ARTE CITTA' E SPERIMENTAZIONI CULTURALI_relazione di tesi 2013_MENDOLA GIOVANNI LUCA

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Università degli studi di Firenze Facoltà di Architettura Corso di laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e Territorio Relatore Arch. Dott. Camilla Perrone Correlatore Arch. Dott. Giancarlo Paba Laureando Giovanni Luca Mendola Matricola 5014032 Anno accademico 2011 – 2012 Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Nell'ultimo decennio diverse esperienze progettuali riferite alle pratiche artistiche esplicate nella città contemporanea hanno dimostrato che è possibile sperimentarenuovi approcci culturali nella ricerca continua di un nuovo modo di analizzare il territorio: ponendosi nella fase preliminare del piano e rafforzando le politicheurbane attuate. Pratiche dotate di caratteristiche uniche nel modo di agire, esplorare ed indagare il territorio e la città [...]. Negli ultimi vent’anni in Italia, le sperimentazioni culturali si inseriscono nelle pianificazioni strategiche delle città, con modalità variegate, aprendo dibattiti in ambito internazionale ed europeo, dimostrando che esistono modalità alternative all’analisi e alla progettazione dei quartieri delle città.Le loro applicazioni ricadono, nella maggior parte dei casi, in contesti degradati e periferici della città contemporanea. [...] il ruolo della cultura si pone come strumento di accrescimento del benessere materiale e immateriale, dove il processo artistico rappresenta un fattore diinterpretazione fra linguaggi e culture diverse. Da questi progetti quind, avvengono delle modificazioni, e possono essere: a carattere materiale (riscontrabile nei processi di trasformazione fisica dello spazio pubblico) e immateriale (riscontrabili nei processi trasformazione culturale in quanto mettono al centro dell’operato persone, opportunità, interessi comuni, dando vita ad una rete, o ad una politica).Viene da chiedersi quindi: come questi fattori hanno effettivamente influenzato e contribuito, nel quadro delle politiche analizzate, alla trasformazione del territorio e cosa il processo culturale ed artistico, insito nelle sperimentazioni culturali, è stato effettivamente capace di produrre? [...]

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Università degli studi di Firenze Facoltà di Architettura

Corso di laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione

della Città e Territorio Relatore Arch. Dott. Camilla Perrone Correlatore Arch. Dott. Giancarlo Paba  

Laureando Giovanni Luca Mendola

Matricola

5014032

Anno accademico 2011 – 2012

Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Ringraziamenti

Desidero innanzitutto ringraziare la professoressa Camilla Perrone e il professore Giancarlo Paba per i preziosi insegnamenti durante i due anni di laurea magistrale e per le numerose ore dedicate alla mia tesi. Inoltre, ringrazio sentitamente la professoressa Valeria Inguaggiato che è stata disponibile a dirimere i miei dubbi durante la stesura di questo lavoro. Intendo poi ringraziare la Fondazione Adriano Olivetti, sottolineando la particolare disponibilità della dottoressa Maria Alicata e i gruppi di ‘a.titolo’ e ‘Osservatorio Nomade’, per avermi fornito testi e dati indispensabili per la realizzazione della tesi. Inoltre, vorrei esprimere la mia sincera gratitudine ai miei compagni di corso e gli amici, in particolare Farhad e Mario, per i numerosi consigli durante la ricerca. Infine, ho desiderio di ringraziare con affetto i miei genitori, le mie sorelle ed Eleonora, per il sostegno ed il grande aiuto, per essermi stato vicino ogni momento durante questo anno di lavoro. 

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Indice

Introduzione__________________________________________________________

1.Arte e linguaggi nei processi di pianificazione urbana 1.0 Una premessa_________________________________________________________________ 1.1 La costruzione di legami consapevoli___________________________________________ 1.1.0 L’integrazione di linguaggi _____________________________________________________ 1.1.1 Il processo artistico nelle pratiche urbanistiche_____________________________________ 1.2 Una parentesi sull’evoluzione del rapporto: spazio pubblico - arte pubblica contemporanea_____________________________________________________ 1.3 Gli effetti immateriali dell’arte nello spazio pubblico__________________________________ 1.4 L’arte nelle pratiche partecipative _____________________________________________

2.Pianificazione Strategica e sperimentazioni culturali 2.0 Una premessa___________________________________________________________ 2.1 Politiche pubbliche e progetti di ‘Arte Pubblica’__________________________________ 2.1.1 Le difficoltà del legame e le mediazioni__________________________________________

Riflessioni finali_____________________________________________________________ __

Bibliografia__________________________________________________________________________

3.Interrogare due casi: Nuovi Committenti a Torino e Immaginare Corviale a Roma 3.0 Una premessa___________________________________________________________ 3.1 Torino: Nuovi Committenti per Mirafiori Nord_______________________________ 3.1.0 Il declino di una monocultura industriale: Mirafiori Nord, Torino_________________________________________________________ 3.1.1 Sperimentazioni Culturali per Mirafiori Nord_______________________________________ 3.1.1.0 Torino: un cantiere a cielo aperto tra rigenerazione urbana e progetti di arte pubblica___________________________________ 3.1.2 Un modello politico nuovo per l’Italia______________________________________________ 3.1.2.0 Le prospettive attuali del progetto Nuovi Committenti in Italia e la difficoltà di “muoversi” nello spazio pubblico_______________________________________ 3.1.2.1 Il modello Noveaux Commanditaires e Nuovi Committenti a Mirafiori Nord______________________________________________ 3.1.3 L’esplorazione del territorio e le opere delle committenze_____________________________ 3.1.4 Abitanti/produttori e produzione di valori territoriali nel processo Nuovi Committenti_____ 3.1.5 Riflessioni finali______________________________________________________________

Bibliografia_________________________________________________________________________

3.2 Roma-Corviale: arte e sperimentazioni culturali nel progetto che immagina un “Nuovo Corviale”________________________________ 3.2.0 Il complesso edilizio Nuovo Corviale: un problema di cattiva gestione__________________________________________________ 3.2.1 Le soluzioni, i programmi di riqualificazione e il ruolo della cultura_________________________________________________________ 3.2.2 Il progetto “Immaginare Corviale”: arte, pratica urbana ed estetica__________________________________________________ 3.2.3 L’Osservatorio Nomade, le sperimentazioni e le applicazioni su Corviale____________________________________________________ 3.2.4 Un percorso tra Arte e Riqualificazione Urbana_____________________________________ 3.2.5 Riflessioni conclusive__________________________________________________________

Bibliografia__________________________________________________________________________

4. L’arte come “strumento per..”________________________________________ 4.0 Elementi caratterizzanti e dimensioni progettuali comuni tra processi artistici e politiche urbane 4.0.0 Approccio all’apprendimento e all’analisi di contesti________________________________ 4.0.1 Approccio al problema________________________________________________________- 4.0.2 Modalità di trattamento del problema_____________________________________________ _

Riflessioni conclusive____________________________________________________________________

Bibliografia__________________________________________________________________

Appendice________________________________________________________________

2

6 7 7 10 1. 13 17 19

21 22 25

27

29

3. 31 34 36 39 3.1.1.0 39 46 49 3.1.2.1 53 59 68. 70

72

3.2 75 3.h2.0 h 77 3.2.1 81 3.2.2 90 3.r 104 109 114

115

118 4.0 g 120 121 122

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Si fa strada una modalità più «ecologica» e sostenibile di progettualità sociale che lasci spazio alla creatività, che trovi energia in un'idea condivisa, una ricchezza sociale che abbia la sua forza nella differenza, oggi un'utopia, un'ideale di civiltà, da perseguire con caparbia determinazione.

Antonella Annecchiarico e Anna Detheridge (2004)

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Introduzione

Nell'ultimo decennio diverse esperienze progettuali riferite alle pratiche artistiche

esplicate nella città contemporanea hanno dimostrato che è possibile sperimentare

nuovi approcci culturali nella ricerca continua di un nuovo modo di analizzare il

territorio: ponendosi nella fase preliminare del piano e rafforzando le politiche

urbane attuate. Pratiche dotate di caratteristiche uniche nel modo di agire,

esplorare ed indagare il territorio e la città1.

Negli ultimi vent’anni in Italia, le sperimentazioni culturali si inseriscono nelle

pianificazioni strategiche delle città, con modalità variegate, aprendo dibattiti in

ambito internazionale ed europeo, dimostrando che esistono modalità alternative

all’analisi e alla progettazione dei quartieri delle città.

Le loro applicazioni ricadono, nella maggior parte dei casi, in contesti degradati e

periferici della città contemporanea.

Le dimensioni con cui possono essere analizzate le politiche di trasformazione del

territorio, legate al mondo della cultura, in particolare dell’arte, sono

principalmente due: nel modo di costituire un motore economico della città

tramite la crescita del turismo, nuove attrattività per la città ecc..; e la misura in

cui contribuiscono al miglioramento della qualità della vita, nel combattere

l’esclusione sociale tramite l’arte come fattore di integrazione, l’arte partecipata in

iniziative di progettazione della trasformazione degli spazi dei quartieri degradati

ecc.. La prima dimensione evidenzia come una tendenza comune a molte

amministrazioni locali sia proiettata verso uno specifico marketing urbano

concorrenziale ad altre città. Inserite negli equilibri economici internazionali, le

grandi metropoli americane, e in tempi più recenti anche molte aree urbane

                                                            1  Mi sembra utile dare a priori dei cenni sulle riflessioni che si sono imbattute nell'ultimo decennio sull’argomento, Lavagna M. e Pastorino S., (2006) descrivono così:  «lo studio e il dibattito sulle relazioni tra città/territorio, arte, cultura, creatività e sviluppo economico si è intensificato e, in particolare, sono emerse teorie sulla città creativa, sui quartieri culturali, sui cluster e distretti culturali – tema particolarmente discusso in Italia visto il modello distrettuale che caratterizza lo sviluppo recente della nostra piccola e media impresa (Wynne, 1992; Landry e Bianchini, 1995; Landry, 2000; Santagata, 2000; Sacco e Pedrini, 2003; Mommaas, 2004; etc.). In tale contesto, è soprattutto l'arte contemporanea a mostrare ampie potenzialità, principalmente in relazione al rapporto che essa può instaurare con le realtà sociali, con la città, con il territorio, con il pubblico, con la storia e l'identità di determinati luoghi, facendosi essa stessa interprete dei processi di trasformazione urbana. In particolare, gli sviluppi recenti dell'arte pubblica mostrano come lo spazio urbano sia tornato al centro della riflessione artistica (Selwood, 1995; Miles, 1997; De Luca, 2003; De Luca et al., 2005; Pietromarchi, 2005; Sharp et al., 2005; etc.)» (Lavagna M., Pastorino S., 2006). 

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europee, «tendono a rapportarsi tra loro come imprese private in concorrenza:

tanto che la storia della città degli ultimi dieci anni è leggibile come una storia di

città che vincono e città che perdono» (Petrillo A., 2000: 98).

Quella che si sta vivendo in questi anni è una sorta di privatizzazione dello spazio

pubblico; una tendenza della “città-impresa” a promuovere il territorio come vero

e proprio prodotto nel quale, in particolare l'ambito culturale e turistico sempre

più spesso si confondono. In questo senso l’arte e la cultura si dovrebbero porre,

invece, come motore per la ridefinizione dell’assetto economico territoriale.

Nella costruzione di scenari strategici, l’arte può avere un doppio ruolo, di

‘contenuto’ e di ‘contenitore’ (Inguaggiato 2010), dove il contenuto è dato da

singoli episodi come produzioni, mostre e festival, che messi in rete riescono a

creare stabili collaborazioni con competenze specifiche e professionalità legate

alla cultura, alla comunicazione, ai new media e alla creatività. L’arte diventa

invece contenitore quando progetti e attori di diversa natura riescono a

convergere trovando soluzioni pratiche a disagi territoriali precisi.

Quindi quello che in questo contesto si chiede all’arte, è di avere una funzione di

contenuto, rispettando però le economie locali e le forze del proprio capitale

sociale; di contenitore invece, in tutte le sue forme e linguaggi di coinvolgimento

collettivo, in progetti di riqualificazione e di rigenerazione urbana, che

coinvolgono la città contemporanea e in particolare i quartieri marginali e

degradati.

Per questo motivo mi soffermerò sulla seconda dimensione, sviluppi e riflessioni

teoriche ad oggetto, di questo variegato e spesso contradditorio insieme di

pratiche artistiche che si collocano nello spazio pubblico, chiamano in causa temi

che si sovrappongono agli interessi della pianificazione urbana o comunque di chi

in genere si occupa di città e territorio. Artisti, architetti, ingegneri e altri

professionisti collaborano con la comunità residente mossi entrambi dal desiderio

di interagire nel progetto di un disegno urbano creando politiche attive nel

territorio, avendo come unico scopo quello di realizzare delle aree urbane che

siano ‘sostenibili’, per una maggiore vivibilità degli spazi pubblici. Uno spazio

pubblico, che a nostro parere ha l’esigenza di nuove sperimentazioni che

guardino ad un approccio multidisciplinare ed integrato e partecipato, tipico della

pianificazione strategica.

La pianificazione strategica della città prende in considerazione vari strumenti per

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azioni e politiche sul territorio, tra questi strumenti esistono delle sperimentazioni

di vario genere e tra le varie tipologie di quest’ultime ci sono quelle culturali

comprendendo così anche i progetti di ‘Arte Pubblica’, esperienze innovative sul

tema della riqualificazione urbana, ovvero sperimentazioni culturali inserite nei

programmi di riqualificazione e rigenerazione.

Qui il ruolo della cultura si pone come strumento di accrescimento del benessere

materiale e immateriale, dove il processo artistico rappresenta un fattore di

interpretazione fra linguaggi e culture diverse. Da questi progetti quindi,

avvengono delle modificazioni, e possono essere: a carattere materiale

(riscontrabile nei processi di trasformazione fisica dello spazio pubblico) e

immateriale (riscontrabili nei processi trasformazione culturale in quanto mettono

al centro dell’operato persone, opportunità, interessi comuni, dando vita ad una

rete, o ad una politica)2.

Viene da chiedersi quindi: come questi fattori hanno effettivamente influenzato e

contribuito, nel quadro delle politiche analizzate, alla trasformazione del territorio

e cosa il processo culturale ed artistico, insito nelle sperimentazioni culturali, è

stato effettivamente capace di produrre?

Per rispondere a questa domanda la ricerca ha portato a considerare quei progetti

di ‘Arte Pubblica’ dove l’arte si è posta come “strumento” per le politiche urbane.

Progetti flessibili e integrati che abbandonano i vecchi schemi della

strumentazione urbanistica classica e che, dagli inizi del XXI secolo si inseriscono

nelle pianificazioni strategiche delle città (figura 1, pp. 4): azioni che vanno sotto

il campo della cultura e degli interventi di carattere ludico, immaginario e

partecipativo. Si analizzerà il recente dibattito sugli indirizzi e le implicazioni che

l’arte ha nella pianificazione urbana e sui linguaggi che il pianificatore può

utilizzare per il miglioramento di questi processi, come sia possibile costruire dei

legami, e come le pratiche artistiche ricoprano un ruolo nelle strategie urbane                                                             2 In alcuni paesi d’Europa parte del supporto all'‘Arte Pubblica’ e al suo finanziamento, deriva dalla cresciuta importanza del design nel contesto urbano: una vera e propria linea politica di sviluppo. Anche se in Inghilterra, come anche in Olanda e in Francia, le autorità locali hanno da tempo appreso che le potenzialità dell'‘Arte Pubblica’ hanno le capacità di rispondere alle loro linee e priorità strategiche, in Italia c’è ancora, in parte, la consapevolezza che l’Arte Pubblica deve necessariamente essere orientata verso processi relazionali, di dialogo e partecipativi, in sostanza di audience specific piuttosto che di site specific. «Quella che emerge è un’Arte Pubblica alla quale si richiede un lavoro non tanto sullo spazio fisico, quanto sullo spazio simbolico e collettivo; un’Arte Pubblica che, anche nella sua accezione di site specific, opera su (e per) la relazione, l’identità, il legame. Un’arte che nel suo farsi pubblica, in tutte le sue accezioni, deve in qualche modo confrontarsi con la necessaria sfida di diventare capacitante». (Pastorino, Piraccini e Uttaro, 2005) (Lavagna M., Pastorino S., 2006: 323).

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italiane e in particolare nelle pianificazioni strategiche di due città. Si sono quindi

interrogati (tramite delle interviste: telefoniche e in prima persona), due progetti di

‘Arte Pubblica’: Nuovi Committenti applicato a Torino, ‘Mirafiori Nord’, in

occasione delle progettazioni Urban II e Immaginare Corviale nel complesso di

edilizia residenziale ‘Nuovo Corviale’ di Roma, progetto di ‘Arte Pubblica’

andato di pari passo e in concomitanza al PRU (Programma di Recupero Urbano)

e il CdQ II (Contratto di Quartiere di seconda generazione), per capire cosa questi

processi culturali ed artistici, insiti nelle sperimentazioni culturali, sono stati

effettivamente capaci di produrre e in quale misura hanno rafforzato e indirizzato

politiche urbane attuate verso modificazioni di tipo materiale e/o di tipo

immateriale. È auspicabile, a questo punto, mettere a confronto riflessioni

teoriche e pratiche nella prospettiva di rafforzare e migliorare la capacità di

intervento nelle città attraverso la pianificazione strategica e gli strumenti che essa

mette a disposizione.

Figura 1 – Quadro generale progetto di tesi

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1. Arte e linguaggi nei processi di pianificazione urbana

1.0 Una premessa Questa prima parte analizzerà il recente dibattito sui possibili legami che l’arte ha

con la pianificazione urbana. Negli ultimi vent’anni si pone l’attenzione sui

possibili modi di interagire e sui possibili linguaggi che il pianificatore può

utilizzare per apprendere i disagi del popolo. Gli strumenti utilizzati dalla

pianificazione urbana ricadono su una tipologia di programmi chiamati

‘Programmi Complessi’ che hanno visto delle crepe nelle loro applicazioni

sensibili, e cioè nelle pratiche di coinvolgimento degli abitanti. Alcuni autori

mettono in dubbio la loro effettiva efficacia, vista l’assenza di linguaggi adeguati

ed efficienti; quello che si chiede in questo contesto, non è solo un nuovo

linguaggio, ma la capacità di trarre, dalle pratiche artistiche, nuovi modi di

interpretare il territorio e lo spazio pubblico: dei modi che ad oggi, hanno visto

legami consapevoli di più discipline. Legami come quello dell’arte e della

pianificazione urbana, hanno la capacità di affrontare i disagi territoriali in

maniera trasversale e trovano riflessioni in comune nella partecipazione e nella

modificazione dello spazio pubblico.

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1.1 La costruzione di legami consapevoli

1.1.0 L’integrazione di linguaggi Negli ultimi anni «l’arte e la cultura sono tra le discipline che […] stanno

portando un contributo all’interpretazione del territorio e ai tentativi di intervento

su di esso, segnando binari di esplorazione paralleli a quelli più tradizionali3»

(Cognetti 2006: 123).

Gli artisti cercano nuovi linguaggi e un diverso modo di rapportarsi al pubblico,

escono fuori dalle gallerie per dare vita a luoghi di sperimentazione.

Le strategie urbane oggi prendono in considerazione innumerevoli tematiche4 che

versano molta attenzione ad argomentazioni riguardanti la qualità urbana,

puntando sicuramente verso una città più bella e vivibile. Molte di queste

riflessioni puntano il dito sul ruolo che urbanistica e architettura possono avere

oggi per migliorare l'ambiente di vita delle città contemporanee, superando certe

rigidità del passato e mettendo in campo una pluralità di approcci, come quello

dell’arte.

Da una prima analisi5, si denota come, data la debolezza del tema, esista una

difficoltà per ciascun ambito disciplinare come quello dell’arte e come quello

dell’urbanistica «a svincolarsi dagli stretti confini disciplinari e di aprirsi

all’ibridazione rinnovatrice, derivante dalle possibilità di contaminazione offerte

dall’intreccio di pratiche urbane, urbanistiche ed artistiche». (Dell’Olio 2009: 15).

Costruire dei legami consapevoli tra il fare arte pubblica e il fare pianificazione

della città e del territorio, parte dalla consapevolezza dell’inadeguatezza di alcuni

strumenti disciplinari capaci di interagire con la complessità contemporanea.

                                                            3 Francesca Cognetti (2006), dedica una riflessione sulle possibili ed eventuali strategie urbane dell’arte, della creatività e della cultura. 4 Il tentativo disciplinare di recuperare alcuni rapporti perduti nel tempo porta a considerare alcune importanti riflessioni all’interno del dibattito odierno sull’argomento in questione. In riferimento agli Atti della Decima conferenza della SIU (Società italiana degli urbanisti), risultato di due giornate di lavoro, 18 e 19 Maggio 2006 presso il Politecnico di Milano. In ognuna delle due giornate si sono susseguiti momenti di riflessione su argomenti di carattere generale legati alle prospettive dell’l'urbanistica italiana. Quattro sessioni parallele, hanno permesso di descrivere dei casi puntuali lasciando ampio spazio al dibattito sui seguenti temi: Qualità urbana: abitabilità, bisogni, opportunità: Sviluppo locale: squilibri, coesione, competizione; Trasformazioni territoriali: infrastrutture, paesaggi, risorse; Gestione urbana: suolo, fiscalità, mobilità. La pubblicazione dell’anno successivo “Città e Azione Pubblica. Riformismo al plurale”, curato da Arturo Lanzani e Stefano Moroni. 5 Analisi tratta dalla lettura degli articoli di Anna Maria Uttaro: Arte, Città, creatività. Quali indirizzi per la Pianificazione? (Uttaro A. M., 2010), e Percorsi di sconfinamento nei territori dell’arte di Anna dell’Olio (dell’Olio, 2009).

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Diventa interessante capire cosa dal punto di vista della pianificazione significa

reinventare l’azione artistica nello spazio pubblico, immersa nelle pratiche del

quotidiano per «realizzare spazi relazionali attivatori di processi di produzione

creativa dello spazio urbano.» (Uttaro, 2010: 13).

L’arte, in questo senso, può essere letta come un approccio che lavora attraverso

l’uso di linguaggi, piuttosto lontani da gran parte della pratica urbanistica

corrente.

«In estrema sintesi pratiche urbane e pratiche urbanistiche, sebbene si svolgano

nello stesso ambito spaziale, sembrano avere acquistato una distanza sempre

maggiore. Per questo motivo […] sembra essenziale domandarsi se sia possibile

per il pianificatore utilizzare linguaggi che lo avvicinino e rendano maggiormente

comprensibile ai soggetti sociali destinatari del suo lavoro.» (Uttaro, 2010: 83).

Si avvertono essenzialmente tre esigenze che il pianificatore ha in questi processi:

a - Creare linguaggi maggiormente comprensibili ai cittadini con il contributo sia

dalla parte urbanistica, attraverso il suo bagaglio tecnico, sia dalla parte estetico-

sensibile che comprende i linguaggi diversi dalle logiche razionali. Si può quindi

parlare anche di poetica del progetto di territorio. Secondo il professore Alberto

Magnaghi, «negli scenari territoriali disegnati, a carattere non predittivo ma

cognitivo e progettuale, a carattere euristico per la sollecitazione

dell’immaginario collettivo, a partire dall’incontro tra saperi tecnici e saperi

contestuali si può verificare un atto creativo olistico, tipico del procedimento

artistico. Nella visione contemporanea l’urbanistica e la pianificazione territoriale

sono viste dai più come noiose pratiche normative o tecniche e, nei casi migliori,

come defatiganti pratiche partecipative che scivolano nel dominio delle scienze

politiche. Credo che in questo contesto lavorare alla costruzione di poetiche del

progetto di territorio attraverso lo sviluppo di linguaggi visivi capaci di produrre

qualità estetiche del messaggio sia fondamentale per ristabilire nel progetto di

futuro delle comunità locali le giuste proporzioni fra funzioni di utilità, sicurezza

e qualità ambientale, bellezza e benessere.» (Magnaghi A., 2010: 72).

b - Dialogo e interazione tra diversi mondi disciplinari, intendendo le pratiche

artistiche come processi culturali che sono in grado di svolgere un lavoro

importante nella fase preliminare, che stanno alle premesse delle soluzioni

tecniche, perché elaborano idee, pongono interrogativi, sviluppano ipotesi

creative capaci di creare curiosità esplorativa.

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c - Si avverte una necessità comunicativa capace di connettere mondi separati,

cercando di evitare confusione di linguaggi e sovrapposizioni, riconnettendo e

rinnovando il proprio bagaglio operativo servendosi dell’arte e della creatività.

La difficoltà maggiore sta nel far interagire linguaggi diversi: da una parte si

trova il linguaggio tecnico (razionalità logica) e dall’altro il linguaggio empirico,

più legato all’esperienza urbana (razionalità pratica e sensibile). Far interagire

linguaggi diversi tra loro diventa esito continuo di produzione di spazio urbano,

intreccio di vari attori, diversi poteri, desideri, aspirazioni e responsabilità.

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1.1.1 Il processo artistico nelle pratiche urbanistiche Attualmente le politiche di coinvolgimento degli abitanti sono rintracciabili nelle

pratiche partecipative (vedi paragrafo 1.4 L’arte nelle pratiche partecipative). In

questo contesto mi interessa analizzare, visti i casi studio, come i processi artistici

si siano integrati con questa tipologia di pratiche.

Nelle esperienze urbane in cui si avvia un processo artistico, si ritrova l’artista in

un nuovo ruolo implicato nelle questioni sociali in relazione allo spazio

pubblico; le pratiche urbanistiche invece, hanno fatto crescere la propria

attenzione verso un rigenerato senso di coinvolgimento delle parti sociali nelle

trasformazioni dello spazio pubblico, considerando anche il fatto che negli ultimi

anni si registra un crescente interesse, da parte delle amministrazioni comunali e

tecnici progettisti, nell’avvicinarsi alle pratiche partecipative e al rinnovato agire

artistico, ricercando sempre di più, nuove soluzioni ai casi di rigenerazione

urbana, mostrandosi terreno fertile di sperimentazioni tra diversi approcci

disciplinari.

Molte esperienze artistiche realizzano negli spazi urbani, assieme alle popolazioni

locali, processi camuffati con altro, impercettibili, ma dove è possibile leggere le

origini di un nuovo senso, teso a dare un significato reciproco tra vita urbana, arte

e urbanistica.

Le tracce di applicazioni ‘sensibili6’ non risiedono solamente nelle pratiche

artistiche ma in innumerevoli casi di pratiche appartenenti a diversi mondi e

ambiti. Pratiche creative inserite nei processi di sviluppo di rigenerazione urbana

rintracciabili nelle sperimentazioni culturali.

Da una parte, le pratiche di coinvolgimento degli abitanti (pratiche ‘sensibili’),

hanno messo in luce diversi modi di conoscenza e linguaggi tra saperi esperti e

non; d’altra parte invece, hanno stimolato gli studi in campo urbanistico sulle

pratiche sociali urbane.

Le forme emergenti di pianificazione mettono in campo una serie di strumenti

raggruppabili nei cosiddetti ‘Programmi Complessi’7, che attuano delle strategie i

                                                            6 Negli ultimi dieci anni diversi studi sociali stanno rivolgendo la propria attenzione ai fenomeni riguardanti la creatività e ‘l’estetica’, nel senso epistemologico della parola aestetis: sensibile (Maffesoli 2000). 7 Alla fine degli anni 90’ sono emersi in Italia alcuni percorsi evolutivi di strumenti di riqualificazione-rigenerazione urbana che vedono nel quartiere il dispositivo attraverso il quale trattare l'intreccio fisico, economico e sociale in ambito urbano, in larga parte lanciati attraverso bandi del decennio appena passato (2000-2010) avevano assunto caratteristiche differenti da

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cui tre campi principali sono: la partecipazione, la pianificazione strategica e il

disegno di nuovi soggetti istituzionali.

La sensibilità di alcune politiche urbane oggi portano dei contributi alla

pianificazione urbana, favorendone l’accrescimento metodologico. I ‘Programmi

Complessi’ ed i finanziamenti europei degli anni ’90, che di fatto hanno riportato

il tema della partecipazione alla pianificazione, hanno dato indicazioni su come si

evolvono nello spazio le modalità di aggregazione e sulle forme dei processi

partecipativi nella costruzione delle scelte per la città futura.

«Pratiche di vita dei nuovi cittadini, le piccole antropologie del quotidiano, le storie o le

microstorie individuali e di gruppo, i vissuti personali o collettivi, persino i modi di

consumare e di fare.» (Paba 2004: 56). […]

Nelle pratiche partecipative però si sono scoperte, in varie esperienze, delle crepe

(cfr. dell’Olio, 2009; Uttaro, 2010), non riuscendo a mettere a fuoco le esigenze

quotidiane del cittadino - «per contro sembra incontrare molto più facilmente

l’ambito artistico-culturale» (dell’Olio 2009: 20).

Da qui entra in gioco il tema dell’arte nello spazio pubblico e dei processi artistici

nel coinvolgimento degli abitanti che negli ultimi anni hanno visto mediarsi con

le classiche pratiche partecipative gestite dalle amministrazioni locali: tematica

che in passato veniva affrontata in gran parte solo come una questione artistica.

Ad oggi il tentativo è quello di affrontare i temi dell’arte e della città da un punto

di vista che parte innanzitutto a guardare lo spazio pubblico, non solo quello

fisico aperto, accessibile e condiviso da una molteplicità di soggetti, «ma anche lo

spazio immateriale del dibattito, della partecipazione, dell’azione che è quindi

(anche) per questi motivi, pubblico.» (Inguaggiato V., 2010). Viene ribaltato il

punto di vista che mette al centro il prodotto artistico come unico prodotto

                                                                                                                                                                                    quelli maggiormente diffusi ed erano andati progressivamente articolandosi in termini di attori e risorse coinvolti. Si ci riferisce a due grandi famiglie a livello nazionale (area-based) e a livello comunitario (integrate), caratterizzate da una differente articolazione di tipologie di azioni, attori, risorse, criticità, noti in Italia come Programmi Complessi. Nati dalla legge 179/1992, introducono i programmi integrati di intervento, delineando i principi fondamentali di un nuovo modello di politiche urbane, che facilita l’integrazione di più interventi con l’obbiettivo di considerare collaborazioni private per affrontare i costi delle opere pubbliche. Sono strumenti innovativi che nell’ambito urbano svolgono e promuovono, finanziando interventi di recupero. La riqualificazione e la valorizzazione delle città dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, attraverso la concertazione di amministratori pubblici e operatori privati. Sono stati definiti “complessi” per le difficoltà riscontrate da parte sia di operatori pubblici che di privati. Si è comunque tentato attraverso queste direzioni di rompere il tradizionale quadro urbanistico.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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dell’interazione degli artisti nella città, portando invece l’attenzione sullo spazio

pubblico, che l’arte pubblica contemporanea, attraverso i suoi processi, è in

grado di attivare e trasformare.

A questo punto sembra utile aprire una parentesi sulle recenti evoluzioni del

rapporto che l’arte, intesa in questo senso, ha con lo spazio pubblico.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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1.2 Una parentesi sull’evoluzione del rapporto: spazio pubblico - arte pubblica contemporanea

Cosa sia oggi l’arte nello spazio pubblico, è sicuramente un ambito di

sperimentazione per chi si occupa di città e territorio, non facile da affrontare, e

per questo non è semplice fissare delle definizioni precise. E’ quindi utile

prendere in considerazione i casi in cui l’arte si è resa partecipe, necessaria e non,

allo spazio pubblico e come essa si è evoluta. 

Tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70 dello scorso secolo nasce l’interesse da

parte di artisti di uscire fuori dalle gallerie, per sperimentare nuovi contenuti e

linguaggi.  

Nascono figure ibride di profili professionali e prodotti culturali di difficile

collocazione in un’unica disciplina, e che più spesso abbracciavano l’arte,

l’architettura, l’urbanistica, la sociologia, la politica, ma che avevano anche

relazioni con i temi dell’educazione, dell’ambiente, dei diritti.  

«In questa collocazione temporale e culturale prendono avvio alcune esperienze di

singoli e collettivi che si distingueranno per il loro contributo e che per diversi anni a

seguire saranno il riferimento per molti artisti. (Inguaggiato 2010: 22)».

 

Ad oggi si riprendono le riflessioni interrotte di Enrico Crispolti sul rapporto tra

arte e spazio pubblico, maturate negli anni settanta, dove egli sviluppò questi temi

da un punto di vista storico e critico, fu un ideatore di operazioni sul territorio e

di progetti esplorativi. (cfr. Crispolti E., 1976 e 1977). Un ambito, questo, che

comprende tutte quelle intense pratiche nello spazio pubblico in cui la stagione

dell’arte era improntata sul sociale, sviluppata in risposta alla domanda

partecipativa e culturale che caratterizzava quel periodo italiano. Da qui, le

recenti definizioni di Susan Lacy, (Lacy S., 1995), nel definire la new genre

public art passando alla questione della site-specificity alle issuespecificity o

community-specificity, «in questo passaggio è il “contesto” dell’azione artistica a

farsi più complesso, poiché coincide con la geografia mobile delle dinamiche

relazionali e dei vissuti. In questo scenario a volte imprendibile, sempre

cangiante, dagli equilibri fragili, gli esiti dipendono dalle “regole di ingaggio” e

da come, caso per caso, esse vengono interpretate dai differenti attori coinvolti.»

(Bertolino G., 2008).

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Gli artisti modificheranno le proprie modalità di lavoro in forme e approcci

diversi, legate all’evoluzione della stessa Public Art, che dagli anni ’70 in poi

porterà l’artista a valutare l’interpretazione dei bisogni del pubblico, aumentando

cosi sempre di più le interazioni. Dagli anni ’90 a questa parte, si assiste, in molte

regioni d’Europa, da parte di amministrazioni di piccole e grandi città, ad un forte

desiderio di invitare artisti per la realizzazione di piazze, parchi e in generale

spazi pubblici interpretando i bisogni degli abitanti, dal «promuovere eventi in

grado di sollecitare il senso collettivo dei cittadini, ad urbanisti che collaborano

con artisti per la realizzazione di progetti di parchi e piazze » ( Lenosi 2005: 12).

Ponendo tre punti del dibattito in questione, in particolare dalle osservazioni di

Comunian R. (2006) sulle analisi condotte in Gran Bretagna si evidenzia che:

1) come evidenziano molti autori (Selwood 1995; Merli 2002; Belfiore 2002)

«tante ipotesi e affermazioni vengono fatte circa il ruolo dell'‘Arte Pubblica’ nella

nostra società e nelle nostre città, ma molto poco è stato dimostrato del loro reale

impatto. [...]» (Comunian R, 2006);

2) Un’altra delle problematiche è quella di poter giustificare l'investimento

pubblico o privato in ‘Arte Pubblica’ con risultati, in termini di sviluppo e

miglioramento della qualità dell'ambiente e della qualità della vita ; «[…] questa

pressione ha origine proprio dal tipo di committenza, quella che Appleton (2006)

definisce criticamente come «l'industria della riqualificazione urbana» […]

(Comunian R, 2006);

3) Larga parte dei progetti di arte contemporanea, in Europa, prevedono la

partecipazione della comunità locale, molto spesso questo crea un cortocircuito:

la comprensione dell’’Arte Pubblica’ è spesso disorganica, molteplice e

complessa e per questo a volte fallimentare. Come conclude Appleton (2006),

«l’arte contemporanea può avere un ruolo nelle città e nelle periferie ma per

rispondere a questo ruolo deve allontanarsi dall’idea di compiacimento politico e

architettonico e dalle finalità di unificazione e coesione che spesso la guidano;

deve invece riuscire a comunicare qualcosa alle persone che vivono nello spazio

pubblico.» Non deve essere semplice arredo urbano, ma nemmeno deve forzare

contenuti che non appartengono al luogo: semplicemente deve contenere un

elemento di dibattito e criticità in grado di interrompere il fluire delle persone nei

propri percorsi quotidiani e di farle riflettere.

 

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Seguendo i paradigmi offerti dall’analisi di Miwon Kwon8 (2002) è possibile

sinteticamente individuare almeno tre fasi di evoluzione dell’arte nello spazio

pubblico:

1. Art in public space (arte negli spazi pubblici9), dove l’artista realizza una

scultura tipica dello stile modernista, molte volte astratta, localizzata all’esterno

di un edificio pubblico o di torri terziarie per un semplice scopo decorativo o

abbellimento dello spazio urbano, dando a volte una precisa riconoscibilità a

livello internazionale alla città. Alcuni esempi : “La grande Vitesse” di Alexander

Calder (Michigan 1967)10. 

2. Art as public space (arte come spazi pubblici), dove l’arte è più

consapevole del luogo e tende ad essere meno orientata all’oggetto in sé. Ricerca

una migliore integrazione con il paesaggio e l’architettura attraverso la

cooperazione degli artisti con altri attori che si occupano della gestione della città

(architetti, paesaggisti, pianificatori territoriali, amministratori) nei disegni di

progetti di espansione o nella riqualificazione della città, di parchi, piazze, edifici,

viali, quartieri. A questa fase dell’arte pubblica, sono attribuibili le opere di Scott

Burton, Siah Armajani, Mary Miss, Nancy Holt. 

3. Art in the public interest (arte nell’interesse pubblico), teorizzata dalla

critica d’arte Arlene Raven, e poi rinominata New Genre Public Art da Suzanne

Lacy. Questa ultimo paradigma, identificabile spesso in istallazioni temporanee,

pone l’arte nell’interesse pubblico, si basa su programmi che si concentrano su

temi sociali e il trattamento dei loro problemi, piuttosto che sull'ambiente

costruito. Negli anni più recenti inizia a manifestarsi attraverso i programmi di

trasformazione urbana temporanea, mediante il coinvolgimento di gruppi di

persone marginalizzate come senzatetto, donne che subiscono violenze, malati di

Aids, detenuti, e di chi si batte per sostenere programmi politicamente impegnati

nei confronti delle comunità. L’attivismo politico e la collaborazione con le

comunità è ciò che distingue l’opera di artisti come John Malpede, Daniel

Martinez e Hope Sandrow. 

                                                            8 Per un approfondimento si rimanda a Kwon M., 2002, One place after another, Site-Specific Art and Locational Identity, Mit Press, e al sito web www.eipcp.net/transversal/0102/kwon/en 9 Traduzione mia. 10 La città stessa pensava di essere priva di identità distintiva, senza caratteristiche uniche, una città il cui sito non era specifico. La scultura ha il ruolo di funzionare come un marcatore di identità per la piazza. La prima opera d'arte destinata a una collocazione pubblica che sia stata finanziata dal NEA, Fondo nazionale per le arti (National Endowment for the Arts).

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Questi tre paradigmi dell’arte nello spazio pubblico riflettono i più ampi

cambiamenti nelle pratiche artistiche all’interno dello spazio pubblico, avanzate

nel corso degl’ultimi trent’anni11. Dalle questioni estetiche ai problemi sociali,

dalla concezione di un'opera d'arte come un oggetto di processi o eventi effimeri,

alla prevalenza di installazioni permanenti per interventi temporanei, dal primato

della produzione come fonte di significato per la ricezione come sito di

interpretazione, alla sua espansione molteplice in collaborazioni partecipative.

Ed è proprio nella forma partecipativa e di coinvolgimento collettivo che l’arte

contemporanea evolve. Nel suo modo di porsi come strumento per la

ridefinizione del territorio e dello spazio pubblico.

                                                            11 Sull’argomento De Luca (2003) sostiene che esiste ancora un approccio (legato ai 3 descritti) che si caratterizza per progetti artistici come parte di «un piano più complesso di rigenerazione urbana e sociale. Sempre più spesso difatti l'arte pubblica si sta interrogando sul proprio ruolo specifico e sulle modalità di contatto con i territori protagonisti di trasformazioni e reinterpretazioni di diverso genere (spesso aree urbane periferiche e degradate, caratterizzate da fenomeni di marginalità ed esclusione). Le recenti iniziative di gruppi multidisciplinari come l'Osservatorio Nomade/Stalker, Multiplicity, artway of thinking, i progetti di arte pubblica realizzati all'interno del programma Nouveaux Commanditaires promosso dalla Fondation de France e adottato in Italia dalla ‘Fondazione Adriano Olivetti’, i casi di Zingonia, Librino rappresentano alcuni interessanti esempi di interventi sviluppati nel nostro paese per legare le comunità locali, la produzione artistica e l'identità dei luoghi, in un'ottica di forte integrazione e capacitazione. Emergono quindi come punti chiave lo scambio diretto tra committenti, pubblici di riferimento ed artisti, il loro reciproco coinvolgimento nelle dinamiche creative, ed una nuova e più ampia considerazione dello spazio pubblico - non più solo come spazio fisico ma soprattutto come spazio delle relazioni.» (De Luca, 2003) (Lavagna M., Pastorino S., 2006, pp 320).

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1.3 Gli effetti immateriali dell’arte nello spazio pubblico

Come si deduce nel precedente paragrafo (1.2), la forma principale dell’arte nella

città, abbandona la concezione degli anni ’70, dove era solo arte-oggetto nello

spazio che soddisfaceva un’intenzione prevalentemente decorativa, per assumere

in alcuni casi un carattere invisibile all’interno dello spazio pubblico

immateriale12: oggi diventa un link, una rete, un dispositivo in grado di innescare

processi di trasformazione dello spazio pubblico al servizio della città.

L’arte, in relazione alle trasformazioni urbane, sembra essere ‘pubblica’, nel

significato sociale e negli effetti che riesce ad avere su una pluralità di soggetti,

dove una progettualità partecipata produce benefici immateriali «stimabili in

cultura e rafforzamento delle identità locali capaci di attrarre attività economiche

e di soddisfare bisogni individuali. (De Luca, Trimarchi, 2004: 17)». 

«[…] arte che mette in gioco nuove dimensioni oltre a quella spaziale e che, sulla scia di alcuni progetti realizzati tra gli anni ’70 e ’90 del secolo scorso, ha soprattutto lavorato sulla dimensione relazionale, di processo, di coinvolgimento. In tale accezione l’arte è uno degli strumenti capaci di interpretare un bisogno, di esplicitarlo e, attraverso un’azione, di provare a delineare possibili soluzioni, talvolta ‘indirette’, al problema.» (Inguaggiato 2010: 23). 

Diventa utile analizzare le «forme immateriali dello spazio pubblico nell’arte»

(Inguaggiato 2010), che dalle esperienze di casi italiani e internazionali,

analizzate da vari autori13, sembrano interessanti per delineare le modalità con le

quali l’arte è in grado di modificare lo spazio pubblico. Nella loro componente

immateriale sono spazi pubblici in quanto mettono al centro dell’operato persone,

opportunità, interessi comuni, dando vita ad una rete, ad una politica o ad uno

scenario. Chi si interessa dello studio di queste pratiche e di questi fenomeni,

legati alla trasformazione della città, si interessa anche della progettazione della

città, questa modalità di «‘fare arte’ o ‘fare città’» (Inguaggiato, 2009) sta già

interessando istituzioni, amministrazioni, urbanisti, progettisti, artisti e abitanti.

L’arte pubblica evolve nella capacità di far dialogare enti, associazioni e cittadini,

nella sua funzione di mediazione culturale, cerca di creare reti solide e

                                                            12 Dalla lettura dell’articolo di Valeria Inguaggiato: Lo Spazio pubblico nell’arte (Inguaggiato 2010), si possono delineare, aggiungendo delle mie riflessioni, alcune considerazioni sul rapporto che oggi intercorre tra l’arte pubblica e lo spazio pubblico, nelle sue azioni ed evoluzioni più moderne. 10 In particolare in “Territorio”, 2010, rivista trimestrale del Dipartimento di architettura e pianificazione del Politecnico di Milano, fascicolo 53.

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attecchimenti sul territorio, ponendosi al suo servizio, riuscendo a creare progetti

alternativi.

Enti pubblici e privati, forum, laboratori, meeting, tavoli collettivi, gruppi artistici

e associazioni, attivano forme di processi dal basso, non facili da definire, che

comprendono tutto quello che riguarda lo sviluppo locale e non globale,

riuscendo ad agire tramite pratiche sociali auto-organizzate. In definitiva

possiamo dire che le forme con cui si manifesta l’operato dell’arte pubblica oggi

possono andare incontro ad un nuovo modo sia di fare arte ma principalmente di

progettare la città e il territorio.

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1.4 L’arte nelle pratiche partecipative

Il termine partecipazione, in tutti gli ambiti disciplinari, sia in urbanistica che nel

mondo dell’arte, indica un concetto complesso, perché definisce la relazione tra

singoli individui e gruppi, e mette in discussione le strutture di potere e la

reciproca responsabilità sociale.

Le forze sinergiche dei diversi ambiti di studio pongono la qualità della vita come

primo obiettivo e in particolar modo nei contesti più fragili come: nei centri

storici asfissiati dal traffico e sfigurati dal commercio e nella caleidoscopica

varietà di periferie che caratterizzano una crescita a volte spontanea ed irrisolta.

Per questi innumerevoli problemi riportati dalla città contemporanea sono state

necessarie le pratiche partecipative.

Le necessità partecipative in urbanistica e le necessità di nuovi linguaggi come

quello artistico, in questo contesto, pongono l’urgenza nella riqualificazione, non

solo in termini di spazi fisici, ma anche e soprattutto dal punto di vista sociale ed

umano.

La partecipazione attiva dei cittadini nei processi di riqualificazione urbana

avviene tramite il coinvolgimento e l’attivazione dal basso degli abitanti per il

miglioramento delle condizioni abitative e della qualità ambientale. Due dei

principi politici della governance europea14 orientano l’operato amministrativo

verso l’apertura, dove le istituzioni europee devono dare maggiore importanza

alla trasparenza e alla comunicazione delle loro decisioni, e la partecipazione,

dove è opportuno coinvolgere in maniera più sistematica i cittadini

nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche.

«In questo tentativo di aprire lo spazio della progettazione a diversi soggetti,

l’arte, insieme ad altre pratiche, è stata in più occasioni colta come

un’opportunità, sia quando si presentava come fattore preesistente, sia nella veste

di strumento portato dall’esterno per tentare processi di progettazione partecipata

più o meno efficaci.» (Inguaggiato 2010: 26).

In questo tentativo, l’arte funge da agente mediatore e facilitatore di processi

dove l’artista spesso assume ruoli di natura strumentale o politica. Diventa un

                                                            14 In riferimento al Libro Bianco sulla governance dell’Unione Europea, testo adottato dalla Commissione europea e approvato dal Consiglio europeo. « Governance europea - Un libro bianco » [COM(2001) 428 def. - Gazzetta ufficiale C 287 del 12.10.2001]. (http://www.ise-europa.it/inserto/inserto13.htm)

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dispositivo di lavoro, interazione, attivazione sociale e un veicolo di

comunicazione semplice capace di trasmettere messaggi precisi. Lo scopo diventa

quello di utilizzare dei linguaggi efficaci capaci di rendere chiaro il messaggio e

avvicinare le popolazioni autoctone per sviluppare successivamente processi e

progetti che interpretino meglio le risorse e i bisogni della città.

In questo contesto si pone un tentativo disciplinare di conoscere in quale misura

l’arte sta evolvendo e come i progetti di ‘Arte Pubblica’ insiti nei programmi di

rigenerazione e riqualificazione urbana, abbiano prodotto dei feedback positivi

tramite i linguaggi dell’arte. Questi fattori sono stati riscontrati dalle politiche

analizzate nei casi studio (Capitolo 3).

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2. Pianificazione Strategica e sperimentazioni culturali

2.0 Una premessa Nel precedente capitolo si è evidenziato come alcuni processi della pianificazione

urbana si siano legati ai processi di carattere culturale ed artistico entrando nel

dibattito delle questioni legate ai linguaggi della pianificazione. Nella maggior

parte dei casi le sperimentazioni culturali hanno reso possibile un dialogo diverso

tra enti di diverso tipo, ed in particolare, associazioni culturali e istituzioni

pubbliche. In questo nuovo dialogo il sistema pubblico comincerà ad accogliere,

nel calderone delle politiche attive sul territorio, nuovi modi di approcciarsi alla

città. Visto il non facile legame, alcune fondazioni saranno incaricate nella

mediazione tra la sfera pubblica e la dimensione culturale ed artistica, avendo la

responsabilità di semplificare i modi e i rapporti che potrebbero confondersi tra

una dimensione e l’altra. Partendo adesso da alcune riflessioni, cercherò di

semplificare e spiegare questi processi che hanno caratterizzato il contesto

italiano.

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2.1 Politiche pubbliche e progetti di ‘Arte Pubblica’ Negli ultimi quindici anni, in Italia, le riflessioni sul sistema pubblico si sono

arricchite con il contributo di particolari settori di ricerca come quelli artistici

legati al mondo dell’arte contemporanea. «Un contributo spesso silenzioso,

sotterraneo, non ancora pienamente riconosciuto, ma sempre più produttore di

valore e di senso. Non sembra che al momento il pubblico abbia piena

consapevolezza del dibattito in corso e dell’opportunità che una rinnovata

attenzione verso l’esperienza amministrativa potrebbe apportare alla costruzione

di un nuovo sistema di governance, anche alla luce del dibattito in corso sulle

architetture istituzionali. Questa mancanza di consapevolezza e di progettazione

da parte delle amministrazioni, a fronte di un dinamismo evidente nella ricerca

artistica, costituisce una peculiarità della situazione italiana» (Annecchiarico A.,

2004).

In genere sono le politiche culturali a determinare, o quanto meno, a contribuire

alla nascita e al consolidamento dei fenomeni artistici e culturali che hanno visto

collaborazioni con enti locali o nell’ambito di programmi comunitari. In Italia, le

pratiche artistiche e i progetti sviluppati da artisti e con molta più frequenza da

gruppi multidisciplinari, hanno richiamato l’attenzione di molti studiosi

contribuendo a definire e far emergere un settore della ricerca che si inserisce

sempre più nella sfera pubblica.

Varie esperienze in genere si alimentano in contesti decentrati, dove l’occhio

dell’artista si confronta di continuo con i mutamenti del territorio. Amministratori

locali in un sistema decentrato si prendono la responsabilità di interpretare in

prima persona la domanda della collettività per uno sviluppo sociale ed

economico.

Le esperienze artistiche si inseriscono in un quadro di sperimentazione e ricerca

legato all’uso di approcci interdisciplinari rivolti a indagare le dimensioni

territoriali, sociali e relazionali.

Esiste la tendenza da parte degli enti istituzionali ad abbandonare il mondo della

cultura nell’ambito del proprio sistema di mercato, per abbracciare una rinnovata

attenzione verso meccanismi che regolano il complesso corpo sociale; una

seconda alternativa per il sistema istituzionale italiano, dove «l’impegno sociale

non si definisce come rottura, ma come decodificazione e proposta, anche

attraverso una chiara richiesta di collaborazione. L’interesse per le operazioni

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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artistiche in ambito pubblico si è concentrata, dunque, sull’aspetto relazionale,

dal dialogo interculturale […], alle indagini indiziarie nell’ambito dell’urbanità

contemporanea […], ai processi collettivi […] piuttosto che sull’elemento statico

dell’opus o del monumento nel territorio.» (Annecchiarico A., 2004).

(Il ‘monumento’, finanziato con la legge 717/49, che prevede una somma pari

almeno al 2% da investire nell’abbellimento per tutti gli edifici pubblici15,

esclude dall’ambito dell’applicazione tutti gli “alloggi popolari”, non a caso, tutti

i progetti artistici più interessanti degli ultimi anni, hanno coinvolto questi

contesti marginali e degradati).

Gli anni ’90 hanno caratterizzato il periodo politico con forti cambiamenti

legislativi, come ad esempio: l’introduzione di pratiche e politiche di ispirazione

europea16 che hanno però successivamente sofferto di una applicazione tardiva di

strumenti attuativi. Per ovviare a questo tipo di problema, si inseriscono le risorse

culturali in maniera incisiva nell’azione del territorio.

Dagli inizi del Ventunesimo secolo gli strumenti legislativi di ispirazione europea

come i PRU (Programmi di Riqualificazione Urbana), i PRUST (Programmi di

Riqualificazione e Sviluppo Sostenibile), i Patti Territoriali e programmi europei

come Equal, URBAN, Socrates, Interreg, hanno incentrato il loro operato sulla

negoziazione dei processi, e sul fatto che non è più l’opera al centro del contesto

ma il contesto al centro dell’opera.

Progettazione partecipata, programmazione, negoziazione, sviluppo integrato e

intercultura si inserisco nel lessico delle amministrazioni comunali: nuove

strategie che si inseriscono nel sistema pubblico. Da qui possiamo tracciare due

punti fondamentali:

                                                            15 Il monumento o l'opera d'arte (per così dire di abbellimento) tutt'oggi viene finanziato dalla legge 717/49 che riserva una percentuale pari almeno al 2% del valore di un'opera pubblica alla realizzazione di un'opera d'arte. In riferimento al G.U. 14.10.1949. n. 237: "Le amministrazioni dello Stato, nonché le regioni, le provincie, i comuni e tutti gli altri enti pubblici, che provvedono all'esecuzione di nuove costruzioni di edifici pubblici o alla ricostruzione di edifici pubblici distrutti per cause di guerra, devono destinare all'abbellimento di essi mediante opere d'arte una quota non inferiore al 2% della spesa prevista nel progetto." 16 L’Unione Europea prende in considerazione gli aspetti culturali all’interno delle politiche attraverso programmi specifici e nell’ambito di fondi strutturali. Come enunciato dalla Risoluzione dell'Europarlamento sulla cooperazione culturale (2000/2323 INI) e la Risoluzione del Consiglio del 25 giugno 2000: «la cultura è un elemento fondamentale dell'identità dell'Unione e che tale identità, nel rispetto delle diversità, costituisce la base minima necessaria per il consolidamento del sentimento di cittadinanza europea e per la futura elaborazione della Costituzione». (G.U. C 32 del 5.02.2000: 2).

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• La pianificazione strategica diventa terreno fertile per i processi e le

sperimentazioni culturali, rappresentando la sintesi di un nuovo modo di

progettare il territorio, mobilitando attori sociali, terzo settore e investitori

in una visione integrata e intersettoriale di sviluppo17.

• In questo clima si inseriscono alcuni progetti di ‘Arte Pubblica’ che

colgono il cambiamento ancora in corso dagli inizi del Duemila, e

anticipano così una propensione metodologica e di sperimentazione. La

dimensione culturale allarga gli scenari non finanziando solamente una

mostra o un’opera, (che rimarrebbe altrimenti isolata e autoreferenziale),

ma interagisce con professionisti che provengono da tutto il mondo della

cultura in processi che abbracciano in tutto il percorso la dimensione

amministrativa, ampliando così i possibili finanziatori dei progetti

culturali.

Le politiche pubbliche integrano così questa particolare tipologia di pratica.

L’interesse di interrogare questi processi nasce dal desiderio di capire come

effettivamente l’arte si sia inserita nelle programmazioni strategiche e come è

stata in grado di produrre trasformazioni sia di tipo materiale che immateriale,

dimostrando così di porsi come ‘strumento’ per le politiche urbane.

                                                            17 Dalle esperienze europee di pianificazione strategica, così come in letteratura, è possibile riscontrare una certa convergenza sulle principali caratteristiche che connotano la pianificazione strategica in ambito territoriale, distinguendola dagli strumenti urbanistici tradizionali :1) il carattere negoziato e partecipato - piuttosto che autoritario e prescrittivo - del Piano Strategico, attraverso la costruzione di una “visione” del futuro condivisa dal maggior numero di attori locali; 2) il carattere operativo - cioè orientato alla promozione di azioni e progetti - piuttosto che passivo e vincolistico (si “promuovono” progetti, piuttosto che “concedere” licenze); 3) il carattere flessibile - cioè suscettibile di aggiustamenti e revisioni - invece che rigido; 4) l’approccio integrato (che abbraccia, cioè, aspetti economici, sociali, ambientali, culturali), che non solo supera e ricompone il tradizionale approccio settoriale della pianificazione, ma mette anche in relazione una pluralità di attori; 5) la funzione di quadro strategico di lungo periodo entro il quale assicurare coerenza ai singoli progetti. (L’elenco è tratto da F.Martinelli, La pianificazione strategica in Europa. metodologie ed esiti a confronto, Reggio Calabria, 2003.)

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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2.1.1 Le difficoltà del legame e le mediazioni Le difficoltà, che permetterebbero alle dimensioni culturali di accrescersi nelle

città, si esprimono nella mancanza, da parte di amministrazioni comunali,

nell’utilizzare fondi e capacità professionali, e nella distanza che intercorre tra

dimensione pubblica e dimensione culturale.

Nel quadro della situazione italiana, che vede grosse distanze tra enti privati ed

enti pubblici e difficoltà nell’approcciarsi a nuove sperimentazioni da parte di

amministrazioni comunali, i processi culturali a carattere artistico e cognitivo

vengono gestiti con difficoltà dagli enti pubblici che dovrebbero, in questo

contesto, rafforzare finanziamenti, reti e forze locali, «ciò comporta […] una

maggiore responsabilizzazione da parte dell'amministrazione: nell’identificazione

di obiettivi, azioni, finalità, tempi e strumenti di controllo.» Ed è proprio su

questa dimensione, più strettamente progettuale e di programmazione, che si

gioca, probabilmente, il primo livello di scambio fra la dimensione artistica e la

committenza amministrativa. «Un livello molto complesso, poiché le distanze fra

dimensione politica, basata sul consenso, dimensione amministrativa, ancora

troppo burocratica, e dimensione culturale, che lavora su soluzioni aperte, sono

molto forti.» (Annecchiarico A., 2004).

Questo complesso processo viene semplificato grazie alla mediazione di

istituzioni culturali indipendenti come gli interventi della ‘Fondazione Adriano

Olivetti18’ che ha lavorato in stretta collaborazione con amministrazioni,

lavorando molto sul rapporto fra l’artista e l’amministratore.

Si sono richieste mediazioni precise sia nel caso di URBAN II di Torino con il

progetto Nuovi Committenti a Mirafiori Nord, sia nel PRU e nel CdQ Corviale

nel progetto Immaginare Corviale curato dall’Osservatorio Nomade.

                                                            18 La Fondazione Adriano Olivetti, costituita nel 1962, ha lo scopo di “provvedere alla prosecuzione dell'opera di studio e di sperimentazione, teorica e pratica, suscitata da Adriano Olivetti”. In tale prospettiva, di impegno sociale, la Fondazione svolge un'intensa attività di ricerca e promozione culturale e scientifica articolata in quattro ambiti d'intervento caratterizzati da un approccio interdisciplinare: Istituzioni e società; Economia e società; Cultura e società; Arte, architettura e urbanistica.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

~ 26 ~  

La mobilitazione delle pratiche artistiche viene attivata in Italia tramite progetti di

‘Arte Pubblica’, gli unici progetti che accettano la commistione tra pratiche

urbanistiche e linguaggi dell’arte; nell’ambito che riguarda il rapporto tra l’arte la

sfera pubblica, emerge da parte delle amministrazioni pubbliche, oltre che

dall’opinione pubblica, l’esigenza disciplinare di una produzione significativa dei

luoghi.

Fig. 2 – Schema di sintesi

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

~ 27 ~  

Riflessioni finali Potenziare i linguaggi fino ad ora utilizzati nelle pratiche partecipative con i

linguaggi dell’arte e considerare la mediazione tra la dimensione culturale e la

dimensione amministrativa, può significare individuare tutte quelle «convergenze

metodologiche e operative tra politiche pubbliche e ricerca artistica che, proprio

in virtù delle sue pratiche di infiltrazione, comunicazione e analisi complessa dei

territori, può fornire delle indicazioni di metodo e talvolta di poetica19 per la

gestione dei territori stessi.» (Santori F.G., 2004).

In primo luogo, nei casi studio presi in considerazione, si è cercato di capire in

quale misura questi processi artistici sono stati capaci di produrre trasformazioni

anche in virtù della qualità del messaggio prodotta con le tecniche più svariate.

In secondo luogo come le mediazioni culturali della Fondazione Adriano Olivetti

abbiano funzionato e come sia stata capace di creare legami tra la sfera pubblica e

artisti, curatori del mondo dell’arte, ed esperti del settore.

Fig. 3 – La costruzione di legami

Come denota il presidente della Fondazione Adriano Olivetti, Laura Olivetti:

«Sia per Nuovi Committenti che per Immaginare Corviale l'arte, in tutte le sue

espressioni, viene, nei nostri intenti, utilizzata come mezzo per rendere partecipi

ed attivi coloro i quali vivono quotidianamente la realtà dei luoghi che abitano.

Tutto questo genera la consapevolezza di appartenere ad una comunità che può e

deve collaborare per la trasformazione dei luoghi secondo le diverse esigenze.»

(Olivetti L., 2004).

Il tentativo del progetto di ‘Arte Pubblica’ allora si trasforma in una costruzione di

un abitante produttore cioè là dove «l’abitante del luogo inserito nel progetto                                                             19 Cfr. Binni L., 2004 - in Politiche della contemporaneità: due progetti della Regione Toscana. Si veda anche Magnaghi A., 2010, Il progetto locale. Verso la coscienza del luogo. (Nuova edizione accesciuta), Bollati Borinchieri, Torino, pp 168-172.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

~ 28 ~  

locale costituisce parte determinate della valorizzazione e produzione del luogo»

(Magnaghi A. 2010); questa costruzione è avvenuta là dove le responsabilità di

attori, desiderio comune di rigenerazione e cambiamento, è stata più fortemente

desiderata.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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3 Interrogare due casi: Nuovi Committenti a Torino e Immaginare Corviale a Roma 3.0 Una premessa Cercherò adesso di evidenziare, nei casi studio presi in considerazione, tutti gli

aspetti che hanno caratterizzato questi due progetti di ‘Arte Pubblica’ insiti nelle

sperimentazioni culturali dagli inizi degli anni Duemila fino agli aggiornamenti di

caso ad oggi, e che mi hanno permesso di conoscere, da una parte, le modalità e

le difficoltà dei legami di discipline diverse, e dall’altra le effettive trasformazioni

dello spazio pubblico dopo le progettazioni.

Quindi riprendendo il quesito iniziale: come questi fattori hanno effettivamente

influenzato e contribuito, nel quadro delle politiche analizzate, alla

trasformazione del territorio e cosa il processo culturale ed artistico, insito nelle

sperimentazioni culturali, è stato effettivamente capace di produrre?

Si è trattato di capire con quali modalità queste sperimentazioni culturali si siano

inserite nei processi di pianificazione territoriale e come effettivamente siano

state in grado di produrre cambiamenti di carattere immateriale (come ad

esempio il Caso di Roma Immaginare Corviale) e cambiamenti di carattere

materiale (come il caso Nuovi Committenti a Torino Mirafiori Nord) nella

trasformazione dello spazio pubblico.

Ambedue i casi studio presentano un problema iniziale, poiché entrambi i contesti

ricadono sul margine urbano e periferico di due città. La prima è Torino, dove è

presente un declino di una monocultura industriale come quella di Mirafiori, e la

seconda è Roma, che invece presenta il classico fallimento dell’architettura

moderna nella costruzione e nella cattiva gestione del Nuovo Corviale.

Successivamente verranno descritte le soluzioni scelte dalle amministrazioni e

come i processi culturali ed artistici siano stati capaci di produrre linguaggi

adeguati alle esigenze del contesto, e come la mediazione della Fondazione

Adriano Olivetti abbia avuto efficacia nel dialogo tra gli attori del processo.

L’interrogazione dei casi è avvenuta tramite interviste telefoniche e in prima

persona. Negli schemi riassuntivi che seguono sono descritte le due esperienze

che ho avuto modo di analizzare in maniera approfondita ma indiretta. Le

esperienze selezionate non hanno pretesa di esaustività, rientrano piuttosto in una

descrizione analitico - scientifica dei fenomeni di casi in continuo evolvere.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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ALLEGATO A

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ALLEGATO B

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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3.1 Torino: Nuovi Committenti per Mirafiori Nord

Il processo Nuovi Committenti a Mirafiori Nord ha ricoperto un tipo di intervento

di riqualificazione urbana basato sul tentativo di rigenerare il quartiere creando

un’attività culturale improntata verso la creazione di centri aggregativi nello

spazio urbano ormai privo di identità. Il contesto Mirafiori Nord, come vedremo,

presenta il tipico carattere e gli aspetti di rischio e decadenza delle periferie

industriali cresciute intorno ad una grande fabbrica. Come risposta la città di

Torino ha vissuto negli ultimi anni una fase di riconversione funzionale,

ripensandola a livello strategico, nel suo ruolo, dopo gli anni

dell’industrializzazione e della sua dismissione. Nel complesso è possibile dire

che abbia investito nell’ambito culturale rilanciandosi così come città della

cultura, della creatività e dell’arte, offrendo eventi ed iniziative uniche nel

panorama italiano.

Visto Torino come unico caso “Laboratorio” nel quale si realizzano diverse

occasioni di riqualificazione urbana legata all’arte, è difficile individuare un unico

ruolo che l’arte e l’artista svolgono. «Forse il caso più eclatante e innovativo,

inedito rispetto a quello di altri casi […] è quello dell’artista che si relaziona con

un contesto per il quale è chiamato ad interpretare dei bisogni. Questo è il caso di

“Nuovi Committenti” nel quale l’artista lavora a contatto con un mediatore

culturale che indaga i bisogni e le aspirazioni degli abitanti e le riporta all’artista.»

(Inguaggiato, 2009). In questo caso all’artista viene dato un compito sociale e

morale di realizzazione “desiderata” che si distingue dai tradizionali interventi di

arredo urbano o rifacimento di contesti degradati per il processo con il quale

avviene, per il contenuto e il valore artistico, per il senso di appartenenza che

sviluppa tra i fruitori.

Le politiche e gli strumenti del processo Nuovi committenti sono stati in una fase

iniziale il Tavolo sociale (istituito dall’Assessorato al decentramento e

all’integrazione urbana del Comune di Torino nell’ambito del Progetto Speciale

Periferie - PSP) e successivamente il programma Urban II. L’intero finanziamento

nel progetto Urban II. Oltre la città fabbrica è stato di oltre 30 milioni di euro di

cui quasi un milione di euro (960 mila euro) è stato investito per il progetto Nuovi

Committenti. Tutti i soggetti finanziatori sono stati: Urban II (Unione Europea,

Ministero delle Infrastrutture, Regione Piemonte, Città di Torino), Fondazione

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Adriano Olivetti - Roma, Compagnia di San Paolo - Torino, Fondazione CRT –

Torino. Gli attori del processo oltre ai soggetti finanziatori sono stati: a.titolo,

Avventura Urbana (per alcuni interventi preliminari al processo), gli artisti

coinvolti nella progettazione e gli abitanti di Mirafiori Nord per quanto concerne

gli attori privati. Gli attori pubblici invece: il Comune di Torino, professionisti e

tecnici del programma URBAN II e del precedente PSP (Progetto Speciale

Periferie di Torino). I tempi dell’intero processo sono durati sette anni dal 2001 al

2008.

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3.1.0 Il declino di una monocultura industriale: Mirafiori Nord, Torino

Mirafiori Nord è un quartiere della Seconda Circoscrizione (ex quartiere n. 12) di

Torino, cresciuto in prossimità dello stabilimento Fiat nella parte sud di Torino.

La costruzione risale alla politica abitativa pubblica italiana dagli anni ‘20 agli

anni ’60. Da un punto di vista edilizio ed urbanistico Mirafiori risulta cresciuto

attorno alla più importante industria automobilistica italiana che ha condizionato

lo sviluppo d’Italia e in particolare della regione Piemonte fino alla fine degli

anni ’70. Mirafiori Nord è una tipica area metropolitana del nord Italia con un

tessuto edilizio che si è andato formando con forme insediative diverse.

Agli inizi degli anni ‘20, la collaborazione tra Fiat e Comune di Torino porta ad

una profonda crisi legata agli alloggi. Verrà pianificata la costruzione di più di

mille alloggi popolari distribuiti in otto isolati. L'industria automobilistica nel

1926 cede più o meno 100 ettari di terreno al Comune che saranno destinate alla

costruzione di case popolari. In cambio l'amministrazione comunale darà le opere

di urbanizzazione primaria e secondaria come il sottopassaggio del Lingotto.

Lo stabilimento Fiat Mirafiori nasce ufficialmente nel 1939 e parallelamente si

svilupperà il quartiere operario lungo a nord di via Giacomo Dina, cuore di quella

porzione di città che in quegl’anni i torinesi chiamavano “Borgo Cina”. «Nel

1957 la Fiat raddoppia lo stabilimento di Mirafiori e partecipa al piano Ina Casa

costruendo 1550 alloggi da assegnare ai dipendenti. Grazie alla legge n. 167 del

1962 sull'edilizia convenzionata verranno favorite le acquisizioni di terreno

destinate a zone commerciali e ai servizi, ma la carenza dei servizi essenziali è un

problema di gravi proporzioni.» (Zanlungo, 2008: 34).

Palazzi a sette e dieci piani inaugureranno la stagione del boom edilizio e

demografico degli anni '60, per arrivare agli interventi degli anni ’70 che hanno

accolto i grandi flussi migratori attratti dallo sviluppo industriale di quegl’anni.

L’attuale stato di Mirafiori è caratterizzato dai servizi centrali che fungono da

centro aggregativo e sociale, circondati da edilizia residenziale pubblica da un

lato e dall’altro edificazioni di tipo privato come il centro residenziale chiamato

“Centro Europa”.

Un quartier sopravvissuto alla sua fabbrica: « il nodo entro cui s'avvolge e stenta

a dipanarsi la vicenda collettiva di Mirafiori Nord. La difficoltà a svincolarsi

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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dalla presa oppressiva del vuoto che gli incombe addosso. Il possibile blocco

dell'immaginazione, di fronte all'invadenza di quell'assenza che non potendo

esser nominata, resta là, immobile, al confine del territorio abitato, e assorbe

ricordi e progetti, tentativi di ricostruzione di un senso comune condiviso e

ricerche d'innovazione.» (Ravelli M., 2004).

Vari studi condotti dal Comune di Torino e da Dipartimenti Ministeriali

dimostrano che attualmente il quartiere porta con se un grave crisi che tocca il

contesto sociale. Mirafiori Nord è diventata una parte città non più produttiva,

rimasta senza lo scopo per cui era stata progettata e cioè quella di essere la più

grande industria d’Italia. «Nell’insieme presenta il tipico carattere e gli aspetti di

rischio e di decadenza delle periferie industriali cresciute intorno a una grande

fabbrica: in questo caso una fabbrica ormai da anni fortemente ridimensionata,

ma comunque col pericolo che la sua crisi trascini lo stesso quartiere in un lento e

continuo declino e degrado fisico e sociale.» (Filandri M., 2009).

Un caso esemplare delle periferie post-industriali europee, dove ormai si è persa

la sua funzione industriale, diventando così un quartiere abitato in maggior parte

da operai in pensione che tempo addietro avevano acquistato casa dalla Fiat.

Il tramonto della monocultura industriale ha portato una profonda crisi del

quartiere e al resto della città. Da alcuni anni sono molte finestre chiuse e poche

le auto che passano.

Il lungo corso che costeggia la fabbrica e i cortili delle case popolari

rappresentano ormai un contesto sospeso tra ciò che ormai non esiste più e quello

che invece potrebbe esserci.

Alcune statistiche hanno dimostrato che la presenza di edilizia pubblica

residenziale comporta dei fattori problematici di carattere sociale, economico e

culturale. «L’eterogeneità di quartiere “in difficoltà”, tuttavia “esente da

condizioni di disagio estremo” 20 se non per alcuni isolati delimitati all’interno di

complessi di edilizia pubblica popolare, è la ragione per cui è stato eletto come un

luogo di sperimentazione per misure sia di integrazione sia di riqualificazione

urbana nel Programma di Iniziativa Comunitaria Urban II.» (Filandri, 2009).

                                                            20 PIC Urban 2 – TORINO MIRAFIORI NORD, “Progetto Cortili”, Misura 3.2. Interventi diffusi per la lotta all’esclusione sociale, a cura di Ass. Avventura Urbana – Progettazione & Partecipazione, dattiloscritto, s.d.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Un quartiere in trasformazione che ha sofferto la mancanza di spazi verdi e

luoghi di aggregazione come: luoghi per il passeggio, piazze, giardini, e che ad

oggi sono state ridimensionate e contrastata da interventi di riqualificazione e

rigenerazione urbana.

Fig. 6- Mappa di Torino con segnati i confini di Urban, di Mirafiori Nord e della

Circoscrizione 2 - (Fonte: Filandri, 2009)

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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3.1.1 Sperimentazioni Culturali per Mirafiori Nord 3.1.1.0 Torino: un cantiere a cielo aperto tra rigenerazione urbana e progetti di arte pubblica Torino è la città italiana che ha differenza di altre ha saputo sviluppare nel tempo

una pratica consapevole di intervento pubblico rispetto ai processi artistici e

all’arte contemporanea, resa possibile principalmente dalla presenza di molteplici

attori e contenitori come musei contemporanei, con gestione pubblico-privata,

fondazioni bancarie impegnate nel mondo dell’arte contemporanea e

nell’investimento verso musei pubblici e progetti legati al sociale e nei progetti

culturali innovativi. «[…] Un'amministrazione che da anni considera l'arte

contemporanea nelle sue forme più diverse patrimonio comune della cittadinanza

e che è in grado di mobilitare risorse pubbliche e private in complessi programmi

di riqualificazione. La città rivela soprattutto una consapevolezza diffusa

nell’affrontare l’impatto della deindustrializzazione, mettendo la contemporaneità

e l’arte al centro delle politiche pubbliche. […]. (Pietromarchi B., Santori F.S.,

2004) (Drago E., 2004).

Un contesto difficile come Mirafiori dove la necessità di integrazione e

inclusione sociale sono evidenti; dove l’amministrazione comunale aveva già

investito ingenti finanziamenti; formato principalmente: da lavoratori che non

lavorano più, da famiglie con molti problemi legati al lavoro e al disaggio sociale

e di giovani che non vivono il quartiere ma preferiscono recarsi nei centri

commerciali. Da qui il programma Urban II. Oltre la città fabbrica, il cui

obbiettivo da raggiungere era quello di favorire un processo di trasformazione

sociale, fisica ed economica del quartiere attraverso un’ampia partecipazione

degli attori sociali.

Nel 1999 si è aperto a Mirafiori Nord uno spazio per il Tavolo Sociale21 (oggi

Forum dello Sviluppo) riunitosi per due anni e finalizzato alla messa a punto di

un disegno partecipato di rigenerazione del quartiere attraverso un approccio

integrato che «promuove il coinvolgimento degli abitanti e delle organizzazioni

del territorio, stimolando un ruolo attivo e propositivo dei soggetti sociali.»                                                             21 Il Tavolo Sociale era un organismo composto da urbanisti, cooperative, associazioni, parrocchie, scuole e operatori della Seconda Circoscrizione, istituito dall’Assessorato al decentramento e all’integrazione urbana del Comune di Torino nell’ambito del Progetto Speciale Periferie.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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(a.titolo, 2004: 23).

Si è dato voce a chi vive e lavora nel quartiere Mirafiori Nord fino a giungere

all’individuazione dei problemi di tipo sociale e strutturale mettendo in rilievo

quelle che erano le vocazioni e i desideri degli abitanti.

Dal seguito del lavoro svolto dal Tavolo Sociale, e dal già consolidato gruppo

composto dalle associazioni e dei cittadini, l’amministrazione comunale torinese

ha maturato la scelta di candidare Mirafiori Nord al programma Urban II (2000-

2006)22. In seguito, si è sviluppato un lavoro sistematico di ricerca e di

progettazione del programma. Il 23 novembre 2001, con decisione n.

C/2001/3531 è stato formalmente adottato il Programma d’Iniziativa Comunitaria

(PIC) Urban II Mirafiori Nord.

Il programma intendeva inoltre promuovere l’attuazione di strategie innovative

che favorissero lo sviluppo locale e lo scambio di conoscenze tra attori del

processo ed attori esterni. Per il programma Urban sono stati stanziati oltre 40

milioni di euro per tutti quegli interventi volti a rilanciare lo sviluppo e a

migliorare la qualità della vita e dell’ambiente nel quartiere Mirafiori Nord. Il

programma si è inserito in un contesto di valorizzazione, in cui già dalla fine

degli anni ’90 il Comune di Torino aveva avviato il Progetto Speciale Periferie

(‘PSP’), intervenendo sulle periferie torinesi dal punto di vista urbano, ambientale

e sociale. Successivamente «Nell’ottica di una crescita di una “società locale”

che si riscatta rispetto a deprivazioni di tipo sia fisico che culturale ed economici

ecc., si decide di inserire all’interno dei programmi di rigenerazione fisica, e non

solo di quel quartiere, anche interventi di tipo artistico, progettati con le scuole

del quartiere. Ha sicuramente dato e un contributo alla crescita dell’empowerment

dei soggetti locali. […].» (Appendice – Alberto Lalli).

Il programma Urban è stato suddiviso in tre assi23: «“il recupero fisico e la

sostenibilità ambientale”; “la creazione di infrastrutture e conoscenze per lo

sviluppo economico”; “l’integrazione sociale, la lotta all’esclusione e la crescita

                                                            22 Il programma Urban 2 si inserisce in un contesto più ampio di valorizzazione delle periferie torinesi che la Città sta attuando dal 1998 con la creazione di un nuovo settore del comune, il Settore Periferie. Attraverso questo programma la Città di Torino sta da tempo investendo ingenti risorse per la riqualificazione delle periferie da un punto di vista urbano, ambientale e sociale. Attualmente il Settore Periferie ha quattordici azioni di sviluppo locale avviate in Torino, tra cui una nell’area di Mirafiori Nord. (http://www.comune.torino.it/urban2/progetto.html) 23 In Urban II, 2002, Programma di Iniziativa Comunitaria Urban II (2000-2006). Mirafiori Nord, Civico centro stampa, Torino, pp16.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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culturale” anche attraverso “occasioni di espressione culturale e artistica24.

Ed è proprio nell’ambito culturale ed artistico inserendosi nel terzo asse del

programma, che il Comune di Torino decide, approfittando del periodo, di

inserire il progetto Nuovi Committenti, ispirato all’omonimo modello francese

Nouveaux Commanditaires, prevedendo la realizzazione di quattro opere da

realizzarsi entro il 2006, (anche se tutti i processi sono terminati successivamente

nel 2008), il fine era quello di promuovere la riappropriazione degli spazi urbani

da parte degli abitanti e il rafforzamento dell’identità dei luoghi. Il Comune di

Torino impegnerà la Fondazione Adriano Olivetti per la regia del lavoro e

l’associazione a.titolo per la mediazione culturale.

Tutte le opere di Urban, legate a Nuovi Committenti, sono state inserite nel

progetto di Parco lineare di Corso Tazzoli.

Come denota Francesca Comisso, (una delle curatrici di a.titolo): «In quel

periodo abbiamo intercettato, efficacemente, in un momento dove la città di

Torino stava preparando la candidatura ai finanziamenti nell’abito del programma

Urban II, che è un programma comunitario di rigenerazione urbana, e poiché la

metodologia di Nuovi Committenti chiama in causa un metodo innovativo alla

partecipazione, sui processi di cittadinanza attiva e si prestava perfettamente a

quelle che erano le direttive e le pratiche auspicate dalla comunità europea, il

Comune di Torino ha accolto questa nostra proposta e la città stessa ha proposto

tra le progettualità che avrebbe messo in campo nella realizzazione dei progetti di

Urban II anche Nuovi Committenti.»

In totale sono stati investiti 961.000 euro, comprendendo l’avvicinamento delle

committenze e l’intera realizzazione delle opere. Per l’Italia è la prima

applicazione di un modello di produzione di opere d’arte per lo spazio pubblico.

Come dichiara Maria Alicata (responsabile dell'Area progetti e ricerche della

Fondazione Adriano Olivetti) «Negli anni 2000 il contesto ideale era Torino,

dove esisteva una consapevolezza amministrativa molto forte sul tipo di

intervento, dove uno degli assi strategici della città era ed è ancora l’arte e la

cultura. In quegli anni esisteva un Piano Strategico allineato su questo tema, un

contesto ideale e con la consapevolezza di cosa si andava incontro, investendo                                                             24 In particolare il terzo asse dei finanziamenti Urban II prevedeva che si dovessero: «Rafforzare il legami sociali e le reti di contatto tra gli abitanti, riducendo i fenomeni di isolamento ed esclusione sociale, ampliando i servizi esistenti e migliorando la qualità e l’accessibilità; creare occasioni di espressione culturale e artistica che rafforzino l’identità e il senso di appartenenza alla comunità.» (Urban II, 2002).

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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sulla cultura; c’era l’occasione del programma Urban, all’uscita del bando, la

Fondazione Adriano Olivetti (che all’epoca aveva legami molti forti con le

fondazioni bancarie in particolare San Paolo e CRT) si è proposta, e i fondi sono

stati destinati al quartiere Mirafiori Nord. In ogni caso dovevano essere investiti

per interventi artistici, ma questa volta la metodologia era improntata sul modello

Nuovi Committenti. È stato un modello applicato dalle linee guida del progetto

originario. Dove quello che conta del progetto non è l’opera in sé, ma il processo;

Citando Cavallier: “fare più attenzione alla traiettoria che al bersaglio, al processo

che non all’obiettivo25”.» (Appendice – Maria Alicata).

Tutto il lavoro è stato basato sulla pratica della partecipazione diretta da parte dei

cittadini per tentare di ridisegnare quella parte del territorio torinese.

L’associazione incaricata dalla Fondazione Adriano Olivetti alla mediazione è

stata a.titolo, una mediazione fondamentale per individuare i nuovi committenti.

La stessa associazione decise di partire dal Tavolo Sociale. Come dichiara

Francesca Comisso «La nostra scelta è stata quella di innestarci in un processo di

“cittadinanza attiva” già in corso. […] Lo abbiamo essenzialmente potenziato,

abbiamo scelto di operare in sinergia piuttosto che in totale autonomia. Abbiamo

ovviamente avuto un’autonomia metodologica e operativa scegliendo di

potenziare delle azioni già in atto. » (Appendice – Francesca Comisso)

Tutto il lavoro è stato basato su processi di ascolto, che l’antropologa Marinella

Sclavi, presente alle riunioni del Tavolo Sociale, pone al centro di una precisa

metodologia di analisi e intervento nel territorio urbano26.

Durante il lavoro si sono ascoltate e raccolte le proposte dei cittadini in merito a

possibili temi e luoghi di intervento artistico.

Le parti entrate in gioco nella progettazione sono state compiute sia dalla parte

pubblica amministrativa che dalla parte privata. Enti pubblici, associazioni,

volontari e cittadini, nella nuova definizione di committenza, dove il ruolo

dell’istituzione con quello del cittadino comune, si inverte, creando così

interrelazioni tra competenze e ambiti differenti. Per questi motivi, il progetto

Nuovi Committenti applicato a Mirafiori ha denotato la compatibilità con le più

                                                            25 Georges Cavallier, L’habitat social au coeur de l’urbanisme, Lione, 4-5-6 dicembre 1995, e Habitat II, Istanbul, giugno 1996. 26 Marianella Sclavi insegna Etnografia urbana e Arte di ascoltare e Gestione creativa dei conflitti al Politecnico di Milano. Collabora da anni a progetti di risanamento di quartieri in crisi. Tra le Sette regole dell'arte di ascoltare. Si rimanda anche a M. Sclavi. Avventure urbane. Progettare la città con gli abitanti, Eléuthera. Milano 2002, in particolare le pp. 197-202.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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aggiornate strategie di governance delle amministrazioni locali.

Le principali linee programmatiche che informano le iniziative di rigenerazione

urbana promosse dall’Unione Europea e le possibili connessioni con progetti

artistici e culturali che prevedono la partecipazione con gli abitanti, sono i

caratteri dei processi che hanno distinto l’applicazione nel contesto Mirafiori

Nord di Torino.

Se da un alto troviamo gli obbiettivi di Urban, che danno delle indicazioni

generali sulla rigenerazione delle città, dall’altra invece, troviamo tutti quei

processi su cui fare leva in precisi contesti. Il programma Urban, in questo

preciso contesto, ha considerato di fondamentale importanza il “capitale umano”

e le loro interazioni, cercando di mettere in sinergia più forze locali.

In questa visione l’approccio artistico e sperimentale scelto per il conteso

Mirafiori Nord ha svolto un ruolo nel tentativo di rigenerare il quartiere creando

un’attività culturale e soprattutto, di fondamentale importanza, la creazione di

centri aggregativi per il contesto.

«La sensibilizzazione delle amministrazioni e la costruzione con esse di una

progettualità comune e, nella prospettiva della Fondazione, preliminare a

qualsiasi applicazione di Nuovi Committenti. D’altro canto, la procedura risponde

ad alcune questioni al centro degli obiettivi di governance delle più avvedute

amministrazioni locali, ovvero l'individuazione di interventi necessari, e dunque

sostenibili, mirati alla federazione della cittadinanza e l'identificazione di processi

di riqualificazione degli spazi pubblici che partano dal basso e che tuttavia non si

fermino alla soluzione dei problemi pratici ma abbiano l'ambizione di innestare

nella quotidianità una dimensione estetica “alta”. Non è un caso che, sia in Italia

che in Francia, Nuovi Committenti riesca a mobilitare risorse economiche che non

hanno per oggetto la cultura tradizionalmente intesa e che la sua procedura rientri

in molti dei parametri dei progetti strutturali europei o nei criteri della

programmazione strategica.» (Pietromarchi B., Santori F.S., 2004: 15).

Nella maggior parte dei casi la rigidezza delle amministrazioni locali e dei

programmi che le si propongono, tendono a dare poca flessibilità alle esigenze

del cittadino; la rigidezza nel perseguire programmi deliberati potrebbe stabilire

delle implicazioni nell’inserimento di modelli come Nuovi Committenti.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Da un intervista del 2004 di a.titolo all’architetto Anna Prat27, si deduce che

l’approccio sperimentale applicato a Torino si sia ben inserito nelle linee di

Urban II, l’amministrazione comunale torinese era consapevole dell’azione che si

stava intraprendendo: «Penso che Nuovi Committenti sia perfettamente nello

spirito di Urban Mirafiori: è un approccio alla trasformazione che non ha risposte

preconcette ma che si fonda su un lavoro comune, partecipato e contestualizzato.

E’ un metodo che consente d'interrogarsi sull'identità della città, degli spazi e dei

luoghi pubblici, della periferia e di questo quartiere in particolare. Mira ad

“attivare” il cambiamento, proprio come il programma, e non a proporre delle

soluzioni. Soprattutto non aspira all'opera di grande impatto e forse retorica, che

nell'arte pubblica consiste nel monumento, e nei progetti urbani può

corrispondere al centro culturale, al museo, alla piazza aulica. La cosa

affascinante, per me che sono di formazione architetto-urbanista, è giusto

occuparsi di luoghi e oggetti ma con una prospettiva diversa da quella degli altri

progettisti. La vostra prospettiva (quella di a.titolo) tende a porsi maggiormente il

problema di capire come viene prodotto l'oggetto urbano, come viene percepito,

come viene vissuto quotidianamente a livello emotivo.» (Pratt A., 2004) (a.titolo,

2004: 37).

È in questo contesto che l’arte contemporanea e la cittadinanza inserite nei

programmi di ridisegno urbano possono costituire un ruolo importante per la

produzione di “cittadinanza attiva”.

L'arte ha creato un'attività culturale e influenza i modi di vivere degli abitanti e

crea una sorta di creatività locale, qui il “capitale umano locale”, diventa

suscettibile al cambiamento. Quello che si è radicato in Nuovi Committenti, come

dice Anna Prat «è un sistema di progettazione naturale, fondamentalmente un

“progetto esperenziale”. Nuovi Committenti m’interessa molto perché pone delle

questioni importanti per l'arte pubblica, molto vicine al modo di sentire e lavorare

di chi fa progettazione e programmazione urbana. Si pone problemi di attivazione

di processi, assunzione di responsabilità da parte degli attori in gioco (i

                                                            27 Anna Prat è un architetto urbanista. Nel 2004 ha rilasciato un intervista per a.titolo in merito al complesso rapporto tra arte e trasformazioni urbane. Si è occupata dei programmi urbani e della fattibilità delle trasformazioni territoriali e urbane di Torino. Laureata in architettura a Torino, ha lavorato per due studi professionali di Londra (Dalia & Nathaniel Lichfield .Associates et Ove Arup & partners) e ha studiato alla London School of Economics. A Roma ha lavorato con la società Ecosfera. Attualmente è free-lance e risiede a Torino, seguendo alcuni programmi europei e studi di fattibilità. Nell'ambito di Urban è stata la responsabile per Ecosfera della preparazione della candidati e in seguito dei documenti di progetto e del programma dei lavori.

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committenti, i mediatori e gli artisti), di riconoscimento delle professionalità, di

proprietà civica, di discussione e di revisione dei labili confini tra pubblico,

privato, collettivo. […].» (Pratt A., 2004) (a.titolo, 2004: 39).

L’applicazione di Nuovi Committenti nel contesto Mirafiori ha dimostrato che

l’arte pubblica contemporanea e la cultura si pongono come strumento in grado di

aiutare l’architettura e i programmi urbani che in genere risultano fuggire da

applicazioni sperimentali e di ricerca.

La commissione e la promozione delle iniziative artistiche nella città è avviata sia

grazie allo stimolo da parte di operatori del mondo dell’arte sia da parte di chi si

occupa in generale dei processi di trasformazione della città. Negli ultimi secoli si

è assistito alle principali commissioni di opere d’arte da parte del potere politico

o religioso, dove lo spazio pubblico era il luogo della rappresentazione del potere.

Oggi invece si assiste ad una molteplice diversità di tipi di commissioni e

promozioni che operano un superamento che conferisce nuovi significati sia

simbolici dello spazio pubblico, sia di natura sociale come luogo di condivisione

di idee e spazio di confronto allargato.

«In molte esperienze degli ultimi venti anni l’attore pubblico – Stato, istituzioni,

amministrazioni locali – non è più solo il committente da assecondare, e neppure

solo il soggetto da contestare. È piuttosto un partner con cui collaborare.»

(Bruzzese 2010: 32). In questa direzione l’arte pubblica contemporanea viene

inserita nei programmi di riqualificazione urbana dalle pubbliche amministrazioni

dove il cittadino assume un ruolo di ‘committenza’.

Il progetto Nuovi Committenti e Urban II, vanno guardati come un cantiere

programmato, anche attraverso un lavoro di “compenetrazione” tra due modelli

operativi, che sono affini nelle filosofie ma allo stesso tempo ben «distinti per

vocazione e quadro di intervento» (a.titolo, 2004: 30). La sinergia tra le due ha

dato vita ad un cantiere che ha visto scorgere un «nuova committenza sociale»

(Crispolti E., 1977), nata dall’unione di una committenza pubblica ed economica

con una committenza di progetto.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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3.1.2 Un modello politico nuovo per l’Italia

Il modello Nuovi committenti assume caratteristiche da una consolidata tradizione

francese nel trattare l’arte pubblica. Il modello dichiara la sua natura alternativa

alla dissoluzione del ruolo dell’arte nella società contemporanea, denotando una

consolidata tradizione di arte pubblica di prevalente committenza statale. In Italia,

invece, non è presente un modello egemone in ambito istituzionale che si misura

con modelli alternativi. Da qui, viene importato, per la prima volta a Torino,

questo nuovo tipo di sperimentazione culturale: nuove strumentazioni, non tanto

legate al mondo dell’arte e della società, ma piuttosto ai processi politici insiti nel

modello. Nuovi Committenti utilizza l’arte e i suoi strumenti in funzione del

contesto, innestandosi, come nel caso italiano, nei programmi di rigenerazione e

riqualificazione urbana.

Come in effetti l’associazione a.titolo denota: « Quando nel 2000 la Fondazione

Adriano Olivetti ci propose di diventare mediatori culturali del programma Nuovi

Committenti, ci stavamo da tempo interrogando su questi temi. Parallelamente a

uno studio sulla situazione italiana, eravamo passate a curare una serie di

interventi nella nostra città - Torino - in zone ad alto livello di problematicità (il

mercato di Porta Palazzo, un quartiere di edilizia pubblica). Gli interlocutori non

li avevamo trovati, come di solito, nelle istituzioni culturali, ma tra i responsabili

delle politiche urbane. L'ingresso di Nuovi Committenti in Urban II […] ci ha

confermato quanto oggi l'arte, quando si propone di attivare processi, sia inclusa

come valido strumento tra le politiche di ridisegno delle città. a.titolo è il primo

gruppo di mediatori ad applicare il modello in un programma di questo tipo, e ciò

apre una nuova prospettiva di sperimentazione delle sue potenzialità operative.»

(a.titolo, 2004: 22).

Tra le varie tipologie di sperimentazioni culturali, Nuovi Committenti dimostra di

non attuare un semplice progetto di Arte Pubblica, o un processo dove all’artista

viene dato il protagonismo dell’azione o dell’opera, è principalmente un modello

politico e innovativo, in particolare per il contesto italiano, dove la

partecipazione, l’inclusione dei cittadini e la valorizzazione del territorio si

pongono come scopo predominante di tutto il processo.

Come dichiara, Francesca Comisso: « il lavoro dell’artista che sta dentro il

processo, non è attivato dall’artista. In Nuovi Committenti, gli artisti cercano un

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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dialogo, le modalità per svilupparlo, decidono di trasformare la loro azione in un

servizio oppure in realtà di produrre un progetto, a seconda! Non è arte sociale o

arte politica, è il metodo che è sociale e politico.

L’artista nel processo può incontrare chiunque, poi è il mediatore che rende

possibile questo dialogo, poiché essendo un esperto del settore riesce a mettere

tutto a sevizio di una domanda, una domanda che deve essere in grado di tradurre

correttamente e che magari coinvolga un gruppo ampio. Ogni volta si decide. Sta

di fatto che però il mediatore individua un’artista, da lì nasce un dialogo, dalla

capacità di ascolto, capace a negoziare proposte. Ecco questo è un processo

interessante, dialettico, di fiducia reciproca, che cresce, che si stabilisce, ma può

essere anche conflittuale. […] Se il processo è stato fatto bene, l’esito è ottimo.

E’ un campo di decisioni dove ciascuno ascolta tutti ma ascolta anche le proprie

riflessioni. Questa negoziazione produce un’opera che deve corrispondere al

desiderio di chi l’ha commissionata, ma che poi sappia essere acquisita dalla

collettività. In Nuovi Committenti è importante sia il processo che l’esito. In realtà

è un processo di produzione d’arte. E’ politico in se, perché restituisce al singolo

individuo, che nella democrazia occidentale (come scrive Hers Francois): «è

considerato motore della storia”. Gli riconosce la possibilità di agire attraverso

un’opera e assumere un ruolo all’interno della collettività.» (Appendice –

Francesca Comisso).

A.titolo, negli ultimi anni si sta interrogando sul dialogo che hanno l’arte e la

partecipazione attiva della collettività. Esistono una serie di percorsi in cui le

pratiche artistiche stanno diventando sempre più diffuse. Alcune sono legate al

contesto storico e alle urgenze, altre invece denotano che nel nostro paese, a

differenza del mondo anglosassone, esistono agenzie, che in maniera strutturata,

dedicano la promozione a questo dialogo. In Italia però sta sempre più

diffondendosi, da parte delle amministrazioni, la consapevolezza del ruolo

dell’arte. «Un fenomeno che si sta pian piano diffondendo e come tale ci sono

anche molte criticità sollevate in ambito teorico anche rispetto al significato di

community-based art e cioè quando l’arte si relaziona con la società! Cosa vuol

dire partecipazione in questo senso? Perché poi la riflessione non è tanto legata

alle parole ma alle pratiche. Viene da chiedersi se la partecipazione può avere un

solo ruolo consultivo su delle decisione già prese, anziché invece essere un

processo emporwerment, e cioè che da degli strumenti.» (Appendice – Francesca

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Comisso).

Questo nuovo tipo di intervento, in relazione alle declinazioni precedentemente

citate nel primo capitolo, in cui l’artista e critica d’arte Suzanne Lacy ha

sopranominato new genre public art, per distinguerle da una nozione in cui l’arte

è semplicemente collocata nello spazio pubblico, dove conta principalmente il

ruolo della comunità, che non fruisce soltanto dell’opera realizzata ma diventa

parte attiva di un processo che porta alla sua realizzazione. Esiste la volontà di

dare rappresentazione alla comunità; «Nuovi Committenti in questo senso ci

riporta a una concezione civica del mecenatismo privato che ha avuto una parte

determinante nelle formazione delle città italiane – risemantizzando i luoghi della

quotidianità attraverso lo sguardo degli artisti.» (Alicata M., Pietromarchi B.,

2008) (Bertolino G., 2008).

In questo nuovo modello politico la collettività assume il ruolo principale. Il

processo, parte più lunga ma anche più importante, deduce alla fine del percorso

in quale misura la partecipazione attiva sia stata in grado di produrre un’opera; da

un altro lato invece possiamo dedurre cosa, e in quale misura, nel percorso che va

dall’arte alla trasformazione dello spazio pubblico, il metodo produce e può

produrre. Per questo motivo ritengo importante analizzare il modello Nuovi

Committenti.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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3.1.2.0 Le prospettive attuali del progetto Nuovi Committenti in Italia e la difficoltà di “muoversi” nello spazio pubblico

Attualmente il modello Nuovi committenti viene applicato in piccoli contesti, in

varie città d’Italia. In particolare l’azione di mediazione di a.titolo è orientata

verso l’applicazione del modello a Barca, un quartiere della periferia Nord di

Torino. Il progetto è stato chiamato Cantiere Barca; cerca di combattere la

condizione di inerzia del quartiere. Inserito nel progetto situa.to28 nell’ambito di

Your Time - Turin 2010 European Youth Capital, il progetto non è stato inserito

nell’ambito di una programmazione comunitaria ma promosso e sostenuto dalla

Regione Piemonte, dalla Direzione Cultura dalla Città di Torino e dalla

Compagnia di San Paolo; ideato e curato intermante da a.titolo e altri

professionisti del settore.

La scelta di un piccolo centro è stata strategica. La complessità della città non

potrebbe smaltire e far trasparire problematiche profonde del contesto, perché

immersa in molteplici forme e dinamiche complesse di reti sociali in rapida

trasformazione. Per questo motivo il modello è stato riportato in un piccolo

contesto, dove l’azione diventa semplificata. Nuovi Committenti a Barca è un

progetto rivolto a valorizzare e stimolare la creatività dei giovani e le varie forme

di cittadinanza attiva, attraverso l’esperienza pratica dell’autocostruzione.

Una fase preliminare di esplorazione e di indagine, come racconta Francesa

Comisso: «un percorso di formazione fatto con giovani, un “parkour” urbano,

come esploratori della città. Un gruppo di giovani di discipline diverse che vanno

dall’architettura, all’antropologia alla musica e all’arte, che abbiamo formato

tramite workshop con artisti e gli Stalker, per vedere la città in un modo diverso.

L’obbiettivo era quello di creare una mappatura di una città che si sta

trasformando, una città formata dai quartieri e di aree che non sono sempre sotto

gli occhi di tutti, fatta di luoghi che pensiamo di conoscere ma infondo non

conosciamo. Volevamo provare a raccontarla in modo diverso, attraverso una

maniera diversa di abitarla […] e con questo tentativo questi ragazzi hanno ri -

                                                            28 “situa.to si propone di sperimentare nuove pratiche in risposta ai problemi emergenti delle giovani generazioni, ideare nuovi strumenti per leggere i complessi mutamenti urbani e sociali e realizzare concretamente azioni e progetti d’arte condivisi che sappiano rispondere al desiderio di qualità dello spazio pubblico e ai bisogni di chi lo abita e attraversa. Forme e segni contemporanei capaci di raccontare le trasformazioni in atto a Torino, come in molte altre città contemporanee. Creatività, lavoro, coesione sociale, prevenzione al disagio sono i temi fondanti di situa.to.” (www.situa.to) dicembre 2012.

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mappato la città alla ricerca di situazioni.»

Un quartiere dove essenzialmente vengono a mancare iniziative e occasioni di

formazione e soprattutto di crescita culturale rivolta ai ragazzi. Da qui,

l’impegno, la mobilitazione collettiva e la cooperazione che nel 2012 ha portato

la creazione di un centro di aggregazione per i giovani del luogo; immaginato e

realizzato dagli stessi giovani. A dare forza all’intero lavoro sono stati i

professionisti, specializzati in processi di auto-costruzione, del gruppo berlinese

di Raumlabor29: «sono arrivati attrezzati di seghe, martelli e si è cominciato con

materiali di recupero, assi di legno e vecchi mobili, insieme a quanti hanno voluto

unirsi, e man mano le persone sono arrivate. È stato un grande catalizzatore di

immaginario e di desiderio di cooperazione, nel lavorare insieme, […] Cantiere

Barca, come la grande scritta di questo fabbricato che è diventato un centro a

cielo aperto. Da li è nata una committenza per uno spazio per i giovani. Dopo un

primo start up, sono stati raccolti i progetti, i desideri e la volontà di chi voleva

partecipare e condividere quanto veniva fatto, è stato un processo di

empowerment, quando vedi che qualcosa può cambiare con l’impegno, dà fiducia

e da li c’è stata la domanda per un centro per i giovani e stiamo lavorando proprio

su questo.» (Appendice - Francesca Comisso).

Nei racconti e nei dialoghi con le mediatrici di a.titolo mi sono soffermato nel

capire come tutte le azioni che intraprendono possano avere delle difficoltà

nell’applicare un modello così innovativo nello spazio pubblico italiano. La

particolarità del nostro paese richiama l’attenzione sulla difficoltà applicative di

specifiche sperimentazioni culturali come Nuovi Committenti, dove, articolate

normative regolano a “fatica” il nostro spazio pubblico.

Oggi le azioni che riguardano interventi nello spazio pubblico sono caratterizzate

da molteplici tipologie operative. La complessità delle città consegue ad una

azione altrettanto complessa. L’applicazione del modello Nuovi Committenti,

essenzialmente si presta per contesti piccoli con micro trasformazioni che mirano

a macro trasformazione ed a coinvolgimenti più ampi. Esiste una fatica operativa

legata essenzialmente alle procedure burocratiche insite nelle applicazioni che

riguardano lo spazio pubblico; normative che a volte vincolano la libera azione

professionale.

                                                            29 Per un approfondimento sulle attività del gruppo si rimanda al sito www.raumlabor.net.

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Come dichiara Luisa Parola, mediatrice di a.titolo: «la fatica è che non siamo

ancora pronti ad affrontare un mondo così complesso e che significa che gli usi i

tempi e i modi dello spazio pubblico stanno cambiando continuamente. È una

fatica sicuramente normativa. […] Per tutti quanti noi è sempre una scommessa.

Implica una responsabilità molto grande rispetto alla collettività. A differenza di

progettisti o educatori noi non abbiamo l’idea di “risolvere”, perché lo spazio

pubblico non può essere risolto, c’è sempre lo spazio della prossimità e della

diversità. Sicuramente un punto fondamentale è la “responsabilità”, […], però

poi la definizione giusta di spazio pubblico è sempre molto complessa, gli

urbanisti la intendono in modo e noi in altro. Bisognerebbe dibattere molto su

questo.

In Italia c’è una scarsissima consapevolezza dello spazio pubblico perché

viviamo in città e territori molto privatizzati da questo punto di vista, e dunque è

un lavoro ancora più lungo quello del Botton Up, nel senso che tu devi

contemporaneamente dare una forma di accompagnamento. […]. La crisi aggrava

ulteriormente la questione perché ovviamente il pubblico non ha più fondi per

curare lo spazio pubblico e dunque noi diamo una formula, che non puoi adottare

in tutta la città, calcolando la sua grandezza e complessità, per cui in aree medio

piccole con gruppi medio piccoli si può provare ad attivare un percorso con

maggior consapevolezza sia rispetto alla cura dello spazio fisico ma anche

sociale. Bisogna lavorare bene e tanto ma soprattutto convincere le

amministrazioni che questo ha un senso, che è la cosa più difficile.» (Appendice -

Lisa Parola)

Il caso Mirafiori Nord, terminato nel 2008, è uno delle migliori applicazioni di

sperimentazione culturale inserite nei programmi di rigenerazione e

riqualificazione della città e del territorio. Da qui, diventa interessante analizzare

un processo terminato e che a differenze degli attuali interventi, presenta delle

affinità e degli innesti di particolare interesse nel nostro campo e nel modo di

pianificare e progettare la città e il territorio. Un modello innovativo che cerca

una domanda dei bisogni del cittadino in tutti i contesti e proiettato verso un

valore territoriale. Il modello Nuovi Committenti a Mirafiori Nord è partito dalla

consapevolezza di una problematica insita nel singolo spazio pubblico si pone la

responsabilità di, non tanto risolvere il problema ma di porre delle responsabilità

nelle singole azioni. Ogni attore del processo ha un ruolo ed è “regolato” da un

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protocollo a cui non manca flessibilità nell’applicazione, e la dove necessario, un

riadattamento contestualizzato.

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3.1.2.1 Il modello Nouveaux Commanditaires e Nuovi Committenti a Mirafiori Nord

Il progetto Nuovi Committenti applicato nell’ambito dei finanziamenti Urban II è

stato ispirato a Nouveaux Commanditaires, ideato dall’artista François Hers,

adottato nel 1991 dalla ‘Fondation de France di Parigi30’.

La ‘Fondation de France’ pone la cultura e l'arte in particolare, come fattori

determinanti dello sviluppo. Il governo francese, a differenza di quello Italiano,

attribuisce molta importanza al settore artistico e culturale. Il progetto si inserisce

in un sistema di democratizzazione culturale. Attraverso i nuovi committenti, e

cioè i cittadini, la ‘Fondation de France’ consente a tutti i gruppi di cittadini di

prendere l'iniziativa e di commissionare a un artista un opera di arte pubblica

contemporanea, al fine di affrontare la sfida culturale in tutte le sue discipline,

arti visive, musica, architettura, ecc. tramite collaborazioni con partner pubblici e

privati. L'originalità del dispositivo è basato sulla collaborazione fra tre soggetti:

l'artista, i cittadini (cioè i committenti) e il mediatore culturale.

Il preciso modello disciplinare, sviluppato con l'aiuto di un mediatore culturale

preclude delle condizioni: che il progetto sia di interesse generale e che il lavoro

sia proiettato nell’interesse della comunità. Creazioni che si possono svolgere in

una varietà di contesti: urbano o rurale, nelle istituzioni sanitarie o sociali, luoghi

di culto, scuole e luoghi pubblici. L’arte diventa uno strumento nelle mani di tutti,

cittadini, artisti e istituzioni che nel loro coinvolgimento esortano alla riflessione

dei problemi comuni. Il modello francese ha saputo coinvolgere più di 500

partner diversi nella produzione di queste opere, i Comuni insieme al Ministero

della Cultura e altri enti statali, aziende private, Consigli Generali, Consigli

Regionali e associazioni. Il dispositivo è presente anche in Italia, Gran Bretagna,

Belgio e Germania31.

L'azione dei nuovi committenti è disciplinata da un protocollo32 che definisce i

ruoli e le responsabilità di ogni attore del processo.

                                                            30 La ‘Fondation de France’ dal 1969 sostiene progetti concreti e innovativi per soddisfare le esigenze degli abitanti. Affrontando le sfide poste dalla società in rapido mutamento. Essa opera in tre aree: sostegno alla persone vulnerabili, lo sviluppo della conoscenza e per l'ambiente. Per un approfondimento sulle attività della Fondazione si rimanda al sito wew www.fondationdefrance.org. 31 Un sito dedicato www.nouveauxcommanditaires.eu, presenta per realizzare la ricchezza e il dinamismo di questo programma. 32 Francois Hers, 2002, Le Protocole, Les Presses du Rèel, Dijon.

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Da un intervista a Maria Alicata si deduce che: « il modello del progetto è molto

ben strutturato grazie ad un protocollo, le Protocole (il Protocollo) di F.Hers,

dove vengono descritte tutte le varie fasi e i ruoli che dovrebbero ricoprire i vari

attori del processo, e poi un altro elemento fondamentale, che per l’Italia è

abbastanza nuovo per quanto riguarda le pratiche artistiche, cioè la

contrattualistica: nel primo step c’è una carta di documento di intenti, che viene

redatta tra i committenti e il mediatore, la prima formalizzazione del desiderio e

di quelle che sono le volontà delle parti, poi c’è il contratto tra il mediatore e il

committente, infine c’è un contratto tra l’artista, il mediatore e i committenti. Il

modello è molto valido, o almeno per quella che è stata la mia esperienza, […].

La stessa metodologia l’ho continuata ad applicare anche in altri contesti: per un

intervento in un’Università privata a Roma e ti accorgi di come questo processo

di mediazione crei proprio un appartenenza del progetto, si crea anche un

accompagnamento che c’è nella mediazione, anche perché il mediatore fa un

lavoro di traduzione. Per adesso stiamo cercando di applicare il modello nel

carcere di Bollate.» (Appendice – Maria Alicata).

In linea generale il modello prevede che gli artisti, qualunque sia il loro campo

creativo, o i gruppi di persone, quale che sia il loro contesto, stabiliscano e creino

forme e opere che siano appropriati al luogo e allo spazio. Dispone inoltre, di

stabilire dei collegamenti tra le opere e il pubblico, e tra il mediatore e l’artista e

tra l’artista e il committente, coinvolgendo peraltro tutte le parti interessate al

processo stesso.

Il mediatore culturale ha il compito di scegliere le modalità dell’approccio

artistico e degli artisti, nonché le condizioni tecniche, giuridiche ed economiche

per l'azione. Deve garantire il rispetto dei requisiti della domanda del

committente ed eventualmente scegliere il mezzo più adatto per l'artista.

«Tutti gli attori politici, nell’intervento di trasformazione dello spazio pubblico,

come l’amministrazione pubblica, si devono porre di persona, avendo la

responsabilità di controllo tra il mediatore culturale e l’artista, essendo

l’amministrazione stessa parte della committenza. Impegnarsi in equa

condivisione delle responsabilità, tutti gli attori devono essere d’accordo sulle

negoziazioni, sulle tensioni e sui conflitti inerenti alla vita pubblica in una

democrazia.» (Traduzione mia dal testo Hers F., 2004).

In un’intervista rilasciata per il progetto di ricerca condotto dalla Fondazione

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Olivetti, ‘Trans:it. Moving Culture through Europe, l’ideatore del progetto

originario Nouveaux Commanditaires, F.Hers, afferma: «Penso che Nuovi

committenti sia un programma rivoluzionario, per tutti, per l’artista: perché gli

permette di confrontarsi sul serio, trovare l’altro. Nuovi committenti rappresenta

per gli artisti l’occasione reale e concreta di andare sul territorio senza fare del

turismo. È utile per i cittadini perché permette di sviluppare una coscienza

critica comune, il che significa, prendere coscienza di sé. Rispetto ad una scena

molto esigente come quella dell’arte. Per gli amministratori pubblici, perché

mette in discussione il loro ruolo, li costringe a scegliere una funzione normativa

e quello che secondo me è il ruolo moderno dell’amministratore cioè quello del

mediatore. La cosa veramente interessante da scoprire è che le persone hanno

perfettamente capito che l’arte comporta dei rischi, ciò significa una grande

responsabilità. Perché questa comunità di persone che si riunisce per

commissionare un’opera deve affrontare gli altri in continuazione, dal principio

alla fine dell’iniziativa e perché spesso vengono impiegati i soldi della

collettività. È la società stessa che si appropria del ruolo dell’artista, scopre che

la libertà dell’artista è la sua libertà e che l’autonomia dell’opera è la sua

autonomia. Si parla di spazio pubblico perché non si sa parlare di società. In

tutto questi tentativi delle istituzioni per avvicinare l’arte ai cittadini il problema

sta nell’avvicinarsi a una persona, non al “cittadino” – si è occupato uno spazio

pubblico sperando che, per miracolo, per il semplice fatto di mettere un’opera in

uno spazio pubblico, il cittadino che passa di lì avrebbe scoperto l’arte – penso

che in questo senso bastino i musei. – A mio avviso, bisogna cambiare approccio.

L’istituzione non sa parlare di società ne confrontarsi con la persona, né

comprendere lo spazio pubblico».

Le regole di F.Hers e questo innovativo protocollo di produzione artistica nello

spazio pubblico consentono ai cittadini di affrontare le sfide della società e lo

sviluppo del territorio. L’ordine del lavoro secondo F. Hers dovrebbe seguire, ed

adattare ai contesti, i vincoli presentati nel protocollo.

Come dichiara Maria Alicata: «la ‘Fondation de France’ negli anni si è occupata

di un programma chiamato Mecena (Mecenati) che era incentrato su progetti

artistici. Chi si occupava di quella parte di programma era appunto l’artista

F.Hers che ha deciso di prendersi il rischio di mettere l’arte al centro di una serie

di cambiamenti sociali in contesti particolarmente necessari partendo dalla

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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domanda dei cittadini del contesto. In Francia in questi quindici anni sono stati

fatti centinaia di progetti anche perché la Fondazione dava un forte sostegno per

la realizzazione, in Francia esiste una struttura politica molto più de-localizzata

rispetto a quella italiana, ci sono autonomie locali molto più forti. In Italia si è

deciso di portare Nuovi Committenti poiché aveva delle affinità molto forti e

vicine al pensiero di Adriano Olivetti riguardo all’intervento sulla comunità,

come creare senso di appartenenza e identità nei luoghi attraverso interventi di

tipo architettonico e artistico sul territorio.» (Appendice – Maria Alicata).

L’amministrazione comunale di Torino e i professionisti incaricati di applicare il

modello Nouveaux Commanditaires nell’ambito del programma Urban II si sono

impegnati nell’interpretazione e nel riadattamento del modello, prendendo in

considerazione il contesto Mirafiori Nord.

Dieci anni dopo l’associazione a.titolo si è impegnata nella mediazione culturale

di Torino e della Regione, adottando il progetto Nuovi Committenti, promosso

dalla ‘Fondazione Adriano Olivetti’ di Roma. «Rispetto al ruolo accentratore

svolto dalla ‘Fondation de France’, la Fondazione Adriano Olivetti ha puntato

piuttosto sul ruolo di catalizzatore, alla luce della densità e della specificità locale

che caratterizza storicamente e culturalmente i contesti italiani.» (Pietromarchi

B., 2007, : 202)

L’applicazione di Nuovi Committenti si svolge grazie al continuo adattamento del

programma attraverso pratiche associative, di progettazione partecipata e

volontariato.

«La sua finalità è attivare o recepire una domanda d’arte, di qualità della vita, di

integrazione sociale o di recupero urbano. Basato sulla relazione tra cittadini,

mediatori e artisti, il modello sviluppa una forma di produzione culturale

orizzontale, assegnando a gruppi e a singoli individui la responsabilità di

un’opera d’arte.» (Bertolino, Comiso, Leonardi, Parola, Perlo 2004).

Sono entrate in gioco varie forze, vari soggetti sia pubblici che privati.

L’importanza di applicare un modello ha dato un valore aggiunto al progetto. Per

questo motivo ritengo importane spiegare al meglio i ruoli ricoperti dagli attori

nel progetto (nell’ordine del lavoro riguardo ai ruoli ricoperti nel progetto mi è

stato d’aiuto l’intervista alla responsabile dell'Area progetti e ricerche della

Fondazione Adriano Olivetti, Maria Alicata) : 1) I tre attori sono: il cittadino committente, che nel caso di Urban è stato

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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affiancato alla collaborazione dell’ufficio Urban II, che era fisso nel

quartiere; un gruppo di mediatori culturali (curatori ed esperti d’arte che

hanno una propensione al dialogo); l’artista.

2) Il cittadino viene aiutato dal mediatore nell’individuare la loro richiesta.

3) La richiesta del committente viene codificata e sintetizzata dal mediatore.

(i casi di mediazione possono durare anche anni – il caso Mirafiori in

effetti è durato 5 anni).

4) Una volta che viene individuata l’esigenza del cittadino committente viene

commissionata l’opera all’artista che realizzerà qualcosa che deriva dalle

necessità dei cittadini.

Il mediatore culturale a.titolo, individuato e sostenuto dalla Fondazione Adriano

Olivetti, è stato la figura centrale dell’intero programma. Ha saputo creare legami

tra le parti coinvolte e negoziare i conflitti dove necessario. L’artista si occupa

dell’opera ma «Come opera non intendiamo la scultura o l’opera site specific ma

interventi artistici come la biblioteca, il parco giochi, un’aiuola e della scultura

abitabile progettata per un gruppo di adolescenti. L’elemento fondamentale è la

mediazione che nel caso di Torino è riuscita molto bene. Con una lunga fase di

accompagnamento (per i laboratori e per l’individuazione di quella che era la

domanda) il progetto riesce perché l’intervento artistico è qualcosa su cui tu ti

identifichi, sei tu che l’hai chiesto e corrisponde alla tua esigenza, questo fa sì che

si crei un grande senso di appartenenza verso l’opera. Tu cresci nel gruppo di

cittadini perché hai partecipato insieme ad altri cittadini per realizzare qualcosa

per la collettività. E quindi si lavora molto su una consapevolezza di una

collettività per dare senso di appartenenza ad un luogo.» (Appendice – Maria

Alicata).

Un nuovo modo di impiegare gli attori di un processo partecipato, dove per la

prima volta in Italia l’applicazione francese riesce ad attecchire in alcuni dei

nostri contesti. Il modello Nuovi Committenti in Francia ha anche innescato

un’ulteriore economia per la creazione artistica che si diversifica dal classico

mercato di committenza pubblica molto sviluppata in Francia. In Italia, invece, ha

assunto declinazioni diverse, legate ai contesti che vengono coinvolti volta per

volta, un adattamento del programma alla progettazione partecipata o alle

pratiche associative e di volontariato. Per l’Italia è diventato importante, questo

tipo sperimentazione artistica perché «riesce a creare un contesto di produzione e

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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ricezione per l’arte contemporanea nel quale la distribuzione squilibrata del

capitale culturale diventa finalmente irrilevante». (Pietromarchi B., Santori F.S.,

2004: 14).

La Fondazione Adriano Olivetti ha avuto l’importante compito di elaborare la

metodologia del programma e assieme i mediatori si è occupata della

divulgazione delle nuove sperimentazioni. Sono stati pubblicati due testi curati

dall’associazione mediatrice del caso, a.titolo: la prima pubblicazione è Nuovi

committenti. Torino Mirafiori Nord del 2004, che è stato il primo testo dedicato

alle committenze che la Fondazione sta attivando in Italia. Nel 2008, un testo

invece dedicato all’applicazione del programma, un racconto dell’esperienza dei

processi attivati e le critiche alle quattro opere realizzate da Massimo Bartolini,

Lucy Orta, Claudia Losi e Stefano Arienti.

Possiamo dire che in questo mutato contesto storico e sociale, i programmi della

Fondazione partono dalla convinzione che l’approccio culturale, che sia estetico,

artistico e creativo, è uno strumento di interpretazione e talvolta anche di

trasformazione del contesto, dal quale si può intravedere un domanda di beni

pubblici sia materiali che immateriali. L’azione della Fondazione Adriano

Olivetti negli ultimi dieci anni si è dimostrata agile nel cercare di intercettare

questa domanda. Nuovi Committenti «[…] elabora dal basso, attraverso azioni

apparentemente piccole, come immaginare diversamente un posto che si conosce

da sempre e fare in modo che l’immaginazione prenda una forma, magari

inattesa. Il programma solleva questioni […] cruciali: l'immaginarsi di una

comunità; la creazione di una estetica del quotidiano che guardi lontano; l'uso del

patrimonio al di là del tempo libero e del narcisismo collettivo del consumo

culturale; la costruzione di un patrimonio dell'oggi, fondato su un dialogo

pertinente, mai occasionale, e se necessario critico, tra contemporaneità e

vissuto.» (Santori F.S., Pietromarchi B., 2004: 19).

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3.1.3 L’esplorazione del territorio e le opere delle committenze

Il gruppo dell’associazione a.titolo, in quanto mediatori del processo, hanno

condotto una capillare ricognizione del quartiere partecipando attivamente a tutti i

processi che vanno dal Tavolo Sociale alla progettazione Urban II. Hanno

adoperato un sorta di esplorazione del contesto Mirafiori cercando di percepire la

domanda della collettività. Un processo di mediazione durato più di quattro anni

che ha permesso di valutare ogni singola scelta di intervento.

L’esplorazione prende corpo da due esperienze diverse: dal servizio fotografico

di Paola di Bello nel quale l’artista coglie tutti i punti di vista e i percorsi, e dalle

interviste da parte di a.titolo, successivamente raccolte in un video Committenti,

nel quale i cittadini-committenti raccontano il tempo presente e passato del

quartiere Mirafiori. Un approccio intuitivo che ha permesso di condurre un lavoro

sistematico di indagine.

Paola di Bello aveva già lavorato a Mirafiori nel 2002; il suo progetto prevedeva

una precisa ricognizione ordinata in dieci categorie (Figura 7 pp.59). Il lavoro a

Mirafiori è stato suddiviso in due punti : Cosa si vede a Mirafiori che documenta

lo stato attuale del quartiere, i palazzi, le strade, cantieri e allo stesso tempo anche

i luoghi costruiti dagli abitanti: sentieri, piccoli cantieri e coperture dei balconi e

così via. Successivamente ribaltando la visione crea un altro frame chiamato

Cosa vede Mirafiori ponendosi così all’interno delle case e fotografando alcune

porzioni del quartiere dai balconi degli abitanti. L’artista in questo lavoro cerca di

cogliere uno ‘strumento di lettura’ in grado di evidenziare lo stato di degrado

fisico e sociale di Mirafiori. Ad esempio la categoria Strade senza auto evidenzia

esattamente il vuoto dell’intero quartiere.

Nel lavoro di Paola Di Bello si è saputo «mostrare una seconda possibilità della

realtà a partire dai “luoghi comuni”» (Perlo L., 2001: 31) (a.titolo, 2004).

Per quanto riguarda invece il video creato da a.titolo, Committenti, è stato

realizzato nel 2003. Raccoglie la testimonianza di trenta persone che sono stati

effettivamente attivi nel processo di committenza. Come dicono le curatrici di

a.titolo: «La committenza è in effetti un ruolo potenziale, la cui assunzione è

legata alla consapevolezza delle condizioni che contraddistinguono un preciso

territorio di vita, nonché al desiderio di modificarlo e di migliorarlo. Il concept

del video traduce questi fattori in due domande che toccano il rapporto con il

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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passato e con il futuro e che ne facilitano il racconto. Abbiamo lavorato sul

confine tra fantasia e testimonianza, scegliendo la forma dell'interrogativo,

puntuale quanto interpretabile, piuttosto che la formula dell'intervista.» (a.titolo,

2004: 26).

Gli interrogativi dell’associazione erano riferiti alle riflessioni del sociologo Aldo

Bonomi33, chiedendo semplicemente: Cosa non c’è più qui? E Cosa non c’è

ancora qui?

Fig

La conoscenza del territorio dei mediatori è stata determinante nella scelta degli

artisti e nella scelta dell’approccio del modello Nuovi Committenti dando così un

taglio riadattato al contesto. Nell’ambito di questo specifico progetto di Arte

Pubblica la mediazione culturale si è chiesta: «Nella “città-impresa”, all'arte è

spesso delegata la “spettacolarizzazione” del contesto urbano - nella logica del

grande evento - finalizzata alla formazione di una “clientela”, più che di

un’utenza. Ma se la città diviene prodotto, cosa ci guadagna la comunità locale

coinvolta in queste nuove forme della politica pubblica? Nuovi Committenti si fa                                                             33 In riferimento al testo: Bonomi A., 1996, Il Trionfo della moltitudine. Forme e conflitti della società che viene, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 17-25. Testo dedicato all’analisi della società alla luce del suo difficile rapporto con il non più e non ancora.

Figura 7. Foto di Paola Di Bello - Cosa si vede a Mirafiori. Cosa vede Mirafiori – 2002 - Le dieci categorie sono: Animali; Sentieri spontanei; Strade senza auto e auto senza strade; Acque; Luoghi della ricreazione; Fiori di Mirafiori; Luoghi della memoria storica; Esercizi non più in esercizio; Ripari; Impalcature. Per una visione integrale del lavoro si rimanda al testo Bertolino, Comiso, Leonardi, Parola, Perlo, curato da associazione ‘a.titolo’, 2004, Nuovi committenti. Torino Mirafiori Nord, Luca Sossella, Roma.

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carico di questa domanda. Come? […]» (a.titolo, 2004: 21).

Il cittadino-committente non deve necessariamente essere un detentore di

economia ma probabilmente potrà diventarne un ingranaggio del motore. Il

modello interviene tramite un opera fatta dalla collettività, dove l’artista si pone

come strumento e negoziatore. Il luogo è caratterizzato dal fatto che non è un

qualsiasi spazio pubblico ma un preciso punto dove i cittadini desidererebbero

ripristinare una “normale vita quotidiana”.

I progetti realizzati diventano elementi prodotti dalla collettività e inseriti in spazi

pubblici da loro desiderati. La funzionalità diventa massima la dove, con il

passare del tempo, l’opera acquista vitalità, perché vissuta e cercata dal cittadino

che l’ha commissionata.

Tra i progetti realizzati mi riferirò adesso ad uno in particolare, il Transatlantico,

una committenza non facile ma che ha avuto riscontri positivi riscontrabili

tutt’oggi. Così racconta l’esperienza la mediatrice culturale Francesca Comisso:

«[…] Nell’opera di Claudia Losi, […] l’artista ha lavorato molto sul dialogo,

prendendo come piattaforma un edificio dismesso, chiedeva alle persone cosa

vedevano affacciandosi dai balconi e cosa vedevano in quel cortile di intervento.

Interrogando questo affaccio e ricevendone descrizioni e memorie. Aveva

cominciato a tessere delle relazioni con gli abitanti e da quelle aveva cominciato

e tirarne fuori delle immagini e dei disegni con delle frasi che aveva riportato su

delle grandi lenzuola che aveva riconsegnato alle persone con cui aveva

chiacchierato. Ciascuno aveva steso un proprio lenzuolo con il disegno relativo a

qual modo di guardare fuori, ed è diventato una specie di fondale in una festa di

cortile. Intorno ad una panchina contesa, dove avvenivano pratiche illegali, usata

solo da un piccolo gruppo. Si è pensato quindi di togliere la panchina ed

eliminando anche il conflitto.[…]. »

Da qui l’associazione a.titolo decise di capire la dinamica esatta cercando di

cogliere la domanda reale da parte del cittadino-committente, «e quindi da li è

nata la committenza Claudia Losi. Una committenza complessa, non tanto per le

relazioni con questo gruppo di committenti, ma tanto dal fatto che vedere delle

cose nuove potesse creare nuovi conflitti e quindi l’ostilità nasceva, non tanto

rispetto all’opera ma quanto rispetto alla paura! Che venisse immediatamente

distrutta o addirittura di non meritare nulla del genere perché poi si sarebbe

danneggiato. L’opera è stata realizzata. Il risultato creato dopo una fase molto

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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complessa, che ha portato l’artista a rivedere parte del progetto. Una bellissima

aiuola sopraelevata con delle onde si chiamava Transatlantico. […] Di fatto tutti

pensavamo potesse sopravvivere poco, perché quell’opera è nata e cresciuta

cercando di far fronte ad un conflitto ma è stato anche cornice e rappresentazione

di questo grosso conflitto […] Sta di fatto che quell’aiola ha attecchito, anche se

ci aspettavamo venisse danneggiata e abbandonata, è un oggetto di cura, e noi

sappiamo quanto gli spazi comuni sino segnali di affezione ed i acquisizione di

un bene comune, e quindi lo ritengo un risultato positivo.» (Appendice –

Francesca Comisso).

Il modello Nuovi Committenti è un modello flessibile e allo stesso tempo con una

precisa struttura alla base: “la concertazione”, “l’azione e la responsabilità di più

attori”, “la valutazione circa la necessità e il senso di un’opera in un preciso

Artista: Claudia Losi Titolo: Affacci Luogo: case ATC, via Scarsellini 12, Mirafiori Nord, Torino, Italia. Data: Realizzato nel 2005. Mediatori: a.titolo

Artista: Claudia Losi Titolo: Aiuola Transatlantico Luogo: cortile del complesso di edilizia pubblica di via Scarsellini Data: Realizzato nel 2008. Mediatori: a.titolo

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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contesto spaziale e sociale” (a.titolo, 2004: 22).

Tutte le realizzazioni legate alle committenze della collettività corrispondo ad un

preciso desiderio e, in ultima analisi, corrispondono ad una precisa richiesta del

cittadino-abitante del luogo. Per questo motivo il Comune di Torino ha

approcciato l’esperienza con positività, la quale si integrava perfettamente alle

programmazioni di rigenerazione urbana in atto.

La prima committenza è stata quella dettata a Massimo Bartolini, è stata volta alla

realizzazione di un Laboratorio di Storia e Storie del quartiere Mirafiori

all’interno della Cappella Anselmetti di via Gaidano. Come afferma la mediatrice

dell’opera Francesca Comisso: « […] Questa committenza nasce dall’avere

intuito una naturale coincidenza, […], un gruppo particolarmente attivo (un

gruppo di insegnanti delle Scuole Elementari e dell’Infanzia del circolo “Franca

Mazzarello” e della Scuola Media “Alvaro-Modigliani”) che stavano lavorando

in questo processo innovativo sulla questione della memoria e dell’identità, una

memoria di cittadinanza attiva tratta da momenti diversi, da documenti, da

interviste orali fatte ai nonni dei bambini, le passeggiate del quartiere alla ricerca

di tracce anche macroscopiche, tutto verso la raccolta di una serie di dati che

confluivano in una riscrittura storica. Una prospettiva molto aperta, plurale e

rivolta anche al futuro. Quindi oltre ad essere un progetto molto interessante è un

progetto che loro stessi avrebbero voluto svolgere in maniera più ampia e che

potesse lasciar tracce anche ad altri: creare un archivio di esperienze didattiche e

di materiali sul quartiere che venivano prodotti durante questa esperienza. Questa

era un esigenza, poi c’era anche il desiderio di ristrutturare questa piccola

Cappella settecentesca, effettivamente l’unica traccia architettonica di un passato

antico e pre-industriale, una cappella che faceva parte di un complesso e di una

cascina, che testimoniano un passato prettamente agricolo. Il progetto Urban

prevedeva ad esempio il restauro della Cascina Roccafranca, che è stata

recuperata ed è diventata un centro di quartiere molto bello e funzionale, tutto

grazie ai finanziamenti di Urban e che era quindi in progetto. Era un rudere

immerso in contesto totalmente diverso di casa di edilizia popolare. La cosa

interessante e che la possibilità di restaurare quella chiesetta, che gli abitanti la

vedevano come il simbolo di questo passato aulico dei cittadini. Però era

parecchio complicato inserirlo nella progettazione, era di proprietà privata, era un

desiderio legato all’immaginario, che però da un punto di vista dell’efficacia delle

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griglie con cui normalmente si interviene nello spazio pubblico stava

“leggermente” fuori dalle prime necessità e dalle urgenze.

Noi ci siamo dovuti permettere di recepire questa richiesta nel succedere in un

principio di funzionalità, poiché appunto recuperando questo desiderio delle

maestre di un laboratorio e mettendolo insieme al recupero della Cappella, che tra

latro era inserita nel giardino delle scuole, si è trovata una ragione e una funzione

per dare spazio a questo immaginario desiderato, si è quindi creato il Laboratorio

di Storie e Storie.»

Quello che interessa all’associazione mediatrice è appunto la produzione del

nuovo patrimonio artistico, dove la dimensione della qualità e del miglioramento

estetico dei luoghi ha un valore. Dove la comunità contemporanea è capace di

trovare usi attuali ad un vecchio patrimonio ormai non più funzionale al contesto.

Da questo punto di vista la Fondazione Adriano Olivetti negli anni si è molto

impegnata alla modalità contemporanea di contestualizzare il patrimonio, sia in

riferimento alla conservazione, come il caso della Cappella Anselmetti, sia in una

nuova invenzione.

Fig 9. Massimo Bartolini, Progetto per la Cappella Anselmetti, Torino 2003. (fonte: Bertolino, Comiso, Leonardi, Parola, Perlo, curato da associazione ‘a.titolo’, 2004)

Dal Tavolo Sociale costituito in via Dina, l’associazione a.titolo ha iniziato a

lavorare con il gruppo di insegnati della scuola realizzando con il contributo di

Urban II un volume, Ad ogni angolo una storia, un libro di storie inventate dai

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bambini su luoghi, fatti e personaggi del quartiere Mirafiori Nord. Lo scopo era

quello di «radicare atteggiamenti a abilità per costruire il cittadino futuro,

promuovendo i rapporti intergenerazionali e la scoperta di un nuovo impegno sul

territorio» (Scuole del Circolo “Franca Mazzarello”, 2003).

La richiesta degli insegnanti era quella di dare ai bambini un contenitore dove

raccogliere tutti i dati delle loro indagini, che avevano raccolto nell’abito di un

percorso formativo riguardo all’intreccio tra micro e macro storia.

Successivamente la Cappella è stata restaurata per dare spazio a tutti i bambini e

ragazzi delle scuole locali e cittadine.

La mancanza di luoghi di aggregazione a Mirafiori ha espresso altre esigenze da

parte dei cittadini-committenti. In questo quadro, le mediatrici Giorgina Bertolino

e Luisa Parola si sono impegnate nella mediazione del progetto Multiplayer,

realizzato e inaugurato nel settembre del 2008 all’interno del Parco lineare di

Corso Tazzoli. IL Multiplayer è un campetto multifunzionale attrezzato,

progettato realizzato su misura, su forme, sui colori e su quant’altro erano le

esigenze dei committenti. Un gruppo di ragazzi che abitano nel vicino complesso

di edilizia residenziale pubblica di via Poma. I ragazzi hanno esplicitamente

richiesto questa “opera” all’artista Stefano Arienti, che si è impegnato nella

consultazione e ideazione del progetto. Una fase durata tre anni, piena di scambi

di idee e desideri dei giovani cittadini, che ha successivamente permesso di

Artista: Massimo Bartolini Titolo: Lab. di Storia e Storie di quartiere Luogo: Cappella Anselmenti, Via Gaidano Mirafiori Nord, Torino, Italia. Data: Realizzato nel 2007. Committenti: Maestri delle scuole elementari e materne dell’Associazione F.Mazzarello e della scuola media A.Modigliani; Città di Torino. Mediatori: Francesca Comisso e Lisa Parola per a.titolo.

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sviluppare l’idea del campetto, realizzando così un semplice desiderio espresso

dai ragazzi.

Questo progetto insieme all’opera di Lucy Orta, hanno rappresentato ed

evidenziato quella forte esigenza di spazi di condivisione e di aggregazione, che i

giovani del quartiere desideravano. Per questo, di fronte allo stabilimento Fiat

Mirafiori, in un rinnovato parco pubblico, è stata realizzata una grande scultura

“abitabile” dalla forma di una cellula. Totipotent Architecture è il nome dell’opera

ideata da Lucy Orta a partire dal desiderio espresso da un gruppo di committenti

composto da sette studenti di due Licei del quartiere (figura X). Tutti i processi

legati al mondo giovanile sono stati realizzati con ottimi risultati. L’unica

preoccupazione era legata alla qualità del processo, che essendo di lungo termine,

poteva portare all’abbandono del progetto e al fallimento della commissione. In

definitiva il lavoro è stato realizzato con una partecipazione attiva e continuativa

dei ragazzi. Processo difficile ma affrontato con disinvoltura e acuto

atteggiamento da parte dell’artista Lucy Orta, che ha saputo interagire in maniera

efficace con i ragazzi. Come afferma la mediatrice culturale Francesca Comisso:

«[…] Un artista che abbiamo scelto non solo per la sua abitudine a misurarsi con

le tematiche sociale ma sopratutto per il fatto che spesso faceva workshop,

coinvolgeva ragazzi, aveva un attitudine alla formazione e alla co-progettazione e

che si prestava benissimo per quel contesto. Da un'altra parte va detto invece che

per la giovane età, essendo un’attività extra curriculare ed extra scolastica e

volontaria, ci potesse essere un abbandono nell’arco degli anni! Non essendo un

processo che si è concluso in breve, dove i mediatori hanno avuto un ruolo in

questo, nel mantenere vivo un processo anche nelle fasi di inerzia. Sta di fatto che

il gruppo è rimasto, anche se sfoltito, motivato fino alla fine. In definitiva la

coerenza delle committenze si è rilevata positiva.»

Tutti le committenze erano regolate da un documento, chiamato documento degli

intenti, che regolava la consegna delle domande all’ascolto e all’interpretazione

degli artisti, sintetizzando tutti gli spostamenti maturati nell’esercizio collettivo di

un immaginario essenzialmente “pratico”. «Nelle opere le narrazioni restano, non

ha caso, sottotraccia, conservate e contratte nei diversi elementi che gli artisti

hanno ideato. […] Quello con cui Massimo Bartolini ha ribaltato a terra le

funzioni dell’archivio, il mimetico che fa geografia alle linee e alle regole del

gioco del campo di Stefano Arienti, le impronte dei corpi dei committenti

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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sprofondati nei giardini della scultura di Lucy Orta, i movimenti terra e le colline

d’erba con cui Claudia Losi ha coltivato l’aiuola», (Berolino G., 2008: 49), sono

gli immaginari pratici e le metafore con cui a.titolo descrive il termine del

processo Nuovi Committenti a Mirafiori Nord.

Artista: Lucy Orta Titolo: Totipotent Architecture Luogo: Parco di Corso Tazzoli, Mirafiori Nord, Torino, Italia. Data: Realizzato nel 2007. Committenti: Studenti del liceo Artistico Cottini e Liceo Scientifico Majiorana; Città di Torino. Mediatori: Giorgina Bertolino e Francesca Comisso per a.titolo.

Artista: Stefano Arienti Titolo: Multiplayer Luogo: Parco di Corso Tazzoli, Mirafiori Nord, Torino, Italia. Data: Realizzato nel 2008. Committenti: un gruppo di adolescenti e bambini residenti nel complesso di edilizia residenziale pubblica di via Poma, con Progetto Cortili. Mediatori: Giorgina Bertolino e Francesca Comisso per a.titolo.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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3.1.4 Abitanti/produttori e produzione di valori territoriali nel processo Nuovi Committenti

Il caso Nuovi Committenti a Mirafiori Nord pone la fase di mediazione come la

fase più importante del processo. La mediazione del gruppo a.titolo ha permesso

di individuare una committenza sollecitando una domanda e valorizzando un

desiderio come motore di un progetto realizzabile. Il gruppo ha attivato quella

“politica delle domande” che Aldo Bonomi auspica con fermezza in sostituzione

di quelle “offerte”, scoprendo tuttavia che nello spazio pubblico il domandare è

una pratica disattivata e quasi arrestata da processi esterni, specialmente se è

chiamata a misurarsi con il costruire. La costruzione di un’opera, un sito è una

funzione ma anche un’esperienza capace di saldare o rinsaldare i legami di un

gruppo di persone, insegnanti, studenti o abitanti, in definitiva cittadini. «La

potenzialità del metodo sta nella formazione di una “comunità di senso”

portatrice di una “nuova tensione alla denominazione degli spazi come ambiti di

vita e di relazione” ben diversa - come osserva ancora Bonomi — da una

semplice “comunità perimetrata”.» (Bonomi A., 1996: 97) (a.titolo, 2004: 30).

Le applicazioni del modello ricadono su micro - luoghi, di piccoli gruppi e di

esperienze limitate ad una temporalità breve. L’interesse delle mediatrici culturali

sta nella continuità che può scaturire da questo tipo di esperienze, la narrazione e

la trasmissione del loro modo e della loro funzione all'interno della collettività.

«Ci interessano gli effetti di un modello come Nuovi Committenti nei processi

che, facendo leva sull'esercizio cosciente delle responsabilità, possono essere in

grado di aprire prospettive nuove rispetto alle pratiche della partecipazione»

(a.titolo, 2004: 31).

Dai dialoghi con gli attori del processo Nuovi Committenti a Mirafiori Nord si è

potuto dedurre che esiste, in questa particolare sperimentazione culturale, la

capacità di attivare processi alternativi nei difficili contesti italiani e soprattutto

attivare parte della cittadinanza che sarà in grado di produrre valore per il

contesto. Questo significa che, nell’ottica di uno sviluppo locale auto-sostenibile,

che nei termini della scuola territorialista sta nel concetto di riterritorializzazione,

l’abitante del luogo inserito nel progetto locale costituisce parte determinate della

valorizzazione e produzione del luogo. Premettendo che lo scenario prospettato

dall’approccio territorialista ipotizza un avvicinamento delle figure dell’abitante e

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del produttore sia in ambito urbano che rurale […], la produzione di territorialità

diviene importante per la qualità dello sviluppo». […] Le «Politiche per

l’attivazione di processi di riterritorializzazione non richiedono solo vincoli,

norme e perimetrazioni, ma soprattutto l’attivazione degli abitanti/produttori

come protagonisti della ricostruzione dei valori territoriali. Se abitare è anche

produrre la qualità del proprio ambiente insediativo attraverso la produzione di

valori territoriali, la partecipazione si sviluppa in questo atto produttivo e non

solo nei problemi separati del risiedere.» (cfr. Magnaghi A., 2010: 105-114). Un

caso che ha prodotto dei valori territoriali. Una produzione sociale del territorio,

concetto che richiama l’autogoverno della comunità insediata nella produzione

della ricchezza.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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3.1.5 Riflessioni finali

Il modello Nuovi Committenti, un modello sicuramente innovativo per il contesto

italiano, non solo dichiara una natura alternativa alla disgregazione del ruolo

dell’arte nella società e nello spazio pubblico, ma ha dimostrato di avere le

caratteristiche per andare di pari passo con le politiche urbane attuate nel territorio

torinese. Caratteristiche riscontrabili nei linguaggi scelti, che ricadono su una

metodologia già applicata, riportando, anche nelle esperienze passate effetti

positivi nel miglioramento della qualità della vita, poiché le trasformazioni non

hanno voluto semplicemente trasformare “tramite l’arte”, ma coinvolgere nella

costruzione e progettazione della ‘cosa pubblica’ il cittadino, ponendolo come

committente di un’opera d’arte pubblica. In questo processo si accresce così la

coscienza di appartenenza al luogo, ridando identità e stimolo alla collettività, che

si ‘riappropria’ così dello spazio pubblico.

Un linguaggio scelto in base ad un modello politico preciso e strutturato come il

modello francese. Il processo Nuovi Committenti in effetti, sia per la Francia che

per l’Italia, porta l’utilizzo di mezzi idonei al contesto mettendo al centro le

esigenze del cittadino (vedi paragrafo 3.1.2.1 Il modello Noveaux Commanditaires e

Nuovi Committenti a Mirafiori Nord). In maniera generica il modello dà delle

indicazioni iniziali su cui, successivamente i tecnici e curatori dell’arte si

baseranno, riadattandolo alle esigenze dell’ambito su cui ricadrà il progetto.

Da qui, il gruppo di a.titolo ha dimostrato professionalità e coerenza, rispettando

le logiche delle politiche già in atto sia nella fase di ascolto sia nella fase di

mediazione tra le parti pubbliche e private. Ritengo utile ribadire l’efficacia del

modello Nuovi Committenti e l’operato di a.titolo, sia per le forme di

coinvolgimento e partecipazione costruttiva, insite nella metodologia e ben

adattate al contesto, sia perché il processo ha denotato, in tutte le sue fasi,

trasparenza e apertura istituzionale, che rimandano ai principi di governance.

Da sottolineare anche l’efficacia nella trasformazione dello spazio pubblico,

dimostrando che l’arte ha posto, in questa prima applicazione di progetto di Arte

Pubblica in Italia, validi ‘strumenti’ per contribuire in maniera efficace alle

politiche urbane, che fino a quel momento non avevano ancora posto la cultura e

l’arte come fattore determinante per lo sviluppo. Aver analizzato il caso Nuovi

Committenti, porta a dare delle indicazioni di metodo riscontrabili

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dall’applicazione italiana del modello francese e nell’effettiva trasformazione

avvenuta a Mirafiori Nord che, a mio avviso, colgono un senso nella costruzione e

trasformazione dello spazio pubblico materiale e immateriale - trovando ancora

riflessioni negli obiettivi di governance per le amministrazioni comunali.

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3.2 Roma-Corviale: arte e sperimentazioni culturali nel progetto che immagina un “Nuovo Corviale” Come vedremo il tipo di intervento di riqualificazione urbana sul complesso

edilizio del ‘Nuovo Corviale’ è legato alla presenza dell’Osservatorio Nomade.

In estrema sintesi Corviale è uno tra i molti edifici di edilizia residenziale

pubblica costruiti alla fine degli anni sessanta ai margini delle grandi città per

dare risposta ad un bisogno abitativo urgente e numericamente importante. «E’

una grande macchina abitativa che rappresenta la sintesi di una cultura politica,

architettonica e urbanistica che entra in crisi negli stessi anni della sua

costruzione. » (Gennari Santori F., Pietromarchi B., 2006) (Inguaggiato, 2009).

L’edificio diventa così un’icona negativa con un riflesso mediatico di enorme

impatto, «il luogo di un’insanabile distopia, della periferia sbagliata, incarnazione

del preconcetto e dello stereotipo, utile materia di esercizio moraleggiante.» In

altre parole, un luogo comune.

In risposta a queste esigenze si è posto, dagli inizi degli anni 2000, il fattore

culturale al cento di un sistema di rigenerazione e riqualificazione verso un

accrescimento del benessere materiale e immateriale della collettività.

Come vedremo in maniera approfondita «gli architetti e gli artisti

dell’Osservatorio Nomade hanno intercettato i soggetti che hanno realizzato gli

orti spontanei per definire con loro, in modo creativo e partecipato uno scenario

di trasformazione condiviso da proporre al Comune e hanno lavorato con gli

“occupanti” del quarto piano, per formulare una proposta progettuale condivisa,

come contributo ritenuto migliorativo rispetto al progetto proposto» (Gennari

Santori F., Pietromarchi B., 2006) .

Le politiche e gli strumenti del processo Immaginare Corviale sono stati il PRU

(Programma di Recupero Urbano), il CdQ II (Contratto di quartiere di seconda

generazione) e il Laboratorio Territoriale Roma Ovest Corviale (gestito dal

Dipartimento XIX, con lo scopo di promuovere forme di partecipazione e

favorire interventi per la valorizzazione dell’ambiente). Il progetto Immaginare

Corviale ha avuto un finanziamento per la maggior parte pubblico, di all’incirca

35 mila euro e in minor parte privato. Il progetto, che avrebbe dovuto beneficiare

di un sostegno pubblico di ampio respiro, purtroppo è stato sostanzialmente

interrotto dopo un paio di anni, per il venir meno del finanziamento comunale.

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Alcuni workshop sono stati finanziati dalla Penn State University in

collaborazione con la Facoltà di Architettura Roma Tre. Successivamente,

finanziamenti ATER da dedicare a sperimentazioni sui quartieri, inerente ai

finanziamenti del Contratto di Quartiere, hanno coinvolto il gruppo

dell’Osservatorio Nomade per il progetto del quarto piano (piano dei servizi) che

prevedeva un investimento di circa un milione di euro, diventando così

successivamente la base del lavoro per il bando inerente al quarto piano. Tutti i

soggetti finanziatori sono stati: Comune di Roma, Dipartimento XIX Politiche,

sviluppo e recupero delle Periferie in collaborazione con il ‘Laboratorio

Territoriale Roma Ovest Corviale’. L’intervento sul territorio si è sviluppato

dall’aprile 2004 al maggio 2005, ma l’eredità di questa esperienza si sviluppava

fino al 2006 (pubblicazione di un saggio descrittivo del progetto).

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3.2.0 Il complesso edilizio Nuovo Corviale: un problema di cattiva gestione

Corviale è il nome della zona urbanistica 15f del XV Municipio di Roma

Capitale. Si estende sul suburbio S.VIII Gianicolense, periferia a Sud-Ovest della

città.

Il comune di Roma tra il 1950 e 1970 dopo un aumento della popolazione (un

incremento di oltre 1 milione di abitanti) doveva necessariamente rispondere ad

una domanda abitativa e di servizi ad essa connessi. L’emergenza abitativa portò

in seguito ad aumento triplicato dei costi di costruzione. L’amministrazione

comunale si pose come obiettivo l’eliminazione delle baraccopoli costruendo

successivamente alloggi. Il sensibile aumento della domanda abitativa, cercato di

respingere con un piano di finanziamenti pubblici (risultato inadeguato), portò

all’aumento dell’occupazione illegale di alloggi.

Il panorama a cui si assisteva era una vera e propria esplosione di fenomeni legati

all’abusivismo edilizio. Soluzione per rimediare alla situazione casa e alla

carenza di edificazioni popolari, in contrasto ai programmi urbanistici approvati

determinavano così una spaccatura nel territorio, il passaggio da una città

regolare ad una città irregolare. Il comune da qui stipulò un accordo con l’Istituto

Case Popolari (IACP) promuovendo un piano straordinario di intervento per la

realizzazione di nuovi alloggi popolari con i relativi servizi, e per dove era

previsto, un decentramento dei servizi e degli uffici amministrativi con le relative

opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

Sulla base delle nuove leggi finanziarie della casa e del piano di emergenza

Gescal del 1969 vennero scelte delle aree di Roma per una spesa complessiva di

70 miliardi di lire italiane: Corviale, Laurentino e Vigne nuove.

Inoltre nel 1962, data di approvazione del Piano Regolatore Generale di Roma, il

Parlamento italiano aveva approvato una legge n.167 per introdurre i piani per

l’edilizia residenziale pubblica, facilitando così il reperimento di terreni (zone

agricole del piano regolatore generale) a prezzi accessibili, per trasformarli in

terreni edificabili. Nel 1964 il Comune approverà i piani di edilizia residenziale

in atto. Corviale ricadrà nel perimetro del "Piano di Zona" n. 61, approvato il 4

aprile 1975, che interessa un’area di oltre 605.000 metri quadrati. Da qui la

progettazione di “Nuovo Corviale”, un grande edificio costruito lungo la via

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Portuense. Un complesso edilizio popolare, lungo 958 metri con 1200

appartamenti, abitato da circa 6000 persone, progettato da un team di architetti

coordinato da Mario Fiorentino tra il 1972 e il 1975.

Il complesso è di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari, oggi Ater

(Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale) ed è stato completato circa dieci

anni più tardi. I lavori della costruzione e realizzazione dell’intero progetto,

affidati ad un’unica impresa edile, si arrestarono nel 1982 quando solo la parte

residenziale era stata ultimata, non completando così la parte dedicata ai servizi.

Il progetto originale di Corviale veniva considerato, come lo era effettivamente,

innovativo, sperimentale e avanguardistico. Lo stato attuale di degrado è dovuto

al non completamento di una serie di opere previste dal progetto originario, ricco

di servizi e impianti collettivi, progettati per un’estensione tre volte più ampia

degli standard minimi fissati per legge.

I servizi progettati erano stati pensati per tutto il quartiere circostante (quattro

teatri all’aperto, una grande sala di 500 posti, una biblioteca, uffici

circoscrizionali, una palestra coperta, due scuole elementari, una scuola media,

due materne, tre asili nido, un consultorio pediatrico, un mercato coperto, una

farmacia, un ristorante con sala banchetti e self-service e una chiesa

parrocchiale), a distanza di molti anni e senza nessuna pianificazione strategica

sono state realizzate solamente le strutture legate ai servizi sociali. «In realtà

Corviale non poteva “essere portato a termine” perché la macchina ideologica

soggiacente a cui si richiama (l’architettura come istituzione socio-culturale)

aveva cessato di funzionare molto prima che esso venisse progettato.» (Senaldi

M. 2006).

Gli abitanti nel Nuovo Corviale non possono usufruire degli spazi comuni perché

non sono attrezzati adeguatamente o improvvisamente occupati, sono costretti a

rintanarsi nei propri spazi privati (risultato opposto delle previsioni del progetto

originario). «Nel corso degli anni, attivisti sociali e promotori culturali hanno

cercato e stanno cercando di invertire nell’ambito di questa degenerazione psico-

sociale. Ed i risultati sono eccellenti, perché la coscienza del corvialese medio sta

evolvendo dallo stato di “malessere” a quello di “orgoglio”34. Corviale è

                                                            34 Efficace un concetto espresso da uno degli intervistati nella fase di "field" della ricerca svolta da IsCult nel 2010, un residente storico di Corviale: "Chi ci sta da tanto, come me, finisce, alla fine, per amare questa struttura, più che per come è, che per come sarebbe dovuta essere. Dal

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diventato presto sinonimo di “disagio”, di “ghetto”, di quartiere “borderline”

degradato e malfamato. […]. Questa immagine negativizzante è stata, in molti

casi confermata ed enfatizzata dalla stampa e dagli altri media, fatte salve ben

rare eccezioni, come quella […] dell’esperienza “effimera” (durata –

formalmente – poco più di un anno) dell’Osservatorio Nomade della Fondazione

Adriano Olivetti.» (AA.VV., IsCult, 2010: 42).

L’ipotesi di abbattimento dell’edificio, era impellente, avviata da una polemica

che risale al 1995, a distanza di soli vent’anni dalla fine dei lavori di costruzione.

Nel 2004 l’allora Consigliere Comunale Fabio Rampelli, con l’appoggio del

Ministro per i Beni e le Attività Culturali Giuliano Urbani, aveva rilanciato la

definitiva “riqualificazione attraverso la sostituzione edilizia”. Il sindaco Walter

Veltroni si oppose. Ma al di là delle critiche e degli interventi politici il Nuovo

Corviale, per ovvie eccessive spese per la demolizione35 e la gestione

dell’impresa, rimase in piedi. Dall’ultimo workshop organizzato

dall’amministrazione pubblica si deduce che il Ministero dei Beni Culturali

difenderà la posizione di non demolire l’edificio, ma solo in base al fatto che: è

un’opera architettonica storico culturale per la città.

Processi spontanei degli abitanti e fenomeni di presa di coscienza, hanno

provocato una sorta di reazione orgogliosa. I cittadini del complesso Corviale

richiedevano semplicemente dei servizi migliori (elemento a cui, effettivamente

anche Mario Fiorentino teneva molto).

La cattiva gestione, svalutazione simbolica e quindi anche economica, inerzia

dell’opera di completamento e abbandono, riflettono su una sensazione di

incompiutezza che porta a fare uno sforzo per riaggiustare lo sguardo verso

l’oggetto architettonico, sforzo che non porta a grandi risultati perché il gesto

architettonico è ancora incompiuto. Nuovo Corviale è diventato un luogo

emblematico per gli architetti e i progettisti urbani, evocato sistematicamente

dalla stampa italiana in relazione ai mali presunti o reali della periferia urbana.

Quello che oggi si vede del complesso è un edificio formato da due palazzi

disposti parallelamente uno di fronte all'altro per nove piani di altezza dove

                                                                                                                                                                                    punto di vista dei servizi, adesso sono abbastanza soddisfatto" (Marco Balderi, gestore del Bar della Biblioteca "Corviale"). 35 In riferimento alla demolizione o rimoludazione dell’edificio si rimanda alla letteratura interessata ai tre progetti del Prof. Ettore Maria Mazzola, del Prof. Gabriele Tagliaventi e dell'Arch. Cristiano Rosponi. (Link per visionare i tre progetti www.de-architectura.com/2010/05/giu-il-corviale-su-il-borgo-corviale.html).

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all'interno sono presenti dei ballatoi, dei cortili e degli spazi comuni. Il lavoro di

attivisti e professionisti del settore, negli ultimi anni, è rivolto proprio alla

riqualificazione e rigenerazione del quartiere.

Figura 13- Il complesso di Corviale – Presa Aerea 2011 (Patricia García - May 17, 2011. 08:40)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 14 - Il complesso di Corviale – Presa Aerea 2010

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3.2.1 Le soluzioni, i programmi di riqualificazione e il ruolo della cultura

Abitato da ormai trent’anni, il complesso di Corviale è stato coinvolto nel corso

del tempo da interventi di recupero sociale e di riqualificazione urbana, in

particolare: un ‘Programma di Recupero Urbano’ (Pru)36, elaborato dall'Ufficio

per le Periferie del Dipartimento Politiche del Territorio del Comune di Roma, e

da un “Contratto di Quartiere II – Corviale” (CdQII)37 redatto dal XIX

Dipartimento del Comune di Roma.

«Nel 2007, a seguito di una sottoscrizione del protocollo d'intesa con il Ministero

delle Infrastrutture, la Regione Lazio ed il Comune di Roma, l'Ater ha avviato la

redazione dei progetti esecutivi che si è conclusa nel 2008. Ad approvazione dei

progetti, seguiva la fase di esecuzione tramite gara d'appalto che si prevedeva di

bandire entro il 2009.» (IsCult, 2010).

Nei primi mesi del 2010 l'Ater ha avviato il progetto chiamato "Chilometro

Verde", approvando la progettazione esecutiva per la ristrutturazione edilizia,

l'inizio dei lavori era previsto per l'ottobre 2010, il termine è previsto per

settembre 2013. Ad oggi dei dieci milioni di euro assegnati per Corviale ne sono

stati stanziati solamente il 10%.

Molti interventi sono stati dedicati al quarto piano e alle sale condominiali del

complesso, punti critici di Corviale per le quali si sono ipotizzate varie soluzioni:

la più interessante è rappresentata dal progetto del 2004 per allocarvi la Facoltà di

Architettura della Terza Università di Roma che dovrebbe predisporre di una

soluzione abitativa per le famiglie occupanti. Esisteva anche la proposta, sempre

                                                            36 I ‘Pru’ sono dei «sistemi coordinati di interventi pubblici e privati finalizzati alla riqualificazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica» (Legge n. 493/93, all'art. 11 225), che comprendeva circa 790 ettari del territorio del Municipio XV "Arvalia " e del Municipio XVI (Monteverde-Gianicolense). 37 I Contratti di Quartiere – delle aree abitative – sono stati promossi nel 1998 su iniziativa dell’allora Ministero dei LL.PP.; i Contratti di Quartiere II sono adottati nel 2002 su iniziativa del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. «L’esperienza dei Contratti di Quartiere ha mostrato soprattutto la sua validità nelle città medio piccole; nelle periferie delle grandi città, da Napoli a Roma, a Milano l’integrazione fra riqualificazione edilizia, urbana e sociale è risultata più difficile da attuare e le preesistenze non trovano ancora un modello valido di riferimento fra demolizione e riqualificazione. Nella ricerca di nuovi modelli insediativi, tuttavia, si è andata affermando una consapevolezza nuova delle responsabilità del progetto, culturali e operative (Come ad esempio il progetto Immaginare Corviale). Periferia e centri urbani sono un problema integrato. Si tratta prima di tutto di un problema politico e sociale: qualità e non qualità della vita, che si esprime in cittadinanza e comunità; qualità e non qualità degli interventi, che si origina dalla capacità democratica di investire, promuovere, controllare la qualità.» (Torricelli M.C., 2006).

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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nello stesso anno, di allocare nel quartiere una sezione del Museo d’Arte

Contemporanea che sarebbe stata gestita da ‘MACRO’. La giunta Veltroni aveva

approvato la proposta all’interno del ‘Contratto di Quartiere’ nel 2004 come anche

quella di trasferire una parte della Facoltà di Architettura, ma evidentemente erano

ancora decisioni immature.

«L’orientamento complessivo di queste iniziative è quello di fare di Corviale un

centro di produzione culturale e un “luogo della contemporaneità” artistica e

teatrale, per ribaltare l’immagine stereotipata del quartiere» (IsCult, 2010: 58).

Di fatto, di fronte al palazzo sono presenti ad oggi numerosi servizi e impianti

collettivi per i giovani del quartiere; i maggiori sforzi sono stati dedicati alla

“spina dei servizi”. Completata nel 2005 accoglie da anni il Consiglio del XV

Municipio e l’Ufficio Tecnico, il Comando del XV Gruppo dei Vigili Urbani, uno

sportello decentrato dell’Anagrafe ed un ambulatorio e centro per il disagio

mentale dell’Asl – Roma/D. Per quanto riguarda le opere sul fronte culturale è

stato realizzato un anfiteatro all’aperto di circa 300 posti, di proprietà Ater, un

centro attrezzato per prove musicali, una scuola d’arte e una galleria d’arte

chiamata Mitreo Iside, una struttura polifunzionale di 900 mq di spazio

esposizioni, mostre, laboratori, rappresentazioni teatrali e coreografiche. È

presente inoltre la biblioteca comunale e un centro polivalente dedicato alla

memoria di Nicoletta Campanella (sociologa e studiosa delle periferie romane).

Il centro è una delle strutture più importanti dove sono presenti strutture private

che hanno ricevuto il compito di realizzare servizi socio-culturali rivolti in

particolare ai bambini.

Per Corviale, il nuovo pacchetto di interventi comprende per un 40% opere di

competenza del Comune e per il restante 60% interventi da parte dell’Ater.

Tra le operazioni programmate spettanti all’Ater è prevista la realizzazione di 107

nuovi appartamenti per gli occupanti abusivi del quarto piano e cinque grandi sale

destinate ad iniziative pubbliche, come la già citata sede universitaria decentrata.

Gli interventi di competenza del Comune, per i quali sono stati stanziati circa

cinque milioni di euro, riguarderanno il rinnovo degli arredi del Centro

polivalente “Nicoletta Campanella” e la realizzazione di un impianto sportivo al

coperto per il pattinaggio. Il Piano Regolatore Generale 2008, vigente, prevede

inoltre una trasformazione residenziale complessiva di 1.513 mq.

Nel 2009 l’Assessorato allo sviluppo Economico Ricerca e Innovazione Turismo

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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ha sostenuto delle iniziative finalizzate alla realizzazione di un “Distretto

Culturale” a Corviale, concordando con Filas38 (Finanziaria Laziale di Sviluppo -

S.p.A.) l’organizzazione di incontro internazionale di riflessione sul progetto. Le

iniziative e progettazioni promosse dal Coordinamento di un Distretto

Culturale/Sportivo a Corviale hanno suscitato l’attenzione dei media e

dell’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di

Roma che ha manifestato una sensibilità rispetto al progetto.

Oltre ad un atteso “Distretto Culturale” di Corviale le previsioni del Programma

di Riqualificazione Urbana (PRU) saranno concretizzate nella realizzazione di

alcune piazze e di attrezzature pubbliche come: il Palazzetto dello Sport e della

Cultura (Pala Corviale), la Ludoteca Comunale ed il Campo di Pattinaggio

Coperto (Palazzetto del Pattinaggio), le Terme Avralia, la riqualificazione dell’ex

Mercato di Casetta Mattei, la Cavea del Teatro ed infine il Parco Nomade – Parco

dell’Arte e dell’Architettura Contemporanea.

Nell’ambito del Contratto di Quartiere II (CdQ II) del 2004 era in prospettiva un

migliore coinvolgimento degli abitanti del quartiere, per questo motivo, a

Corviale, è stato insediato dal Comune di Roma il “Laboratorio Territoriale -

Corviale Roma Ovest”, gestito dal Dipartimento XIX, con lo scopo di

promuovere forme di partecipazione e favorire interventi per la valorizzazione

dell’ambiente e lo sviluppo locale. Il lavoro è stato svolto in sintonia con altre

strutture del Dipartimento XVI, finalizzate a promuovere l’occupazione

inserendo l’Incubatore d’Impresa e il Centro di Formazione Professionale. Il

‘CdQ II’ prevedeva una strategia di integrazione degli interventi di tipo

architettonico, economico e sociale attraverso la riqualificazione complessiva

dell’abitato avendo cura dei servizi mancanti39.

Negli ultimi vent’anni il contesto sociale è stato attraversato da continui

cambiamenti e coinvolto in un profondo mutamento dell’organizzazione e della

funzione della città di Roma, la quale per rispondere al disagio urbano, si è fatta

                                                            38 «Filas ha iniziato a ragionare sulle potenzialità di Corviale come possibile “distretto culturale” metropolitano, in una ambiziosa quanto concreta operazione di recupero urbanistico-ambientale e di sviluppo socio-economico del quadrante della città in cui Corviale si trova. […] La ricerca è finalizzata a costruire un “dataset” adeguato alla riflessione sulle potenzialità di Corviale come “distretto culturale” della città di Roma (qui intendendosi, con il termine “culturale”, la convergenza di attività nell’ambito culturale, artistico, sportivo, comunicazionale, tecnologico).» (www.corvialedomani.it - 2012) 39 Per una visione integrale dei risultati si rimanda al documento redatto dal Comune di Roma, “Relazione Previsionale e Programmatica”, relativa agli anni 2009-2011” approvata dal Consiglio Comunale di Roma il 26-27 marzo 2009.

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carico di sviluppare esperienze innovative sul tema della riqualificazione urbana.

Le esperienze intraprese dal comune di Roma si collocano all’interno di

programmi strategici di tipo integrato e partecipato, finalizzati alla

riqualificazione e allo sviluppo di quartieri fortemente degradati, partendo dal

fatto che questi quartieri siano dotati di potenzialità creative e culturali proprie.

Il Comune insieme al Dipartimento per lo Sviluppo e il Recupero delle Periferie

ha avviato varie sperimentazioni nell’ambito dei programmi di riqualificazione

urbana.

Nel caso di Corviale il ruolo della cultura diventa cardine della sperimentazione,

strumento di accrescimento del benessere materiale e immateriale della

collettività, una sperimentazione culturale di pratica urbana che parte dalla

convinzione che il processo artistico rappresenti un fattore di integrazione fra

linguaggi e culture diverse. La speranza era quella di dare sinergia a piani e

programmi di varia natura, come denota il direttore del Dipartimento XIX -

Politiche per lo Sviluppo ed il recupero delle Periferie del Comune di Roma,

Mirella di Giovine - «Se le sperimentazioni avranno successo si potranno

determinare utili sinergie fra programmi di riqualificazione urbanistica dei luoghi,

iniziative di promozione culturale e pratiche artistiche, ai fini di uno sviluppo

sostenibile e duraturo». (Di Giovine M., 2006) (Santori F.G., Pietromarchi B.,

2006: 42-50). A tal proposito queste sperimentazioni culturali sono state inserite

all’interno di una pianificazione di tipo strategico.

Attraverso i processi partecipativi e gli attori sociali del quartiere, i cittadini

diventano i protagonisti di un percorso che è in grado di costruire programmi di

sviluppo locale, orientando le scelte di valorizzazione delle risorse del paesaggio,

ricoprendo e rafforzando l’identità culturale della comunità.

Le prime sperimentazioni di tipo culturale hanno previsto, in una prima fase,

l’organizzazione di eventi, concerti, spettacoli teatrali e cinematografici che nei

casi più interessanti hanno permesso la produzione e l’edizione di musica

prodotta dai ragazzi del quartiere. In una seconda fase si è arrivati all’attivazione

di centri culturali legati alla realtà locale e alla promozione di librerie e

biblioteche pubbliche.

L’obiettivo dell’amministrazione comunale è quello di affiancare all’impegnativo

programma di riqualificazione fisica del quartiere, un programma di interventi e

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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azioni per lo sviluppo economico e locale, che insieme alle sperimentazioni di

iniziative culturali di questo tipo, riescono a promuovere la creatività e l’identità.

I primi risultati di queste sperimentazioni, nel caso di Corviale, come anche in

altri quartieri, sembrerebbero una conferma «che iniziative culturali di questo tipo

costituiscono un efficace strumento di valorizzazione delle risorse del territorio e

il rafforzamento della memoria collettiva delle comunità insediate.» (Di Giovine,

2006). Ma il risultato più interessante, data la difficoltà iniziale sull’ambito, è che

queste iniziative hanno aiutano ad aprire il dialogo con altre parti di città,

superando l’isolamento e i pregiudizi reciproci. Il progetto Immaginare Corviale,

che ha favorito la ricerca di percorsi creativi, della memoria, dell’identità urbana

dei luoghi periferici, ha avuto anche l’obiettivo di generare un forte

coinvolgimento dei cittadini, ricercatori e artisti.

Gli attori coinvolti nel processo hanno saputo costruire una rete solida tra le varie

figure professionali, gli abitanti e le istituzioni.

• Al certo del sistema troviamo il progetto Immaginare Corviale e gli

abitanti del complesso Nuovo Corviale.

• I promotori del progetto: Comune di Roma in collaborazione con il

Laboratorio territoriale Roma Ovest – Corviale e il Dipartimento XIX

Politiche per lo sviluppo e il Recupero delle Periferie;

• La cura della sperimentazione culturale và all’Osservatorio Nomade che

ha costituito la regia di tutti i processi attuati.

• La mediazione tra istituzioni-artisti è stata affidata dal Comune alla

Fondazione Adriano Oliveti.

Immaginare Corviale è stata «un’indagine creativa su come lo spazio pubblico

viene vissuto, ricordato, immaginato e trasformato al Corviale» (Eco&Narciso,

2007), condotta in un momento di grande trasformazione dell’area. I metodi e gli

obbiettivi dell’indagine sono stati oggetto di costante confronto con il

“Laboratorio Territoriale - Corviale Roma Ovest”. Il confronto è stato volto ad

armonizzare due differenti ma compatibili approcci al territorio: da un lato

l’approccio creativo degli artisti, dall’altro l’individuazione di necessità concrete

della cittadinanza e forme negoziate di riqualificazione sostenute nel tempo da

parte del Laboratorio Territoriale.

La partecipazione dei cittadini è cominciata grazie alla creazione del “Laboratorio

Territoriale - Corviale Roma Ovest”, che nasce come struttura pubblica, insediata

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nel cuore del quartiere e istituita nel 2003 dal Dipartimento. Le attività di

animazione sociale, comunicazione, informazione e ascolto rispetto al quartiere,

furono affidate, con il sostegno di consulenti esterni, a due dipendenti comunali,

uno dei quali era residente a Corviale. Dopo le prime iniziative si sono

cominciate ad affiancare altre figure professionali provenienti dal mondo

universitario interessate alla riqualificazione partecipata di Corviale.

Le idee di trasformazione sono state maturate grazie a gruppi interdisciplinari

capaci di produrre auto-organizzazione ed empowerment.

Come dichiara il responsabile del dipartimento Mirella Di Giovine: «il risultato

delle sperimentazioni ha dimostrato chiaramente che l’intuizione di integrare,

nell’ambito del programma di trasformazione in atto, la struttura del Laboratorio

di quartiere con un progetto di quartiere come Immaginare Corviale non era

un’astratta fuga in avanti o una ricerca intellettuale avulsa dal quartiere. Questa

integrazione si è rivelata invece indispensabile per strutturare la partecipazione

degli abitanti alla sua concreta trasformazione, e per rinsaldare gli obiettivi della

riqualificazione nella percezione collettiva. Ma l’esperienza maturata ha anche

evidenziato, con grande chiarezza, che per vincere l’emarginazione e contribuire

a reinserire Corviale nelle dinamiche della città, occorre che la sperimentazione

culturale sia strettamente ancorata alla concretezza degli obiettivi e accompagni

lo sviluppo in un programma integrato di riqualificazione. In caso contrario,

rischia di rimanere una sterile ricerca intellettuale destinata ad esaurirsi in poco

tempo. La stretta interdipendenza che si è venuta a creare tra il programma

culturale e gli interventi di trasformazione fisica ha portato a considerare la

creatività e i linguaggi che si sono sviluppati a Corviale, necessari quanto gli

ascensori che funzionano!».

Risulta indispensabile definire un rapporto di integrazione fra le istituzioni che

lavorano ai programmi di riqualificazione e coloro che istituzionalmente (e non)

mediano con gli artisti, affinché si sviluppino utili sinergie per far emergere

creatività e percorsi di identità nella città moderna. Operare con flessibilità,

agilità, creatività e massima concretezza, per evidenziare e fare uscire le esigenze

e la potenzialità e dare spazio alle forme espressive spontanee presenti in questi

quartieri. La difficoltà di questi percorsi sta proprio nel riuscire a mantenere il

giusto equilibrio fra ricerca ed espressione creativa.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Il progetto dell’amministrazione per le periferie romane parte dagli inizi del 2000,

cercando di sperimentare e includere l’arte e l’architettura nei Programmi di

Riqualificazione Urbana, non limitandosi solamente ad intervenire per

riqualificare ma intervenire per valorizzare e recuperare restituendo dignità,

memoria, spazio creativo a luoghi e persone.

Il lavoro è stato svolto dal Dipartimento, affrontando problematiche legate ai

contesti periferici, dando spunti su una ricerca che aveva come fine la

partecipazione dei cittadini nei processi decisionali (ponendo i cittadini, come

“attori sociali della città” nonché soggetti determinanti di questo percorso) e la

creazione di sinergie possibili fra arte e architettura.

Uno dei primi progetti realizzati a cura del Dipartimento è stato Cinema di

Raccordo e Di scena la Periferia, due eventi realizzati nelle estati del 2001 e

2002, vere e proprie carovane di cinema, teatro e musica itineranti che hanno

saputo trascinare interamente la cittadinanza di Corviale. I cittadini sono stati

coinvolti per la prima volta in qualcosa che l’istituzione, in questo caso il

Comune, “ha fatto per loro”; farli sentire parte di una comunità e di una cultura,

dove l’arte, in questo senso, si pone da strumento di esplorazione e indagine

urbana. Altre tra le prime esperienze di sperimentazione culturale che hanno

avuto la capacità di tenere vivo il rapporto tra la città e i cittadini è stato il

progetto Sonicity: architetti del suono compositori del luogo, realizzato

dall’associazione ‘Moorroom’ a Corviale nel 2002. Il tema di questa

sperimentazione era quello di sviluppare le relazioni esistenti tra suono, arti

visive e architettura, creando, tramite workshop, occasioni per riflettere sul luogo

Corviale. L’allestimento delle opere all’interno dell’edificio, che hanno

coinvolto abitanti di Corviale e chi appositamente era venuto dal centro per

visitare le opere, hanno dato modo di rileggere in un’altra chiave il luogo simbolo

della periferia urbana romana.

L’obiettivo dell’Amministrazione insieme al Dipartimento per il Recupero e lo

Sviluppo delle Periferie era quello di far partecipare attivamente i cittadini ai

programmi e progetti in tutte le loro fasi. Motivo per cui successivamente si

attivano iniziative legate agli interventi di trasformazione urbana, di nuove

funzioni sociali e culturali, come le attività svolte nella biblioteca, o per

l’occupazione, come l’Incubatore di Impresa. Il contesto di Corviale, oggi

sperimenta un rapporto diverso tra città e periferia. Ad oggi sono presenti vari

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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associazioni sul territorio una delle più attive e CorvialeUrbanLab, il

responsabile Alessio Conti spiega così la loro azione: « L’idea di fondo che noi

cerchiamo di esportare è che l’arte e la cultura possano essere strumenti della

riqualificazione urbana. Corviale nell’immaginario collettivo è una periferia che

si riflette nella collettività come un luogo degradato e di fallimento urbanistico.

Esiste però una profonda identità in quel luogo, noi la poniamo sotto un’altra

veste utilizzando l’arte e la cultura in tutto quello che facciamo». (Appendice).

L’istituzione romana ha ritenuto importante impegnarsi su questo fronte

sviluppando progetti sperimentali per affrontare percorsi di recupero e

riqualificazione che considerino la città e non solo i luoghi centrali.

Per sviluppare e lavorare al meglio sulle problematiche legate ai contesti

marginali della città era stato creato un Assessorato e un Dipartimento dedicato

specificatamente al recupero e allo sviluppo delle periferie romane. L’idea di

applicare le sperimentazioni parte da un lungo lavoro svolto, dal convegno

internazionale tenutosi a Corviale Al centro le periferie del 2002 fino a giungere

alle sperimentazioni sul campo per tutta la periferia romana, che hanno permesso

di conoscere con un taglio diverso il territorio romano.

I progetti artistici hanno preso ispirazione da un modello olandese, illustrato in

una mostra tenutasi a Roma presso la sala San Giovanni nel gennaio 2002, dove si

era proposto di esplorare il rapporto tra architettura e arte attraverso il paesaggio

olandese contemporaneo; altro scopo era quello di attivare un dialogo plurime tra

varie figure professionali come architetti, teorici dell’architettura e artisti. Da qui,

i progetti d’arte si sono posti non solo come sperimentazione culturale verso

nuove tipologie di pratiche urbane ma anche come strumenti per il

coinvolgimento diretto dei cittadini. L’impegno dell’Assessorato e del

Dipartimento si è quindi orientato con un occhio di riguardo verso i progetti come

Nuovi Committenti di Torino, curato e introdotto in Italia dalla Fondazione

Adriano Olivetti, modello innovativo per la produzione di arte pubblica su cui il

Comune di Roma ha puntato il suo interesse.

Come denota Maria Alicata, responsabile dell’area ‘Progetti e Ricerche’ della

Fondazione Adriano Olivetti: «il complesso Corviale non era ancora pronto per

applicare il modello Nuovi Committenti. Così si scelse più una fase di pre-analisi,

orientando il lavoro sull’immaginario del quartiere.» (Appendice)

Il complesso non poteva essere indirizzato verso una diretta trasformazione dello

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spazio pubblico. L’amministrazione comunale scelse comunque di dare un “taglio

creativo” per l’analisi del contesto, che nelle programmazioni in corso

(Programma di Recupero Urbano e il Contratto di Quartiere) bene si inserivano

per la partecipazione attiva dei cittadini. Così nel corso del biennio 2004 – 2005 la

Fondazione Adriano Olivetti e il Gruppo Osservatorio Nomade insieme al

Dipartimento, attua il progetto sperimentale Immaginare Corviale, che affronterà

le trasformazioni previste nel quartiere di Corviale nel Programma di Recupero

Urbano.

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3.2.2 Il progetto “Immaginare Corviale”: arte, pratica urbana ed estetica Nei primi anni ’80, per le famiglie che si trasferirono a Corviale, in una periferia

così insolita, in un’architettura così esagerata si rese difficile, fin dall’inizio,

formare un gruppo, una comunità. «Erano ristretti in gruppi di vicini, di parenti, di

amici, accomunati dal lotto, dalla scala o dal ballatoio, che all’occorrenza si

davano una mano per superare la solitudine o l’isolamento ma senza mai sentirsi

parte di un insieme sociale significativo». (N. Campanella, 1995).

Per avviare una sorta di riscatto del quartiere, il “Laboratorio Territoriale -

Corviale Roma Ovest” si è interrogato ed ha chiesto consiglio ai comitati di

inquilini ancora presenti, alle strutture del Municipio XV, per trovare una

modalità di approccio innovativa. Successivamente, quasi naturalmente, si è

generato il contatto tra amministrazione pubblica e la Fondazione Adriano

Olivetti. Si individuò una strategia innovativa nella valorizzazione del rapporto tra

arte e società.

La Fondazione Adriano Olivetti ha come obiettivo indirizzare un approccio

creativo all’analisi dei territori urbani e alla trasformazione dello spazio pubblico.

Vuole investigare sulle forme più innovative di produzione culturale e

committenza, identificando nuovi strumenti capaci di produrre nuove economie

per il contesto italiano: un’economia dove amministratori pubblici cercano nuove

idee; i cittadini chiedono maggiore coinvolgimento ed una maggiore

partecipazione ai processi decisionali; un’economia dove gli artisti sono sempre

più interessati ad operare nello spazio pubblico. Proprio perché il problema si

pone in termini di spazio pubblico tutti i progetti della Fondazione sono elaborati

come un caso studio, all’interno di un quadro di ricerca che rappresenti le

continue trasformazioni dello spazio pubblico.

Come dice Bartolomeo Pietromarchi in un suo intervento per il convegno IoArte-

NoiCittà, «l’arte è, in primo luogo, lo strumento ideale per comprendere questi

mutamenti, in quanto elabora degli ‘immaginari’ che, […] possono essere

considerati a tutti gli effetti dei mezzi di esperienza del reale, e quindi di

conoscenza, in un senso più ampio. In secondo luogo l’arte contemporanea

elabora delle strategie di intervento ‘nel’ reale: l’artista si appropria della

dimensione linguistica del reale della sua totalità e ne utilizza indifferentemente

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tutti gli strumenti: fa esperienza del mondo e della sua frammentazione

inventandone percorsi trasversali, attraversamenti di senso, sconfinamenti e scarti

linguistici, riflettendo su una dimensione soggettiva, intima e psicologica del

rapporto con lo spazio circostante, promuovendo una disseminazione creativa in

uno spazio che si fa organico e cresce secondo i principi di urgenza e necessità.»

(Petromarchi B., 2007).

Occorreva che insieme agli abitanti, attraverso la partecipazione e il lavoro del

Laboratorio territoriale, si producessero attività ed eventi di valore artistico e

culturale capaci di generare e trasmettere una “nuova immagine” del quartiere

come condizione per il suo sviluppo economico e sociale. Si costruì così un

progetto condiviso sostenuto dal Dipartimento XIX raggiungendo un accordo

economico per un anno di lavoro. Chiamati dalla Fondazione Adriano Olivetti gli

artisti dell’Osservatorio Nomade si recarono a Corviale.

Sono state sperimentate innovative modalità di collaborazione, non prive di

asperità, tra il Laboratorio territoriale, gli artisti e la Fondazione Adriano Olivetti,

che si inseriscono nell’ampio dibattito sul futuro dell’arte pubblica, sul ruolo degli

artisti come mediatori e sulla necessità di coinvolgere strutture e soggetti capaci di

attivare un processo di “accompagnamento40” delle pratiche artistiche sul

territorio. Molti abitanti si sono lasciati coinvolgere dagli artisti, dalle

progettazioni e dalle esperienze artistiche che gli si presentavano, anche perché

sapevano che dietro al progetto “artistico” c’era la presenza autorevole del

Comune di Roma.

L’architetto responsabile del Laboratorio Territoriale Mauro Martini, presente alle

vicende del progetto Immaginare Corviale, conferma che il ruolo del Comune di

Roma, attraverso i soggetti impegnati nel Laboratorio territoriale, «non è stato di

tradizionale committente, mero investitore di risorse economiche, ma anche di

conoscitore della realtà locale, presente sul territorio, e si è rivelato determinante

per indirizzare molte azioni degli artisti e per favorire il loro contatto con gli

abitanti.» (Appendice)

La Fondazione ha avuto compiti importanti sulla regia del progetto, in particolare

modo nell’individuazione degli artisti da coinvolgere. Importante, è stato

organizzare eventi che hanno orientato l’attenzione (vista la sua autorevolezza)

                                                            40 In questo processo risulta essere fondamentale la mediazione tra le parti che necessità però di una sorta di affiancamento istituzionale o associativa che funga sia da controllo che da regia.

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verso i media. Questo ha fatto modo di diffondere la “novità” prodotta a Corviale

da televisioni, giornali e convegni.

Il lavoro durato più di un anno all’interno del quartiere Corviale ha scaturito

riflessioni sul destino attuale dell’architettura modernista, sulla gestione del

territorio, sul rapporto fra ricerca artistica e società, sulla filosofia dell’abitare, la

centralità della comunicazione e dell’immaginario nella vita pubblica del nostro

paese. Nel progetto si sono intrecciate prospettive di ricerca e pratiche di

progettazione partecipata.

L’Osservatorio Nomade, impegnato da sempre per il recupero e la rigenerazione

delle zone suburbane di Roma, ha promosso il progetto Immaginare Corviale,

grazie al lavoro interdisciplinare, si è manifestata una ricca produzione culturale

partecipata coinvolgendo l’intera città. L’intento, pienamente riuscito, ha

permesso di creare sinergia tra gruppi artistici diversi, video - makers, musicisti,

‘pensatori’, architetti e urbanisti, verso la rigenerazione e riqualificazione urbana e

sicuramente come scopo primario uno scavalcamento della marginalità sociale

presente nel quartiere di Corviale cercando di abbracciare quello che è il pensiero

dei cittadini: non distruggere il palazzo ma tenere al meglio quello che c’è già.

La domanda che gli abitanti del Nuovo Corviale hanno fin dall’inizio posto agli

artisti, era quella di cambiare l’immagine stereotipata e negativa del complesso

edilizio. Erano stanchi delle critiche e dei continui commenti dei mas media

intorno al presunto “mostro”.

Un interessante intervento di Mauro Martini, presente alle riunioni del

Laboratorio, evidenzia che le cose stavano cambiando da quando i giornalisti

cominciarono a parlare della demolizione dell’edificio.

«Attirati dalle iniziative, sono ovviamente arrivati i giornalisti, convinti di dover

raccontare gli ultimi sussulti del “mostro” lungo un chilometro, destinato alla

demolizione. Ma le cose stavano cambiando. […] questo discredito ingiustificato,

gettato per anni su Corviale, aveva generato nella comunità locale, e tuttora in

parte genera, un senso di diversità, di scarsa autostima. Dunque andava

combattuto.» (Martini M., 2006).

[…] L’insostenibile utopia modernista che ha prodotto questo edificio e la

rappresentazione del complesso abitativo che i media nazionali hanno diffuso

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negli ultimi vent’anni, hanno trasformato Corviale nel simbolo di tutti i problemi

sociali dei centri urbani italiani e ha impedito lo sviluppo di un’immagine

positiva e dinamica del quartiere. (Pietromarchi 2005: 33).

Il progetto Immaginare Corviale rientra nell'ambito di una collaborazione a

lungo termine tra la Fondazione Adriano Olivetti, il Dipartimento XIX del

Comune di Roma per interventi artisti, di analisi e di riqualificazione dello spazio

pubblico di Corviale. Commissionato dall’Assessorato alle Politiche per le

Periferie urbane di Roma, curato dalla Fondazione Adriano Olivetti e realizzato

dal gruppo interdisciplinare Osservatorio Nomade.

Trovare una nuova immagine condivisa del quartiere tramite la demolizione degli

stereotipi maturati nel tempo, individuare una domanda dei cittadini che favorisca

indicazioni per il Programma di Recupero Urbano per la trasformazione dello

spazio pubblico e produrre cittadinanza attiva, sono gli obbiettivi del progetto.

Per inciso dal rapporto annuale della Fondazione Adriano Olivetti:

Obiettivo del progetto è l'individuazione di una nuova immagine condivisa per

l'edificio e di alcune domande della cittadinanza relative allo spazio pubblico che

possano fornire indicazioni progettuali per l'area interessata da un ampio

programma di riqualificazione (Programma di Recupero Urbano). Mettendo in

relazione l'immaginario del luogo, ovvero desideri e proiezioni degli abitanti,

con le ipotesi per la sua trasformazione, Immaginare Corviale si configura come

una pratica di produzione artistica e culturale che diventa strumento di

conoscenza del territorio e di elaborazione di strategie condivise di

riqualificazione. Immaginare Corviale è un progetto su come lo spazio pubblico

viene vissuto, ricordato, immaginato e trasformato e un esperimento produttivo

che coniuga pratiche di progettazione partecipata e di produzione artistica e

multimediale. Il progetto si costruisce anche attraverso il confronto continuo con

il Laboratorio Territoriale del Comune che opera nel quartiere. ( AA.VV, 2003:

49).

L’ente pubblico chiedeva esplicitamente il coinvolgimento degli abitanti nella sua

realizzazione.

La sfida dell’Osservatorio Nomade è stata quella di restituire ai residenti la

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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consapevolezza di vivere in un “luogo eccezionale”. La richiesta avanzata dai

residenti è stata quella della creazione di una nuova immagine per il complesso

abitativo, richiesta intrecciata con il bisogno di un programma di rinnovamento

fisico del complesso. Il progetto, ispirato alla volontà di comprendere come gli

spazi edilizi e gli spazi circostanti sono vissuti immaginati e trasformati.

Di fondamentale importanza è stata la collaborazione con i residenti, che ha reso

possibile l’esplorazione, suggerendo nuove direzioni di ricerca.

Un laboratorio multidisciplinare sullo spazio urbano nel quale convergono le

pratiche di progettazione partecipata e la produzione multimediale e artistica.

Alcuni dei risultati dei laboratori sono stati documentati nel video/racconto di

Michela Franzoso impegnata nel seguire le diverse fasi del progetto che vanno

dall’esplorazione urbana alla creazione della televisione di quartiere con gli

abitanti. Lo scopo era quello di mantenere una memoria del metodo

dell’Osservatorio Nomade che ha rivelato un aspetto del quartiere sconosciuto

anche agli stessi abitanti.

L’applicazione di processi partecipativi e di innumerevoli forme di

coinvolgimento e partecipazione cittadina, hanno permesso di far emergere tre

dimensioni sulle quali la progettazione d’Osservatorio Nomade si è indirizzato:

l’esperienza reale e soggettiva del luogo, l’immagine del luogo e, infine,

l’immaginario e la memoria del luogo.

Queste tre dimensioni hanno dato forma a tre piattaforme: On/UniverCITY,

ON/Field e On/Network41.

Nel 2006 esce il volume “Osservatorio Nomade. Immaginare Corviale. Pratiche

ed Estetiche per la città contemporanea” curato da Flaminia Gennari e

Bartolomeo Pietromarchi. Il volume racconta il progetto realizzato dal 2004 al

2005, sollevando alcuni temi centrali della cultura italiana. Un anno di lavoro                                                             41 Alcune presentazioni del progetto dal 2002 al 2005 sono state: Corviale, Il Serpentone, Presentazione video di Heidrun Holzfeind, Sala XV Municipio, maggio 2002, Roma; Laboratori, spazio pubblico, partecipazione, Presentazione del progetto in occasione dell'inaugurazione della Biblioteca Comunale "Corviale", 22 nov 2003, Roma Corviale; Costellazione Corviale - lucciole di mezzanotte, azione pubblica di illuminazione dinamica notturna,Osservatorio; Nomade per il Roma Troll, 22 aprile 2004, Roma Corviale; 3 giugno 2004 - Notte di luna piena, nell'ambito del progetto IMMAGINARE CORVIALE, 3 giugno 2004, Corviale; Il cinema e i romani dal dopoguerra ai giorni nostri all'ombra del serpentone, Rassegna di videoproiezioni, dal 15 agosto - 18 sett 2004, Giardini della Biblioteca Corviale, Roma Corviale; Vicini Vicini: la prima festa tra vicini di casa, 7 maggio 2005, Roma Corviale; Gallaratese Corviale ZEN, Mostra 19 set - 9 ott 2005, Voltoni del Guazzatoio, Palazzo della Pilotta, in Architettura; Ricchezza e povertà, Festival dell'Architettura 2005, Parma; Immaginare Corviale. Il racconto di un progetto, Roma, Palazzo Venezia - Sala Mappamondo, settembre 2006; nell'ambito del festival "Docfest" presentazione documentario di Michela Franzoso.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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degli artisti, architetti, videomakers e musicisti che insieme agli abitanti del

quartiere, vivendo con loro nell’edificio, hanno portato alla luce contraddizioni e

potenzialità. Tutti i temi sollevati dall’Osservatorio Nomade, attorno a cui sono

stati coinvolti ricercatori e storici, hanno compreso: la natura dello spazio

pubblico, l’analisi storica dell’edilizia pubblica, la dimensione dell’immaginario e

la pratica artistica nei territori urbani in trasformazione.

Le varie tipologie di pratiche artistiche hanno coinvolto il contesto totalmente,

seguendo una logica ben precisa: a partire dalla costruzione di un atlante, dove

sono state raccolte le informazioni; la mappatura generale, che ha costituito

l’ordine dei lavori e infine la fase progettuale. La prima delle piattaforme di

raccolta e coinvolgimento è Corviale UniverCITY, un progetto di formazione che

indaga la realtà fisica dell’edificio per fornire proposte, scenari futuri e progetti,

aperti alla condivisione degli abitanti. Coordinato da Osservatorio Nomade e altri

studi di architettura. Articolato in una serie di workshop destinati a studenti di

architettura di Roma Tre e della Penn State University, Corviale UniverCITY ha

indagato i processi di identificazione e appropriazione del contesto, realizzati

attraverso modificazioni d’uso degli spazi dell’edificio42. Altro obiettivo del

progetto, oltre alla conoscenza dell’edificio, è stato quello di «indirizzare le

appropriazioni dall’ambito privato ad una dimensione più consapevole,

recuperando il carattere sperimentale alla base della progettazione di Corviale,

affiche l’interpretazione di un luogo simbolo dell’architettura moderna diventasse

patrimonio comune per docenti, studenti e abitanti.» (Santori F.G., Pietromarchi

B., 2006: 78).

Per quanto riguarda invece i laboratori e i progetti ON/Field, questi hanno

permesso di collegare i vari aspetti del progetto Immaginare Corviale,

individuando quale filo conduttore, le relazioni con gli abitanti e il loro

coinvolgimento nell’interpretazione dell’edificio. Storie comuni, laboratori

artistici e il Laboratorio Condominiale sono stati buoni punti di partenza per

l’elaborazione di nuove visioni. ON/Field ha inoltre creato uno spazio per lo

scambio di idee dove poter restituire agli abitanti i risultati delle analisi

riguardanti le trasformazioni dell’edificio e dove capire quali adattamenti

spontanei e quali suggestioni visive potessero diventare progetti concreti di                                                             42 Vedi grafico figura x

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gestione condivisa e trasformazione.

Figura15 - Corviale – Immaginare Corviale 2005 – On-Field

In particolare lo studio delle microtrasformazioni del quartiere (viali decorati,

ballatoi ricoloriti, appartamenti ricostruiti, orti urbani etc.) è stato discusso dagli

abitanti ogni settimana, nel Laboratorio Condominiale. Il laboratorio è stato uno

strumento per svelare pratiche di gestione già consolidate, immaginare modalità

di convivenza attuali e individuare forme di auto-organizzazione degli abitanti da

presentare alle istituzioni. Conoscere quindi anche lo stato di fatto delle

microtrasformazioni già operate dagli abitanti.

Il laboratorio condominiale ha inciso sui concreti strumenti di trasformazione del

Nuovo Corviale e sulle modalità di concepire la riqualificazione del quartiere.

Corviale On/Network è invece un concreto esperimento di televisione di quartiere

il cui obiettivo era liberare Corviale dall’immagine negativa di periferia

degradata. Uno strumento di comunicazione del progetto, che diventa

«catalizzatore dell’attenzione pubblica sull’edificio, contribuendo a modificare la

rappresentazione della periferia urbana.» (Santori F.G., Pietromarchi B., 2006:

142). Realizzato con l’aiuto degli abitanti, è stato possibile creare un prototipo di

palinsesto televisivo che ha potuto raccontare Immaginare Corviale e la realtà del

quartiere ribaltando così lo stereotipo negativo.

L’Osservatorio Nomade ha individuato nel lancio di una televisione di quartiere

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uno strumento efficace di coinvolgimento degli abitanti individuando anche

questa nuova immagine o nuova identità del quartiere. La TV di quartiere ha

raccontato la vera realtà del Nuovo Corviale e come essa sia in grado di

modificare la percezione del luogo, un mezzo con cui avviare la trasformazione

dello spazio. Una “telestreet” divenuta un ulteriore strumento di accesso e di

conoscenza delle domande poste dai cittadini per il loro edificio.

«Corviale Network è stato anche un antesignano del fenomeno delle "telestreet"

italiane43, che, dopo una stagione di entusiasmo, ha vissuto un rapido declino,

fatto salvo rinascere, nella declinazione consentita dalle nuove tecnologie, nella

forma, ancora più "locale" e certamente artigianale, ma interattiva, delle “web

tv”44.» (AA.VV., IsCult, 2010: 132).

Figura16 - Corviale – Immaginare Corviale 2005 – On-Network

                                                            43 Sull'argomento, vedi Franco Berardi et al., "Telestreet: macchina immaginativa non omologata", Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2003. 44 Sull'argomento delle web tv nella più recente prospettiva italiana, vedi Giampaolo Colletti, "Tv Fai-da-web. Storie italiane di micio web tv. Le mappe e le istruzioni per fare una tv in casa", Il Sole-24 Ore, Milano, 2010. Va osservato come un medium "mainstraim", qual è la televisione tradizionale, stia attingendo a questo grande "bacino" laboratoriale di linguaggi: si pensi al progetto "Citizen Report" promosso ad inizio 2010 da Rai Educational, basato proprio sul coinvolgimento delle web tv in un programma televisivo "tradizionale".

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La progettazione da parte dell’Università Nomade45 ha individuato quattro

tematiche che offrono la possibilità di relazionarsi con l'intera lunghezza

dell'edificio: il sistema di gallerie e gli spazi per il tempo libero (analizzati da

M2846); il quarto piano occupato (gruppo ellelab47/stalker); il piano terra e le

chiostrine (gruppo maO48); la striscia degli orti urbani che corre parallelamente

all'edificio (nicole_fvr/2A+P49). Quattro studi di architettura50 che hanno

permesso di coordinare altri seminari sui temi degli orti urbani e sul quarto piano

occupato51. «Sulla base di questi dati, alcune idee sono state prodotte sotto forma

di piani, visioni e immagini, capaci di suggerire ed indurre nuovi processi e

trasformazioni, nonché possibili forme di gestione per questo edificio enorme».

(Pietromarchi B., 2005: 66). L'obiettivo è quello di conoscere l'attuale stato

dell'edificio attraverso una mappatura dei diversi spazi che ne mostri i molteplici

usi e le microtrasformazioni operate dai residenti per adattarsi al contesto.

La progettazione finale è stata dedotta grazie a tutti i lavori svolti ma in

particolare alle intuizioni emerse durante il workshop di UniverCITY sulle

microtrasformazioni che hanno coinvolto tutti gli abitanti in particolare gli

occupanti del piano libero e i coltivatori degli orti. Entrambi i percorsi progettuali

si sono sviluppati in stretta relazione con il Laboratorio condominiale e sono stati

determinati per innescare la massima partecipazione degli abitanti e, più in

generale, il radicamento del progetto nel territorio «dall'ambito privato di

affermazione dei propri spazi individuali a una dimensione più consapevole, ma

                                                            45 L'Università Nomade è un agente di ricerca creativa, aperta e dinamica; «una intelligenza collettiva, contestuale e coinvolta nelle situazioni con cui si confronta. L'Università Nomade crea una dinamica di insegnamento ed apprendimento in cui la sperimentazione, il lavoro sul campo e la pianificazione architettonica sono sempre compresenti. Le sfere d'intervento dell' Università Nomade sono gli ambienti incerti, marginali e contesi. Improntata ad una prospettiva principalmente interdisciplinare, L'Università No-made abita, interiorizza e descrive sia criticamente che dinamicamente questi luoghi con lo scopo di contribuire ad una loro evoluzione creativa.» (Pietromarchi B., 2005: 57). 46 Fondato nel 2002 da Fabio Martellino, Vincenzo Paolini e Fabrizio Lazzarin. 47 Fondato nel 2003 da Sara Braschi, Maria Teresa Bruca, Eleonora Crosta. Collabora con L’Osservatorio Nomade. 48 Fondato a Roma nel 1996 ma Massimo Ciuffini, Ketty Di Tardo, Alberto Iacovani e Luca La Torre. 49 Studio di Architettura fondato nel 1998 da Gianfranco Bombacci. 50 Microtrasformazioni su : Ballatoi; Viale Corviale; Workshop stile libero; Orti urbani. Per un approfondimento sulle progettazioni specifiche si rimanda al testo Santori F.G., Pietromarchi B., 2006, Osservatorio Nomade. Pratiche ed estetiche per la città contemporanea, Mondadori, Roma (pp 91-103). 51 Piano che doveva essere destinato a servizi e secondo l’ultimo Contratto di Quartiere si prevede un cambio di destinazione d'uso da servizi in abitazione.

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anche immaginifica, di creazione di spazi sociali e pubblici» (Palumbo M., 2004).

I due contesti (sociale e pubblico) sono stati scelti poiché rappresentano gli ambiti

di massima trasformazione del contesto ma anche come soluzioni progettuali

innovative da far recepire al Contratto di Quartiere per il piano libero e il

Programma di Recupero Urbano per gli orti.

Figura 17 - Corviale – Immaginare Corviale 2005 – On-univerCITY

L’intervento dell’Osservatorio Nomade a Corviale è stato definito da alcuni come

un esempio attuale di ipotesi di “rapporto sociale attraverso l’ente pubblico”, altri

come un progetto di “community art”; l’Osservatorio Nomade in realtà ha scelto

una strada diversa, cioè quella di individuare strumenti di produzione insieme e in

comune agli abitanti come la televisione, i temi di progettazione e l’analisi

dell’edificio. Gli artisti coinvolti sono stati: il gruppo Stalker; Mario Ciccioli;

Cesare Pietrogiusti; Matteo Fraterno; goldiechiari; Armin Linke.

Il gruppo ha adottato approcci sperimentali basati sulla progettazione, sull'ascolto

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e sulle pratiche attivate dall'interazione creativa con il territorio, con gli abitanti e

con la memoria collettiva. Queste pratiche ed approcci sono mirati allo sviluppo

di processi evolutivi di auto-organizzazione, nei contesti in cui se ne avverte una

mancanza, determinata dal senso di abbandono e di difficoltà, attraverso la

struttura delle relazioni sociali e ambientali. «Questo metodo non è solo un nuovo

strumento per lo sviluppo delle conoscenze, ma promuove un approccio più

cosciente al territorio vissuto da parte della popolazione così da creare una

maggior partecipazione creativa nella gestione di questioni territoriali e

urbanistiche.» (Osservatorio Nomade, 2005: 32)

La modalità operativa, oltre ad essere un inedito strumento di conoscenza,

contribuisce a promuovere la diffusione di una più ragguardevole consapevolezza

della popolazione nei confronti del proprio territorio e quindi ottenere più efficaci

feedback di partecipazione mirando allo sviluppo di processi di auto-

organizzazione avendo l’obiettivo di contrastare il senso di abbandono e di

difficoltà attivando nuove relazioni sociali ed ambientali.

Il lavoro svolto dagli artisti dell’Osservatorio Nomade è stato soprattutto di

indagine, anche attraverso strumenti ludici che mettessero in luce la dimensione

fisica e simbolica dell’edificio, rilevandone elementi inaspettati, tanto di criticità

quanto di ricchezza.

Gli artisti hanno lavorato con tre strumenti:

1) laboratorio sulla memoria e lo spazio pubblico;

2) la produzione, assieme agli abitanti, di due eventi collettivi, metafore dei miti

del quartiere che mettano in luce usi possibili dell’edificio;

3) la documentazione dell’intero progetto in un film che ricompone i diversi piani

del progetto attraverso un registro narrativo non riconducibile né al video d’arte

né al documentario, pur comprendendo entrambe le prospettive. «Destinatari di

Immaginare Corviale sono in primo luogo gli abitanti, invitati e coinvolti a

condividere le loro idee ed expertise rispetto all’edificio.» (AA.VV., 2003: 49)

Il ruolo che l’Osservatorio Nomade ricopriva era quello di mediare il lavoro tra

Comune e artisti, incanalizzandolo in una precisa logica di progettazione creativa,

cercando di mantenere quell’equilibrio fra ricerca ed espressione creativa.

Ad esempio la connessione dei temi sostenuti tra il Laboratorio condominiale e

l’Osservatorio: progettazione di orti urbani e il lavoro sul quarto piano occupato e

iniziative del Comune di Roma come il Programma di Recupero Urbano ed il

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Contratto di Quartiere, sono il risultato di un iniziale scambio di informazioni. Tra

le molte opere pubbliche finanziate al PRU “Corviale” è di fatto inserita la

realizzazione del progetto “Orti Urbani”, sia come intervento di riqualificazione

sia come attivazione controllata di un fenomeno che in parte già si è insediato

spontaneamente.

Gli architetti e gli artisti dell’Osservatorio Nomade hanno saputo intercettare i

soggetti che si occupavano della realizzazione degli orti spontanei, per definire

insieme a loro, in modo creativo e partecipato, uno scenario di trasformazione

condiviso da proporre successivamente al Comune di Roma. Altri artisti hanno

lavorato con gli occupanti del quarto piano per formulare una proposta progettuale

condivisa che migliorasse l’attuale proposta progettuale dell’Ater nell’ambito del

finanziamento del Contratto di Quartiere II.

Il gruppo dell’Osservatorio Nomade si pone apertamente per accogliere altri

gruppi, individui e collaborazioni a livello nazionale ed internazionale in maniera

flessibile, come d'altronde lascia intuire l’ampia progettazione dei vari progetti

soprannominati ON/Salento, ON/Libetta o ON/Corviale, hanno affrontato una

metodologia interdisciplinare applicata a strumenti flessibili. Un network, che in

funzione dei progetti scelti, concentra le attività su realtà territoriali diverse.

(Figura 18, pp. 102).

Nell’idea di ON/Corviale, nella sua fase preliminare, è stata prevista un

attraversamento dell’edificio come analisi conoscitiva del luogo. Cogliere le

problematiche degli spazi per poi avvicinarsi agli abitanti del Nuovo Corviale in

maniera più consapevole. Il gruppo ha fatto leva sulla partecipazione come

strumento e finalità progettuale.

L’Osservatorio Nomade e gli Stalker52, hanno impiegato tutto il loro impegno per

promuovere e realizzare le loro idee creative. Si sono mossi coordinati al

Laboratorio territoriale e sono stati però penalizzati dalla tempistica della

convenzione con il Comune di Roma che stringeva sui tempi, soffrendo così di

                                                            52 Stalker è un soggetto collettivo composto da artisti ed architetti, nato nel 1995. il gruppo effettua delle ricerche e azioni sul territorio con particolare attenzione alle aree di margine e ai vuoti urbani in via di trasformazione. «Dal 2001 Stalker promuove Osservatorio Nomade, un network transdisciplinare in grado di integrare conoscenze e linguaggi capaci di captare, attraverso sguardi e relazioni incrociate, gli aspetti sommersi inerenti la complessità del territorio metropolitano. La modalità di intervento dell’Osservatorio Nomade è “sperimentale, fondata su pratiche spaziali esplorative, di ascolto, relazionali, conviviali e ludiche, attivate da dispositivi di interazione creativa con l’ambiente investigato, con gli abitanti e con gli archivi della memoria.» (Lorenzo Romito – www.situa.to) (per un approfondimento di rimanda al sito www.osservatorionomade.net/tarkowsky/tarko.html)

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una libertà “vigilata”. Il rapporto committente-artista, in caso di arte pubblica

partecipata, implica un certo grado di controllo da parte delle istituzioni.

«L’esperienza di Corviale è un punto di partenza per una necessaria riflessione sul

ruolo che può rivestire l’amministrazione “committente” di progetti di arte

pubblica, affinché la libertà degli artisti non sia troppo vigilata e le esigenze

dell’amministrazione e della cittadinanza siano comprese e interpretate dagli

artisti che operano sul territorio.» (Martini M., 2006).

Come denota l’architetto Mauro «quando si fa arte pubblica, o comunque arte

finanziata pubblicamente bisognerebbe scindere alcune cose. Voglio dire che, se

un artista sta nel suo atelier si fa una sua scultura se la vende, e questa scultura va

a finire in casa di qualcuno, non c’è un’implicazione sociale, diventa un “fatto

privato”. Nel momento in cui si fa un’attività di tipo artistico che implica il

coinvolgimento dei cittadini con musica, occupazione di suolo, produzione di

immagini all’interno di un quartiere, diventa allora di interesse pubblico, supera la

soglia della libertà totale dell’artista e di fare quello che vuole, perché, ad

esempio, se poi il quadro lo vende o non lo vende o se lo tiene, c’è un livello

talmente privato dell’operare dell’artista su cui ha il 100% di libertà.

Nel momento in cui va a lavorare all’interno di un quartiere ha naturalmente la

sua libertà, però bisogna anche valutare le conseguenze che i suoi atti possono far

derivare, una loro inadeguatezza rispetto alla complessità della situazione in cui si

vengono a trovare […]». (Appendice).

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Figura 18 - Digramma del progetto, a cura dell’Osservatorio Nomade

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3.2.3 L’Osservatorio Nomade, le sperimentazioni e le applicazioni su Corviale Il gruppo Osservatorio Nomade nasce nel 1995 su iniziativa del gruppo Stalker. I

promotori del collettivo Francesco Careri, Aldo Innocenzi, Romolo Ottaviani,

Giovanna Ripepi, Lorenzo e Valerio Romito, hanno trattato il complesso di

Corviale trasversalmente, utilizzando strumenti di vario genere legati al mondo

dell’arte e dell’architettura. La caratteristica dell’azione del collettivo è quella di

essere creativa ed armonica con i processi di pianificazione in atto, si servono di

forme artistiche ispirate a pratiche antiche di esplorazione del territorio.

L'approccio nomade, cardine delle loro azioni, trova le sue radici nelle riflessioni

di Costant53 (Sepe, 2007: 81) e nei percorsi dei situazionisti e si fonda sullo studio

del territorio basato sulla conoscenza attraverso l'esperienza diretta. (Andreotti,

Xavier, 1996; Careri, 2001; Debord, 1997) ( Sepe 2007: 81).

Il primo workshop, organizzato dal gruppo dell’Osservatorio ha previsto un

attraversamento del territorio romano dalla sede dell’Osservatorio Nomade del

quartiere di Ostiense fino al Nuovo Corviale. Il responsabile del progetto,

Francesco Careri, ha accompagnato un gruppo di studenti lungo tutto il percorso.

Momenti particolari fatti di osservazioni e foto. Una passeggiata durata poco più

di sei ore con lo scopo di conoscere, come dice F. Careri (2006b) «il qui e ora del

territorio».

Il metodo di indagine è quello di individuare nuove categorie operative per

l'architettura e l’arte attraverso azioni che percorrono la realtà, camminando, per

pensare e organizzare lo spazio, senza controllo e prevedibilità, per affrontare la

città nomade, fatta di luoghi “di transito e in transito”, una sorta di “arcipelago di

geometrie mobili”.

Scrive Careri (2006a: 6-7): «Tra le pieghe della città sono cresciuti spazi in

transito, territori in trasformazione continua nel tempo. È in questi territori che

oggi si può superare la millenaria separazione tra spazi nomadi e spazi sedentari.

Il nomadismo in realtà ha sempre vissuto in osmosi con la sedentarietà e la città

                                                            53 Constant. - Pseudonimo dell'artista Constant Nieuwenhuys. Esponente del gruppo COBRA (1948); le sue opere rivelano un'approfondita ricerca delle ragioni stesse del fare artistico e delle sue motivazioni sociali, affrontate con idealismo utopico. Fedele per istinto a un'improvvisazione di tipo informale, è passato attraverso varie fasi decantando la forma, ma mantenendone la tensione dinamica. Vicino al Mouvement International pour un Bauhaus Imaginiste (1955), si è interessato all'urbanistica teorizzando un “urbanisme unitaire” come funzione coordinata di arte e scienze (progetti per New Babylon).

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attuale contiene al suo interno spazi nomadi (vuoti) e spazi sedentari (pieni), che

vivono gli uni accanto gli altri in un delicato equilibrio di reciproci scambi. Oggi

la città nomade vive all'interno della città sedentaria, si nutre dei suoi scarti

offrendo in cambio la propria presenza come una nuova natura che può essere

percorsa solamente abitandola».

Gli Stalker hanno analizzato ed esplorato i territori attraversandoli a piedi in modo

da non ricevere influenze esterne e poter partecipare alle loro dinamiche: «è un

tipo di ricerca nomade, tesa a conoscere attraversando, senza dover

necessariamente definire l'oggetto del conoscere, perché l'atto dell'attraversare è

già un atto creativo (Barbara, 2000: 90-91)».

«Attivare le percezioni disponendosi all'ascolto, è la condizione necessaria

affinché i territori si rivelino a chi li vuole attraversare, e i vuoti incontrati

costituiscono lo sfondo sul quale leggere la forma della città che altrimenti

apparirebbe omogenea, priva di dinamiche evolutive complesse» (Sepe, 2007:

83). L'agglomerato urbano è sperimentato come una grande mappa cognitiva che

viene aggiornata con il continuo attraversamento: la realtà attraversata è percepita

misurandosi con una modalità dinamica capace di sezionare il disegno articolato

del paesaggio in tanti possibili percorsi, ognuno diverso dall'altro.

La conoscenza dell’approccio Stalker può avvenire solo per esperienza diretta,

attraverso l'uso della testimonianza piuttosto che della rappresentazione.

È in questo modo che l’Osservatorio Nomade nelle esplorazioni urbane fatte con

Stalker a metà degli anni 90’, guardando ai “vuoti” del territorio romano, come il

giro di Roma a piedi intorno al Raccordo Anulare svolto nel 1995, dove per la

prima volta viene usato il nome ‘Stalker’ allo scopo di connotare il gruppo e

dichiararne l'esistenza, ha indagato ed esplorato il territorio. Operazioni che

hanno coinvolto sia i membri che gli amici, per interessi, esperienze e affinità

come ‘Vivilerive’, svolta nel 1993 sull'argine destro del Tevere tra ponte Marconi

e lungo Tevere dei Papareschi. «Per un'intera settimana di luglio l'area venne

occupata per realizzare un giardino abusivo che vide protagonisti decine di artisti,

architetti ma soprattutto abitanti del quartiere nell'intento di liberare quel pezzo di

Tevere preso in ostaggio dal degrado e dagli interessi privati.» (Stalker, 1998). Lo

scopo finale diventava quello di dare una possibilità di fruire di quegli spazi

abbandonati che non passasse necessariamente per la loro "trasformazione" o

"riqualificazione", che non desse nessun appiglio a speculatori edili. L'anno

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seguente sempre sul Tevere, si replica l'esperienza dal nome ‘Alquantara’ che

coinvolse più persone. Evento ricco di installazioni, cinema, teatro e persino uno

stabilimento balneare, tutto grazie all’aiuto e all’impegno di centinaia di persone.

«Prima di elaborare complicati progetti architettonici per la tutela e la

rivitalizzazione del Tevere, c'è bisogno di reinnestare nella memoria e nella

sensibilità di ciascuno il rapporto con il fiume» (Gruppo Stalker, 1994).

In queste esperienze “nomadi”, gli Stalker ritrovano il senso dell’esplorazione e

del contatto diretto con il territorio.

Si erano interessati ai “vuoti”, ma poco attratti dai “pieni”. Corviale e gli altri

quartieri di edilizia popolare erano solo punti di riferimento geografici durante le

derive, come li definisce Francesco Careri «costellazioni ordinate in un planisfero

caotico» (F. Careri, 2006: 82).

Il gruppo ON/Stalker54 conduce ricerche e azioni sul territorio, con particolare

attenzione alle aree di margine e ai vuoti urbani, agli spazi abbandonati o in via di

trasformazione. Tali indagini si sviluppano su diversi piani, attorno alla

praticabilità, alla rappresentazione e al progetto di questi spazi da loro chiamati

‘Territori Attuali’55. Il gruppo adotta approcci sperimentali basati sulla

progettazione, sull'ascolto e sulle pratiche attivate dall'interazione creativa con il

territorio, con gli abitanti e con la memoria collettiva. Queste pratiche ed approcci

sono mirati allo sviluppo di processi evolutivi di auto-organizzazione, nei contesti

in cui se ne avverte una mancanza, determinata dal senso di abbandono e di

difficoltà, attraverso la struttura delle relazioni sociali e ambientali. «Questo

metodo non è solo un nuovo strumento per lo sviluppo delle conoscenze, ma

promuove un approccio più cosciente al territorio vissuto da parte della

popolazione così da creare una maggior partecipazione creativa nella gestione di

                                                            54 Il nome Stalker proviene dall'omonimo film di Andrei Tarkovskij del 1979, che si svolge nella zona mutante, un territorio in cui la natura, in seguito all'atterraggio degli extraterrestri, ha preso una propria evoluzione autonoma. 55 “Aree interstiziali e di margine, spazi abbandonati o in via di trasformazione. Sono i luoghi delle memorie rimosse e del divenire inconscio dei sistemi urbani, il lato oscuro delle città, gli spazi del confronto e della contaminazione tra organico e inorganico, tra natura e artificio.” (citazione dal manifesto Stalker – www.osservatorionomade.net/tarkowsky/manifesto/manifest.htm). “Stalker, attraverso i Territori Attuali” è il titolo della prima deriva suburbana condotta dal Laboratorio. Riprendendo il concetto di “territorio inconscio” dei surrealisti e di “terreno passionale oggettivo” dei situazionisti, Stalker ha condotto i propri percorsi erratici apportandovi il concetto di “territorio attuale” di Robert Smillison Ietto nella chiave di Foucault (1994: 53). per cui l'attuale «non è ciò che noi siamo, ma piuttosto ciò che diveniamo, ciò che stiamo diventando, ossia l'altro, il nostro divenir-allro» (Careri, Walkscapes, op. cif. 153).

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questioni territoriali e urbanistiche.» (Osservatorio Nomade, 2005: 32)

La modalità operativa, oltre ad essere un inedito strumento di conoscenza,

contribuisce a promuovere la diffusione di una più ragguardevole consapevolezza

della popolazione nei confronti del proprio territorio e quindi ottenere più efficaci

feedback di partecipazione creativa nella gestione delle problematiche territoriali e

urbanistiche.

Il collettivo nomade attraverso Corviale UniverCITY ha esplorato l’edificio con la

stessa attitudine che aveva avuto per i “vuoti”, lo hanno mappato come se fosse un

“Territorio Attuale” a più piani.

Come dichiara sempre Francesco Careri (2006b): «le microtrasformazioni sono

tattiche di sopravvivenza indotte dai molti errori progettuali. […]. Le

trasformazioni hanno agito a più scale: le macrotrasformazioni degli abusivi,

come l’intero sistema del quarto piano e la fascia degli orti, entrambe con

caratteristiche sia di bonifica che di esclusione e indebita appropriazione. […]. Le

microtrasformazioni oltre ad essere un indice di come gli abitanti rispondono

all’imposizione dall’alto, sono indizi e suggerimenti per i futuri interventi

sull’edificio.»

L’approccio creativo intrapreso dall’Osservatorio Nomade è riuscito a tradurre il

comportamento degli abitanti che, reagendo al fallimento dell’architettura, sono

stati costretti ad auto-organizzarsi. Il gruppo ha tentato di aiutare i loro processi

guidandoli in un percorso che sia in grado di stimolarli e renderli attivi su ulteriori

forme di partecipazione condivisa e auto-organizzazione organizzata.

L’approccio creativo dell’Osservatorio Nomade funge da canale e trasmettitore di

informazioni utili ai fini progettuali e al Programma di Riqualificazione Urbana.

Come sottolinea il promotore dell’Osservatorio Nomade: «Siamo convinti che

un’architettura sperimentale come Corviale abbia bisogno di nuove

sperimentazioni interdisciplinari tra arte e architettura, di grandi visioni futuribili

fondate questa volta sulla quotidianità e non sulla monumentalità […] Corviale

UniverCITY è un invito a continuare a proiettare visioni su questa incompiuta

città ideale che è sopravvissuta eroicamente al moderno e che ha sicuramente

ancora bisogno di immaginazione, di creatività, di architettura.»

Il progetto Immaginare Corviale ha mostrato come l’amministrazione sia in grado

di affrontare contesti difficili come il Nuovo Corviale, come le università possano

affrontare temi centrali come quello della cultura e come le discipline urbane e le

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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ricerche artistiche si possano incrociare sperimentando nel vivo della città.

Figura 19 - Roma -Valle Aurelia – Gruppo Stalker in esplorazione - domenica 8 ottobre 1995

Figura 20 - Corviale UniverCITY – progetto dell’Osservatorio Nomade a Corviale - 2005

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3.2.4 Un percorso tra Arte e Riqualificazione Urbana

Nel 2003, all’inizio della collaborazione tra la Fondazione Adriano Olivetti e il

Comune di Roma si era avviata un’operazione innovativa rispetto alle pratiche

ordinarie di intervento artistico. La meditazione prolungata nel tempo, la

responsabilità e l’azione di più attori sono stati i presupposti che hanno contribuito

a connotare l’intervento a Corviale.

Il progetto si è articolato su due livelli paralleli di intervento artistico: da un lato la

presenza costante sul territorio (il workshop di Corviale UniverCITY, i

Laboratorio artistici, le riunioni di redazione di Corviale Network, il Laboratorio

condominiale) e dall’altro la comunicazione, prima di tutto con il quartiere e poi

con la città.

Il primo obiettivo è stato quello di invertire la marcia dei mass media che hanno

da sempre rappresentato il Nuovo Corviale come catalizzatore di negatività. Il

secondo obiettivo è stato invece quello di produrre una rappresentazione di

Corviale condivisa da chi lo vive e indirizzata all’esterno.

Immaginare Corviale ha messo in campo varie forme di comunicazione create

dagli artisti e sostenute dal Comune e dalla Fondazione. L’innovazione primaria è

stata quella creata dall’Osservatorio Nomade nell’ideazione di un modo diverso di

raccontare l’edificio.

Ad esempio Corviale Network ha dotato gli abitanti-cittadini di una telecamera,

per raccontarsi e rappresentarsi all’esterno. Da qui i programmi di intrattenimento:

un piatto - un ritratto, le Inchieste sugli ascensori, i Reportage sui workshop di

Corviale UniverCITY e i resoconti del laboratorio condominiale.

I progetti hanno avuto un effetto positivo sull’immagine del quartiere. I media

nazionali parlavano di Corviale come “luogo di sperimentazione” e a dirlo era il

giornalista Paolo Boccacci in un articolo della Repubblica del 19 aprile del 2004

dal titolo La rinascita di Corviale, opere d’arte e una tivù nel serpentone di

cemento. Altri articoli di cronaca locale indicavano il progetto come “un

laboratorio permanente di produzione artistica”; come un “tentativo di valorizzare

le capacità progettuali degli abitanti ma anche di dare ad un luogo così complesso

una nuova identità” come dice l’articolo di R. Ash ne “Il Sole 24 Ore” del 20

giugno 2004 dall’articolo La Street tivù di Corviale viaggia in cassetta.

Il lavoro su campo non si è limitato solamente alla sfera della comunicazione, ma

è stato proseguito portando effettive proposte progettuali rapportabili in concreti

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processi di trasformazione come il programma di recupero urbano per gli orti e il

Contratto di Quartiere per il quarto piano.

Da un’intervista a Mariateresa Bruca, (allora responsabile dei lavori e della

mappatura del Quarto Piano del nuovo Corviale e rappresentante del gruppo

ellelab), si deduce che il CdQ II è stato redatto in parallelo con le progettazioni di

Immaginare Corviale. Un lungo lavoro durato più di un anno insieme agli abitanti

di Corviale. Il quarto piano, in seguito al fallimento progettuale che prevedeva

l’inserimento dei servizi, è stato occupato adibendo gli spazi in alloggi, a spazi di

soggiorno e a giardini pensili. «Nel fare la mappatura ci siamo accorti di come era

avvenuta questa occupazione. La maggior parte degli occupanti erano persone

cresciute a Corviale, figli degli assegnatari degli alloggi degli altri piani, non

avendo trovato una casa sul mercato hanno occupato questi spazi vuoti ricavando

un alloggio.» (Appendice). L’inserimento nel CdQ dei dati e delle riflessioni

raccolte dall’esperienza Immaginare Corviale verranno inseriti in una seconda

fase. «Parallelamente, finito il progetto, noi di ellelab ci siamo continuati ad

occupare del quarto piano, avendo istaurato un rapporto di collaborazione con gli

abitanti del quarto piano, che nel frattempo avevano costituito il comitato Piano

Occupato, e visto che parallelamente a Immaginare Corviale era partito il

Contratto di Quartiere, abbiamo pensato di collaborare con loro spontaneamente

una proposta di progetto da presentare alle istituzioni. […]. Quindi, di fatto, quello

che è venuto fuori, attraverso il progetto Immaginare Corviale, ha avuto una

prosecuzione all’interno del CdQ II e dei programmi istituzionali. […]. La

progettazione esecutiva è stata conclusa e consegnata. Pronta per essere mandata

in gara. In questo moneto le gare sono state bloccate, ma noi speriamo che al più

presto ci sia modo di attuare quello che il CdQ II prevede e di regolarizzare gli

alloggi. […]. Il lavoro svolto da Immaginare Corviale si è comunque inserito nei

processi di trasformazione per quanto riguarda il CdQ II. Adesso si spera che il

lavoro non sia stato del tutto vano.» (Appendice)

Tutti i finanziamenti pubblici dei CdQ sono ancora disponibili alla Cassa dei fondi

prestiti. Alcune iniziative private sono andate avanti sia nel CdQ sia nel PRU.

Molte delle prospettive progettuali maturate durante l’esperienza Immaginare

Corviale, come conferma il responsabile del Laboratorio Territoriale Mauro

Martini sono rimaste ancora sulla carta.

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I cittadini invece «sono stati molto spiazzati dall’idea che la nuova giunta

regionale ha detto: demoliamo Corviale! E arrivederci e grazie... quindi sono

dovuti tornare indietro di dieci anni e ricominciare, non da che cosa si fa, dal

punto di vista artistico, ma a difendere Corviale.» (Appendice)

L’abbattimento non è stato voluto, quindi il recupero dell’edificio, visto nel

quadro delle misure intraprese negli anni ’90 e nelle scelte politiche del Comune

di Roma attuali, ha avuto la caratteristica di avere interventi integrati che hanno

tentato di innescare effetti che tenessero attiva la cittadinanza, anche in fase post-

progetto, in una prospettiva di sviluppo locale, piuttosto che imporre solo

interventi distruttivi che portano alla repressione di fenomeni degenerativi.

In definitiva come afferma Mauro Martini: «è molto di più quello che di Corviale

è rimasto nella mente e nel cuore, nell’esperienza degli artisti che lo hanno

frequentato, di quanto loro stessi abbiano lasciato sostanzialmente a Corviale o di

quanto Corviale abbia ancora tracce di quell’evento di sei anni fa. Mentre tutti gli

artisti, che ogni tanto ho ricontattato e ancora sento, parlano con grande interesse

di questa loro esperienza, i cittadini invece non ne parlano affatto, quindi questo

servirà a riflettere sul senso delle cose.» (Appendice)

La progettazione partecipata ha sviluppato in questo quadro di sperimentazione,

un modo originale ed efficace di innescare processi creativi ed innovatovi ma che

purtroppo con il passare del tempo non ha prodotto in Corviale un attecchimento o

un cambiamento di tipo culturale.

Secondo Mauro Martini, esiste l’esigenza di una seconda stagione forte

dell’esperienza fatta e anche del clima che sta cambiando. «Sfruttare le direttive

europee sui Fondi Strutturali 2014-2020 che stanno per arrivare a sostegno delle

politiche economiche dei vari stati e che sono orientati a sostenere la creatività.

Tutti i quartieri e le città che dimostreranno di avere una vitalità culturale, creativa

ed artistica, associata possibilmente ad un’attività di innovazione produttiva,

saranno premiate e in questo senso aver fatto dei tentativi di attecchimento di arte

in periferia può essere una delle condizioni per verificare se c’è un futuro più

stabile dal punto di vista delle frequentazioni artistiche delle periferie.»

Esiste l’esigenza di una struttura, da dare a questo tipo di sperimentazioni.

Professionisti del settore artistico che sono in grado di sperimentare la creatività e

l’arte pubblica partecipata. Senza la professionalità vengono a mancare i giusti

equilibri tra azione e ricerca e tra artisti e istituzione. Rapporti che andrebbero

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regolarizzati a priori.

Immaginare Corviale è stato un progetto che ha avuto il suo percorso sviluppato

in preciso arco temporale, e che ha avuto un finanziamento terminato il quale è

terminato anche il progetto. L’iniziativa culturale ed artistica più rilevante è stata

la creazione di Corviale Network. Dove la Fondazione Adriano Olivetti ha avuto

la cura di mettere a disposizione soggetti qualificati: un regista, degli operatori

capaci di fare delle riprese, persone che hanno scritto un palinsesto ecc...

«[…] Una volta finita l’iniziativa finanziata […], gli abitanti non hanno preso la

palla al balzo è hanno continuato. Gli abitanti di Corviale, specialmente i giovani,

non hanno cultura di impresa, non sono mai stati abituati a pensare che loro

possano mettere su un’impresa, quello che chiedevano era: chi ci assume? Quanto

ci piace fare i dipendenti di una TV privata, ci assumete? Avevano un

atteggiamento di tipo passivo, non hanno la forza né il coraggio per mandare su

un’iniziativa d’impresa. Questa è stata un’altra delle cose su cui bisognerebbe

lavorare.» (Appendice: Mauro Martini). I costi delle “animazioni” e della

partecipazione non potevano esser prolungati nel tempo, idee politiche diverse e

nuove decisioni verranno prese per Corviale.

Questo lungo percorso che è avvenuto tra arte e riqualificazione urbana ha visto

protagonisti molteplici attori provenienti da diversi campi di studio. Un percorso

nel quale si sono intrecciate idee ai fabbisogni degli abitanti e soluzioni da parte

delle istituzioni e degli artisti. Di fondamentale importanza è stata la fase di

accompagnamento dei mediatori nel processo che diventa l’unica e sola vera parte

determinante dell’intero progetto Immaginare Corviale. Esperienza che ha

permesso di cogliere nuovi stimoli e nuove idee, sia per nuove sperimentazioni

culturali da applicare in futuro, sia per coglierne il senso della partecipazione

multidisciplinare. In generale si può affermare che in un percorso quello che conta

non è sempre il risultato, ma il cammino durante tutto il processo. Immaginare

Corviale penso che lo abbia dimostrato. Secondo gli esperti di IsCult (2010) «i

risultati del progetto sono stati indubbiamente significativi ed hanno generato un

modo diverso di rapportarsi a Corviale. Ancora oggi, nella letteratura scientifica

in materia di politiche culturali innovative e di sperimentazione artistica sul

territorio, l’Osservatorio Nomade di Corviale appare come un’esperienza

stimolante, e si lamenta unanimemente l’interruzione del progetto».

La presenza dell’Osservatorio Nomade ha permesso di osservare il contesto in

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maniera trasversale. Un ambito di sperimentazione culturale che và sicuramente

maturato e analizzato. Come afferma il responsabile dei processi artistici

dell’Osservatorio Lorenzo Romito: «debbo dire che diverse esperienze di

partecipazione passate ma anche recenti hanno dimostrato che l’arte e gli artisti

sono diventati i nuovi protagonisti o il nuovo strumento che serve a dare

credibilità ad alcuni processi, lì dove per decenni, non hanno mai funzionato.

Ecco, quindi stare da quella parte, cioè dalla parte dell’artista, a mio modo di

vedere, non è bello, e infatti ci siamo voluti sottrarre. Ma oggi abbiamo maturato

con più chiarezza questo processo artistico avvenuto a Corviale, ne abbiamo fatto

oggetto di riflessione e di studio. […] L’unica esperienza che mi è rimasta nel

cuore è sicuramente la creazione di Corviale Network, è stata giocosa, divertente

e coinvolgente. Strumento messo nelle mani di chi a volte si sente “incapace di

fare qualsiasi cosa” come i cittadini.» (Appendice).

Il gruppo dell’Osservatorio Nomade era pronto a mantenere la posizione sul

territorio ed era pronto a produrre ancora feedback positivi sul territorio, ma

successivamente si interruppe il rapporto con il Comune di Roma. La fine del

progetto è lamentata da diverse voci di professionisti che vorrebbero un'altra

stagione per rinnovare le progettazioni, nuove delle idee maturate fini ad oggi.

Questo tipo di sperimentazione culturale è risultata interessante e coinvolgente sia

nella misura in cui si è dimostrata efficace nella partecipazione con i cittadini, sia

nello sperimentare nuove forme di progettazione per la riqualificazione dei

quartieri degradati. Ad oggi vanno maturate e analizzate molte idee per ovviare a

problemi che potrebbero verificarsi in futuro. La cultura, quale punto centrale

delle nuove politiche europee dovrebbe far riflettere sulle possibilità e sulle

capacità amministrative di saper sperimentare nuove pratiche e politiche per il

territorio.

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3.2.5 Riflessioni conclusive

Mi risulta infine dare delle riflessioni critiche per quanto riguarda i linguaggi

adoperati dall’Osservatorio Nomade che ricadono su un approccio essenzialmente

multidisciplinare ed esplorativo, (vedi paragrafo 4.2.3 L’Osservatorio Nomade le

sperimentazioni e le applicazioni su Corviale) linguaggi capaci di fare emergere

benefici a carattere immateriale, in quanto lo spazio pubblico diventa tale

mettendo all’operato persone, opportunità e interessi comuni. Il gruppo ha cercato

di individuare fin dalla fase iniziale del progetto Immaginare Corviale, tutte le

potenzialità del contesto e in particolare l’individuazione di microtrasformazioni

dello spazio pubblico che evidenziano le “tattiche di sopravvivenza indotte dai

molti errori progettuali” (Careri F. 2006b). Successivamente il coinvolgimento e

l’incrocio con altre professionalità ha portato a costruire network temporanei utili

per l’interazione collettiva con il Laboratorio Territoriale: processi che hanno

avuto più di un fine progettuale e trasformativo di proiezione futura (considerando

i finanziamenti legati al ‘PRU Corviale’ e al ‘CdQII’). Ed è proprio in questa fase

che si sono create confusioni e sovrapposizioni di linguaggi. ‘L’Osservatorio

Nomade’, pur avendo creato dei legami con i cittadini, coinvolto diversi ambiti

disciplinari e cercato di interagire con i processi partecipativi in atto del

Laboratorio Territoriale, ha adottato una metodologia che, a mio parere, non ha

portato i risultati previsti se non quelli legati al progetto artistico in sé. Le

difficoltà dell’operato dell’Osservatorio Nomade ricadono nel non aver avuto la

possibilità o il tempo di far maturare i fattori culturali nelle politiche urbane in

atto, anche se hanno alimentato i finanziamenti per il CdQ II e il PRU Corviale.

Aver analizzato un caso come Immaginare Corviale è stato utile proprio in virtù

di aver considerato sia gli errori sia gli spunti progettuali come, forse, utili

riflessioni per prossime progettazioni sperimentali in ambito culturale, poiché

deduco, dopo le varie esperienze analizzate, che la sperimentazione culturale è

sicuramente un importante anello del motore della pianificazione strategica.

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4. L’arte come “strumento per..” Riassumendo quanto detto, il ruolo della cultura diventa cardine per la

sperimentazione culturale sviluppando esperienze innovative sul tema della

riqualificazione urbana. Inserendosi in una pianificazione di tipo strategico,

integrato e partecipato, ha caratterizzato il contesto romano ed in particolar modo,

da più tempo, il contesto torinese.

L’arte quindi, secondo le accezioni finora descritte, identificabili nella pratica

estetica ed artistica, si è posta non solo come fattore di integrazione fra linguaggi

e culture diverse nello spazio pubblico, (che a nostro avviso necessita di una

“traduzione” ponendo l’arte come facilitatore, fattore d’interpretazione,

esplorazione e mediazione) ma anche come ‘strumento’ per il rafforzamento delle

politiche urbane (inteso come «mezzo per» e non come «mezzo

strumentalizzato»). «Gli interventi artistici quindi come pratiche che possono

aggiungere elementi per la progettazione di politiche innovative che attingono da

un approccio sperimentale, episodico, a volte effimero» (Inguaggiato, 2009b:

233).

Non bisogna quindi considerare la strumentalizzazione dell’arte bensì la sua

capacità di creare linguaggi maggiormente comprensibili per la sollecitazione

dell’immaginario collettivo; porsi nella parte preliminare del processo, stando alle

premesse delle soluzioni tecniche, elaborando idee, ponendo interrogativi,

sviluppando ipotesi creative capaci di creare curiosità esplorativa; nella capacità

di produrre spazio urbano, tramite l’intreccio di vari attori, desideri, aspirazioni e

responsabilità; nella capacità di agire dal basso e con mezzi propri individuando

altri scenari e innescando reti di relazione; ecc...

La presenza dell’arte nei processi urbanistici ha portato indubbiamente dei

risultati che nel caso contrario non si sarebbero raggiunti. Il valore aggiunto

dell’arte non è univocamente definibile ma è riconoscibile nei processi analizzati.

L’attivazione dei laboratori interdisciplinari dei casi esaminati, confluiti nelle

politiche urbane attuate, in maniera più o meno efficace, ha permesso di lavorare

in un unico spazio in maniera sinergica al fine di una gestione democratica dello

spazio urbano. In queste capacità non conflittuali, in cui si vede una rinnovata

azione per la città, possiamo riscontrare relazioni sociali: dove è esistita una forte

volontà di ricostruire delle relazioni all’interno di un quartiere; miglioramento

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della qualità ambientale: microazioni che restituiscono al cittadino, in maniera

puntuale e simbolica, alcuni servizi; e strategie: che hanno avuto modo di

rimettere in relazione, anche abbattendo stereotipi o disagi reali, quartieri con il

resto della città.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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4.0 Elementi caratterizzanti e dimensioni progettuali comuni tra processi artistici e politiche urbane

L’arte e gli artisti hanno avuto modo di entrare nel processo di riqualificazione

urbana come esperti, facilitatori e mediatori in un processo che tuttavia non aveva

l’intenzione di promuovere l’arte nello spazio pubblico, ma di realizzare un

progetto urbanistico di grandi dimensioni. In questo processo, l’arte attraverso

ingenti finanziamenti economici è stata posta come mezzo per veicolare interessi

di un progetto della durata di molti anni. Sia nel caso torinese che in quello

romano è possibile delineare degli elementi caratterizzanti comuni con cui è

possibile leggere e capire cosa la pianificazione in termini di apprendimento ne

può trarre. A partire dall’analisi dei casi studio a cui mi sono sottoposto portando

un aggiornamento tramite le interviste degli attori del processo e appoggiandomi

alle ultime riflessioni del dibattito nazionale56, mi sembra utile sviscerare dai casi

studio alcune dimensioni dei processi di integrazioni tra politiche urbane,

pianificazione territoriale e processi artistici:

4.0.0 Approccio all’apprendimento e all’analisi di contesti

In questa prima fase si pone con molta forza il processo artistico, poiché come

detto precedentemente, forse è qui che l’arte con i suoi mezzi si potrebbe

collocare nella fase preliminare del piano.

L’approccio, per entrambi cognitivo ed esplorativo, mira verso una qualità del

luogo immaginario e fisico ideale che ha puntato verso un’azione e una

conoscenza del contesto con tecniche e processi differenti per ognuno dei casi

studio.

Per quanto concerne il modello ‘Nuovi Committenti’ la scelta di indagine ricade

in piccoli contesti, da qui la strategia per l’apprendimento diventa semplificata. Il

modello nella fase preliminare (è stato così sia per ‘Nuovi Committenti a

Mirafiori - 2008’ sia nelle applicazioni più recenti come ‘Nuovi Committenti a

Barca - 2012’) di esplorazione si è servito degli artisti come esploratori della città

con il fine di creare una mappatura delle trasformazioni cercando di raccontare il

contesto in maniera diversa. Aprendo un dialogo, ponendosi all’ascolto e

all’apprendimento delle richieste del cittadino, cercando così di cogliere i desideri                                                             56 cfr. Capasso D., 2010; Cognetti F., 2006; dell’Olio A., 2009; Inguaggiato V., 2010b; Uttaro A. M., 2010.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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e le aspirazioni per il miglioramento della qualità della vita. Il caso di Claudia

Losi57 ad esempio ne è una testimonianza.

L’approccio dell’Osservatorio Nomade a Corviale in questa fase ha reinventato e

riadattato la pratica situazionista della dèrive. Con la sua attitudine all’ascolto,

l’Osservatorio Nomade a Corviale ha voluto riproporre la pratica esplorativa e

conoscitiva del contesto raccontandone così lo stato di fatto con occhi diversi,

percependone lo spazio e l’uso che l’abitante ne fa.

4.0.1 Approccio al problema

In questa fase i contributi artistici, intrecciati alle esigenze dei piani e programmi

in atto, identificheranno il problema riducendo la scala al rapporto cittadino-

contesto. In questo rapporto si individueranno le esigenze dei cittadini per una

migliore qualità del luogo e dello spazio pubblico. In entrambi i casi si è attivata

una politica delle domande relative allo spazio pubblico, che ha fornito delle

indicazioni progettuali per le aree interessate. Nel modo di agire, gli artisti si sono

posti come recettori di esigenze da esternare ai processi di progettazione.

Nel caso Nuovi Committenti notiamo come in maniera più ampia, il gruppo di

a.titolo, (come anche l’ideatore del modello francese F. Hers), si sia posto il

problema della complessità dello spazio pubblico, in questo senso è difficile

decifrarne esigenze e priorità per risolverlo. La cura è sicuramente uno dei primi

passi da raggiungere e non a caso il Transatlantico58, (come anche le altre

committenze), ha dato modo di recuperare uno spazio conteso, riadattandolo e

trasformandolo alle esigenze del quartiere.

L’Osservatorio Nomade ha puntato molto alla trasformazione, anche se esisteva

già la consapevolezza di non poter raggiungere un così complesso traguardo. I

molteplici dibattiti intorno al Corviale, e le priorità per cui preoccuparsi si sono

finora ridotti a interventi singolari e tante volte isolati. Non è il caso

dell’Osservatorio Nomade, poiché il gruppo ha lavorato con flessibilità e massima

concretezza per evidenziare le esigenze e le potenzialità del contesto. Per questo

motivo l’atteggiamento inclusivo del gruppo Stalker è riuscito a creare le

condizioni per lavorare a stretto contatto con i cittadini. Le tecniche più svariate

hanno mirato ad un progetto artistico confrontabile sia con il ‘Laboratorio                                                             57 Riferimento al paragrafo: lavorando sul dialogo, chiedendo alla gente cosa vedessero dai balconi e in particolare cosa vedessero nel cortile d’intervento. 58 Riferimento al paragrafo: 3.1.3 L’esplorazione del territorio e le opere delle committenze.  

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Territoriale Roma Ovest Corviale’ sia con gli abitanti del luogo.

4.0.2 Modalità di trattamento del problema

I progetti di ‘Arte Pubblica’ in questione sono stati, anche se con misure diverse,

sperimentazioni culturali efficaci ai processi partecipativi ed ai processi di

riconversione e riqualificazione dello spazio pubblico. Un’arte utile alla

pianificazione strategica ma in particolare uno ‘strumento’ in più con il quale la

pianificazione può avvicinarsi al suo obiettivo mostrando una diversa efficacia

rafforzando i processi inclusivi, in cui i cittadini diventano protagonisti nella

costruzione di programmi di sviluppo locale, che aggiungono complessità alle

questioni introducendo elementi nuovi e risorse per il trattamento dei problemi.

Progettazione interattiva, ascolto e processi evolutivi di auto-organizzazione che

colgono il senso della partecipazione multidisciplinare, sono tutti processi

orientati verso un «esercizio cosciente di responsabilità aprendo nuove

prospettive alle pratiche della partecipazione.» (a.titolo, 2004:31). In entrambi i

casi è avvenuto un processo di accompagnamento, fondamentale per la

mediazione tra le parti e che ha necessitato di un aiuto istituzionale e associativo

che ha funzionato sia da controllo dei processi, che da regia; si è cercato di

mantenere un equilibrio fra ricerca ed espressione creativa; nei processi si è

considerata una cittadinanza attiva pronta a far fronte alle proprie necessità e a

quelle collettive: processi identificabili nei tavoli sociali, forum e partecipazioni

tese a promuovere consapevolezza ed auto-organizzazione, per il bene pubblico.

In effetti, sia il ‘Tavolo Sociale’ (in rifermento ai processi partecipativi attuati dal

‘Progetto Speciale Periferia’ Torino) che il ‘Laboratorio Territoriale Roma Ovest

Corviale, per la partecipazione’ sono stati capaci di integrare progettazioni

innovative con approcci funzionali, che fino a qual momento non erano stati

provati prima.

Per quanto concerne il processo Nuovi Committenti, come denota Francesca

Comisso alla domanda: Cosa avete portato al lavoro già in atto nell’ambito del

Tavolo Sociale e conseguentemente al programma Urban II?

«Lo abbiamo essenzialmente potenziato, abbiamo scelto di operare in sinergia

piuttosto che in totale autonomia. Abbiamo ovviamente avuto un’autonomia

metodologica e operativa scegliendo di potenziare delle azioni già in atto,

soprattutto nella prima committenza che ci ha permesso di lavorare con Massimo

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Bartolini nella ‘Cappella Anselmetti’[...]. Questa committenza nasce dall’avere

intuito una naturale coincidenza tra noi e la cittadinanza attiva: da una parte

c’erano gli insegnanti che partecipavano, (un gruppo particolarmente attivo di

insegnanti delle Scuole Elementari e dell’Infanzia del circolo “Franca

Mazzarello” e della Scuola Media “Alvaro-Modigliani”) lavorando in questo

processo innovativo sulla questione della memoria e dell’identità [...] e dall’altra

ovviamente la nostra pronta a costruire la nuova committenza. L’intenzione delle

committenti era quella di creare un archivio di esperienze didattiche e di materiali

sul quartiere che venivano prodotti durante questa esperienza, un’esigenza

accompagnata naturalmente al desiderio di ristrutturare questa piccola Cappella

settecentesca, effettivamente l’unica traccia architettonica di un passato antico e

pre-industriale, una cappella che faceva parte di un complesso e di una cascina

(Cascina Roccafranca), che testimoniano un passato prettamente agricolo. Il

progetto ‘Urban II’ prevedeva ad esempio il restauro della cascina ma non quello

della Cappella, [...] (stava un po’ fuori dalle prime necessità e dalle urgenze). Noi

ci siamo dovuti permettere di recepire questa prima richiesta nel succedere in un

principio di funzionalità, poiché appunto, recuperando questo desiderio delle

maestre di un laboratorio e mettendolo insieme al recupero della Cappella, (che

tra l’altro era inserita nel giardino delle scuole), si è trovata una ragione e una

funzione per dare spazio a questo immaginario desiderato, si è quindi creato il

‘Laboratorio di Storie e Storie’, riuscendo così a trasformare e recuperare il

patrimonio storico riadattandolo al contesto e restituendolo alla cittadinanza.»

In Immaginare Corviale, invece, il progetto di arte pubblica gestito

dall'Osservatorio Nomade e gli Stalker, il rapporto committente-artista, in questo

complesso processo di arte pubblica partecipata, ha implicato un certo grado di

controllo da parte delle istituzioni. «L’esperienza di Corviale è un punto di

partenza per una necessaria riflessione sul ruolo che può rivestire

l’amministrazione “committente” di progetti di arte pubblica, affinché la libertà

degli artisti non sia troppo vigilata e le esigenze dell’amministrazione e della

cittadinanza siano comprese e interpretate dagli artisti che operano sul territorio.»

(Martini M., 2006).

Come denota il responsabile del progetto artistico a Corviale Lorenzo Romito alla

domanda: la creatività e l’arte sono riuscite a progettare e coinvolgere i cittadini

e quali sono stati i risvolti positivi?

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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«Immaginare Corviale è stato, tra i pochi in Italia, un tentavo progettuale di Arte

Pubblica. Noi dell’Osservatorio Nomade, siamo stati [...] coinvolti come soggetto

artistico, ci siamo introdotti come soggetti di partecipazione e abbiamo cercato di

favorire la partecipazione. Ci siamo trovati in una “strana” combinazione con il

‘Laboratorio Territoriale Roma Ovest Corviale’ in un miscuglio tra arte e

partecipazione che non avevo mai sperimentato. Per esempio nel creare la

televisione di quartiere, che poi ha prodotto alcune puntate […], abbiamo

coinvolto i giovani in questo contenitore chiamato Corviale Network. Per quanto

riguarda invece la progettazione partecipata siamo riusciti a stabilire dei rapporti

con gli abitanti del quarto piano, ma abbiamo avuto delle divergenze con

l’amministrazione pubblica.» Francesco Careri, alla domanda: Quale è stato poi

nei tavoli partecipativi il rapporto con il Laboratorio Territoriale?

«Premettendo che c'era in atto un CdQ II con un investimento di dieci milioni di

euro, di cui, […] sei messi dalle Regione e quattro dal Comune. I trentacinquemila

euro dati a noi per fare questo progetto di Arte Pubblica è durato alla fine due anni

e abbiamo coinvolto più di cinquanta persone.[...] Da parte nostra c'era un

impegno enorme perché ci interessava il tema, ci appassionava sperimentarci

come ‘Osservatorio Nomade’ nella formazione di un network. […] È stata creata

una rete di partecipazione e coinvolgimento dei laboratori successivamente

pubblicata in DOMUS nel 2005. [...] Nel percorso abbiamo trovato non poche

difficoltà, perché nel nostro percorso artistico si sono evidenziate delle divergenze

con il referente comunale. Però questo è normale quando si lavora con i poteri

pubblici. Successivamente, un finanziamento parallelo, [...], è stato investito sul

quarto piano e sono stato coinvolto anche in quello, collaborando così ai progetti

architettonici insieme ad ellelab. Ci abbiamo lavorato per più di cinque mesi

diventando così la base per il concorso del quarto piano [...].»

In definitiva le modalità del trattamento dei problemi in entrambi i casi hanno

portato a sollevare ulteriori questioni, in particolare nel caso romano. L’arte ha

sicuramente aggiunto elementi nuovi per la gestione delle problematiche della

città contemporanea. Gli approcci dimostrano che quando l’arte incontra le

dinamiche delle politiche urbane in atto, i processi per i quali si sottopongono

sperimentazioni, possono avere semplificazioni con risultati auspicati, come nel

caso Nuovi Committenti, o costituire un tavolo di confronto che mette in luce

ulteriori questioni e complessità, come nel caso di Corviale.

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Riflessioni conclusive In conclusione vorrei propinare delle riflessioni personali sul progetto di tesi

affrontato. Dall’inizio mi sono sempre interrogato su come l’arte sia in grado di

mettersi in simbiosi con le politiche urbane e come il sistema italiano coadiuvi

l’esistenza di mondi apparentemente separati. Il panorama italiano odierno vede

una deriva, in cui lo spazio pubblico viene privatizzato e i margini della città

contemporanea caratterizzati dalla ghettizzazione e dai processi di urbanizzazione

‘selvaggia’. Dopo diversi anni di studio dedicati alla città e alle sue mutevoli

trasformazioni mi sono accorto che esisteva la possibilità di poter uscire fuori dai

binari delle discipline urbanistiche tradizionali, in particolare quelle prettamente

tecniche, seguendo così un percorso trasversale come quello dell’arte. Il mondo

della pianificazione e della progettazione della città e del territorio, ad oggi

necessita di ibridazioni disciplinari come d'altronde anche il mondo dell’arte. La

città è sempre stata caratterizzata dall’occhio artistico in particolare nel contesto

italiano e nella crescita delle nostre città, questo la storia lo testimonia. Ad oggi

tutte le pratiche artistiche e le pratiche urbanistiche, pur agendo nello stesso

spazio, hanno avuto la tendenza ad affrontarlo in maniera separata. Lo spazio

pubblico, divenendo complesso nel tempo, ha visto la confluenza di svariate

dottrine. La mia indagine ha riflettuto infatti su un punto d’incontro di due

discipline apparentemente separate che riscoprono così un’ibridazione

rinnovatrice (dell’Olio, 2009). La mia non è una richiesta di efficacia e non

pretende esaustività ma vuole dare voce a degli aspetti che altrimenti non

emergerebbero.

La scelta di dare rilievo a questi processi nasce dal desiderio di poter realizzare e

modificare, con i mezzi che l’arte mette a disposizione, uno spazio pubblico che

vede nell’onnicomprensività del piano l’unica azione possibile; esiste però

l’esigenza di avere un atteggiamento più pragmatico e realistico «disposto a

“mettere in scena” e far emergere le istanze piuttosto che tenere nascosti i temi

cruciali su cui è opportuno lavorare e infine interessato a tenere in tensione

questioni che altrimenti si perderebbero e si tralascerebbero nella lunghezza di un

piano (Sennet, 1999) o ancora ad intraprendere percorsi ed azioni che possono far

intravedere forme innovative di pianificazione mettendole da subito in campo.»

(Inguaggiato, 2009: 234).

La difficoltà di intervenire nelle giuste tempistiche mette in azione varie sinergie:

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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«Ogni singola buona azione, che parte da ogni cittadino, equivale ad un buon

gesto che deve assolutamente migliorare i nostri luoghi di vita. Luoghi in cui poter

giocare, ricreare e incontrare nuova gente […] Le nostre usanze, fatte di piccoli

gesti quotidiani, ormai persi in una società in continuo mutamento […] Per questo

è giusto ricominciare dai nostri spazi creandoli insieme59. […]». (Mendola G. L.,

2006). I progetti artistici, dalle mie esperienze dirette e dai casi studio analizzati,

hanno avuto modo di far collaborare i cittadini verso il ripensamento dello spazio

e verso il confronto con i poteri pubblici. L’arte in questione ha dato modo di

porsi nella fase preliminare del piano avendo la capacità di alimentare ulteriori

riflessioni per la pianificazione e per il rafforzamento delle politiche urbane

attuate.

                                                            59 La citazione fa riferimento ad alcuni progetti artistici dedicati alla valorizzazione degli spazi pubblici di Milena (paese in provincia di Caltanissetta) a cui mi sono dedicato da alcuni anni tramite l’operato collettivo e l’impegno dell’associazione culturale “Laboratorio Erbatinta”. «L’Associazione Culturale “Laboratorio Erbatinta” è iscritta nel Registro delle Associazioni non riconosciute dal 10 agosto 2007 con sede in Milena in Via M. D’Azeglio n. 16. L’intento dell’Associazione è quello di realizzare un vero e proprio cantiere sociale che, nel nome di interessi culturali, contribuisca alla funzione di maturazione e crescita umana e civile attraverso l’ideale dell’educazione permanente. L’Associazione è pensata come un’officina, appunto un “Laboratorio”, dove sperimentare continuamente nuove forme d’espressione artistiche, musicali, letterarie e dove sviluppare nuovi linguaggi di comunicazione. Il “Laboratorio Erbatinta” vuole essere un nucleo propulsore di diffusione della cultura affermandone con forza il suo profondo significato sociologico, dunque collettivo e partecipativo. L'evento più rilevante è il “Robba Rock”: una festa popolare itinerante diretta alla riscoperta urbanistico-architettonica delle Robbe, quali elementi caratterizzanti la storia della vita sociale “milocchese”, e alla riappropriazione di questi spazi, visti come luogo di aggregazione popolare e momento di incontro e confronto di idee. Le prime quattro edizioni hanno avuto come scenario le piazze di “Robba Bonfiglio” i l 27 Agosto 2006, “Robba Cardiddu” il 22 Agosto 2007, “Robba Cassenti” il 13 Agosto 2008 e “Robba Cannieddri” il 13 Agosto 2009, riuscendo ad accogliere in questi luoghi, ormai caratterizzati dalla quasi scomparsa del tessuto sociale, un’affluenza considerevole coinvolgendo oltre la popolazione locale anche quella dei paesi del Vallone. L’attenzione che spinge l’Associazione a realizzare questa manifestazione muove dalla profonda esigenza di momenti culturali aggregativi realizzati con musica dal vivo, arte di strada, estemporanee di pittura, giocoleria e tutto accompagnato dalla degustazione di prodotti tipici enogastronomici.» (http://laboratorioerbatinta.wordpress.com/pagina-iniziale/chi-siamo/)

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Bibliografia

Capasso D., 2010, Arte e politiche urbane nella città neoliberista, in: Abitare il futuro… dopo Copenhagen, Giornate Internazionali di Studio, Napoli 13-14 Dicembre 2010.

Cognetti F., 2006, Arte, città e cultura per strategie urbane eventuali, in Lanzani A., Moroni S., a cura di, Città e Azione Pubblica. Riformismo al plurale. Atti della Decima conferenza della SIU (Società italiana degli urbanisti). dell’Olio A., 2009, Percorsi di sconfinamento nei territori dell’arte, in XXIX Conferenza italiana di scienze regionali Bari 24-26 settembre. dell’Olio A., 2008, Percorsi di sconfinamento nei territori dell’arte. Occasioni di riflessione per la pianificazione, dissertazione di dottorato in Pianificazione Urbana, Territoriale ed Ambientale (XVIII Ciclo), DIAP, Dipartimento di Architettura e Pianificazione, Politecnico di Milano Inguaggiato V., 2009; Fare città, chiamarla arte. Politiche ed esperienze di integrazione tra arte e territorio, dissertazione finale del Dottorato di Ricerca in Pianificazione Urbana, Territoriale e Ambientale, XXI ciclo, Politecnico di Milano. Inguaggiato V., 2010a, Lo Spazio pubblico nell’arte, in “Territorio”, rivista trimestrale del Dipartimento di architettura e pianificazione del Politecnico di Milano, fascicolo 53, pp. 22-29 Inguaggiato V., 2010b, Arte nei processi di riqualificazione urbana. Da “Fare città, chiamarla arte. Politiche ed esperienze di integrazione tra arte e territorio”, dissertazione finale del Dottorato di Ricerca in Pianificazione Urbana, Territoriale e Ambientale - XXI Ciclo, Politecnico Milano, pp 27-33. (www.temporiuso.org/wp-content/uploads/2011/02/arte-nei-processi-di-riqualificazione-urbana.pdf) Mendola G. L., 2006, PARTECIPAZIONE E PROGETTI, Sito OnLine del Laboratorio Erbatinta. (laboratorioerbatinta.wordpress.com/partecipazioneprogetti/) Perelli, L., 2006, Public art. Arte, interazione e progetto urbano, Franco Angeli, Milano. Sennett R.,1999, Usi del disordine. Identità personale e vita nella metropoli, Brossura. Uttaro A. M., 2010, Arte, Città, creatività. Quali indirizzi per la Pianificazione?, in  “Territorio”, rivista trimestrale del Dipartimento di architettura e pianificazione del Politecnico di Milano, fascicolo 53, pp. 82-89

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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Appendice

Interviste degli attori dei processi (Nuovi Committenti e Immaginare Corviale )

Maria Alicata – Intervista del 12/10/2012 Maria Alicata è una dei responsabili dell'Area progetti e ricerche della Fondazione

Adriano Olivetti insieme a Beniamino de’Liguori, Carino e Matilde Trevisani,Viviana

Renzetti. Conosce profondamente l'esperienza romana Immaginare Corviale, che ha

costituito una delle sperimentazioni culturali più rilevanti nel panorama italiano, ed è stata

la responsabile del processo Nuovi Committenti a Torino Mirafiori Nord, insieme a

Bartolomeo Pietromarchi (2000-2008). Un modello che di recente è stato applicato in

altre esperienze del territorio italiano.

In quanto responsabile dell’are progetti della Fondazione Adriano Olivetti cosa

mi può dire riguardo al progetto Immaginare Corviale di Roma, e come esso è

collegato alla progettazione del modello francese Nuovi Committenti?

Innanzi tutto bisogna spiegare cos’è Nuovi Committenti: è un modello francese

che è stato ideato da un artista e adottato in Francia e promosso dalla Fondaction

de France, associazione che applica un certo di grado di filantropia a vari livelli.

Negli anni si è occupata di un programma chiamato Mecenà (Mecenati) che era

incentrato su progetti artistici. Chi si occupava di quella parte di programma era

appunto l’artista F.Heries che ha deciso di prendersi il rischio di mettere l’arte al

centro di una serie di cambiamenti sociali in contesti particolarmente necessari

partendo dalla domanda dei cittadini del contesto. In Francia in questi quindici

anni sono stati fatti centinaia di progetti anche perché la Fondazione dava un forte

sostegno per la realizzazione, in Francia esiste una struttura politica molto più

delocalizzata rispetto a quella italiana, ci sono autonomie locali molto più forti. In

Italia si è deciso di portare Nuovi Committenti poiché aveva delle affinità molto

forti e vicine al pensiero di Adriano Olivetti riguardo all’intervento sulla

comunità, come creare senso di appartenenza e identità nei luoghi attraverso

interventi di tipo architettonico e artistico sul territorio. Negli anni 2000 il

contesto ideale era Torino, dove esisteva una consapevolezza amministrativa

molto forte sul tipo di intervento, dove uno degli assi strategici della città era ed è

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Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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ancora l’arte e la cultura. In quegli anni esisteva un piano strategico allineato su

questo tema, un contesto ideale e con la consapevolezza di cosa si andava

incontro, investendo sulla cultura in cui c’era l’occasione del programma

URBAN, all’uscita del bando, la Fondazione Adriano Olivetti (che all’epoca

aveva legami molti forti con le fondazioni bancarie in particolare San Paolo e

CRT) si è proposta e i fondi sono stati destinati al quartiere Mirafiori Nord. In

ogni caso dovevano essere investiti per interventi artistici, ma questa volta la

metodologia era improntata sul modello Nuovi Committenti. È stato un modello

applicato dalle linee guida del progetto originario. Quello che conta del progetto

non è l’opera in sé ma il processo, “fare più attenzione alla traiettoria che al

bersaglio, al processo che non all’obiettivo”.60

Gli attori coinvolti sono stati: il cittadino committente che nel caso di URBAN è

stato individuato, a fianco la collaborazione dell’ufficio Urban II che era fisso sul

quartiere, un gruppo di mediatori culturali (curatori ed esperti d’arte che hanno

una propensione al dialogo) e l’artista.

Il cittadino viene aiutato dal mediatore nell’individuare la loro richiesta.

La richiesta del committente viene codificata e sintetizzata dal mediatore.

(possono durare anche anni questi casi di mediazione – il caso Mirafiori in effetti

è durato 5 anni).

Una volta che viene individuata l’esigenza del cittadino committente viene

commissionata l’opera all’artista che realizzerà qualcosa che deriva dalle necessità

dei cittadini.

Come opera non intendiamo la scultura o l’opera site specific ma interventi

artistici come la biblioteca, il parco giochi, un’aiuola e della scultura abitabile

progettata per un gruppo di adolescenti.

L’elemento fondamentale è la mediazione che nel caso di Torino è riuscita molto

bene. Con una lunga fase di accompagnamento (per i laboratori e per

l’individuazione di quella che era la domanda) il progetto riesce perché

l’intervento artistico è qualcosa su cui tu ti identifichi, sei tu che l’hai chiesto e

corrisponde alla tua esigenza, questo fa sì che si crei un grande senso di

appartenenza verso l’opera. Tu cresci nel gruppo di cittadini perché hai

partecipato insieme ad altri cittadini per realizzare qualcosa per la collettività. E

                                                            60 Georges Cavallier, L’habitat social au coeur de l’urbanisme, Lione, 4-5-6 dicembre 1995, e Habitat II, Istanbul, giugno 1996.

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Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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quindi si lavora molto su una consapevolezza di una collettività per dare senso di

appartenenza ad un luogo.

Sono stati individuati dei gruppi: le scuole, che si sono dimostrate un grande

catalizzatore di intervento sul territorio poiché la biblioteca è adiacente alla

scuola, si è puntato molto sui giovani, sui ragazzi che non hanno memoria del

luogo etc.. un progetto di riqualificazione che è riuscito a produrre anche un senso

civico maggiore, e come se adottassi l’opera, ne partecipi alla realizzazione per

cui accresce una sorta di orgoglio nato dal fatto che sei riuscito a realizzare questo

intervento.

Il modello del progetto è molto ben strutturato, le Protocole (il Protocollo) dove ci

sono cinquanta punti scritti da F.Hers, dove vengono descritte tutte le varie fasi e

ruoli di vari attori, e poi un altro elemento fondamentale, che per l’Italia è

abbastanza nuovo per quanto riguarda le pratiche artistiche, cioè la

contrattualistica: nel primo step c’è una carta di documento di intenti, che viene

redatta tra i committenti e il mediatore, la prima formalizzazione del desiderio e di

quelle che sono le volontà delle parti, poi c’è il contratto tra il mediatore e il

committente, infine c’è un contratto tra l’artista, il mediatore e i committenti.

Il modello è molto valido, o almeno per quella che è stata la mia esperienza, anche

perché a Torino in quel periodo era la condizione ideale. La stessa metodologia

l’ho continuata ad applicare anche in altri contesti: per un intervento in

un’Università privata a Roma e ti accorgi di come questo processo di mediazione

crei proprio un appartenenza del progetto, si crea anche un accompagnamento che

c’è nella mediazione, anche perché il mediatore fa un lavoro di traduzione.

Per adesso stiamo cercando di applicare il modello nel carcere di Bollate è uno

grosso a Matera e ovvio che a te interessano più quelli a scala urbana.

Quello di Corviale è un progetto propedeutico alla creazione di un intervento

Nuovi Committenti. È un progetto che è stato commissionato dall’Assessorato

delle Periferie del Comune di Roma alla Fondazione Olivetti proprio per lavorare

sull’immaginario del quartiere.

È andata così: c’è stato un approccio con l’Assessorato alle periferie che voleva

lavorare su Corviale però non siamo pronti (e questo è stato deciso in comune

accordo) per Nuovi Committenti, perché è ancora un’area molto complessa,

quello che interessava era lavorare solo sull’immagine del quartiere: come

riqualificare insomma. Prima di arrivare a Nuovi Committenti e applicare un

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Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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progetto propedeutico, la proposta fatta alla Fondazione era quella di lavorare

sull’immaginario di Corviale, un progetto di riqualificazione per l’immaginario

del quartiere. L’arrivo dell’Osservatorio Nomade è stato talmente innovativo da

inventarsi una TV come Tele Corviale. Poi il progetto, dopo un anno non è più

andato avanti, proprio per un discorso di impegno da parte di tutti ma in

particolare dell’amministrazione.

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Intervista Alberto Lalli - 13/11/2012 Architetto ed Urbanista. All’epoca era il Responsabile dell’Area Tecnica del settore

Periferie di Torino nell’ambito del PSP (Progetto Speciale Periferie) della stagione che

va dal 1998 al 2006. Attualmente è dottorando al DIST -Dipartimento Interateneo di

Scienze, Progetto e Politiche del Territorio del Politecnico di Torino.

Come il programma Nuovo Committenti si inserisce all’interno della logica

della programmazione amministrativa?

Nuovi Committenti è stato uno degli assi di Urban. Urban è un programma

europeo istituito nel 2000 fino al 2006. Io ero responsabile del coordinamento

tecnico.

Le opere legate a Nuovi Committenti sono state inserite come del parco lineare di

Parco lineare di Corso Tazzoli. Questo faceva parte del programma di Urban il

quale andava a sistemare tutta una serie di spazi pubblici comprese le aree di

Mirafiori Nord come Via Dini ecc. L’inserimento di lancio se non ricordo male è

stato proprio tramite Urban, il finanziamento totale riguardava oltre 40 milioni di

euro, questi finanziamenti riguardavano anche gli interveti di Arte Pubblica cosa

che in genere è molto difficile al di la dell’applicazione della legge nazionale del

2%, riguardo al finanziamento previsto per le opere di Arte Pubblica.

Per quanto riguarda invece il PSP, al momento non è più attivo mi sembra.

Quale è stata la particolarità del Progetto Speciale Periferie ?

Il PSP è “defunto” dal 2006 per volontà dell’Assessore che è subentrato, il nuovo

settore è cambiato, trattando la rigenerazione urbana e lo sviluppo, ha cambiato

essenzialmente la sua mission. Per rigenerazione urbana si intende intervenire in

parti ristrette di città e rimetterla apposto. Quindi vale attualmente anche per aree

periferiche o aree dismesse.

La sostanza era che derivando da un esperienza di rete di città europee nato in

Francia negli anni ’80 e legata ad altre reti di città dell’euro city chiamato

Economic Development and Regeneration di cui facevo parte. L’approccio che è

stato impostato per il progetto periferie a Torino è stato sviluppato da queste

esperienze insieme alle specifiche del programma Urban I e poi Urban II nel

2000. Le parole chiavi sono sostanzialmente: partecipazione dei cittadini nelle

trasformazioni. Quindi costituzioni di tavoli e di dibattiti e anche decisionali con

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Planning for Real e tecniche di coinvolgimento dei cittadini; un approccio

integrato alle trasformazioni, che significa non occuparsi soltanto della parte

fisica degli interventi, come rifare le strade, piazze, scuole, palazzi ecc., ma anche

collegare questo ad una rigenerazione dal punto di vista economico locale,

culturale e sociale. Una crescita dell’empowerment dei soggetti locali. Questa era

la filosofia di fondo del PSP. Quindi la partecipazione e il processo integrato con

un approccio intersettoriale e andava a coinvolgere colleghi dell’amministrazione

che lavoravano in diversi ambiti: chi nei lavori pubblici, chi di verde pubblico,

chi di scuola, ecc. ma anche operatori sociali, animatori culturali e chi si

occupava del lavoro e dell’occupazione.

Quali implicazioni ha avuto Nuovi Committenti nel PSP?

Nell’ottica di una crescita di una “società locale” che si riscatta rispetto a

deprivazioni di tipo sia fisico che culturale ed economici ecc., si decide di inserire

all’interno dei programmi di rigenerazione fisica, e non solo di quel quartiere,

anche interventi di tipo artistico, progettati con le scuole del quartiere. Ha

sicuramente dato e un contributo alla crescita dell’empowerment dei soggetti

locali: possiamo dire che l’arte fa bene!. In riferimento al progetto specifico ti

riamando all’associazione a.titolo.

Secondo te progetti di Arte Pubblica come Nuovi Committenti ha assunto un

carattere di strumento per il PSP ?

Assolutamente si!

Come giudichi questo tipo di processo che è stato visto a livello europeo come

uno dei migliori processi di governance locale?

Tutto quel processo però fino al 2006!. Nel 2006 c’è stata una cerniera perché

finisce la stagione dei grandi programmi europei sulle città. Le due stagioni d’oro

della rigenerazione urbana per Torino sono state nel ’93 nel ’99 e nel periodo che

dal 2000 al 2006. La programmazione 2006-2013, che è quella ancora in essere,

ha destinato la stragrande maggioranza dei soldi (è una scelta europea) alle new

entry dell’est: la Romania, la Polonia, l’Ungheria ecc., che avevano un ghetto nei

nostri confronti da un punto di vista economico e da un punto di vista

infrastrutturale. I programmi delle città e conseguentemente i fondi, sono stati

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destinato all’estero, e questo è un dato. Poi a Torino nel 2006 a febbraio ci sono

state le Olimpiadi invernali. È stato affrontato un percorso abbastanza grosso da

parte dell’amministrazione e della città per realizzare quello che andava fatto, per

lo svolgere al meglio la realizzazione delle Olimpiadi. Sono stati fatti anche

errori molto gravi, dal punto di vista urbanistico, strutturali e di spese assurde per

le comunicazioni (vabbè!). La città comunque si è molto orientata su quello, e per

questo motivo, ha svuotato di molto le casse comunali. Poi sempre nel 2006 è

cambiata l’amministrazione, cadendo la seduta Chiamparino ne è salita un’altra.

Il nuovo assessore che si è occupato del progetto periferie ha cambiato il modo di

intervenire e a cambiato il nome ad alcuni progetti, sono cambiate molte cose.

Dal 2007 c’è stato un “fuggi fuggi” generale nel settore. Io all’epoca mi occupavo

della parte tecnica e urbanistica, altri colleghi si occupavano della parte socio-

culturale, socio assistenziale e amministrativa. Chi se ne doveva andare poi se ne

andato insomma! Io stesso dopo un anno me ne sono andato. Quelle due stagioni

d’oro per Torino sono partite nel 1993 e terminano nel 2006. Nel ’93 i fondi

strutturali erano destinati alle città ed è proprio l’anno in cui esce la legge che

istituisce e finanzia i Programmi di Recupero Urbano li partì quella stagione che

ormai è tramontata.

Quali sono state le difficoltà e le complessità che avete trovato come pubblica

amministrazione nello gestire i programmi e progetti di rigenerazione in quel

periodo?

Non a caso questi programmi che abbiamo realizzato si chiamano Programmi

Complessi e di Rigenerazione Urbana. La difficoltà è stata proprio quella di

formulare un quadro di interventi che ha al loro interno avevano una grossa

diversificazione di intervento, tanti aspetti sia fisici che non fisici di un ambito

urbano, ma ovviamente dovevano avere tutti una coerenza. Dovevano essere

inseriti in una cornice anche teorica se vuoi, ideare una quadro di riferimento che

in base agli obbiettivi che tu vuoi perseguire delinea dei percorsi e delle linee

guida che poi a volte si declinano in interventi veri e propri. Il tutto però deve

essere concepito come intervento organico che abbia una sua coerenza.

Quindi anche il pezzo dell’Arte Pubblica non è a sestante ma inquadrato in una

precisa logica e ordine. Un percorso di empowerment dei soggetti locali e di

governance (anche se non condivido questo termine!), in cui i cittadini diventano

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i Committenti delle opere. Questo è molto interessante perché riesce a ridare

potere ai cittadini e nello stesso tempo si occupavano di cose di cui non si erano

mai occupati. Un altro aspetto molto interessante, che può essere uno degli effetti

ben calibrati di Arte Pubblica, è che lavorando in questa maniera si ri-crea anche

un notevole senso di comunità locale. Cioè di identità del quartiere, perché i

simboli sono importanti nella vita delle persone e delle società e hanno bisogni di

elementi di decoro. Un’opera d’arte pubblica riconosciuta da tutti diventa

“simbolo” di un ritrovato senso di comunità.

Per quanto riguarda invece un attecchimento maggiore che porti ad un

cambiamento culturale, per la mia esperienza, “appena inizi non finisci più”, nel

senso che finisci a dare elementi, a trasformare la realtà, a coinvolgere le persone

ecc., poi l’esperienza ha dimostrato che “la pianta che abbiamo piantato non ha

attecchito”. I luoghi che vengono abbandonati, come questi dal 2006 hanno

ricominciato a far affiorare problemi di tipo fisico e sociale. Quindi non bisogna

mai abbassare la guardia perché lasciando questi luoghi, poi i problemi

continuano a riaffiorare. Attualmente però non conosco nello specifico la realtà di

Mirafiori Nord, in generale però posso dire che i luoghi marginali non

bisognerebbe mai lasciarli a se stessi, anche dopo stagioni fiorenti per esse.

 

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Intervista Lisa Parola – 16/11/2012 Lisa Parola è laureata in storia dell’arte moderna a Torino. Fino al 2010 è stata

collaboratrice del quotidiano “La Stampa”. Dal 2011 collabora con il mensile “Italic”.

Dal 2007 è docente a contratto del Master in Management, Marketing e Multimedialità

per i Beni e le Attività Culturali del Corep di Torino. È coautrice di Souvenir d’Italie

(Milano, 2010), Culture e territori (Lecce, 2009), Art Syntomi. Il sistema dell’Arte

Contemporanea tra Torino e Milano(2004-2008), Arte Contemporanea a Torino (Torino,

2004), Creative Europe: on governance and management of artistic creativity in Europe

(Bonn, 2002). Dal 2004 è advisor di DOCVA Careof-Viafarini Milano per il Piemonte.

Ha curato varie mostre in gallerie e spazi non profit. Nel 2008 ha curato il progetto

Superfici sconnesse. Arte follia e immaginari e la relativa mostra a Palazzo Barolo.

Cosa vedi nel futuro di Nuovi Committenti?

Dobbiamo dire che l’amministrazione ha lavorato tantissimo per avere i fondi

europei speciali per tutti quegli aspetti strutturali e culturali. Adesso abbiamo due

applicazioni nuove del modello Nuovi Committenti sempre a Torino però per me

la casa migliore è quella di approfondire il tutto, che è abbastanza complesso,

quello che forse ti manca del caso e proprio l’aggiornamento a mio parere.

Allora, quel percorso a Mirafiori ormai finito era un Urban II invece adesso

stiamo applicando lo stesso programma per un centro giovanile in un area

periferica con un badget molto più ridotto ovviamente, un programma della

compagnia di San Paolo che si intitola ‘Generazione Creativa’, trovi tutto in

internet anche sul progetto ‘Barca’in collaborazione con un collettivo di architetti

di Berlino. E poi ne stiamo iniziando un altro, avremo un primo incontro sabato e

domenica (8-9 dicembre 2012), con Martino Gamper che è un designer di origine

peruviana che vive da molto tempo in Italia. Abbiamo coinvolto un piccolo

comune della cintura di Torino coinvolgendo i giovani e lavorando sugli arredi

urbani. Queste sono le due nuove applicazioni del modello Nuovi Committenti.

L’applicazione è sempre ispirata al modello francese?

Per quanto riguarda il modello francese noi di a.titolo siamo la prima realtà

italiana che ha applicato questo modello, lo abbiamo applicato anche all’interno

di uno spazio museale, un centro d’arte vicino a Cuneo, abbiamo coinvolto un

piccolo pubblico, la nuova committenza che chiedeva una specifica mostra: il

tema, il titolo, ecc.. già è avvenuto l’incontro con gli artisti e sta proseguendo. Lo

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steso modello lo applicheremo a Bologna con uno staff tutto al femminile, un

staff formato da donne all’interno del ‘Mambo’, che è il museo di arte

contemporanea di Bologna.

Attualmente stiamo provando a passare dallo spazio pubblico a uno spazio come

quello del museo, per vedere come questo modello, che alla fine come avrai ben

capito, è molto elastico in ogni sua forma e può sfruttare lo spazio dentro e fuori

del museo, visto che noi intendiamo lo spazio del museo come spazio pubblico.

Come stanno funzionando queste nuove esperienze?

Lavorare nello spazio pubblico non è mai poi tanto ‘così bene’. Questo è un

momento molto difficile non solo come economia ma anche come disagio

sociale. Stanno funzionando bene nel senso che Nuovi Committenti permette non

solo ai committenti-cittadini ma anche al curatore e all’artista di curare lo spazio

pubblico ,che in questo momento, quanto mai in Italia, ha bisogno di cure e parlo

non tanto dello spirito ma dal punto di vista fisico. Voi architetti avete una grande

responsabilità in tutto questo. Tutto sommato sta funzionando bene, non è mai

stato semplice e in questo momento è ancora più complesso. Nel senso che

l’amministrazione più tosto che i progettisti non sono abituati a pensare con e per

strumenti elastici per cui lo spazio pubblico e troppo “normato” è stato pensato e

ideato secondo un modello di cittadino italiano che tendenzialmente a più di

cinquant’anni e ha una casa di proprietà e invece in questo momento la città

sembra qualcosa di più articolato, è molto più complesso. Però stiamo

procedendo su questo con enorme fatica.

Qual è la fatica maggiore?

La fatica è che non siamo ancora pronti ad affrontare un mondo così complesso e

che significa che gli usi i tempi e i modi dello spazio pubblico stanno cambiando

continuamente. È una fatica sicuramente normativa. Ogni volta che intervieni hai

bisogno di assicurazioni, permessi ecc., ma poi c’è anche un disagio sociale che

non riguarda solo gli stanchi ma in generali i giovani italiani, la dove ti muovi

fuori dal centro cittadino e dalla parte più curata incontri i disagi di ogni genere,

per cui stare li è complicato. Per tutti quanti noi è sempre una scommessa.

Implica una responsabilità molto grande rispetto alla collettività. Differenza di

progettisti o educatori noi non abbiamo l’idea di risolvere, perché lo spazio

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pubblico non può essere risolto, c’è sempre lo spazio della prossimità e della

diversità. Sicuramente un punto fondamentale è la “responsabilità”, su cui

tantissimi stanno facendo tesi di laurea, però poi la definizione giusta di spazio

pubblico è sempre molto complessa, gli urbanisti la intendono in modo e noi in

altro. Bisognerebbe dibattere molto su questo.

In Italia c’è una scarsissima consapevolezza dello spazio pubblico perché

viviamo in città e territori molto privatizzati da questo punto di vista, e dunque è

un lavoro ancora più lungo quello del Botton Up , nel senso che tu devi

contemporaneamente fare una forma di accompagnamento a cosa è lo spazio

pubblico. In Italia ma alche molto nei Balcani se c’è l’idea di uno spazio

pubblico tra la quantità di alloggi privati che abbiamo ecc.. è proprio mancante

quella parte li. La crisi aggrava ulteriormente la questione perché ovviamente il

pubblico non ha più fondi per curare lo spazio pubblico e dunque noi diamo una

formula, che non puoi adottare in tutta la città, calcolando la sua grandezza e

complessità, per cui in aree medio piccole con gruppi medio piccoli più provare

ad attivare un percorso con maggior consapevolezza sia rispetto alla cura dello

spazio fisico ma anche sociale. Bisogna lavorare bene e tanto ma soprattutto

convincere le amministrazioni che questo ha un senso, che è la cosa più difficile. 

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Intervista Francesca Comisso – 23/11/2012 Francesca Comisso è laureata in storia dell’arte moderna. Ha insegnato storia dell’arte

contemporanea (2003-2009) nel corso di Graphic e Virtual design della I Facoltà di

Architettura di Torino, dove tuttora tiene il corso di Teoria della Percezione Visiva. È co-

curatrice del catalogo generale di Pinot Gallizio (Milano, 2001), di volumi e mostre

dedicate all’artista del cui Archivio fa parte. Ha scritto articoli su riviste e saggi in

volumi e cataloghi, tra i quali Muntadas On Translation (Barcelona 2002), e Muntadas

On Translation: i Giardini (Barcelona, 2005). È coautrice di EccentriCity. Arti applicate

a Torino 1945-1968 (Torino, 2003), Arte Contemporanea a Torino (Torino, 2004),

Torino Tour. Visual design per una città invisibile (Torino, 2008). Tra le più recenti

mostre da lei curate, il ciclo Tracce alla Galleria Martano.

Mediatrice culturale, ha lavorato nell’ambito dell’associazione a.titolo, un collettivo di

curatrici incaricato dalla Fondazione Adriano Olivetti nel 2000-2001 di occuparsi della

mediazione culturale del progetto Nuovi Committenti a Torino – Mirafiori Nord.

Come vi siete inserite nella progettazione di Mirafiori Nord e cosa vedi nel futuro

del progetto Nuovi Committenti?

In quel periodo abbiamo intercettato, efficacemente, in un momento dove la città

di Torino stava preparando la candidatura ai finanziamenti nell’abito del

programma Urban II, che è un programma comunitario di rigenerazione urbana, e

poiché la metodologia di Nuovi Committenti chiama in causa un metodo

innovativo alla partecipazione, sui processi di cittadinanza attiva e si prestava

perfettamente a quelle che erano le direttive e le pratiche auspicate dalla comunità

europea, il Comune di Torino ha accolto questa nostra proposta e la città stessa ha

proposto tra le progettualità che avrebbe messo in campo nella realizzazione dei

progetti di Urban II anche Nuovi Committenti. Quando poi di fatto questo bando

è passato noi abbiamo potuto sperimentare per la prima volta Nuovi Committenti

in Italia nella cornice di questa progettualità della città in questo processi di

rigenerazione urbana comunitario.

Io ho avuto un ruolo, non singolarmente, ma in quanto collettivo: la nostra

modalità di lavoro riguarda una progettualità condivisa e collettiva, poi dopo una

fase di elaborazione e di strumenti per potere attivare questo programma, io nello

specifico ho condiviso con Lisa Parola e con Giorgina Bertolino due progetti in

particolare, due committenze: una che ha coinvolto l’artista Massimo Bartolini e

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l’altra che ha coinvolto Lucy Orta. Però prima di queste due committenze c’è

stato un lavoro più tosto lungo durato più di anno, in lavoro per capire come

recepire questa domanda d’arte che è alla base del concetto di committenza,

poiché le domande non preesistono, non sono già pronte, il programma non era

conosciuto e ci siamo interrogate su come attivarlo, sul fatto che gli esempi che

avevamo erano assai diversi. Uno era quello francese, dove il programma è nato,

promosso dalla ‘Fondation de France’, un ente che eroga finanziamenti a varie

strutture piccole o grandi per varie cose: dalla ricerca medica alle attività

culturali, un organismo già conosciuto e pertanto la prima diffusione di questa

possibilità d’azione dei cittadini attraverso l’arte poteva venire da contatti già

esistenti, c’è stato un passa parola dei lavori svolti dalla Fondazione francese.

In Belgio per esempio c’era stato più un appello, una proposta fatta direttamente

ai cittadini, elaborando delle domande, noi invece ci siamo mosse più come

‘operarie’ anche perché avevamo una porzione di territorio piccola nel quartiere.

Un quartiere come Mirafiori Nord che risultava emblematico di una

trasformazione radicale e profonda sull’educazione, sull’identità e su tanto altro.

Su questo abbiamo pensato di intraprendere un approccio diverso come quello

dell’ascolto attivo.

Considerando anche il fatto che non partivamo così a vuoto, a in un quadro di una

cornice operativa, progettuale, economica e politica culturale, dove eravamo

pagati direttamente dalla Fondazione Adriano Olivetti, come nel nostro caso, e

dove nell’abito di questa politica culturale dovevo e dovevano essere liberi di

scegliere e diversamente agire a seconda della propria attitudine nel lavora con

l’arte e con il territorio. Agendo all’interno di quella cornice noi abbiamo scelto

di adottarne alcune delle potenzialità in atto: come il Tavolo Sociale, che era una

piattaforma di co-progetazione eredita da un precedente lavoro di rigenerazione

urbana e che poi si è inserito in Urban II. Esisteva già un tavolo molto attivo e

dunque per un anno abbiamo preso un posizione di ascolto, la nostra scelta è stata

quella di innestarci in un processo di “cittadinanza attiva” già in corso. Ci

interessava capire se potevamo rintracciare delle motivazioni particolari dei

racconti che ci portassero a comprendere anche bene.

Cosa avete portato al lavoro già in atto nell’ambito del Tavolo Sociale e

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conseguentemente al programma Urban II?

Lo abbiamo essenzialmente potenziato, abbiamo scelto di operare in sinergia

piuttosto che in totale autonomia. Abbiamo ovviamente avuto un’autonomia

metodologica e operativa scegliendo di potenziare delle azioni già in atto.

Soprattutto nella prima committenza che ci ha permesso di lavorare con Massimo

Bartolini nella ‘Cappella Anselmetti’ è stata una committenza che abbiamo

seguito io e Lisa Parola. Questa committenza nasce dall’avere intuito una naturale

coincidenza, dove da una parte gli insegnanti che partecipavano, un gruppo

particolarmente attivo (un gruppo di insegnanti delle Scuole Elementari e

dell’Infanzia del circolo “Franca Mazzarello” e della Scuola Media “Alvaro-

Modigliani”) che stavano lavorando in questo processo innovativo sulla

questione della memoria e dell’identità, una memoria di cittadinanza attiva tratta

da momenti diversi, da documenti, da interviste orlai fatte ai nonni dei bambini,

le passeggiate del quartiere alla ricerca di tracce anche macroscopiche, tutto verso

la raccolta di una serie di dati che confluivano in una riscrittura storica. Una

prospettiva molto aperta, plurale e rivolta anche al futuro. Quindi oltre ad essere

un progetto molto interessante è un progetto che loro stessi avrebbero voluto

svolgere in maniera più ampia e che potesse lasciar tracce anche ad altri. Creare

un archivio di esperienze didattiche e di materiali sul quartiere che venivano

prodotti durante questa esperienza. Questa era un esigenza, poi c’era anche il

desiderio di ristrutturare questa piccola Cappella settecentesca, effettivamente

l’unica traccia architettonica di un passato antico e pre-industriale, una cappella

che faceva parte di un complesso e di una cascina, che testimoniano un passato

prettamente agricolo. Il progetto Urban prevedeva ad esempio il restauro della

Cascina Roccafranca, che è stata recuperata ed è diventata un centro di quartiere

molto bello e funzionale, tutto grazie ai finanziamenti di Urban e che era quindi

in progetto. Era un rudere immerso in contesto totalmente diverso di casa di

edilizia popolare. La cosa interessante e che la possibilità di restaurare quella

chiesetta, che gli abitanti la vedevano un pò come il simbolo di questo passato

aulico dei cittadini. Però era parecchio complicato inserirlo nella progettazione,

era di proprietà privata, era un desiderio legato all’immaginario, che però da un

punto di vista dell’efficacia delle griglie con cui normalmente si interviene nello

spazio pubblico stava un po fuori dalle prime necessità e dalle urgenze.

Noi ci siamo dovuti permettere di recepire questa richiesta nel succedere in un

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principio di funzionalità, poiché appunto recuperando questo desiderio delle

maestre di un laboratorio e mettendolo insieme al recupero della Cappella, che tra

latro era inserita nel giardino delle scuole, si è trovata una ragione e una funzione

per dare spazio a questo immaginario desiderato, si è quindi creato il Laboratorio

di Storie e Storie.

Tenendo conto del modello francese, dove i tre attori sono costituiti dal

committente cittadino, mediatore e artista, in che modo agite in questi contesti?

Diciamo che dei tre attori del processo secondo il modello francese il cittadino-

committente è il motore iniziale di fatto poi si allarga ad una comunità di attori

più ampia a parte le fondazioni come la Fondazione Adriano Olivetti o la

Fondation de France, poi ci sono altri attori come i finanziatori, pubblici se si

tratta di un progetto come quello di Mirafiori dove Urban è stato l’interlocutore

centrale. Poi se si tratta di un progetto che riguarda lo spazio pubblico è

imprescindibile, e quindi anche i tecnici ad esempio diventano interlocutori del

progetto. O artigiani che negoziano con gli artisti o con gli stessi committenti

sulle proprie azioni. Poi i modi di produrre le progettazioni cambiano in base ai

finanziamenti, ad esempio nel caso di Urban Mirafiori esisteva una cifra precisa.

Diciamo che è una geografia di relazioni ampia e ciò che è interessante vedere è

che tutte le relazioni cercano un dialogo tra di loro in una maniera creativa, nel

senso della messa in comune in maniera orizzontale. Il committente si trova ad

interagire con tutti in modo più tosto paritario, poiché inserito in una dinamica di

produzione che normalmente non si crea.

In quale dei progetti realizzati, queste relazioni tra attori, si sono rilevate

migliori?

Entrambe i lavori sia quello di Massimo Bartolini che di Lucy Orta hanno

funzionato molto bene. Poi dipende dal gruppo, in una c’erano le insegnati, quindi

persone mature, nell’altro un gruppo di adolescenti che avevano tra i 17 anni e 19,

poi essendo processi abbastanza lunghi, in quel caso li, si è visto un vero e proprio

cambiamento dei committenti. Forse era più semplice quest’ultimo caso da un

punto di vista e meno da un altro. Semplice per la questione della relazione, della

fiducia e nella collaborazione tra i committenti e l’artista. Un artista che abbiamo

scelto non solo per la sua abitudine a misurarsi con le tematiche sociale ma

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sopratutto per il fatto che spesso faceva workshop, coinvolgeva ragazzi, aveva un

attitudine alla formazione e alla co-progettazione e che si prestava benissimo per

quel contesto. Da un'altra parte va detto invece che per la giovane età, essendo

un’attività extra curriculare ed extra scolastica e volontaria, ci potesse essere un

abbandono nell’arco degli anni! Non essendo un processo che si è concluso in

breve dove i mediatori hanno avuto un ruolo in questo, nel mantenere vivo un

processo anche nelle fasi di inerzia. Sta di fatto che il gruppo è rimasto, anche se

un po sfoltito, motivato fino alla fine. Alla fine la coerenza delle committenze si è

rilevata positiva. Per quanto riguarda le maestre invece, c’è stata un ottima

relazione, legata alla maturità delle persone, c’è stato un effettivo scambio dove

l’artista ha “mansito” la sua personalità con un mediato feedback delle sue idee e

questo a portato a rivedere alcun cose, a capire cosa che è veramente necessario in

un progetto e ciò che potrebbe non essere così determinante. Per le maestre-

committenti è stata un esperienza stimolante sia dal punto di vista morale e umano

ma soprattutto professionale. Loro ci dicevano che: l’opera (di Bartolini) ha

offerto delle nuove prospettive sulla didattica e ha dato nuovi spunti e nuovi modi

di guardare, e questo è molto interessante.

Che definizione possiamo dare a questo dialogo tra arte e partecipazione attiva?

È una cosa su cui ci stiamo interrogando perché indubbiamente ci sono una serie

di percorsi in cui queste pratiche stanno diventando sempre più diffuse, il

cosiddetto “ritorno al reale” e le ragioni sono molteplici. Alcune sono legate al

contesto storico e alle urgenze e dall’altra la differenza tra Italia e altri paesi,

perché ad esempio nel mondo anglosassone esistono agenzie che promuovono

questo dialogo in maniera più strutturata talvolta con modalità molto tradizionali

anche discutibili, però possiamo dire che c’è una tradizione forte che Italia non

c’è, non esistono agenzie o cose di questo tipo, e sta sempre più diffondendosi

invece, da parte delle amministrazioni, la consapevolezza del ruolo dell’arte. Un

fenomeno che si sta pian piano diffondendo e come tale ci sono anche molte

criticità sollevate in ambito teorico anche rispetto al significato di community-

based art e cioè quando l’arte si relaziona con la società, cosa vuol dire

partecipazione? Perché poi la riflessione non è tanto legata alle parole ma alle

pratiche. Se la partecipazione può avere un solo un ruolo consultivo su delle

decisione già prese anziché invece essere u processo emporwerment e cioè che da

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degli strumenti, la comunità spesso può essere coinvolta anche a livello

strumentale, anche non volontariamente, per ingenuità da parte del’artista, del

curatore, dall’ente pubblico che attiva le dinamiche. Fare un po di animazione

culturale ed essere riusciti a portare avanti un’iniziativa culturale. La cosiddetta

comunità, anche se preferisco collettività, sia più che altro “usata”. Credo quindi

che sia importante che queste pratiche che si stanno diffondendo molto, che ci sia

una assunzione di responsabilità e consapevolezza di chi, come autori, come

artisti, come produttori e teorici, dovrebbero capire si fanno determinati percorsi.

Cercare quindi preliminarmente, come scrisse un’artista: “Le regole d’ingaggio

siano chiare”.

Come agiscono le opere realizzate a Mirafiori e quanto si è riusciti a fare

attecchire un cambiamento culturale?

Le opere agiscono su vari livelli, una che poteva apparire la più problematica,

dove la dinamica della committenza, nell’opera di Claudia Losi, dentro un cortile

di case di edilizia pubblica con una forte componente culturale, dove stava già

agendo un’agenzia di accompagnamento, “Avventura Urbana”, che lavora molto

bene, che sta attuando un processo di rinnovamento degli spazi comuni e

lavoravano sulle relazioni. Noi abbiamo deciso di potenziare questo lavoro con un

processo di committenza. L’artista ha lavorato molto sul dialogo, prendendo come

piattaforma un edificio dismesso, chiedeva alle persone cosa vedevano

affacciandosi dai balconi e cosa vedevano in quel cortile di intervento.

Interrogando questo affaccio e ricevendone descrizioni, memorie. Aveva

cominciato a tessere delle relazioni con gli abitanti e da quelle aveva cominciato e

tirarne fuori delle immagini e dei disegni con delle frasi che aveva riportato su

delle grandi lenzuola che aveva riconsegnato alle persone con cui aveva

chiacchierato. Ciascuno aveva steso un proprio lenzuolo con il disegno relativo a

qual modo di guardare fuori ed è diventato una specie di fondale di festa di cortile.

Intorno ad una panchina contesa, dove avvenivano pratiche illegali, usata solo da

un piccolo gruppo, e quindi si è pensato di togliere la panchina eliminando anche

il conflitto. Noi quindi siamo andate a cogliere questa domanda per un “luogo

dove stare”, un luogo dello stare di qualità, dove le mamme, che erano anche gli

attori mossi maggiormente, potevano stare tranquille vedendo i propri bambini

che giocavano. E quindi da li è nata la committenza Claudia Losi. Una

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Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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committenza complessa, non tanto per le relazioni con questo gruppo di

committenti, ma tanto dal fatto che vedere delle cose nuove potesse creare nuovi

conflitti e quindi l’ostilità nasceva, non tanto rispetto all’opera ma quanto rispetto

alla paura! Che venisse immediatamente distrutta o addirittura di non meritare

nulla del genere perché poi si sarebbe danneggiato. L’opera è stata realizzata. Il

risultato creato dopo una fase molto complessa, che ha portato l’artista a rivedere

parte del progetto. Una bellissima aiuola sopraelevata con delle onde si chiamava

Transatlantico, con delle aree da seduta molto belle e un passaggio nel mezzo che

rappresenta un gesto un po spontaneo e quindi interagiti degli abitanti di quelle

case. Di fatto tutti pensavamo potesse sopravvivere poco, perché quell’opera è

nata e cresciuta cercando di far fronte ad un conflitto ma è stato anche cornice e

rappresentazione di questo grosso conflitto che non a caso si è manifestato anche

durante l’inaugurazione e che invece sta volta ha avuto un diversa cornice, perché

c’era presente il presidente della circoscrizione, c’erano i decisori, quindi le

ragioni anche antitetiche hanno trovato anche un modo di articolarsi in una

cornice più ampia che forse è servita a dare un altro tipo di possibilità di

espressione.

Sta di fatto che quell’aiola ha attecchito, anche se ci aspettavamo che venisse

danneggiata e abbandonata, è un oggetto di cura, e noi sappiamo quanto gli spazi

comuni sino segnali di affezione ed i acquisizione di un bene comune, e quindi lo

ritengo un risultato positivo.

Dove siete impegnate al momento?

In questo momento siamo molto impegnate nella conclusione di una committenza

in corso che riguarda un’area della città a nord di Torino che si chiama Barca

dove siamo arrivate dopo un percorso di formazione fatto con giovani, un

“parkour” urbano, come esploratori della città. Un gruppo di giovani di discipline

diverse che vanno dall’architettura, all’antropologia alla musica e all’arte, che

abbiamo formato tramite workshop con artisti e gli Stalker, per vedere la città in

un modo diverso. L’obbiettivo era quello di creare una mappatura di una città che

si sta trasformando, una città formata dai quartieri e di aree che non sono sempre

sotto gli occhi di tutti, fatta di luoghi che pensiamo di conoscere ma infondo non

conosciamo. Volevamo provare a raccontarla in modo diverso, attraverso una

maniera diversa di abitarla, fatto di nuovi cittadini ma non solo, e con questo

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tentativo questo ragazzi hanno ri - mappato la città alla ricerca di situazioni. (Si

chiama SITUA.TO questo programma). Situazioni che prendiamo un po’ dai

situazionisti, perché quella è la nostra storia. Nasce da comportamenti di persone e

luoghi prendendo tutti quegli elementi di criticità o di forza, da valorizzare, da

progettare e da riscoprire. Individuare i punti nevralgici della città da dove creare

dei progetti di natura molto diversa: abbiamo prodotto un documentario e altri

materiali. Nel caso di Barca il progetto nasce in un’area un po abbandonata dove

esisteva una comunità che abitava questo spazio marginale al contesto territoriale.

Quindi volevamo fare qualcosa che lasciasse qualcosa a quel luogo riattivando

magari delle pratiche artigianali che erano andate perdute e uscire dalla

condizione di inerzia. Abbiamo invitato pertanto gli architetti di Raumlabor

(sostanza del lavoro), un collettivo interdisciplinare di Berlino, che utilizza la

pratica dell’auto-costruzione.

Un lavoro e un azione che produce un cambiamento e ci pareva essere

un’esperienza che apriva delle possibilità altre per valorizzare quel modo di

abitare quello spazio pubblico. Un centro, con un chioschetto, dove potevano

condividere il tempo libero della quotidianità e che invece nelle città è difficile

creare un situazione simile. Abbiamo pensato che fosse un valore in un contesto

dove il livello culturale era anche abbastanza piatto soprattutto nei giovani. Il

gruppo di Raumlabor sono arrivati attrezzati di seghe, martelli e si è cominciato

con materiali di recupero assi di legno e vecchi mobili insieme a quanti hanno

voluto unirsi e man mano le persone sono arrivate. È stato un grande catalizzatore

di immaginario e di desiderio di cooperazione nel lavorare insieme, e lo abbiamo

chiamato “Cantiere Barca” come la grande scritta di questo fabbricato che è

diventato un centro a cielo aperto, e da li è nata una committenza per uno spazio

per i giovani.

Dopo un primo start up, sono stati raccolti i progetti, i desideri e la volontà di chi

voleva partecipare e condividere quanto veniva fatto, è stato un processo di

emporwerment, quando vedi che qualcosa può cambiare con l’impegno, dà fiducia

e da li c’è stata la domanda per un centro per i giovani e stiamo lavorando proprio

su questo. Si sono uniti altri collettivi di designer, di giovani che abitano nel

quartiere con altri che arrivano da altre città italiane e non per lavorare con

Raumlabor.

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Questo progetto si è unito a qualcosa che era già in corso o a livello autonomo?

Questo progetto lo abbiamo fatto in maniera autonoma. SITUA.TO è un

programma per Your Time - Turin 2010 European Youth Capital, abbiamo avuto

quindi un finanziamento con la Regione Piemonte, poi abbiamo finito e quello che

abbiamo voluto portare avanti lo abbiamo fatto creando le condizioni volta per

volta. In questo caso un primo workshop lo abbiamo fatto come start up ottenendo

un piccolo sostegno dalla Fondation de France che ci ha dato il permesso di

coinvolgere questi architetti. Poi abbiamo fatto un bando con la Compagnia San

Paolo, un bando per la rigenerazione creativa e abbiamo ottenuto un altro

sostegno e un anno dopo abbiamo fatto un secondo workshop, a giugno e a

settembre. Nel frattempo abbiamo richiesto i permessi per recuperare dei locali

sfitti e di volta in volta cerchiamo interlocutori economici e decisionali per la

produzione del progetto, non c’è stato commissionato.

Quale tipo di produzione interessa Nuovi Committenti e la vostra azione in

particolare?

Ci interessa la produzione del nuovo patrimonio artistico, dove la dimensione

della qualità e del miglioramento estetico dei luoghi ha un valore. Il processo è

politico ma l’estetica può mantenere una sua posizione, non è conflittuale, per

tanti anni si è discusso se scegliere l’estetico o il politico ma non crediamo sia più

questa la questione.

In Nuovi Committenti ritieni che sia più importante il processo o l’esito?

Nuovi Committenti se vogliamo guardalo da un certo punto di vista: è un

programma che è nato da un artista, ha scritto il protocollo, cresciuto negli anni

’70 e che quindi nasce in quel clima e si è interrogato molto sul rapporto tra arte e

società e quindi su come l’arte potesse di nuovo assumere un ruolo sociale. Quindi

tutto Nuovi Committenti, visto come processo, ogni volta si attua i modo diverso.

È considerato come meta-progetto artistico proprio perché nasce da un progetto di

un artista, ma non è questo importante. Detto ciò, Il lavoro dell’artista che sta

dentro un processo che non è attivato dall’artista. In Nuovi Committenti, gli artisti

cercano un dialogo, le modalità per svilupparlo, decidono di trasformare la loro

azione in un servizio oppure in realtà di produrre un progetto, a seconda!

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Non è arte sociale o arte politica, è il metodo che è sociale e politico. L’artista nel

processo può incontrare chiunque, poi è il mediatore rende possibile questo

dialogo, poiché essendo un esperto del settore riesce a mettere tutto a sevizio di

una domanda, una domanda che deve essere in grado di tradurre correttamente e

che magari coinvolga un gruppo ampio. Ogni volta si decide. Sta di fatto che però

il mediatore individua un’artista, da lì nasce un dialogo, dalla capacità di ascolto,

capace a negoziare proposte. Ecco questo è un processo interessante, dialettico, di

fiducia reciproca, che cresce, che si stabilisce, ma può essere anche conflittuale.

Detto ciò però, poi l’esito è importante, se il processo è stato fatto bene, l’esito è

ottimo. E’ un campo di decisioni dove ciascuno ascolta tutti ma ascolta anche le

proprie riflessioni. Questa negoziazione produce un’opera che deve corrispondere

al desiderio di chi l’ha commissionata ma che poi sappia essere acquisita dalla

collettività. In Nuovi Committenti è importante sia il processo che l’esito. In realtà

è un processo di produzione d’arte. E’ politico in se, perché restituisce al singolo

individuo, che nella democrazia occidentale come scrive Alì Francois: è

considerato motore della storia. Gli riconosce la possibilità di agire attraverso

un’opera e assumere un ruolo all’interno della collettività.

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Attori del processo Immaginare Corviale

Architetto Mauro Martini - Intervista del 19/11/2012 Dal 2011 è in pensione. Nel progetto Immaginare Corviale ricopriva il ruolo di

responsabile del ‘Laboratorio Territoriale per la partecipazione – Corviale Ovest’.

Architetto / Direttore Tecnico XV Municipio Arvalia - referente per il Comune di Roma.

Nato a Roma nel 1951, si è laureato in Architettura presso l’Università di Roma “La

Sapienza”. Tra il 1982 ed 1987, è stato vincitore di una borsa di studio per laureati

(rinnovata di anno in anno), bandita dal Comune di Roma, per ricerche sul Centro Storico

e sul patrimonio edilizio esistente.

Dal 1988 al 2006, ha lavorato come architetto, assunto a seguito di concorso, dal Comune

di Roma, occupandosi principalmente di urbanistica, riqualificazione urbana e sviluppo

locale. Ha curato la redazione di due programmi di recupero urbano e di alcuni “contratti

di quartiere”. Dal 2003 al 2008, è stato Responsabile, tra l'altro, del “Laboratorio

Territoriale per lo Sviluppo locale e la Partecipazione” di Corviale-Roma Ovest. A partire

dal novembre 2009, dirige l’Unità Organizzativa Tecnica del Municipio Roma XV.

Con quali modalità, l’istituzione e il Laboratorio Territoriale per la

partecipazione - Corviale Roma Ovest” ha svolto il lavoro all’interno del

progetto Immaginare Corviale?

Il Laboratorio faceva parte di una politica del Comune di Roma ed era uno dei

laboratori aperto a Roma. Servivano a facilitare la partecipazione dei cittadini alla

individuazione delle scelte di trasformazione e riqualificazione del territorio. In

questo contesto il Dipartimento ha messo a disposizione un centro polivalente con

delle persone che lavoravano con me. Eravamo già attivi dal 2003 su una serie di

iniziative sul territorio di Corviale: coinvolgevamo abitanti, organizzavamo

campagne di pulizia del quartiere insieme all’AMA s.p.a. (azienda comunale per

le pulizie) e anche attività di tipo culturale, come le indagini con i bambini e

coinvolgimenti con attività sportive.

Successivamente parlando con il direttore del Dipartimento, Mirella Di Giovine,

ci si rese conto che esisteva la possibilità di investire una certa somma per

iniziative di carattere artistico a Corviale. Quindi dietro tutta l’organizzazione

Immaginare Corviale c’è un finanziamento pubblico. La Fondazione Adriano

Olivetti è stata pagata per fare questo lavoro, il committente è stato il Comune di

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Roma e l’iniziativa è andata avanti fin quando i finanziamenti ci sostenevano.

Come Comune di Roma è stato più facile avere rapporti con una struttura

qualificata come la Fondazione Adriano Olivetti e con un unico referente che era

Bartolomeo Pietromarchi, allora Direttore responsabile per la Fondazione Olivetti

a Roma. Non era pensabile per me prendere contatti con artisti e retribuire artisti

direttamente, sarebbe stato troppo complicato per le modalità di scelta, non

conoscevo i criteri. Demandando tutto alla Fondazione Olivetti diventava più

sicuro, un referente che ci semplificava la vita. Tutto nasce come un’iniziativa di

Arte Pubblica. Noi volevamo stabilire in che misura la presenza di artisti a

Corviale potesse contribuire a ribaltare quella logica del quartiere degradato, quel

pregiudizio, per cui Corviale doveva finire nelle cronache solo nelle eventualità di

eventi criminali, cosa che per fortuna non si è quasi mai verificata, quindi basta

parlare del “serpentone del degrado” e facciamo parlare la città di cose che

avvengono a Corviale e che hanno un valore culturale, ribaltiamo logica e

vediamo se questo si riverbera anche sulla qualità della vita degli abitanti. Questa

iniziativa è stata una forzatura, non è nata spontaneamente dal quartiere.

Con il senno di poi, ormai sono passati sei anni, e ho l’impressione che è molto di

più quello che di Corviale è rimasto nella mente e nel cuore, nell’esperienza degli

artisti che lo hanno frequentato, di quanto loro stessi abbiano lasciato

sostanzialmente a Corviale, o di quanto Corviale abbia ancora tracce di

quell’evento di sei anni fa. Mentre tutti gli artisti, che ogni tanto ho ricontattato e

ancora sento, parlano con grande interesse di questa loro esperienza, i cittadini

invece non ne parlano affatto, quindi questo servirà a riflettere sul senso delle

cose.

Io mi chiedo: tutto è finito quando sono finiti i finanziamenti e questo è forse

anche logico, ma allora vuol dire che solo una politica pubblica di investimento

nei quartieri può generare eventi artistici o scatta a un certo punto un momento per

cui si creano produzioni autogestite? Di sicuro questa è una questione molto

difficile. Certo che la presenza di artisti comunque, alla sola condizione che siano

persone veramente qualificate, genera un’atmosfera migliore, una qualità della

vita superiore e una maggiore curiosità da parte degli abitanti, i quali naturalmente

si accorgono subito se le persone con cui hanno a che fare sono delle persone

intelligenti, aperte e creative. Questa è stata un po’ la sorpresa e il piacere di

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vedere le potenzialità operative più concrete degli artisti, che in quel momento

rappresentavano, anche se in parte, un’istituzione. Questi artisti sono stati accolti

nelle case, hanno avuto la possibilità di dialogare, hanno avuto modo di entrare

nelle stanze private di queste edificazioni sociali, che altrimenti difficilmente si

sarebbero aperte.

Debbo dire che tutti gli eventi artistici, risolti in una serie di operazioni di pratiche

artistiche, non hanno lasciato scritte o murales, sono state attività abbastanza

effimere dal mio punto di vista, però utili da più fronti. Andrebbero perseguite con

continuità e non saltuariamente, successivamente dovrebbero essere affiancate

contemporaneamente con un lavoro di formazione sugli abitanti.

Perché se è vero che l’arte, in qualche modo, con la sua stessa presenza genera

nella testa di ognuno un qualcosa che viene assorbito in maniera tale per cui, poi ,

non si è più esattamente uguali a prima, forse gli abitati saranno capaci di vedere

qualcosa di diverso, e questo di per sé contribuisce alla crescita culturale dei

quartieri. Ma è pur vero che questa attività va sostenuta in presenza di artisti in

maniera strutturata, con una politica culturale e sociale che crede in queste

iniziative perché naturalmente ci vogliono investimenti e finanziamenti.

Attualmente esiste una politica culturale e sociale attiva?

Che io sappia, attualmente non c’è qualcosa in atto di questo tipo. Ti voglio però

segnalare che iniziative spontanee di tipo artistico a Corviale ci sono, non legate

agli artisti della Fondazione Adriano Olivetti. Attualmente c’è il Mitreo, un centro

artistico ormai in attività da più di cinque anni. Ha uno spazio di proprietà del

Comune che è stato assegnato con un bando ad un artista, Monica Melani che

organizza mostre, convegni e dibattiti. Una preziosa presenza a Corviale che

anima un po’ la vita culturale. Non so quanto questo sia stato frutto della

casualità, quanto invece Monica Melani abbia avuto la forza dall’esperienza di

Immaginare Corviale per avere una struttura ancora presente nel territorio. Ad

esempio sabato scorso (17 novembre 2012) è stata inaugurata nella di biblioteca di

Corviale una mostra dedicata al Nuovo Corviale, una mostra tutt’ora aperta per

una quindicina di giorni di opere, di fotografie, di sculture e di pittura di persone

che lavorano o vivono a Corviale, ci sono artisti tra cui la stessa Monica Melani,

Stefano De Santis e altri.

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Quindi c’è ancora la presenza di artisti, che fanno con quello che possono, con

mezzi modesti. I lavori sono presentati dentro la sala della biblioteca e non

all’interno del fabbricato o all’interno delle case degli abitanti, un modo più

tradizionale di trattare l’arte, però testimoniando che una brace ancora accesa c’è.

Erano state fatte altre iniziative artistiche in passato mi sembra?

Eventi a Corviale ne furono fatti nel tempo perché c’era una precisa volontà

politica delle giunte di Rutelli prima e Veltroni dopo, di sostenere la

riqualificazione delle periferie esportando eventi di tipo culturale in periferia. Per

esempio Sonicity: architetti del suono compositori del luogo, fu un’iniziativa di

artisti, di performer e musicisti a Corviale, poi ci fu un grande convegno

internazionale Al centro le periferie che vide la presenza di uomini della cultura,

economisti, ecc., a discutere dello sviluppo delle città. Una serie di iniziative ci

sono state anche in passato, ma naturalmente tutto dipende da quanto la volontà

politica di un Comune crede di investire nella cultura e nell’arte come mezzo di

riqualificazione delle periferie.

Nel suo modo di vedere, questo tipo di sperimentazione culturale di carattere

artistico che è stata applicata a Corviale, è stata funzionale ai processi

partecipativi o comunque al lavoro del Laboratorio Territoriale che

rappresentava l’istituzione?

Assolutamente si, personalmente mi sono preoccupato, perché c’è stata una lunga

discussione con gli artisti, i quali naturalmente non volevano condizionamenti,

perché l’artista dovrebbe essere lasciato libero, però io ero molto preoccupato di

verificare che le cose andassero bene per i cittadini, mortificati da anni di

abbandono con problemi serissimi dati dal lavoro, dalla salute e dalla qualità

dell’abitare del complesso. Una situazione molto esclusiva, se poi queste

manifestazioni artistiche fossero risultate ridicole o poco capite? Rischiavamo una

sorta di ribellione, cioè si rischiava che gli abitanti potessero percepire questa

iniziativa come l’ennesimo investimento sprecato. Ho dovuto prendere una

precauzione. Nel momento in cui c’è un committente pubblico, non può l’artista

essere lasciato libero, se fanno qualcosa di sbagliato in modo da generare negli

abitanti azioni antagoniste, poi chi ne paga le conseguenze? Oltre che gli abitanti,

è il referente politico del Comune.

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In che modo l’istituzione dovrebbe lasciare libero un artista?

Quando si fa arte pubblica, o comunque arte finanziata pubblicamente

bisognerebbe scindere alcune cose. Voglio dire che, se un artista sta nel suo atelier

, si fa una sua scultura, se la vende, e questa scultura va a finire in casa di

qualcuno, non c’è un’implicazione sociale, diventa un “fatto privato”. Nel

momento in cui si fa un’attività di tipo artistico che implica il coinvolgimento dei

cittadini con musica, occupazione di suolo, produzione di immagini all’interno di

un quartiere, diventa allora di interesse pubblico, supera la soglia della libertà

totale dell’artista di fare quello che vuole, perché, ad esempio, se poi il quadro lo

vende o non lo vende o se lo tiene, c’è un livello talmente privato dell’operare

dell’artista su cui ha il 100% di libertà.

Nel momento in cui va a lavorare all’interno di un quartiere ha naturalmente la

sua libertà, però bisogna anche valutare le conseguenze che i suoi atti possono far

derivare, una loro inadeguatezza rispetto alla complessità della situazione in cui si

vengono a trovare. C’è una percentuale di rischi, dove bisogna capire chi li corre,

se li corrono gli artisti direttamente o se li corrono gli artisti e il committente.

Quindi bisogna: o scegliere gli artisti con molta attenzione o accettare che l’arte

pubblica deve essere comunque in qualche modo, dal mio punto di vista, frutto di

un ragionamento concreto e congiunto che comporta delle libertà reciproche,

libertà di orientare e libertà di essere indipendenti.

Nel caso Immaginare Corviale ?

È un progetto che ha avuto un suo inizio e una sua fine, si è sviluppato in un arco

temporale e che ha avuto un finanziamento, terminato il quale, è terminato anche

il progetto. Volevo dire però un'altra cosa: durante questa operazione una delle

iniziative culturali ed artistiche più rilevanti e materializzata è stata la creazione di

un network chiamato Corviale Network – Televisore di quartiere. Naturalmente la

Fondazione Adriano Olivetti ha messo a disposizione soggetti che erano

qualificati: un regista, delle operatori capaci di fare delle riprese, persone che

hanno scritto un palinsesto e sceneggiature di alcune cose. Tutte queste figure

sono venute dall’esterno rispetto al quartiere. Poi gli abitanti sono stati coinvolti

nelle riprese. Sono state fatte otto o nove puntate di Corviale Network, ognuna

con una serie di attività ricorrenti. Ogni puntata aveva una visita a casa di una

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signora che presentava una sua ricetta di cucina, altre che invece erano indagini

sullo stato dell’ascensore ecc.. Queste nuove puntate sono state confezionate e

hanno dimostrato che si può produrre una televisione di quartiere.

Successivamente ci siamo appoggiati a Roma 1 , un’emittente che va in onda sul

satellitare, la quale si è prestata a proiettare, man mano che venivano prodotte,

queste nuove puntate, credo che sia stato visto in tutta Europa.

Detto questo però, una volta che è finita l’iniziativa finanziata che sosteneva

Corviale Network, gli abitanti non hanno preso la palla al balzo e continuato. Gli

abitanti di Corviale, specialmente i giovani, non hanno cultura di impresa, non

sono mai stati abituati a pensare che loro possono mettere su un’impresa, quello

che chiedevano era: chi ci assume? Quanto ci piace fare i dipendenti di una TV

privata, ci assumete? Avevano un atteggiamento di tipo passivo, non hanno la

forza ne il coraggio per mandare su un’iniziativa d’impresa. Questa è stata

un’altra delle cose su cui bisognerebbe lavorare. Quindi le puntate sono finite

così. Queste cose non attecchiscono e sono altro soggetto di riflessione.

E’ rimasta quindi la voglia di essere coinvolti e basta?

Noi dicevamo scherzando come Laboratorio quando si lavorava li: ma se in un

Club c’è bisogno di animazione per divertirsi e essere attivati, figurati in un

quartiere di periferia, dove tutti sono disperati e hanno problemi, è chiaro che c’è

bisogno di una animazione permanete. Ma i costi di questa animazione e i costi

della partecipazione, chi li paga? Questo è il punto.

Cosa si è fatto dopo la fine dei finanziamenti?

Il Laboratorio è rimasto e ha fatto altri lavori, ma non è più andato avanti il

rapporto con la Fondazione Adriano Olivetti. Poi è cambiata anche la giunta ed è

stato chiuso anche il Laboratorio.

Ci vorrebbe quindi un atteggiamento diverso da parte dei cittadini per dare

continuità alle progettazioni?

Secondo me ci vorrebbe una seconda stagione forte dell’esperienza fatta e anche

del clima che sta cambiando. Sfruttare le direttive europee sui Fondi Strutturali

2014-2020 che stanno per arrivare a sostegno delle politiche economiche dei vari

stati e che sono orientati a sostenere la creatività, servirebbe molto alla città. C’è

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un fondo che si chiama Europa Creativa: tutti i quartieri e le città che

dimostreranno di avere una vitalità culturale, creativa ed artistica, associata

possibilmente ad un’attività di innovazione produttiva, saranno premiate e in

questo senso aver fatto dei tentativi di attecchimento di arte in periferia può essere

una delle condizioni per verificare se c’è un futuro più stabile dal punto di vista

delle frequentazioni artistiche delle periferie.

Possiamo dire che questa esperienza, attualmente, ha maturato il luogo, aldilà di

tutto?

Assolutamente si.

Mi interessava capire come ha funzionato questo miscuglio che c’è stato tra:

sperimentazioni culturali e piani e programmi in atto, come il PRU o il CdQ?

Anche quelle erano iniziative, sia i PRU sia i CdQ, erano iniziative nate dal

Ministero delle Infrastrutture, c’erano dei finanziamenti pubblici che lo Stato ha

dato a disposizione per Bando. Per avere questi finanziamenti bisognava

presentare un progetto e vincere. Corviale nel CqQ ha ottenuto il finanziamento di

10 milioni di euro perché ha presentato un programma di investimento

dimostrando di avere un laboratorio che generava partecipazione e che aveva

lavorato tanto. Non tutti i comuni che hanno partecipato hanno ottenuto dei

finanziamenti. La Regione Lazio alla fine credo abbia finanziato una quindicina di

proposte su oltre 40 che ne erano arrivate. Corviale è stata una di queste proprio

perché aveva dimostrato di avere già avviato una serie di lavori.

Dietro c’è sempre un finanziamento pubblico perché in Italia i privati per adesso,

mi sembrano un po’ “addormentati” sulla sponsorizzazione di queste iniziative e

se ne sentirebbe il bisogno ad esempio: in periferia si potrebbero promuovere

attraverso i centri commerciali che ci sono, o attraverso le banche, fondi per la

promozione di queste iniziative. Il problema è che queste produzioni artistiche

non riescono a promuovere occupazione, perché se arrivassimo a questo sarebbe

proprio il massimo, cioè le attività che si portano appresso nuovi posti di lavoro

sono l’unica risorsa credibile per gli abitanti.

Questo lungo lavoro, ben fatto sia da parte di artisti sia da parte delle istituzioni,

ha sicuramente portato dei buoni risultati, tanto da pubblicare un testo e tanto da

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essere trattato come uno degli eventi culturali più rilevanti, cosa ne pensa?

I comuni non hanno nel loro DNA e nelle loro capacità organizzativa la

flessibilità per capire, a parte queste eccezioni che hanno dimostrato di poter fare

qualcosa grazie al frutto di una congiuntura di persone e di idee. Non sono

strutturati con una certa flessibilità a sostener iniziative di questo tipo, hanno i

loro meccanismi tradizionali, lavori pubblici, gara d’appalto, asilo nido, si ripara

la strada, si da la mensa e tutta una sera di iniziative di routine, ma se devi fare

ricerca e sviluppare nuove idee i comuni si incartano subito a meno che non ci sia

una forte volontà politica e una forte capacità nelle persone coinvolte di correre

dei rischi. Se gli enti locali fossero a loro volta orientati con indicazioni precise

che possono provenire dai ministeri o da chi fa una programmazione delle attività

a sostenere queste iniziative artistiche, saremmo avvantaggiati. Il problema è che

altrimenti rimani sempre uno sperimentatore che rischia di pagare di proprio le

scelte.

Per quanto riguarda il PRU e il CdQ, c’è qualcosa che è stato riflesso dal

progetto Immaginare Corviale?

No, non c’è un annesso diretto tra il contratto di quartiere e il PRU, sono due

iniziative che arrivano, prima il CdQ poi il PRU, un poco casualmente. Io sono

stato il tramite, avendo esperienza e conoscendo bene Corviale, che ha dirottato

sia il CdQ sia il PRU o uno dei PRU di Roma su Corviale. Nel senso che quando

si è deciso quali quartieri coinvolgere, sia per il CdQ, che era un bando del 2002

mi sembra, sia i programmi di recupero urbano, potevano essere tantissimi i

quartieri di Roma interessati all’investimento.

Io che però lavoravo e conoscevo la realtà di Corviale ho fatto il modo di dirigere

tutti e due su Corviale. Ci sono stati ovviamente altri CdQ e PRU a Roma, a San

Basilio, a Torbella Monaca ecc., uno di questi è stato Corviale. Ma tutti i

finanziamenti pubblici dei CdQ sono ancora disponibili alla Cassa dei fondi

prestiti. Alcune iniziative private sono andate avanti sia nel CdQ e nel PRU, ma

debbo dire che con il cambiamento di politica urbana dell’ultimo sindaco, c’è

stato un rallentamento totale di queste iniziative, per cui non si è applicato né gli

orti urbani, che era uno dei progetti legati a Immaginare Corviale, e c’era un

finanziamento per quel progetto, né la riqualificazione e il riarredo degli spazi

pubblici che è un’altra delle opere del PRU e che implicava la ricostruzione

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dell’immagine per le strade o per gli ingressi di Corviale, ma tutto questo ancora è

sulla carta.

E i cittadini che si sono auto-organizzati?

Io continuo a chiedermelo questo. Sono stati molto spiazzati dall’idea che la

nuova giunta regionale ha detto: demoliamo Corviale! E arrivederci e grazie..

quindi sono dovuti tornare indietro di dieci anni e ricominciare, non da che cosa si

fa, dal punto di vista artistico, ma a difendere Corviale. In quanto opera

architettonica di valore storico-culturale per la città. Tutti hanno concentrato lo

sforzo per evitare che Corviale si abbattesse. Da un po’ di tempo a questa parte

c’è stato anche un convegno che abbiamo organizzato con il Ministero dei Beni

Culturali, che per fortuna ha un settore che si occupa di valorizzare l’architettura e

l’arte contemporanea, ha sposato la nostra causa e ci ha sostenuto nell’impresa di

Corviale con un convegno che si chiama Forum Corviale, tenutosi il 30 di ottobre

2012 qui a Roma, che ha lanciato anche una prospettiva di futuro con tante cose,

compresa anche quella dell’arte. Per cui, abbiamo dovuto, per Corviale, pagare un

prezzo carissimo alla difesa stessa dell’edificio.

Io non credo all’abbattimento, Corviale non è San Pietro, e quindi ci si può anche

condurre delle modifiche in parte, di destinazione d’uso se servirà a rilanciarlo

funzionalmente. Siccome il Ministero stabilisce in base al valore storico e

culturale, bisogna quindi rivalutare quanto questa opera sia stata valutata su libri e

opere internazionali, e Corviale è su tutti i libri d’Europa. Quindi utilizzando

questo parametro si è concluso che questo edificio va tutelato e riqualificato, là

dove è possibile, correggendo tutti gli errori che sono stati fatti, ma sicuramente

non è da abbattere.

Il problema è che la popolazione originaria c’è stata deportata a Corviale, cioè non

è stata una scelta, erano case popolari, la maggior parte erano stati sfrattati e

andarono in una zona che allora era priva di qualsiasi servizio. Io sono convinto

che se oggi, con tutto il bisogno che hanno i giovani, si svuotasse Corviale, e si

dicesse: chi è interessato ad andare a Corviale? Magari sperimentando forme

abitative di tipo innovativo come si sta facendo adesso anche a Milano con il Co-

Housing o forme di condivisione di acquisti di merci o Gruppi di Acquisto

Solidale: se si fosse lasciato libero a tanti giovani che non hanno casa e dovessero

andare ad abitare a Corviale per scelta, secondo me si riempirebbe il fabbricato in

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pochi secondi di una popolazione totalmente diversa e totalmente giovane e

sicuramente motivata a stare lì.

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Maria Teresa Bruca – Intervista del 10/11/12 Attualmente dipendente dell’ATER (Ex IACP). Nel progetto Immaginare Corviale

ricopriva il ruolo di responsabile dell’associazione ellelab per la redazione del lavoro

svolto per il Quarto Piano da inserirsi nel CdQ II del 2004.

Ellelab con Stalker ha curato la mappatura e la protrazione partecipata del Quarto Piano.

Ellelab ad oggi non è più attiva, ha collaborato con l’Osservatorio Nomade nella

costruzione e realizzazione del progetto Immaginare Corviale. Il collettivo formatosi nel

2003 era formato da Sara Braschi, Maria Teresa Bruca ed Eleonora Costa.

Nel progetto ‘Immagina Corviale’, quali sono gli elementi fondamentali che

hanno costituito il lavoro del Quarto Piano e quali poi si sono inseriti nel CdQ II

ad oggi?

Nel progetto dell’Osservatorio Nomade Immaginare Corviale è stato fatto un

programma di mappatura del quarto piano. Quest’ultimo corre longitudinalmente

lungo tutto l’edificio e originariamente, rispetto al progetto di Mario Fiorentino,

era stato destinato ai sevizi (negozi e studi professionali). Una grande strada

interna all’edificio che contenesse tutti i servizi. Di fatto non sono mai stati

realizzati e gli spazi, ormai rimasti vuoti, sono stati pian piano occupati dagli

abitanti che ne hanno ricavato degli alloggi.

Nel fare la mappatura ci siamo accorti di come era avvenuta questa occupazione.

La maggior parte degli occupanti erano persone cresciute a Corviale, figli degli

assegnatari degli alloggi degli altri piani, non avendo trovato una casa sul mercato

hanno occupato questi spazi vuoti ricavando un alloggio.

Vorrei sottolineare che nella distribuzione spaziale, lì dove lo spazio pubblico

aveva fallito, (come ad esempio il quarto piano), si era creato una nuova forma di

spazio semi-pubblico condiviso.

I grandi pianerottoli comuni a più alloggi occupati, venivano autogestiti dagli

occupanti stessi per diverse funzioni: spazio gioco per i bambini, spazio per il

soggiorno all’aperto, dei giardini pensili. Il lavoro di mappatura è stato fatto con

la collaborazione degli abitanti durante il progetto Immaginare Corviale.

Parallelamente, finito il progetto, noi di ellelab ci siamo continuati ad occupare

del quarto piano, avendo instaurato un rapporto di collaborazione con gli abitanti

del quarto piano, che nel frattempo avevano costituito il comitato Piano Occupato,

e visto che parallelamente a Immaginare Corviale era partito il Contratto di

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Quartiere, abbiamo pensato di collaborare con loro spontaneamente, elaborando

una proposta di progetto da presentare alle istituzioni.

Il CdQ di Corviale ha delle particolarità dovute al fatto che l’edificio Nuovo

Corviale è di proprietà dell’ATER, invece i servizi intorno sono di proprietà del

Comune. Quindi il lavoro è stato fatto contemporaneamente da ATER e Comune.

ATER per la regolarizzazione degli alloggi del quarto piano, il Comune invece

per quanto concerne tutta la ristrutturazione e il potenziamento dei servizi intorno

a Corviale.

Nel frattempo il CdQ andava avanti prevedendo in sé una parte di

sperimentazione affidata all’Università degli Studi di Roma III in particolare al

Dipartimento di Studi Urbani (DIPSU). All’interno del Dipartimento lavorava una

figura di Stalker/Osservatorio Nomade che aveva lavorato con noi al progetto

Immaginare Corviale che ci ha coinvolto a prendere parte attivamente al CdQ.

Quindi quella che era stata una proposta nata spontaneamente fra noi e gli abitanti

diventata di fatto una proposta che è stata messa in atto ed entrava a far parte del

CdQ come progettazione definitiva.

Partecipando al bando di gara del CdQ la progettazione è diventata quella

esecutiva ma non siamo riusciti a vincere. I vincitori del Bando mi hanno

chiamato a collaborare per la realizzazione del progetto.

Quindi di fatto quello che è venuto fuori attraverso il progetto Immaginare

Corviale ha avuto una prosecuzione all’interno del CdQ e dei programmi

istituzionali.

Per adesso si è giunti in una fase esecutiva. La progettazione esecutiva è stata

conclusa e consegnata ed è pronto per essere mandato in gara. In questo moneto

le gare sono state bloccate, ma noi speriamo che al più presto ci sia modo di

attuare quello che il CdQ prevede e di regolarizzare gli alloggi.

Spetterebbe una casa alla maggior parte degli inquilini, ovviamente quelli che

hanno diritto, perché non tutti quelli che occupano gli alloggi hanno diritto agli

alloggi popolari. Si prevede che attraverso un bando di assegnazione speciale,

solo chi ha i requisiti può rimanere all’interno degli alloggi. Anche per l’ATER

sarebbe buono perché si ritrova con 120 alloggi occupati dai quali non percepisce

affitto. Tutti hanno intenzione di regolarizzare la loro posizione. I lavori

ovviamente non sono iniziati perché la gara d’appalto non è ancora stata fatta,

poiché bloccata dall’attuale Giunta Regionale. I problemi non sono di natura

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tecnica perché il progetto è completo, sono più che altro le scelte politiche e

orientamenti politici che non prevedevano un potenziamento di Corviale ma ne

prevedevano addirittura la demolizione. Adesso si aspetteranno i risultati delle

nuove elezioni che si prevedono per la fine di febbraio 2013.

Il lavoro svolto da Immaginare Corviale si è comunque inserito nei processi di

trasformazione per quanto riguarda il CdQ II, si spera adesso che il lavoro non sia

stato del tutto vano. Non conosco al momento l’esecuzione dei progetti legati al

PRU (Programma di Recupero Urbano) per gli orti urbani. I professionisti del

gruppo di progettazione nicole_fvr/A+P si è occupato della mappatura degli orti

che sono autogestiti dagli abitanti. Corviale divide la città dalla campagna ed è

stato un limite all’espansione urbana per quel lato di città e dal lato della

campagna c’è una striscia di orti gestita dagli abitanti, però non so se gli orti si

sono inseriti nel Programma di Recupero Urbano.

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Lorenzo Romito – Intervista del 18/11/12 Architetto e coordinatore artistico del progetto Immaginare Corviale dell’Osservatorio

Nomade.

La creatività e l’arte sono riuscite a progettare e coinvolgere i cittadini e quali

sono stati i risvolti positivi?

Immaginare Corviale è stato, tra i pochi in Italia, un tentavo progettuale di Arte

Pubblica. Noi dell’Osservatorio Nomade, siamo stati coinvolti dalla Fondazione

Adriano Olivetti.

Coinvolti come soggetto artistico, ci siamo introdotti come soggetti di

partecipazione e abbiamo cercato di favorire la partecipazione. Ci siamo trovati in

una “strana” combinazione con il Laboratorio Territoriale in un miscuglio tra arte

e partecipazione che non avevo mai sperimentato. Per esempio nel creare la

televisione di quartiere, che poi ha prodotto alcune puntate che sono andate in

onda su Roma 1, abbiamo coinvolto i giovani in questo contenitore chiamato

Corviale Network.

Per quanto riguarda invece la progettazione partecipata siamo riusciti a stabilire

dei rapporti con gli abitanti del quarto piano, ma abbiamo avuto delle divergenze

con l’amministrazione pubblica.

Erano divergenze date dal vostro modo di operare o avevano sollevato problemi

sull’approccio artistico?

In questo caso di artistico c’era ben poco, anche se il progetto veniva

contrassegnato come progetto di Arte Pubblica. Noi in realtà avevamo promosso

la realizzazione di laboratori condominiali che servissero per un maggiore

coinvolgimento degli abitanti del quarto piano. Quello che è stato prodotto alla

fine si trova attualmente in gara insieme agli altri progetti fatti con tutto il gruppo

interdisciplinare. Nella fase finale siamo però stato esclusi per un nostro errore

burocratico e non siamo potuti andare avanti con la progettazione.

Come potevate agire in altri casi e come le istituzioni potevano inserivi

diversamente?

Intanto esisteva una nostra ingenuità sul fatto che potevamo con le nostre sole

forze condividere idee direttamente con gli abitanti. Noi dovevamo essere uno

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strumento artistico per promuovere un’azione come quella del programma di

recupero. Ci siamo infatti interrogati sui fondi che arrivavano a Corviale e il modo

in cui venivano spesi e abbiamo messo in gioco tutto l’argomento con tutti. È stata

forse questa la nostra ingenuità. Dalla parte dell’amministrazione invece esisteva

il desiderio che fosse il Laboratorio Territoriale a condurre il progetto.

Noi eravamo anche pronti a mantenere la posizione sul territorio, non penso si

possa dire che sono finiti i soldi, il nostro progetto fatto di tanti prodotti ha

sicuramente prodotto dei feedback positivi. Oggi credo ci siano nuove attività a

Corviale in cui, per così dire, “fa comodo ripartire da zero”, perché la funzione

che può avere un progetto simile è quella di ricondurre tutto alla questione che

Corviale è un buon “bacino di voto”. Così non si determinerà mai un vero

cambiamento strutturale che attecchisce sul territorio.

Il vostro lavoro artistico e creativo nel progetto Immaginare Corviale in sostanza

a cosa è servito?

È costituito all’analisi del quartiere innanzitutto, dove sono emersi con chiarezza i

problemi dei cittadini. Ma più che la creatività e l’arte, a parte il progetto Corviale

Network, ci siamo impegnati su tutti i fronti che avevano a che fare con problemi

pratici dei cittadini, come il caso degli ascensori che non funzionano. Ma poi ci

siamo resi conto che potevamo dare fastidio a qualcuno. Da questo vari processi

che volevamo condurre sul complesso non sono venuti più a capo.

Nel 2008 abbiamo infatti interrotto completamente il rapporto con

l’amministrazione.

Però debbo dire che diverse esperienze di partecipazione passate ma anche recenti

hanno dimostrato che l’arte e gli artisti sono diventati i nuovi protagonisti o il

nuovo strumento che serve a dare credibilità ad alcuni processi, lì dove per

decenni, non hanno mai funzionato. Ecco, quindi stare da quella parte, cioè dalla

parte dell’artista, a mio modo di vedere, non è bello, e infatti ci siamo voluti

sottrarre. Ma oggi abbiamo maturato con più chiarezza questo processo artistico

avvenuto a Corviale, ne abbiamo fatto oggetto di riflessione e di studio.

L’unica esperienza che mi è rimasta sul cuore è sicuramente la creazione di

Corviale Network, è stata giocosa, divertente e coinvolgente. Strumento messo

nelle mani di chi a volte si sente “incapace di fare qualsiasi cosa” come i cittadini.

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Intervista Alessio Conti – intervista del 15/12/2012 Delegato alle Politiche Giovanili del Municipio Roma XV e responsabile

dell’Associazione Corviale Urban Lab.

Ho avuto modo di notare che siete molto attivi dal punto di vista artistico e

culturale sul contesto Corviale. In cosa consiste il vostro lavoro?

Tra le varie cose che organizziamo a Corviale, come Delegato alle Politiche

Giovanili, ci sono dei progetti che vengono affidati a delle associazioni e chi poi

si occupa per esempio della direzione artistica, si occupa dei progetti. Io sono un

referente delle istituzioni del Municipio XV. Mi occupo nel contesto Corviale di

diversi progetti in particolare di Corviale UrbanLab, che è il nostro contenitore di

tutte le attività artistiche e culturali emergenti del Municipio.

L’idea di fondo che noi cerchiamo di esportare è che l’arte e la cultura possano

essere strumenti della riqualificazione urbana. Corviale nell’immaginario

collettivo è una periferia che si riflette nella collettività come un luogo degradato

e di fallimento urbanistico. Esiste però una profonda identità in quel luogo, noi la

poniamo sotto un’altra veste utilizzando l’arte e la cultura in tutto quello che

facciamo.

Il format Corviale UrbanLab lo abbiamo esportato anche in altri luoghi al di fuori

dell’Italia, perché attualmente riscontriamo buoni risultati dal contesto Corviale.

Ultimamente abbiamo agito presso il Forte Portuense, situato nel XV Municipio

nel quartiere Portuense, che era un Forte Militare romano.

Cerchiamo nel nostro lavoro il massimo coinvolgimento degli abitanti producendo

dei materiali come la Tv Corviale Urban Lab che raccolgono tutte le iniziative da

dicembre 2011. Nelle altre azioni come quella del Forte Portuense abbiamo creato

una centralità urbana cercando di creare un’attrazione artistico - culturale. Stiamo

organizzando dei workshop incentrati sul Forte per percepire quali sono realmente

le possibilità attuali di trasformarlo in un luogo di produzione culturale.

Siamo riusciti a raccogliere in soli due giorni 1500 persone.

Lavoriamo soprattutto sulla produzione culturale dei contesti marginali ma non

possiamo riuscire direttamente ad intervenire sui processi di riqualificazione

urbana che hanno coinvolto il complesso di Corviale, perché è di competenza

della Regione Lazio. Promuoviamo la cultura del Municipio XV nel Comune di

Roma. Ti rimando al sito della nostra associazione.

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Intervista Francesco Careri – 20/11/2012

«Francesco Careri è architetto e dal 2005 è Ricercatore Universitario presso il DIPSU –

Dipartimento di Studi Urbani dell’Università di Roma Tre. Dal 1995 è membro fondatore

di Stalker Osservatorio Nomade, un laboratorio di ricerca interdisciplinare con cui

sperimenta metodologie di intervento creativo nella città. Dal 1990 fino al 2008 anima

insieme a Lorenzo Romito, Aldo Innocenzi e molti altri il progetto Stalker, con cui

sperimenta azioni sperimentali di ricerca interdisciplinare e di intervento artistico e

politico. Nel 1995 con un’azione esplorativa sul sistema dei vuoti della città di Roma,

Stalker comincia una serie di esplorazioni a piedi di diverse città europee ed americane,

su territori in abbandono e in trasformazione chiamati “Territori Attuali”. Nel 1999

insieme ai rifugiati curdi di Roma occupa l’edificio ex veterinario del Campo Boario del

Mattatoio di Testaccio denominandolo “Ararat”, per sperimentare ludicamente nuove

forme di spazio pubblico fondate sull’accoglienza e l’ospitalità. Nel 2002 attiva

Osservatorio Nomade, una rete transdisciplinare di ricercatori che realizza importanti

progetti quali Ricordando Samudaripen (2004), Egnatia (2003 – 2004), Immaginare

Corviale (2003 – 2005), Campagnaromana (2006), Suilettidelfiume (2007), Campus Rom

(2008). In seno a tali esperienze Stalker/ON ha dato vita a diversi spazi simbolici tra i

quali Amacario (1998), Transborderline (2000), Tappeto Volante (2000), Along the

Egnatia (2003), Savorengo Ker (2008); e ha partecipato alla Biennale di Architettura di

Venezia, la Triennale di Milano, la Quadriennale di Roma, le mostre internazionali

"Manifesta 3" a Lublijiana, "Mutations" al Centre d'Architecture Arc en Reve di

Bordeaux, "La ville, le jardin, la memoire" a Villa Medici, “Città Natura” al Palazzo delle

Esposizioni di Roma; espone al Miami Arts Project, alla Storefront for Art and

Architecture di New York, a KunstWerk di Berlino, al Palais de Tokyo di Parigi, al

CAPC-Musée d’Art Contemporaine di Bordeaux, al Netherland Architecture Institute di

Rotterdam.»

.

In quale maniera l’approccio Stalker ha analizzato il Corviale e quanto le

passeggiate su Corviale hanno influenzato il vostro lavoro?

L’abbiamo fatto nei primi anni e lo continuiamo a fare, camminare nelle amnesie

urbane, prima passavamo accanto alle statali adesso a Corviale abbiamo deciso di

affrontarla come se fosse un territorio come gli altri, andare a cercare anche li.

Dove c’erano spazi nascosti, dove c’era qualcosa da rilevare, da svelare e da

capire.

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Da chi era costituito il gruppo di cammino?

Un gruppo di Stalker e gli studenti della Penn State University, è stata una

giornata, un workscop pagato dalla Penn State University.

Quali sono state le riflessioni che sono venute fuori dai workschop?

Nulla in particolare, ma mi ricordo che dalla torretta del Trullo, in questo punto

altissimo si vedevano una serie di palazzine per tre o quattro chilometri con una

linea nell’orizzonte di questo chilometro di Corviale di colore nero che faceva un

po’ da confine, da muro. La passeggiata in se ha avuto poca importanza, più che

altro il lavoro poi fatto dentro il contesto insieme al Laboratorio Territoriale.

Quale è stato poi nei tavoli partecipativi il rapporto con il Laboratorio

Territoriale?

Premettendo che c’era in atto un CdQII con un investimento di dieci milioni di

euro, di cui, se non sbaglio, sei mesi dalle Regione e quattro dal Comune. I

trentacinque mila euro dati a noi per fare questo progetto di Arte Pubblica è durato

alla fine due anni è abbiamo coinvolto più di cinquanta persone, in rapporto è

veramente una miseria e allo stato attuale continuano a rivendersi una cosa che gli

abbiamo regalato. Da parte nostra c’era un impegno enorme perché ci interessava

il tema, ci appassionava sperimentarci come Osservatorio Nomade nella

formazione di una rete. È stato un lavoro complesso nel coinvolgimento di reti

gruppi. Non se hai presente quello schema con tutti gli insiemi? È stata pubblicata

poi in DOMUS del 2005 e l’articolo e di Luca Molinari.

Questo lo dico per farti capire i pesi, perché nel percorso abbiamo trovato non

poche difficoltà, perché nel nostro percorso artistico, nel lavoro della televisione e

negli altri ci guardavano come matti, poi quando funzionava se la rivendevano

come volevano. Però questo è normale quando si lavora con i poteri pubblici.

Successivamente, un finanziamento parallelo, di un milione di euro del CDQII, è

stato investito sul quarto piano e sono stato coinvolto anche in quello, per progetti

architettonici insieme ad ellelab. Ci abbiamo lavorato per più di cinque mesi

diventando così la base per il concorso del quarto piano successivamente e quelli

che hanno vinto hanno in sostanza modificato qualcosa sulle nostre idee ma alla

fine il quadro conoscitivo lo avevamo fatto noi.

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Quanto del vostro lavoro quindi è stato riflesso nel CdQII e quanto eravate liberi

di agire nel contesto?

In sostanza solo la parte che riguarda il quarto piano, che era uno dei capitoli del

CdQ, per quanto riguarda le altri parti non hanno dato indicazioni di nessun tipo.

finito il nostro lavoro il rapporto con il Comune è rimasto nullo.

Abbiamo avuto la nostra libertà perché ce la siamo presa poi è normale che ci

siano nel percorso dei conflitti ma comunque rifarei l’esperienza.

Comunque sia quando il potere pubblica chiama un artista per un progetto di arte

pubblica pensa di poterlo utilizzare come sistema di comunicazione delle sue idee

e su questo nascono sempre dei conflitti a meno che il pubblico stia facendo un

buon lavoro oppure che l’artista non abbia una sensibilità e capacità di costruirsi

un autonomo punto di vista.

Siamo usciti dai binari continuamente perché la persona come nel caso di Storie

Comuni con la signora del nono piano si è incontrata così per caso e da una

chiacchiera poi e nata l’iniziativa sfuggendo però all’area del Laboratorio

Territoriale, perché non era nella rete dei loro fili. Cercavamo di muoverci in

autonomia. I lavori erano paralleli e diversi.

Diciamo che il nostro impegno è stato sul coinvolgimento e sulla sensibilità di

capire come gli abitanti si muovevano nello spazio in cui vivevano e in quel

contesto non c’è stata sinergia con il Laboratorio se non in poche occasioni legate

ovviamente al progetto Immaginare Corviale.

Cosa della rete costruita (come da grafico) è rimasto nel quartiere e su cosa

volevate continuare a lavorare?

Attualmente il comitato piano occupato, ad esempio, non c’è più, anche perché la

maggior parte hanno cambiato casa. In tutto quello che facevamo fin dall’inizio

non avevamo capito quale era la mappa di potere infatti molto progetti fatti sono

stati tagliati. Poi i sistemi politici legati ad atteggiamenti mafiosi ci hanno

impedito di proseguire le nostre iniziative. Molte cose che coinvolgevano gli spazi

passavano per loro e quindi continuavano a togliere stimoli nel coinvolgimento

cittadino e ovviamente anche nostri. Da qui abbiamo cominciato a sentire anche la

loro voce. Il laboratorio condominiale è servito a svegliare un po gli abitanti

anche perché da quando esiste Corviale non era mai stata indetta una riunione di

condominio. Il comitato condominiale ad esempio continua ad esistere.

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In generale non potevamo agire da trasformatori ma siamo stati utilizzati per

esplorare e ricercare nel territorio. Quindi finito il progetto di Arte Pubblica si è

continuato, non trasformando il territorio, ma rimanendo uno studio urbanistico e

di pianificazione, processi che hanno dei tempi e delle rigidità enormi, per cui è

difficilissimo riuscire ad inserirsi se non si ha un minimo di apertura dei

progettisti. Tutto dipende, nel nostro caso, dalla lungimiranza dell’amministratore

e non tanto dalla cultura. Quindi in sostanza alla fine quello che è venuto fuori

dal progetto è stato il lavoro della televisione, raccontato anche molto bene nella

pubblicazione della Mondadori, non riuscendo però ad entrare negli schemi di

trasformazione dello spazio pubblico. Il rammarico alla fine è quello di non essere

stati in grado di far attecchire una cultura imprenditoriale legata a qual progetto,

ma soprattutto di non aver ricevuto “meriti” sulle progettazioni riguardanti la

trasformazione fisica del quartiere.

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Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane

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Siti rilevanti

www.artepartecipativa.it. www.atitolo.it www.biennalespaziopubblico.it www.cittadellarte.it www.eipcp.net www.etnosemiotica.net www.eurodesk.it www.everydayurbanism.com www.fabbricaginestra.it. www.goethe.de www.good-will.it www.incontemporanea.it www.ise-europa.it www.italiangraffiti.anci.it www.laboratorioerbatinta.wordpress.com www.larecherche.it www.literary.it www.lovedifference.org www.osservatorionomade.nets www.politichecomunitarie.it www.progettoisole.org www.progettowaves.it www.raumlabor.net www.situa.to www.spaziourbanodesign.it www.temporiuso.org www.theurbanobservatory.com www.undo.net www.upv.es www.urban-reuse.eu