni circoli esoterici locali... ma questa è un’altra storia…

Il progetto del Casinò fallì misera-mente quando nel 1925 il Ministro degli Interni Federzoni sospese il rilascio delle concessioni per l’aper-tura delle case da gioco, inclusa quella di Anzio. Successivamente Mussolini acconsentì eccezional-mente all’apertura dei casinò di San Remo, Venezia e Campione, ma non di quello di Anzio, dato che il Vatica-no non poteva tollerare la presenza di un luogo di perdizione così vicino al centro mondiale della cristianità.

Giuseppe Polli, per l’opposizione della Chiesa e dei “falsi puritani: nemici della libertà, dell’iniziativa privata e del progresso” (G. POLLI, Il mio Paradiso, Roma 1955, p. 70), vide così fallire la sua impresa che avrebbe dovuto essere uno dei cen-tri propulsori per l’economia locale, basato sul trinomio Turismo – Ca-sinò – Moda, come illustra la lapide posta presso il cancello sulla riviera di levante.

Rimasto miracolosamente intatto a seguito dei bombardamenti sca-tenati su Anzio durante lo sbarco degli Alleati, il Paradiso dopo anni di abbandono è pervenuto al Comune di Anzio ed è stato adibito a scuola alberghiera.

Il salone delle torciere e le grotte scavate nella roccia non sono anco-ra accessibili perché pericolanti.

Ma nonostante tutto l’edificio con-tinua ad esercitare un notevole fa-scino, tanto che è stato utilizzato come location cinematografica per numerosi film, tra cui: “Amarcord” di F. Fellini (1973), “Polvere di Stelle” di A. Sordi (1973), “L’emigrante” di P. Festa Campanile (1973), “Camerie-ri” di L. Pompucci (1995) e “Il Talen-to di Mister Ripley” di A. Minghella (1999).

Tommaso Dore

Particolare di una delle sale da gioco

Ingresso alle grotte scavate nella roccia sottostanti all’edificio

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IALA SHOAH

Il 27 gennaio è l’anniversario della liberazione dei reclusi sopravvissu-ti dal campo di concentramento e sterminio di Auschwitz, viene com-memorato nel mondo come Giorno della Memoria, in cui ricordare la Shoah.

Olocausto è una parola derivante dal greco λόκαυστος (olokaustos, “bruciato interamente”), essa defini-sce una tipologia di sacrificio, spe-cificatamente della religione greca, ebraica e dei culti dei Cananei, nel quale ciò che si sacrifica viene com-pletamente arso. Per estensione, si riferisce anche all’oggetto del sacri-ficio.

Dalla seconda metà del XX secolo “l’Olocausto” è divenuto per antono-masia il termine con il quale ci si rife-risce al genocidio compiuto dal Terzo Reich e dai suoi alleati a danno degli ebrei (circa sei milioni di vittime).

Talvolta il termine viene riferito per estensione a tutte quelle persone, gruppi etnici e religiosi ritenuti “in-desiderabili” dalla dottrina nazista: omosessuali, oppositori politici, Rom, Sinti, zingari, testimoni di Geo-va, pentecostali, malati di mente, portatori di handicap, prigionieri di guerra sovietici, ebrei etc.

Dalla seconda metà del 1900 il ter-mine “olocausto” è stato utilizzato per descrivere l’eccidio a cui gli ebrei hanno dovuto sottostare sotto il pe-

riodo nazista.

Più recentemente è stato adottato il termine Shoah per descrivere la tragedia ebraica di quel periodo sto-rico, anche allo scopo di sottolinear-ne la specificità rispetto ai molti altri casi di genocidio, di cui purtroppo la storia umana fornisce altri esempi.

Shoah significa “desolazione, cata-strofe, disastro”.

Questo termine venne usato per la prima volta nel 1940 dalla comunità ebraica in Palestina, in riferimento alla distruzione degli ebrei polac-chi. Da allora definisce nella sua interezza il genocidio della popola-zione ebraica d’Europa. Ciò spiega come la parola Shoah non sarebbe sinonimo di Olocausto, in quanto la seconda si riferisce allo sterminio compiuto dai tedeschi nei confronti di ebrei, comunisti, Rom, omoses-suali, testimoni di Geova, dissidenti tedeschi e pentecostali, mentre la prima definisce solamente il genoci-dio degli ebrei.

Infine molti Rom usano la parola Porajmos o Porrajmos («grande di-voramento»), oppure Samudaripen («genocidio») per descrivere lo ster-minio operato dai nazisti.

In aggiunta alle esecuzioni di mas-sa, i nazisti condussero molti esperi-

menti medici sui prigionieri, bambini compresi. Uno dei nazisti più noti, il Dottor Josef Mengele, era conosciu-to per i suoi esperimenti come “l’an-gelo della morte” tra gli internati di Auschwitz.

La portata di quello che accadde nelle zone controllate dai nazisti non si conobbe esattamente fino a dopo la fine della guerra. Numerose voci e testimonianze di rifugiati diedero comunque qualche informazione sul fatto che gli ebrei venivano uccisi in grande numero. Quindi l’affermazio-ne che tali eventi fossero sconosciuti non è corretta, alcune notizie filtrava-no e nel Novembre 1944 il giurista e ricercatore polacco Raphael Lemkin nel suo lavoro Axis Rule in Occupied Europe: Laws of Occupation - Analy-sis of Government - Proposals for Redres riportava le uccisioni di mas-sa naziste fatte contro le popolazio-ni polacche, russe , indicando fra liquidati nel ghetto e morti in luoghi sconosciuti, dopo deportazioni fer-roviarie, la cifra di 1.702.500 uccisi, secondo un dato fornito dallo “Insti-tute of Jewish Affairs of the American Jewish Congress in New York”.

Si tennero anche delle manifesta-zioni come, ad esempio, quella te-nuta il 29 ottobre 1942 nel Regno Unito; molti esponenti del clero e figure politiche tennero un incontro pubblico per mostrare il loro sdegno nei confronti della persecuzione de-gli ebrei da parte dei tedeschi.

I campi di concentramento per gli “indesiderabili” erano disseminati in tutta l’Europa, creati vicino ai centri con un’alta densità di popolazione “indesiderata”: ebrei, intellighenzia polacca, omosessuali, comunisti e gruppi Rom. La maggior parte dei campi di concentramento era situata nei confini del Reich.

Molti prigionieri dei campi di con-centramento morirono a causa delle terribili condizioni di vita o a causa di esperimenti condotti su di loro da parte dei medici dei campi.

Alcuni campi, come quello di Au-schwitz-Birkenau, combinavano il lavoro schiavistico con lo sterminio sistematico. All’arrivo in questi cam-pi i prigionieri venivano divisi in due gruppi; quelli troppo deboli per lavo-rare venivano uccisi immediatamen-

Uomini nei campi di concentramento

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te nelle camere a gas (che erano a volte mascherate da docce) e i loro corpi bruciati, mentre gli altri veni-vano impiegati come schiavi nelle fabbriche situate dentro o attorno al campo. I nazisti costrinsero anche alcuni dei prigionieri a lavorare alla rimozione dei cadaveri e allo sfrut-tamento dei corpi. I denti d’oro ve-nivano estratti (senza anestesia) e i capelli delle donne (tagliati a zero prima che entrassero nelle camere a gas) venivano riciclati per la produ-zione industriale di feltro.

Oltre al campo di Auschwitz-Birke-nau (in Polonia), attualmente sono considerati campi di sterminio o campi di concentramento quelli di Bełżec (Polonia), Sobibór (Polonia), Treblinka (Polonia), Chełmno (Polo-nia), Majdanek (Polonia) e Maly Tro-stenets (Bielorussia). In tutti questi campi (salvo Auschwitz e Majdanek) solo un piccolo numero di prigionieri veniva tenuto in vita per svolgere i compiti legati alla gestione dei cada-veri delle persone uccise nelle ca-mere a gas.

Il trasporto dei prigionieri nei campi era spesso svolto utilizzando con-vogli ferroviari composti da carri bestiame, con un ulteriore elemento di umiliazione e di disagio dei prigio-nieri.

EBREIL’antisemitismo era comune

nell’Europa degli anni venti e trenta (anche se le sue origini risalgono a molti secoli prima). L’antisemitismo di Adolf Hitler venne esposto nel suo libro del 1925, il Mein Kampf, che, inizialmente ignorato, divenne popo-lare in Germania quando Hitler ac-quistò potere politico.

Con una serie di leggi le autorità tedesche limitarono sempre più le possibili attività della popolazione ebraica fino a giungere, nel settem-bre 1935, alla promulgazione delle leggi di Norimberga che, di fatto, esclusero i cittadini di origine ebrai-ca da ogni aspetto della vita sociale tedesca.

L’iniziale politica tedesca di ob-bligare gli ebrei ad un’emigrazio-ne «forzata» dai territori del Reich raggiunse il suo apice nel corso del pogrom del 9-10 novembre 1938, passato alla storia con il nome di «Notte dei cristalli», quando circa 30.000 ebrei vennero deportati pres-so i campi di Buchenwald, Dachau e Sachsenhausen ed obbligati ad abbandonare, spogliati di ogni bene, la Germania e l’Austria (annessa nel marzo di quell’anno alla Germania) per poter riottenere la libertà.

Allo scoppio del secondo conflitto mondiale la politica di emigrazione forzata non poté più essere praticata con successo a causa delle difficoltà imposte dalla guerra stessa. La nuo-va «soluzione» si basò sul fatto che in molte città d’Europa gli ebrei ave-vano vissuto in zone ben delimitate. Per questo i nazisti formalizzarono i confini di queste aree e imposero una limitazione degli spostamenti agli ebrei che vi erano confinati, cre-ando i ghetti moderni.

I ghetti erano, a tutti gli effetti, pri-gioni nelle quali molti ebrei morirono di fame e malattie; altri furono ucci-si dai nazisti e dai loro collaboratori dopo essere stati sfruttati nell’impie-go a favore dell’industria bellica te-desca.

Durante l’invasione dell’Unione Sovietica oltre 3.000 uomini appar-tenenti ad unità speciali (Einsatz-gruppen) seguirono le forze armate naziste e condussero uccisioni di massa della popolazione ebrea che viveva in territorio sovietico. Inte-re comunità vennero spazzate via, venendo catturate, derubate di tutti i loro averi e uccise sul bordo di fos-

sati.Nel dicembre del 1941 Hitler de-

cise infine di sterminare gli ebrei d’Europa, durante la Conferenza di Wannsee (20 gennaio 1942), molti leader nazisti discussero i dettagli della “soluzione finale della questio-ne ebraica”.

Le decisioni prese a Wannsee portarono alla costruzione dei pri-mi campi di sterminio nel contesto dell’Operazione Reinhard che prov-vide alla costruzione ed all’utilizzo di tre centri situati nel Governatorato Generale: Bełżec, Sobibór e Tre-blinka che complessivamente, tra il 1942 ed l’ottobre del 1943, portaro-no alla morte di 1.700.000 persone deportate dai ghetti attraverso.

Le «esperienze» maturate nei cam-pi dell’Operazione Reinhard con-dussero all’ampliamento del campo di concentramento di Auschwitz, si-tuato strategicamente in una zona di facile accessibilità ferroviaria, e alla creazione di quattro nuove grandi camere a gas ed impianti di crema-zione presso il centro distaccato di Auschwitz II – Birkenau.

Si calcola che durante la seconda guerra mondiale persero la vita circa sei milioni di ebrei. Le condizioni di abbrutimento e annichilimento della persona sono state riportate nelle pagine di Se questo è un uomo, ca-polavoro dello scrittore italiano Pri-mo Levi, deportato ad Auschwitz e miracolosamente sopravvissuto alla prigionia nel campo di sterminio.

OMOSESSUALIGli omosessuali erano un altro dei

gruppi presi di mira durante l’olocau-sto. Ad ogni modo il partito nazista non fece mai nessun tentativo di sterminare tutti gli omosessuali; in base alle prime leggi naziste, essere omosessuali in sé non era un motivo sufficiente per l’arresto, occorreva avere compiuto qualche atto omo-sessuale, punibile in base al para-grafo 175.

Dopo la fine delle SA e il trionfo delle SS, però, la persecuzione si aggravò, anche se rimase sempre limitata ai gay tedeschi, ariani. Era-no questi che rifiutando di unirsi alle donne intralciavano la crescita della “razza ariana”. I nazisti si disinteres-sarono in genere degli omosessuali maschi di altri popoli considerati “in-feriori”, per concentrarsi e tentare di “curare” i maschi gay tedeschi.

Dottor Josef Mengele, conosciuto

per i suoi esperimenticome “l’angelo della morte”

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Alcuni membri eminenti dei verti-ci nazisti, come Ernst Röhm, erano conosciuti dai loro stessi compagni di partito come omosessuali, il che può rendere conto del fatto che la dirigenza nazista diede segnali con-trastanti su come trattare con gli omosessuali. Alcuni dei leader vo-levano chiaramente il loro sterminio, mentre altri si limitavano a chiedere un rafforzamento delle leggi contro gli atti omosessuali, ma per il resto permisero agli omosessuali di vivere come gli altri cittadini.

Le stime sul numero di omoses-suali internati con il triangolo rosa e uccisi variano molto. Si va da un minimo di 10.000 fino a un massimo di 600.000. Questo ampio intervallo dipende in parte dal criterio adottato dai ricercatori per classificare le vit-time: se solo omosessuali o anche appartenenti ad altri gruppi stermi-nati dai nazisti (ebrei, rom, dissidenti politici).

ZINGARILa campagna Hitleriana di geno-

cidio nei confronti dei popoli zigani principalmente Rom e Sinti dell’Eu-ropa venne vista da molti come un’applicazione particolarmente biz-zarra della scienza razziale nazista. Gli antropologi tedeschi erano diso-rientati dalla contraddizione che gli zingari erano discendenti degli origi-nali invasori ariani dell’India, che tor-narono poi in Europa. Ironicamente, questo li rendeva non meno ariani della stessa gente tedesca. Que-sto dilemma fu risolto dal Professor Hans Gunther, uno dei principali scienziati razziali, che scrisse:

«Gli Zingari hanno effettivamente mantenuto alcuni elementi della loro origine nordica, ma essi discendono dalle classi più basse della popola-zione di quella regione. Nel corso della loro migrazione, hanno assor-bito il sangue delle popolazioni cir-costanti, diventando quindi una mi-scela razziale di Orientali e Asiatici occidentali con aggiunta di influssi Indiani, Centroasiatici ed Europei. »

Come risultato, nonostante le mi-sure discriminatorie, alcuni gruppi di Rom, comprese le tribù tedesche dei Sinti e dei Lalleri, vennero risparmia-ti dalla deportazione e dalla morte. I restanti gruppi zingari soffrirono all’incirca come gli ebrei (e in alcu-ni casi vennero degradati ancor più degli ebrei).

Nell’Europa Orientale, gli zingari venivano deportati nei ghetti ebraici, uccisi dagli Einsatzgruppen delle SS nei loro villaggi, o deportati e gasati ad Auschwitz e Treblinka.

TESTIMONI DI GEOVAI Testimoni di Geova, malgrado la

“dichiarazione dei fatti” del 1933 in-dirizzata dai Testimoni di Geova al governo tedesco in cui si richiamava l’attenzione di Hitler sul fatto che “Ci sia consentito richiamare l’attenzione sul fatto che in America, dove i nostri libri furono scritti, cattolici ed ebrei si sono alleati nel denigrare il governo nazionale tedesco e nel tentativo di boicottare la Germania a motivo dei principi sostenuti dal partito nazio-nalsocialista”, furono tra i primi ad essere presi di mira dallo stato na-zionalsocialista con la deportazione nei campi di concentramento.

Essi rifiutavano il coinvolgimento nella vita politica, non volevano dire “Heil Hitler” né servire nell’esercito tedesco. Nel 1933, la comunità re-ligiosa fu messa al bando e la sua opera di predicazione fu messa fuori-legge. Nell’agosto del 1942, consta-tando che tutte le misure più drasti-che non erano servite né a bloccare le loro attività né ad impedire le loro iniziative, Hitler stesso dichiarò con fervore in un discorso che “questa genìa deve essere eliminata dalla Germania”.

Pur subendo numerosi colpi mor-tali, i Testimoni di Geova non furo-no sterminati. Da 25.000 all’epoca

dell’ascesa al potere nazista, dopo la capitolazione del Reich si conta-vano ancora 7.000 attivi evangeliz-zatori.

Mentre gli altri erano condannati senza alcuna possibilità di salvezza per motivi razziali, politici o morali, solo per i Testimoni di Geova era prevista l’opzione della liberazione dal campo di concentramento attra-verso una semplice firma di abiura.

ALTRIDei Pentecostali deportati nei cam-

pi di sterminio non se ne conosce il numero preciso in quanto conside-rati malati di mente a motivo della glossolalia. In Italia venne emanata l’apposita circolare Buffarini Guidi che ne metteva al bando il culto.

Le popolazioni slave erano tra gli obiettivi dei nazisti, soprattutto per quanto riguarda gli intellettuali e le persone eminenti, anche se ci fu-rono alcune esecuzioni di massa e istanze di genocidio (gli Ustascia croati ne sono l’esempio più noto).

Durante l’Operazione Barbaros-sa, l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica del 1941-1944, milioni di prigionieri di guerra russi vennero sottoposti ad arbitraria esecuzione sul campo dalle truppe tedesche o vennero spediti nei molti campi di sterminio per l’esecuzione, sempli-cemente perché erano di estrazione slava. Migliaia di contadini russi ven-nero annichiliti dalle truppe tedesche più o meno per le stesse ragioni.

Il 24 agosto 1941, Adolf Hitler ordi-nò la fine del Programma T4, l’ucci-sione sistematica, definita dai nazio-nalsocialisti «eutanasia», dei malati di mente ed i portatori di handicap a causa di proteste da parte della po-polazione tedesca.

12/17 MILIONI DI MORTIIl numero esatto di persone uccise

dal regime nazista è ancora sogget-to a ulteriori ricerche. Recentemen-te, documenti declassificati di prove-nienza britannica e sovietica hanno indicato che il totale potrebbe essere ancora superiore a quanto ritenuto in precedenza.

Dai dati si deduce che i morti furo-no circa:

Ebrei 5,9 milioniPrigionieri di guerra sovietici 2–3

milioni

Uomo con la stella di David(simbolo usato come

distintivo dei “non ariani”)

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IAPolacchi non Ebrei 1,8–2 milioniRom e Sinti 220.000-500.000Disabili e Pentecostali 200.000–

250.000Massoni 80.000–200.000Omosessuali 5.000–15.000Testimoni di Geova 2.500–5.000Dissidenti politici 1-1,5 milioniSlavi 1-2,5 milioniTotale 12,25 - 17,37 milioni.

SEGNI DI RICONOSCIMENTOI prigionieri, al loro arrivo, erano

obbligati ad indossare dei triangoli colorati sugli abiti, che qualificavano visivamente il tipo di «offesa» per la quale erano stati internati.

I più comunemente usati erano:Giallo: ebrei, due triangoli sovrap-

posti a formare una stella di David, con la parola Jude (Giudeo) scritta sopra;

Rosso: dissidenti politici;Rosso con al centro la lettera S: re-

pubblicani spagnoli;Verde: criminali comuni;Viola: Testimoni di Geova;Blu: immigranti;Marrone: zingari;Nero: soggetti “antisociali” e lesbi-

che;Rosa: omosessuali maschi.

CONSEGUENZEL’Olocausto ha una serie di ramifi-

cazioni politiche e sociali che arriva-no fino al presente. Il bisogno di una patria per molti rifugiati ebrei portò una parte di loro a emigrare in Pale-stina, gran parte della quale sarebbe ben presto diventata il moderno Sta-to di Israele. Questa immigrazione ha avuto un effetto diretto sugli Arabi della regione, che ne ha conseguito il discusso (infinito) conflitto israelo-palestinese e quelli ad essi correla-ti.

MEMORIANota vittima dell’Olocausto fu

Frank, una ragazzina ebrea tedesca rifugiatasi in Olanda con la famiglia, che morì nel 1945; ha scritto un diario pubblicato in seguito alla sua morte dal padre, che ha rappresentato una delle più note testimonianze, a livel-lo internazionale, delle persecuzioni naziste.

Emblematica fu anche la figura della filosofa ebrea tedesca Edith Stein, scomparsa ad Auschwitz il 9 agosto 1942. Edith Stein, converti-tasi al cattolicesimo e santificata ne-

gli anni finali del pontificato di papa Giovanni Paolo II, incarna infatti la figura dell’ebrea convertitasi al cat-tolicesimo che la follia nazista non esita ad opprimere con tutta la sua cieca violenza. La radicalità dei suoi costumi religiosi (era diventata mo-naca di clausura tra le carmelitane) e la fierezza delle sue posizioni por-teranno il Reich hitleriano a perse-guitarla e a confinarla ad Auschwitz, dove della sua presenza non rimarrà più traccia.

Il 27 gennaio, anniversario della liberazione dei reclusi sopravvissu-ti dal campo di concentramento e sterminio di Auschwitz, viene com-memorato nel mondo come Giorno della Memoria, in cui ricordare la Shoah.

Francesco Voce

Auschwitz

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IALA PERSECUZIONE PAGANA Intorno al III° secolo d.C., a causa

dell’affermarsi del Cristianesimo e di altre religioni di tendenza enoteisti-che, iniziò il lento declino delle reli-gioni pagane, declino inizialmente circoscritto all’interno dell’Impero Romano.

Fu Galerio il primo imperatore ro-mano a emanare un editto di tolle-ranza per tutte le religioni, ma sarà Costantino a agevolare l’ascesa del Cristianesimo e il declino del paga-nesimo.

Nel 313 l’imperatore Costantino emanò l’Editto di Milano.

L’Editto di Milano stabiliva, giusta-mente, la libertà di culto per tutte le religioni e pose fine alle persecuzio-ni contro i cristiani.

L’errore fu che da questo momento la posizione del Cristianesimo come religione di stato si andò a consoli-darsi sempre di più, a scapito delle religioni pagane.

Nel III secolo l’impero era in profon-da crisi, e all’imperatore Costantino serviva l’oro per sistemare le casse dell’impero.

Essendo il Paganesimo una religio-ne molto ricca, all’interno dei templi erano infatti custodite enormi quanti-tà di oro, offerte sacre fatte dai fedeli, tutti questi beni erano indispensabili per l’imperatore Costantino.

In questa situazione a Costantino era diventata molto utile per la sal-vezza economica dell’Impero la dif-fusione del Cristianesimo, per via

del loro “comandamento della carità” e di un approccio alla vita terrena più remissivo.

Ben presto il Cristianesimo si pose in rivalità con le esistenti religioni pagane, specie quando l’imperatore Costantino si convertì alla nuova re-ligione.

Intorno al 320 un nuovo editto, sempre emanato da Costantino, proibì i sacrifici e le pratiche divina-torie private.

Con Costantino convertito al Cri-stianesimo anche i suoi figli ne furo-no influenzati, è il caso di Costanzo II.

Nel 341 fu emanato un editto che proibiva i sacrifici pagani, anche in pubblico, e stabiliva che tutti i templi pagani dovevano essere chiusi. Ma la reazione fu di totale disaccordo, tanto che Costanzo II e suo fratel-lo Costante emanarono nuovi leggi che preservavano i templi e stabili-va multe contro i vandalismi rivolti a tombe e monumenti, ponendoli quest’ultimi sotto la custodia dei sa-cerdoti pagani.

Nel 356 venne emanato un editto che puniva con la morte i trasgres-sori delle precedenti legislazioni.

In seguito ai privilegi concessi al Cristianesimo si assistette, spesso da gruppi di fanatici, a vari episodi di distruzione di sculture di divinità e luoghi di culto pagani, con la scusan-te della credenza che questi luoghi

o sculture fossero le dimore di de-moni.

Il 27 febbraio 380 i tre imperatori Graziano, Valetiniano II e Teodosio I promulgarono l’editto di Tessalo-nica. Con questo editto la religione Cristiana divenne ufficialmente reli-gione di stato.

Nel 381 fu proibita nuovamente la partecipazione a tutti i riti pagani, stabilendo che coloro che da cristia-ni si fossero convertiti ala religione pagana perdessero il diritto di fare testamento legale. Nel 382 fu ema-nato un emendamento il quale san-civa la conservazione degli oggetti pagani di valore artistico.

Nel 383 il giorno di riposo, il dies solis, fu rinominato dies dominicus divenendo obbligatorio (nacque la domenica).

In seguito a questi emendamenti vi furono varie rivolte, da parte dei pagani.

Come reazione Teodosio irrigidì ul-teriormente la sua politica religiosa e tra il 391 e il 392, furono emanate i decreti teodosiani, che attuavano in pieno l’editto di Tessalonica. Ven-nero interdetti gli accessi ai templi pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto, inasprendo ulteriormente le pene amministrative per i cristiani che si convertissero al paganesimo.

L’inasprimento della legislazione “anti-pagana”, alimentò l’atteggia-mento ostile e barbarico dei cristiani, molti templi pagani furono distrutti e provocarono varie rivolte da parte della comunità pagana.

A partire dal 391 Teodosio I proibì il mantenimento di qualunque culto

Imperatore Costantino

Imperatore Galerio

Imperatore Teodosio

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IApagano e il sacro fuoco nel tempio di Vesta (che da secoli ardeva ininter-rotto) venne spento, decretando la fine dell’ordine delle Vestali.

L’ultima gran sacerdotessa di Ve-sta fu Celia Concordia (384).

I successori di Teodosio I, Arcadio in oriente e Onorio in occidente, ri-badirono la proibizione di tutti i culti pagani. Un decreto del 408 sanciva che i templi erano edifici pubblici e come tali andavano conservati, limi-nandone gli elementi del culto paga-no.

Nel 415 ad Alessandria d’Egitto, il vescovo Cirillo di Alessandria (oggi Santo per la chiesa cristiana) fu re-sponsabile del martirio della filosofa Ipazia. Le fonti ci narrano che fu pre-sa da una banda di fanatici cristiani (guidati dal vescovo Cirillo) e trasci-nata in una chiesa dove fu fatta a pezzi e poi bruciata.

Nel 435 Teodosio II ordinò la distru-zione di tutti i templi pagani rurali so-pravissuti.

Durante il V secolo l’atteggiamento verso i templi cambiò, quelli che non furono distrutti vennero trasformati in chiese.

La motivazione ufficiale fu la vo-lontà di esorcizzare quei luoghi, in realtà il motivo era prettamente eco-nomico, era meno dispendioso riuti-lizzare un tempio che costruire una chiesa ex novo. Inoltre riadattando i templi per il nuovo culto si sperava di attenuare la forte ostilità esistente tra i due gruppi religiosi dei pagani e dei cristiani.

Nella sua diffusione, il Cristianesi-mo lentamente riuscì a distruggere la paganità dell’occidente, privando-ne i miti del loro significato esoterico/allegorico, schiacciandone le ideolo-gie, abbattendo i suoi luoghi di culto, le accademie e le filosofie, eliminan-do fisicamente sacerdoti, filosofi ed intellettuali. La repressione venne attuata anche (specialmente) con la conversione di simboli, figure, divi-nità pagane in elementi accomunati alla figura di Satana, e quando que-sti simboli erano molto sentiti dalla popolazione diventavano simboli le-gati alla vita del Cristo (un esempio è la croce, simbolo per eccellenza solare).

Tra il IX e il X secolo molti altri luo-ghi pagani, legati alla sacralità del territorio, furono recuperati e riutiliz-zati dagli eremiti per costruirvi eremi

e monasteri.

A partire dal II millennio il termine “pagano” venne usato per identifi-care gli appartenenti a religioni non cristiane, spesso con una valenza dispregiativa, sinonimo di arretratez-za e ignoranza.

Più tardi venne adottato il termine “eretico” per identificare quegli uomi-ni con idee o filosofie diverse o con-trastante alla teologia Cristiana.

Nel 1184 Papa Lucio III, durante il Concilio di Verona (presieduto an-che dall’imperatore Federico Barba-rossa), con la stipula “Ad abolendam diversa rum haeresum pravitatem” costituì l’Inquisizione.

L’Inquisizione (o Santa Inquisizio-ne) fu quell’istituzione ecclesiastica atta ad indagare, a reprimere il mo-vimento cataro e controllare i diversi movimenti spirituali e pauperistici e all’occorrenza punire, mediante ap-posito tribunale, i sostenitori di teo-rie o filosofie considerati contrarie o pericolose per l’ortodossia cattolica. L’intento ufficiale era quello di ripor-tare gli eretici nella via della “vera fede”.

Questo degenerò in una serie di condanne spesso ingiuste e infonda-te, dando vita alla (delirante) “Caccia alle Streghe”.

Per Stregoneria si indica un in-sieme di pratiche magiche e rituali, spesso di derivazione pagana.

La figura della strega ha radici pre-cristiane, ed è presente in quasi tutte le culture, una figura a metà strada tra lo sciamano e l’uomo dotato di poteri occulti.

La strega (stregone al maschile) è quindi esperta in varie discipline o co-munque ne è a conoscenza di esse,

tra le discipline più note vi sono l’uso medico delle erbe, dei cristalli, delle pietre e la conoscenza delle “arte” divinatorie. Da sempre considerata una persona saggia, colta e dotta, ma l’alone demoniaco gli fu attribuito quando l’Inquisizione iniziò a dargli la “caccia”.

Lo stesso Paracelso affermava di aver imparato di più da una strega che dai filosofi e dai medici del suo tempo.

La Caccia alle Streghe fu avvalo-rata anche dal passo 22,12 del libro dell’Esodo, venne tradotto in: “Non lascerai vivere chi pratica magia”; in realtà l’espressione originale in ebraico intendeva: “... qualcuno che opera nell’oscurità e blatera”.

L’imperatore tedesco Frederik II, nel 1224 emanò una legge con il quale ordinava che tutti i colpevoli di eresia venissero condannati al rogo.

Nel 1252 Papa Innocenzo IV ema-nò la bolla “Ad extirpanda” con cui autorizzò l’uso della tortura, il suc-cessore Giovanni XXII estese i pote-ri dell’Inquisizione anche nella lotta contro la stregoneria.

La prima strega della quale abbia-mo notizie storiche certe, si chiama-va Angele e venne condannata al rogo, a Tolone (Francia) nel 1274.

Su richiesta dei sovrani di Spagna, Ferdinando e Isabella, Papa Sisto IV nel 1478 estese l’Inquisizione nelle terre di Spagna, con l’iniziale inten-to di debellare l’islam e successiva-mente (con la scoperta dell’America e l’inizio del colonialismo) fu estesa alle colonie dell’America centrome-ridionale e nel vice-regno di Sicilia, questa oggi viene conosciuta come l’Inquisizione Spagnola.

In Italia la prima condanna di stre-goneria, di cui si hanno notizie, ri-sale al 20 marzo 1428 giorno in cui venne messa al rogo Matteuccia Di Francesco, essa fu condannata dal tribunale laico della sua città di Todi (Umbria, Perugia).

La “Caccia alle Streghe” si concen-trò soprattutto tra la fine del 1400 e la prima metà del 1600 e conobbe due ondate: la prima che andò dal 1480 al 1520 e la seconda dal 1560 al 1650.

Nel 1536 su richiesta del re di Por-togallo Giovanni III, il Papa Paolo III estese l’Inquisizione dal Brasile, alle Isole di Capo Verde, a Goa e fino in

Papa Lucio III

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India, questa conosciuta come l’In-quisizione Portoghese.

L’Inquisizione Spagnola e Porto-ghese giustificò lo sterminio del 90% degli indios, del centro-sud America, da parte dei Conquistadores. I con-quistadores spagnoli e portoghesi depredavano le terre in nome del Bene, di Cristo.

Il processo alle streghe di Salem inaugurò nel 1692 l’inizio di una se-rie di persecuzioni, accuse ed ese-cuzioni capitali per il presunto reato di stregoneria. A seguito di tale pro-cesso vennero giustiziate 19 perso-ne accusate di stregoneria; 55 fra uomini e donne vennero torturati per aver reso false testimonianze, 150 sospettati furono imprigionati ed al-tre 200 persone vennero accusate di stregoneria.

In seguito i stessi giudici che con-dannarono e giudicarono queste persone chiesero scusa, ammetten-do di aver compiuto una follia e di cercare di non ripeterlo mai più.

Molte delle presunte streghe ven-nero torturate e bruciate vive, le mo-tivazioni ufficiali erano varie, spesso erano mosse da accuse per ragioni futili.

Spesso venivano accusate di stre-goneria le balie, bastava che il bam-bino nascesse morto per riversare la delusione e il dolore emotivo verso colei che aveva assistito al parto. Macabramente furono accusati, tor-turati e in alcuni casi giustiziati an-che bambini, di 17 anni, accusati di essere posseduti o di aver parteci-pato ai Sabba delle streghe.

Durante le torture in cambio della riduzione dei tormenti, si invitava la strega o stregone di fare il nome di presunti complici, spesso si invitava di accusare qualche benestante del luogo, allo scopo di poter istituire il processo successivo, che consiste-va alla confisca dei beni.

In Europa l’ultima strega condanna-ta a morte fu Anna Göldi, uccisa nel 1782 a Glarona, in Svizzera. Solo nel 2008 il parlamento Cantonale ha riabilitato la sua figura.

Secondo alcune stime furono svolti circa 110.000 processi, svoltisi prin-cipalmente in Germania (50.000), in Polonia (15.000), in Francia (10.000), in Svizzera (9.000), nelle Isole Bri-tanniche (5.000), nei paesi Scandi-navi (5.000), in Spagna (5.000), in

Italia (5.000) e in Russia (4.000).Brian Levack ha valutato un totale

di giustiziati pari a circa 60.000 per-sone in soli tre secoli.

In questi processi l’80% degli accu-sati era di sesso femminile, mentre in Estonia (60%), in Russia (68%) e in Islanda (90%) vi fu una predomi-nanza maschile, dovuta forse al per-durare di una tradizione sciamanica orientata anche al sesso maschile.

In Italia la maggior parte dei roghi si ebbero nella prima parte del ‘500 soprattutto nell’Italia Settentrionale ed in Toscana, con un solo caso a Benevento. Probabilmente perché nel meridione la figura della strega era ben integrata nel tessuto socia-le, ancora oggi è possibile entrare in contatto con persone che pratica-no “rituali” considerati “stregonici”, come il togliere le fatture (il maloc-chio o affascinu) oppure creare tali-smani e amuleti di buon auspicio.

In Italia le maggiori persecuzioni si sono svolte in:

Val Camonica (1518-1521) la più grande caccia alle streghe del no-stro territorio, dove vi furono tra i 62 e gli 80 roghi; a Como (1510 ca), con circa 60 roghi; in Val di Fiemme (1501-1505), con 11 roghi; a Miran-dola (1522-1523), con 10 roghi; a Peveragno (Cuneo) (1513), con 9 roghi.

Durante l’Ottocento la maggior par-te degli Stati europei soppressero i tribunali dell’Inquisizione, pur man-tenendo leggi che continuavano a condannare questa “pratica”.

L’unico stato che ha mantenuto l’In-quisizione fu lo Stato Pontificio.

Nel 1908 Papa Pio X cambiò il

nome al Tribunale dell’Inquisizione, denominandolo Sacra Congregazio-ne del Santo Offizio.

Nel Concilio Vaticano II durante il pontificato di Paolo VI, nel 1965, il Santo Offizio assunse il nome di Congregazione per la Dottrina del-la Fede (in latino Congregatio pro Doctrina Fidei), fin ad oggi ancora attivo.

Stime attuali parlano di circa 110.000 processi, svoltisi principal-mente in Germania (50.000), Po-lonia (15.000), Francia (10.000), Svizzera (9.000), isole britanniche (5.000), paesi scandinavi (5.000), Spagna (5.000), Italia (5.000) e Rus-sia (4.000).

Brian Levack ha valutato le ese-cuzioni capitali al 55% dei processi, giungendo pertanto ad un totale di giustiziati pari a circa 60.000 perso-ne in tre secoli.

Anche se ormai, secondo recenti studi, si tende a considerare che le vittime in totale furono circa 9 milio-ni.

In questi processi l’80% degli accu-sati era di sesso femminile, mentre in Estonia (60%), Russia (68%) e slanda (90%) vi fu una predominan-za maschile.

A differenza di quanto si crede co-munemente, durante il Medioevo le persecuzioni furono rivolte soprattut-to contro gli eretici (Catari, Valdesi, o Albigesi), e comunque contro “le altre fedi”, accusate di concubinag-gio con il diavolo. È solo a partire dall’età moderna (dopo la scoperta delle Americhe, nel momento in cui nasce l’Umanesimo e in cui la stam-pa appare) che incomincia la caccia alle streghe vera e propria, perse-cuzione definita da alcuni sessista (probabilmente l’unica del genere nella storia), per via che spesso le torture sembrano richiamare più a repressioni sessuali che a torture atte per redimere il peccatore o pec-catrice.

Ma si sa il pregiudizio tarda a mo-rire!

Nel 1944 Helen Duncan fu impri-gionata per nove mesi creddendola colpevole di aver usato la stregone-ria per affondare la nave in cui era morto il proprio marito. Solamente il 2 febbraio del 1998 lo Stato chie-se scusa. Nel 1951 in Gran Breta-gna furono abrogate le ultime leggi

Disegno d’epoca raffigu-rante una strega in volo su

una scopa

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contro la Stregoneria, questo per-mise a Gerald Gardner di pubblica-re “Witchcraft Today” (stregoneria oggi), sancendo la diffusione della Wicca e quindi in un certo senso an-che dello stesso Neopaganesimo.

Nel 1985, una donna a San Diego perse il lavoro perché accusata di essere una strega.

Nel 1999, negli Stati Uniti si istituì un gruppo di cristiani conservatori, su iniziativa di Bob Barr, in risposta al crescente fenomeno degli incontri per celebrare riti wiccan nelle basi militari. Il gruppo invitò i cittadini americani a una revisione dei diritti di libertà religiosa alla luce della mo-rale cristiana.

Barr sosteneva (e sostiene) che il Neopaganesimo fosse un prodotto di eccessiva libertà e che per soppri-merlo bisognasse irrigidire e limitar-ne tale concetto.

Il 12 marzo 2000, nel corso di una celebrazione in Vaticano, per l’occa-sione del Giubileo, il Papa Giovanni Paolo II chiese «scusa», in mondo-visione, per le colpe passate della Chiesa. Durante l’omelia chiese per-dono per “… l’uso della violenza che alcuni di essi hanno fatto … per gli atteggiamenti di diffidenza e di osti-lità assunti nei confronti dei seguaci di altre religioni”, sottolineando che

si chiede perdono per aver adottato “… i mezzi dubbi per i fini giusti …” (era un fine giusto quello di bruciare le streghe?). Un perdono chiesto a Dio (non alle vittime). Un perdono chiesto per i figli della Chiesa (la comunità battezzata) e non per la Chiesa-istituzione. Purtroppo nes-sun nome di colpevole fu pronuncia-to e tutto si mantenne generico. Ci si riferì semplicisticamente al regime nazista come “pagano” tacendo sul-le prese di posizione a suo favore dei vescovi tedeschi.

I peccati a cui si riferiva il per cre-dono vennero collocati a quelli com-messi nel secondo millennio, forse perché i pagani massacrati prece-dentemente non meritavano scuse?

Resta comunque coraggiosa e lo-devole la scelta della Chiesa Cattoli-ca di chiedere scusa, anche perché nessuna religione ha finora chiesto scusa per errori commessi, consi-derando che religioni come l’Islam risultano ancora oggi molto ostili nei confronti dei culti pagani.

Per il musulmano il proselitismo verso il paganesimo è un obbligo morale, meno invece verso i fedeli delle religioni monoteiste. Secondo l’Islam i fedeli alle religioni monotei-ste posseggono già una “rivelazione”

tramite l’uso delle Sacre Scritture, pur essendo corrotte e incomplete dalla manipolazione umana, mentre invece il pagano è un’idolatra, una blasfemo.

Ancora oggi nella maggior parte dei paesi islamici vi è il divieto di fare proselitismo per i non musulmani, in alcune località i luoghi di culto non islamici sono obbligati a pagare la jizya (una tassa per essere tutelati e protetti dallo stato, preservandoli da eventuali attacchi violenti).

Tutt’oggi il tasso di violenza nei confronti degli islamici che si conver-tono ad altri credi è molto alto.

Solo nel 2011 in Arabia Saudita (paese islamico per antonomasia) i processi terminati con pena di morte contro la stregoneria sono stati circa 73, tra cui molte donne, come Amina Bent Abdellhalim Nassar decapitata in modo cruento, secondo Amnesty sarebbero 140 le persone che aspet-tano il boia per accuse simili.

Oggi, in Occidente il paganesimo si è ripreso e inizia a diffondersi velo-cemente, in Asia e in Africa è invece ancora in atto, da parte dei cristiani (ma anche islamici), un tentativo di sradicare il paganesimo.

Francesco Voce

Tipica tortura ad opera della Santa Inquisizione

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GIOCHI OLIMPICI ANTICHII Giochi olimpici antichi furono del-

le celebrazioni atletiche e religiose, svolte nella città della Grecia antica, Olimpia, storicamente dal 776 a.C. al 393 d.C.

Le Olimpiadi avevano anche un’im-portanza religiosa, in quanto si svol-gevano in onore di Zeus, re degli dèi.

I vincitori delle gare venivano fatti oggetto di ammirazione e immortala-ti in poemi e statue, e fregiati di una corona di ulivo.

I Giochi si tenevano ogni quattro anni e il periodo tra le due celebra-zioni divenne noto come Olimpiade; i Greci usavano questa suddivisione per il computo degli anni. Per tutta la durata dei giochi venivano sospese le ostilità in tutta la Grecia: questa tregua era chiamata Ekecheiria.

La partecipazione era riservata a greci maschi liberi, che potessero vantare antenati greci. La necessità di dedicare molto tempo agli alle-namenti permetteva solo ai membri delle classi più facoltose di prendere in considerazione la partecipazione.

L’origine degli antichi Giochi olim-pici si è persa, anche se esistono molte leggende. Il primo documento scritto che può riferirsi alla nascita delle Olimpiadi parla di una festa con una sola gara: lo stadion. Da quel momento in poi tutti i Giochi diven-nero sempre più importanti in tutta la Grecia antica. Successivamente altri sport si aggiunsero alla corsa e il numero di gare crebbe fino a venti, e duravano sette giorni.

Nell’antichità, si tennero in tutto 292 edizioni dei Giochi olimpici.

A differenza dei Giochi olimpici moderni, solamente uomini che par-lavano greco potevano partecipare alle celebrazioni, i partecipanti pro-venivano dalle varie città stato della Grecia, ed anche dalle colonie della Magna Gracia.

I Giochi persero gradualmente im-portanza con l’aumentare del potere romano in Grecia: all’inizio furono benvoluti e aperti anche a Romani, Fenici, Galli e altri popoli sottomessi (Nerone, ad esempio, aprì un enor-me edizione dei giochi a Roma in cui tutti gli atleti dell’Impero Romano poterono partecipare, lui compreso),

ma quando il Cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero Ro-mano, i Giochi olimpici vennero visti come una festa “pagana”, e nel 393 d.C., l’imperatore Teodosio I, assie-me al Vescovo di Milano Ambrogio, li vietò, ponendo fine a una storia durata oltre mille anni.

Dopo quasi 15 secoli di interruzio-ne, nel 1896 Pierre de Coubertin ri-stabilì i giochi olimpici cambiando un bel po’ di regole.

GIOCHI OLIMPICI MODERNII Giochi olimpici moderni continua-

no ad essere un evento sportivo qua-driennale, essi prevedono la compe-tizione tra i migliori atleti del mondo in quasi tutte le discipline sportive praticate nei cinque continenti.

Il barone Pierre De Coubertin alla fine del XIX secolo ebbe l’idea di organizzare dei giochi simili a quelli dell’antica Grecia, e quindi preclusi al sesso femminile, ma su questo punto non venne ascoltato.

L’interesse nella rinascita dei Gio-chi Olimpici crebbe quando le rovine dell’antica Olimpia vennero scoper-te da degli archeologi tedeschi alla metà del XIX secolo.

Contemporaneamente il barone

francese, Pierre de Coubertin, cer-cava una spiegazione alla sconfitta francese nella guerra franco-prus-siana (1870-1871). Giunse alla con-clusione che i francesi non avevano ricevuto un’educazione fisica ade-guata, e si impegnò per migliorarla. De Coubertin voleva anche trovare un modo di avvicinare le nazioni, di permettere ai giovani del mondo di confrontarsi in una competizione sportiva, piuttosto che in guerra. E la rinascita dei Giochi Olimpici avrebbe permesso di raggiungere entrambi gli obiettivi. Il barone venne, a tal proposito, influenzato dall’esempio di William Penny Brookes, medico inglese promotore fin dal 1850 di un’iniziativa analoga nella cittadina britannica di Much Wenlock.

De Coubertin presentò in pubblico le sue idee nel giugno 1894 duran-te un congresso presso l’università della Sorbona a Parigi. Il 23 giugno, ultimo giorno del congresso, venne deciso che i primi Giochi Olimpici dell’era moderna si sarebbero svolti nel 1896 ad Atene, in Grecia, la terra dove erano nati in antichità. Fu fon-dato il Comitato Olimpico Internazio-nale (CIO) per organizzare l’evento, sotto la presidenza del greco Deme-trius Vikelas.

LE OLIMPIADI

Olimpia, Grecia

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Le prime Olimpiadi dell’era moder-na si svolsero ad Atene nel 1896, esse furono un successo. Con quasi 250 partecipanti, fu per l’epoca il più grande evento sportivo internaziona-le mai organizzato. La Grecia chiese di diventare sede permanente di tut-ti i futuri Giochi Olimpici, ma il CIO decise che le Olimpiadi avrebbero dovuto essere organizzate di volta in volta in una nazione diversa. Le se-conde Olimpiadi furono assegnate a Parigi, Francia.

Il movimento olimpico utilizza di-versi simboli, principalmente ispirati alle idee e agli ideali espressi da De Coubertin.

A partire dal 1924, vennero istituiti anche dei Giochi Olimpici invernali specifici per gli sport invernali.

In più, esistono anche le Paralim-piadi, competizioni fra persone di-versamente abili.

A partire dal 1994 l’edizione inver-nale non si tiene più nello stesso anno dell’edizione estiva, ma sfasa-ta di due anni.

Probabilmente il simbolo più noto sono i cinque cerchi della bandiera olimpica, che viene issata ad ogni edizione dei Giochi a partire dal 1920. Essa raffigura cinque anelli, di diverso colore, intrecciati in campo bianco.

Gli anelli sono cinque come i con-tinenti: Europa, Asia, Africa, America e Oceania. L’intreccio degli anelli rappresenta l’universalità dello spiri-to olimpico.

I colori scelti per i cinque cerchi sono (da sinistra a destra) blu, gial-lo, nero, verde e rosso. Insieme al bianco dello sfondo, questi colori

erano presenti nelle bandiere di tutte le nazioni del mondo nel momento in cui furono scelti. La combinazio-ne dei colori simboleggia quindi tutti i Paesi, ma esiste anche la credenza comune che il colore di ogni cerchio stia a rappresentare un determinato continente.

Il motto dei Giochi olimpici è Citius, altius, fortius, ovvero “Più veloce, più alto, più forte”.

La fiamma olimpica viene accesa ad Olimpia dai raggi del sole e poi portata da una staffetta di tedofori, introdotta dall’edizione della mani-festazione a Berlino nel 1936, fino alla città che ospita i Giochi, dove viene impiegata per accendere il braciere olimpico durante la cerimo-nia di apertura. La fiamma olimpica arde nel braciere per tutta la durata dell’Olimpiade, e viene spenta nel corso della cerimonia di chiusura.

Alle Olimpiadi del 2000 erano pre-senti 28 discipline sportive, secondo la classificazione adottata dal CIO. Bisogna comunque tenere presente che a volte più sport vengono rag-gruppati sotto lo stesso nome (per esempio, nel nuoto sono compresi anche i tuffi). Soltanto 5 sport sono sempre stati presenti alle Olimpiadi sin dal 1896: atletica leggera, cicli-smo, scherma, ginnastica e nuoto. All’elenco andrebbe aggiunto anche il canottaggio, che era in programma nel 1896, ma le gare furono annulla-te a causa del maltempo.

Nelle Olimpiadi invernali sono at-tualmente 7 le discipline sportive. Sci alpino, sci di fondo, pattinaggio di figura, hockey su ghiaccio, combi-nata nordica, salto con gli sci e patti-

naggio di velocità sono sempre stati presenti nei programmi dei Giochi olimpici invernali. Gare di pattinag-gio di figura e hockey su ghiaccio erano già presenti nei Giochi estivi, prima dell’introduzione di Giochi in-vernali separati.

Negli ultimi anni il CIO ha inserito nuovi sport nel programma olimpi-co, tra cui lo snowboard e il beach volley. Dagli anni venti in poi, nes-suna disciplina è mai stata tolta dal programma olimpico, ma, viste le di-mensioni ormai raggiunte dall’even-to olimpico, il CIO si è riservato la possibilità di escludere alcuni sport dopo il 2004. Sport con poco segui-to di pubblico o molto costosi po-trebbero quindi rischiare di sparire dalle Olimpiadi. Baseball e softball, ad esempio, non saranno presenti a Londra nel 2012.

Per le edizioni del 2016 il CIO pre-vede di avere 28 sport e vorrebbe quindi inserirne altri due oltre ai 26 previsti per il 2012. Gli sport in lista sono 7: baseball, softball (che tente-rebbero il rientro) golf (presente nel 1900 e 1904), karate, pattinaggio, rugby a 7 (presente nel 1900, 1908, 1920 e 1924 come versione a 15) e squash.

Il 27 luglio 2012 si sono svolti a Lon-dra (Regno Unito) la XXX° Olimpia-di dell’epoca moderna, le prossime Olimpiadi saranno svolte nel 2016 a Rio de Janeiro (Brasile).

Arved

Pier De Coubertin Bandiera Olimpica

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Sebbene il sito sia già da tempo noto agli abitanti del luogo e anche alla Soprintendenza Archeologica dell’Umbria, non ci risulta sia mai stato effettuato, né tantomeno divul-gato, uno studio approfondito su tale insediamento. Noi, per primi, vor-remmo porlo in relazione ad un ana-logo sito archeologico, il Sercol di Nuvolera, nel bresciano, avanzando l’ipotesi che entrambi possano esse-re frutto di una medesima cultura

pre-romana che dominò su gran parte dell’Italia centro-settentriona-le.

La struttura si trova nel comune di Massa Martana, lungo il crinale di un rilievo montuoso dal nome evocativo (Monte il Cerchio), sopra un poggio in posizione dominante, a poco più di 900 metri di altezza s.l.m.

Osservando le immagini satellitari del programma Google Earth, è ben visibile la sua forma ad anello, mol-to regolare, che spicca al margine di una zona boschiva. Le coordina-te geografiche sono: 42°45’16.61’’ Nord - 12°34’12.48’’ Est. Ad un pri-mo impatto sembrerebbe una radura contornata da alberi disposti in forma

perfettamente circolare. In realtà si tratta di querce cresciute intorno ad un enorme cerchio di pietre di circa 90 metri di diametro. Il luogo è com-pletamente isolato e abbandonato a sé stesso. Il cerchio è composto da pietre calcaree di dimensioni variabi-li, giustapposte a secco, che forma-no un muro di circa 2,8-3,0 metri di spessore, per non più di un metro di sviluppo in altezza. Le pietre sono ri-coperte da muschi e licheni, mentre gli arbusti e gli alberi cresciuti tutt’in-torno hanno prodotto crolli e reso inaccessibili alcune aree.

L’ingresso originario era a Sud, dove il cerchio di pietre s’apre natu-ralmente, sdoppiandosi e lasciando libero un varco di circa un metro per l’accesso. Altri due varchi, uno posto a Nord e l’altro a Sud-Est, sono stati realizzati in epoca recente, distrug-gendo parte dell’antica struttura, per consentire il passaggio di un tratturo (si vedono in loco numerosi sassi ro-tolati lungo i bordi del tracciato).

L’area interna è suddivisa in due parti da un lieve salto di quota, lungo il crinale roccioso del colle, che in

alcuni tratti mostra la presenza di

un rinforzo murario in pietra eseguito in modo simile alle strutture di tutto il resto dell’insediamento.

Il sito attende da anni d’essere ac-curatamente rilevato e liberato dai rovi e dagli arbusti, allo scopo di po-ter rinvenire, forse, ulteriori elementi materiali che possano determinarne l’originaria destinazione d’uso. Infatti oggi l’interesse degli studiosi è foca-lizzato nel definire con chiarezza la funzione di una simile costruzione perfettamente circolare.

Seguendo la datazione attribuita dalla Soprintendenza archeologica dell’Umbria, l’insediamento risalireb-be al VIII-VI secolo a.C., ad opera degli Umbri, uno dei più antichi po-poli italici. Secondo una delle ipotesi più accreditate, questi si afferma-rono alla fine del II millennio a.C. e scaturirono dalla fusione tra un’etnia nordica indoeuropea con una pree-sistente popolazione indigena, la co-siddetta Civiltà Appenninica, influen-zata dalla cultura piceno-adriatica (anch’essa d’origine indoeuropea) e poi da quella etrusca.

Le fonti ufficiali indicano che il si-stema insediativo prevalente fra gli Umbri, prima della romanizzazione del III secolo a.C., era costituito da una serie di villaggi fortificati d’altura per il controllo delle vie di comunica-zione e la difesa dei territori apparte-nenti alle diverse comunità.

Utilizzati saltuariamente nella sta-gione primaverile ed estiva da tribù di pastori transumanti, a partire dal

IX-VIII secolo a.C. questi organiz-zarono più stabilmente le loro atti-vità silvo-pastorali, stanziandosi in cellule disposte lungo tutta la catena montuosa dei Martani, che era par-te di un grande percorso di crinale appenninico utilizzato fin dall’epoca preistorica per gli spostamenti lungo la penisola.

Sono stati identificati tre principali poli di aggregazione: Monte Torre Maggiore, col suo celebre santuario

italico fondato nel VI sec. a.C., Monte il Cerchio e Monte Martano (dove si trovano solo pochi resti).

RISCOPERTA SUI MONTI MARTANI LA DIMENTICATA “STONEHENGE”

DELL’UMBRIA ?

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Fra questi tre nuclei principali, a spiccata vocazione sacrale, si frap-ponevano in diretta comunicazione visiva altri villaggi fortificati di minor importanza (Monte Rotondo, Monte del Colle, Monte Comune, Monte Torricella, ecc.), collocati su alture facilmente difendibili e circondati da mura e fossati di forma più o meno

circolare o ellissoidale che ricalca-no l’orografia a cono delle sommità collinari su cui sono edificati. Tutta-via, nel sito di Monte il Cerchio, la natura accidentata e irregolare del terreno, che presenta piani sfalsati e inclinati, non giustifica la perfetta regolarità del tracciato e lo rende an-cor più stupefacente.

Questo elemento, inoltre, costitu-irebbe un punto a favore della tesi che associa la perfetta geometria cir-colare a luoghi di culto e/o di osser-vazione astronomica, piuttosto che ad insediamenti realizzati per scopi difensivi. Si evidenzia, poi, l’utilizzo forse improprio del termine “castel-liere”, normalmente impiegato per descrivere questo insediamento.

Infatti, esso ha poco a che vedere con le omonime fortificazioni pre-senti in Istria o in area veneta e friu-lana, dove si riscontrano cinte mu-rarie ampie e possenti alte fino a sei metri.

Qui, al contrario, la presenza di bassissime muraglie farebbe scar-tare l’ipotesi di una sua costruzione a scopo difensivo. Tuttavia, non si può escludere che l’anello di pietra costituisse la base per una palizzata in legno, della quale però non resta alcuna traccia evidente. Al centro del complesso, invece, è visibile una lie-

ve depressione nel terreno roccioso, in corrispondenza della quale pro-babilmente si potrebbe rinvenire un pozzetto votivo, occluso dal terreno circostante franato.

Nel tentativo di dare riscontro alle nostre ipotesi, attraverso il confronto con altri insediamenti simili, ci sia-mo soffermati sul Sercol di Nuvolera (Desenzano del Garda), reso noto a livello nazionale grazie all’opera me-ritoria di Armando Bellelli e Marco Bertagna, due archeologi dilettanti, che hanno sollecitato l’attenzione dei tecnici della Soprintendenza ar-cheologica della Lombardia, i quali hanno dichiarato che il sito è di “dif-ficile interpretazione, anche per la mancanza di strutture analoghe” ma di indubbio valore per le sue notevoli dimensioni. Sarebbe quindi “meri-tevole di indagini e studi approfon-diti da parte della Soprintendenza e dei professionisti” (cfr. A. Bellelli, Una proposta di scavi al Sercol di Nuvolera, in “Il Corriere del Garda”, 23 luglio 2011. Vedi inoltre: M. Pari, Tutti lo chiamano “Sercol” ma per gli archeologi sono menhir di 2500 anni fa, in “Il Giorno”, 26 Maggio 2011).

Anche il prof. Alberto Pozzi, uno dei più noti esperti italiani di megali-tismo, si è interessato all’importante scoperta in Lombardia, affermando che si tratterebbe di un’area sacra destinata, molto probabilmente, all’osservazione della volta celeste, datandola in un arco temporale che va dal 1500 al 500 a.C.. Il luogo mostra caratteristiche tipologiche e costruttive molto simili a quelle del cerchio dei Monti Martani, con un diametro però inferiore, di circa 42

metri. Quello che si pensava fosse un insediamento raro, se non unico

nel nostro Paese, avrebbe quin-di un fratello maggiore nel cuore dell’Umbria, che risulta anzi essere l’esempio più sorprendente di que-sto genere di costruzioni perfetta-mente circolari per la dimensione del suo diametro, il più esteso fra quelli sinora individuati.

Come è possibile, infine, che due manufatti così simili fra loro si trovi-no in aree geograficamente e cultu-ralmente tanto lontane e diverse?

Non ci risulta sia mai stato effettua-to uno studio comparativo fra i due complessi archeologici e ciò invece

potrebbe sciogliere molti interroga-tivi circa le loro possibili origini co-muni.

Potrebbero essere entrambi opera di una popolazione nordica indoeu-ropea, proveniente d’oltralpe, op-pure di una civiltà autoctona della penisola?

A questo punto scenderebbero in campo i Proto-Villanoviani e questi non potrebbero coincidere con gli antichi e misteriosi Umbri? Alcuni storici greci e latini, infatti, afferma-no le origini nordiche degli Umbri e che il loro territorio in tempi remoti avrebbe incluso gran parte dell’Italia settentrionale e centrale. Erodoto, ad esempio, li ricorda come abita-tori delle regioni in cui scorrevano i fiumi Carpis ed Alpis, affluenti del Danubio, e afferma che prima delle invasioni dei Veneti, essi dovettero occupare anche il territorio padano (Erodoto, IV, 49, 3).

Auspichiamo che al più presto pos-sa iniziare una collaborazione fattiva fra gli studiosi e le istituzioni prepo-ste per tutelare i due siti archeolo-gici (nonché altri che si dovessero riscoprire) e per avviare un accurato rilievo topografico e un’analisi ap-profondita che ne svelino le origini e le funzioni.

Tommaso DoreFrancesco Voce

(Pubblicato nel mese di Luglio 2012 sulla rivista Fenix e sui quotidiani Il Messaggero e Il Giornale dell’Um-bria; nel mese di Settembre 2012 è stato pubblicato sulla rivista Airone).

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PresentazioneMaria Teresa Scozza, già presiden-

te dell’Associazione Culturale Umru, costituita a Terni nel 1991 per pro-muovere e diffondere le teorie del prof. Manlio Farinacci sulle origini celtiche della bassa Umbria e Sabi-na, sta portando avanti da tempo con caparbietà e passione una ricerca che ho il piacere di presentare ai let-tori della rivista Artemisia. Ho deciso di pubblicarla perché riguarda una vecchia diatriba tra archeologi intor-no all’identificazione della cosiddetta ‘Civiltà Villanoviana’. A tal proposito è apparso di recente un articolo a fir-ma dell’archeologo Alessandro Con-ti (cfr. Gli Etruschi e l’Italia unita, in “Canino 2008”, n. 3, settembre 2011, pp. 6-7) che svela le motivazioni politiche che nella seconda metà dell’Ottocento portarono ad identifi-care i ‘Villanoviani’ con gli Etruschi, tralasciando completamente gli Um-bri. I letterati e i patrioti del tempo vedevano infatti nel popolo etrusco il “cemento unificatore della nazione” funzionale alla definizione dell’iden-tità del nuovo Stato post-unitario. Una prova a supporto di queste af-fermazioni starebbe nel fatto che la Collezione Casuccini di reperti etru-schi provenienti da Chiusi fu spedita nel 1865 al Museo Archeologico di

Palermo. Inoltre, gli Etruschi erano già famosi nelle corti di mezza Eu-ropa mentre ben poco si conosceva degli Umbri (Amra o Umru), un po-polo preistorico la cui vasta necro-poli di Terni sarebbe stata scoperta solo alla fine dell’Ottocento. In par-ticolare, Giuseppe Micali, nel saggio L’Italia avanti il dominio dei Romani del 1821, aveva fissato il carattere ‘italico’ degli Etruschi che avrebbe poi avuto tanta fortuna nel clima na-zionalistico dell’Italia risorgimentale, mentre gli studi di Giacomo Devoto sugli antichi Italici, con numerosi ri-ferimenti agli Umbri, furono divulgati solo a partire dal 1931.

Infine, sarà stato solo un caso che sempre gli stessi coniugi Cozzadini di Bologna si siano occupati degli scavi di Villanova e abbiano animato uno dei salotti più importanti di Bo-logna, frequentato da personaggi di spicco del Risorgimento? (Minghetti, Aleardi, Carducci, ecc.). I Villanovia-ni-Etruschi, infatti, furono strumen-talizzati per rafforzare il senso di appartenenza degli italiani al nuovo Regno, seguendo l’idea di un’Italia unitaria e centralizzata in opposizio-ne ai sentimenti autonomistici delle diverse ipotesi federaliste e multiet-niche.

Tornando alle ricerche della profes-soressa Scozza, se da un lato non ci sembra possibile assimilare gli Um-bri alle popolazioni galliche scese in Italia a partire dal V secolo a.C., dall’altro crediamo invece si possa-no considerare come discendenti da un’etnia indoeuropea analoga a quella che diede origine alla cultura celtica in Europa. Come spiegare altrimenti le analogie riscontrabili fra la necropoli di Terni, quelle del-la ‘Civiltà di Golasecca’ (Canton Ti-cino, Lombardia e Piemonte) e, più in generale, quelle della ‘Cultura dei campi di Urne’ (Urnenfelder) di area transalpina e danubiana?

Alcuni storici greci e latini afferma-no le origini nordiche degli Umbri. Possibile che pur essendo vissuti in un’epoca prossima a quella dei paleo-Umbri si siano sbagliati? Si sbagliano anche i molti studiosi con-temporanei non allineati ai precon-cetti e ai dogmi della cultura ufficiale di Stato?

Per tutte queste ragioni il contribu-to che vi presento mi sembra molto attuale e meritevole di un approfon-dimento.

Tommaso Dore

La ‘Cultura di Terni’Tra la fine dell’Ottocento e l’ini-

zio del Novecento, durante gli sca-vi eseguiti per la costruzione dello stabilimento delle Acciaierie di Ter-ni furono rinvenute numerosissime tombe dell’Età del Ferro, risalenti al X-VI secolo a.C.. Luigi Lanzi, Ispet-tore agli Scavi e dei Monumenti per il Mandamento di Terni, considerando la densità delle tombe rinvenute, cir-ca trecento, ipotizzò che la necropoli ne contenesse almeno duemilacin-quecento, delle quali circa un miglia-io furono distrutte durante i lavori di sbancamento.

La scoperta della necropoli di Ter-ni richiamò l’interesse di studiosi sia italiani che stranieri, “ma a tutt’og-gi non esiste uno studio ‘completo’ dell’analisi dei corredi, delle strut-ture tombali e del rituale, a causa della completa dispersione dei dati

SE LA PRIMA EUROPA FU CELTICA, LA PRIMA ITALIA FU UMBRA?

GLI UMBRI ERANO CELTI?

Particolare della carta del Pallottino relativa alle culture del IX secolo a.C. in cui si evidenzia la ‘Cultura di Terni’

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di scavo e degli stessi materiali ar-cheologici.” (Valentina Leonelli, La necropoli delle Acciaierie di Terni: contributi per una edizione critica, in “Indagini”, Ed. Cestres, n. 71, giugno 1996, p. 33).

L’archeologo Massimo Pallottino, conscio della straordinaria particola-rità di questi stanziamenti, li ha de-finiti con il termine di ‘CULTURA DI TERNI’, riconoscendone dunque il grande valore.

Le testimonianze della ‘Cultura di Terni’ mostrano forti analogie con quelle delle culture celtiche di ‘Hal-lstatt’ e ‘La Thene’. Infatti gli insedia-menti sono dello stesso periodo sto-rico e presentano in parte tipologie di tombe, corredi funebri e simboli analoghi. Ad esempio, nella necro-poli di Terni “la tomba II, avente cir-colo e fila di pietre ha nel suo lato destro una fossa in cui sono stati riconosciuti resti di cavallo.” (V. Le-onelli, op. cit., p. 38). I Celti, come attestano i ritrovamenti nella necro-poli di Hallstatt, seppellivano i loro cavalli e diversamente dai Romani non li mangiavano.

Umbri (Umru) – Celti – Indoeuro-pei

Da anni nella nostra città va avan-ti un dibattito tra chi pensa che gli Umbri siano di origine ‘celtica’ e chi nega decisamente questa ipotesi.

Nel libro Il Vischio e la Quercia (Torino, 2001), dell’antropologo

Riccardo Taraglio, a pp. 43-44, si accenna agli studi del linguista Je-an-Baptiste Bullet (1699-1775) il quale nella sua opera Memoires sur la langue Celtique ha elaborato un vero e proprio vocabolario celtico-francese: “Nell’opera di J.-B. Bullet è anche interessante la descrizione della colonizzazione dell’Europa da parte delle popolazioni celtiche e lo sviluppo successivo delle lingue moderne viste come derivazioni, e quindi dialetti, della lingua celtica. A proposito dell’Italia, J.-B. Bullet scri-ve che il più antico popolo della no-stra penisola fu quello degli Umbri, discendenti di quei primi Celti (oggi diremmo Indoeuropei) che giunsero in Europa dalle regioni orientali. Nel momento in cui le coste della nostra penisola venivano colonizzate dai Greci, dal centro Europa i Celti si di-ressero in Spagna e quindi in Italia. I due popoli si incontrarono poi nel Lazio, originando dalla loro unione il ceppo latino.

A questo proposito Bullet porta un esempio linguistico Umbri (Umru) – Celti – Indoeuropei

Da anni nella nostra città va avan-ti un dibattito tra chi pensa che gli Umbri siano di origine ‘celtica’ e chi nega decisamente questa ipotesi.

A questo proposito Bullet porta un esempio linguistico citando Dionisio d’Alicarnasso che, parlando della lin-gua latina, dice che essa non è né in-teramente barbarica né interamente

greca, ma una mescolanza dell’una e dell’altra, e Quintiliano, il quale os-serva che l’idioma latino è zeppo di termini barbarici. E’ da notare inoltre che la lettera «V», ignorata dai greci e comune invece tra i Celti, è molto utilizzata nella lingua latina.

Molti antichi autori latini attestano che gli Umbri siano stati una popo-lazione discendente dai Galli (indo-europei) e Servio Mario, grammatico romano, cita: «Umbros Gallorum ve-terum propaginem esse, Marco An-tonio refert» [gli Umbri sono un’anti-ca propaggine gallica]. Oltre a questi anche Catone chiama i Galli «pro-genitori degli Umbri» e Zenodoto di Trezene, citato da Dionisio d’Alicar-nasso, dice che gli Umbri si stabiliro-no nei pressi del Tevere, prendendo il nome di Sabini...”.

Un altro autore francese che atte-sta la celticità degli Umbri è il Thier-ry, il quale nella sua Storia dei Galli, Parigi, 1845, scrive: “I vecchi Galli, detti Umbri, invasero l’Italia quattor-dici secoli prima dell’era Cristiana e sedici-diciassette secoli a.C. altri Celti si impossessarono dell’Occi-dente…”.

Umbri: “La memoria di questo popolo giunge a noi come il suo-no delle campane di una città sprofondata nel mare”...

Così esclamò lo storico Theodor Mommsen, probabilmente avendo notato che gli Umbri, pur essendo l’etnia più antica d’Italia, tuttavia non hanno storia. Nei libri dopo poche pagine e qualche volta poche righe, essi non vengono più menzionati e si parla di loro come Aborigeni, In-digeni, Villanoviani, Italici... mentre i Latini restano Latini, i Sabini - Sabi-ni, i Piceni - Piceni, ecc.

Elia Rossi Passavanti, nel volume Interamna Nahars, Storia di Ter-ni dalle origini al Medioevo (Roma, 1932, pp. 24-29), riporta numerose testimonianze di scrittori greci e lati-ni a proposito del misterioso popolo umbro e del suo dominio: “La tradi-zione classica ci ha sempre mostra-to gli Umbri come uno dei popoli più antichi d’Italia e che aveva dominato su un territorio vastissimo. Dionisio d’Alicarnasso dice: «In molte regioni abitano gli Umbri e questa è gente fra i primi molto numerosa ed antica» [Rom. Ant. Lib. I, c. 19]. Altri scritto-ri li hanno chiamati: «il popolo più antico d’Italia» [Flor. Lib. I, cap. 7];

Tomba con resti di cavallo dalla necropoli di Hallstatt (da Christiane Eluère, “I Celti, barbari d’occidente”,

Electa-Gallimard, Milano, 1984, p. 24)

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«La gente più antica d’Italia è detta Umbra, perché si crede sopravvis-suta alle inondazioni delle terre» [C. Plinii Secundi, Historiae Mundi, Lib. III, cap. 19]. Erodoto li ricorda abita-tori delle regioni in cui scorrevano i fiumi Carpis ed Alpis, e prima delle invasioni dei Veneti essi avevano sede anche nel territorio padano.” [Erodoto, IV, 49, 3]. Si noti che i fiu-mi Carpis e Alpis sono affluenti del Danubio!

L’elenco potrebbe continuare a lun-go con Scylax di Cariando che scris-se: “La navigazione lungo le coste del territorio umbro può compiersi in due giorni ed una notte e che al medesimo territorio appartiene an-che la città di Ancona.” [Periplo, 16f]. Strabone afferma infine: “L’Umbria inizia dagli Appennini e ancora più oltre dall’Adriatico. … Comincian-do da Ravenna gli Umbri occupano Sarsina, Ariminum, Sesa e Marinum ed inoltre il fiume Metauro ed il tem-pio della fortuna…” e cita poi le città di Ocriculum, Interamna, Spoletium, Aesium, Camertes, Ameria, Tuder, ed Hispellum [Geografia, Lib. V, Cap. II, n. 10].

I Villanoviani sono gli antichi Umbri?

Nel 1853 fu rinvenuta la necropoli di Villanova, un villaggio nei pressi di Bologna, e da tale scoperta il nome di ‘Civiltà Villanoviana’ fu successi-vamente dato ai vari ritrovamenti, sparsi per tutta la penisola, aventi caratteristiche simili.

A Terni, a partire dal 1884, in oc-casione degli scavi per l’edificazione delle Acciaierie, venne alla luce una necropoli tra le più vaste d’Europa, segno che la zona era molto popola-ta fin dai tempi preistorici. Una gran mole di reperti archeologici venne qui alla luce e avrebbe potuto an-dare ad arricchire il nuovo Museo Archeologico della città, invece è rimasta chiusa nei depositi della So-printendenza oppure, in minima par-te, fa bella mostra di sé nei musei di Perugia, Spoleto e Roma.

Ma veniamo al punto: cosa hanno in comune la località Villanova e Ter-ni?

Ce lo spiega ancora il Passavanti descrivendo l’originaria espansio-ne degli Umbri lungo la penisola, dall’Agro Reatino all’Insubria o Isum-bria nella pianura padana (pp. 25-29): “Ma oltre la tradizione storica,

l’antichità e l’estensione verso nord e verso il sud d’Italia di questo popolo è dimostrata dai numerosi sepolcre-ti scoperti in varie parti della nostra penisola. L’archeologia moderna, in questi ultimi tempi, ci ha dato tante notizie fino a poco fa sconosciute, che servono a confermare la tradi-zione storica, come questa serve a confermare quelle scoperte. Però i moderni archeologi, impediti da non so qual pudore, queste scoperte e questa civiltà Umbra, non ebbero il coraggio di chiamarla Umbra. Da un villaggio, dove fecero una prima sco-perta di una necropoli Umbra, Villa-nova, la chiamarono Villanoviana. Forse temevano fare ombra a qual-che altra civiltà, che si era usurpata l’onore dovuto all’Umbra?!”

Civiltà Villanoviana dunque e non civiltà Umbra come sarebbe stato più giusto chiamarla! In sostanza, mentre la tradizione classica ci ha sempre mostrato gli Umbri come uno dei popoli più antichi d’Italia che aveva dominato su un territorio va-stissimo, il termine Villanoviano (di origine recente) è servito ai moderni archeologi per identificare una cultu-ra ancora sconosciuta con la civiltà Etrusca. Oggi si continua a parlare di Villanoviani, Aborigeni, Italici, Gal-li, ecc. ma si ignorano completamen-te gli Umbri.

Torniamo al Passavanti: “Gli Umbri avevano fondato nella valle del Po, ad Este e presso Bologna prima, dei centri importantissimi di popolazioni, che poi scesero verso il sud della penisola italica, estendendosi fino a Verrucchio e Rimini e proseguendo per la costa adriatica fino ad Anco-na. Qui si arrestarono nettamente e, deviando, penetrarono attraverso le valli e i monti Appennini nel Piceno e nell’Umbria, ove lasciarono ricordi nelle necropoli di Nocera, di Monte-leone di Spoleto e in Terni.

Dall’Umbria passarono nella regio-ne, che in seguito fu occupata dagli Etruschi e s’inoltrarono fino ad Allu-miere, ove lavorarono nelle miniere di rame, a Civitavecchia e altre loca-lità del Lazio fino ad Antium.

La maggior parte dei centri che poi divennero metropoli Etrusche, data dal periodo Villanoviano, od Umbro. Questa civiltà deve riportarsi ad oltre i mille anni innanzi l’era Era volgare, e a quell’epoca si riferiscono le urne funerarie, i cosiddetti rasoi lunati, i bronzi decorati e tanti altri oggetti

rinvenuti nei vari sepolcreti e i primi oggetti in ferro.

Sul finire dell’IX secolo a.C. e sul principio dell’VIII, vicino alle tombe a incinerazione compaiono le tombe a inumazione come a Tarquinia, a Ter-ni, a Bologna e nel Foro Romano.

Man mano che si scende verso il sud della Toscana e nel basso La-zio questa civiltà si attenua, fino a scomparire affatto nella Campania, dove forse non penetrò.

Tutto dimostra che questa grande civiltà Villanoviana sia quella che la leggendaria tradizione classica chia-ma civiltà Umbra, che aveva edificato tante città e centri abitati, da averne trecento soli nella regione poi occu-pata dagli Etruschi. All’epoca storica gli Umbri sono ridotti al territorio limi-tato, che occupano al presente.

… Gli Umbri appariscono all’epoca romana, confinati nelle montagne dell’Appennino e l’est del Tevere. Ma una tradizione storica, mescolata evidentemente di qualche leggenda, li presenta come gli antichi padroni della gran parte dell’Italia centrale.”

Così scriveva Elia Rossi Passavan-ti che amava la sua terra e soprattut-to la ricerca della verità.

La conferma della Toponomasti-ca

Gli antichi scrittori romani sapeva-no che prima della grande potenza di Roma, in Italia era esistito un va-sto dominio che risaliva all’Età del Ferro (intorno al X secolo a.C.) e tale dominio era quello degli Umbri che popolarono quasi tutta la penisola come molti nomi geografici tendono a dimostrare. Esaminando infatti i toponimi che si riferiscono agli Um-bri presenti in ogni regione italiana, si potrebbe pensare che se la prima Europa fu celtica, la prima Italia fu umbra.

A tal proposito ci viene ancora in aiuto il Passavanti (pp. 25-26): “Vari nomi geografici sparsi in quasi tutta la penisola Italica indicano chiara-mente la permanenza e il dominio di questo popolo:

- Umbria, piccola cittadina in pro-vincia di Piacenza;

- Umbrile, monte presso lo Stelvio;- Umbriatico, presso Crema;- Umbriano, monte della Garfagna-

na;- Ombrone, fiume della maremma

Grossetana;- Ulubra o Ulumbra, cittadina di-

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strutta che esisteva nel territorio di Velletri presso Cisterna;

- Valle degli Umbri e Catino degli Umbri, nel Centro dei monti selvosi del Gargano;

- Umbrio, fiume presso Catanzaro;- Piano dell’Umbrio, presso Nicote-

ra.”

Noi dal canto nostro, oltre le Alpi abbiamo trovato un passo alpino di nome Umbrail… Quanti altri topo-nimi riferibili agli Umbri esistono in Europa?

Ne abbiamo trovati molti in varie parti del globo. Escludendo quelli del nuovo mondo, dati dagli emigrati italiani in quelle terre, ci limitiamo ad esaminare quelli esistenti in Europa e in Asia. Numerosi sono i toponimi in Portogallo, in Spagna e perfino in India.

In Portogallo: Umbria, Umbrias de Camacho.

In Spagna: La Umbria (in tre diver-se località), Umbria de Arriba, Um-bria Alta, Umbria Baja, Umbria de Matasamos.

In India: Umbra (in due località) e Umbraj.

L’inquadramento della regione degli Umbri nell’Italia romana al tempo di Augusto

Dall’88 a.C., concessa la cittadi-nanza romana a tutti gli Italici liberi in seguito alla Guerra Sociale, l’Ita-

lia può essere considerata un’unica entità politica la cui storia coincide con quella di Roma. Nei primi anni dell’Impero Augusto accorda inoltre numerosi privilegi, fra cui l’esonero dal pagamento delle imposte.

La penisola viene divisa in undici regioni secondo criteri etnico-lingui-stici rilevati per mezzo di censimenti. La divisione non ha carattere ammi-nistrativo ma è un riconoscimento della storia e delle tradizioni italiche. Dall’esame della pianta L’Italia ai tempi di Augusto si nota che la VI Regio è denominata Umbria et Ager Gallicus e che Interamna-Terni e Narnia-Narni fanno parte della stes-sa regione con Sena Gallica-Seni-gallia, terra dei Celti Senoni.

Sembra evidente che i Romani concordassero con le teorie dell’ ‘al-tra storia’ che afferma la celticità del-la bassa Umbria e dunque si è por-tati a concordare con il Passavanti quando accenna che “qualcuno poi ha voluto chiamare gli Umbri antica propaggine gallica”.

Nella città di Terni dopo la morte del prof. Manlio Farinacci non si è più parlato dell’interessante argomento legato agli ‘Umbri-Celti’. Anzi si può dire che è quasi vietato parlare di celtismo.

Abbiamo poi notato che quando si vuole affermare una verità prati-camente assoluta si citano i nostri

antenati: Tito Livio ha scritto…, Ero-doto ha affermato…, Strabone…, Dionisio d’Alicarnasso…, Plinio il Vecchio…, ecc. Essi hanno ragione su tutto e fanno scuola, però quando accennano alle origini degli antichi Umbri i capiscioni, come li chiamava il prof. Farinacci, storcono il naso e dicono che gli antichi scrittori aveva-no avuto una svista, che non erano ben informati... La cosa è curiosa perché loro a quei tempi c’erano, erano contemporanei o quasi degli Umbri e dovevano conoscere bene la situazione, loro c’erano… e sape-vano.

Oggi, tanti secoli dopo, i capiscioni, che a quei tempi non c’erano, si per-mettono di mettere in dubbio le loro opinioni, riconosciute sempre infalli-bili in altre questioni.

Su Terni e la bassa Umbria è come se ci fosse un coperchio, un cappel-lo, un elmo e qui i Celti non ci sono mai, mai e mai stati…

Maria Teresa Scozza

“Umbria et Ager Gallicus” dalla cartadell’Italia Romana ai tempi di Augusto

(Atlante Storico dell’Istituto Geografico De Agostini)

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Insieme ad alcuni collaboratori del Centro Studi Italus, siamo andati alla scoperta delle tracce dell’antico cul-to di Priapo, il grande potere genera-tore e portatore primario di vita.

Tracce sparse un po’ ovunque lungo la penisola italiana e accura-tamente censurate dalla Chiesa di Roma.

Chi non conosce, ad esempio, il “Gabinetto Segreto” del Museo Ar-cheologico Nazionale di Napoli?

In esso sono conservati molti og-getti e opere d’arte ritrovati negli scavi di Pompei ed Ercolano, a par-tire dal 1738, che riflettono la liber-tà dei costumi sessuali degli antichi romani. Nel Settecento, nonostante i fermenti riformatori, i costumi non erano altrettanto spregiudicati e i re Borbone decretarono l’istituzione di sale riservate agli “oggetti osceni”, per accedere alle quali era necessa-rio un “Dispaccio particolare”. Nac-que così il celebre “Gabinetto Segre-to” che per decenni fu oggetto dello scandalo dei benpensanti e della curiosità dei viaggiatori e studiosi stranieri di tutto il Mondo.

Tuttavia, qui vorremmo documenta-re due altri casi, meno conosciuti ma certamente non meno interessanti, di questo antico culto diffuso in tutto il pianeta e le cui origini si confondo-no con quelle dell’umanità.

Il fallo di San Francesco ad Asco-li Piceno

Nella principale piazza di Ascoli Pi-ceno, piazza del Popolo, si erge la chiesa dedicata a San Francesco.

Sopra la balaustra in travertino del campanile si staglia, incredibilmen-te, un fallo dello stesso materiale alto circa un metro!

Si narra che l’insolita scultura fos-se stata piazzata lì per dispetto dai maestri muratori che edificarono il tempio in quanto non furono pagati per il loro lavoro.

Secondo questa tesi la vendetta sarebbe da attribuire al maestro co-macino Matteo Roberti che eresse la torre campanaria nel 1444, ma non è così! Il monolite fallico non è altro che un antico betilo (il termine beith-el, di origine semitica, significa “Casa di Dio”). Fin dalla più remota preistoria il concetto di fecondità ven-

ne associato ad una divinità maschi-le che assunse la forma di un cip-po eretto verticalmente sul terreno, unto periodicamente con olio, vino e sangue. Era considerato il princi-pio universale della vita, la suprema forza generatrice, dal quale l’uomo sentiva di provenire e che perciò ha divinizzato, venerato e invocato con

ogni forma di culto.“Così fece Giacobbe che unse la

pietra sulla quale aveva dormito: dopo l’apparizione di Dio Padre, la conficcò nel terreno e chiamò quel luogo Beith-el, da qui Betlemme, dove nacque il Cristo, la luce per i

Cristiani. Lì nacque e s’incarnò il Principio e si diffuse nel mondo. Sic-ché il betilo, in forma fallica, venne ad assumere il significato di centro del mondo cristiano, come il campa-nile delle cattedrali romaniche e go-tiche sparse per l’Europa. Torre su torre per raggiungere il cielo.”

Infatti, prima che la mentalità de-gli uomini giungesse a trar motivo di scandalo dai più augusti misteri della natura, l’unione della Terra e del Cielo da cui si faceva derivare tutto ciò che ha vita, poteva meglio esprimersi per mezzo degli organi genitali.

I falli dei Santi Cosma e Damiano ad Isernia

Su una collina poco distante dall’abitato di Isernia si erge l’eremo dei Santi Cosma e Damiano, dedi-cato ai due fratelli medici che su-birono il martirio sotto l’imperatore Diocleziano. La chiesa dell’eremo fu costruita intorno al 1130 sui ruderi di un tempio pagano molto antico de-dicato al culto di Priapo, dio protet-tore della virilità. Con l’avvento del Cristianesimo, il culto è continuato e non a caso, come vedremo, furono scelti i due santi medici come titolari della nuova chiesa.

A parere di molti, il culto dei Santi Cosma e Damiano sarebbe una so-pravvivenza del culto dei Dioscuri, Castore e Polluce, i figli gemelli di Giove e Leda. I Diòs Kouroi, col fi-

SULLE TRACCE DI PRIAPO…

Affresco d’epoca romana raffigurante Priapo

Ascoli Piceno, campanile della chiesa di S. Francesco

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sico di abili e possenti atleti, erano sempre pronti ad accorrere dove qualcuno era in pericolo e, pertanto, rappresentavano la soprannaturale

forza ausiliatrice. Erano le figure sacre da invocare per ogni assisten-za e in tal senso sono certamente assimilabili a Cosma e Damiano, intesi come medici soccorritori cui chiedere aiuto per il pericolo che temiamo di più: quello della salute personale.

Durante il XVIII secolo, il ministro inglese William Hamilton descrisse la permanenza del culto di Priapo nel contado del Molise, del quale

avrebbe avuto notizia nel 1780 da una lettera anonima. Egli sosteneva che Priapo era stato sostituito con San Cosma e che la sua celebrazio-ne avveniva come si faceva per il dio pagano.

Hamilton era un antiquary (vale a dire un appassionato di antichità, specie d’epoca classica) alla costan-te ricerca di “cose remote e strane”.

Non gli sarà parso vero poter an-nunciare al mondo la sopravvivenza in Italia d’un culto osceno e clamo-roso come quello per Priapo! Ma gli elementi probatori serviti a Hamilton per avvalorare le sue teorie di eru-

dito e “pagano” britannico sarebbero per alcuni studiosi controversi.

Ad ogni modo, da allora, molti scrit-tori si sono interessati, più o meno approfonditamente, a tale argomen-to e quasi tutti hanno accettato l’in-terpretazione che Hamilton ha dato della festa.

In effetti, fino a qualche secolo fa, facevano bella mostra e addirittura venivano portati in processione molti simboli fallici. La lanterna cinque-centesca posta sulla sommità della cupola, di forma molto allungata, non sarebbe poi altro che un simbo-lo fallico!

Rif. bibl.: G. Carabelli, Veneri e Priapi, Bari 1996; M. Gioielli, Isernia festeggia i Santi Medici Cosma e Damiano, in Extra, XI, n. 33, 24 set-tembre 2004, pp. 16-17; G. Morganti, Voce di popolo (non sempre) è voce di Dio, contributo del 31.03.2010 dal sito internet www.ascolidavivere.it

Tommaso D.

Isernia, lanterna dell’eremo deiSS. Cosma e Damiano

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La recente e progressiva afferma-zione anche in Italia del Neopagane-simo, seppur tardivamente rispetto ad altri paesi dell’Occidente, in ri-sposta alla richiesta di un nuovo tipo di spiritualità più attuale ed adeguato alle esigenze della società contem-poranea, ci ha indotto a riscoprire le antiche radici pagane di una regione come l’Umbria che risulta solo ap-parentemente permeata da un mi-sticismo cristiano totalizzante. Uno dei luoghi più significativi di questa riscoperta è il monte Torre Maggiore, presso Cesi (Terni), che costituì uno dei principali luoghi di culto pagano della Bassa Umbria fin dall’epoca pre-romana.

La conca ternana a quel tempo era un crocevia di popoli: Umbri, Sabini, Piceni, Celti, Etruschi e infine Roma-ni.

Si può affermare che con il pas-saggio dall’Età del Bronzo all’Età del Ferro (ossia intorno al X-IX sec. a.C.) si avviò un processo di gradua-le assimilazione e osmosi fra diver-se culture che diede origine a quella che l’archeologo Massimo Pallottino ha definito “Cultura di Terni”.

La catena dei monti Martani si trovava in una posizione strategi-ca e fu utilizzata fin dalla preistoria come percorso di crinale da Nord a Sud, lungo la penisola, e per gli

spostamenti dalla valle di Spoleto a quella di Acquasparta, in direzio-ne Est-Ovest. Sulla vetta di questo percorso, a quota 1120 metri s.l.m., si erge fin dal VI secolo a.C. il san-tuario pagano di Torre Maggiore, il luogo di culto più elevato del territo-rio umbro, intorno al quale gravita-vano una serie d’insediamenti d’al-tura abitati dagli Umru – il più antico nome rinvenuto nelle fonti scritte con cui gli Umbri furono chiamati –, un popolo probabilmente sceso da nord, di origine transalpina e indoeu-ropea, analogo a quello proto-celtico che diede luogo in Austria alla cultu-ra di Hallstatt, e da cui discesero al centro della penisola gli Italici (tra cui gli Umbri e i Sabini). In particolare ci riferiamo ai Naharki di Interamna (l’attuale Terni), ossia gli Umbri abi-tanti presso il fiume Nera (Nahar), al confine con la Sabina. Con la domi-nazione romana nel III secolo a.C. e l’apertura del nuovo tracciato viario della Flaminia, risalente al 220 a.C., gli insediamenti d’altura furono ab-bandonati e la popolazione locale si trasferì a valle costruendo la nuova città di Carsulae.

L’accesso al santuario di Torre Maggiore – toponimo derivato da Terra Majura o Ara Major – avviene ancora attraverso la soglia origina-ria, costituita da un enorme monolite

di pietra calcarea. Al centro del com-plesso si elevano i resti del podio del tempio principale e più antico, orien-tato secondo l’asse Est-Ovest

e preceduto da un pozzetto votivo, in cui sono stati rinvenuti soprattutto bronzetti schematici di figure umane virili. Tutt’intorno, una serie di locali per il ricovero dei pellegrini, i labora-tori per la produzione di ceramiche ed ex voto, e altri locali di servizio.

Sul lato settentrionale del tempio fu trovata una testa in travertino raffi-gurante forse una divinità femminile, alla quale potrebbe essere stato de-dicato il secondo tempio più recente, le cui fondazioni si trovano sulla sini-stra, lungo l’asse Nord-Sud.

Gli attuali resti risalgono all’età re pubblicana (dal III al I secolo a.C.), quando il santuario subì consistenti lavori di ristrutturazione e monumen-talizzazione, sebbene le preesistenti strutture costituissero già uno dei più importanti centri di culto della zona.

In prossimità del solstizio d’estate, nella notte del 24 giugno, la costel-lazione dell’Orsa Maggiore cade a perpendicolo sulla cima del Torre Maggiore, che rispetto al ciclo del-le stagioni segnalava l’affermarsi dell’estate e dava inizio ai rituali pro-piziatori di fertilità, così importanti per l’antica civiltà umbra, basata essenzialmente sull’agricoltura e sulla pastorizia. Da questo santua-rio principale, tramite l’accensione di un grande fuoco, si trasmetteva il segnale del passaggio di stagione a tutta la Bassa Umbria e alla vici-na Sabina, tramite gli altri santuari minori posti sulle alture circostanti, come quello di monte San Pancrazio a Calvi. Il panorama spazia infatti a 360° dalla valle spoletina, alla cate-na dei monti Martani, alle colline ver-so Todi e Amelia, alla conca ternana, fino ai monti Sabini e oltre.

Sul culto che fu all’origine di questo luogo sacro o sui riti che vi si cele-bravano, possiamo solo avanzare qualche ipotesi, dal momento che ci troviamo di fronte ad una civiltà pro-tostorica che ancora non conosceva

UMBRIA PAGANA, LA MONTAGNA SACRA DI

TORRE MAGGIORE

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IAla scrittura e data l’esigua consisten-za dei manufatti rinvenuti.

L’origine del santuario potrebbe essere legata alla presenza di una cavità carsica sul versante ovest del monte. Il fondamentale animismo delle religioni primitive, portò alla na-scita di culti associati ad una serie di luoghi naturali, come fiumi, sorgenti, grotte e montagne. Le divinità con-nesse ai luoghi elevati sono diverse e tra queste vi sono Marte e Giove.

Tali divinità erano collegate, inoltre, ai fenomeni atmosferici, ai temporali e quindi con il cielo.

Il tempio principale del santuario era probabilmente dedicato a Mar-te italico, dio agreste e fecondatore, pacifico guaritore e protettore, guar-diano dei campi e dei confini. Solo la successiva identificazione con il gre-co Ares conferì alla divinità romana la più nota caratteristica di bellicoso combattente e alcuni dei suoi attri-buti, come quello di dio del tuono e del fulmine, furono associati più co-munemente a Giove. Il ritrovamento in loco di una saetta in bronzo dorato è stato collegato al culto di Iuppiter Fulguriator (cfr. L. Bonomi Ponzi, Il santuario di monte Torre Maggiore, in Terni – Interamna Nahars, a cura di C. Angelelli e L. Bonomi Ponzi, Roma 2006, pp. 113-115), ma il re-perto potrebbe anche essere stato sepolto ritualmente ad indicare un luogo colpito dal fulmine e perciò ritenuto sacro, fulgor conditum (cfr. Cesi, capitale delle Terre Arnolfe, a cura di P. Rossi e C. Feliciani, Ter-ni 2004, p. 124), oppure essere più semplicemente un ex voto.

Claudia Giontella ha interpretato il santuario come auguraculum, ossia il luogo nel quale si prendevano gli auspici osservando il volo degli uc-celli.

Seguendo tale ipotesi, la porzione di cielo visibile tra la vetta del Torre Maggiore (l’Ara Major, l’arce mag-giore dell’antica Terni) e il pianoro di Sant’Erasmo (l’Ara Minor) andrebbe a configurare la classica tipologia di “Tempio Celeste” degli Umbri (Verfa-le), definita dal glottologo Giacomo Devoto. Non una costruzione in mu-ratura quindi – che infatti in origine non esisteva, a parte un altare o un pozzetto per le offerte – ma uno spa-zio ideale per le pratiche divinatorie, delimitato da due punti a terra e altri due punti proiettati nel cielo, attra-verso il quale si sarebbe interpretato

il volo degli uccelli augurali da parte dell’Arsfertor sul punto più elevato, mentre nell’Ara Minor l’Aruspex ini-ziava il rito sacrificale.

Una curiosità: l’ingegner Costanzi di Terni, nel 1930, pubblicò un libret-to in cui sostenne che nelle viscere del Torre Maggiore e nell’adiacen-te monte Eolo di Cesi si trovavano i due accessi alle caverne carsiche in cui si rifugiarono gli antichi Umbri durante la sanguinosa guerra contro i Romani. Questi ultimi, una volta scoperti gl’ingressi vi appiccarono il fuoco facendo morire bruciati e sof-focati dai fumi gli avversari, tranne alcuni che riuscirono a salvarsi attra-verso una terza via d’uscita segreta dalle grotte, presso la zona in cui sa-rebbe poi sorta la città di Carsulae (cfr. F. Costanzi, Visioni preistoriche. Le caverne carsiche del Torre Mag-giore…, Terni 1930).

LA PERSISTENZA DEL CULTO PAGANO A TORRE MAGGIORE

Al di là delle sue origini, l’aspetto di questo luogo che riveste maggior interesse riguarda il suo progressi-vo e lento abbandono o, meglio, la conferma della persistenza del culto pagano per molti secoli anche dopo l’affermazione del Cristianesimo. In-fatti, nonostante il materiale di scavo attesti la frequentazione del tempio almeno fino all’inizio del IV secolo d.C., vi sono alcune fonti che do-cumentano la prosecuzione dei riti addirittura fino alle soglie dell’età moderna.

Dopo l’abbandono di Carsulae, a seguito di un terremoto nel IV seco-lo d.C., il santuario pagano di Tor-re Maggiore sopravvisse e fu meta della popolazione superstite che si era rifugiata a Casventum (San Ge-mini),

Porcaria (Portaria) e Podi Ancziani (Poggio Azzuano), da cui parte uno-dei percorsi della strada detta del Carre o del Carro che s’inerpica sul-la montagna verso l’area sacra.

Sin dal 435 Teodosio II ordinò la di-struzione dei templi pagani, ma nel corso del V secolo l’atteggiamento mutò, optando per la costruzione di nuovi edifici cristiani sui luoghi de-gli antichi santuari o, ancor meglio, la loro trasformazione in chiese, ri-adattandoli alle esigenze del nuovo culto. Un’astuta e vincente politica ripresa con successo ancora nel 601 da papa Gregorio Magno.

Una violenta azione repressiva del paganesimo in Valnerina e in gene-rale nella Bassa Umbria e Sabina, si ebbe ad opera del monaco-condot-tiero Benedetto da Norcia (480-547), il quale poi dal 529, a Montecassino, diede vita al suo ordine religioso.

Con il sopraggiungere dei monaci benedettini e poi nel XIII secolo dei frati francescani, furono costruiti, lungo il percorso sacro pagano di ascensione al monte Torre Maggiore, chiese ed eremi come S. Caterina e l’Eremita, per chi veniva da Sange-mini, Poggio Azzuano o da Porta-ria, e come S. Maria de Fora e S. Erasmo, ecc., per chi saliva dal lato di Cesi. Questi luoghi cristiani costi-tuirono vere e proprie postazioni di controllo sul passaggio dei pellegrini pagani allo scopo di scoraggiarne il culto e cercare di trasformare l’anti co percorso sacro in una via crucis attraverso il regolare svolgimento di processioni.

Tuttavia, con la discesa in Italia dei Longobardi (568), fieramente paga-ni ed eredi della cultura germanica, si ebbe anche in Umbria un parzia-le rigurgito della vecchia religione, almeno fino alla loro conversione al Cattolicesimo, verso la fine del VII secolo. Dopo lo storico incontro di Terni, nel 742, tra Liutprando re dei ongobardi e Papa Zaccaria, che portò alla donazione alla Chiesa di alcune città dell’Italia centrale (fra cui Ancona, Osimo, Amelia e Orte, agevolando così il processo di for-mazione dello Stato Pontificio), la nascita nel 962 dello staterello delle Terre Arnolfe favorì invece un’ulte-riore persistenza del paganesimo. Si trattava di una piccola regione posta fra Spoleto, Terni, Narni e Todi, con Cesi capitale, che l’imperatore Otto-ne I di Sassonia diede in feudo ad Arnolfo, suo consigliere, insieme al titolo di conte e vicario imperiale. Le Terre Arnolfe sopravvissero ancora a lungo ostacolando così il diretto controllo sull’area dei monti Martani da parte della Chiesa di Roma alme-no fino al XVI secolo.

Quindi, nonostante la feroce perse-cuzione operata dai benedettini e poi la più mansueta e persuasiva opera di conversione da parte dei france-scani (S. Caterina e Romita degli Ar-nolfi), il monte Torre Maggiore,

vuoi per la presenza protettiva dei Longobardi e dei Germani, vuoi per la particolare situazione amministra-

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tiva delle Terre Arnolfe, nel cui ter-ritorio ricadeva, restò ancora meta di pellegrinaggio da parte di alcuni pagani. Inoltre la posizione isolata ed estremamente elevata ben poco si prestava alla costruzione di un edificio sacro cristiano ed era, pro-prio perché fuori mano, propizia alla permanenza di un culto di così lunga tradizione, risalente all’epoca pre-romana. Solo con l’assoggettamen-to definitivo delle Terre Arnolfe alla Chiesa di Roma, intorno alla metà del XVI secolo, iniziò il completo de-clino dell’area sacra pagana, il cui totale abbandono e distruzione av-vennero probabilmente verso al fine del secolo successivo.

Vi sono infatti alcune preziosissime testimonianze sull’ulteriore sopravvi-venza del santuario e del culto pa-gano: Padre Faustino da Toscolano in un manoscritto del 1618, Itinerari di Terrasanta, ritrovato nell’archivio comunale di Todi e pubblicato nel 1992 a Spoleto dalla Proloco di To-scolano, nel primo capitolo intitolato Dell’ingresso e progresso nella Se-rafica Religione, et viaggi da mefatti fin a Napoli (pp. 63-65), narra una singolare vicenda ammonitrice:

Una bambina di dieci anni, lasciata sola a casa dai genitori in una not-te di Carnevale, fu persuasa da una vecchia sua vicina a recarsi con lei ad un “festino nobilissimo”, purché non proferisse parola. Trasportate fin sulla vetta del monte Torre Mag-giore, vi “trovorno suoni, balli, molte persone cognite et apparecchi di ta-vole sontuose. La povera figliuolina scordatasi dell’ammaestramento della mala vecchia, e stupìta di tanta grandezza e festa disse: ‘Giesù Ma-ria che belle cose!’. Et al proferir di tante parole subito il tutto disparve, restando la povera figliuola ignuda e sola in sì alto monte. La quale con continuo pianto e stridori cominciò a caminare, senza saper ove si fosse, né dove così di notte viaggiasse, mi-racolosamente s’accostò alla Romita nostro convento…”, dove fu accolta dai frati francescani e l’indomani ri-condotta a casa dai suoi genitori. La bambina raccontò poi d’aver visto un inestimabile tesoro, la qual cosa giunse all’orecchio del Papa Paolo V che inviò da Roma suoi emissari per ritrovarlo. Condussero la giovane sul luogo ma non appena essa se-gnò col piede il punto dove scavare “subito gli entrorno spiriti nel piede,

e restò spiritata… e cominciorno a piovere grandine, tuoni e saette, et alla fine bastonate…” tanto che si dovette rinunciare all’impresa.

A meno di non voler dar fede ad una favola inverosimile come questa, la storia sembra essere stata inventata ad arte per spaventare e dissuade-re chiunque dal recarsi al santuario pagano in cima alla montagna in un luogo che, ancora nel XVII, doveva essere teatro del culto.

Infatti, come dimostra una vedu-ta del territorio di Todi del 1637, a quel tempo la vetta era nota come Ara Major, i cui resti dovevano esse-re ancora ben visibili da lontano ed imponenti (cfr. Sul trattato del legno fossile minerale di Francesco Stellu-ti Accademico Linceo da Fabriano, Roma 1637, ristampa anastatica a cura di E. Biondi, Fabriano 1984).

Per inciso, lo Stelluti fu costretto a rifugiarsi presso la corte dei Farnese di Parma in seguito a false accuse di stregoneria.

Inoltre, anche nelle Memorie histo-riche della terra di Cesi raccolte da mons. Felice Contelori, pubblicate a

Roma nel 1675, s’accenna alle consistenti rovine del tempio parlan-do di enormi massi fin lì trasportati.

Il documento più interessante che attesta la prosecuzione del culto pa-gano sul Torre Maggiore è però una cronaca dell’Eremita degli Arnolfi, conservata nell’Archivio francesca-no provinciale della Porziuncola ad Assisi (busta “l’Eremita di Cesi”): “Nell’an. presente di N. S. 1650, è pervenuto nel nostro Convento de la Ss.ma Annuntiata dell’Eremita de’ P.P. Reformati di S. Francesco, frate Benedetto de’ Città di Castel-lo, Guardiano del Convento di Por-cheria [Portaria] di S. Pietro de’ P.P. Cappuccini di S. Francesco, Reli-

gioso di specchiatissima virtù. Seco havea il Fratello Laico fratel Lorenzo d’Amelia. […]

Risolvemmo primieramente discor-rere delli abusi e schiamazzi che ad ogni anno nascevano a motivo delle malsane feste che gruppi di poveri tappini facevano sù per la Via det-ta Del Carro fino al Monte Maggiore [Torre Maggiore]. Onde convenim-mo procedere a solenni Processio-ni sù per cognominata Via ut osta-colare i malsani Riti imperetrati da quella Comunità di Infedeli.” Questa straordinaria testimonianza costitui-sce una prova inequivocabile del pa-ganesimo mai estinto in almeno una parte della popolazione locale.

Tutto ciò dimostrerebbe in modo lo-gico e documentato che, nonostante l’accanimento dei secoli precedenti, solo a partire dalla seconda metà del Seicento il santuario s’avviò ver-so un inarrestabile abbandono. Ora, viste le difficoltà incontrate nell’estir-pare l’antico culto dalla località, è possibile che qualcuno abbia pensa-to di agire drasticamente per la sua completa distruzione?

Gli archeologi a tal proposito, a se-guito dei recenti scavi effettuati dal-la Soprintendenza hanno avanzato un’ipotesi inquietante: la dispersione in tutta l’area circostante di frammen-ti architettonici, come pietre, tegole, nonché di materiali votivi, proiettati anche a molti metri di distanza dai resti archeologici, farebbe presup-porre una distruzione del santuario “per cause traumatiche volute”, for-se quindi – azzardiamo noi – tramite cariche di esplosivo (cfr. L. Bonomi Ponzi, cit., p. 124).

In Cesi redivivo, Terni Luglio-Ago-sto 1897 (numero unico), è scritto che in quell’anno, intorno al Torre Maggiore, erano stati posti i bersagli

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di un poligono di tiro, allestito sui ri-lievi circostanti per lo svolgimento di esercitazioni di tattica bellica. Inoltre, “Sul monte Peracle (Torre Maggiore) si vedono le vestigia … di grandi fab-bricati, e la strada ora nascosta detta del Carro, che partiva da Carsoli.”

Le grandi rovine della stampa dello Stelluti, descritte anche dal Contelo-ri, erano quindi forse ancora in piedi nel 1897? Furono danneggiate pro-prio in occasione di quelle esercita-zioni militari? O ciò non potrebbe es-sere avvenuto nel 1943-44 durante i combattimenti e i bombardamenti che interessarono la città di Terni e le alture circostanti? In questo caso, però, la documentazione fotografica reperita presso l’Aerofototeca Nazio-nale dell’I.C.C.D. di Roma (R.A.F., 138/32, del 18-05-1944), non mostra alcun segno evidente di bombarda-menti sulla vetta del monte e, anzi, le rovine del santuario risultano ap-pena visibili, tanto da apparire come tracce sepolte dai sedimenti di ter-reno.

E se invece fosse vera la prima ipo-tesi molto più sconcertante? L’osti-nata sopravvivenza del paganesimo fino al XVII secolo avrebbe potuto condurre la Chiesa alla decisione di mettere fine una volta per tutte al pel-legrinaggio degli infedeli, falliti tutti i precedenti tentativi di dissuasione e conversione? La distruzione sareb-be avvenuta allora repentinamente

e non, come è stato affermato, per un lento e naturale deperimento a seguito dell’abbandono del culto in età tardo-antica. Poi, l’Illuminismo e i moti rivoluzionari che seguirono, a parte i danni subiti dalla Chiesa, diedero un colpo di grazia ai culti agrari dell’antico paganesimo, che nell’arco di pochi decenni degenerò, soprattutto per merito della persecu-zione ecclesiastica, in superstizione e stregoneria popolare.

Chiudiamo, al di là delle ricostruzio-ni storiche più o meno condivisibili, con un suggestivo racconto, rivela-tore forse del più autentico Genius Loci di queste montagne: “Qualcuno mi ha confessato che quando il gior-no si sente alquanto depresso per motivi a lui ignoti e quindi inspiegabi-li, nella notte si reca sulla montagna di S. Erasmo e sale sopra un leccio per sedersi al primo incrocio di rami. Il che avviene tutto automaticamen-te come per predisposizione. Da qui guarda a lungo la Valle con tutte le sue luci sparse, piccole come te-nui lucciole, poi comincia a fissar lo sguardo nel cielo, sia esso limpido o nuvoloso, finché non si sente assor-bito in esso perdendo ogni sensazio-ne del corpo. Dopo molto … ha un recupero di sensibilità fisica e scen-de dall’albero. Per un lungo periodo di tempo si sentirà sempre ‘in forma’ e vigorosamente rigenerato. … Che su queste montagne si ricevano

sensazioni di benessere e rinvigori-mento dovute agli astri in cielo che vi proiettano i loro influssi positivi, è indubbio per questi giovani. Il ‘che’ accettano con convinzione senza troppo scavare col ragionamento.” (M. Farinacci, Mentalità Ternana Celto Pagana, Terni 1991, p. 12).

Tommaso Dore

La tavola illustrativa del Territorio di Todi nella provincia dell’Umbria che apre il trattato dell’accademico linceo Francesco Stelluti (1637), fornita dal principe Federico Cesi, in cui è

ben visibile l’Ara Major in cima al monte Torre Maggiore.

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Come tutti gli anni, nella notte tra il 31 ottobre e il 1novembre ricorre la festività di Halloween. La notte più magica e misteriosa dell’anno, la notte delle streghe, dei mostri e dei fantasmi.

Ma cos’è Halloween?Le sue origini antichissime affonda-

no nel più remoto passato delle tra-dizioni europee: viene fatta risalire a

quando le popolazioni tribali usa-vano dividere l’anno in due parti in base alla transumanza del bestiame. Nel periodo fra ottobre e novembre, preparandosi la terra all’inverno, era necessario ricoverare il bestiame in luogo chiuso per garantirgli la so-pravvivenza alla stagione fredda: è questo il periodo di Halloween.

In Europa la ricorrenza si diffuse con i Celti. Questo popolo festeggia-va la fine dell’estate con Samhain, il loro Capodanno.

In irlandese antico Samain significa infatti “fine dell’estate” (Sam, estate, e fuin, fine).

A sera tutti i focolari domestici veni-vano spenti, e riaccesi dai druidi che passavano di casa in casa con torce avvivate presso il falò sacro situato a Tlachtga, vicino alla reale Collina di Tara.

Nella dimensione circolare-ciclica del tempo, caratteristica della cultu-ra celtica, Samhain si trovava in un punto fuori dalla dimensione tempo-rale che non apparteneva né all’an-no vecchio e neppure al nuovo; in quel momento il velo che divideva dalla terra dei morti si assottigliava

HALLOWEENed i vivi potevano accedervi.

I Celti non temevano i propri morti e lasciavano per loro del cibo sulla tavola in segno di accoglienza per quanti facessero visita ai vivi. Da qui l’usanza del trick-or-treat (in italiano “dolcetto o scherzetto?”).

Oltre a non temere gli spiriti dei defunti, i Celti non credevano nei demoni quanto piuttosto nelle fate e negli elfi, entrambe creature consi-derate però pericolose: le prime per un supposto risentimento verso gli esseri umani; i secondi per le estre-me differenze che intercorrevano appunto rispetto all’uomo. Secondo la leggenda, nella notte di Samhain questi esseri erano soliti fare scherzi anche pericolosi agli uomini e que-sto ha portato alla nascita e al per-petuarsi di molte altre storie terrifi-canti.

Si ricollega forse a questo la tradi-zione odierna e più recente per cui i bambini, travestiti da streghe, zom-bie, fantasmi e vampiri, bussano alla porta urlando con tono minaccioso: “Dolcetto o scherzetto?”.

Per allontanare la sfortuna, inoltre, è necessario bussare a 13 porte di-verse.

Il nome “Halloween” deriva da “All Hallows Eve”, che vuole dire appun-to “Vigilia di Tutti i Santi”, perciò “Vi-gilia della festa di Tutti i Santi”, festa che ricorre, appunto, il 1º novembre. Poiché la figura dei “Santi” è poste-riore alla religione druidica, un altro etimo potrebbe essere “All allows even”, cioè “la sera in cui tutto è per-messo”, incluso i defunti che escono dalle tombe per far visita ai vivi.

Bisogna ricordare che non è vero che essa sia una festa prettamente nordica, ma usanze simili li ritrovia-mo anche nel mediterraneo e in Ita-lia.

In Calabria nella notte tra il 31 e il 1 novembre, i bambini bussano di casa in casa a chiede “mi fati i muoarti?” (trad. fate un’offerta per le anime dei

defunti?), anche in questa occasione non si facevano doni in moneta ma in cibarie, questa usanza era molto diffusa fino al secolo scorso. Usanza simile la ritroviamo in Sicilia, dove per l’occasione vengono preparati dei biscotti di pasta di mandorla a forma di osso, denominati appunti “ossi di morto”.

L’elenco di usanze simili nel suo-lo italiano è lungo, e questo denota come Halloween sia una festa tipica europea, sia continentale che medi-terranea.

Halloween non ha nulla di diaboli-co!

Se il Carnevale nasce come festa per scacciare i demoni o gli spiriti in-vernali e aiutare la terra a riprendersi dal lungo inverno, Samhain o Hallo-ween va vista come quella festa che ringrazia la terra per ciò che ci ha donato e l’accompagna dolcemente nel suo riposo invernale.

Cercando di esorcizzare e scaccia-re (con travestimenti e fuochi) gli spi-riti infernali che potrebbero far diven-tare l’inverno rigido e lungo più del dovuto. L’alone di horror che riveste Halloween è dovuto solo all’avven-to del cinema, che per speculare ha rivestito questa festa di un alone di mistero, di sangue e esoterismo.

Quindi credenti o non, festeggiate sia il carnevale che halloween, d’al-tronde, al di la del significato molto profondo, sono dei momenti di spen-sieratezza e non hanno nulla di dia-bolico.

Francesco Voce

MITOLOGIA & FOLKLORE

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La strega è una donna ritenuta de-dita all’esercizio della stregoneria, ovvero, secondo la credenza popo-lare tradizionale, comune a molte culture, è una donna che si ritiene sia dotata di poteri occulti; il suo omologo maschile è stregone.

La figura della strega ha radici che precedono il Cristianesimo ed è pre-sente in quasi tutte le culture come figura a metà strada tra lo sciamano e chi, dotato di poteri occulti, possa utilizzarli per nuocere alla comunità, soprattutto agricola.

Solitamente le streghe si distinguo-no in due categorie, streghe nere e streghe bianche. Secondo la tradi-zione, le prime hanno più probabilità di avere contatti con il male, mentre alle seconde, vengono attribuiti dei poteri di guarigione.

Il termine deriverebbe dal greco “stryx, strygòs” e sta per “strige, bar-bagianni, uccello notturno”, ma col passare del tempo assunse il più ampio significato di “esperta di ma-gia e incantesimi”. Nel latino medio-evale il termine utilizzato era lamia, mentre nell’Italia dei giorni nostri il sostantivo varia molto a seconda della zona.

Possiamo perciò trovare:Masca o Maggia (Piemonte)Stria o Bàsura (Liguria)Borde (Toscana)Strìa o Maggia (Lombardia, Emilia,

Trentino Friuli-Venezia Giulia)Cogas, stria, brúscias o maghiargia

(Sardegna)Strìa, Striga o Strigo (Veneto)Janara (Irpinia)Mavara (Sicilia)Magara o Megera (Calabria e Ba-

silicata)Masciáre o Chivàrze (Taranto e

provincia)Macàra (Salento)Stiara (Grecìa Salentina)Stroll’ca (Umbria)

Sin dall’antichità, le streghe sono delle donne che hanno poteri magi-ci, non di rado sono rappresentate accanto ad un filatoio o nell’atto di intrecciare nodi, a richiamare l’idea delle tessitrice (le moire greche), cioè capaci di interagire con il desti-no degli uomini. Inoltre, ogni strega spesso è accompagnata da qualche

strano animale con caratteri mitolo-gici/mistici o “diabolici” che funge-rebbe da consigliere della propria padrona, quali gatto, corvo, civetta, topo o rana. E ancora, le loro strego-nerie avvengono in giorni stabiliti in base al ciclo naturale, i Sabbat.

Inoltre, un’altra immagine tradi-zionale e popolare della strega è la rappresentazione di essa in volo a cavallo di una scopa. Questa icono-grafia dichiara esplicitamente la sua parentela con la Befana, e l’appar-tenenza di entrambe le figure all’im-maginario popolare dei mediatori tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Al giorno d’oggi, in ambito religio-so si intende per “strega” il seguace della Stregoneria Tradizionale (quel-la Italiana chiamata Stregheria) o identificare (anche se poco usata) i “seguaci” della Wicca (erroneamen-te a volte considerata Stregoneria “moderna”), appartenente all’ambito del Neopaganesimo.

Nella storia della letteratura la figu-ra della strega e quella della maga sono spesso intrecciate partendo da Medea, che è al tempo stesso una sacerdotessa di Ecate, ed una guaritrice o avvelenatrice, passando

per Circe fino ad arrivare alle figure di Alcina nell’Orlando Furioso di Lu-dovico Ariosto, senza dimenticare le streghe e maghe della saga fantasy del Ciclo di Avalon, scritta da Marion Zimmer Bradley. In comune hanno la capacità di essere incantatrici e tessitrici di illusioni. Nella letteratura non italiana, come ne La Celestina, la strega è spesso presente come personaggio rilevante.

Sono molto spesso presenti come antagoniste nelle fiabe popolari.

Durante il medioevo le streghe furono oggetto di persecuzione da parte della religione cristiana, la fa-mosa caccia alle streghe. Le vittime dell’inquisizione furono centinaia di migliaia, purtroppo molte di esse non erano vere streghe, ma vennero accusate di stregoneria solo per mo-tivi religiosi, culturali ed economici.

Francesco V.

LA STREGA

Il Sabba, quadro di Francesco Goya, 1795. In realtà il dio caprone non era

collegato al Demonio ma era un’antico retaggio pre-cristiano che simboleggia-

va la fertilità.

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L’ALBERO DI NATALE

Quella dell’albero di Natale è, con il presepe, una delle più diffuse tradi-zioni natalizie.

In genere l’albero di Natale in Italia è un peccio (Picea Abies) detto an-che Abete Rosso.

L’immagine dell’albero come sim-bolo del rinnovarsi della vita è un tradizionale tema pagano, presente sia nel mondo antico che medioeva-le, in seguito assimilato dal Cristia-nesimo.

L’abete, essendo una conifera sempreverde, facilmente richiama il perpetuarsi della vita anche in Inver-no. Presso molti popoli, in particola-re gli Indoeuropei, l‘Albero Cosmico rappresenta la manifestazione divina del cosmo. Ne sono esempi l’albero Cosmico indiano “il puro, il Brahman. Tutti i mondi riposano in lui” (Katha - Upanishad VI, 1), lo Yggdrasil ger-manico, il veterotestamentario Albe-ro della Vita (Genesi 2, 3).

L’usanza in ambiente Cristiano dell’albero di Natale è strettamen-te derivato dalla tradizione pagana, tuttavia, sembra che sia a Tallinn, in Estonia nel 1441, che fu eretto il primo albero di Natale con significati cristiani, nella piazza del Municipio, Raekoja Plats, attorno al quale gio-vani scapoli uomini e donne balla-vano insieme alla ricerca dell’anima

gemella. Tradizione poi ripresa dalla Germania del XVI secolo.

Ingeborg Weber-Keller (professore di etnologia a Marburgo) ha identifi-cato, fra i primi riferimenti storici alla tradizione, una cronaca di Brema del 1570, secondo cui un albero ve-niva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. La città di Riga è fra quelle che si proclamano sedi del primo albero di Natale della storia (vi si trova una targa scritta in otto lin-gue, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510).

Precedentemente a questa prima apparizione “ufficiale” dell’albero di natale (come oggi concepito dalla nsotra cultura) si può però trovare anche un gioco religioso medioe-vale celebrato proprio in Germania il 24 dicembre, il “gioco di Adamo e di Eva” (Adam und Eva Spiele), in cui venivano riempite le piazze e le chiese di alberi di frutta e simboli dell’abbondanza per ricreare l’imma-gine del Paradiso. Successivamente gli alberi da frutto vennero sostituiti da abeti poiché questi ultimi aveva-no una profonda valenza magica per il popolo.

Infatti l’abete adobbato per i culti pre-cristiani rappresenta la Dea Ma-dre, che è sempre fertile anche in

inverno quando tutto appare sterile. Ecco quindi il significato intrinseco dell’albero di Natale, cioè la fertilità e la rinascita.

Per molto tempo, la tradizione dell’albero di Natale rimase tipi-ca delle regioni a nord del Reno. I cattolici la consideravano un uso protestante. Furono gli ufficiali prus-siani, dopo il Congresso di Vienna, a contribuire alla sua diffusione negli anni successivi. A Vienna l’albero di Natale apparve nel 1816, per vole-re della principessa Henrietta von Nassau-Weilburg, ed in Francia nel 1840, introdotto dalla duchessa di Orléans.

A tutt’oggi, la tradizione dell’albero di Natale, così come molte altre tra-dizioni natalizie correlate, è sentita in modo particolare nell’Europa di lingua tedesca, sebbene sia ormai universalmente accettata anche nel mondo cattolico (che spesso lo af-fianca al tradizionale presepe).

A riprova di questo sta anche la tradizione, introdotta durante il pon-tificato di Giovanni Paolo II, di alle-stire un grande albero di Natale nel-la sede del cattolicesimo mondiale, piazza San Pietro a Roma.

D’altronde un’interpretazione al-legorica fornita dai cattolici spiega l’uso di addobbare l’albero come una celebrazione del legno (bois, in fran-cese è sia inteso come “albero” sia come “legno”) in ricordo della Croce che ha redento il mondo (Padre Tho-mas Le Gal).

Si noti la similitudine dell’albero con il pilastro cosmico chiamato Yggdrasill dalla mitologia nordica, fonte della vita, delle acque eterne, cui è vincolato il destino degli uomi-ni: similitudini queste sincreticamen-te assorbite nel culto cristiano che celebra l’albero di Natale e la Croce stessa. La similitudine tra albero sa-cro e Croce fu usata anche dai mis-sionari cristiani tra l’VIII e X secolo per convertire i popoli germanici in Europa centro-settentrionale.

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La Befana, corruzione lessicale di epifania (da cui anche “Pefana”), è una figura tipica di alcune regioni, diffusasi poi in tutta Italia. La Befana appartiene alle figure folkloristiche, dispensatrici di doni, legate alle fe-stività natalizie.

Secondo la tradizione italiana e di alcune parti nel mondo la Befana, raffigurata come una vecchia che vola su una scopa, fa visita ai bam-bini nella notte tra il 5 e il 6 gennaio (la notte dell’epifania) per riempire le calze lasciate da essi apposita-mente appese sul camino o vicino a una finestra. Inoltre, in molte case, per attirare benevolmente la befana, è tradizione lasciare un piattino con qualcosa con cui possa ristorarsi: generalmente si tratta di un manda-rino, un’acciuga, un pezzo di aringa affumicata o qualche cipollina sotto aceto e un bicchiere di vino rosso. Nel caso i bambini siano stati buoni, il contenuto delle calze sarà compo-sto da caramelle e cioccolatini, ca-ramelle alla frutta, mandarini, noci, frutta secca e piccoli regali, in caso contrario conterranno carbone, (oggi si usa un preparato in zucchero co-lorato di nero a forma di carbone e molto duro da masticare).

L’origine di questa figura va proba-bilmente connessa a tradizioni agra-rie pagane relative all’anno trascor-so, ormai pronto per rinascere come

anno nuovo. Difatti rappresenta la conclusione delle festività natalizie come interregno tra la fine dell’anno solare (solstizio invernale, Sol Invic-tus) e l’inizio dell’anno lunare.

Anticamente la dodicesima notte dopo il solstizio invernale, si cele-brava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura pagana di Madre Natura. I Romani credeva-no che in queste dodici notti, figure femminili volassero sui campi appe-na seminati per propiziare i raccolti futuri. A guidarle secondo alcuni era Diana, dea lunare legata alla vege-tazione, secondo altri una divinità minore chiamata Satia (=sazietà) o Abundia (= abbondanza).

La Chiesa condannò con estremo rigore tali credenze, definendole frutto di influenze sataniche. Queste sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni che sfociaro-no nel Medioevo nella nostra Befa-na, il cui aspetto, benché benevolo, è chiaramente imparentato con la personificazione della strega.

L’aspetto da vecchia sarebbe dun-que una raffigurazione dell’anno vec-chio: una volta davvero concluso, lo si può bruciare così come accadeva in molti paesi europei, dove esisteva la tradizione di bruciare fantocci, con indosso abiti logori, all’inizio dell’an-no. In molte parti d’Italia l’uso di bru-ciare un fantoccio a forma di vecchia o di segare un fantoccio a forma di

vecchia (in questo caso pieno di dol-ciumi), rientra invece tra i riti di fine Quaresima, sempre con il significato di porre fine all’anno vecchio.

In quest’ottica l’uso dei doni assu-merebbe un valore propiziatorio per l’anno nuovo.

Un’ipotesi suggestiva è quella che collega la Befana con una festa romana, che si svolgeva all’inizio dell’anno in onore di Giano e di Stre-nia (da cui deriva il termine “stren-na”) e durante la quale si scambia-vano regali.

La Befana si richiama pure ad alcu-ne figure della mitologia germanica, Holda e Berchta, sempre come per-sonificazione della natura invernale.

Secondo una versione “cristianiz-zata”, i Re Magi, diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una signo-ra anziana. Malgrado le loro insi-stenze, affinché li seguisse per far visita al piccolo, la donna non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentitasi di non essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci, uscì di casa e si mise a cercar-li, senza riuscirci. Così si fermò ad ogni casa che trovava lungo il cam-mino, donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù. Da allora girerebbe per il mondo, facen-do regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.

Francesco V.

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IL CARNEVALEIl carnevale è una festa che si ce-

lebra nei paesi di tradizione cristia-na (soprattutto in quelli di tradizione cattolica). I festeggiamenti si svolgo-no spesso in pubbliche parate in cui dominano elementi giocosi e fanta-siosi.

Le prime testimonianze dell’uso del vocabolo “carnevale” (detto anche “carnevalo”) vengono dai testi del giullare Matazone da Calignano alla fine del XIII secolo e del novelliere Giovanni Sercambi verso il 1400.

La parola carnevale deriva dal la-tino “carnem levare” (“eliminare la carne”) poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.

Quanto all’etimologia, il termine deriva da carne-(le)vare, riferito alla vigilia della Quaresima giorno in cui era interdetto l’uso della carne.

Tradizionalmente nei paesi cattolici, il Carnevale ha inizio con la Domeni-ca di Settuagesima (la prima delle nove che precedono la Settimana Santa secondo il calendario Grego-riano), finisce il martedì precedente il Mercoledì delle Ceneri che segna l’inizio della Quaresima. La durata è perciò di due settimane e tre giorni.

In gran parte d’Italia l’inizio del periodo carnevalesco è tradizional-mente fissato il giorno successivo all’Epifania (7 gennaio).

Il momento culminante si ha dal Giovedì grasso fino al martedì, ul-timo giorno di Carnevale (Martedì grasso). Questo periodo, essendo collegato con la Pasqua (festa mo-bile), non ha ricorrenza annuale fis-sa ma variabile. Per questo motivo i principali eventi si concentrano in genere tra i mesi di febbraio e mar-zo.

Per la Chiesa cattolica il Tempo di Carnevale è detto anche Tempo di Settuagesima. Essa considera il Carnevale (Settuagesima) come un momento per riflettere e riconciliarsi con Dio.

La Chiesa cattolica ha però duran-te il corso della storia, condannato il Carnevale in quanto contrario ai det-tami di rigore imposto dall’istituzione stessa. Secondo antiche tradizioni

il Carnevale durava l’intero periodo invernale, dal giorno di commemora-zione dei defunti sino al primo gior-no di Quaresima ed il travestimento serviva non a nascondere la propria identità sebbene a rimandarne ad un’altra.

Anche se oggi è ben radicata nella tradizione cristiana, i caratteri della celebrazione del Carnevale hanno origini in festività ben più antiche, come ad esempio le dionisiache greche (le antesterie) o i saturnali romani. Nelle dionisiache e saturnali si realizzava un temporaneo sciogli-mento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rove-sciamento dell’ordine, allo scherzo ed anche alla dissolutezza.

Sempre presso i Romani la fine del vecchio anno era rappresentata da un uomo coperto di pelli di capra, portato in processione, colpito con bacchette e chiamato Mamurio Ve-turio (l’anno per i romani iniziava a marzo in coincidenza dell’equinozio di primavera).

Durante le antesterie passava il carro di colui che doveva restaurare il cosmo dopo il ritorno al caos pri-mordiale.

Nel mondo antico il Navigium Isi-dis (carro navale di Iside), la festa in onore della dea egizia Iside, im-portata anche nell’impero Romano, comportava la presenza di gruppi mascherati.

In Babilonia poco dopo l’equino-zio primaverile veniva riattualizzato il processo originario di fondazione del cosmo, descritto miticamente

dalla lotta del dio salvatore Marduk con il drago Tiamat che si conclude-va con la vittoria del primo. Durante queste cerimonie si svolgeva una processione nella quale erano alle-goricamente rappresentate le forze del caos che contrastavano la ri-creazione dell’universo, cioè il mito della morte e risurrezione di Marduk, il salvatore. Nel corteo c’era anche una nave a ruote su cui il dio Luna ed il dio Sole percorrevano la gran-de via della festa verso il santuario di Babilonia, simbolo della terra. Que-sto periodo, che si sarebbe concluso con il rinnovamento del cosmo, ve-niva vissuto con una libertà sfrena-ta ed un capovolgimento dell’ordine sociale e morale.

Da un punto di vista storico e re-ligioso il carnevale rappresentò, dunque, un periodo di festa ma so-prattutto di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l’ordine costituito, che però una volta esaurito il periodo festivo, riemerge-va di nuovo, rinnovato e garantito per un ciclo valido fino all’inizio del carnevale seguente. Il ciclo preso in considerazione, è in pratica, quello dell’anno solare.

Il noto storico delle religioni Mir-cea Eliade scrive nel saggio Il Mito dell’Eterno Ritorno: “Ogni Nuovo Anno è una ripresa del tempo al suo inizio, cioè una ripetizione della co-smogonia. I combattimenti rituali fra due gruppi di figuranti, la presenza dei morti, i saturnali e le orge, sono elementi che denotano che alla fine

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dell’anno e nell’attesa del Nuovo Anno si ripetono i momenti mitici del passaggio dal Caos alla Cosmogo-nia”.

Le cerimonie carnevalesche, dif-fuse presso i popoli Indoeuropei, mesopotamici, nonché di altre civiltà hanno anche una valenza purificato-ria e dimostrano il bisogno profondo di rigenerarsi periodicamente abo-lendo il tempo trascorso e riattualiz-zando la cosmogonia.

La presenza dell’orgia nei cerimo-niali che segnano divisioni periodi-che del tempo, tradisce una volontà di abolizione integrale del passato mediante l’abolizione della Crea-zione. La confusione delle forme è illustrata dallo sconvolgimento del-le condizioni sociali (nei Saturnali lo schiavo è promosso padrone, il padrone serve gli schiavi; in Meso-potamia si deponeva e si umiliava il re, ecc.), dalla sospensione di tutte le norme, ecc. Lo scatenarsi della li-cenza, la violazione di tutti i divieti, la coincidenza di tutti i contrari, ad altro non mirano che alla dissoluzione del mondo e alla restaurazione dell’illud tempus primordiale (“quel tempo”, il Grande Tempo mitico), che è evi-dentemente il momento mitico del principio (caos) e della fine (diluvio universale o ekpyrosis, apocalisse).

Il carnevale si inquadra quindi in un ciclico dinamismo di significato miti-co: è la circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi.

Il Carnevale riconduce ad una di-mensione metafisica che riguarda l’uomo e il suo destino. In primavera, quando la terra comincia a manife-stare la propria energia, il Carnevale segna un passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata dai vivi (an-che Arlecchino ha una chiara origine infera). Le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate e per questo si prestano loro dei corpi provvisori, usando le maschere che hanno quindi spesso un significato apotropaico, in quanto chi le indossa assume le caratteristiche dell’esse-re “ soprannaturale “ rappresentato. Queste forze soprannaturali creano un nuovo regno della fecondità della Terra e giungono a fraternizzare al-legramente tra i viventi .

È interessante notare che vari si-gnificati cosmologici del Carnevale erano presenti anche nel Samhain celtico (già trattato nel primo nume-

ro di Artemisia settembre/ottobre 2011).

Infatti se il Carnevale è anche festa per scacciare i demoni gli spiriti in-vernali e aiutare la terra a riprendersi dal lungo inverno, Samhain o Hallo-ween è quella festa che ringrazia la terra per ciò che ci ha donato e l’ac-compagna dolcemente nel suo ripo-so invernale. Cercando di esorcizza-re e scacciare (con travestimenti e fuochi) gli spiriti infernali che potreb-bero far diventare l’inverno rigido e lungo più del dovuto.

Il Carnevale per tradizione termina il Martedì grasso, ma non ovunque: fanno eccezione il Carnevale di Via-reggio, il Carnevale di Ovodda, il carnevale di Poggio Mirteto, il carne-vale di Borgosesia ed il Carnevalone di Chivasso. Anche il Carnevale di Foiano della Chiana termina la do-menica dopo le Ceneri.

In diversi Carnevali il martedì gras-so si rappresenta, spesso con un falò, la “morte di Carnevale”.

Uno dei carnevali più antichi d’Italia arrivato ai giorni nostri è il Carnevale di Verona, risalente al tardo medioe-vo ed il cui nome originale è Bacanàl del Gnoco.

La fama dei Carnevali italiani trava-lica i confini nazionali e sono in gra-do di attrarre turisti sia dall’Italia che dall’estero. Il Carnevale più lungo d’Italia è quello di Putignano.

Tra i più famosi vi sono:Il Carnevale di Venezia è conosciu-

to per la bellezza dei costumi, lo sfar-zo dei festeggiamenti nella magica atmosfera della Laguna e consta di diversi giorni fitti di manifestazioni di svariato tipo: mostre d’arte, sfilate di moda, spettacoli teatrali ecc.

La Puglia è la regione italiana con il maggior numero di manifestazioni abbinate alla lotteria nazionale del carnevale: il già citato Carnevale di Putignano, Carnevale di Massafra, Carnevale di Gallipoli, Carnevale Dauno a Manfredonia e il Carnevale Terranovese a Poggio Imperiale.

Il Carnevale di Viareggio è uno dei più importanti e maggiormente apprezzati carnevali a livello inter-nazionale. A caratterizzarlo sono i carri allegorici più o meno grandi che sfilano nelle domeniche fra gennaio e febbraio e sui quali troneggiano enormi caricature in cartapesta di

uomini famosi nel campo della poli-tica, della cultura o dello spettacolo, i cui tratti caratteristici, specialmente quelli somatici, vengono sottolineati con satira ed ironia.

Lo Storico Carnevale di Ivrea, fa-moso per il suo momento culminan-te della Battaglia delle Arance, è in-vece considerato uno tra i più antichi e particolari al mondo, seguendo un cerimoniale più volte modificatosi nel corso dei secoli. La battaglia ha il pregio di rappresentare, sotto for-ma di allegoria, la rivolta dei cittadini per la libertà dal tiranno della città, probabilmente raineri di Biandrate, ucciso dalla Mugnaia su cui si ap-prestava ad esercitare lo jus primae noctis. Fu quell’evento a innescare la guerra civile rappresentata dalla battaglia tra il popolo e le truppe rea-li che viene rievocata durante il car-nevale, dove le squadre di Aranceri a piedi (ossia il popolo) difendono le loro piazze dagli aranceri su carri (ossia l’esercito) a colpi di arance a rappresentare le frecce, mentre tra le vie della città sfila il corteo della Mugnaia che lancia dolci e regali alla popolazione.

Il Carnevale di Sciacca rinomato per la bellezza delle sue opere in cartapesta realizzate dai locali mae-stri ceramisti, è il carnevale più anti-co di Sicilia, con origini che risalgono al periodo romano. Oggi è caratteriz-zato da sfilate di bellissimi carri alle-gorici che percorrono l’antico centro della città accompagnati da gruppi mascherati che danno vita a coreo-grafie realizzate sulle note di musi-che a tema. Tutto ciò rende questo carnevale uno tra i più affascinanti e divertenti.

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Carnevale di Venezia MIT

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Carnevale di PutignanoCarnevale di Viareggio

Carnevale di Ivrea

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In periodo di festività pasquale l’uo-vo è per antonomasia il simbolo di questo periodo, insieme alla colom-ba.

L’uovo e la colomba oltre ad esse-re simboli sono anche dei dolci tipici del nostro paese, ma la tradizione dell’uovo di cioccolato è recente, ma il dono di uova vere, decorate o do-rate, è correlato alla festa pasquale sin dal Medioevo.

Per i cristiani l’uovo è simbolo del-la rinascita dell’uomo in Cristo, ma esso è un simbolo “sacro” fin dai tempi antichi, come il caso del sim-bolo cosmogonico dell’uovo cosmi-co.

Le uova hanno spesso rivestito il ruolo del simbolo della vita in sé, ma anche della sacralità: secondo alcu-ne credenze pagane e mitologiche del passato, il cielo e il pianeta erano considerati due emisferi che anda-vano a creare un unico uovo, mentre gli antichi Egizi consideravano l’uo-vo come il fulcro dei quattro elementi dell’universo (l’acqua, l’aria, la terra e il fuoco).

La stessa tradizione del dono del-le uova è documentata già fra gli antichi Persiani, dove era diffusa la tradizione dello scambio di semplici uova di gallina all’avvento della sta-gione primaverile, seguiti nel tempo da altri popoli antichi quali gli Egizi, i quali consideravano il cambio di sta-gione una sorta di primo dell’anno, i

Greci e i Cinesi.Oggi si scambiano uova non solo

tra la comunità cristiana ma anche in alcuni movimenti neopagani, come la Wicca e il Celtismo.

L’UOVO COSMICOL’uovo cosmico è un archetipo co-

smogonico, le prime tracce sono do-cumentate presso gli Assiro (Sume-ri) Babilonesi, dalla Mesopotamia, nel 2.000 a.C., per poi diffondersi in India, nel 1.600 a.C., nella religione induista e nell’antico Egitto e nell’an-tica Grecia, con l’orfismo nell’800 a.C., e nei Pelasgi. Tardivamente si è diffuso anche in altre religioni orien-tali, occidentali e africane, come in Cina, nel 400, nella mitologia della creazione giapponese, nelle regioni europeee celtiche e in Africa presso la cultura Bambara.

Nella religione induista, l’uovo co-smico, detto Hiranyagarbha, vie-ne concepito un nucleo universale immerso nell’oscurità e dal quale il Signore Brahma lo ha reso manife-sto, per mezzo dell’Aum, una sillaba che permette l’emissione respirato-ria e che nell’induismo rappresenta il soffio vitale originale. Da questo si è sviluppato l’Universo, fino alla sua conclusione nel massimo degrado e poi da capo in una serie di cicli, chia-mati kalpa.

Nella religione orfica, una storia mi-tica greca, si racconta come dall’uo-vo d’argento, deposto dalla Notte nell’oscurità dell’Erebo e fecondato da un soffio di vento del Nord, con-tenente il cosmo, sia nato Eros.

Nel mito dei Pelasgi, si racconta la stessa storia in modo particolareg-giato. Qui è la dea Eurinome, emer-sa dal caos e fecondata dal serpente Ofione, che depose l’uovo universa-le. Quest’uovo, come quello cinese è un uovo di un rettile mitico.

Nella religione taoista cinese, nel IV secolo d.C., l’uovo cosmico viene descritto nel mito di Pangu, il crea-tore del mondo, coadiuvato dalla tartaruga, da Qilin, un drago con le corna, simile ad una chimera, dalla Fenice e dal dragone.

Nella religione buddista zen giap-ponese all’inizio vi era un uovo con dentro il caos, al centro del quale vi era un seme creatore.

Nella religione celtica il cerchio vuoto si chiama Oiw ed è il centro dell’evoluzione cosmica, simboleg-giato dal Sole. Per i celti si chiama Glain, un uovo rossastro nato da un rettile marino che depone uova sulla spiaggia.

Per i Bambara (popolo africano del Mali) all’inizio vi era un uovo vuoto che si riempie e si sviluppa a causa di un soffio creativo dello Spirito.

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RE LE UOVA DI PASQUA E

L’UOVO COSMICO

Raffigurazione dell’UovoCosmico, secondo la filoso-fia orfica con il dio Phanes

Raffigurazionedell’Uovo Cosmico

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Nell’antica religione egizia, è la Fe-nice a deporre l’uovo, dal quale ri-nascerà, ciclicamente. La Fenice è dotata di alito vitale dal quale nasce il dio dell’aria Shu. In prossimità del-la propria morte la Fenice costruisce un nido a forma di uovo e lì la Fenice brucia completamente ma da questa combustione si genera un uovo, che il Sole fa germogliare.

Attualmente la cosmologia asse-risce che prima di 13,7 miliardi di anni fa l’intera massa dell’universo era compressa in un volume di circa trenta volta la dimensione del no-stro Sole, dal quale si espanse fino allo stato attuale per mezzo del Big Bang. Gli astrofici a partire dagli anni trenta hanno incominciato a parlare di un nucleo primordiale preesisten-te, sconosciuto e inconoscibile, dal quale si è sviluppato l’Universo per mezzo del Big Bang.

L’UOVO NELLA SIMBOLOGIA CRISTIANA

In diverse tradizioni pasquali l’uovo continua a mantenere un ruolo du-rante tutto il periodo delle festività. Durante il periodo di Quaresima, in virtù del digiuno, le uova vengono spesso non consumate ed accumu-late per il periodo successivo.

Nella tradizione balcanica e greco ortodossa l’uovo, di gallina, cucinato sodo, da secoli viene colorato, tradi-zionalmente di rosso, simbolo della Passione, ma in seguito anche di di-versi colori, in genere durante il gio-vedì santo, giorno dell’Ultima Cena, e consumato a Pasqua e nei giorni successivi.

Il giorno di Pasqua, in molti riti, si compie la benedizione pubblica del-le uova, simbolo di resurrezione e della ciclicità della vita, e la succes-siva distribuzione tra gli astanti.

L’USO DI RAGALARE LE UOVAL’usanza dello scambio di uova

decorate, così come li concepia-mo oggi, si sviluppò nel Medioevo, quando questi venivano donate in regalo alla servitù. Nel medesimo periodo l’uovo decorato, da simbolo della rinascita primaverile della na-tura, divenne con il Cristianesimo il simbolo della rinascita dell’uomo in Cristo. La diffusione dell’uovo come regalo pasquale sorse probabilmen-te in Germania, dove si diffuse la tradizione di donare semplici uova in occasione di questa festività.

Sempre nel Medioevo prese piede anche una nuova tradizione: la cre-azione di uova artificiali fabbricate o rivestite in materiali preziosi quali argento, platino od oro, ovviamen-te destinata agli aristocratici e ad i nobili. Edoardo I, re d’Inghilterra dal 1272 al 1307, commissionò la cre-azione di circa 450 uova rivestite d’oro da donare in occasione della Pasqua.

La ricca tradizione dell’uovo de-corato è però dovuta all’orafo Peter Carl Fabergé, che nel 1883 ricevette dallo zar il compito di preparare un dono speciale per la zarina Maria; l’orafo creò per l’occasione il primo uovo Fabergé, un uovo di platino smaltato di bianco contenente un ul-teriore uovo, creato in oro, il quale conteneva a sua volta due doni: una riproduzione della corona imperiale ed un pulcino d’oro. La fama che ebbe il primo uovo di Fabergé contri-buì anche a diffondere la tradizione del dono interno all’uovo.

In tempi più recenti l’uovo di Pa-squa maggiormente celebre e dif-fuso è il classico uovo di cioccolato,

che ha conosciuto largo successo nell’ultimo secolo, arricchito al suo interno da un piccolo dono. Se fino a qualche decennio fa la preparazione delle classiche uova di cioccolato era per lo più affidato per via artigianale a maestri oggi l’uovo di Pasqua è un prodotto diffuso soprattutto in chiave commerciale. La preparazione delle uova di Pasqua delle più svariate di-mensioni trova inizio anche più di un mese prima del giorno della Pasqua, come effettivamente accade anche per l’albero di Natale nel periodo na-talizio.

In molti altri paesi all’uovo di ciocco-lato viene ancora anteposto l’uovo di gallina solitamente cucinato sodo.

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Esempi di uova Fabergè

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Esempi di uova decorate

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La Dea Madre o Grande Madre è una divinità femminile primordiale, presente in quasi tutte le mitologie note, in cui si manifesterebbe la ter-ra, la generatività, il femminile come mediatore tra l’umano e il divino. Essa attesta l’esistenza di una pre-sunta originaria struttura matriarcale delle civiltà pre-istoriche, composte da gruppi di cacciatori-raccoglitori.

È una delle divinità più antiche, alcune sue raffigurazioni (testimo-nianze di antichi culti a Lei dedicate) risalgono addirittura al Paleolitico, famose sono le figure femminili, tro-vate in tutta Europa risalenti al Neo-litico, denominate “Veneri”.

Con gli spostamenti dei popoli e l’articolarsi delle culture, la Dea Ma-dre si “moltiplicò”, o meglio la conce-zione di “Madre” si variegò in diverse simbologie, e quindi in diverse divini-tà femminili. Per cui pur continuando ad esistere Essa si diversificò in più personificazioni e di conseguenza in più culti.

Per esempio, per sovrintendere all’amore sensuale si diversificò in Ishtar, Astarte, Afrodite/Venere, alla fertilità delle donne in Ecate triforme, alla fertilità dei campi in Demetra, Flora, Cerere, Persefone/Proserpi-na, Diana, alla caccia in Kubaba, Cibele, Artemide/Diana.

Inoltre, siccome il ciclo natura-le delle messi implica la morte del seme, perché esso possa risorgere nella nuova stagione, la Dea Madre è connessa anche a culti legati al ci-clo morte-rinascita e alla Luna, che da sempre lo rappresenta.

L’evoluzione teologica della figura della Dea Madre venne costante-mente rappresentata da segnali di connessione tra le nuove divinità e quella arcaica.

Finché le religioni dominanti ebbe-ro carattere politeistico, un segno certo di connessione consisteva nel-la parentela mitologica attestata da mitografi e poeti antichi (ad esem-pio, Ecate è figlia di Gea; Demetra è figlia di Rea).

Altro carattere che permette di rico-noscere le tracce della Grande Dea nelle sue più tarde eredi, è la ripeti-zione di specifici attributi iconologici e simbolici che ne richiamano l’oriz-zonte originario.

Nel mutare delle religioni, la me-moria della Dea Madre, “signora” di luoghi o semplicemente di bisogni umani primari, si mantenne e si tra-smise lungo le generazioni, dando luogo, come già citato, a culti forse inconsapevolmente sincretistici (la cui ultima propaggine il culto Maria-no, della Madonna).

Il culto della Grande Madre prevede anche divinità maschili. Questo è un rapporto “mistico” tra la Grande Dea e il suo Compagno, caratterizzato dall’essere inizialmente minore di lei per età, spesso si presenta come una figura di giovane amante, assai simile ad un figlio, per poi diventa-re il suo consorte e infine colui che muore per generare (o consentire) la rinascita. Un rapporto particolare, complesso, che pone l’accento sulla concezione dualistica della Divinità.

Nell’area mediterranea conoscia-mo i nomi e le storie di molte Dee che deriverebbero dal culto della Grande Madre:

in area mesopotamica (V millennio a.C.): Ninhursag

in area anatolica (II millennio a.C.): Cibele

in area greca: Geain area etrusca: Mater Matutain area latina: Dianain area romana: Bona Dea o Ma-

gna Materin area britannica: Dea Biancainizialmente descritte come figure

plurime o collettive (come i Dattili di Samotracia).

Nella psicologia di Jung la Grande Madre è una delle potenze luminose dell’inconscio, un archetipo di grande ed ambivalente potenza, distruttrice e salvatrice, nutrice e divoratrice.

In Erich Neumann, che più di tutti gli allievi di Jung dedicò i propri studi ai vari aspetti del femminile, l’arche-tipo della Grande Madre (tendenzial-mente conservativo e nemico della differenziazione) è il principale osta-colo allo sviluppo del Sé individuale, che per conquistare la propria parte femminile deve sviluppare le proprie capacità di separazione ed autoaf-fermazione.

Oggi il culto e la venerazione della Dea Madre è molto diffusa nell’am-biente spirituale Neopagano, in par-ticolare nel movimento spirituale del-la Wicca.

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RE LA DEA MADRE

Venere di Willendorf, una delle più antiche e famose

raffigurazioni della Dea Ma-dre, risalente al Neolitico

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LA NOTTE DI SAN GIOVANNI

La notte di San Giovanni, festività cristiana che viene celebrata il 24 giugno, è un giorno che la tradizio-ne popolare vuole sia legata stretta-mente alle streghe. In particolare si pensa che in questo giorno le stre-ghe siano molto più forti e le erbe officinali abbiano poteri curativi ec-cezionali.

In realtà anche questa festa è un retaggio dell’antico paganesimo pre-cristiano.

L’importanza di questo giorno sta nel fatto che il sole in questo perio-do sembra fermarsi, sorgendo e tra-montando sempre nello stesso punto sino al 24 giugno quando ricomincia a muoversi sorgendo gradualmente sempre più a sud sull’orizzonte (a nord nel solstizio invernale).

Anticamente non avendo strumenti precisi (come oggi) la popolazione celebrava i solstizi sempre in date successive a quelle reali (come an-che nel caso del 25 dicembre), poi-ché ci si affidava solo ai cambiamen-ti visivi, oggi con la tecnologia che abbiamo a disposizione sappiamo che in realtà il solstizio estivo cade o il 20 o il 21 giugno (a seconda degli anni).

La notte di S. Giovanni, il 24 giugno appunto, rientra nelle celebrazioni solstiziali; il nome associatogli deri-va dalla religione cristiana, perché secondo il suo calendario liturgico vi si celebra S. Giovanni Battista (come il 27 dicembre S. Giovanni Evangelista).

In questa festa, secondo un’antica credenza il sole (fuoco) si sposa con la luna (acqua): da qui i riti e gli usi

dei falò e della rugiada, presenti nella tradizione contadina e popola-re.

Non a caso gli attributi di S. Gio-vanni sono il fuoco e l’acqua, con cui battezzava... una comoda asso-ciazione, da parte del Cristianesimo, per sovrapporsi alle antiche celebra-zioni...

Così nel corso del tempo, c’e’ stato un mischiarsi di tradizioni pagane e ritualità cristiana che dette origine a

credenze e riti in uso ancora oggi e ritrovabili per lo più nelle aree rurali.

I FUOCHI DI S. GIOVANNII falò accesi nei campi la notte di

S. Giovanni erano considerati oltre che propiziatori anche purificatori e l’usanza di accenderli si riscontra in moltissime regioni europee e persi-no nell’africa del nord.

I contadini si posizionavano prin-cipalmente su dossi o in cima alle colline e accendevano grandi falò in onore del sole, per propiziarsene la benevolenza e rallentarne idealmen-te la discesa; spesso con le fiamme

di questi falò venivano incendiate ruote di fascine che venivano fatte precipitare lungo i pendii, accompa-gnate da grida e canti. Avendo una funzione purificatrice, vi si gettavano dentro cose vecchie, o marce, per-ché il fumo che ne scaturiva tenesse lontani gli spiriti maligni e le streghe (si riteneva che in questa notte le streghe si riunissero e scorrazzas-sero per le campagne alla ricerca di erbe da usare per le loro pratiche magiche).

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Il Ferragosto è una festività che cade il 15 agosto in concomitanza con la ricorrenza dell’Assunzione di Maria.

In Italia, il giorno di Ferragosto è tradizionalmente dedicata alle gite fuori porta e spesso caratterizzata da pranzi al sacco, grigliate e, data la calura stagionale, da rinfrescan-ti bagni in acque marine o lacustri. Molto diffuso anche l’esodo verso le località montane o collinari, in cerca sempre di refrigerio.

Il termine Ferragosto deriva dalla locuzione latina feriae Augusti (ripo-so di Augusto) indicante una festività istituita dall’imperatore Augusto nel 18 a.C. che si aggiungeva alle esi-stenti e antichissime festività cadenti nello stesso mese, come i Consua-lia, per celebrare i raccolti e la fine dei principali lavori agricoli, oppu-re le feste in onore di Diana che si aprivano il 13 agosto per protrarsi per circa tre giorni, con processioni

e fiaccolate.

L’antico Ferragosto, oltre agli evi-denti fini di auto-promozione politica, aveva lo scopo di collegare le princi-pali festività agostane per fornire un adeguato periodo di riposo, anche detto Augustali, necessario dopo le grandi fatiche profuse durante le set-timane precedenti.

Nel corso dei festeggiamenti, in tut-to l’impero si organizzavano corse di cavalli e gli animali da tiro, asini e muli, venivano dispensati dal lavoro e agghindati con fiori. Tali antiche tradizioni rivivono oggi, pressoché immutate nella forma e nella parte-cipazione, durante il “Palio dell’As-sunta” che si svolge a Siena il 16 agosto.

Nell’occasione, i lavoratori porge-vano auguri ai padroni, ottenendo in cambio una mancia: l’usanza si radicò fortemente, tanto che in età rinascimentale fu resa obbligatoria dai decreti pontifici. Catus

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RE FERRAGOSTO

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Il Neopaganesimo è un movimen-to multiforme sorto principalmente in Occidente negli ultimi decenni. Ad esso fanno parte un’eterogenea varietà di nuovi movimenti religiosi, ispirati ad una ripresa delle antiche spiritualità pagane.

Il Neopaganesimo include tutte quelle nuove religioni che si rifanno in modo più o meno diretto ai culti pagani dell’Europa antica. Religioni come la Wicca, che talvolta viene definita la Vecchia Religione, oppure il Fyrnsidù, il cui nome significa lette-ralmente “antica tradizione”, si pro-pongono come spiritualità nuove ma riportanti alla luce la Weltanschau-ung precristiana, ovvero quel modo di vedere il mondo che pone l’essere umano non al disopra ma all’interno del sistema della natura.

Le religioni incluse nel Neopagane-simo spaziano da filosofie di vita che si richiamano ad una continuità con passate esperienze religiose politei-ste (definiti ricostruzionisti o gentili), a sistemi di credenza ispirati sempre alle religioni politeistiche pre-cristia-

IL NEOPAGANESIMO

ne ma che adottano approcci nuovi, sincretici e universalistici (definiti eclettici).

Il termine neopaganesimo (nuovo paganesimo) è un neologismo ba-sato sul termine paganesimo popo-larizzato a partire dal 1968 con la pubblicazione dei primi numeri del “Green Egg”, rivista neopagana ge-stita dalla Chiesa di Tutti i Mondi.

Il lemma è oggi utilizzato tranquil-lamente dalla maggior parte delle comunità neopagane per indicare le religioni post-cristiane occidentali. Anche perché è difficile ripristinare riti e culti senza dover confrontarsi con l’evoluzione sociale, tecnologi-ca, culturale che la società umana ha compiuto durante i secoli.

Si specifica comunque, che se dagli eclettici il termine Neopagano viene comunemente accettato, per i rico-struzionisti tale termine è da alcuni sostituito dal lemma Paganesimo.

STORIADopo l’avvento del Cristianesimo in

Europa, la religione politeista (spe-cie quella greco-romana), cominciò ad essere chiamata con l’appellativo

di “Stregoneria o Pagana”, in me-moria delle sue antiche origini e del fatto che erano ancora in uso nelle campagne (pagano deriva infatti da “pagus” cioè abitante delle campa-gne).

Dopo il 1700 in Europa la Strego-neria, o Paganesimo, sembrava es-sere stata del tutto annientata.

Tuttavia, nonostante 1300 anni di sistematiche persecuzioni e di ra-strellamenti condotti per secoli e su larga scala, così non fu .

L’inizio di un lento e graduale ri-sveglio dei vecchi credi pre-cristiani cominciò a manifestarsi in particolar modo verso la fine del 1800, gra-zie ai contributi letterari forniti dalle opere di Charles Godfrey Leland, in particolare da Aradia or the gospel of the witches, pubblicato a Londra nel 1899, testo che indubbiamente se-gnò l’inizio di un nuovo avvento che trovò il suo compimento solo poche decine d’anni dopo, quando, nei pri-mi decenni del 1900, l’antropologa Margaret Murray riuscì a ricostruire parzialmente la storia della Vecchia Religione in Europa.

Queste furono le prime pubblica-zioni (seppur non scientificamente attendibili) che diedero il via a tutti quei movimenti che compongono oggi il Neopaganesimo.

L’origine storica del Neopagane-simo è quindi da collocarsi nel XIX secolo, con l’emergere del Roman-ticismo in Europa, questo portò alla diffusione di fenomeni quali la risor-genza vichinga nelle isole britanni-che ed in Scandinavia ed il movi-mento Völkisch in Germania.

L’Inghilterra fu uno dei più forti epi-centri della rinascita pagana, la qua-le comportò la comparsa dei primi gruppi druidisti e di associazioni di carattere occultistico quali l’Ordine Ermetico dell’Alba Dorata e l’Ordo Templi Orientis, le quali tentavano di mescolare nella propria dottrina elementi estrapolati dalla religione egizia, dalla Cabala ebraica e da al-

RELIGIONI & RICORRENZE

Pentacolo o stella a cinque punte, simbolo usato da molti neopagani, rappresentante i 4 elementi (acqua, aria, terra e

fuoco), più la quinta essenza cioè lo spirito (la vita).

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tre tradizioni esotiche. Influenzati dal The Golden Bough di James George Frazer parecchi scrittori e artisti di prominenza furono coinvolti nell’atti-vità occultistica.

Notevole svolta per l’ambiente ne-opagano si manifestò nei primi anni cinquanta quando l’inglese Gerald Gardner “fondò” nel 1954 la Wicca, oggi la religione neopagana più dif-fusa nel mondo.

Gli anni sessanta e settanta videro la risorgenza del Celtismo e la siste-matizzazione dell’Etenismo con la nascita dell’Ásatrú negli Stati Uniti e in Islanda.

Tra il 1980 e i tempi contemporanei si è registrata una crescita nell’ap-proccio guidato dal ricostruzionismo, sia nei già presenti movimenti eteni e celtisti sia con la nascita di religioni quali l’Ellenismo, il Kemetismo e del movimento neopagano esteuropeo, oltre che di religiosità (minori) quali il Cadiscismo, la Via Romana agli Dèi e l’Olimpianesimo.

DOTTRINAIl Neopaganesimo poggia su un

universalismo e un’apertura al pen-siero relativistico che conduce a un rigetto delle strutture più formali. Controtendenze sono riscontrabili tra i ricostruzionisti.

La visione teologica è tuttavia ge-neralmente caratterizzata da un

panteismo, un monismo, un enotei-smo e un animismo di raccordo tra le differenti vie neopagane, sistemi che vedono gli Dèi come rappresen-tazioni delle forze della natura ema-nate dalla Divinità ancestrale.

In quanto religioni umanistiche, re-lativistiche e razionalistiche, quelle neopagane non pongono l’uomo al disopra del cosmo (in qualità di es-sere prescelto o eletto da una qual-che Entità trascendente), ma consi-derano l’uomo come uno degli infiniti prodotti dell’evoluzione delle cose, della natura, e dunque dell’attività ciclica e Divina che costituisce il so-strato dell’intera esistenza.

L’essere umano è dunque divino come lo è ogni cosa, e il suo posto all’interno dell’universo lo colloca in posizione di gestore e amministrato-re della sua società, non dell’intero mondo naturale. Il compito dell’uo-mo è quello di garantire la costitu-zione di una società armoniosa, che sia caratterizzata da un equilibrio di pace interno (ovvero di reciproco ri-spetto tra i vari individui) ma anche esterno, ovvero di un equilibrio che garantisca l’ordine delle leggi natu-rali.

A differenza delle Religioni abra-mitiche, che separano l’uomo dal mondo vedendo quest’ultimo come semplicemente creato in servizio alla società (annichilendolo), le reli-gioni neopagane riallacciano i lega-mi tra gli esseri umani e la natura di

cui sono parte integrante.Il rifiuto del trascendentismo tipico

del Cristianesimo che pone Dio al di fuori del cosmo (in una dimensione spirituale opposta a quella materia-le), oltre che della visione personale della Divinità (cioè in qualità di ente simile all’uomo), parallelo all’accet-tazione del fatto che in realtà la Di-vinità corrisponda al tutto, implica un annullamento della dicotomia tra il bene e il male. Nel Neopaganesimo questi non sono visti come due prin-cipi assoluti o due entità distaccate, ma sono semplicemente considerati inesistenti. Ciò che è bene e ciò che è male è una distinzione totalmente personale e versatile in base all’indi-viduo, alla società, alla mentalità e al tempo storico.

In genere tutti i movimenti spirituali neopagani sono aperti alla scienza. L’unione olistica della spiritualità e del sapere scientifico deriva dalla consapevolezza del fatto che il do-minio esplorato dal secondo è quello fisico, ovvero di tutto ciò che l’esse-re umano può intendere con i propri cinque sensi, mentre il dominio della prima è quello della metafisica, cioè di tutto ciò facente parte delle infinite realtà possibili che l’uomo non è in grado di percepire o immaginare con le proprie percezioni. Il punto di con-tatto sta nel panteismo e in tutto ciò che logicamente ne deriva, tra cui la ciclicità dell’esistenza. Quest’ultima non è vista dalle religioni neopaga-

Un esempio di rituale neopagano (in questa foto un rituale wiccan)

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ne come una linea retta, ma come un insieme di processi ciclici che si dispiegano a partire dal principio di tutte le cose.

OGGIAl momento è difficile se non im-

possibile stabilire una correlazione tra quanti sono pubblicamente ne-opagani e quanti aderiscono priva-tamente a questo credo, sebbene esistono, in alcune nazioni “molti “neopagani evitano di rendere pub-blico la propria appartenenza al Ne-opaganesimo a causa di convenzio-ni sociali o circostanze ambientali.

Alcuni sondaggi condotti tra il 1999 e il 2001 (tra cui il più vecchio ef-fettuato dalla Congregazione della Dea, mentre uno studio, con dati del 2001, dall’American Religious Iden-tification Survey) sul territorio norda-mericano, calcolarono il numero dei neopagani spaziando dalle 307.000 unità (di cui 134.000 wiccani, 33.000 celtisti e 140.000 altri neopagani) alle 768.400, in una conferma gene-rale del milione mondiale stimato da Adherents.com.

Da queste statistiche si potrebbe dichiarare esplicitamente una cre-scita dei neopagani costante e cre-scente.

Un’altra comunità neopagana con-sistente è quella del Regno Unito, collocata da alcuni studi di Ronald Hutton alle 250.000 persone. La ci-fra al 2007 è presumibilmente mag-giore, ma mancano statistiche nu-

meriche attendibili.In termini relativi, il Neopaganesi-

mo è attualmente il movimento re-ligioso più rapidamente in crescita nel mondo. Tale diffusione, che sta avvenendo in modo capillare e a tutti i livelli della società, sta portando a conseguenze e cambiamenti di varia portata dal punto di vista culturale.

Il tasso di crecita è stimato al 143% annuo su scala mondiale, con un numero assoluto che tenderebbe a duplicare ogni trenta mesi.

Probabilmente l’1% della popo-lazione mondiale sarebbe di fede Neopagana con una prevalenza di fedeli Wiccan.

La maggior parte delle conversio-ni si verifica nell’Occidente postcri-stiano, in grossomodo costituito dall’America sia settentrionale che meridionale, dall’Europa sia occi-dentale sia orientale, e dall’Oceania. Gruppi di neopagani hanno tuttavia preso piede in località, non definibili postcristiane o tradizionalmente cri-stiane, è questo il caso del Sudafrica o dell’India.

In Italia, secondo delle stime stati-stiche sancite nel 199 dal CESNUR, si stima che vi siano circa 3.000 neo-pagani, di cui probabilmente la mag-gioranza wiccan.

Ultime ricerche e studi fatti sul Neo-paganesimo spiegano che i conver-titi sono in maggioranza cristiani in quanto il Cristianesimo è visto oggi come una religione in decadenza (secolarizzata), la cui intolleranza

e il cui dualismo trascendentistico hanno portato nel corso dei seco-li alla demonizzazione della vita e del mondo, al degrado della natura, all’odio per il diverso e all’oppressio-ne della donna.

L’allontanamento dal Cristianesimo e la conversione ad altre religioni sono viste dai convertiti analizzati dal rapporto come un processo na-turale e coincidente con il risveglio illuministico dell’uomo contempora-neo.

Le Religioni Neopagane principali sono:

WiccaCeltismo o DruidismoStregoneriaEtenismoKemetismoDodecateismo o EllenismoVia Romana agli DeiCadiscismoEsteuropeoOlimpianesimo

Maggiori info su:www.neopaganesimo.blogspot.

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Un esempio di altare neopagano (in questa foto un altare wican italico)

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Il Natale è la festività cristiana che celebra la nascita di Gesù. Cade il 25 dicembre (il 7 gennaio nelle chie-se ortodosse che adottano il calen-dario giuliano).

Il termine deriva dal latino natalis, che significa “relativo alla nascita”. La celebrazione cristiana si è so-vrapposta alla precedente festività pagana del Natalis Sol Invictus (ce-lebrata attualmente dal movimento della Wica Italica, il significato è ri-portato nell’articolo sul Solstizio d’In-verno presente in questo numero).

Secondo il calendario liturgico è una solennità al di sopra dell’Ascen-sione e alla Pentecoste, ma inferiore alla Pasqua, la festività cristiana più importante. È comunque la festa più popolarmente sentita tra i Cristiani e negli ultimi anni ha assunto anche un significato laico, legato allo scambio di regali, alla famiglia e a figure del folklore come Babbo Natale.

Sono strettamente legate alla fe-stività la tradizione, di origine me-dioevale, del presepe e quella, più recente, dell’albero di Natale.

Nel corso dell’ultimo secolo, con il progressivo secolarizzarsi dell’Occi-dente, e in particolar modo dell’Eu-ropa Settentrionale, il Natale ha con-tinuato a rappresentare un giorno di festa anche per i non Cristiani, as-sumendo significati diversi da quello religioso. In questo ambito, il Natale è generalmente vissuto come festa

legata alla famiglia, alla solidarietà, allo scambio di regali e a Babbo Na-tale.

Al tempo stesso la festa del Natale, con connotazioni di tipo secolare-cul-turale, ha conosciuto una crescente diffusione in molte aree del mondo, estendendosi anche in paesi dove i Cristiani sono piccole minoranze. Tale è ad esempio il caso di India, Pakistan, Cina, Taiwan, Giappone e Malesia.

Al di fuori del suo significato reli-gioso, il Natale ha inoltre assunto nell’ultimo secolo una significativa rilevanza in termini commerciali ed economici, legata all’abitudine dello scambio di doni. A titolo di esempio, negli Stati Uniti è stato stimato che circa un quarto di tutta la spesa per-sonale venga effettuata nel periodo natalizio.

Il Natale è una festa accompagna-ta da diverse tradizioni, sociali e re-ligiose, spesso variabili da paese a paese.

In Italia tra i costumi, le pratiche e i simboli familiari del Natale è pos-sibile ricordare il presepe, l’albero natalizio, la figura di Babbo Natale, il calendario dell’Avvento, lo scambio di auguri e di doni e alcune tradizioni di origine pre-cristiane, quali l’accen-sione di falò nelle piazze di alcunipa-esi, oppure cantare stornelli tradizio-

nali accompagnandosi dal suono di zampogne (strumenti musicali agro-pastorali simili a cornamuse).

In particolare il presepe, derivato da rappresentazioni medievali che la tradizione fa risalire a San Fran-cesco d’Assisi, è una ricostruzione figurativa della natività di Gesù ed è una tradizione particolarmente radi-cata in Italia.

L’albero di Natale è invece un abe-te (o altra conifera sempreverde) ad-dobbato con piccoli oggetti colorati, luci, festoni, dolciumi, piccoli regali impacchettati e altro. Le origini ri-salgono al mondo tedesco nel XVI secolo, sulla base di preesistenti tra-dizioni pagane (Germani). L’albero viene allestito anche da alcuni movi-menti neopagani quali la Wicca e la Wica Italica.

Babbo Natale, presente in molte culture, è un vecchio con la bar-ba bianca che distribuisce i doni ai bambini, di solito la sera della vigi-lia di Natale. Deriva forse dalla figu-ra storica di San Nicola di Bari ma nella sua forma moderna si è diffuso a partire dal XIX secolo negli Stati Uniti.

Molte tradizioni natalizie sono infi-ne legate alla musica (canti natalizi come Tu scendi dalle stelle e Jingle Bells), a particolari piante (l’agrifo-glio, il vischio, la stella di Natale) e pietanze sia dolci (panettone, pan-doro e altri dolci natalizi) che salati (zampone, cotechino), spesso con

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L’EPIFANIA

forte variabilità da regione a regio-ne.

Il Natale non è presente tra i primi elenchi di festività cristiane, proba-bilmente perché i primi Cristiani non festeggiavano tale festa.

Il processo attraverso il quale il 25 dicembre divenne la ricorrenza della nascita di Gesù per tutta la cristiani-tà, incominciò infatti solo dopo la fine del III secolo, in sostituzione del più antico culto del Sol Invictus (rinasci-

ta del Sole).Le prime evidenze di una celebra-

zione provengono da Alessandria d’Egitto, circa 200 d.C., quando Cle-mente di Alessandria disse che certi teologi egiziani, “molto curiosi”, defi-nirono non solo l’anno, ma anche il giorno della nascita di Gesù il 25 Pa-chon, corrispondente al 20 maggio del ventottesimo anno di Augusto ma fecero questo non perché rite-nessero che il Cristo fosse nato quel giorno ma solo perché quel mese

era il nono del loro calendario. Altri scelsero le date del 24 o 25 Pharmu-thi (19 o 20 aprile).

Riguardo alla Chiesa di Roma, la più antica fonte sulla celebrazione del Natale è il Cronografo del 354, compilato nel 354, che riporta “nel calendario civile il 25 dicembre è in-dicato come Natalis Invicti”, e sem-pre il 25 dicembre viene indicato come “ natus Christus in Betleem Iudeae”.

È questo documento risalente al 354 che sancisce la “nascita” della festività natalizia.

Francesco V.

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Esempio di Presepe

L’Epifania od anche Epifania del Signore, è una festa cristiana cele-brata il 6 gennaio, dodici giorni dopo il Natale. Nei Paesi in cui non è festi-vità civile, viene spostata alla dome-nica tra il 2 e l’8 gennaio.

L’Epifania è con l’Ascensione, la Pentecoste ed il Natale una delle massime solennità che la Chiesa celebra, inferiori di grado solo alla Pasqua.

Il termine epifania deriva dal gre-co antico, epifàino (che significa “mi rendo manifesto”) e dal discendente sostantivo femminile epifanèia (che può significare manifestazione, ap-parizione, venuta, presenza divina).

Il termine epifanèia veniva utilizza-to dai greci per indicare l’azione o la manifestazione di una divinità (me- Adorazione dei Re Magi

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diante miracoli, visioni, segni, ecc.).

Nel III secolo i cristiani iniziarono a identificare con il termine Epifania, le manifestazioni divine (come i miraco-li, i segni, le visioni, ecc.) di Gesù. In particolare, tra queste manifestazio-ni si sono sottolineate: l’adorazione da parte dei Re Magi, il battesimo di Gesù ed il primo miracolo avvenuto a Cana. Oggi con questo termine si intende, invece, la prima manifesta-zione pubblica della divinità, con la visita dei Magi (sacerdoti astronomi Persiani?) al bambino Gesù.

Nel mondo ortodosso, alcuni usa-no il termine Epifania per indicare la festa che cade sempre il 6 gennaio (o tredici giorni più tardi nelle Chiese che seguono il calendario giuliano) e viene più correntemente chiamata Teofania. In questo giorno viene ce-lebrato il battesimo di Gesù nel Gior-dano, mentre la visita dei Magi nelle chiese di rito bizantino viene cele-brata il giorno stesso del Natale.

I Magi sono stati interpretati come Re Magi per l’influsso di Isaia 60,3, e sono stati attribuiti (senza fonti sto-riche accreditate) loro i loro nomi di Melchiorre (semitico), Gaspare (ca-mitico) e Baldassarre (iafetico).

Secondo il Vangelo di Matteo (2,2) i Magi (non precisati nel numero), gui-dati in Giudea da una stella (o astro), portano in dono a Gesù bambino, riconosciuto come “re dei Giudei”

boli e tradizioni diverse di derivazio-ne molto antiche (culti solari) a con-taminazioni più recenti come:

la Stella Cometa che guida i Re Magi (tradizione orientale contami-nata dal cristianesimo);

l’accensione di fuochi augurali (cul-ti solari);

lo scambio di doni;le feste popolari;la tradizione dei regali ai bambini

(nella calza), soprattutto nei paesi di tradizione cattolica.

In Italia, i doni sono portati dalla Be-fana (impersonificata da una vecchia brutta ma buona, legata secondo la tradizione all’adorazione dei Magi). In Spagna, i regali sono portati dai Re Magi.

Non in tutti i paesi cristiani il 6 gen-naio è riconosciuto come festività anche agli effetti civili.

Oltre che in Italia (salvo che nel pe-riodo 1978 / 1985), lo è in Austria, Croazia, Finlandia, in alcuni Länder della Germania, in Grecia, in Slovac-chia, in Spagna, in Svezia, in alcuni cantoni della Svizzera, nella Repub-blica Dominicana, in Polonia e nel territorio americano di Porto Rico.

Claudio

(Matteo 2,2), oro (omaggio alla sua regalità), incenso (omaggio alla sua divinità) e mirra (anticipazione della sua futura sofferenza redentrice) e lo adorarono.

Con l’Epifania, quindi, si celebra la prima manifestazione della divinità di Gesù all’intera umanità, con la visita solenne, l’offerta di doni altamente significativi e l’adorazione dei magi, autorevoli esponenti di un popolo to-talmente estraneo al mondo ebraico e mediterraneo.

NELLE CHIESE ORIENTALINelle chiese cristiane ortodosse

(che seguono il calendario giuliano), il 7 gennaio si celebra la Nascita di Gesù, a causa di una differenza di tredici giorni fra calendario grego-riano, in uso in occidente dal 1582, e il calendario giuliano precedente, ancora in uso in certe chiese orto-dosse.

NELLA CHIESA LATINALa festa dell’Epifania, dodici giorni

dopo il Natale, è parte del Tempo di Natale e dà inizio al Tempo dell’Epi-fania.

Il Tempo d’Epifania è un periodo del calendario liturgico tradizionale della chiesa cattolica latina e di di-verse chiese protestanti.

Nelle varie culture la celebzione dell’Epifania si accompagna a sim-

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È il periodo che precede la celebra-zione della Pasqua e che, secondo il rito romano, dura quarantaquattro giorni (partendo dal mercoledì del-le Ceneri) mentre, secondo il rito ambrosiano, ne dura quaranta, a partire dalla domenica successiva al Martedì Grasso. Tale periodo è caratterizzato dall’invito insistente alla conversione a Dio, si pratica il digiuno ecclesiastico e altre forme di penitenza, la preghiera e la carità.

La quaresima è uno dei tempi più importanti che la Chiesa cattolica e altre chiese cristiane, celebrano lun-go l’anno liturgico. È un cammino di preparazione a celebrare la Pasqua che è il culmine delle festività cristia-ne.

Sostanzialmente questo periodo vuole ricordare i quaranta giorni tra-scorsi da Gesù nel deserto dopo il suo battesimo nel Giordano e prima del suo ministero pubblico.

Il carattere originario della quaresi-ma è riposto nella penitenza di tutta la comunità cristiana e dei singoli.

Si dice abitualmente che la durata della quaresima è di quaranta giorni: in realtà il calcolo esatto arriva (nel rito romano) a quarantaquattro gior-ni. Alla fine del IV secolo, e ancora oggi nel rito ambrosiano, la quare-sima inizia di domenica (1º giorno), durava cinque settimane complete (5x7=35 giorni) e si concludeva il giovedì della settimana santa (altri 5 giorni), per un totale di quaranta

giorni esatti. Alla fine del V secolo l’inizio venne anticipato al mercoledì precedente la prima domenica (altri 4 giorni), e furono inclusi il Venerdì Santo e il Sabato Santo nel computo della quaresima: in tutto 46 giorni. Ciò fu dovuto all’esigenza di com-putare esattamente quaranta giorni di digiuno ecclesiastico prima della Pasqua, dato che nelle 6 domeniche di quaresima non era (e non è) con-sentito digiunare.

Con la riforma del Concilio Vaticano II° il Triduo Pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo ha riac-quistato una sua autonomia liturgica, e il tempo di quaresima termina nel rito romano del Giovedì Santo. Per cui oggi la quaresima dura dal Mer-coledì delle Ceneri fino al giovedì santo, per un totale di quarantaquat-tro giorni; i giorni di penitenza prima della Pasqua restano però ancora 40. Mentre per il rito Ambrosiano la quaresima inizia la domenica dopo il mercoledì delle ceneri romano e ter-mina anch’essa con il Giovedì Santo per un totale di quaranta giorni esatti a ricordo dei giorni di digiuno di Gesù nel deserto.

Nella determinazione della durata ebbe grande peso il numero quaran-ta che ricorre nell’Antico Testamento molte volte:

i quaranta giorni del diluvio univer-sale;

i quaranta giorni passati da Mosè sul monte Sinai;

i quaranta giorni che impiegarono gli esploratori ebrei per esplorare la terra in cui sarebbero entrati;

i quaranta giorni camminati dal profeta Elia per giungere al monte Oreb;

i quaranta giorni di tempo che, nel-la predicazione di Giona, Dio dà a Ninive prima di distruggerla.

Nel Nuovo Testamento ci sono al-cuni passi chiave nei quali si parla di quaranta giorni:

i quaranta giorni che Gesù passò digiunando nel deserto.

i quaranta giorni in cui Gesù am-maestrò i suoi discepoli tra la resur-rezione di Gesù e l’Ascensione

Un altro riferimento significativo è rappresentato dai “quaranta anni” trascorsi da Israele nel deserto.

Nella Numerologia il numero 40 in generale 40 significa penitenza, la peregrinazione lungo il sentiero del-la verità per giungere al Cielo (come diceva Sant’Agostino) . Secondo al-cune correnti spirituali/esoteriche la stesa anima dopo la morte del corpo fisico attenderebbe 40 giorni prima di essere “giudicata” o reincarnarsi in una nuova vita (in un nuovo cor-po).

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La Pasqua è la principale festività del Cristianesimo. Essa celebra la risurrezione di Gesù che, secondo le Scritture, è avvenuta nel terzo giorno successivo alla sua morte in croce. La festa della Pasqua cristia-na è mobile, viene fissata di anno in anno nella domenica successiva alla prima luna piena (il plenilunio) suc-cessiva all’equinozio di primavera (il 20/21 marzo).

Gli stessi cicli lunari determinano anche la cadenza di altre celebra-zioni e tempi liturgici, come la Qua-resima e la Pentecoste. La Pasqua cristiana presenta importanti legami con la Pasqua ebraica.

PASQUA EBRAICALa Pasqua ebraica, chiamata Pe-

sach (pasa’, in aramaico) e significa “passare oltre”, celebra la liberazio-ne degli Ebrei dall’Egitto grazie a Mosè e riunisce due riti: l’immolazio-ne dell’agnello e il pane azzimo.

La Pesach indica quindi la liberazio-ne di Israele dalla schiavitù sotto gli egiziani e l’inizio di una nuova libertà con Dio verso la terra promessa.

Gli ebrei che vivono entro i confi-ni dell’antica Palestina celebrano la Pasqua in sette giorni. Durante la festa un ebreo ortodosso deve aste-nersi dal consumare pane lievitato e sostituirlo con il pane azzimo, come quello che consumò il popolo ebrai-co durante la fuga dall’Egitto; per questo motivo la Pasqua ebraica è detta anche ‘festa degli azzimi’. La tradizione ebraica ortodossa prescri-

ve inoltre che, durante la Pasqua, i pasti siano preparati e serviti usan-do stoviglie riservate strettamente a questa ricorrenza.

La Pasqua ebraica è fissata al giorno 14 del mese di Nisan del ca-lendario ebraico, come prescrive la Bibbia (Esodo 12,1-18). Si tratta di un calendario lunisolare, quindi ogni mese inizia con la luna nuova e il quindicesimo giorno coincide con il plenilunio.

La data corrispondente nel calen-dario gregoriano (quello usato dalla maggior parte dei paesi del mondo, tra cui l’Italia) varia di anno in anno entro un intervallo di circa 30 gior-ni. Il 14 del mese di Nisan dovrebbe corrispondere sempre al plenilunio successivo all’equinozio di primave-ra (20/21 marzo); ma poiché l’anno ebraico medio è di circa 6 minuti e mezzo più lungo rispetto all’anno tropico, nel corso dei secoli si sono accumulati alcuni giorni di ritardo. Attualmente la Pasqua ebraica cade sempre tra il 26 marzo e il 25 aprile questo intervallo di date però si spo-sta lentamente sempre più in avanti (circa 1 giorno ogni due secoli).

PASQUA CRISTIANALa Pasqua con il Cristianesimo ha

acquisito un nuovo significato, indi-cando il passaggio da morte a vita per Gesù Cristo e il passaggio a vita nuova per i cristiani, liberati dal peccato con il sacrificio sulla croce e chiamati a risorgere con Gesù. La Pasqua cristiana è quindi la chiave interpretativa della nuova alleanza e l’avvento del Regno di Dio, concen-trando in sé il significato del mistero messianico di Gesù.

Perciò, la Pasqua cristiana è detta Pasqua di risurrezione, mentre quel-la ebraica è Pasqua di liberazione dalla schiavitù d’Egitto.

Dal punto di vista teologico, la Pa-squa racchiude in sé tutto il mistero cristiano: con la Passione, Cristo si è immolato per l’uomo, liberandolo dal peccato originale e riscattando la sua natura ormai corrotta, permet-tendogli quindi di passare dai vizi alla virtù; con la risurrezione ha vinto sul mondo e sulla morte, mostrando all’uomo il proprio destino, cioè la risurrezione nel Giorno Finale, ma anche il risveglio alla vera vita. La Pasqua si completa con l’attesa del-

la Parusia, la seconda venuta, che porterà a compimento le Scritture.

I cristiani hanno dunque trasferito i significati della Pasqua ebraica nel-la nuova Pasqua cristiana, seppur con significativi cambiamenti, che le hanno dato un volto nuovo. Le Scrit-ture hanno infatti un ruolo centrale negli eventi pasquali: Gesù, secon-do quanto ci è stato tramandato nei Vangeli, è morto in croce nei giorni in cui ricorreva la festa ebraica; inol-tre, questo evento venne visto dai primi cristiani come la realizzazione di quanto era stato profetizzato sul Messia. Questo concetto viene ri-badito più volte sia nella narrazione della Passione, nella quale i quattro evangelisti fanno continui riferimenti all’Antico Testamento, sia negli altri libri del Nuovo Testamento, come nella prima lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: « Cristo morì per i no-stri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è resuscitato il terzo gior-no secondo le Scritture ».

L’accento si pone dunque sull’adempimento delle Scritture, per cui i giudeo-cristiani, seppur con-tinuando, a festeggiare la Pasqua ebraica, dovettero immediatamente spogliarla del significato di attesa messianica, per poi superare anche il ricordo dell’Esodo, per rivestirla di nuovo significato, cioè la seconda venuta di Cristo ed il ricordo della Passione e risurrezione.

Catia Ludovichi

LA PASQUA

Raffigurazione di Mosè

Raffigurazione di Cristo Risorto

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I rituali pasquali, che celebrano la morte e la resurrezione del Cristo, cadono nel periodo primaverile e ripropongono alcuni aspetti di una religiosità arcaica pre-cristiana che è ricca di simbologie propiziatorie collegate alla morte e rinascita della terra.

La stessa Pasqua Cristiana richia-ma il culto di Estia o Vesta, le Vestali infatti celebravano nell’Equinozio di Primavera un particolare rito che involveva l’accensione di un cero (che venne in seguito anche questo assimilato dalla tradizione cristiana) simboleggiante la fiamma eterna dell’esistenza. A testimonianza di ciò è il fatto che la Pasqua segue sem-pre il primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera.

Insomma nel periodo primaveri-le alcuni rituali e usanze rinnovano significati propiziatori. Mentre nel-la società contadina questi rituali avevano la funzione di ringraziare la terra per i suoi prodotti e favorire simbolicamente la fertilità, al giorno d’oggi tendono a rinnovare l’identità culturale delle comunità che li attua.

Emblematica in tal senso i “tronchi” di Tarquinia, dove il lunedì dell’an-gelo si portano in processione per la città dei veri e propri tronchi, mol-to alti con in cima delle ghirlande, il tutto viene svolto come una marcia

dove trionfante segue il Cristo risorto accompagnato dagli spari di fucili.

Altro caso è la festa del “Maggio di Accettura” in Basilicata, che si svol-ge in occasione della Pentecoste e nel corso della quale s’innesta una cima di un albero sul tronco di un al-tro albero, chiamato il Maggio, cele-brandone il matrimonio.

Nell’ambiente Neopagano è famo-sa la festa di Beltane.

BELTANEBeltane o Beltaine (dall’antico irlan-

dese Beletene, “fuoco luminoso”) è un’antica festa gaelica che si cele-bra attorno al 1º maggio. “Bealtaine” è anche il nome del mese di maggio in irlandese. C’è chi sostiene che il nome deriverebbe dal dio Bel, ma non vi sono prove e fonti a conferma di questo.

È il giorno situato a metà fra l’equi-nozio di primavera ed il solstizio estivo, astronomicamente il giorno corretto sarebbe il 5 maggio, ma è ormai ben radicata la tradizionale data del primo.

Fonti storiche del X secolo affer-mano che i druidi accendevano dei falò sulla cima dei colli e che vi con-ducevano attraverso il bestiame del villaggio per purificarlo ed in segno di buon augurio. Anche le persone attraversavano i fuochi, allo stesso

scopo. L’usanza persistette attraver-so i secoli e dopo la cristianizzazio-ne fino agli anni cinquanta, oggi son ritornati ad essere accesi dai nuovi druidi dei vari gruppi Celti Neopaga-ni.

Una delle celebrazione di Beltane più famose è quella che si tiene ogni anno la notte del 30 aprile a Calton Hill, presso Edimburgo (Scozia), a cui partecipano circa 15.000 perso-ne.

Nel Celtismo/Druidismo, Beltane indica una delle otto festività legate al ciclo delle stagioni.

Nella Wicca Beltane o Beltaine in-dica uno degli otto sabbat, celebrato tra la notte del 30 prile e il 1º mag-gio.

Oggi la festività riprende sia alcu-ni aspetti della festa gaelica (come i falò) e sia quelle della celebrazio-ne germanica del Calendimaggio, sia nel significato di festa della fer-tilità che nei rituali (come la danza attorno ad un palo ornato di fiori e stringhe, di cui ogni danzatore tiene un’estremità).

Beltaine viene celebrata con una rappresentazione rituale del rappor-to fra il Dio e la Dea.

La tradizione endemica europea di accendere fuochi e falò in occasio-ne di festività primaverili o legate ad

FESTE E RITUALI PRIMAVERILI

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equinozi e solstizi è la traccia inde-lebile degli antichissimi riti legati ad un Dio e ad una Dea della fertilità, che unendosi donano nuova vita alla terra, rendendola ricca di frutti, quin-di fertile.

IN ITALIAIn Italia è molto ben radicata que-

sta usanza di accendere falò in vari periodi dell’anno, sempre inc conco-mitanza con i solstizi o gli equinozi.

In alta Valle Camonica (BS), la pic-cola comunità di Pontagna, frazione del comune di Temù, festeggia la notte tra il 15 ed il 16 di agosto (nella tradizione Cristiana è la festa di San-ta Giulia) con grandi fuochi accesi in alto sui monti, ben visibili da fondo valle. Analogamente, ad Avezzano è tradizione accendere fuochi in ono-re della Madonna di Pietraquaria la notte del 26 aprile.

In Calabria nel comune di Scan-dale (Kr) si usa accendere per ogni quartiere dei grandi fuochi nella sera del 18 marzo (oggi in onore a San Giuseppe, che si celebra il 19 mar-zo), ma anticamente erano legati all’equinozio primaverile. Sempre in Calabria a Crotone si usava (oggi meno) accendere grandi fuochi nella sera del 12 dicembre, anche questi anticamente legati al solstizio inver-nale ma oggi legati alla festa di S. Lucia (che si celebra il 13 dicem-bre).

IL CALENDIMAGGIOIl calendimaggio è una tradizione

viva ancor oggi in molte regioni d’Ita-lia come allegoria del ritorno alla vita e della rinascita: fra queste la Ligu-ria, la Lombardia, l’Emilia-Romagna, la Toscana, l’Umbria e la zona delle Quattro Province (Piacenza, Pavia, Alessandria e Genova).

Il Calendimaggio o cantar maggio trae il nome dal periodo in cui ha luogo cioè l’inizio di maggio, ed è

una festa stagionale che si tiene per festeggiare l’arrivo della primavera dalla funzione rituale magico-propi-ziatorie.

Simbolo della rinascita primaverile sono gli alberi (ontano, maggiocion-dolo) e i fiori (viole, rose) con cui i partecipanti si ornano e che vengono citati nelle strofe dei canti. In partico-lare la pianta dell’ontano, che cresce lungo i corsi d’acqua, è considerata il simbolo della vita ed è per questo che è spesso presente nel rituale.

Si tratta di una celebrazione che risale ai celti strettamente legata a Beltane, ma legati anche agli etru-schi e liguri che celebravano l’arrivo della bella stagione, essendo questi popoli tutti molto integrati con i ritmi della natura.

In diverse città si è formalizzata in una vera e propria consuetudine dotata di regole interne e a caratte-re fortemente spettacolare, come la Maggiolata a Firenze o il Calendi-maggio ad Assisi.

Oggi in alcuni luoghi si celebra du-rante tutto il mese di maggio questa tradizione, come nel caso dal Festi-val del Maggio Itinerante.

Nelle province della Montagna pi-stoiese il Calendimaggio viene cele-brato nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio e consiste nell’itinera-re lungo il paese cantando i canti del Maggio sotto ogni casa.

A seconda della località in cui si svolge questa festa troviamo forme e nomi differenti, qui ne elenchiamo solo alcune delle più famose:

Calendimaggio ad Assisi (PG)Calendimaggio a Vernasca (PC), in

val d’ArdaCantar Maggio su tutta la Monta-

gna Pistoiese, dove per tutto il mese si svolge il Festival del Maggio Itine-rante,

Carlin di maggio a Corte Brugnatel-la in val Trebbia (PC),

Cantamaggio a Prataccio, provin-cia di Pistoia

Santa Croce, in una zona compre-sa fra i comuni di Brallo di Pregola, Bobbio e Corte Brugnatella, nelle province di Pavia e Piacenza

E bene venga maggio a Monghido-ro (BO)

Galina grisa o Galëina grisa in val Tidone, a Pianello Val Tidone o a Ci-cogni, frazione di Pecorara, (PC) e a Romagnese (PV)

Maggio a Santo Stefano d’Aveto (GE)

Cantamaggio a Terni (TR)Maggiolata a Firenze (FI)Pianta dal Macc a Canzo (CO)Cantar le uova nell’AlessandrinoSeveso, nella frazione di San Pie-

tro, è presente nella prima domenica e nel primo lunedì di maggio una fe-sta detta di Calendimaggio.

La Maggiolata a Castiglione d’Or-cia in provincia di Siena nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio

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Il Ramadan detto anche il Digiuno è, secondo il calendario musulmano, il nono mese dell’anno e ha una du-rata di 29 o 30 giorni. La parola, in arabo, significa “mese caldo”, il che fa ritenere che un tempo (quando i mesi erano legati al ciclo solare) esso fosse un mese estivo.

In origine, il mese di Ramadan era, come il suo nome stesso (mese caldo) mostra, un mese estivo; ma successivamente Maometto stesso adottò un calendario puramente lu-nare di dodici mesi che, perciò, cam-bia posizione anno per anno.

Dato che il calendario islamico è composto da 354 o 355 giorni (10 o 11 giorni in meno dell’anno sola-re), il mese di Ramadan di anno in anno cade in un momento differente dell’anno solare, e quindi man mano cade in una stagione diversa. Nel corrente anno 2012 (per gli Arabi 1433) il Ramadan inizia il 20 Luglio e termina il 18 Agosto.

Il Ramadan, per la rigorosa osser-vanza del digiuno diurno che osta-cola il lavoro e per il carattere festivo delle sue notti, costituisce un perio-do eccezionale dell’anno per i fedeli islamici in tutti i paesi a maggioranza musulmana: la sua sacralità è fon-data sulla tradizione già fissata nel Corano, secondo cui in questo mese Maometto avrebbe ricevuto una ri-

velazione dall’arcangelo Gabriele. Il digiuno durante tale mese costi-

tuisce il quarto dei Cinque pilastri dell’Islam e chi ne negasse l’obbli-gatorietà sarebbe kāfir, colpevole cioè di empietà massima e dirimente dalla condizione di musulmano. In alcuni paesi a maggioranza islamica il mancato rispetto del digiuno è san-zionato penalmente.

Nel corso del mese di Ramadan i musulmani praticanti debbono aste-nersi - dall’alba al tramonto - dal bere, mangiare, fumare, dal prati-care attività sessuali e dall’abban-donarsi all’ira. Chi è impossibilita-to a digiunare (perché malato o in viaggio) può anche essere sollevato dal precetto, ma appena possibile, dovrà recuperare il mese di digiuno successivamente.

Dal momento che lo scopo del de-voto è quello di purificarsi da tutto quello che di materiale esiste nel mondo corrotto e corruttibile, e dal momento che ogni ingestione gra-devole è considerata corruzione del corpo e dell’anima, è vietato anche fumare e, secondo alcuni, profu-marsi perché in entrambe le azioni s’ingerirebbero sostanze estranee e da entrambe le azioni si trarrebbe un godimento illecito che distoglierebbe dagli aspetti penitenziali cui mira l’istituzione. L’ingestione involontaria di cibi, di sostanze liquide o gassose

non costituisce comunque rottura di digiuno.

Vale la pena però sottolineare che l’uso del profumo nel corso del di-giuno è ammesso da una parte dei dotti musulmani che vietano esplici-tamente solo l’inalazione di incenso. Il motivo di questa relativa tolleranza sta forse nel fatto che il profeta Ma-ometto amava molto i profumi e ne faceva abbondante uso per il fastidio che egli provava per i cattivi odori, tanto da vietare a chi avesse man-giato aglio o cipolla di partecipare alla preghiera collettiva del mezzodì di venerdì in moschea.

Per alcuni dotti dello Sciismo, come ad esempio Najm al-Dīn al-Muhaq-qiq al-Hillī, invece, se il fumo e il pro-fumo non costituiscono violazione dell’obbligo, in caso di rapporti car-nali, la prima violazione dell’obbligo di astensione nel corso del digiuno comporterebbe la fustigazione e, in caso di recidiva, addirittura la pena di morte. Quest’opinione rimane nel-la quasi totalità dei casi non applica-ta nei fatti.

Le donne incinte o che allattano, i bambini e i malati cronici sono esen-tati dal digiuno e dovrebbero al suo posto, secondo le loro possibilità, fare la carità come ad esempio nutri-re le persone bisognose indipenden-temente dalla loro religione, gruppo etnico o dalle loro convinzioni.

Quando tramonta il sole il digiuno viene rotto. La tradizione vuole che si debba mangiare un dattero perché così faceva il Profeta. In alternativa si può bere un bicchiere d’acqua.

Al termine del mese di Ramadan, viene celebrato lo Id al-fitr (“festa della interruzione [del digiuno]”), det-ta anche la “festa piccola”.

Il significato spirituale del digiuno è stato analizzato da molti teologi. Si attribuisce ad esempio al digiuno la dote di insegnare all’uomo l’au-todisciplina, l’appartenenza ad una comunità, la pazienza e l’amore per Dio. Un’altra interpretazione è che il digiuno e l’astinenza sessuale per un mese intero ricordi al praticante le privazioni dei poveri e quindi lo invogli a versare la zakat (la tassa coranica verso i diseredati).

Francesco V.

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Anna Göldi, o Göldin, (Svizzera, Sennwald, 24 ottobre 1734 – Gla-rona, Svizzera, 13 giugno 1782), fu l’ultima donna ad essere condannata a morte per stregoneria in Europa.

Nacque da Adrian e Rosina Büe-ler, quarta di otto figli. Il nonno era porta-bandiera, una nomina ritenuta di prestigio, ma a seguito di litigi col sindaco per questioni di terreni, fu condannato alla prigione ed al paga-mento di una cospicua somma per insulti ed aggressioni; fuggì in Italia e di lui non si seppe più nulla.

Così Adrian, padre di Anna, allo-ra undicenne, dovette continuare l’estinzione della multa inflitta al pa-dre. La famiglia si ridusse in povertà e perse il prestigio.

Anna dovette guadagnarsi la vita andando a fare la serva presso il sindaco Enderlin a Maienfeld.

Successivamente trovò impiego presso il panettiere Bernegger a Sax, ove rimase cinque anni e mez-zo per poi, dal 1762 al 1765, lavo-rare nella casa del pastore di Sen-nwald. Di bella presenza, durante questa permanenza conobbe Jakob Rhoduner, del quale rimase incinta e che la lasciò sola arruolandosi come mercenario in Olanda. A 31 anni par-torì segretamente un bambino che

ANNA GÖLDImorì la stessa notte in circostanze non conosciute e lei fu condannata per infanticidio agli arresti domiciliari per sei anni.

Dal 1765 al 1768 lavorò presso la famiglia del landamano Cosmus Heer, per poi trasferirsi nel canto-ne di Glarona, a Mollis, dove prese servizio presso il pastore Johann Heinrich Zwicky. Durante il suo lavo-ro intrecciò una relazione amorosa con il figlio Melchior e dopo sei anni rimase nuovamente incinta; la fami-glia Zwicky la mandò a partorire a Strasburgo. Di questo figlio, nato nel 1775, si sono perdute le tracce.

Nel 1775 ritornò nel glaronese a lavorare presso il rilegatore Tinner stringendo amicizia con i coniugi Steinmueller, che le furono vicini fino alla fine.

Nel settembre 1780 la Göldi fu assunta presso la famiglia del me-dico, dottore e giudice Johann Ja-kob Tschudi-Elmer. La piccola Anna Maria di 7 anni (figlia dei coniugi Tschudi-Elmer) l’accompagnava an-che nelle passeggiate e visite pres-so gli amici Steinmueller. Fu lì che il 19 settembre 1781 avrebbe dato alla piccola Anna Maria un biscotto (“Läkerli”). Un mese dopo fu trova-to il primo spillo di una lunga serie nella tazza della piccola Anna Ma-ria. Si disse allora che quel biscotto, consumato dagli Steinmueller, fosse stato stregato da Anna Göldi e con-tenesse spilli.

Nei giorni seguenti se ne trovarono regolarmente nel cibo della bambi-na. La sospettata serva si confidò a Johann Jakob Tschudi pastore e parente stretto della famiglia, che la cacciò in malo modo. Si recò prima dai Steinmüller, poi dalla sorella Bar-bara a Sax.

La bambina però cominciava ad aver strane convulsioni e sempre più spilli si trovavano nel suo cibo. Iniziarono così tutti a convincersi della sua colpevolezza; le autorità di Glarona affissero manifesti di ricerca

emettendo una taglia di 100 corone, somma notevole.

Anna fuggì scendendo la valle del Reno verso San Gallo, quindi verso Herisau nell’Appenzello e Deger-sheim, dove trovò un lavoro come cameriera (una lapide ricorda ancora il suo passaggio); lì fu arrestata il 21 febbraio 1782 e portata a Glarona.

La gente convinta della colpevolez-za della Göldi pretendeva che que-sta togliesse il malocchio alla piccola. Il 15 marzo 1782 Anna Göldi visita la piccola Anna Maria e dopo qualche massaggio, la ragazzina ricominciò a camminare e smise di vomitare gli spilli. Questa “guarigione” fu intesa come prova dell’essere una strega.

Anna Göldi fu rinchiusa in prigione e sottoposta ad interrogatori e tortu-re. Fino all’ultimo si proclamò inno-cente. Il dottor Tschudi, che ottenne i servigi di Anna nel periodo in cui servì presso di lui, si dette gran daf-fare presso i suoi colleghi giudici e le autorità di Glarona affinché venisse condannata.

Il 6 giugno il consiglio evangelico glaronese con 32 voti contro 30 la giudicò colpevole di essere un’avve-lenatrice (“Vergifterin”) e il 13 giugno 1782 Anna Göldi morì per decapita-zione.

Il 27 agosto 2008, a più di 226 anni dall’esecuzione, il parlamento canto-nale di Glarona ha deciso di riabilita-re Anna Göldi.

Sabrina

UOMINI & TESTIMONIANZE

Anna Göldi

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Charles Godfrey Leland nacque a Filadelfia il 15 agosto 1824 e morì a Firenze il 20 marzo 1903. Fu folclori-sta e e giornalista americano, autore del IXX° secolo, famoso per gli studi antropologici sulla religione etrusca/romana, ma anche su culture come quella degli zingari e degli indiani d’america.

Leland fu uno dei primi ad interes-sarti dei culti pre-cristiani, e affermò di aver rivelato in Italia un culto su-perstite stregonesco derivante dalla cultura etrusco/romana.

Charles Godfrey Leland ebbe fin da piccolo contatti con la stregoneria, si dice che la sua bambinaia (irlande-se) lo rendeva partecipe a strani riti occulti.

Studia prima a Princeton, poi per due anni in Germania a Heildelberg e Monaco. Nel 1848, il suo carattere ribelle lo porta a partecipare a Pari-gi alla Terza Rivoluzione Francese, a fianco dell’occultista Eliphas Levi. Leland non nascose mai le sue idee anarchico-socialiste.

Tornato in America, studia diritto nel 1853 e in seguito divenne gior-nalista.

Nel 1869 ricevette una cospicua eredità paterna che gli consentì di potersi dedicare pienamente alle sue ricerche antropologico, la sua vera passione.

Studiò sul campo le tradizioni degli indiani d’America e la magia Voo-

doo.Nel 1870 si trasferì in Inghilterra,

dove studiò la cultura degli zingari, qui collaborò anche con lo scrittore esoterico Bulwer Lytton.

In Francia si dedica alla ricerca sul-le streghe delle campagne, convin-cendosi che la stregoneria rapresen-tava una forma di ribellione sociale.

Nel 1888 si trasferì in Italia, a Fi-renze, dove resterà fino alla morte il 20 marzo 1903, a 79 anni e pochi mesi dome essere morta la moglie Isabel.

Leland fu un personaggio curioso e alquanto bizzarro, era convinto di avere un’antenata strega, aveva immense collezioni si libri e docu-menti/reperti folklorici su vari paesi e culture, camminava sempre con le tasche piene di amuleti, conosceva anche molte lingue ed era un bravo disegnatore.

Nel corso della sua intensa esisten-za fondò varie associazioni e scrisse oltre cinquanta libri tra cui:

1855: Meister Karl’s Sketch-book1864: Legends of Birds1871: Hans Breitmann Ballads1872: Pidgin-English Sing-Song1873: The English Gipsies1879: Johnnykin and the Goblins1882: The Gypsies1884: Algonquin Legends1891: Gyspsy Sorcery and Fortune

Telling1892: The Hundred Riddles of the

Fairy Bellaria1892: Etruscan Roman Remains in

Popular Tradition: una edizione ita-liana di Etruscan Roman Remains è stata pubblicata in 2 voll. dall’Editore Rebis nel 1997 con il titolo Il Teso-ro delle Streghe e un’altra parziale intitolata Streghe, esseri fatati ed incantesimi nell’Italia del nord di Elfi Edizioni nel 2004

1893: Have you a Strong Will? or how to Develop it or any other Fa-culty or Attribute of the Mind and ren-der it habitual - edito post mortem e pubblicato in italiano dall’Editore Bocca di Torino con il titolo La forza della volontà. Metodo per sviluppare e rinvigorire la Volontà, la Memoria ed ogni altra facoltà mentale col si-stema dell’auto-suggestione (1909-

1913 -1921)1896: Legends of Florence Col-

lected from the People (2 vols.): La traduzione italiana del primo volume dell’opera “Legends of Florence” è stata pubblicata dalle Ed.Rebis con il titolo “Firenze Arcana” nel 2004; i racconti del secondo volume stan-no apparendo a puntate sulla rivista “Elixir” dello stesso editore.

1899: Unpublished Legends of Vir-gil (traduzione italiana dal titolo “Le leggende inedite di Virgilio” ad opera delle Edizioni Saecula)

1899: Aradia, or the Gospel of the Witches: Esistono cinque edizioni italiane di “Aradia”: la prima edizione ufficiale è stata pubblicata dalle Edi-zioni Rebis (il Gatto Nero) nel 1994, le altre dalla Casa Editrice All’Inse-gna di Istar 1994, dalle Edizioni Lu-naris 1995, da Olschki Editore 1999, da Stampa Alternativa 2001, oltre un’edizione privata stampata a Fi-renze nel 1991, curata da P.L.Pierini

1899: Have You a Strong Will?1901: Legends of Virgil1902: Flaxius, or Leaves from the

Life of an Immortal.

Leland fu forse il primo a trattare argomenti quale la forza del pensie-ro o meglio conosciuta come la for-za della mente (o pensiero positivo), tratto questi argomenti nel 1893 con il libro “Have you a Strong Will? or how to Develop it or any other Fa-culty or Attribute of the Mind and render it habitual”, edito in Italia post mortem dall’Editore Bocca di Torino con il titolo “La forza della volontà” (1909- 1913 -1921).

Ma il libro che resta più di tutti legato al nome di Charles Godfrey Leland è “Aradia il Vangelo delle Streghe”.

Leland riferisce di averlo ricevuto dalla sua principale fonte di informa-zioni sulle tradizioni della stregone-ria italiana, una donna che lo scrit-tore chiama Maddalena. Il resto del materiale è il frutto delle ricerche di Leland sul folklore e sulle tradizioni italiane, tra cui altre informazioni for-nite da Maddalena.

Leland racconta di essere venu-to a conoscenza dell’esistenza del Vangelo nel 1886 ma Maddalena impiegò undici anni per procurarglie-ne una copia. Dopo aver tradotto e

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C. G. Leland

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sistemato il materiale occorsero altri due anni per la sua pubblicazione.

I quindici capitoli descrivono le ori-gini, le credenze, i rituali e gli incan-tesimi tradizionali della stregoneria pagana italiana. La figura centrale di quella religione è la Dea Aradia (figlia di Diana e Lucifero), venuta sulla terra per insegnare la pratica della stregoneria ai contadini perché si opponessero ai signori feudali e alla Chiesa Cattolica Romana.

Il capitolo I presenta le prime stre-ghe come schiave che sono sfuggite ai propri padroni che iniziano delle nuove vite come “ladre e persone malvagie”. Diana manda loro sua figlia Aradia per insegnare a que-ste ex schiave la stregoneria, del-la quale possono usare la potenza per “distruggere la malvagia stirpe degli oppressori”. Le allieve di Ara-dia diventano così le prime streghe e perpetueranno quindi l’eredità di Diana. Leland fu colpito da questa cosmogonia: “in tutte le altre Scrittu-re di tutti i popoli è l’uomo... a creare l’universo; Nella società delle stre-ghe è la femmina a rappresentare il principio fondamentale”.

Interi capitoli sono dedicati a ri-tuali e formule magiche. Tra questi il modo per consacrare farina e altri alimenti per una festa rituale in ono-re di Diana, Aradia e Caino (Capitolo II), una scongiurazione da recitare quando si trova una pietra bucata o una pietra rotonda per trasformarla in un amuleto per ottenere il favore

di Diana (Capitolo IV), incantesimi per ottenere l’amore (Capitolo VI).

La parte narrativa occupa la mino-ranza del testo e si compone di bre-vi racconti e leggende sulla nascita della religione delle streghe e sulle gesta dei loro dei.

L’opera di Leland restò poco co-nosciuta fino agli anni cinquanta, quando iniziarono a essere discusse anche varie altre teorie sulla soprav-vivenza di rituali pagani.

Oggi “Aradia il Vangelo delle Stre-ghe” è considerato il primo vero te-sto della rinascita della stregoneria nel XX secolo, e il libro è in effetti ripetutamente citato come estrema-mente importante per lo sviluppo del movimento della Wicca e della Stre-goneria.

Il testo apparentemente conforta la tesi di Margaret Murray che la stre-goneria della prima epoca moderna e del Rinascimento rappresenti le usanze sopravvissute di antiche cre-denze pagane; dopo l’affermazione di Gerald Gardner di aver incontrato seguaci della religione delle stre-ghe nell’Inghilterra del XX secolo le opere di Michelet, della Murray e di Leland furono d’aiuto per sostene-re perlomeno la possibilità che un

simile culto possa essere davvero sopravvissuto.

Gli studiosi sono divisi; alcuni valu-tano false le affermazioni di Leland sulle origini del manoscritto, mentre altri ne sostengono l’autenticità e lo considerano una documentazione unica sulle credenze popolari.

Si può benissimo definire Charles Godfrey Leland , come uno dei pre-cursori del movimento Neopagano, in particolare della stregoneria e del-la Wicca.

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Aradia, copertina della prima edizione, 1899

Ritratto di Maddalena

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Gerald Brosseau Gardner (Great Crosby, 13 giugno 1884 – Mar Me-diterraneo, 12 febbraio 1964) è stato un esoterista britannico, fondatore del movimento spirituale della Wic-ca, per altri solamente il diffusore.

Nacque a Great Crosby, nel Lan-cashire, vicino Liverpool, in Inghil-terra da una famiglia benestante (proprietaria della società “Joseph Gardner & Sons”, la più antica e im-portante società di import di legna-me), che aveva al proprio servizio una eccentrica bambinaia irlandese di nome Josephine “Corn” Mc Com-bie.

Gardner soffriva d’asma, e la do-mestica si offrì di accudirlo e portarlo con sé nel continente, verso un cli-ma più adatto. Gardner quindi non ricevette un’educazione formale (in-glese).

Corn si sistemò in Asia, dove Gardner restò fino alla fine dell’ado-lescenza. Nel 1908 Gardner si tra-sferì in Borneo per spostarsi suc-cessivamente a Ceylon e in Malesia dove lavorò dapprima come coltiva-tore di caucciù e di tè e in seguito, dopo il 1923, trovò lavoro presso il servizio postale come funzionario doganale in Malesia.

Nel 1927 sposò Donna Rosedale, figlia di un ecclesiastico anglicano, alla quale rimase legato fino alla morte di lei, avvenuta nel 1960.

In oriente Gardner ebbe modo di alimentare i suoi interessi per l’an-tropologia e l’etnologia: nel Borneo conobbe i Dayak e nel 1937 fece ricerche archeologiche in Malesia. Questi studi antropologici erano amatoriali, ma in seguito ci si riferì a lui come dottor Gardner.

Nel 1936, ritiratosi in pensione all’età di 52 anni, tornò in patria.

Tuttavia la sua passione non solo per l’antropologia, ma anche per il mondo dell’occulto, segnò il resto della sua vita.

Membro della Massoneria, aveva aderito a un ordine druidico ed era in contatto tramite la Co-Massoneria britannica con quasi tutti gli ambien-ti esoterici, teosofici ed occultistici dell’Inghilterra Meridionale. Si asso-ciò anche alla confraternita occulta della Fellowship of Cotona, un grup-po di matrice rosacrociana dove tro-vò, secondo quanto affermato da lui, la congrega alla quale fu iniziato.

Pubblicò un autorevole testo con-tenente le sue ricerche sulle armi (un’altra sua passione) del Sud-Est asiatico e sulle pratiche magiche: Keris and other Malay Weapons (1936).

Dal suo ritorno in Inghilterra si die-de, apparentemente su consiglio medico, al naturismo, e cominciò ad occuparsi di occultismo.

Pubblicò due libri fantasy: A God-dess Arrives (1939) e High Magic’s Aid (1949), seguiti dai suoi lavori più importanti: Witchcraft Today (1954) e The Meaning of Witchcraft (1959).

Nel 1964, dopo vari attacchi di cuo-re, Gardner morì in mare, su una nave di ritorno dal Libano.

Fu sepolto a Tunisi dove tutt’ora è la sua tomba.

Gardner disse di essere stato ini-ziato nel 1939 ad una corrente di stregoneria religiosa che riteneva essere una continuazione del paga-nesimo europeo. Doreen Valiente, una delle sacerdotesse di Gardner, in un libro pubblicato da Janet e Ste-wart Farrar identificò la donna che l’aveva iniziato con Dorothy Clutter-buck, riferendo che Gardner le aves-se parlato di una donna che chiama-va Old Dorothy (vecchia Dorothy).

Lo studioso Ronald Hutton, inve-

ce, sostiene nel suo Triumph of the Moon che la tradizione a cui aderì Gardner venisse piuttosto da mem-bri del Rosicrucian Order Crotona Fellowship, e in particolare dalla donna conosciuta col “nome magi-co” Dafo.

Leo Ruickbie nel suo Witchcraft out of shadows dopo aver analizzato le prove documentali al riguardo, con-cluse che Aleister Crowley (con il quale Gardner si incontrò in Italia, in specifico a Cefalù in Sicilia) giocò un ruolo cruciale come ispiratore della nuova religione pagana di Gardner.

Gardner, nei sui due libri sull’argo-mento, si riferisce alla stregoneria religiosa col nome di “Wica” o “The Craft”, ma la sintassi di Gardner ven-ne presto sostituita per consuetudi-ne da “Wicca”.

Il termine Wica, risalirebbe all’an-tico anglosassone, indicherebbe “saggio” e “stregone”. A differenza di wicca che sarebbe l’adattamento di wicce/witch “strega / stregoneria”.

Bibliografia:1936: Keris and Other Malay We-

apons1939: A Goddess Arrives (roman-

zo)1949: High Magic’s Aid (romanzo)1954: Witchcraft Today (edizione in

lingua italiana: La stregoneria oggi, Venexia, Roma, 2007)

1959: The Meaning of Witchcraft.

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Gerald B. Gardner

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Gesù di Nazaret (Betlemme o Na-zaret, 7-2 a.C. – Gerusalemme, 26-36) è il fondatore del Cristianesimo, religione che lo riconosce come il Cristo (Messia) atteso dalla tradizio-ne ebraica e Dio fatto uomo.

Secondo la tradizione cristiana, le principali fonti testuali relative a Gesù sono i quattro vangeli canonici (Matteo, Marco, Luca e Giovanni). Per quanto concerne le ricerche sto-riche sulla sua vita le principali fonti si trovano nel Nuovo Testamento, in particolare nelle lettere di Paolo e nei vangeli sinottici.

Gli ultimi secoli hanno visto infatti lo sviluppo di ricerche volte a valu-tare l’attendibilità storica dei vangeli, inclusi gli elementi soprannaturali e miracolosi, sia a ricostruire il profilo del Gesù storico. La storicità di Gesù è generalmente riconosciuta dagli studiosi, ma, tra questi, vi è anche chi ha ricondotto tale figura all’elabo-razione di un mito.

Dai vangeli appare come la predi-

cazione e l’operato di Gesù abbiano riscosso nella società ebraica coe-va un limitato successo, conseguito peraltro principalmente tra i ceti più bassi. Il breve periodo della sua pre-dicazione si concluse con la morte in croce, richiesta, secondo i van-geli, dalle autorità ebraiche. Dopo la morte, i seguaci di Gesù ne so-stennero la risurrezione e diffusero il messaggio della sua predicazio-ne, facendone una delle figure che hanno esercitato maggiore influenza sulla cultura occidentale.

NASCITASia Matteo che Luca collocano la

nascita di Gesù a Betlemme, in Giu-dea, «al tempo di re Erode». Mentre Matteo vi dedica un breve accenno (Mt1,25-2,1), Luca sviluppa la nar-razione motivando il viaggio di Giu-seppe e Maria da Nazaret a Betlem-me con un censimento indetto da Augusto mentre governava Quirinio (Lc2,1-20).

L’accenno a questo “primo censi-

mento” di Quirinio rappresenta un problema di difficile soluzione: l’uni-co censimento (il “secondo”?) indet-to da Quirinio che ci è noto da altre fonti storiche avvenne infatti nel 6 d.C., quando Erode il Grande era già morto (4 a.C.).

Non si conosce con esattezza la data di nascita di Gesù. La data tra-dizionale del Natale al 25 dicembre è tardiva (IV secolo) in quanto sosti-tuzione della più antica festa pagana del Natalis Sol Invictus, e ancor più tarda la datazione all’anno I° a.C., in quanto risalente al monaco Dionigi il Piccolo (VI secolo). Secondo la maggior parte degli studiosi contem-poranei, la nascita va collocata negli ultimi anni di re Erode, attorno al 7-6 a.C.

Quanto a un eventuale matrimonio di Gesù, i vangeli canonici e le altre opere neotestamentarie non fanno alcuna menzione di una sposa di Gesù o di suoi figli, e sulla base di questo silenzio la tradizione cristia-na lo ha pertanto identificato come celibe. A supporto del suo celibato viene citato solitamente il detto di Gesù relativo all’«eunuchia per il regno» (Mt19,10-12). Alcuni studio-si hanno però rilevato che la scelta celibataria di Gesù sarebbe incom-patibile con l’ambiente giudaico del tempo, dove erano esaltati matrimo-nio e fecondità.

Secondo il racconto dei vangeli, dopo alcuni anni di predicazione, Gesù fece il suo ingresso a Geru-salemme per la celebrazione della Pasqua ebraica. Al suo arrivo in città fu accolto da una folla festante che lo acclamava come Messia, evento ricordato nella tradizione cristiana la Domenica delle Palme. I sinottici collocano dopo l’ingresso a Gerusa-lemme la “purificazione del tempio”, che Giovanni colloca invece in occa-sione della prima Pasqua.

Il racconto degli eventi che porta-rono alla morte di Gesù è riportato parallelamente dai quattro vange-li, seppure con alcune differenze ed aggiunte proprie. Dopo l’Ultima Cena, tenuta in città, Gesù si recò nel podere chiamato Getsemani, sul monte degli Ulivi, poco fuori Geru-salemme, dove sostò in preghiera. Qui un gruppo di guardie del tempio

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Gesù di Nazaret

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(soldati ebrei agli ordini delle auto-rità sadducee), guidato dall’apostolo traditore Giuda Iscariota, procedette al suo arresto. In seguito, Gesù fu condotto da Anna, ex sommo sa-cerdote e suocero del sacerdote in carica Caifa, poi da Caifa, quindi dal Sinedrio, che ne stabilì la condanna a morte per bestemmia, essendosi equiparato a Dio.

Gesù fu crocifisso all’ora terza (nove di mattina); morì all’ora nona (tre del pomeriggio). Secondo i van-geli, la sua morte fu accompagnata da eventi straordinari: venne l’oscu-rità su tutta la terra, vi fu un terremo-to e la risurrezione di «molti santi». In seguito, Giuseppe di Arimatea chiese a Pilato il corpo di Gesù e, dopo averlo avvolto in un lenzuolo (o in teli, secondo Giovanni), lo depose nel suo sepolcro personale, che si trovava presso il Golgota.

È impossibile stabilire con certezza la data della morte di Gesù. I quattro vangeli sono concordi nel collocarla di venerdì, ma, mentre per i tre si-nottici questo giorno coincideva con la Pasqua ebraica (15 nisan), per Giovanni si trattava della vigilia di Pasqua (14 nisan). La cronologia si-nottica porta a ipotizzare come data venerdì 27 aprile del 31 d.C., mentre

gli studiosi, e si contrappone alla tesi del mito di Gesù, che negava appun-to la sua esistenza storica.

Come per altri fondatori di movi-menti religiosi (Maometto, Joseph Smith per i mormoni), anche nel caso di Gesù le fonti disponibili sulla sua opera sono state redatte princi-palmente nella cerchia dei seguaci.

La principale fonte di informazioni sulla vita di Gesù è costituita dai testi scritti dai primi cristiani.

È invece più limitato il numero di testi non cristiani contemporanei a Gesù che ne parlino in modo espli-cito.

Gli scritti del Nuovo Testamento sono stati redatti, anche sulla base di precedenti fonti orali, in un arco di tempo compreso tra il 50 d.C. e la fine del I secolo/inizio del II.

Alcune informazioni sono inoltre contenute anche nella cosiddetta letteratura subapostolica.

Il più antico artefatto archeologi-co che potrebbe essere correlato a Gesù è la cosiddetta Iscrizione di Nazaret. Esistono inoltre evidenze archeologiche dell’esistenza di Pon-zio Pilato e di altri personaggi citati nei vangeli (Caifa, Simone di Cirene). Scavi condotti negli ultimi due secoli inoltre confermano l’attendibilità del-le descrizioni fornite dai vangeli in relazioni a luoghi quali la Piscina di Siloe e la Piscina di Betzaeta, così come la pratica della crocifissione a Gerusalemme nel I secolo d.C.

Si hanno inoltre evidenze archeolo-giche degli antichi villaggi di Nazaret e Cafarnao e attestazioni della pre-senza di cristiani nei primi secoli.

Se oggi la storicità di un certo nu-mero di fatti (l’origine galilea, il bat-tesimo a opera di Giovanni Battista, l’attività di predicazione, la costitu-zione di un gruppo di discepoli, la presenza di una controversia sul tempio, la crocefissione) costituisce un nucleo condiviso tra gli studiosi, rimane invece molto incerta e diffi-cile l’analisi delle altre vicende tra-mandateci dalle fonti.

Matteo R.

quella giovannea venerdì 7 aprile del 30 d.C. o venerdì 3 aprile del 33 d.C. La datazione giovannea del 7 aprile 30 è compatibile con la proba-bile datazione dell’inizio del ministe-ro pubblico nel 28 e con l’accenno giovanneo delle tre Pasque.

I Vangeli dicono che, quaranta gior-ni dopo la risurrezione, Gesù asce-se al cielo. In altri testi sacri cristia-ni, come l’Apocalisse di Giovanni, si parla del ritorno di Gesù, che le chiese cristiane attendono, definito “seconda venuta” o “parusía”, ritor-no che dovrà coincidere con il giorno del Giudizio e l’inizio di «un nuovo cielo e una nuova terra» (Ap21,1).

Gli studiosi moderni ritengono che la risurrezione si tratti di una misti-ficazione degli apostoli, o di una convinzione sorta a seguito di allu-cinazioni, o della riproposizione nel mondo giudaico di un mito diffuso nella religiosità ellenistica, babilone-se e fenicia, relativo ad una divinità che muore e risorge (come il Dio del-la Wicca).

STORICITA’La storicità di Gesù, ovvero la sua

esistenza come effettivo personag-gio storico, è la tesi storiografica quasi universalmente condivisa tra

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Classica rappresentazione della crocifissione di Gesù

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Ipazia è stata una matematica, astronoma e filosofa del IV secolo d.C.

Rappresentante della filosofia neo-platonica pagana, la sua uccisione da parte di una folla di cristiani in tumulto, per alcuni autori composta di monaci detti parabolani, l’ha resa una martire del paganesimo e della libertà di pensiero.

Ipazia nacque ad Alessandria d’Egitto nella seconda metà del IV secolo, si crede che possa essere nata tra il 255 e il 370 d.C., anche se per mancanza di fonti non è pos-sibile stabilire con precisione l’anno della sua nascita.

Si sa di un fratello di nome Epifanio, dedicatario sia del Piccolo commen-tario alle Tavole facili di Tolomeo, che del IV libro dei Commentaria a Tolomeo, del padre Teone.

Dubbia è la possibilità che avesse un altro fratello di nome Atanasio.

Nulla si sa della madre, è invece noto il padre, «Teone, il geometra, il filosofo d’Alessandria », che stu-diava e insegnava ad Alessandria, dedicandosi in particolare alla ma-tematica e all’astronomia — osservò l’eclisse solare del 15 giugno 364 e

quella lunare del 26 novembre — e che sarebbe vissuto almeno per tut-to il regno di Teodosio I (378-395).

Le fonti antiche sono concordi nel rilevare come non solo Ipazia fosse stata istruita dal padre nella matema-tica ma, sostiene Filostorgio, anche che «ella divenne molto migliore del maestro, particolarmente nell’astro-nomia e che, infine, sia stata ella stessa maestra di molti nelle scienze matematiche».

Filostorgio non è soltanto uno sto-rico della Chiesa, ma anche un ap-passionato, se non un esperto, di astronomia e di astrologia, e le sue affermazioni trovano conferma in Da-mascio il quale scrive che Ipazia «fu di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene dalle scienze matematiche alle quali lui l’aveva introdotta, ma non senza altezza d’animo si dedicò anche alle altre scienze filosofiche».

Ipazia aveva tutti i titoli per suc-cedere al padre nell’insegnamento di queste discipline nella comunità alessandrina. Infatti Ipazia, già alme-no dal 393 era a capo della scuola alessandrina, come ricorda Sinesio, giunto ad Alessandria da Cirene per

seguirvi i suoi corsi. La mancanza di ogni suo scritto

rende però problematico stabilire il contributo effettivo da lei prodotto al progresso del sapere matematico e astronomico della scuola di Alessan-dria: a dire del Kline, quella scuola «possedeva l’insolita combinazione di interessi teorici e interessi

pratici che doveva rivelarsi così feconda un migliaio di anni più tar-di. Fino agli ultimi anni della sua esistenza, la Scuola alessandrina godette di piena libertà di pensiero, elemento essenziale per il fiorire di una cultura e fece compiere impor-tanti passi avanti in numerosi campi che dovevano diventare fondamen-tali nel Rinascimento: la geometria quantitativa piana e solida, la trigo-nometria, l’algebra, il calcolo infinite-simale e l’astronomia».

Secondo alcune fonti, ad Ipazia si attribuiscono la perfezionamen-to dell’astrolabio (antico strumento astronomico usato per localizzare i corpi celesti) e l’invenzione dell’idro-scopio (strumento per pesare i liqui-di).

Sempre per la mancanza di suoi scritti la ricostruzione del pensiero filosofico di Ipazia si rivela alquan-to difficoltosa. In assenza di opere autografe e di riferimenti espliciti oc-corre fare riferimento agli scritti del suo allievo Sinesio, che sono quelli ritenuti più attendibili.

Christian Lacombrade dopo aver analizzato le caratteristiche degli scritti del giovane Sinesio, fondata-mente influenzati dal suo soggiorno alla scuola d’Alessandria, afferma che i maggiori maestri che influen-zavano l’insegnamento di Ipazia era Porfirio (filosofo e teologo greco, se-guace della filosofia neoplatonica), mentre minore rilievo vi avrebbe avu-to Giamblico (filosofo greco), sottoli-neando che Ipazia avrebbe soltanto illustrato il pensiero neoplatonico, senza elevarsi «a una concezione generale del mondo, non ha creato, come qualsiasi autentico filosofo, nessun sistema originale».

Resta il fatto che Sinesio rimase devotissimo alla sua maestra per tutta la vita, un atteggiamento che sembra dimostrare che egli avrebbe ascoltato ad Alessandria molto più di

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Raffigurazione di Ipazia e Oreste

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una semplice esposizione del pen-siero di alcuni filosofi. Sinesio, come dimostrano le sue lettere a Ipazia e ad altri, fece parte per tutta la vita di un circolo di iniziati alessandrini, con i quali condivise la filosofia allora in-segnata.

Ipazia gli avrebbe insegnato a con-siderare la filosofia «uno stile di vita, una costante, religiosa e disciplinata ricerca della verità».

In tutte le opere filosofiche di Si-nesio è individuabile costantemente l’insegnamento di Ipazia.

Sembra quasi che il rapporto tra Si-nesio e Ipazia fosse uguale a quello che ebbero Socrate e Platone.

Ipazia «era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola platonica riportata in vita da Plotino e a spiegare a chi lo desiderava tut-te le scienze filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei da ogni parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico». In que-sto passo, Socrate Scolastico, scri-vendo intorno al 440, indica che ad Alessandria l’unica erede del plato-nismo interpretato da Plotino (filoso-fo greco e padre del neoplatonismo) era stata Ipazia.

Se si ammette la correttezza del-la successione delineata da Socra-te Scolastico, ne deriva che Ipazia escluse dal suo insegnamento del-la filosofia neoplatonica la corren-te magico-teurgica, inaugurata da Giamblico e continuata nella scuola ateniese, per ricondurla alle fonti di Platone attraverso la mediazione di Plotino.

Resta da capire se Ipazia aderiva a un platonismo derivato da quello di Plotino, o se invece, rifacendosi a una tradizione più o meno consolida-ta, proponeva un pensiero adeguato al tempo in cui si trovava a vivere e pensare.

Nell’opinione di Socrate Scolastico, Ipazia è considerata filosofa nel sen-so alto del termine e degna erede di Plotino.

Un’altra testimonianza proviene da Damascio, che alla fine del V secolo si stabilì ad Alessandria.

Egli scrive che Ipazia «di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene attraverso le scienze matematiche a cui era stata introdotta da lui ma, non senza al-tezza d’animo, si dedicò anche alle

altre scienze filosofiche. La donna, gettandosi addosso il mantello e uscendo in mezzo alla città, spiega-va pubblicamente a chiunque voles-se ascoltarla Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo».

Risulterebbe dal passo che Ipazia, iniziato il suo percorso culturale dal-lo studio delle scienze matematiche fosse approdata alla «altre scienze filosofiche», ossia alla «vera filoso-fia», che raggiunge il suo culmine nella dialettica.

Un altro elemento che viene sottoli-neato dalle fonti antiche è il pubblico insegnamento esercitato da Ipazia verso chiunque volesse ascoltarla: l’immagine data di una Ipazia che insegna nelle strade sembra sottoli-neare un comportamento la cui au-dacia sembra quasi voluta, come un gesto di sfida e, a questo pro posito, va rilevato che quando Ipazia comin-cia a insegnare, nell’ultimo decennio del IV secolo, ad Alessandria sono stati appena demoliti i templi dell’an-tica religione per ordine del vescovo Teofilo, una demolizione che sim-boleggia la volontà di distruzione di una cultura alla quale anche Ipazia appartiene e che ella è intenzionata a difendere e a diffondere.

I cosiddetti decreti teodosiani, emessi dall’imperatore Teodosio tra il 391 e il 392, avevano sancito la proibizione di ogni genere di culto pagano ed equiparato il sacrificare nei templi al delitto di lesa maestà punibile con la morte.

Socrate Scolastico sottolinea la particolare insistenza del vescovo Teofilo per ottenere dall’imperatore decreti che mettessero fine ad Ales-sandria ai culti dell’antica religione, e così avvenne. Fu risparmiato il

tempio di Dioniso, che il vescovo ottenne in dono dall’imperatore, per essere trasformato in chiesa: già da anni un altro storico edificio, il Cesa-reo, il tempio di Augusto, era stato trasformato in cattedrale cristiana e costituiva il luogo di celebrazione più importante della comunità cristiana.

Una particolare resistenza oppose-ro gli elleni alla distruzione del Sera-peo, il tempio più antico e prestigio-so della città. Oltre al culto di Giove Serapide, vi erano celebrati i culti di Iside e delle divinità egizie e vi erano custoditi i loro «misteri».

Teofilo fece tutto quello che era in suo potere per danneggiare e di-struggere la religione ellenica, espo-se persino pubblicamente, per sacri-legio, gli oggetti di culto dei templi distrutti.

Il gesto provocò, nonostante il ca-rattere “pacifico” dei pagani, l’ultima resistenza degli elleni. Sconvolti dal gesto sacrilego, tramarono tra loro una cospirazione ai danni dei cristiani, dopo aver ucciso e ferito molti di loro, occuparono il tempio di Serapide. L’imperatore stesso, da Costantinopoli, appoggiò la comuni-tà cristiana, sollecitando gli elleni a convertirsi: questi abbandonarono il tempio, che fu occupato dai cristiani. Il giorno prima della sua distruzione Olimpio, l’ultimo sacerdote del Sera-peo, fuggì in Italia.

Nessuna fonte attesta il compor-tamento tenuto da Ipazia durante queste drammatiche vicende, né gli eventuali rapporti intercorsi tra lei e il vescovo Teofilo. Sappiamo che il risalto ottenuto nella città di Ales-sandria dalla personalità di Ipazia è immediatamente successivo a quei fatti e coincide altresì con l’afferma-zione, prodottasi nell’Impero orienta-le, del movimento politico e culturale degli elleni, sostenitori tutti della tra-dizionale cultura greca indipenden-temente dalle singole adesioni a una particolare religione.

Il prestigio conquistato da Ipazia ad Alessandria ha una natura eminente-mente culturale, ma quella sua stes-sa eminente cultura è la condizione dell’acquisizione, da parte di Ipazia, di un potere che non è più soltanto culturale: è anche politico.

Scrive infatti lo storico cristiano or-todosso Socrate Scolastico: «Per la magnifica libertà di parola e di azio-ne che le veniva dalla sua cultura,

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Vescovo Teofilo

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accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo sta-re in mezzo agli uomini: infatti, a cau-sa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale » (Socrate Scolastico, cit., VII, 15).

Quasi un secolo dopo, anche il fi-losofo Damascio riprende le sue considerazioni: Alla morte di Teofilo nel 412 salì sul trono episcopale di Alessandria Cirillo: questi «si accin-se a rendere l’episcopato ancora più simile a un principato di quanto non fosse stato al tempo di Teofilo », nel senso che con Cirillo «la carica epi-scopale di Alessandria prese a do-minare la cosa pubblica oltre il limite consentito all’ordine episcopale».

In tal modo, tra il prefetto di Ales-sandria Oreste, che difendeva le pro-prie prerogative, e il vescovo Cirillo, che intendeva assumersi poteri che non gli spettavano, nacque un con-flitto politico, anche se Cirillo e i suo-ibsostenitori tentarono di occultare le vere ragioni e posero la questio-ne nei termini di una lotta religiosa riproponendo lo spettro del conflitto tra paganesimo e cristianesimo.

Nel 414, durante un’assemblea po-polare, alcuni ebrei denunciarono al prefetto Oreste quale seminatore di discordie il maestro Ierace, un so-stenitore del vescovo Cirillo. Ierace fu arrestato e torturato, al che Cirillo

reagì minacciando i capi della co-munità ebraica, e gli ebrei reagirono a loro volta massacrando un certo numero di cristiani.

La reazione di Cirillo fu durissima: l’intera comunità ebraica fu cacciata dalla città, i loro averi furono confi-scati e le sinagoghe distrutte. Ma il prefetto Oreste non poté prendere provvedimenti contro il vescovo Ci-rillo (oggi considerato santo dalla chiesa cristiana), poiché per la co-stituzione del 4 febbraio 384 il clero veniva a essere soggetto al solo foro ecclesiastico.

Nel pieno del conflitto giurisdiziona-le tra il prefetto e il vescovo, dai monti della Nitria intervennero a sostegno di Cirillo un gran numero di monaci, i cosiddetti parabolani. Formalmente degli infermieri, di fatto costituivano un vero e proprio corpo di polizia che i vescovi di Alessandria usavano per mantenere nelle città il loro ordine.

Costoro, usciti in numero di circa cinquecento dai monasteri e rag-giunta la città, si appostarono per sorprendere il prefetto mentre pas-sava sul carro. Accostatisi a lui, lo gli gridavano contro molti insulti. Egli allora, sospettando un’insidia da parte di Cirillo, proclamò di essere cristiano e di essere stato battezzato dal vescovo Attico. Ma i monaci non badavano a ciò che veniva detto e uno di loro, di nome Ammonio, colpì Oreste sulla testa con una pietra.

Accorsero cittadini di Alessandria, dispersero i parabolani e catturarono Ammonio conducendolo da Oreste: questi, rispondendo alla sua provo-cazione pubblicamente con un pro-cesso secondo le leggi lo condannò a morte. Tempo dopo rese noti que-sti fatti ai governanti, ma Cirillo fece pervenire all’imperatore la versione opposta.

Non si sa quale fosse la versione dei fatti approntata da Cirillo, ma la si può immaginare dal fatto che il vescovo fece collocare il cadavere di Ammonio in una chiesa e, cam-biatogli il nome in Thaumasios — «ammirevole» — lo elevò al rango di martire, come se fosse morto per difendere la sua fede.

In questo clima, maturò l’omicidio di Ipazia, poiché, riferisce lo stori-co della Chiesa Socrate Scolastico, «s’incontrava alquanto di frequente con Oreste, l’invidia mise in giro una calunnia su di lei presso il popolo della chiesa, e cioè che fosse lei a non permettere che Oreste si ricon-ciliasse con il vescovo».

Era il mese di marzo del 415, e cor-reva la quaresima, un gruppo di cri-stiani, guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d’accordo e si ap-postarono per sorprendere Ipazia

mentre faceva ritorno a casa. Tirata-la giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la

uccisero usando dei cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli

del suo corpo nel cosiddetto Cine-rone, cancellarono ogni traccia bru-ciandoli.

Il filosofo pagano Damascio si era recato ad Alessandria intorno al 485, quando ancora vivo e denso di affet-to era il ricordo dell’antica maestra.

Divenuto poi scolarca della scuola di Atene, scrisse, cento anni dopo la morte di Ipazia, la sua biografia. In essa sostiene la diretta responsa-bilità di Cirillo nell’omicidio: accad-de che il vescovo, vedendo la gran quantità di persone che frequentava la casa di Ipazia, «si rose a tal pun-to nell’anima che tramò la sua ucci-sione, in modo che avvenisse il più presto possibile, un’uccisione che fu tra tutte la più empia». Anche Dama-scio rievoca la brutalità dell’omicidio: «una massa enorme di uomini bru-tali, veramente malvagi [...] uccise la filosofa [...] e mentre ancora respira-va appena, le cavarono gli occhi».

Dopo l’uccisione di Ipazia fu aperta un’inchiesta.

A Costantinopoli regnava di fatto Elia Pulcheria, sorella del minorenne Teodosio II (408-450), che era vici-na alle posizioni del vescovo Cirillo d’Alessandria e come il vescovo fu dichiarata santa dalla Chiesa. Il caso fu archiviato, sostiene Damascio, a seguito dell’avvenuta corruzione di funzionari imperiali. Anche secondo

Socrate Scolastico, la corte impe-riale fu corresponsabili della morte di Ipazia, non essendo intervenuta, malgrado le sollecitazioni del pre-fetto Oreste, a porre fine ai disordini precedenti l’omicidio.

A partire dall’Illuminismo, Ipazia vie-ne considerata una vittima del fanati-smo religioso e una martire laica del pensiero scientifico. Nel Settecento lo storico britannico Edward Gibbon definì la sua morte una «macchia in-delebile sul carattere e sulla religio-ne di Cirillo d’Alessandria».

Ipazia fu celebrata in romanzi, poe-sie, opere teatrali e quadri.

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Vescovo Cirillo,oggi considerato Santodalla Chiesa Cattolica

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Maometto (arabo: ابو القاسم محمد بن -Abūl , عبد الله بن عبد المطلب الهاشميQāsim Muhammad ibn Abd Allāh ibn Abd al-Muţţalīb al-Hāshimī; Mecca, 570 circa – Medina, 8 giugno 632) è stato fondatore e profeta

dell’Islam, considerato dai musul-mani l’ultimo di una lunga catena profetica, di cui egli avrebbe occupa-to una posizione di assoluto rilievo, “messaggero” di Dio (Allah) e Sigillo della profezia.

Maometto (che nella sua forma originale araba significa “il grande-mente lodato”) nacque in un giorno imprecisato (che secondo alcune fonti tradizionali sarebbe il 20 o il 26 aprile di un anno parimenti impreci-sabile, convenzionalmente fissato però al 570) a Mecca, nella regione peninsulare araba del Hijaz, e morì il lunedì 13 rabī dell’anno 11 dell’Egira (equivalente all’8 giugno del 632) a Medina.

Sia per la data di nascita, sia per quella di morte, non c’è tuttavia al-cuna certezza e quanto riportato costituisce semplicemente il parere di una maggioranza relativa di tradi-zionalisti.

La sua nascita sarebbe stata se-gnata, secondo alcune tradizioni, da eventi straordinari e miracolosi.

Appartenente a un importante clan di mercanti, quello dei Banu Hashim, componente della più vasta tribù dei

Banu Quraysh di Mecca, Maometto era l’unico figlio di Abd Allāh b. Abd al-Muhalib ibn Hāshim e di Āmina bint Wahb, figlia del sayyid del clan dei Banu Zuhra, anch’esso apparte-nente ai Banu Quraysh.

Orfano fin dalla nascita del padre (morto a Yathrib al termine d’un viag-gio di commercio che l’aveva portato nella palestinese Gaza), Maometto rimase precocemente orfano anche di sua madre che, nei suoi primissimi anni, l’aveva dato alla balia Kalīma bt. Abī Dhuayb, della tribù dei Banu Sad b. Bakr, che effettuava piccolo nomadismo intorno a Yathrib.

Oltre alla madre e alla nutrice, due altre donne si presero cura di lui da bambino: Umm Ayman Baraka e Fātima bint Asad, moglie dello zio paterno Abū Tālib. Importante fu l’af-fettuosa e presente sua zia Fatima bint Asad, che Maometto amava per il suo carattere dolce, tanto da met-tere il suo nome a una delle proprie figlie e per la quale il futuro profeta pregò spesso dopo la sua morte.

Alla Mecca - dove, alla morte della madre, fu portato dal suo primo tuto-re, il nonno paterno Abd al-Muttalib ibn Hāshim, Maometto ebbe occa-sione di entrare in contatto sin dalla più tenera età con i hanīf, monoteisti che non si riferivano ad alcuna reli-gione rivelata. Nei suoi viaggi fatti in Siria e Yemen con suo zio paterno

Abu Tàlib, Maometto conobbe poi le comunità ebraiche e quelle cristiane, e dell’incontro col monaco cristiano siriano Bahīra, che avrebbe ricono-sciuto in un neo fra le sue scapole il segno del futuro carisma profetico.

I numerosi viaggi intrapresi per via dell’attività mercantile familiare – dapprima con lo zio e poi come agente della ricca e colta vedova Khadīja bt. Khuwaylid - dettero a Maometto occasione di ampliare in maniera significativa le sue cono-scenze in campo religioso e sociale. Sposatosi nel nel 595 Khadìja bint Khuwàylid (che restò finché visse la sua unica moglie), egli poté dedi-carsi alle sue riflessioni spirituali in modo più assiduo.

Khadìja fu il primo essere umano a credere nella Rivelazione di cui Maometto era portatore e lo sosten-ne con forte convinzione fino alla sua morte avvenuta nel 619. A lui dette quattro figlie, Ruqayya, Umm Khulthūm, Zaynab e Fātima, oltre a due figli maschi (al-Qàsim e Abd Al-lah) che morirono in tenera età.

Nel 610 Maometto, affermando di operare in base a una Rivelazione ricevuta, cominciò a predicare una

religione monoteista basata sul culto esclusivo di Dio, unico e indi-visibile.

In effetti il concetto di monoteismo era diffuso in Arabia da tempi più an-tichi e il nome Allah (principale nome di Dio nell’Islam) significa semplice-mente “Iddio”. Gli abitanti dell’Arabia peninsulare e della Mecca, salvo po-chi cristiani e zoroastriani e di ebrei, erano per lo più dediti a culti politei-stici e adoravano un gran numero di idoli. Questi dèi erano venerati an-che in occasione di feste, per lo più abbinate a pellegrinaggi (in arabo: mawsim). Particolarmente rilevante era il pellegrinaggio panarabo, detto hajj, che si svolgeva nel mese luna-re di Dhu l-Hijja (“Quello del Pelle-grinaggio”). In tale occasione molti devoti arrivavano nei pressi della città, nella zona di Mina, Muzdalifa e di Arafa. Gli abitanti della Mecca avevano anche un loro proprio pel-legrinaggio urbano (la cosiddetta umra) che svolgevano nel mese di rajab in onore del dio tribale Hubal e delle altre divinità panarabe, ospitate

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Maometto in una rara miniatura dell XI secolo in cui è ritratto senza velo

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dai Quraysh all’interno del santuario meccano della Kaba.

Maometto, come altri hanīf, era so-lito ritirarsi a meditare, secondo la tradizione islamica, in una grotta sul monte Hira vicino alla Mecca.

Secondo tale tradizione, una not-te, intorno all’anno 610, durante il mese di Ramadan, all’età di circa quarant’anni, gli apparve l’arcange-lo Gabriele (in arabo Jibrīl o Jabrāīl, ossia “potenza di Dio”) che lo esortò a diventare Messaggero (rasul) di Allah con le seguenti parole:

«Leggi, in nome del tuo Signore, che ha creato, ha creato l’uomo da un grumo di sangue! Leggi! Ché il tuo Signore è il Generosissimo, Co-lui che ha insegnato l’uso del cala-mo, ha insegnato all’uomo quello che non sapeva».

Turbato da un’esperienza così ano-mala, Maometto credette di essere stato soggiogato dai jinn e quindi im-pazzito tanto che, scosso da violenti tremori, cadde preda di un intenso sentimento di terrore.

Secondo la tradizione islamica Maometto poté in quella sua prima esperienza teopatica sentire le roc-ce e gli alberi che gli parlavano.

Non gli fu facile accettare tale no-tizia ma a convincerlo della realtà di quanto accadutogli, provvide in-nanzi tutti la fede della moglie e, in seconda battuta, quella del cugino di lei, Waraqa ibn Nawfal, che alcu-ni indicano come cristiano ma che, più verosimilmente, era uno di quei monoteisti arabi che non si riferiva-no tuttavia a una specifica struttura religiosa organizzata.

Dopo un lungo e angosciante pe-riodo in cui le sue esperienze non ebbero seguito, Gabriele tornò di nuovo a parlargli per trasmettergli altri versetti e questo proseguì per 23 anni, fino alla morte nel 632 di Maometto.

Al contrario di una “utile” tradizione che vorrebbe Maometto “analfabeta” (così da rendere del tutto impossibile l’accusa che il Corano fosse una sua personale elaborazione poetica), il profeta dell’Islam era uomo tutt’altro che ignorante, anche perché la sua professione di commerciante l’aveva portato in contatto con altre lingue e altre culture ed è difficile credere che potesse essere analfabeta.

L’equivoco deriva dall’espressione

a lui riferita di al-Nabī al-ummī che può voler dire in effetti “il profeta ignorante” ma anche, e più verosi-milmente, “il profeta della comunità (araba)” o “il profeta di una cultura non basata su testi sacri scritti”.

Peraltro a Istanbul, presso l’antica residenza dei sultani ottomani del Topkapi, è conservato (ed è tuttora oggetto di venerazione) una lettera autografa attribuitagli nella quale intima ai cristiani copti di convertirsi all’Islam.

Maometto cominciò dunque a pre-dicare la Rivelazione che gli trasmet-teva Jibrīl, ma i convertiti nella sua città natale furono pochissimi per i numerosi anni che egli ancora tra-scorse a Mecca. Fra essi il suo ami-co intimo e coetaneo Abu Bakr (de-stinato a succedergli come califfo, guida della comunità islamica che si fondò con lenta ma sicura progres-sione malgrado l’assenza di precise indicazioni scritte e orali in merito).

Maometto ripeté per ben due vol-te per intero il Corano nei suoi ultimi due anni di vita e molti musulmani lo memorizzarono per intero ma fu solo il terzo califfo Uthmān b. Affān a farlo mettere per iscritto da una commis-sione coordinata da Zayd b. Thābit, segretario del Profeta. Così il testo accettato del Corano poté diffonder-si nel mondo a seguito delle prime conquiste che portarono gli eserciti di Medina in Africa, Asia ed Europa, rimanendo inalterato fino ad oggi, malgrado lo Sciismo vi aggiunga un capitolo (Sura) e alcuni brevi versetti (ayat).

Nel 619, l’”anno del dolore”, mori-

rono tanto suo zio Abu Talib, che gli aveva garantito affetto e protezione malgrado non si fosse convertito alla religione del nipote, quanto l’amata Khadìja. Fu solo dopo ripetute in-sistenze che Maometto contrasse nuove nozze, tra cui quelle con Āisha bt. Abī Bakr, figlia del suo più intimo amico e collaboratore, Abu Bakr.

L’ostilità dei suoi concittadini ten-tò di esprimersi con un prolungato boicottaggio nei confronti di Mao-metto e del suo clan, con il divieto di intrattenere con costoro rapporti di tipo economico commerciale, i trop-pi vincoli parentali creatisi però fra i clan della stessa tribù fecero fallire il progetto di ridurre a più miti consigli Maometto.

Nel 622 il crescente malumore dei Quraysh nel veder danneggiati i pro-pri interessi - a causa dell’inevitabile

conflitto ideologico e spirituale che si sarebbe radicato con gli altri arabi politeisti lo indussero a rifugiarsi con la sua settantina di correligionari, a Yathrib, trecentoquaranta chilometri più a nord di Mecca, che mutò presto il proprio nome in Madīnat al-Nabī, “la Città del Profeta” (Medina). Il 622, l’anno dell’Egira (emigrazione), divenne poi sotto il califfo ‘Omar ibn al-Khattàb il primo anno del calen-dario islamico, utile alla tenuta dei registri fiscali e dell’amministrazione in genere.

Inizialmente Maometto si ritenne un profeta inserito nel solco profetico antico-testamentario, ma la comuni-tà ebraica di Medina non lo accettò come tale. Nonostante ciò, Maomet-to predicò a Medina per otto anni.

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Ka’ba, il santuario più sacro dell’Islam situato nella città della Mecca

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Nello stesso tempo, con i suoi se-guaci, condusse attacchi contro le carovane dei Meccani e respinse i loro contrattacchi che tendevano a metter fine alle azioni ostili che i musulmani portavano contro le loro carovane. Maometto, nel corso di quel confronto armato che portò alla prima vittoria di Badr, alla disfatta di Uhud e alla finale vittoria strategica di Medina (Battaglia del Fossato) contro le tribù arabe politeiste della Mecca e i loro alleati, espulse tutti gli ebrei di Medina.

In occasione dei due primi fatti d’ar-mi furono esiliate le tribù ebraiche dei Banū Qaynuqā e i Banū Nahīr, mentre dopo la vittoria nella cosid-detta battaglia del Fossato (Yawm al-Khandaq), i musulmani decapi-tarono circa 700 uomini ebrei della tribù dei Banū Qurayza che si era arresa ai seguaci del Profeta dopo 25 giorni di assedio, mentre le don-ne e i bambini furono venduti come schiavi.

Nel 630 Maometto era ormai ab-bastanza forte per marciare sulla Mecca e conquistarla. Tornò peraltro a vivere a Medina e da qui ampliò la sua azione politica e religiosa a tutto il resto del Hijaz e, dopo la sua vittoria nel 630 a hunayn contro l’al-leanza che s’imperniava sulla tribù dei Banu Hawazin, con una serie di operazioni militari nel cosiddet-to Wadi al-qura, a 150 chilometri a settentrione di Medina, conquistò o semplicemente assoggettò vari cen-tri abitati (spesso oasi), come Khay-bar, Tabūk e Fadak, il cui controllo aveva indubbie valenze economiche e strategiche.

Due anni dopo Maometto morì a Medina (8 giugno 632), dopo aver compiuto il Grande Pellegrinag-gio detto anche il “Pellegrinaggio dell’Addio”, senza indicare esplicita-mente chi dovesse succedergli alla guida politica della Umma (comunità islamica).

Lasciava nove vedove - tra cui Āisha bt. Abī Bakr - e una sola figlia vivente, Fatima, andata sposa al cu-gino del profeta, Alī b. Abī Kālib, ma-dre dei suoi nipoti al-Hasan b. Alī e al-Husayn b. Alī.

Fatima, piegata dal dolore della perdita del padre e logorata da una vita di sofferenze e fatiche, morì sei mesi più tardi, diventando in breve una delle figure più rappresentative

e venerate della religione islamica.

Nell’Occidente medievale Maomet-to fu considerato per oltre cinque secoli un cristiano eretico. Dante Ali-ghieri - non consapevole del profon-do grado di diversità teologica della fede predicata da Maometto, per l’influenza su di lui esercitata dal suo Maestro Brunetto Latini, che ritene-va Maometto un chierico cristiano di nome Pelagio, appartenente al ca-sato romano dei Colonna, lo cita nel canto XXVIII dell’Inferno tra i semi-natori di scandalo e di scisma nella Divina Commedia assieme ad Ali ibn Abi Tàlib, suo cugino-genero.

Il motivo per cui Dante lo colloca tra i seminatori di discordie e non tra gli eresiarchi è probabilmente dovuto a una leggenda medievale che parla di Maometto come vescovo e cardina-le cristiano, che poi avrebbe rinne-gato la propria fede, deluso per non aver raggiunto il papato o per altra ragione e avrebbe creato una nuova religione «mescolando quella di Moi-sè con quella di Cristo». Al di la del miscuglio delle due religioni mono-teiste all’epoca già esistenti, tutto il resto non è confermato da nessuna fonte per cui è da ritenersi una pura leggenda medievale.

Maometto ebbe tantissime mo-gli: Khadija bint Khuwaylid Sawda bint Zamaa b. Qays Āisha bint Abī Bakr al-Siddīq (Aisha, figlia del fu-turo primo Califfo Abu Bakr); afa bint Umar (figlia del secondo futuro Califfo Umar b. al-Khattab); Zaynab bint Khuzayma b. al-Hārith, detta poi “Madre dei poveri”; Umm Salama Hind bt. Abī Umayya b. al-Mughīra al-Makhzūmiyya Zaynab bint Jahsh b. Riāb al-Asadiyya Juwayriyya bint al-Hārith b. Abī Dirār Ramla bint Abī Sufyān (Umm Habība bt. Abī Sufyān); Rayhana bint Amr Sāfiya bint Huyay b. Akhtab Maymūna bint al-Hārith b. Hazn Māriya bint Shamūn b. Ibrāhīm, detta la Copta (al-Qibtiyya).

Pur avendole sposate, non ebbe rapporti coniugali con Asmā bt. al-Numān (malata di lebbra) e Amra bt. Yazīd che dimostrò immediatamente tutta la sua ostilità per tale unione, ottenendo così di venir subito ripu-diata e di tornare tra la sua gente (i B. Kilāb).

Ma la moglie più importante per Maometto fu comunque Khadīja che

aveva sposato prima della “Rive-lazione” e che per prima aderì alla religione islamica. Fu anche un for-te sostegno economico, e ancor più morale, soprattutto di fronte alle an-gherie dei notabili pagani della città ostili al marito. Da lei Maometto ebbe quattro figlie femmine (Zaynab, Ru-qayya, Umm Kulthūm e Fātima) e due maschi (al-Qāsim e Abd Allāh, detto anche āhir e ayyib). Da Māriya la Copta ebbe invece Ibrāhīm.

Secondo l’Islam non è possibile avere più di quattro mogli. In virtù della rivelazione divina di un verset-to del Corano fu consentito a Mao-metto di superare questo limite, ed alcuni dei suoi matrimoni furono contratti per sanzionare alleanze o conversioni di gruppi arabi pagani, dal momento che gli usi del tempo prevedevano che si contraesse un vincolo coniugale fra le parti per raf-forzare un importante accordo che si intendeva concludere.

Maometto ebbe anche sedici con-cubine ma solo dalla sua schiava, che sposò, la copta Māriya, ebbe un figlio: Ibrāhīm, deceduto a otto mesi.

Fra le mogli sposate successiva-mente la più importante (malgrado non gli desse figli) fu Āisha, figlia di Abū Bakr, nata verso il 614. Secon-do numerose attestazioni di diversi hadīth ella aveva 6 anni in occasione del suo matrimonio formale e 9 anni al momento della prima consumazio-ne e fu con lui fino alla sua morte nel 632, mentre secondo qualche altro hadith Aisha aveva 7 anni quando contrasse il matrimonio e 10 quando lo consumò. Il Profeta la sposò dopo un ordine divino ricevuto dall’arcan-gelo Gabriele.

La questione dell’età di Āisha, giu-stamente, costituisce una violazione etica la relazione con una fanciulla così giovane, ovviamente questo agli occhi dei non-musulmani (per i fedeli musulmani la giustificazione è dovuta all’ordine ricevuto dall’arcan-gelo Gabriele).

Un’altra controversia dell’Islam è data dalla sua poca tolleranza verso le altre religioni e culti.

Federica Loprete

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Mohandas Karamchand Gandhi fu figlio di un ministro del principe Rajkot, quindi appartenente ad una casta nobile, i cui membri non devo-no avere a che fare con i paria, che vengono trattati come animali nono-stante lavorino tantissimo. Gandhi si rese conto di questa gravissima in-giustizia sin da ragazzo, quando una volta aiutò un ragazzo spazzaturaio nel suo lavoro.

Dodici anni dopo, quando divenne avvocato, viaggiando lavoro in Su-dafrica, si rese conto della misera situazione dei settantamila “kulis”, i quali non potevano votare, possede-re terre, circolare liberamente tra le varie province.

Gandhi iniziò così a parlare alle fol-le di “kulis” che da diffidenti diventa-rono attente e sempre più numero-se. L’avvocato indiano non li esortò mai ad una rivoluzione violenta, ma a una rivolta morale, silenziosa, se-condo il principio “l’odio genera solo altro odio”.

All’inizio del 1914, con la pressio-ne del re d’Inghilterra sul Sudafrica, le leggi ingiuste vengono abrogate dopo che i “kulis”, furono imprigio-nati, picchiati e frustati ingiustamen-te, senza risposte violente da parte

loro. Gandhi nel 1915 ritornò in India

(dove gli inglesi avevano sottomes-so milioni di “sporchi indigeni”) e co-minciò a viaggiare con un bastone, arrangiandosi, per conoscere meglio il suo paese dopo anni e soprattutto per unire indù e musulmani, bramini e “paria”.

Nel 1920 Mohandas disse agli in-diani di non comprare le stoffe ingle-si, ma di fabbricarsele da soli, così, l’arcolaio divenne un simbolo di li-bertà insieme al tricolore.

Nel 1930 iniziò la marcia del sale, contro il monopolio inglese; Gandhi camminò con i suoi seguaci fino al mare dove tutti insieme iniziarono a far bollire l’acqua per estrarre il sale, gesto seguito in tutta l’India. L’ordine dei poliziotti fu quello di arrestare chi violava la legge, ma in poche ore le prigioni indiane furono traboccanti di gente. Anche Gandhi fu arresta-to, ma la rivolta continuò; quando all’esercito giunse l’ordine di sparare sulla folla, gli ufficiali si rifiutarono di dare l’ordine ai loro uomini.

Gandhi durante la sua prigionia di-giunò per i “paria”, perché non venis-sero considerati impuri e intoccabili e riescì nel suo intento.

Nel 1945 il partito laburista inglese diede la libertà all’India, ma all’inau-gurazione del parlamento Gandhi non fu presente; era a Calcutta, dove indù e musulmani da parecchi mesi si facevano la guerra per le strade e Mahatma coraggioso pellegrinò nel-le zone più agitate per porre pace tra le due fazioni.

Con il suo ultimo digiuno Gandhi riuscì a far riappacificare le due par-ti, ma un fanatico indù, Nathuram Godse, incolpando al Mahatma la vanificazione della conquista delle moschee, il 30 gennaio 1948 gli spa-rò tre colpi di rivoltella a meno di un metro, uccidendolo.

Mahatma Gandhi è colui più di altri che ci ha dimostrato che si possono ottenere diritti, libertà e giustizia an-che senza l’uso della violenza.

Il sogno di Gandhi non era quello dell’autosufficienza individuale e neanche dell’autosufficienza fami-liare ma dell’ autosufficienza della comunità villaggio.

I britannici credevano in metodi di produzione centralizzati, indu-strializzati e meccanizzati. Gandhi rovesciò questi principi e intravide modi di produzione decentralizzati, domestici, artigianali. Disse: “Non produzione di massa ma produzione delle masse. La comunità villaggio dovrebbe essere l’espressione dello spirito familiare, un’estensione della famiglia piuttosto che una collezione di individui in competizione fra loro!”

Sarebbe bello un giorno se seguis-simo tutti il suo esempio!

Mikael

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ZE MOHANDAS KARAMCHAND GANDHI

detto Mahatma (grande anima)

Gandhi

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La Cristalloterapia è un metodo di “medicina” naturale che si prefigge di eliminare disfunzioni o malesseri mediante la collocazione di cristalli di quarzo o di altri minerali in deter-minati punti del corpo.

Ogni cristallo è dotato di una sor-ta di “campo energetico” proprio, e ha quindi la capacità di entrare in contatto con ogni forma vivente del regno animale e vegetale Il cristal-lo opera nel corpo umano sui piani fisico-emotivo, mentale e spirituale, riportando l’equilibrio e l’armonia.

Fin dall’antichità, dal mondo clas-sico al Medioevo, le proprietà ed i presunti effetti dei minerali sono sta-te oggetto di studio. Alle pietre era attribuito un preciso influsso tera-peutico, specifico per ciascuna pa-tologia, come affermato ad esempio nella Naturalis historia di Plinio o dal trattato Sulle rocce di Teofrasto.

Ogni cristallo ha degli effetti diffe-renti; la scelta del cristallo, acquista-to o trovato in natura, deve essere fatta anche sull’intuito e sulle sensa-zioni ed emozioni ricevute dal con-

LA CRISTALLOTERAPIA

UNDERGROUND

A tutto questo bisogna aggiungere e specificare, che: i cristalli e la cri-stalloterapia deve essere considera-ta come supporto ad eventuali cure mediche e non come sostitutive. Le pietre e i cristalli hanno effetto solo se noi siamo mentalmente predispo-sti ad averne beneficio, se noi non apriamo la nostra mente l’energia del cristallo difficilmente viene tra-smessa.

Infine bisogna essere consapevoli che il cristallo o la pietra ha la carat-teristica di agevolare la guarigione ma non di sostituire le cure scienti-fiche dell’odierna medicina.

Nessuno può reputarsi medico senza opportune qualifiche e com-petenze.

Diffidate sempre da coloro che chiedono denaro o che promettono l’impossibile!

Leron

tatto col minerale.I cristalli vengono usati soprattutto

per scopi “terapeutici” e di “trasfor-mazione spirituale”, per ricaricare l’aura energetica dell’organismo.

Per l’utilizzo terapeutico vengo-no adottati metodi differenti:

1) Terapia per contatto: uno specia-lista tiene la pietra in mano e la pas-sa sulle parti del corpo da trattare.

2) Amuleto: portare con sé il mine-rale (in tasca, come ciondolo o brac-cialetto) nella vita quotidiana, al lavo-ro e in casa, per il tempo necessario ad ottenere l’effetto desiderato.

3) Meditazione: in gruppo o da soli, con il cristallo addosso o in mano ci si concentra sul disturbo, tentando di ristabilire l’armonia nell’animo.

4) Elisir: viene posto il minerale in una caraffa o un bicchiere (di vetro) pieno d’acqua e in seguito si beve l’elisir che si è caricato delle energie possedute dalla pietra.

Esempio di una seduta di cristalloterapia

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“Pensare sempre positivo” questa è la mia filosofia di vita, questa è stata la mia trasformazione, la mia evoluzione spirituale attuata anche grazie ad una serie di letture che vi nominerò di seguito.

Molti di voi avranno già sentito parlare della legge di attrazione e del pensiero positivo. In commercio possiamo trovare numerosi libri (The Secret di Ronda Byrne - Chiedi e ti sarà dato di Mike Dooley).

La legge di attrazione è una legge naturale, è la legge dell’universo se-condo la quale siamo noi ad attrarre tutto quello che entra nella nostra vita. I nostri pensieri o i nostri sen-timenti trasmettono delle vibrazioni all’universo e l’universo risponde alle nostre vibrazioni mandandoci quello che chiediamo. In questo modo ven-gono attratte a noi persone, fatti e avvenimenti. E’ importante tenere a mente questo concetto, perché la legge di attrazione è imparziale, vale

a dire che pensando positivo attiria-mo positività mentre pensando ne-gativo attiriamo negatività.

Quindi una volta fatto nostro que-sto concetto, per fare entrare nella nostra vita tutto il benessere e la felicità che ognuno di noi desidera e merita dobbiamo per prima cosa permettere che questa legge si met-ta in moto per noi… chiedendo e for-mulando soprattutto pensieri positivi ricordando che i pensieri diventano fatti reali.

Partiamo cambiando il nostro modo di pensare che non deve essere ba-sato su quello che ci manca ma su quello che vogliamo sia già parte di noi.

Desideriamo un lavoro? Vediamolo già realizzato.

Fate vostro questo principio e la vostra vita cambierà in positivo. Più vibrazioni positive invierete e più tor-neranno a voi amplificate.

Poniamo una particolare attenzio-ne al nostro modo di parlare. Quan-

te volte preoccupandoci di una per-sona cara abbiamo raccomandato di stare attendo durante la guida? Questo implica l’idea di possibili inci-denti. Non sarebbe meglio augurare un arrivo felice?

Qua introduciamo anche un altro principio (fondamentale nel Reiki) .. solo per oggi non preoccuparti, os-sia non occuparti in anticipo (PRE) di qualcosa che probabilmente non accadrà.

I nostri pensieri rappresentano un ruolo fondamentale nella nostra vita e creano comunque le nostre espe-rienze future. Quindi è fondamentale imparare ad esser vigili su tutto ciò che pensiamo e che diciamo, e im-parare a trasformarli perché diven-tino di aiuto e non di ostacolo per creare la vita che desideriamo. Ulti-ma, importantissima cosa: siate grati all’universo e ringraziatelo sempre.

Un sorriso a tutti voi con l’invito a resettare la vostra mente solo al po-sitivo….

Claudia Grappasonni

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D LA LEGGE D’ATTRAZIONE: IL PENSIERO POSITIVO

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La GUIDA FOTOGRAFICA DELL’ITALIA na-sce all’interno del progetto Percorsi Italiani del Centro Studi.Gli autori sono stati coloro che hanno parte-

cipato (e partecipano) al progetto, inviando al Centro Studi dell’Associazione Italus, foto e bre-vi informazioni riguardanti i siti e i luoghi che vi stanno più a cuore o che riteniate siano interes-santi da pubblicizzare o visitare.

Il Centro Studi ha creato una guida foto-grafica riguardante i parchi, le aree mari-ne protette e i siti considerati Patrimonio dell’Umanità.Consci dell’era in cui viviamo, ci interessa farli

conoscere con un approccio diverso dalle solite guide turistiche, infatti questa è un’informazione basata su fotografie atte a suscitare al lettore la curiosità di andare ad approfondire e visitare fisicamente i luoghi che segnaliamo.Ci riserviamo dunque di presentare un qualcosa

di leggero, fotografico, artistico, non una comu-ne guida turistica ma un vademecum delle bel-lezze italiane!

Specifichiamo che questo è una guida foto-grafica creata grazie al contributo di coloro che hanno aderito al progetto “Percorsi Italiani”, non è un lavoro che completa l’intento del progetto (che è molto più ampio) ma è sicuramente un primo passo.Ci auguriamo che il lavoro che abbiamo svolto

nel selezionare le foto e comporre la guida possa soddisfare le vostre aspettative.Ci teniamo a sottolineare che questa guida è

gratuita e a livello economico non ha avuto al-cun costo se non un paio di settimane di lavoro di impaginazione e assemblaggio da parte dei responsabili di “Percorsi Italiani”.

Abbiate cura e difendete il vostro territorio!

Potrete visualizzare on-line la Guida al seguen-te indirizzo:www.issuu.com/ITALUS oppure richiedere gratuitamente la Guida, in

formato Pdf, scrivendo a:[email protected]

GUIDA FOTOGRAFICADELL’ITALIA

P U B B L I C A Z I O N I DEL CENTRO STUDI

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Il “NEOPAGANO CENSIMENTO” è stato uf-ficialmente aperto il 10 gennaio 2011 e si è concluso il 01 febbraio 2012; ha interessato esclusivamente gli aderenti alle spiritualità neopagane italiane.I dati son stati poi trasmessi, tramite mail

o tramite raccolta dati, al Centro Studi Ita-lus.Al Censimento hanno aderito 1340 persone, di

cui solo 812 hanno inviato i dati utili richiesti per stipulare la statistica.Il Censimento si è svolto interamente su Inter-

net (per via e-mail e utilizzando il social network di Facebook), invitando chiunque ad aderire e specificare: il movimento neopagano di apparte-nenza, la città e la regione di nascita, la città e la regione di residenza.

I grafici del Censimento sono stati costruiti ba-sandosi sul numero dei singoli aderenti al censi-mento e ai vari movimenti neopagani.Siamo consapevoli che non è un censimento

risolutivo e che non chiarisce e delinea la situa-zione neopagana italiana; secondo i dati ufficiali CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) i pagani in Italia sarebbero circa 13.000, facen-do un calcolo riteniamo di aver creato un cen-simento dove solo il 6% dei pagani (stimati dal CESNUR) hanno aderito.Siamo però certi che il “Neopagano Censimento”

così come è stato formulato possa dare un’idea generale della situazione italiana, nel suo piccolo delinea, in linea di massima, la distribuzione e la diffusione su scala nazionale dei vari movimenti neopagani.

Potrete visualizzare on-line il Censimento al se-guente indirizzo:www.issuu.com/italuscentrostudi oppure richiedere gratuitamente il Censimento,

in formato Pdf, scrivendo a: [email protected]

NEOPAGANO CENSIMENTO2011 / 2012

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ARTEMISIA EXTRA è una raccolta annuale delle ricerche svolte dall’Associazione Ita-lus tramite il suo Centro Studi, che di volta in volta sono state pubblicate sui vari nu-meri di Artemisia.

Le ricerche sono state svolte da settembre 2011 a settembre 2012 e sono state tutte pub-blicate sul bimestrale dell’Associazione Italus di Artemisia.

Alcuni articoli/ricerche del Centro Studi, sono stati pubblicati su riviste, quali Fenix e Airone, o su quotidiani, quali Il Giornale dell’Umbria e Il Messaggero, oltre che su diversi siti internet.

L’obiettivo principale delle ricerche del Centro Studi è quello di attirare l’attenzione e stimolare la curiosità del lettore, sperando che esso vada poi ad approfondire ulteriormente gli argomen-ti trattati dal Centro, perché solo la conoscenza rende liberi.

Potrete visualizzare on-line “Artemisia Extra” al seguente indirizzo:www.issuu.com/italuscentrostudihttp://issuu.com/artemisia1oppure richiedere la rivista in formato Pdf, scri-

vendo a: [email protected] [email protected]@hotmail.it

ARTEMISIA EXTRA2011 / 2012

Se all’interno delle ricerche riportate in questo numero vi fossero delle incongruen-ze il Centro Studi vi invita a segnalarle scrivendo alla seguente E-mail:

[email protected] ad apportare le opportune modifiche.

Grazie!

TUTTI I DIRITTI SUI CONTENUTI E LE RICERCHE DEL CENTRO STUDI SONO DI PROPRIETA’ DEI RISPETTIVI AUTORI, PERTANTO POSSONO ESSERE PUBBLICATE CON

L’OBBLIGO DI CITARE L’AUTORE E LA FONTE, CIOE’ IL CENTRO STUDI DELL’ASSOCIAZIONE ITALUS.

In caso di utilizzo delle ricerche del Centro Studi Italus, si prega di avvisare il Centro Studi scrivendo alla E-Mail: [email protected]

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PROSSIMO NUMERO DI ARTEMISIA EXTRA

Settembre 2013

Per maggiori informazioni riguardanti Artemisia scrivere alla seguente E-mail:

[email protected]@hotmail.it

Per maggiori informazioni riguardanti l’Associazione Italusvisitare il seguente indirizzo internet:

www.italus.infohttp://italus.info

oppure scrivere alla seguente E-mail:[email protected]