ARTE CITTA' E SPERIMENTAZIONI CULTURALI_relazione di tesi 2013_MENDOLA GIOVANNI LUCA
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Università degli studi di Firenze Facoltà di Architettura
Corso di laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione
della Città e Territorio Relatore Arch. Dott. Camilla Perrone Correlatore Arch. Dott. Giancarlo Paba
Laureando Giovanni Luca Mendola
Matricola
5014032
Anno accademico 2011 – 2012
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
Ringraziamenti
Desidero innanzitutto ringraziare la professoressa Camilla Perrone e il professore Giancarlo Paba per i preziosi insegnamenti durante i due anni di laurea magistrale e per le numerose ore dedicate alla mia tesi. Inoltre, ringrazio sentitamente la professoressa Valeria Inguaggiato che è stata disponibile a dirimere i miei dubbi durante la stesura di questo lavoro. Intendo poi ringraziare la Fondazione Adriano Olivetti, sottolineando la particolare disponibilità della dottoressa Maria Alicata e i gruppi di ‘a.titolo’ e ‘Osservatorio Nomade’, per avermi fornito testi e dati indispensabili per la realizzazione della tesi. Inoltre, vorrei esprimere la mia sincera gratitudine ai miei compagni di corso e gli amici, in particolare Farhad e Mario, per i numerosi consigli durante la ricerca. Infine, ho desiderio di ringraziare con affetto i miei genitori, le mie sorelle ed Eleonora, per il sostegno ed il grande aiuto, per essermi stato vicino ogni momento durante questo anno di lavoro.
Indice
Introduzione__________________________________________________________
1.Arte e linguaggi nei processi di pianificazione urbana 1.0 Una premessa_________________________________________________________________ 1.1 La costruzione di legami consapevoli___________________________________________ 1.1.0 L’integrazione di linguaggi _____________________________________________________ 1.1.1 Il processo artistico nelle pratiche urbanistiche_____________________________________ 1.2 Una parentesi sull’evoluzione del rapporto: spazio pubblico - arte pubblica contemporanea_____________________________________________________ 1.3 Gli effetti immateriali dell’arte nello spazio pubblico__________________________________ 1.4 L’arte nelle pratiche partecipative _____________________________________________
2.Pianificazione Strategica e sperimentazioni culturali 2.0 Una premessa___________________________________________________________ 2.1 Politiche pubbliche e progetti di ‘Arte Pubblica’__________________________________ 2.1.1 Le difficoltà del legame e le mediazioni__________________________________________
Riflessioni finali_____________________________________________________________ __
Bibliografia__________________________________________________________________________
3.Interrogare due casi: Nuovi Committenti a Torino e Immaginare Corviale a Roma 3.0 Una premessa___________________________________________________________ 3.1 Torino: Nuovi Committenti per Mirafiori Nord_______________________________ 3.1.0 Il declino di una monocultura industriale: Mirafiori Nord, Torino_________________________________________________________ 3.1.1 Sperimentazioni Culturali per Mirafiori Nord_______________________________________ 3.1.1.0 Torino: un cantiere a cielo aperto tra rigenerazione urbana e progetti di arte pubblica___________________________________ 3.1.2 Un modello politico nuovo per l’Italia______________________________________________ 3.1.2.0 Le prospettive attuali del progetto Nuovi Committenti in Italia e la difficoltà di “muoversi” nello spazio pubblico_______________________________________ 3.1.2.1 Il modello Noveaux Commanditaires e Nuovi Committenti a Mirafiori Nord______________________________________________ 3.1.3 L’esplorazione del territorio e le opere delle committenze_____________________________ 3.1.4 Abitanti/produttori e produzione di valori territoriali nel processo Nuovi Committenti_____ 3.1.5 Riflessioni finali______________________________________________________________
Bibliografia_________________________________________________________________________
3.2 Roma-Corviale: arte e sperimentazioni culturali nel progetto che immagina un “Nuovo Corviale”________________________________ 3.2.0 Il complesso edilizio Nuovo Corviale: un problema di cattiva gestione__________________________________________________ 3.2.1 Le soluzioni, i programmi di riqualificazione e il ruolo della cultura_________________________________________________________ 3.2.2 Il progetto “Immaginare Corviale”: arte, pratica urbana ed estetica__________________________________________________ 3.2.3 L’Osservatorio Nomade, le sperimentazioni e le applicazioni su Corviale____________________________________________________ 3.2.4 Un percorso tra Arte e Riqualificazione Urbana_____________________________________ 3.2.5 Riflessioni conclusive__________________________________________________________
Bibliografia__________________________________________________________________________
4. L’arte come “strumento per..”________________________________________ 4.0 Elementi caratterizzanti e dimensioni progettuali comuni tra processi artistici e politiche urbane 4.0.0 Approccio all’apprendimento e all’analisi di contesti________________________________ 4.0.1 Approccio al problema________________________________________________________- 4.0.2 Modalità di trattamento del problema_____________________________________________ _
Riflessioni conclusive____________________________________________________________________
Bibliografia__________________________________________________________________
Appendice________________________________________________________________
2
6 7 7 10 1. 13 17 19
21 22 25
27
29
3. 31 34 36 39 3.1.1.0 39 46 49 3.1.2.1 53 59 68. 70
72
3.2 75 3.h2.0 h 77 3.2.1 81 3.2.2 90 3.r 104 109 114
115
118 4.0 g 120 121 122
126
128
129
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 1 ~
Si fa strada una modalità più «ecologica» e sostenibile di progettualità sociale che lasci spazio alla creatività, che trovi energia in un'idea condivisa, una ricchezza sociale che abbia la sua forza nella differenza, oggi un'utopia, un'ideale di civiltà, da perseguire con caparbia determinazione.
Antonella Annecchiarico e Anna Detheridge (2004)
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Introduzione
Nell'ultimo decennio diverse esperienze progettuali riferite alle pratiche artistiche
esplicate nella città contemporanea hanno dimostrato che è possibile sperimentare
nuovi approcci culturali nella ricerca continua di un nuovo modo di analizzare il
territorio: ponendosi nella fase preliminare del piano e rafforzando le politiche
urbane attuate. Pratiche dotate di caratteristiche uniche nel modo di agire,
esplorare ed indagare il territorio e la città1.
Negli ultimi vent’anni in Italia, le sperimentazioni culturali si inseriscono nelle
pianificazioni strategiche delle città, con modalità variegate, aprendo dibattiti in
ambito internazionale ed europeo, dimostrando che esistono modalità alternative
all’analisi e alla progettazione dei quartieri delle città.
Le loro applicazioni ricadono, nella maggior parte dei casi, in contesti degradati e
periferici della città contemporanea.
Le dimensioni con cui possono essere analizzate le politiche di trasformazione del
territorio, legate al mondo della cultura, in particolare dell’arte, sono
principalmente due: nel modo di costituire un motore economico della città
tramite la crescita del turismo, nuove attrattività per la città ecc..; e la misura in
cui contribuiscono al miglioramento della qualità della vita, nel combattere
l’esclusione sociale tramite l’arte come fattore di integrazione, l’arte partecipata in
iniziative di progettazione della trasformazione degli spazi dei quartieri degradati
ecc.. La prima dimensione evidenzia come una tendenza comune a molte
amministrazioni locali sia proiettata verso uno specifico marketing urbano
concorrenziale ad altre città. Inserite negli equilibri economici internazionali, le
grandi metropoli americane, e in tempi più recenti anche molte aree urbane
1 Mi sembra utile dare a priori dei cenni sulle riflessioni che si sono imbattute nell'ultimo decennio sull’argomento, Lavagna M. e Pastorino S., (2006) descrivono così: «lo studio e il dibattito sulle relazioni tra città/territorio, arte, cultura, creatività e sviluppo economico si è intensificato e, in particolare, sono emerse teorie sulla città creativa, sui quartieri culturali, sui cluster e distretti culturali – tema particolarmente discusso in Italia visto il modello distrettuale che caratterizza lo sviluppo recente della nostra piccola e media impresa (Wynne, 1992; Landry e Bianchini, 1995; Landry, 2000; Santagata, 2000; Sacco e Pedrini, 2003; Mommaas, 2004; etc.). In tale contesto, è soprattutto l'arte contemporanea a mostrare ampie potenzialità, principalmente in relazione al rapporto che essa può instaurare con le realtà sociali, con la città, con il territorio, con il pubblico, con la storia e l'identità di determinati luoghi, facendosi essa stessa interprete dei processi di trasformazione urbana. In particolare, gli sviluppi recenti dell'arte pubblica mostrano come lo spazio urbano sia tornato al centro della riflessione artistica (Selwood, 1995; Miles, 1997; De Luca, 2003; De Luca et al., 2005; Pietromarchi, 2005; Sharp et al., 2005; etc.)» (Lavagna M., Pastorino S., 2006).
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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europee, «tendono a rapportarsi tra loro come imprese private in concorrenza:
tanto che la storia della città degli ultimi dieci anni è leggibile come una storia di
città che vincono e città che perdono» (Petrillo A., 2000: 98).
Quella che si sta vivendo in questi anni è una sorta di privatizzazione dello spazio
pubblico; una tendenza della “città-impresa” a promuovere il territorio come vero
e proprio prodotto nel quale, in particolare l'ambito culturale e turistico sempre
più spesso si confondono. In questo senso l’arte e la cultura si dovrebbero porre,
invece, come motore per la ridefinizione dell’assetto economico territoriale.
Nella costruzione di scenari strategici, l’arte può avere un doppio ruolo, di
‘contenuto’ e di ‘contenitore’ (Inguaggiato 2010), dove il contenuto è dato da
singoli episodi come produzioni, mostre e festival, che messi in rete riescono a
creare stabili collaborazioni con competenze specifiche e professionalità legate
alla cultura, alla comunicazione, ai new media e alla creatività. L’arte diventa
invece contenitore quando progetti e attori di diversa natura riescono a
convergere trovando soluzioni pratiche a disagi territoriali precisi.
Quindi quello che in questo contesto si chiede all’arte, è di avere una funzione di
contenuto, rispettando però le economie locali e le forze del proprio capitale
sociale; di contenitore invece, in tutte le sue forme e linguaggi di coinvolgimento
collettivo, in progetti di riqualificazione e di rigenerazione urbana, che
coinvolgono la città contemporanea e in particolare i quartieri marginali e
degradati.
Per questo motivo mi soffermerò sulla seconda dimensione, sviluppi e riflessioni
teoriche ad oggetto, di questo variegato e spesso contradditorio insieme di
pratiche artistiche che si collocano nello spazio pubblico, chiamano in causa temi
che si sovrappongono agli interessi della pianificazione urbana o comunque di chi
in genere si occupa di città e territorio. Artisti, architetti, ingegneri e altri
professionisti collaborano con la comunità residente mossi entrambi dal desiderio
di interagire nel progetto di un disegno urbano creando politiche attive nel
territorio, avendo come unico scopo quello di realizzare delle aree urbane che
siano ‘sostenibili’, per una maggiore vivibilità degli spazi pubblici. Uno spazio
pubblico, che a nostro parere ha l’esigenza di nuove sperimentazioni che
guardino ad un approccio multidisciplinare ed integrato e partecipato, tipico della
pianificazione strategica.
La pianificazione strategica della città prende in considerazione vari strumenti per
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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azioni e politiche sul territorio, tra questi strumenti esistono delle sperimentazioni
di vario genere e tra le varie tipologie di quest’ultime ci sono quelle culturali
comprendendo così anche i progetti di ‘Arte Pubblica’, esperienze innovative sul
tema della riqualificazione urbana, ovvero sperimentazioni culturali inserite nei
programmi di riqualificazione e rigenerazione.
Qui il ruolo della cultura si pone come strumento di accrescimento del benessere
materiale e immateriale, dove il processo artistico rappresenta un fattore di
interpretazione fra linguaggi e culture diverse. Da questi progetti quindi,
avvengono delle modificazioni, e possono essere: a carattere materiale
(riscontrabile nei processi di trasformazione fisica dello spazio pubblico) e
immateriale (riscontrabili nei processi trasformazione culturale in quanto mettono
al centro dell’operato persone, opportunità, interessi comuni, dando vita ad una
rete, o ad una politica)2.
Viene da chiedersi quindi: come questi fattori hanno effettivamente influenzato e
contribuito, nel quadro delle politiche analizzate, alla trasformazione del territorio
e cosa il processo culturale ed artistico, insito nelle sperimentazioni culturali, è
stato effettivamente capace di produrre?
Per rispondere a questa domanda la ricerca ha portato a considerare quei progetti
di ‘Arte Pubblica’ dove l’arte si è posta come “strumento” per le politiche urbane.
Progetti flessibili e integrati che abbandonano i vecchi schemi della
strumentazione urbanistica classica e che, dagli inizi del XXI secolo si inseriscono
nelle pianificazioni strategiche delle città (figura 1, pp. 4): azioni che vanno sotto
il campo della cultura e degli interventi di carattere ludico, immaginario e
partecipativo. Si analizzerà il recente dibattito sugli indirizzi e le implicazioni che
l’arte ha nella pianificazione urbana e sui linguaggi che il pianificatore può
utilizzare per il miglioramento di questi processi, come sia possibile costruire dei
legami, e come le pratiche artistiche ricoprano un ruolo nelle strategie urbane 2 In alcuni paesi d’Europa parte del supporto all'‘Arte Pubblica’ e al suo finanziamento, deriva dalla cresciuta importanza del design nel contesto urbano: una vera e propria linea politica di sviluppo. Anche se in Inghilterra, come anche in Olanda e in Francia, le autorità locali hanno da tempo appreso che le potenzialità dell'‘Arte Pubblica’ hanno le capacità di rispondere alle loro linee e priorità strategiche, in Italia c’è ancora, in parte, la consapevolezza che l’Arte Pubblica deve necessariamente essere orientata verso processi relazionali, di dialogo e partecipativi, in sostanza di audience specific piuttosto che di site specific. «Quella che emerge è un’Arte Pubblica alla quale si richiede un lavoro non tanto sullo spazio fisico, quanto sullo spazio simbolico e collettivo; un’Arte Pubblica che, anche nella sua accezione di site specific, opera su (e per) la relazione, l’identità, il legame. Un’arte che nel suo farsi pubblica, in tutte le sue accezioni, deve in qualche modo confrontarsi con la necessaria sfida di diventare capacitante». (Pastorino, Piraccini e Uttaro, 2005) (Lavagna M., Pastorino S., 2006: 323).
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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italiane e in particolare nelle pianificazioni strategiche di due città. Si sono quindi
interrogati (tramite delle interviste: telefoniche e in prima persona), due progetti di
‘Arte Pubblica’: Nuovi Committenti applicato a Torino, ‘Mirafiori Nord’, in
occasione delle progettazioni Urban II e Immaginare Corviale nel complesso di
edilizia residenziale ‘Nuovo Corviale’ di Roma, progetto di ‘Arte Pubblica’
andato di pari passo e in concomitanza al PRU (Programma di Recupero Urbano)
e il CdQ II (Contratto di Quartiere di seconda generazione), per capire cosa questi
processi culturali ed artistici, insiti nelle sperimentazioni culturali, sono stati
effettivamente capaci di produrre e in quale misura hanno rafforzato e indirizzato
politiche urbane attuate verso modificazioni di tipo materiale e/o di tipo
immateriale. È auspicabile, a questo punto, mettere a confronto riflessioni
teoriche e pratiche nella prospettiva di rafforzare e migliorare la capacità di
intervento nelle città attraverso la pianificazione strategica e gli strumenti che essa
mette a disposizione.
Figura 1 – Quadro generale progetto di tesi
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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1. Arte e linguaggi nei processi di pianificazione urbana
1.0 Una premessa Questa prima parte analizzerà il recente dibattito sui possibili legami che l’arte ha
con la pianificazione urbana. Negli ultimi vent’anni si pone l’attenzione sui
possibili modi di interagire e sui possibili linguaggi che il pianificatore può
utilizzare per apprendere i disagi del popolo. Gli strumenti utilizzati dalla
pianificazione urbana ricadono su una tipologia di programmi chiamati
‘Programmi Complessi’ che hanno visto delle crepe nelle loro applicazioni
sensibili, e cioè nelle pratiche di coinvolgimento degli abitanti. Alcuni autori
mettono in dubbio la loro effettiva efficacia, vista l’assenza di linguaggi adeguati
ed efficienti; quello che si chiede in questo contesto, non è solo un nuovo
linguaggio, ma la capacità di trarre, dalle pratiche artistiche, nuovi modi di
interpretare il territorio e lo spazio pubblico: dei modi che ad oggi, hanno visto
legami consapevoli di più discipline. Legami come quello dell’arte e della
pianificazione urbana, hanno la capacità di affrontare i disagi territoriali in
maniera trasversale e trovano riflessioni in comune nella partecipazione e nella
modificazione dello spazio pubblico.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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1.1 La costruzione di legami consapevoli
1.1.0 L’integrazione di linguaggi Negli ultimi anni «l’arte e la cultura sono tra le discipline che […] stanno
portando un contributo all’interpretazione del territorio e ai tentativi di intervento
su di esso, segnando binari di esplorazione paralleli a quelli più tradizionali3»
(Cognetti 2006: 123).
Gli artisti cercano nuovi linguaggi e un diverso modo di rapportarsi al pubblico,
escono fuori dalle gallerie per dare vita a luoghi di sperimentazione.
Le strategie urbane oggi prendono in considerazione innumerevoli tematiche4 che
versano molta attenzione ad argomentazioni riguardanti la qualità urbana,
puntando sicuramente verso una città più bella e vivibile. Molte di queste
riflessioni puntano il dito sul ruolo che urbanistica e architettura possono avere
oggi per migliorare l'ambiente di vita delle città contemporanee, superando certe
rigidità del passato e mettendo in campo una pluralità di approcci, come quello
dell’arte.
Da una prima analisi5, si denota come, data la debolezza del tema, esista una
difficoltà per ciascun ambito disciplinare come quello dell’arte e come quello
dell’urbanistica «a svincolarsi dagli stretti confini disciplinari e di aprirsi
all’ibridazione rinnovatrice, derivante dalle possibilità di contaminazione offerte
dall’intreccio di pratiche urbane, urbanistiche ed artistiche». (Dell’Olio 2009: 15).
Costruire dei legami consapevoli tra il fare arte pubblica e il fare pianificazione
della città e del territorio, parte dalla consapevolezza dell’inadeguatezza di alcuni
strumenti disciplinari capaci di interagire con la complessità contemporanea.
3 Francesca Cognetti (2006), dedica una riflessione sulle possibili ed eventuali strategie urbane dell’arte, della creatività e della cultura. 4 Il tentativo disciplinare di recuperare alcuni rapporti perduti nel tempo porta a considerare alcune importanti riflessioni all’interno del dibattito odierno sull’argomento in questione. In riferimento agli Atti della Decima conferenza della SIU (Società italiana degli urbanisti), risultato di due giornate di lavoro, 18 e 19 Maggio 2006 presso il Politecnico di Milano. In ognuna delle due giornate si sono susseguiti momenti di riflessione su argomenti di carattere generale legati alle prospettive dell’l'urbanistica italiana. Quattro sessioni parallele, hanno permesso di descrivere dei casi puntuali lasciando ampio spazio al dibattito sui seguenti temi: Qualità urbana: abitabilità, bisogni, opportunità: Sviluppo locale: squilibri, coesione, competizione; Trasformazioni territoriali: infrastrutture, paesaggi, risorse; Gestione urbana: suolo, fiscalità, mobilità. La pubblicazione dell’anno successivo “Città e Azione Pubblica. Riformismo al plurale”, curato da Arturo Lanzani e Stefano Moroni. 5 Analisi tratta dalla lettura degli articoli di Anna Maria Uttaro: Arte, Città, creatività. Quali indirizzi per la Pianificazione? (Uttaro A. M., 2010), e Percorsi di sconfinamento nei territori dell’arte di Anna dell’Olio (dell’Olio, 2009).
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Diventa interessante capire cosa dal punto di vista della pianificazione significa
reinventare l’azione artistica nello spazio pubblico, immersa nelle pratiche del
quotidiano per «realizzare spazi relazionali attivatori di processi di produzione
creativa dello spazio urbano.» (Uttaro, 2010: 13).
L’arte, in questo senso, può essere letta come un approccio che lavora attraverso
l’uso di linguaggi, piuttosto lontani da gran parte della pratica urbanistica
corrente.
«In estrema sintesi pratiche urbane e pratiche urbanistiche, sebbene si svolgano
nello stesso ambito spaziale, sembrano avere acquistato una distanza sempre
maggiore. Per questo motivo […] sembra essenziale domandarsi se sia possibile
per il pianificatore utilizzare linguaggi che lo avvicinino e rendano maggiormente
comprensibile ai soggetti sociali destinatari del suo lavoro.» (Uttaro, 2010: 83).
Si avvertono essenzialmente tre esigenze che il pianificatore ha in questi processi:
a - Creare linguaggi maggiormente comprensibili ai cittadini con il contributo sia
dalla parte urbanistica, attraverso il suo bagaglio tecnico, sia dalla parte estetico-
sensibile che comprende i linguaggi diversi dalle logiche razionali. Si può quindi
parlare anche di poetica del progetto di territorio. Secondo il professore Alberto
Magnaghi, «negli scenari territoriali disegnati, a carattere non predittivo ma
cognitivo e progettuale, a carattere euristico per la sollecitazione
dell’immaginario collettivo, a partire dall’incontro tra saperi tecnici e saperi
contestuali si può verificare un atto creativo olistico, tipico del procedimento
artistico. Nella visione contemporanea l’urbanistica e la pianificazione territoriale
sono viste dai più come noiose pratiche normative o tecniche e, nei casi migliori,
come defatiganti pratiche partecipative che scivolano nel dominio delle scienze
politiche. Credo che in questo contesto lavorare alla costruzione di poetiche del
progetto di territorio attraverso lo sviluppo di linguaggi visivi capaci di produrre
qualità estetiche del messaggio sia fondamentale per ristabilire nel progetto di
futuro delle comunità locali le giuste proporzioni fra funzioni di utilità, sicurezza
e qualità ambientale, bellezza e benessere.» (Magnaghi A., 2010: 72).
b - Dialogo e interazione tra diversi mondi disciplinari, intendendo le pratiche
artistiche come processi culturali che sono in grado di svolgere un lavoro
importante nella fase preliminare, che stanno alle premesse delle soluzioni
tecniche, perché elaborano idee, pongono interrogativi, sviluppano ipotesi
creative capaci di creare curiosità esplorativa.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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c - Si avverte una necessità comunicativa capace di connettere mondi separati,
cercando di evitare confusione di linguaggi e sovrapposizioni, riconnettendo e
rinnovando il proprio bagaglio operativo servendosi dell’arte e della creatività.
La difficoltà maggiore sta nel far interagire linguaggi diversi: da una parte si
trova il linguaggio tecnico (razionalità logica) e dall’altro il linguaggio empirico,
più legato all’esperienza urbana (razionalità pratica e sensibile). Far interagire
linguaggi diversi tra loro diventa esito continuo di produzione di spazio urbano,
intreccio di vari attori, diversi poteri, desideri, aspirazioni e responsabilità.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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1.1.1 Il processo artistico nelle pratiche urbanistiche Attualmente le politiche di coinvolgimento degli abitanti sono rintracciabili nelle
pratiche partecipative (vedi paragrafo 1.4 L’arte nelle pratiche partecipative). In
questo contesto mi interessa analizzare, visti i casi studio, come i processi artistici
si siano integrati con questa tipologia di pratiche.
Nelle esperienze urbane in cui si avvia un processo artistico, si ritrova l’artista in
un nuovo ruolo implicato nelle questioni sociali in relazione allo spazio
pubblico; le pratiche urbanistiche invece, hanno fatto crescere la propria
attenzione verso un rigenerato senso di coinvolgimento delle parti sociali nelle
trasformazioni dello spazio pubblico, considerando anche il fatto che negli ultimi
anni si registra un crescente interesse, da parte delle amministrazioni comunali e
tecnici progettisti, nell’avvicinarsi alle pratiche partecipative e al rinnovato agire
artistico, ricercando sempre di più, nuove soluzioni ai casi di rigenerazione
urbana, mostrandosi terreno fertile di sperimentazioni tra diversi approcci
disciplinari.
Molte esperienze artistiche realizzano negli spazi urbani, assieme alle popolazioni
locali, processi camuffati con altro, impercettibili, ma dove è possibile leggere le
origini di un nuovo senso, teso a dare un significato reciproco tra vita urbana, arte
e urbanistica.
Le tracce di applicazioni ‘sensibili6’ non risiedono solamente nelle pratiche
artistiche ma in innumerevoli casi di pratiche appartenenti a diversi mondi e
ambiti. Pratiche creative inserite nei processi di sviluppo di rigenerazione urbana
rintracciabili nelle sperimentazioni culturali.
Da una parte, le pratiche di coinvolgimento degli abitanti (pratiche ‘sensibili’),
hanno messo in luce diversi modi di conoscenza e linguaggi tra saperi esperti e
non; d’altra parte invece, hanno stimolato gli studi in campo urbanistico sulle
pratiche sociali urbane.
Le forme emergenti di pianificazione mettono in campo una serie di strumenti
raggruppabili nei cosiddetti ‘Programmi Complessi’7, che attuano delle strategie i
6 Negli ultimi dieci anni diversi studi sociali stanno rivolgendo la propria attenzione ai fenomeni riguardanti la creatività e ‘l’estetica’, nel senso epistemologico della parola aestetis: sensibile (Maffesoli 2000). 7 Alla fine degli anni 90’ sono emersi in Italia alcuni percorsi evolutivi di strumenti di riqualificazione-rigenerazione urbana che vedono nel quartiere il dispositivo attraverso il quale trattare l'intreccio fisico, economico e sociale in ambito urbano, in larga parte lanciati attraverso bandi del decennio appena passato (2000-2010) avevano assunto caratteristiche differenti da
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cui tre campi principali sono: la partecipazione, la pianificazione strategica e il
disegno di nuovi soggetti istituzionali.
La sensibilità di alcune politiche urbane oggi portano dei contributi alla
pianificazione urbana, favorendone l’accrescimento metodologico. I ‘Programmi
Complessi’ ed i finanziamenti europei degli anni ’90, che di fatto hanno riportato
il tema della partecipazione alla pianificazione, hanno dato indicazioni su come si
evolvono nello spazio le modalità di aggregazione e sulle forme dei processi
partecipativi nella costruzione delle scelte per la città futura.
«Pratiche di vita dei nuovi cittadini, le piccole antropologie del quotidiano, le storie o le
microstorie individuali e di gruppo, i vissuti personali o collettivi, persino i modi di
consumare e di fare.» (Paba 2004: 56). […]
Nelle pratiche partecipative però si sono scoperte, in varie esperienze, delle crepe
(cfr. dell’Olio, 2009; Uttaro, 2010), non riuscendo a mettere a fuoco le esigenze
quotidiane del cittadino - «per contro sembra incontrare molto più facilmente
l’ambito artistico-culturale» (dell’Olio 2009: 20).
Da qui entra in gioco il tema dell’arte nello spazio pubblico e dei processi artistici
nel coinvolgimento degli abitanti che negli ultimi anni hanno visto mediarsi con
le classiche pratiche partecipative gestite dalle amministrazioni locali: tematica
che in passato veniva affrontata in gran parte solo come una questione artistica.
Ad oggi il tentativo è quello di affrontare i temi dell’arte e della città da un punto
di vista che parte innanzitutto a guardare lo spazio pubblico, non solo quello
fisico aperto, accessibile e condiviso da una molteplicità di soggetti, «ma anche lo
spazio immateriale del dibattito, della partecipazione, dell’azione che è quindi
(anche) per questi motivi, pubblico.» (Inguaggiato V., 2010). Viene ribaltato il
punto di vista che mette al centro il prodotto artistico come unico prodotto
quelli maggiormente diffusi ed erano andati progressivamente articolandosi in termini di attori e risorse coinvolti. Si ci riferisce a due grandi famiglie a livello nazionale (area-based) e a livello comunitario (integrate), caratterizzate da una differente articolazione di tipologie di azioni, attori, risorse, criticità, noti in Italia come Programmi Complessi. Nati dalla legge 179/1992, introducono i programmi integrati di intervento, delineando i principi fondamentali di un nuovo modello di politiche urbane, che facilita l’integrazione di più interventi con l’obbiettivo di considerare collaborazioni private per affrontare i costi delle opere pubbliche. Sono strumenti innovativi che nell’ambito urbano svolgono e promuovono, finanziando interventi di recupero. La riqualificazione e la valorizzazione delle città dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, attraverso la concertazione di amministratori pubblici e operatori privati. Sono stati definiti “complessi” per le difficoltà riscontrate da parte sia di operatori pubblici che di privati. Si è comunque tentato attraverso queste direzioni di rompere il tradizionale quadro urbanistico.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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dell’interazione degli artisti nella città, portando invece l’attenzione sullo spazio
pubblico, che l’arte pubblica contemporanea, attraverso i suoi processi, è in
grado di attivare e trasformare.
A questo punto sembra utile aprire una parentesi sulle recenti evoluzioni del
rapporto che l’arte, intesa in questo senso, ha con lo spazio pubblico.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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1.2 Una parentesi sull’evoluzione del rapporto: spazio pubblico - arte pubblica contemporanea
Cosa sia oggi l’arte nello spazio pubblico, è sicuramente un ambito di
sperimentazione per chi si occupa di città e territorio, non facile da affrontare, e
per questo non è semplice fissare delle definizioni precise. E’ quindi utile
prendere in considerazione i casi in cui l’arte si è resa partecipe, necessaria e non,
allo spazio pubblico e come essa si è evoluta.
Tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70 dello scorso secolo nasce l’interesse da
parte di artisti di uscire fuori dalle gallerie, per sperimentare nuovi contenuti e
linguaggi.
Nascono figure ibride di profili professionali e prodotti culturali di difficile
collocazione in un’unica disciplina, e che più spesso abbracciavano l’arte,
l’architettura, l’urbanistica, la sociologia, la politica, ma che avevano anche
relazioni con i temi dell’educazione, dell’ambiente, dei diritti.
«In questa collocazione temporale e culturale prendono avvio alcune esperienze di
singoli e collettivi che si distingueranno per il loro contributo e che per diversi anni a
seguire saranno il riferimento per molti artisti. (Inguaggiato 2010: 22)».
Ad oggi si riprendono le riflessioni interrotte di Enrico Crispolti sul rapporto tra
arte e spazio pubblico, maturate negli anni settanta, dove egli sviluppò questi temi
da un punto di vista storico e critico, fu un ideatore di operazioni sul territorio e
di progetti esplorativi. (cfr. Crispolti E., 1976 e 1977). Un ambito, questo, che
comprende tutte quelle intense pratiche nello spazio pubblico in cui la stagione
dell’arte era improntata sul sociale, sviluppata in risposta alla domanda
partecipativa e culturale che caratterizzava quel periodo italiano. Da qui, le
recenti definizioni di Susan Lacy, (Lacy S., 1995), nel definire la new genre
public art passando alla questione della site-specificity alle issuespecificity o
community-specificity, «in questo passaggio è il “contesto” dell’azione artistica a
farsi più complesso, poiché coincide con la geografia mobile delle dinamiche
relazionali e dei vissuti. In questo scenario a volte imprendibile, sempre
cangiante, dagli equilibri fragili, gli esiti dipendono dalle “regole di ingaggio” e
da come, caso per caso, esse vengono interpretate dai differenti attori coinvolti.»
(Bertolino G., 2008).
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 14 ~
Gli artisti modificheranno le proprie modalità di lavoro in forme e approcci
diversi, legate all’evoluzione della stessa Public Art, che dagli anni ’70 in poi
porterà l’artista a valutare l’interpretazione dei bisogni del pubblico, aumentando
cosi sempre di più le interazioni. Dagli anni ’90 a questa parte, si assiste, in molte
regioni d’Europa, da parte di amministrazioni di piccole e grandi città, ad un forte
desiderio di invitare artisti per la realizzazione di piazze, parchi e in generale
spazi pubblici interpretando i bisogni degli abitanti, dal «promuovere eventi in
grado di sollecitare il senso collettivo dei cittadini, ad urbanisti che collaborano
con artisti per la realizzazione di progetti di parchi e piazze » ( Lenosi 2005: 12).
Ponendo tre punti del dibattito in questione, in particolare dalle osservazioni di
Comunian R. (2006) sulle analisi condotte in Gran Bretagna si evidenzia che:
1) come evidenziano molti autori (Selwood 1995; Merli 2002; Belfiore 2002)
«tante ipotesi e affermazioni vengono fatte circa il ruolo dell'‘Arte Pubblica’ nella
nostra società e nelle nostre città, ma molto poco è stato dimostrato del loro reale
impatto. [...]» (Comunian R, 2006);
2) Un’altra delle problematiche è quella di poter giustificare l'investimento
pubblico o privato in ‘Arte Pubblica’ con risultati, in termini di sviluppo e
miglioramento della qualità dell'ambiente e della qualità della vita ; «[…] questa
pressione ha origine proprio dal tipo di committenza, quella che Appleton (2006)
definisce criticamente come «l'industria della riqualificazione urbana» […]
(Comunian R, 2006);
3) Larga parte dei progetti di arte contemporanea, in Europa, prevedono la
partecipazione della comunità locale, molto spesso questo crea un cortocircuito:
la comprensione dell’’Arte Pubblica’ è spesso disorganica, molteplice e
complessa e per questo a volte fallimentare. Come conclude Appleton (2006),
«l’arte contemporanea può avere un ruolo nelle città e nelle periferie ma per
rispondere a questo ruolo deve allontanarsi dall’idea di compiacimento politico e
architettonico e dalle finalità di unificazione e coesione che spesso la guidano;
deve invece riuscire a comunicare qualcosa alle persone che vivono nello spazio
pubblico.» Non deve essere semplice arredo urbano, ma nemmeno deve forzare
contenuti che non appartengono al luogo: semplicemente deve contenere un
elemento di dibattito e criticità in grado di interrompere il fluire delle persone nei
propri percorsi quotidiani e di farle riflettere.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Seguendo i paradigmi offerti dall’analisi di Miwon Kwon8 (2002) è possibile
sinteticamente individuare almeno tre fasi di evoluzione dell’arte nello spazio
pubblico:
1. Art in public space (arte negli spazi pubblici9), dove l’artista realizza una
scultura tipica dello stile modernista, molte volte astratta, localizzata all’esterno
di un edificio pubblico o di torri terziarie per un semplice scopo decorativo o
abbellimento dello spazio urbano, dando a volte una precisa riconoscibilità a
livello internazionale alla città. Alcuni esempi : “La grande Vitesse” di Alexander
Calder (Michigan 1967)10.
2. Art as public space (arte come spazi pubblici), dove l’arte è più
consapevole del luogo e tende ad essere meno orientata all’oggetto in sé. Ricerca
una migliore integrazione con il paesaggio e l’architettura attraverso la
cooperazione degli artisti con altri attori che si occupano della gestione della città
(architetti, paesaggisti, pianificatori territoriali, amministratori) nei disegni di
progetti di espansione o nella riqualificazione della città, di parchi, piazze, edifici,
viali, quartieri. A questa fase dell’arte pubblica, sono attribuibili le opere di Scott
Burton, Siah Armajani, Mary Miss, Nancy Holt.
3. Art in the public interest (arte nell’interesse pubblico), teorizzata dalla
critica d’arte Arlene Raven, e poi rinominata New Genre Public Art da Suzanne
Lacy. Questa ultimo paradigma, identificabile spesso in istallazioni temporanee,
pone l’arte nell’interesse pubblico, si basa su programmi che si concentrano su
temi sociali e il trattamento dei loro problemi, piuttosto che sull'ambiente
costruito. Negli anni più recenti inizia a manifestarsi attraverso i programmi di
trasformazione urbana temporanea, mediante il coinvolgimento di gruppi di
persone marginalizzate come senzatetto, donne che subiscono violenze, malati di
Aids, detenuti, e di chi si batte per sostenere programmi politicamente impegnati
nei confronti delle comunità. L’attivismo politico e la collaborazione con le
comunità è ciò che distingue l’opera di artisti come John Malpede, Daniel
Martinez e Hope Sandrow.
8 Per un approfondimento si rimanda a Kwon M., 2002, One place after another, Site-Specific Art and Locational Identity, Mit Press, e al sito web www.eipcp.net/transversal/0102/kwon/en 9 Traduzione mia. 10 La città stessa pensava di essere priva di identità distintiva, senza caratteristiche uniche, una città il cui sito non era specifico. La scultura ha il ruolo di funzionare come un marcatore di identità per la piazza. La prima opera d'arte destinata a una collocazione pubblica che sia stata finanziata dal NEA, Fondo nazionale per le arti (National Endowment for the Arts).
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Questi tre paradigmi dell’arte nello spazio pubblico riflettono i più ampi
cambiamenti nelle pratiche artistiche all’interno dello spazio pubblico, avanzate
nel corso degl’ultimi trent’anni11. Dalle questioni estetiche ai problemi sociali,
dalla concezione di un'opera d'arte come un oggetto di processi o eventi effimeri,
alla prevalenza di installazioni permanenti per interventi temporanei, dal primato
della produzione come fonte di significato per la ricezione come sito di
interpretazione, alla sua espansione molteplice in collaborazioni partecipative.
Ed è proprio nella forma partecipativa e di coinvolgimento collettivo che l’arte
contemporanea evolve. Nel suo modo di porsi come strumento per la
ridefinizione del territorio e dello spazio pubblico.
11 Sull’argomento De Luca (2003) sostiene che esiste ancora un approccio (legato ai 3 descritti) che si caratterizza per progetti artistici come parte di «un piano più complesso di rigenerazione urbana e sociale. Sempre più spesso difatti l'arte pubblica si sta interrogando sul proprio ruolo specifico e sulle modalità di contatto con i territori protagonisti di trasformazioni e reinterpretazioni di diverso genere (spesso aree urbane periferiche e degradate, caratterizzate da fenomeni di marginalità ed esclusione). Le recenti iniziative di gruppi multidisciplinari come l'Osservatorio Nomade/Stalker, Multiplicity, artway of thinking, i progetti di arte pubblica realizzati all'interno del programma Nouveaux Commanditaires promosso dalla Fondation de France e adottato in Italia dalla ‘Fondazione Adriano Olivetti’, i casi di Zingonia, Librino rappresentano alcuni interessanti esempi di interventi sviluppati nel nostro paese per legare le comunità locali, la produzione artistica e l'identità dei luoghi, in un'ottica di forte integrazione e capacitazione. Emergono quindi come punti chiave lo scambio diretto tra committenti, pubblici di riferimento ed artisti, il loro reciproco coinvolgimento nelle dinamiche creative, ed una nuova e più ampia considerazione dello spazio pubblico - non più solo come spazio fisico ma soprattutto come spazio delle relazioni.» (De Luca, 2003) (Lavagna M., Pastorino S., 2006, pp 320).
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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1.3 Gli effetti immateriali dell’arte nello spazio pubblico
Come si deduce nel precedente paragrafo (1.2), la forma principale dell’arte nella
città, abbandona la concezione degli anni ’70, dove era solo arte-oggetto nello
spazio che soddisfaceva un’intenzione prevalentemente decorativa, per assumere
in alcuni casi un carattere invisibile all’interno dello spazio pubblico
immateriale12: oggi diventa un link, una rete, un dispositivo in grado di innescare
processi di trasformazione dello spazio pubblico al servizio della città.
L’arte, in relazione alle trasformazioni urbane, sembra essere ‘pubblica’, nel
significato sociale e negli effetti che riesce ad avere su una pluralità di soggetti,
dove una progettualità partecipata produce benefici immateriali «stimabili in
cultura e rafforzamento delle identità locali capaci di attrarre attività economiche
e di soddisfare bisogni individuali. (De Luca, Trimarchi, 2004: 17)».
«[…] arte che mette in gioco nuove dimensioni oltre a quella spaziale e che, sulla scia di alcuni progetti realizzati tra gli anni ’70 e ’90 del secolo scorso, ha soprattutto lavorato sulla dimensione relazionale, di processo, di coinvolgimento. In tale accezione l’arte è uno degli strumenti capaci di interpretare un bisogno, di esplicitarlo e, attraverso un’azione, di provare a delineare possibili soluzioni, talvolta ‘indirette’, al problema.» (Inguaggiato 2010: 23).
Diventa utile analizzare le «forme immateriali dello spazio pubblico nell’arte»
(Inguaggiato 2010), che dalle esperienze di casi italiani e internazionali,
analizzate da vari autori13, sembrano interessanti per delineare le modalità con le
quali l’arte è in grado di modificare lo spazio pubblico. Nella loro componente
immateriale sono spazi pubblici in quanto mettono al centro dell’operato persone,
opportunità, interessi comuni, dando vita ad una rete, ad una politica o ad uno
scenario. Chi si interessa dello studio di queste pratiche e di questi fenomeni,
legati alla trasformazione della città, si interessa anche della progettazione della
città, questa modalità di «‘fare arte’ o ‘fare città’» (Inguaggiato, 2009) sta già
interessando istituzioni, amministrazioni, urbanisti, progettisti, artisti e abitanti.
L’arte pubblica evolve nella capacità di far dialogare enti, associazioni e cittadini,
nella sua funzione di mediazione culturale, cerca di creare reti solide e
12 Dalla lettura dell’articolo di Valeria Inguaggiato: Lo Spazio pubblico nell’arte (Inguaggiato 2010), si possono delineare, aggiungendo delle mie riflessioni, alcune considerazioni sul rapporto che oggi intercorre tra l’arte pubblica e lo spazio pubblico, nelle sue azioni ed evoluzioni più moderne. 10 In particolare in “Territorio”, 2010, rivista trimestrale del Dipartimento di architettura e pianificazione del Politecnico di Milano, fascicolo 53.
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attecchimenti sul territorio, ponendosi al suo servizio, riuscendo a creare progetti
alternativi.
Enti pubblici e privati, forum, laboratori, meeting, tavoli collettivi, gruppi artistici
e associazioni, attivano forme di processi dal basso, non facili da definire, che
comprendono tutto quello che riguarda lo sviluppo locale e non globale,
riuscendo ad agire tramite pratiche sociali auto-organizzate. In definitiva
possiamo dire che le forme con cui si manifesta l’operato dell’arte pubblica oggi
possono andare incontro ad un nuovo modo sia di fare arte ma principalmente di
progettare la città e il territorio.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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1.4 L’arte nelle pratiche partecipative
Il termine partecipazione, in tutti gli ambiti disciplinari, sia in urbanistica che nel
mondo dell’arte, indica un concetto complesso, perché definisce la relazione tra
singoli individui e gruppi, e mette in discussione le strutture di potere e la
reciproca responsabilità sociale.
Le forze sinergiche dei diversi ambiti di studio pongono la qualità della vita come
primo obiettivo e in particolar modo nei contesti più fragili come: nei centri
storici asfissiati dal traffico e sfigurati dal commercio e nella caleidoscopica
varietà di periferie che caratterizzano una crescita a volte spontanea ed irrisolta.
Per questi innumerevoli problemi riportati dalla città contemporanea sono state
necessarie le pratiche partecipative.
Le necessità partecipative in urbanistica e le necessità di nuovi linguaggi come
quello artistico, in questo contesto, pongono l’urgenza nella riqualificazione, non
solo in termini di spazi fisici, ma anche e soprattutto dal punto di vista sociale ed
umano.
La partecipazione attiva dei cittadini nei processi di riqualificazione urbana
avviene tramite il coinvolgimento e l’attivazione dal basso degli abitanti per il
miglioramento delle condizioni abitative e della qualità ambientale. Due dei
principi politici della governance europea14 orientano l’operato amministrativo
verso l’apertura, dove le istituzioni europee devono dare maggiore importanza
alla trasparenza e alla comunicazione delle loro decisioni, e la partecipazione,
dove è opportuno coinvolgere in maniera più sistematica i cittadini
nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche.
«In questo tentativo di aprire lo spazio della progettazione a diversi soggetti,
l’arte, insieme ad altre pratiche, è stata in più occasioni colta come
un’opportunità, sia quando si presentava come fattore preesistente, sia nella veste
di strumento portato dall’esterno per tentare processi di progettazione partecipata
più o meno efficaci.» (Inguaggiato 2010: 26).
In questo tentativo, l’arte funge da agente mediatore e facilitatore di processi
dove l’artista spesso assume ruoli di natura strumentale o politica. Diventa un
14 In riferimento al Libro Bianco sulla governance dell’Unione Europea, testo adottato dalla Commissione europea e approvato dal Consiglio europeo. « Governance europea - Un libro bianco » [COM(2001) 428 def. - Gazzetta ufficiale C 287 del 12.10.2001]. (http://www.ise-europa.it/inserto/inserto13.htm)
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dispositivo di lavoro, interazione, attivazione sociale e un veicolo di
comunicazione semplice capace di trasmettere messaggi precisi. Lo scopo diventa
quello di utilizzare dei linguaggi efficaci capaci di rendere chiaro il messaggio e
avvicinare le popolazioni autoctone per sviluppare successivamente processi e
progetti che interpretino meglio le risorse e i bisogni della città.
In questo contesto si pone un tentativo disciplinare di conoscere in quale misura
l’arte sta evolvendo e come i progetti di ‘Arte Pubblica’ insiti nei programmi di
rigenerazione e riqualificazione urbana, abbiano prodotto dei feedback positivi
tramite i linguaggi dell’arte. Questi fattori sono stati riscontrati dalle politiche
analizzate nei casi studio (Capitolo 3).
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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2. Pianificazione Strategica e sperimentazioni culturali
2.0 Una premessa Nel precedente capitolo si è evidenziato come alcuni processi della pianificazione
urbana si siano legati ai processi di carattere culturale ed artistico entrando nel
dibattito delle questioni legate ai linguaggi della pianificazione. Nella maggior
parte dei casi le sperimentazioni culturali hanno reso possibile un dialogo diverso
tra enti di diverso tipo, ed in particolare, associazioni culturali e istituzioni
pubbliche. In questo nuovo dialogo il sistema pubblico comincerà ad accogliere,
nel calderone delle politiche attive sul territorio, nuovi modi di approcciarsi alla
città. Visto il non facile legame, alcune fondazioni saranno incaricate nella
mediazione tra la sfera pubblica e la dimensione culturale ed artistica, avendo la
responsabilità di semplificare i modi e i rapporti che potrebbero confondersi tra
una dimensione e l’altra. Partendo adesso da alcune riflessioni, cercherò di
semplificare e spiegare questi processi che hanno caratterizzato il contesto
italiano.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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2.1 Politiche pubbliche e progetti di ‘Arte Pubblica’ Negli ultimi quindici anni, in Italia, le riflessioni sul sistema pubblico si sono
arricchite con il contributo di particolari settori di ricerca come quelli artistici
legati al mondo dell’arte contemporanea. «Un contributo spesso silenzioso,
sotterraneo, non ancora pienamente riconosciuto, ma sempre più produttore di
valore e di senso. Non sembra che al momento il pubblico abbia piena
consapevolezza del dibattito in corso e dell’opportunità che una rinnovata
attenzione verso l’esperienza amministrativa potrebbe apportare alla costruzione
di un nuovo sistema di governance, anche alla luce del dibattito in corso sulle
architetture istituzionali. Questa mancanza di consapevolezza e di progettazione
da parte delle amministrazioni, a fronte di un dinamismo evidente nella ricerca
artistica, costituisce una peculiarità della situazione italiana» (Annecchiarico A.,
2004).
In genere sono le politiche culturali a determinare, o quanto meno, a contribuire
alla nascita e al consolidamento dei fenomeni artistici e culturali che hanno visto
collaborazioni con enti locali o nell’ambito di programmi comunitari. In Italia, le
pratiche artistiche e i progetti sviluppati da artisti e con molta più frequenza da
gruppi multidisciplinari, hanno richiamato l’attenzione di molti studiosi
contribuendo a definire e far emergere un settore della ricerca che si inserisce
sempre più nella sfera pubblica.
Varie esperienze in genere si alimentano in contesti decentrati, dove l’occhio
dell’artista si confronta di continuo con i mutamenti del territorio. Amministratori
locali in un sistema decentrato si prendono la responsabilità di interpretare in
prima persona la domanda della collettività per uno sviluppo sociale ed
economico.
Le esperienze artistiche si inseriscono in un quadro di sperimentazione e ricerca
legato all’uso di approcci interdisciplinari rivolti a indagare le dimensioni
territoriali, sociali e relazionali.
Esiste la tendenza da parte degli enti istituzionali ad abbandonare il mondo della
cultura nell’ambito del proprio sistema di mercato, per abbracciare una rinnovata
attenzione verso meccanismi che regolano il complesso corpo sociale; una
seconda alternativa per il sistema istituzionale italiano, dove «l’impegno sociale
non si definisce come rottura, ma come decodificazione e proposta, anche
attraverso una chiara richiesta di collaborazione. L’interesse per le operazioni
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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artistiche in ambito pubblico si è concentrata, dunque, sull’aspetto relazionale,
dal dialogo interculturale […], alle indagini indiziarie nell’ambito dell’urbanità
contemporanea […], ai processi collettivi […] piuttosto che sull’elemento statico
dell’opus o del monumento nel territorio.» (Annecchiarico A., 2004).
(Il ‘monumento’, finanziato con la legge 717/49, che prevede una somma pari
almeno al 2% da investire nell’abbellimento per tutti gli edifici pubblici15,
esclude dall’ambito dell’applicazione tutti gli “alloggi popolari”, non a caso, tutti
i progetti artistici più interessanti degli ultimi anni, hanno coinvolto questi
contesti marginali e degradati).
Gli anni ’90 hanno caratterizzato il periodo politico con forti cambiamenti
legislativi, come ad esempio: l’introduzione di pratiche e politiche di ispirazione
europea16 che hanno però successivamente sofferto di una applicazione tardiva di
strumenti attuativi. Per ovviare a questo tipo di problema, si inseriscono le risorse
culturali in maniera incisiva nell’azione del territorio.
Dagli inizi del Ventunesimo secolo gli strumenti legislativi di ispirazione europea
come i PRU (Programmi di Riqualificazione Urbana), i PRUST (Programmi di
Riqualificazione e Sviluppo Sostenibile), i Patti Territoriali e programmi europei
come Equal, URBAN, Socrates, Interreg, hanno incentrato il loro operato sulla
negoziazione dei processi, e sul fatto che non è più l’opera al centro del contesto
ma il contesto al centro dell’opera.
Progettazione partecipata, programmazione, negoziazione, sviluppo integrato e
intercultura si inserisco nel lessico delle amministrazioni comunali: nuove
strategie che si inseriscono nel sistema pubblico. Da qui possiamo tracciare due
punti fondamentali:
15 Il monumento o l'opera d'arte (per così dire di abbellimento) tutt'oggi viene finanziato dalla legge 717/49 che riserva una percentuale pari almeno al 2% del valore di un'opera pubblica alla realizzazione di un'opera d'arte. In riferimento al G.U. 14.10.1949. n. 237: "Le amministrazioni dello Stato, nonché le regioni, le provincie, i comuni e tutti gli altri enti pubblici, che provvedono all'esecuzione di nuove costruzioni di edifici pubblici o alla ricostruzione di edifici pubblici distrutti per cause di guerra, devono destinare all'abbellimento di essi mediante opere d'arte una quota non inferiore al 2% della spesa prevista nel progetto." 16 L’Unione Europea prende in considerazione gli aspetti culturali all’interno delle politiche attraverso programmi specifici e nell’ambito di fondi strutturali. Come enunciato dalla Risoluzione dell'Europarlamento sulla cooperazione culturale (2000/2323 INI) e la Risoluzione del Consiglio del 25 giugno 2000: «la cultura è un elemento fondamentale dell'identità dell'Unione e che tale identità, nel rispetto delle diversità, costituisce la base minima necessaria per il consolidamento del sentimento di cittadinanza europea e per la futura elaborazione della Costituzione». (G.U. C 32 del 5.02.2000: 2).
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• La pianificazione strategica diventa terreno fertile per i processi e le
sperimentazioni culturali, rappresentando la sintesi di un nuovo modo di
progettare il territorio, mobilitando attori sociali, terzo settore e investitori
in una visione integrata e intersettoriale di sviluppo17.
• In questo clima si inseriscono alcuni progetti di ‘Arte Pubblica’ che
colgono il cambiamento ancora in corso dagli inizi del Duemila, e
anticipano così una propensione metodologica e di sperimentazione. La
dimensione culturale allarga gli scenari non finanziando solamente una
mostra o un’opera, (che rimarrebbe altrimenti isolata e autoreferenziale),
ma interagisce con professionisti che provengono da tutto il mondo della
cultura in processi che abbracciano in tutto il percorso la dimensione
amministrativa, ampliando così i possibili finanziatori dei progetti
culturali.
Le politiche pubbliche integrano così questa particolare tipologia di pratica.
L’interesse di interrogare questi processi nasce dal desiderio di capire come
effettivamente l’arte si sia inserita nelle programmazioni strategiche e come è
stata in grado di produrre trasformazioni sia di tipo materiale che immateriale,
dimostrando così di porsi come ‘strumento’ per le politiche urbane.
17 Dalle esperienze europee di pianificazione strategica, così come in letteratura, è possibile riscontrare una certa convergenza sulle principali caratteristiche che connotano la pianificazione strategica in ambito territoriale, distinguendola dagli strumenti urbanistici tradizionali :1) il carattere negoziato e partecipato - piuttosto che autoritario e prescrittivo - del Piano Strategico, attraverso la costruzione di una “visione” del futuro condivisa dal maggior numero di attori locali; 2) il carattere operativo - cioè orientato alla promozione di azioni e progetti - piuttosto che passivo e vincolistico (si “promuovono” progetti, piuttosto che “concedere” licenze); 3) il carattere flessibile - cioè suscettibile di aggiustamenti e revisioni - invece che rigido; 4) l’approccio integrato (che abbraccia, cioè, aspetti economici, sociali, ambientali, culturali), che non solo supera e ricompone il tradizionale approccio settoriale della pianificazione, ma mette anche in relazione una pluralità di attori; 5) la funzione di quadro strategico di lungo periodo entro il quale assicurare coerenza ai singoli progetti. (L’elenco è tratto da F.Martinelli, La pianificazione strategica in Europa. metodologie ed esiti a confronto, Reggio Calabria, 2003.)
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2.1.1 Le difficoltà del legame e le mediazioni Le difficoltà, che permetterebbero alle dimensioni culturali di accrescersi nelle
città, si esprimono nella mancanza, da parte di amministrazioni comunali,
nell’utilizzare fondi e capacità professionali, e nella distanza che intercorre tra
dimensione pubblica e dimensione culturale.
Nel quadro della situazione italiana, che vede grosse distanze tra enti privati ed
enti pubblici e difficoltà nell’approcciarsi a nuove sperimentazioni da parte di
amministrazioni comunali, i processi culturali a carattere artistico e cognitivo
vengono gestiti con difficoltà dagli enti pubblici che dovrebbero, in questo
contesto, rafforzare finanziamenti, reti e forze locali, «ciò comporta […] una
maggiore responsabilizzazione da parte dell'amministrazione: nell’identificazione
di obiettivi, azioni, finalità, tempi e strumenti di controllo.» Ed è proprio su
questa dimensione, più strettamente progettuale e di programmazione, che si
gioca, probabilmente, il primo livello di scambio fra la dimensione artistica e la
committenza amministrativa. «Un livello molto complesso, poiché le distanze fra
dimensione politica, basata sul consenso, dimensione amministrativa, ancora
troppo burocratica, e dimensione culturale, che lavora su soluzioni aperte, sono
molto forti.» (Annecchiarico A., 2004).
Questo complesso processo viene semplificato grazie alla mediazione di
istituzioni culturali indipendenti come gli interventi della ‘Fondazione Adriano
Olivetti18’ che ha lavorato in stretta collaborazione con amministrazioni,
lavorando molto sul rapporto fra l’artista e l’amministratore.
Si sono richieste mediazioni precise sia nel caso di URBAN II di Torino con il
progetto Nuovi Committenti a Mirafiori Nord, sia nel PRU e nel CdQ Corviale
nel progetto Immaginare Corviale curato dall’Osservatorio Nomade.
18 La Fondazione Adriano Olivetti, costituita nel 1962, ha lo scopo di “provvedere alla prosecuzione dell'opera di studio e di sperimentazione, teorica e pratica, suscitata da Adriano Olivetti”. In tale prospettiva, di impegno sociale, la Fondazione svolge un'intensa attività di ricerca e promozione culturale e scientifica articolata in quattro ambiti d'intervento caratterizzati da un approccio interdisciplinare: Istituzioni e società; Economia e società; Cultura e società; Arte, architettura e urbanistica.
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La mobilitazione delle pratiche artistiche viene attivata in Italia tramite progetti di
‘Arte Pubblica’, gli unici progetti che accettano la commistione tra pratiche
urbanistiche e linguaggi dell’arte; nell’ambito che riguarda il rapporto tra l’arte la
sfera pubblica, emerge da parte delle amministrazioni pubbliche, oltre che
dall’opinione pubblica, l’esigenza disciplinare di una produzione significativa dei
luoghi.
Fig. 2 – Schema di sintesi
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Riflessioni finali Potenziare i linguaggi fino ad ora utilizzati nelle pratiche partecipative con i
linguaggi dell’arte e considerare la mediazione tra la dimensione culturale e la
dimensione amministrativa, può significare individuare tutte quelle «convergenze
metodologiche e operative tra politiche pubbliche e ricerca artistica che, proprio
in virtù delle sue pratiche di infiltrazione, comunicazione e analisi complessa dei
territori, può fornire delle indicazioni di metodo e talvolta di poetica19 per la
gestione dei territori stessi.» (Santori F.G., 2004).
In primo luogo, nei casi studio presi in considerazione, si è cercato di capire in
quale misura questi processi artistici sono stati capaci di produrre trasformazioni
anche in virtù della qualità del messaggio prodotta con le tecniche più svariate.
In secondo luogo come le mediazioni culturali della Fondazione Adriano Olivetti
abbiano funzionato e come sia stata capace di creare legami tra la sfera pubblica e
artisti, curatori del mondo dell’arte, ed esperti del settore.
Fig. 3 – La costruzione di legami
Come denota il presidente della Fondazione Adriano Olivetti, Laura Olivetti:
«Sia per Nuovi Committenti che per Immaginare Corviale l'arte, in tutte le sue
espressioni, viene, nei nostri intenti, utilizzata come mezzo per rendere partecipi
ed attivi coloro i quali vivono quotidianamente la realtà dei luoghi che abitano.
Tutto questo genera la consapevolezza di appartenere ad una comunità che può e
deve collaborare per la trasformazione dei luoghi secondo le diverse esigenze.»
(Olivetti L., 2004).
Il tentativo del progetto di ‘Arte Pubblica’ allora si trasforma in una costruzione di
un abitante produttore cioè là dove «l’abitante del luogo inserito nel progetto 19 Cfr. Binni L., 2004 - in Politiche della contemporaneità: due progetti della Regione Toscana. Si veda anche Magnaghi A., 2010, Il progetto locale. Verso la coscienza del luogo. (Nuova edizione accesciuta), Bollati Borinchieri, Torino, pp 168-172.
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locale costituisce parte determinate della valorizzazione e produzione del luogo»
(Magnaghi A. 2010); questa costruzione è avvenuta là dove le responsabilità di
attori, desiderio comune di rigenerazione e cambiamento, è stata più fortemente
desiderata.
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Bibliografia
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3 Interrogare due casi: Nuovi Committenti a Torino e Immaginare Corviale a Roma 3.0 Una premessa Cercherò adesso di evidenziare, nei casi studio presi in considerazione, tutti gli
aspetti che hanno caratterizzato questi due progetti di ‘Arte Pubblica’ insiti nelle
sperimentazioni culturali dagli inizi degli anni Duemila fino agli aggiornamenti di
caso ad oggi, e che mi hanno permesso di conoscere, da una parte, le modalità e
le difficoltà dei legami di discipline diverse, e dall’altra le effettive trasformazioni
dello spazio pubblico dopo le progettazioni.
Quindi riprendendo il quesito iniziale: come questi fattori hanno effettivamente
influenzato e contribuito, nel quadro delle politiche analizzate, alla
trasformazione del territorio e cosa il processo culturale ed artistico, insito nelle
sperimentazioni culturali, è stato effettivamente capace di produrre?
Si è trattato di capire con quali modalità queste sperimentazioni culturali si siano
inserite nei processi di pianificazione territoriale e come effettivamente siano
state in grado di produrre cambiamenti di carattere immateriale (come ad
esempio il Caso di Roma Immaginare Corviale) e cambiamenti di carattere
materiale (come il caso Nuovi Committenti a Torino Mirafiori Nord) nella
trasformazione dello spazio pubblico.
Ambedue i casi studio presentano un problema iniziale, poiché entrambi i contesti
ricadono sul margine urbano e periferico di due città. La prima è Torino, dove è
presente un declino di una monocultura industriale come quella di Mirafiori, e la
seconda è Roma, che invece presenta il classico fallimento dell’architettura
moderna nella costruzione e nella cattiva gestione del Nuovo Corviale.
Successivamente verranno descritte le soluzioni scelte dalle amministrazioni e
come i processi culturali ed artistici siano stati capaci di produrre linguaggi
adeguati alle esigenze del contesto, e come la mediazione della Fondazione
Adriano Olivetti abbia avuto efficacia nel dialogo tra gli attori del processo.
L’interrogazione dei casi è avvenuta tramite interviste telefoniche e in prima
persona. Negli schemi riassuntivi che seguono sono descritte le due esperienze
che ho avuto modo di analizzare in maniera approfondita ma indiretta. Le
esperienze selezionate non hanno pretesa di esaustività, rientrano piuttosto in una
descrizione analitico - scientifica dei fenomeni di casi in continuo evolvere.
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ALLEGATO A
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ALLEGATO B
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3.1 Torino: Nuovi Committenti per Mirafiori Nord
Il processo Nuovi Committenti a Mirafiori Nord ha ricoperto un tipo di intervento
di riqualificazione urbana basato sul tentativo di rigenerare il quartiere creando
un’attività culturale improntata verso la creazione di centri aggregativi nello
spazio urbano ormai privo di identità. Il contesto Mirafiori Nord, come vedremo,
presenta il tipico carattere e gli aspetti di rischio e decadenza delle periferie
industriali cresciute intorno ad una grande fabbrica. Come risposta la città di
Torino ha vissuto negli ultimi anni una fase di riconversione funzionale,
ripensandola a livello strategico, nel suo ruolo, dopo gli anni
dell’industrializzazione e della sua dismissione. Nel complesso è possibile dire
che abbia investito nell’ambito culturale rilanciandosi così come città della
cultura, della creatività e dell’arte, offrendo eventi ed iniziative uniche nel
panorama italiano.
Visto Torino come unico caso “Laboratorio” nel quale si realizzano diverse
occasioni di riqualificazione urbana legata all’arte, è difficile individuare un unico
ruolo che l’arte e l’artista svolgono. «Forse il caso più eclatante e innovativo,
inedito rispetto a quello di altri casi […] è quello dell’artista che si relaziona con
un contesto per il quale è chiamato ad interpretare dei bisogni. Questo è il caso di
“Nuovi Committenti” nel quale l’artista lavora a contatto con un mediatore
culturale che indaga i bisogni e le aspirazioni degli abitanti e le riporta all’artista.»
(Inguaggiato, 2009). In questo caso all’artista viene dato un compito sociale e
morale di realizzazione “desiderata” che si distingue dai tradizionali interventi di
arredo urbano o rifacimento di contesti degradati per il processo con il quale
avviene, per il contenuto e il valore artistico, per il senso di appartenenza che
sviluppa tra i fruitori.
Le politiche e gli strumenti del processo Nuovi committenti sono stati in una fase
iniziale il Tavolo sociale (istituito dall’Assessorato al decentramento e
all’integrazione urbana del Comune di Torino nell’ambito del Progetto Speciale
Periferie - PSP) e successivamente il programma Urban II. L’intero finanziamento
nel progetto Urban II. Oltre la città fabbrica è stato di oltre 30 milioni di euro di
cui quasi un milione di euro (960 mila euro) è stato investito per il progetto Nuovi
Committenti. Tutti i soggetti finanziatori sono stati: Urban II (Unione Europea,
Ministero delle Infrastrutture, Regione Piemonte, Città di Torino), Fondazione
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Adriano Olivetti - Roma, Compagnia di San Paolo - Torino, Fondazione CRT –
Torino. Gli attori del processo oltre ai soggetti finanziatori sono stati: a.titolo,
Avventura Urbana (per alcuni interventi preliminari al processo), gli artisti
coinvolti nella progettazione e gli abitanti di Mirafiori Nord per quanto concerne
gli attori privati. Gli attori pubblici invece: il Comune di Torino, professionisti e
tecnici del programma URBAN II e del precedente PSP (Progetto Speciale
Periferie di Torino). I tempi dell’intero processo sono durati sette anni dal 2001 al
2008.
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3.1.0 Il declino di una monocultura industriale: Mirafiori Nord, Torino
Mirafiori Nord è un quartiere della Seconda Circoscrizione (ex quartiere n. 12) di
Torino, cresciuto in prossimità dello stabilimento Fiat nella parte sud di Torino.
La costruzione risale alla politica abitativa pubblica italiana dagli anni ‘20 agli
anni ’60. Da un punto di vista edilizio ed urbanistico Mirafiori risulta cresciuto
attorno alla più importante industria automobilistica italiana che ha condizionato
lo sviluppo d’Italia e in particolare della regione Piemonte fino alla fine degli
anni ’70. Mirafiori Nord è una tipica area metropolitana del nord Italia con un
tessuto edilizio che si è andato formando con forme insediative diverse.
Agli inizi degli anni ‘20, la collaborazione tra Fiat e Comune di Torino porta ad
una profonda crisi legata agli alloggi. Verrà pianificata la costruzione di più di
mille alloggi popolari distribuiti in otto isolati. L'industria automobilistica nel
1926 cede più o meno 100 ettari di terreno al Comune che saranno destinate alla
costruzione di case popolari. In cambio l'amministrazione comunale darà le opere
di urbanizzazione primaria e secondaria come il sottopassaggio del Lingotto.
Lo stabilimento Fiat Mirafiori nasce ufficialmente nel 1939 e parallelamente si
svilupperà il quartiere operario lungo a nord di via Giacomo Dina, cuore di quella
porzione di città che in quegl’anni i torinesi chiamavano “Borgo Cina”. «Nel
1957 la Fiat raddoppia lo stabilimento di Mirafiori e partecipa al piano Ina Casa
costruendo 1550 alloggi da assegnare ai dipendenti. Grazie alla legge n. 167 del
1962 sull'edilizia convenzionata verranno favorite le acquisizioni di terreno
destinate a zone commerciali e ai servizi, ma la carenza dei servizi essenziali è un
problema di gravi proporzioni.» (Zanlungo, 2008: 34).
Palazzi a sette e dieci piani inaugureranno la stagione del boom edilizio e
demografico degli anni '60, per arrivare agli interventi degli anni ’70 che hanno
accolto i grandi flussi migratori attratti dallo sviluppo industriale di quegl’anni.
L’attuale stato di Mirafiori è caratterizzato dai servizi centrali che fungono da
centro aggregativo e sociale, circondati da edilizia residenziale pubblica da un
lato e dall’altro edificazioni di tipo privato come il centro residenziale chiamato
“Centro Europa”.
Un quartier sopravvissuto alla sua fabbrica: « il nodo entro cui s'avvolge e stenta
a dipanarsi la vicenda collettiva di Mirafiori Nord. La difficoltà a svincolarsi
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dalla presa oppressiva del vuoto che gli incombe addosso. Il possibile blocco
dell'immaginazione, di fronte all'invadenza di quell'assenza che non potendo
esser nominata, resta là, immobile, al confine del territorio abitato, e assorbe
ricordi e progetti, tentativi di ricostruzione di un senso comune condiviso e
ricerche d'innovazione.» (Ravelli M., 2004).
Vari studi condotti dal Comune di Torino e da Dipartimenti Ministeriali
dimostrano che attualmente il quartiere porta con se un grave crisi che tocca il
contesto sociale. Mirafiori Nord è diventata una parte città non più produttiva,
rimasta senza lo scopo per cui era stata progettata e cioè quella di essere la più
grande industria d’Italia. «Nell’insieme presenta il tipico carattere e gli aspetti di
rischio e di decadenza delle periferie industriali cresciute intorno a una grande
fabbrica: in questo caso una fabbrica ormai da anni fortemente ridimensionata,
ma comunque col pericolo che la sua crisi trascini lo stesso quartiere in un lento e
continuo declino e degrado fisico e sociale.» (Filandri M., 2009).
Un caso esemplare delle periferie post-industriali europee, dove ormai si è persa
la sua funzione industriale, diventando così un quartiere abitato in maggior parte
da operai in pensione che tempo addietro avevano acquistato casa dalla Fiat.
Il tramonto della monocultura industriale ha portato una profonda crisi del
quartiere e al resto della città. Da alcuni anni sono molte finestre chiuse e poche
le auto che passano.
Il lungo corso che costeggia la fabbrica e i cortili delle case popolari
rappresentano ormai un contesto sospeso tra ciò che ormai non esiste più e quello
che invece potrebbe esserci.
Alcune statistiche hanno dimostrato che la presenza di edilizia pubblica
residenziale comporta dei fattori problematici di carattere sociale, economico e
culturale. «L’eterogeneità di quartiere “in difficoltà”, tuttavia “esente da
condizioni di disagio estremo” 20 se non per alcuni isolati delimitati all’interno di
complessi di edilizia pubblica popolare, è la ragione per cui è stato eletto come un
luogo di sperimentazione per misure sia di integrazione sia di riqualificazione
urbana nel Programma di Iniziativa Comunitaria Urban II.» (Filandri, 2009).
20 PIC Urban 2 – TORINO MIRAFIORI NORD, “Progetto Cortili”, Misura 3.2. Interventi diffusi per la lotta all’esclusione sociale, a cura di Ass. Avventura Urbana – Progettazione & Partecipazione, dattiloscritto, s.d.
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Un quartiere in trasformazione che ha sofferto la mancanza di spazi verdi e
luoghi di aggregazione come: luoghi per il passeggio, piazze, giardini, e che ad
oggi sono state ridimensionate e contrastata da interventi di riqualificazione e
rigenerazione urbana.
Fig. 6- Mappa di Torino con segnati i confini di Urban, di Mirafiori Nord e della
Circoscrizione 2 - (Fonte: Filandri, 2009)
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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3.1.1 Sperimentazioni Culturali per Mirafiori Nord 3.1.1.0 Torino: un cantiere a cielo aperto tra rigenerazione urbana e progetti di arte pubblica Torino è la città italiana che ha differenza di altre ha saputo sviluppare nel tempo
una pratica consapevole di intervento pubblico rispetto ai processi artistici e
all’arte contemporanea, resa possibile principalmente dalla presenza di molteplici
attori e contenitori come musei contemporanei, con gestione pubblico-privata,
fondazioni bancarie impegnate nel mondo dell’arte contemporanea e
nell’investimento verso musei pubblici e progetti legati al sociale e nei progetti
culturali innovativi. «[…] Un'amministrazione che da anni considera l'arte
contemporanea nelle sue forme più diverse patrimonio comune della cittadinanza
e che è in grado di mobilitare risorse pubbliche e private in complessi programmi
di riqualificazione. La città rivela soprattutto una consapevolezza diffusa
nell’affrontare l’impatto della deindustrializzazione, mettendo la contemporaneità
e l’arte al centro delle politiche pubbliche. […]. (Pietromarchi B., Santori F.S.,
2004) (Drago E., 2004).
Un contesto difficile come Mirafiori dove la necessità di integrazione e
inclusione sociale sono evidenti; dove l’amministrazione comunale aveva già
investito ingenti finanziamenti; formato principalmente: da lavoratori che non
lavorano più, da famiglie con molti problemi legati al lavoro e al disaggio sociale
e di giovani che non vivono il quartiere ma preferiscono recarsi nei centri
commerciali. Da qui il programma Urban II. Oltre la città fabbrica, il cui
obbiettivo da raggiungere era quello di favorire un processo di trasformazione
sociale, fisica ed economica del quartiere attraverso un’ampia partecipazione
degli attori sociali.
Nel 1999 si è aperto a Mirafiori Nord uno spazio per il Tavolo Sociale21 (oggi
Forum dello Sviluppo) riunitosi per due anni e finalizzato alla messa a punto di
un disegno partecipato di rigenerazione del quartiere attraverso un approccio
integrato che «promuove il coinvolgimento degli abitanti e delle organizzazioni
del territorio, stimolando un ruolo attivo e propositivo dei soggetti sociali.» 21 Il Tavolo Sociale era un organismo composto da urbanisti, cooperative, associazioni, parrocchie, scuole e operatori della Seconda Circoscrizione, istituito dall’Assessorato al decentramento e all’integrazione urbana del Comune di Torino nell’ambito del Progetto Speciale Periferie.
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(a.titolo, 2004: 23).
Si è dato voce a chi vive e lavora nel quartiere Mirafiori Nord fino a giungere
all’individuazione dei problemi di tipo sociale e strutturale mettendo in rilievo
quelle che erano le vocazioni e i desideri degli abitanti.
Dal seguito del lavoro svolto dal Tavolo Sociale, e dal già consolidato gruppo
composto dalle associazioni e dei cittadini, l’amministrazione comunale torinese
ha maturato la scelta di candidare Mirafiori Nord al programma Urban II (2000-
2006)22. In seguito, si è sviluppato un lavoro sistematico di ricerca e di
progettazione del programma. Il 23 novembre 2001, con decisione n.
C/2001/3531 è stato formalmente adottato il Programma d’Iniziativa Comunitaria
(PIC) Urban II Mirafiori Nord.
Il programma intendeva inoltre promuovere l’attuazione di strategie innovative
che favorissero lo sviluppo locale e lo scambio di conoscenze tra attori del
processo ed attori esterni. Per il programma Urban sono stati stanziati oltre 40
milioni di euro per tutti quegli interventi volti a rilanciare lo sviluppo e a
migliorare la qualità della vita e dell’ambiente nel quartiere Mirafiori Nord. Il
programma si è inserito in un contesto di valorizzazione, in cui già dalla fine
degli anni ’90 il Comune di Torino aveva avviato il Progetto Speciale Periferie
(‘PSP’), intervenendo sulle periferie torinesi dal punto di vista urbano, ambientale
e sociale. Successivamente «Nell’ottica di una crescita di una “società locale”
che si riscatta rispetto a deprivazioni di tipo sia fisico che culturale ed economici
ecc., si decide di inserire all’interno dei programmi di rigenerazione fisica, e non
solo di quel quartiere, anche interventi di tipo artistico, progettati con le scuole
del quartiere. Ha sicuramente dato e un contributo alla crescita dell’empowerment
dei soggetti locali. […].» (Appendice – Alberto Lalli).
Il programma Urban è stato suddiviso in tre assi23: «“il recupero fisico e la
sostenibilità ambientale”; “la creazione di infrastrutture e conoscenze per lo
sviluppo economico”; “l’integrazione sociale, la lotta all’esclusione e la crescita
22 Il programma Urban 2 si inserisce in un contesto più ampio di valorizzazione delle periferie torinesi che la Città sta attuando dal 1998 con la creazione di un nuovo settore del comune, il Settore Periferie. Attraverso questo programma la Città di Torino sta da tempo investendo ingenti risorse per la riqualificazione delle periferie da un punto di vista urbano, ambientale e sociale. Attualmente il Settore Periferie ha quattordici azioni di sviluppo locale avviate in Torino, tra cui una nell’area di Mirafiori Nord. (http://www.comune.torino.it/urban2/progetto.html) 23 In Urban II, 2002, Programma di Iniziativa Comunitaria Urban II (2000-2006). Mirafiori Nord, Civico centro stampa, Torino, pp16.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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culturale” anche attraverso “occasioni di espressione culturale e artistica24.
Ed è proprio nell’ambito culturale ed artistico inserendosi nel terzo asse del
programma, che il Comune di Torino decide, approfittando del periodo, di
inserire il progetto Nuovi Committenti, ispirato all’omonimo modello francese
Nouveaux Commanditaires, prevedendo la realizzazione di quattro opere da
realizzarsi entro il 2006, (anche se tutti i processi sono terminati successivamente
nel 2008), il fine era quello di promuovere la riappropriazione degli spazi urbani
da parte degli abitanti e il rafforzamento dell’identità dei luoghi. Il Comune di
Torino impegnerà la Fondazione Adriano Olivetti per la regia del lavoro e
l’associazione a.titolo per la mediazione culturale.
Tutte le opere di Urban, legate a Nuovi Committenti, sono state inserite nel
progetto di Parco lineare di Corso Tazzoli.
Come denota Francesca Comisso, (una delle curatrici di a.titolo): «In quel
periodo abbiamo intercettato, efficacemente, in un momento dove la città di
Torino stava preparando la candidatura ai finanziamenti nell’abito del programma
Urban II, che è un programma comunitario di rigenerazione urbana, e poiché la
metodologia di Nuovi Committenti chiama in causa un metodo innovativo alla
partecipazione, sui processi di cittadinanza attiva e si prestava perfettamente a
quelle che erano le direttive e le pratiche auspicate dalla comunità europea, il
Comune di Torino ha accolto questa nostra proposta e la città stessa ha proposto
tra le progettualità che avrebbe messo in campo nella realizzazione dei progetti di
Urban II anche Nuovi Committenti.»
In totale sono stati investiti 961.000 euro, comprendendo l’avvicinamento delle
committenze e l’intera realizzazione delle opere. Per l’Italia è la prima
applicazione di un modello di produzione di opere d’arte per lo spazio pubblico.
Come dichiara Maria Alicata (responsabile dell'Area progetti e ricerche della
Fondazione Adriano Olivetti) «Negli anni 2000 il contesto ideale era Torino,
dove esisteva una consapevolezza amministrativa molto forte sul tipo di
intervento, dove uno degli assi strategici della città era ed è ancora l’arte e la
cultura. In quegli anni esisteva un Piano Strategico allineato su questo tema, un
contesto ideale e con la consapevolezza di cosa si andava incontro, investendo 24 In particolare il terzo asse dei finanziamenti Urban II prevedeva che si dovessero: «Rafforzare il legami sociali e le reti di contatto tra gli abitanti, riducendo i fenomeni di isolamento ed esclusione sociale, ampliando i servizi esistenti e migliorando la qualità e l’accessibilità; creare occasioni di espressione culturale e artistica che rafforzino l’identità e il senso di appartenenza alla comunità.» (Urban II, 2002).
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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sulla cultura; c’era l’occasione del programma Urban, all’uscita del bando, la
Fondazione Adriano Olivetti (che all’epoca aveva legami molti forti con le
fondazioni bancarie in particolare San Paolo e CRT) si è proposta, e i fondi sono
stati destinati al quartiere Mirafiori Nord. In ogni caso dovevano essere investiti
per interventi artistici, ma questa volta la metodologia era improntata sul modello
Nuovi Committenti. È stato un modello applicato dalle linee guida del progetto
originario. Dove quello che conta del progetto non è l’opera in sé, ma il processo;
Citando Cavallier: “fare più attenzione alla traiettoria che al bersaglio, al processo
che non all’obiettivo25”.» (Appendice – Maria Alicata).
Tutto il lavoro è stato basato sulla pratica della partecipazione diretta da parte dei
cittadini per tentare di ridisegnare quella parte del territorio torinese.
L’associazione incaricata dalla Fondazione Adriano Olivetti alla mediazione è
stata a.titolo, una mediazione fondamentale per individuare i nuovi committenti.
La stessa associazione decise di partire dal Tavolo Sociale. Come dichiara
Francesca Comisso «La nostra scelta è stata quella di innestarci in un processo di
“cittadinanza attiva” già in corso. […] Lo abbiamo essenzialmente potenziato,
abbiamo scelto di operare in sinergia piuttosto che in totale autonomia. Abbiamo
ovviamente avuto un’autonomia metodologica e operativa scegliendo di
potenziare delle azioni già in atto. » (Appendice – Francesca Comisso)
Tutto il lavoro è stato basato su processi di ascolto, che l’antropologa Marinella
Sclavi, presente alle riunioni del Tavolo Sociale, pone al centro di una precisa
metodologia di analisi e intervento nel territorio urbano26.
Durante il lavoro si sono ascoltate e raccolte le proposte dei cittadini in merito a
possibili temi e luoghi di intervento artistico.
Le parti entrate in gioco nella progettazione sono state compiute sia dalla parte
pubblica amministrativa che dalla parte privata. Enti pubblici, associazioni,
volontari e cittadini, nella nuova definizione di committenza, dove il ruolo
dell’istituzione con quello del cittadino comune, si inverte, creando così
interrelazioni tra competenze e ambiti differenti. Per questi motivi, il progetto
Nuovi Committenti applicato a Mirafiori ha denotato la compatibilità con le più
25 Georges Cavallier, L’habitat social au coeur de l’urbanisme, Lione, 4-5-6 dicembre 1995, e Habitat II, Istanbul, giugno 1996. 26 Marianella Sclavi insegna Etnografia urbana e Arte di ascoltare e Gestione creativa dei conflitti al Politecnico di Milano. Collabora da anni a progetti di risanamento di quartieri in crisi. Tra le Sette regole dell'arte di ascoltare. Si rimanda anche a M. Sclavi. Avventure urbane. Progettare la città con gli abitanti, Eléuthera. Milano 2002, in particolare le pp. 197-202.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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aggiornate strategie di governance delle amministrazioni locali.
Le principali linee programmatiche che informano le iniziative di rigenerazione
urbana promosse dall’Unione Europea e le possibili connessioni con progetti
artistici e culturali che prevedono la partecipazione con gli abitanti, sono i
caratteri dei processi che hanno distinto l’applicazione nel contesto Mirafiori
Nord di Torino.
Se da un alto troviamo gli obbiettivi di Urban, che danno delle indicazioni
generali sulla rigenerazione delle città, dall’altra invece, troviamo tutti quei
processi su cui fare leva in precisi contesti. Il programma Urban, in questo
preciso contesto, ha considerato di fondamentale importanza il “capitale umano”
e le loro interazioni, cercando di mettere in sinergia più forze locali.
In questa visione l’approccio artistico e sperimentale scelto per il conteso
Mirafiori Nord ha svolto un ruolo nel tentativo di rigenerare il quartiere creando
un’attività culturale e soprattutto, di fondamentale importanza, la creazione di
centri aggregativi per il contesto.
«La sensibilizzazione delle amministrazioni e la costruzione con esse di una
progettualità comune e, nella prospettiva della Fondazione, preliminare a
qualsiasi applicazione di Nuovi Committenti. D’altro canto, la procedura risponde
ad alcune questioni al centro degli obiettivi di governance delle più avvedute
amministrazioni locali, ovvero l'individuazione di interventi necessari, e dunque
sostenibili, mirati alla federazione della cittadinanza e l'identificazione di processi
di riqualificazione degli spazi pubblici che partano dal basso e che tuttavia non si
fermino alla soluzione dei problemi pratici ma abbiano l'ambizione di innestare
nella quotidianità una dimensione estetica “alta”. Non è un caso che, sia in Italia
che in Francia, Nuovi Committenti riesca a mobilitare risorse economiche che non
hanno per oggetto la cultura tradizionalmente intesa e che la sua procedura rientri
in molti dei parametri dei progetti strutturali europei o nei criteri della
programmazione strategica.» (Pietromarchi B., Santori F.S., 2004: 15).
Nella maggior parte dei casi la rigidezza delle amministrazioni locali e dei
programmi che le si propongono, tendono a dare poca flessibilità alle esigenze
del cittadino; la rigidezza nel perseguire programmi deliberati potrebbe stabilire
delle implicazioni nell’inserimento di modelli come Nuovi Committenti.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Da un intervista del 2004 di a.titolo all’architetto Anna Prat27, si deduce che
l’approccio sperimentale applicato a Torino si sia ben inserito nelle linee di
Urban II, l’amministrazione comunale torinese era consapevole dell’azione che si
stava intraprendendo: «Penso che Nuovi Committenti sia perfettamente nello
spirito di Urban Mirafiori: è un approccio alla trasformazione che non ha risposte
preconcette ma che si fonda su un lavoro comune, partecipato e contestualizzato.
E’ un metodo che consente d'interrogarsi sull'identità della città, degli spazi e dei
luoghi pubblici, della periferia e di questo quartiere in particolare. Mira ad
“attivare” il cambiamento, proprio come il programma, e non a proporre delle
soluzioni. Soprattutto non aspira all'opera di grande impatto e forse retorica, che
nell'arte pubblica consiste nel monumento, e nei progetti urbani può
corrispondere al centro culturale, al museo, alla piazza aulica. La cosa
affascinante, per me che sono di formazione architetto-urbanista, è giusto
occuparsi di luoghi e oggetti ma con una prospettiva diversa da quella degli altri
progettisti. La vostra prospettiva (quella di a.titolo) tende a porsi maggiormente il
problema di capire come viene prodotto l'oggetto urbano, come viene percepito,
come viene vissuto quotidianamente a livello emotivo.» (Pratt A., 2004) (a.titolo,
2004: 37).
È in questo contesto che l’arte contemporanea e la cittadinanza inserite nei
programmi di ridisegno urbano possono costituire un ruolo importante per la
produzione di “cittadinanza attiva”.
L'arte ha creato un'attività culturale e influenza i modi di vivere degli abitanti e
crea una sorta di creatività locale, qui il “capitale umano locale”, diventa
suscettibile al cambiamento. Quello che si è radicato in Nuovi Committenti, come
dice Anna Prat «è un sistema di progettazione naturale, fondamentalmente un
“progetto esperenziale”. Nuovi Committenti m’interessa molto perché pone delle
questioni importanti per l'arte pubblica, molto vicine al modo di sentire e lavorare
di chi fa progettazione e programmazione urbana. Si pone problemi di attivazione
di processi, assunzione di responsabilità da parte degli attori in gioco (i
27 Anna Prat è un architetto urbanista. Nel 2004 ha rilasciato un intervista per a.titolo in merito al complesso rapporto tra arte e trasformazioni urbane. Si è occupata dei programmi urbani e della fattibilità delle trasformazioni territoriali e urbane di Torino. Laureata in architettura a Torino, ha lavorato per due studi professionali di Londra (Dalia & Nathaniel Lichfield .Associates et Ove Arup & partners) e ha studiato alla London School of Economics. A Roma ha lavorato con la società Ecosfera. Attualmente è free-lance e risiede a Torino, seguendo alcuni programmi europei e studi di fattibilità. Nell'ambito di Urban è stata la responsabile per Ecosfera della preparazione della candidati e in seguito dei documenti di progetto e del programma dei lavori.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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committenti, i mediatori e gli artisti), di riconoscimento delle professionalità, di
proprietà civica, di discussione e di revisione dei labili confini tra pubblico,
privato, collettivo. […].» (Pratt A., 2004) (a.titolo, 2004: 39).
L’applicazione di Nuovi Committenti nel contesto Mirafiori ha dimostrato che
l’arte pubblica contemporanea e la cultura si pongono come strumento in grado di
aiutare l’architettura e i programmi urbani che in genere risultano fuggire da
applicazioni sperimentali e di ricerca.
La commissione e la promozione delle iniziative artistiche nella città è avviata sia
grazie allo stimolo da parte di operatori del mondo dell’arte sia da parte di chi si
occupa in generale dei processi di trasformazione della città. Negli ultimi secoli si
è assistito alle principali commissioni di opere d’arte da parte del potere politico
o religioso, dove lo spazio pubblico era il luogo della rappresentazione del potere.
Oggi invece si assiste ad una molteplice diversità di tipi di commissioni e
promozioni che operano un superamento che conferisce nuovi significati sia
simbolici dello spazio pubblico, sia di natura sociale come luogo di condivisione
di idee e spazio di confronto allargato.
«In molte esperienze degli ultimi venti anni l’attore pubblico – Stato, istituzioni,
amministrazioni locali – non è più solo il committente da assecondare, e neppure
solo il soggetto da contestare. È piuttosto un partner con cui collaborare.»
(Bruzzese 2010: 32). In questa direzione l’arte pubblica contemporanea viene
inserita nei programmi di riqualificazione urbana dalle pubbliche amministrazioni
dove il cittadino assume un ruolo di ‘committenza’.
Il progetto Nuovi Committenti e Urban II, vanno guardati come un cantiere
programmato, anche attraverso un lavoro di “compenetrazione” tra due modelli
operativi, che sono affini nelle filosofie ma allo stesso tempo ben «distinti per
vocazione e quadro di intervento» (a.titolo, 2004: 30). La sinergia tra le due ha
dato vita ad un cantiere che ha visto scorgere un «nuova committenza sociale»
(Crispolti E., 1977), nata dall’unione di una committenza pubblica ed economica
con una committenza di progetto.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 46 ~
3.1.2 Un modello politico nuovo per l’Italia
Il modello Nuovi committenti assume caratteristiche da una consolidata tradizione
francese nel trattare l’arte pubblica. Il modello dichiara la sua natura alternativa
alla dissoluzione del ruolo dell’arte nella società contemporanea, denotando una
consolidata tradizione di arte pubblica di prevalente committenza statale. In Italia,
invece, non è presente un modello egemone in ambito istituzionale che si misura
con modelli alternativi. Da qui, viene importato, per la prima volta a Torino,
questo nuovo tipo di sperimentazione culturale: nuove strumentazioni, non tanto
legate al mondo dell’arte e della società, ma piuttosto ai processi politici insiti nel
modello. Nuovi Committenti utilizza l’arte e i suoi strumenti in funzione del
contesto, innestandosi, come nel caso italiano, nei programmi di rigenerazione e
riqualificazione urbana.
Come in effetti l’associazione a.titolo denota: « Quando nel 2000 la Fondazione
Adriano Olivetti ci propose di diventare mediatori culturali del programma Nuovi
Committenti, ci stavamo da tempo interrogando su questi temi. Parallelamente a
uno studio sulla situazione italiana, eravamo passate a curare una serie di
interventi nella nostra città - Torino - in zone ad alto livello di problematicità (il
mercato di Porta Palazzo, un quartiere di edilizia pubblica). Gli interlocutori non
li avevamo trovati, come di solito, nelle istituzioni culturali, ma tra i responsabili
delle politiche urbane. L'ingresso di Nuovi Committenti in Urban II […] ci ha
confermato quanto oggi l'arte, quando si propone di attivare processi, sia inclusa
come valido strumento tra le politiche di ridisegno delle città. a.titolo è il primo
gruppo di mediatori ad applicare il modello in un programma di questo tipo, e ciò
apre una nuova prospettiva di sperimentazione delle sue potenzialità operative.»
(a.titolo, 2004: 22).
Tra le varie tipologie di sperimentazioni culturali, Nuovi Committenti dimostra di
non attuare un semplice progetto di Arte Pubblica, o un processo dove all’artista
viene dato il protagonismo dell’azione o dell’opera, è principalmente un modello
politico e innovativo, in particolare per il contesto italiano, dove la
partecipazione, l’inclusione dei cittadini e la valorizzazione del territorio si
pongono come scopo predominante di tutto il processo.
Come dichiara, Francesca Comisso: « il lavoro dell’artista che sta dentro il
processo, non è attivato dall’artista. In Nuovi Committenti, gli artisti cercano un
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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dialogo, le modalità per svilupparlo, decidono di trasformare la loro azione in un
servizio oppure in realtà di produrre un progetto, a seconda! Non è arte sociale o
arte politica, è il metodo che è sociale e politico.
L’artista nel processo può incontrare chiunque, poi è il mediatore che rende
possibile questo dialogo, poiché essendo un esperto del settore riesce a mettere
tutto a sevizio di una domanda, una domanda che deve essere in grado di tradurre
correttamente e che magari coinvolga un gruppo ampio. Ogni volta si decide. Sta
di fatto che però il mediatore individua un’artista, da lì nasce un dialogo, dalla
capacità di ascolto, capace a negoziare proposte. Ecco questo è un processo
interessante, dialettico, di fiducia reciproca, che cresce, che si stabilisce, ma può
essere anche conflittuale. […] Se il processo è stato fatto bene, l’esito è ottimo.
E’ un campo di decisioni dove ciascuno ascolta tutti ma ascolta anche le proprie
riflessioni. Questa negoziazione produce un’opera che deve corrispondere al
desiderio di chi l’ha commissionata, ma che poi sappia essere acquisita dalla
collettività. In Nuovi Committenti è importante sia il processo che l’esito. In realtà
è un processo di produzione d’arte. E’ politico in se, perché restituisce al singolo
individuo, che nella democrazia occidentale (come scrive Hers Francois): «è
considerato motore della storia”. Gli riconosce la possibilità di agire attraverso
un’opera e assumere un ruolo all’interno della collettività.» (Appendice –
Francesca Comisso).
A.titolo, negli ultimi anni si sta interrogando sul dialogo che hanno l’arte e la
partecipazione attiva della collettività. Esistono una serie di percorsi in cui le
pratiche artistiche stanno diventando sempre più diffuse. Alcune sono legate al
contesto storico e alle urgenze, altre invece denotano che nel nostro paese, a
differenza del mondo anglosassone, esistono agenzie, che in maniera strutturata,
dedicano la promozione a questo dialogo. In Italia però sta sempre più
diffondendosi, da parte delle amministrazioni, la consapevolezza del ruolo
dell’arte. «Un fenomeno che si sta pian piano diffondendo e come tale ci sono
anche molte criticità sollevate in ambito teorico anche rispetto al significato di
community-based art e cioè quando l’arte si relaziona con la società! Cosa vuol
dire partecipazione in questo senso? Perché poi la riflessione non è tanto legata
alle parole ma alle pratiche. Viene da chiedersi se la partecipazione può avere un
solo ruolo consultivo su delle decisione già prese, anziché invece essere un
processo emporwerment, e cioè che da degli strumenti.» (Appendice – Francesca
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Comisso).
Questo nuovo tipo di intervento, in relazione alle declinazioni precedentemente
citate nel primo capitolo, in cui l’artista e critica d’arte Suzanne Lacy ha
sopranominato new genre public art, per distinguerle da una nozione in cui l’arte
è semplicemente collocata nello spazio pubblico, dove conta principalmente il
ruolo della comunità, che non fruisce soltanto dell’opera realizzata ma diventa
parte attiva di un processo che porta alla sua realizzazione. Esiste la volontà di
dare rappresentazione alla comunità; «Nuovi Committenti in questo senso ci
riporta a una concezione civica del mecenatismo privato che ha avuto una parte
determinante nelle formazione delle città italiane – risemantizzando i luoghi della
quotidianità attraverso lo sguardo degli artisti.» (Alicata M., Pietromarchi B.,
2008) (Bertolino G., 2008).
In questo nuovo modello politico la collettività assume il ruolo principale. Il
processo, parte più lunga ma anche più importante, deduce alla fine del percorso
in quale misura la partecipazione attiva sia stata in grado di produrre un’opera; da
un altro lato invece possiamo dedurre cosa, e in quale misura, nel percorso che va
dall’arte alla trasformazione dello spazio pubblico, il metodo produce e può
produrre. Per questo motivo ritengo importante analizzare il modello Nuovi
Committenti.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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3.1.2.0 Le prospettive attuali del progetto Nuovi Committenti in Italia e la difficoltà di “muoversi” nello spazio pubblico
Attualmente il modello Nuovi committenti viene applicato in piccoli contesti, in
varie città d’Italia. In particolare l’azione di mediazione di a.titolo è orientata
verso l’applicazione del modello a Barca, un quartiere della periferia Nord di
Torino. Il progetto è stato chiamato Cantiere Barca; cerca di combattere la
condizione di inerzia del quartiere. Inserito nel progetto situa.to28 nell’ambito di
Your Time - Turin 2010 European Youth Capital, il progetto non è stato inserito
nell’ambito di una programmazione comunitaria ma promosso e sostenuto dalla
Regione Piemonte, dalla Direzione Cultura dalla Città di Torino e dalla
Compagnia di San Paolo; ideato e curato intermante da a.titolo e altri
professionisti del settore.
La scelta di un piccolo centro è stata strategica. La complessità della città non
potrebbe smaltire e far trasparire problematiche profonde del contesto, perché
immersa in molteplici forme e dinamiche complesse di reti sociali in rapida
trasformazione. Per questo motivo il modello è stato riportato in un piccolo
contesto, dove l’azione diventa semplificata. Nuovi Committenti a Barca è un
progetto rivolto a valorizzare e stimolare la creatività dei giovani e le varie forme
di cittadinanza attiva, attraverso l’esperienza pratica dell’autocostruzione.
Una fase preliminare di esplorazione e di indagine, come racconta Francesa
Comisso: «un percorso di formazione fatto con giovani, un “parkour” urbano,
come esploratori della città. Un gruppo di giovani di discipline diverse che vanno
dall’architettura, all’antropologia alla musica e all’arte, che abbiamo formato
tramite workshop con artisti e gli Stalker, per vedere la città in un modo diverso.
L’obbiettivo era quello di creare una mappatura di una città che si sta
trasformando, una città formata dai quartieri e di aree che non sono sempre sotto
gli occhi di tutti, fatta di luoghi che pensiamo di conoscere ma infondo non
conosciamo. Volevamo provare a raccontarla in modo diverso, attraverso una
maniera diversa di abitarla […] e con questo tentativo questi ragazzi hanno ri -
28 “situa.to si propone di sperimentare nuove pratiche in risposta ai problemi emergenti delle giovani generazioni, ideare nuovi strumenti per leggere i complessi mutamenti urbani e sociali e realizzare concretamente azioni e progetti d’arte condivisi che sappiano rispondere al desiderio di qualità dello spazio pubblico e ai bisogni di chi lo abita e attraversa. Forme e segni contemporanei capaci di raccontare le trasformazioni in atto a Torino, come in molte altre città contemporanee. Creatività, lavoro, coesione sociale, prevenzione al disagio sono i temi fondanti di situa.to.” (www.situa.to) dicembre 2012.
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mappato la città alla ricerca di situazioni.»
Un quartiere dove essenzialmente vengono a mancare iniziative e occasioni di
formazione e soprattutto di crescita culturale rivolta ai ragazzi. Da qui,
l’impegno, la mobilitazione collettiva e la cooperazione che nel 2012 ha portato
la creazione di un centro di aggregazione per i giovani del luogo; immaginato e
realizzato dagli stessi giovani. A dare forza all’intero lavoro sono stati i
professionisti, specializzati in processi di auto-costruzione, del gruppo berlinese
di Raumlabor29: «sono arrivati attrezzati di seghe, martelli e si è cominciato con
materiali di recupero, assi di legno e vecchi mobili, insieme a quanti hanno voluto
unirsi, e man mano le persone sono arrivate. È stato un grande catalizzatore di
immaginario e di desiderio di cooperazione, nel lavorare insieme, […] Cantiere
Barca, come la grande scritta di questo fabbricato che è diventato un centro a
cielo aperto. Da li è nata una committenza per uno spazio per i giovani. Dopo un
primo start up, sono stati raccolti i progetti, i desideri e la volontà di chi voleva
partecipare e condividere quanto veniva fatto, è stato un processo di
empowerment, quando vedi che qualcosa può cambiare con l’impegno, dà fiducia
e da li c’è stata la domanda per un centro per i giovani e stiamo lavorando proprio
su questo.» (Appendice - Francesca Comisso).
Nei racconti e nei dialoghi con le mediatrici di a.titolo mi sono soffermato nel
capire come tutte le azioni che intraprendono possano avere delle difficoltà
nell’applicare un modello così innovativo nello spazio pubblico italiano. La
particolarità del nostro paese richiama l’attenzione sulla difficoltà applicative di
specifiche sperimentazioni culturali come Nuovi Committenti, dove, articolate
normative regolano a “fatica” il nostro spazio pubblico.
Oggi le azioni che riguardano interventi nello spazio pubblico sono caratterizzate
da molteplici tipologie operative. La complessità delle città consegue ad una
azione altrettanto complessa. L’applicazione del modello Nuovi Committenti,
essenzialmente si presta per contesti piccoli con micro trasformazioni che mirano
a macro trasformazione ed a coinvolgimenti più ampi. Esiste una fatica operativa
legata essenzialmente alle procedure burocratiche insite nelle applicazioni che
riguardano lo spazio pubblico; normative che a volte vincolano la libera azione
professionale.
29 Per un approfondimento sulle attività del gruppo si rimanda al sito www.raumlabor.net.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Come dichiara Luisa Parola, mediatrice di a.titolo: «la fatica è che non siamo
ancora pronti ad affrontare un mondo così complesso e che significa che gli usi i
tempi e i modi dello spazio pubblico stanno cambiando continuamente. È una
fatica sicuramente normativa. […] Per tutti quanti noi è sempre una scommessa.
Implica una responsabilità molto grande rispetto alla collettività. A differenza di
progettisti o educatori noi non abbiamo l’idea di “risolvere”, perché lo spazio
pubblico non può essere risolto, c’è sempre lo spazio della prossimità e della
diversità. Sicuramente un punto fondamentale è la “responsabilità”, […], però
poi la definizione giusta di spazio pubblico è sempre molto complessa, gli
urbanisti la intendono in modo e noi in altro. Bisognerebbe dibattere molto su
questo.
In Italia c’è una scarsissima consapevolezza dello spazio pubblico perché
viviamo in città e territori molto privatizzati da questo punto di vista, e dunque è
un lavoro ancora più lungo quello del Botton Up, nel senso che tu devi
contemporaneamente dare una forma di accompagnamento. […]. La crisi aggrava
ulteriormente la questione perché ovviamente il pubblico non ha più fondi per
curare lo spazio pubblico e dunque noi diamo una formula, che non puoi adottare
in tutta la città, calcolando la sua grandezza e complessità, per cui in aree medio
piccole con gruppi medio piccoli si può provare ad attivare un percorso con
maggior consapevolezza sia rispetto alla cura dello spazio fisico ma anche
sociale. Bisogna lavorare bene e tanto ma soprattutto convincere le
amministrazioni che questo ha un senso, che è la cosa più difficile.» (Appendice -
Lisa Parola)
Il caso Mirafiori Nord, terminato nel 2008, è uno delle migliori applicazioni di
sperimentazione culturale inserite nei programmi di rigenerazione e
riqualificazione della città e del territorio. Da qui, diventa interessante analizzare
un processo terminato e che a differenze degli attuali interventi, presenta delle
affinità e degli innesti di particolare interesse nel nostro campo e nel modo di
pianificare e progettare la città e il territorio. Un modello innovativo che cerca
una domanda dei bisogni del cittadino in tutti i contesti e proiettato verso un
valore territoriale. Il modello Nuovi Committenti a Mirafiori Nord è partito dalla
consapevolezza di una problematica insita nel singolo spazio pubblico si pone la
responsabilità di, non tanto risolvere il problema ma di porre delle responsabilità
nelle singole azioni. Ogni attore del processo ha un ruolo ed è “regolato” da un
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protocollo a cui non manca flessibilità nell’applicazione, e la dove necessario, un
riadattamento contestualizzato.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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3.1.2.1 Il modello Nouveaux Commanditaires e Nuovi Committenti a Mirafiori Nord
Il progetto Nuovi Committenti applicato nell’ambito dei finanziamenti Urban II è
stato ispirato a Nouveaux Commanditaires, ideato dall’artista François Hers,
adottato nel 1991 dalla ‘Fondation de France di Parigi30’.
La ‘Fondation de France’ pone la cultura e l'arte in particolare, come fattori
determinanti dello sviluppo. Il governo francese, a differenza di quello Italiano,
attribuisce molta importanza al settore artistico e culturale. Il progetto si inserisce
in un sistema di democratizzazione culturale. Attraverso i nuovi committenti, e
cioè i cittadini, la ‘Fondation de France’ consente a tutti i gruppi di cittadini di
prendere l'iniziativa e di commissionare a un artista un opera di arte pubblica
contemporanea, al fine di affrontare la sfida culturale in tutte le sue discipline,
arti visive, musica, architettura, ecc. tramite collaborazioni con partner pubblici e
privati. L'originalità del dispositivo è basato sulla collaborazione fra tre soggetti:
l'artista, i cittadini (cioè i committenti) e il mediatore culturale.
Il preciso modello disciplinare, sviluppato con l'aiuto di un mediatore culturale
preclude delle condizioni: che il progetto sia di interesse generale e che il lavoro
sia proiettato nell’interesse della comunità. Creazioni che si possono svolgere in
una varietà di contesti: urbano o rurale, nelle istituzioni sanitarie o sociali, luoghi
di culto, scuole e luoghi pubblici. L’arte diventa uno strumento nelle mani di tutti,
cittadini, artisti e istituzioni che nel loro coinvolgimento esortano alla riflessione
dei problemi comuni. Il modello francese ha saputo coinvolgere più di 500
partner diversi nella produzione di queste opere, i Comuni insieme al Ministero
della Cultura e altri enti statali, aziende private, Consigli Generali, Consigli
Regionali e associazioni. Il dispositivo è presente anche in Italia, Gran Bretagna,
Belgio e Germania31.
L'azione dei nuovi committenti è disciplinata da un protocollo32 che definisce i
ruoli e le responsabilità di ogni attore del processo.
30 La ‘Fondation de France’ dal 1969 sostiene progetti concreti e innovativi per soddisfare le esigenze degli abitanti. Affrontando le sfide poste dalla società in rapido mutamento. Essa opera in tre aree: sostegno alla persone vulnerabili, lo sviluppo della conoscenza e per l'ambiente. Per un approfondimento sulle attività della Fondazione si rimanda al sito wew www.fondationdefrance.org. 31 Un sito dedicato www.nouveauxcommanditaires.eu, presenta per realizzare la ricchezza e il dinamismo di questo programma. 32 Francois Hers, 2002, Le Protocole, Les Presses du Rèel, Dijon.
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Da un intervista a Maria Alicata si deduce che: « il modello del progetto è molto
ben strutturato grazie ad un protocollo, le Protocole (il Protocollo) di F.Hers,
dove vengono descritte tutte le varie fasi e i ruoli che dovrebbero ricoprire i vari
attori del processo, e poi un altro elemento fondamentale, che per l’Italia è
abbastanza nuovo per quanto riguarda le pratiche artistiche, cioè la
contrattualistica: nel primo step c’è una carta di documento di intenti, che viene
redatta tra i committenti e il mediatore, la prima formalizzazione del desiderio e
di quelle che sono le volontà delle parti, poi c’è il contratto tra il mediatore e il
committente, infine c’è un contratto tra l’artista, il mediatore e i committenti. Il
modello è molto valido, o almeno per quella che è stata la mia esperienza, […].
La stessa metodologia l’ho continuata ad applicare anche in altri contesti: per un
intervento in un’Università privata a Roma e ti accorgi di come questo processo
di mediazione crei proprio un appartenenza del progetto, si crea anche un
accompagnamento che c’è nella mediazione, anche perché il mediatore fa un
lavoro di traduzione. Per adesso stiamo cercando di applicare il modello nel
carcere di Bollate.» (Appendice – Maria Alicata).
In linea generale il modello prevede che gli artisti, qualunque sia il loro campo
creativo, o i gruppi di persone, quale che sia il loro contesto, stabiliscano e creino
forme e opere che siano appropriati al luogo e allo spazio. Dispone inoltre, di
stabilire dei collegamenti tra le opere e il pubblico, e tra il mediatore e l’artista e
tra l’artista e il committente, coinvolgendo peraltro tutte le parti interessate al
processo stesso.
Il mediatore culturale ha il compito di scegliere le modalità dell’approccio
artistico e degli artisti, nonché le condizioni tecniche, giuridiche ed economiche
per l'azione. Deve garantire il rispetto dei requisiti della domanda del
committente ed eventualmente scegliere il mezzo più adatto per l'artista.
«Tutti gli attori politici, nell’intervento di trasformazione dello spazio pubblico,
come l’amministrazione pubblica, si devono porre di persona, avendo la
responsabilità di controllo tra il mediatore culturale e l’artista, essendo
l’amministrazione stessa parte della committenza. Impegnarsi in equa
condivisione delle responsabilità, tutti gli attori devono essere d’accordo sulle
negoziazioni, sulle tensioni e sui conflitti inerenti alla vita pubblica in una
democrazia.» (Traduzione mia dal testo Hers F., 2004).
In un’intervista rilasciata per il progetto di ricerca condotto dalla Fondazione
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Olivetti, ‘Trans:it. Moving Culture through Europe, l’ideatore del progetto
originario Nouveaux Commanditaires, F.Hers, afferma: «Penso che Nuovi
committenti sia un programma rivoluzionario, per tutti, per l’artista: perché gli
permette di confrontarsi sul serio, trovare l’altro. Nuovi committenti rappresenta
per gli artisti l’occasione reale e concreta di andare sul territorio senza fare del
turismo. È utile per i cittadini perché permette di sviluppare una coscienza
critica comune, il che significa, prendere coscienza di sé. Rispetto ad una scena
molto esigente come quella dell’arte. Per gli amministratori pubblici, perché
mette in discussione il loro ruolo, li costringe a scegliere una funzione normativa
e quello che secondo me è il ruolo moderno dell’amministratore cioè quello del
mediatore. La cosa veramente interessante da scoprire è che le persone hanno
perfettamente capito che l’arte comporta dei rischi, ciò significa una grande
responsabilità. Perché questa comunità di persone che si riunisce per
commissionare un’opera deve affrontare gli altri in continuazione, dal principio
alla fine dell’iniziativa e perché spesso vengono impiegati i soldi della
collettività. È la società stessa che si appropria del ruolo dell’artista, scopre che
la libertà dell’artista è la sua libertà e che l’autonomia dell’opera è la sua
autonomia. Si parla di spazio pubblico perché non si sa parlare di società. In
tutto questi tentativi delle istituzioni per avvicinare l’arte ai cittadini il problema
sta nell’avvicinarsi a una persona, non al “cittadino” – si è occupato uno spazio
pubblico sperando che, per miracolo, per il semplice fatto di mettere un’opera in
uno spazio pubblico, il cittadino che passa di lì avrebbe scoperto l’arte – penso
che in questo senso bastino i musei. – A mio avviso, bisogna cambiare approccio.
L’istituzione non sa parlare di società ne confrontarsi con la persona, né
comprendere lo spazio pubblico».
Le regole di F.Hers e questo innovativo protocollo di produzione artistica nello
spazio pubblico consentono ai cittadini di affrontare le sfide della società e lo
sviluppo del territorio. L’ordine del lavoro secondo F. Hers dovrebbe seguire, ed
adattare ai contesti, i vincoli presentati nel protocollo.
Come dichiara Maria Alicata: «la ‘Fondation de France’ negli anni si è occupata
di un programma chiamato Mecena (Mecenati) che era incentrato su progetti
artistici. Chi si occupava di quella parte di programma era appunto l’artista
F.Hers che ha deciso di prendersi il rischio di mettere l’arte al centro di una serie
di cambiamenti sociali in contesti particolarmente necessari partendo dalla
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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domanda dei cittadini del contesto. In Francia in questi quindici anni sono stati
fatti centinaia di progetti anche perché la Fondazione dava un forte sostegno per
la realizzazione, in Francia esiste una struttura politica molto più de-localizzata
rispetto a quella italiana, ci sono autonomie locali molto più forti. In Italia si è
deciso di portare Nuovi Committenti poiché aveva delle affinità molto forti e
vicine al pensiero di Adriano Olivetti riguardo all’intervento sulla comunità,
come creare senso di appartenenza e identità nei luoghi attraverso interventi di
tipo architettonico e artistico sul territorio.» (Appendice – Maria Alicata).
L’amministrazione comunale di Torino e i professionisti incaricati di applicare il
modello Nouveaux Commanditaires nell’ambito del programma Urban II si sono
impegnati nell’interpretazione e nel riadattamento del modello, prendendo in
considerazione il contesto Mirafiori Nord.
Dieci anni dopo l’associazione a.titolo si è impegnata nella mediazione culturale
di Torino e della Regione, adottando il progetto Nuovi Committenti, promosso
dalla ‘Fondazione Adriano Olivetti’ di Roma. «Rispetto al ruolo accentratore
svolto dalla ‘Fondation de France’, la Fondazione Adriano Olivetti ha puntato
piuttosto sul ruolo di catalizzatore, alla luce della densità e della specificità locale
che caratterizza storicamente e culturalmente i contesti italiani.» (Pietromarchi
B., 2007, : 202)
L’applicazione di Nuovi Committenti si svolge grazie al continuo adattamento del
programma attraverso pratiche associative, di progettazione partecipata e
volontariato.
«La sua finalità è attivare o recepire una domanda d’arte, di qualità della vita, di
integrazione sociale o di recupero urbano. Basato sulla relazione tra cittadini,
mediatori e artisti, il modello sviluppa una forma di produzione culturale
orizzontale, assegnando a gruppi e a singoli individui la responsabilità di
un’opera d’arte.» (Bertolino, Comiso, Leonardi, Parola, Perlo 2004).
Sono entrate in gioco varie forze, vari soggetti sia pubblici che privati.
L’importanza di applicare un modello ha dato un valore aggiunto al progetto. Per
questo motivo ritengo importane spiegare al meglio i ruoli ricoperti dagli attori
nel progetto (nell’ordine del lavoro riguardo ai ruoli ricoperti nel progetto mi è
stato d’aiuto l’intervista alla responsabile dell'Area progetti e ricerche della
Fondazione Adriano Olivetti, Maria Alicata) : 1) I tre attori sono: il cittadino committente, che nel caso di Urban è stato
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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affiancato alla collaborazione dell’ufficio Urban II, che era fisso nel
quartiere; un gruppo di mediatori culturali (curatori ed esperti d’arte che
hanno una propensione al dialogo); l’artista.
2) Il cittadino viene aiutato dal mediatore nell’individuare la loro richiesta.
3) La richiesta del committente viene codificata e sintetizzata dal mediatore.
(i casi di mediazione possono durare anche anni – il caso Mirafiori in
effetti è durato 5 anni).
4) Una volta che viene individuata l’esigenza del cittadino committente viene
commissionata l’opera all’artista che realizzerà qualcosa che deriva dalle
necessità dei cittadini.
Il mediatore culturale a.titolo, individuato e sostenuto dalla Fondazione Adriano
Olivetti, è stato la figura centrale dell’intero programma. Ha saputo creare legami
tra le parti coinvolte e negoziare i conflitti dove necessario. L’artista si occupa
dell’opera ma «Come opera non intendiamo la scultura o l’opera site specific ma
interventi artistici come la biblioteca, il parco giochi, un’aiuola e della scultura
abitabile progettata per un gruppo di adolescenti. L’elemento fondamentale è la
mediazione che nel caso di Torino è riuscita molto bene. Con una lunga fase di
accompagnamento (per i laboratori e per l’individuazione di quella che era la
domanda) il progetto riesce perché l’intervento artistico è qualcosa su cui tu ti
identifichi, sei tu che l’hai chiesto e corrisponde alla tua esigenza, questo fa sì che
si crei un grande senso di appartenenza verso l’opera. Tu cresci nel gruppo di
cittadini perché hai partecipato insieme ad altri cittadini per realizzare qualcosa
per la collettività. E quindi si lavora molto su una consapevolezza di una
collettività per dare senso di appartenenza ad un luogo.» (Appendice – Maria
Alicata).
Un nuovo modo di impiegare gli attori di un processo partecipato, dove per la
prima volta in Italia l’applicazione francese riesce ad attecchire in alcuni dei
nostri contesti. Il modello Nuovi Committenti in Francia ha anche innescato
un’ulteriore economia per la creazione artistica che si diversifica dal classico
mercato di committenza pubblica molto sviluppata in Francia. In Italia, invece, ha
assunto declinazioni diverse, legate ai contesti che vengono coinvolti volta per
volta, un adattamento del programma alla progettazione partecipata o alle
pratiche associative e di volontariato. Per l’Italia è diventato importante, questo
tipo sperimentazione artistica perché «riesce a creare un contesto di produzione e
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 58 ~
ricezione per l’arte contemporanea nel quale la distribuzione squilibrata del
capitale culturale diventa finalmente irrilevante». (Pietromarchi B., Santori F.S.,
2004: 14).
La Fondazione Adriano Olivetti ha avuto l’importante compito di elaborare la
metodologia del programma e assieme i mediatori si è occupata della
divulgazione delle nuove sperimentazioni. Sono stati pubblicati due testi curati
dall’associazione mediatrice del caso, a.titolo: la prima pubblicazione è Nuovi
committenti. Torino Mirafiori Nord del 2004, che è stato il primo testo dedicato
alle committenze che la Fondazione sta attivando in Italia. Nel 2008, un testo
invece dedicato all’applicazione del programma, un racconto dell’esperienza dei
processi attivati e le critiche alle quattro opere realizzate da Massimo Bartolini,
Lucy Orta, Claudia Losi e Stefano Arienti.
Possiamo dire che in questo mutato contesto storico e sociale, i programmi della
Fondazione partono dalla convinzione che l’approccio culturale, che sia estetico,
artistico e creativo, è uno strumento di interpretazione e talvolta anche di
trasformazione del contesto, dal quale si può intravedere un domanda di beni
pubblici sia materiali che immateriali. L’azione della Fondazione Adriano
Olivetti negli ultimi dieci anni si è dimostrata agile nel cercare di intercettare
questa domanda. Nuovi Committenti «[…] elabora dal basso, attraverso azioni
apparentemente piccole, come immaginare diversamente un posto che si conosce
da sempre e fare in modo che l’immaginazione prenda una forma, magari
inattesa. Il programma solleva questioni […] cruciali: l'immaginarsi di una
comunità; la creazione di una estetica del quotidiano che guardi lontano; l'uso del
patrimonio al di là del tempo libero e del narcisismo collettivo del consumo
culturale; la costruzione di un patrimonio dell'oggi, fondato su un dialogo
pertinente, mai occasionale, e se necessario critico, tra contemporaneità e
vissuto.» (Santori F.S., Pietromarchi B., 2004: 19).
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 59 ~
3.1.3 L’esplorazione del territorio e le opere delle committenze
Il gruppo dell’associazione a.titolo, in quanto mediatori del processo, hanno
condotto una capillare ricognizione del quartiere partecipando attivamente a tutti i
processi che vanno dal Tavolo Sociale alla progettazione Urban II. Hanno
adoperato un sorta di esplorazione del contesto Mirafiori cercando di percepire la
domanda della collettività. Un processo di mediazione durato più di quattro anni
che ha permesso di valutare ogni singola scelta di intervento.
L’esplorazione prende corpo da due esperienze diverse: dal servizio fotografico
di Paola di Bello nel quale l’artista coglie tutti i punti di vista e i percorsi, e dalle
interviste da parte di a.titolo, successivamente raccolte in un video Committenti,
nel quale i cittadini-committenti raccontano il tempo presente e passato del
quartiere Mirafiori. Un approccio intuitivo che ha permesso di condurre un lavoro
sistematico di indagine.
Paola di Bello aveva già lavorato a Mirafiori nel 2002; il suo progetto prevedeva
una precisa ricognizione ordinata in dieci categorie (Figura 7 pp.59). Il lavoro a
Mirafiori è stato suddiviso in due punti : Cosa si vede a Mirafiori che documenta
lo stato attuale del quartiere, i palazzi, le strade, cantieri e allo stesso tempo anche
i luoghi costruiti dagli abitanti: sentieri, piccoli cantieri e coperture dei balconi e
così via. Successivamente ribaltando la visione crea un altro frame chiamato
Cosa vede Mirafiori ponendosi così all’interno delle case e fotografando alcune
porzioni del quartiere dai balconi degli abitanti. L’artista in questo lavoro cerca di
cogliere uno ‘strumento di lettura’ in grado di evidenziare lo stato di degrado
fisico e sociale di Mirafiori. Ad esempio la categoria Strade senza auto evidenzia
esattamente il vuoto dell’intero quartiere.
Nel lavoro di Paola Di Bello si è saputo «mostrare una seconda possibilità della
realtà a partire dai “luoghi comuni”» (Perlo L., 2001: 31) (a.titolo, 2004).
Per quanto riguarda invece il video creato da a.titolo, Committenti, è stato
realizzato nel 2003. Raccoglie la testimonianza di trenta persone che sono stati
effettivamente attivi nel processo di committenza. Come dicono le curatrici di
a.titolo: «La committenza è in effetti un ruolo potenziale, la cui assunzione è
legata alla consapevolezza delle condizioni che contraddistinguono un preciso
territorio di vita, nonché al desiderio di modificarlo e di migliorarlo. Il concept
del video traduce questi fattori in due domande che toccano il rapporto con il
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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passato e con il futuro e che ne facilitano il racconto. Abbiamo lavorato sul
confine tra fantasia e testimonianza, scegliendo la forma dell'interrogativo,
puntuale quanto interpretabile, piuttosto che la formula dell'intervista.» (a.titolo,
2004: 26).
Gli interrogativi dell’associazione erano riferiti alle riflessioni del sociologo Aldo
Bonomi33, chiedendo semplicemente: Cosa non c’è più qui? E Cosa non c’è
ancora qui?
Fig
La conoscenza del territorio dei mediatori è stata determinante nella scelta degli
artisti e nella scelta dell’approccio del modello Nuovi Committenti dando così un
taglio riadattato al contesto. Nell’ambito di questo specifico progetto di Arte
Pubblica la mediazione culturale si è chiesta: «Nella “città-impresa”, all'arte è
spesso delegata la “spettacolarizzazione” del contesto urbano - nella logica del
grande evento - finalizzata alla formazione di una “clientela”, più che di
un’utenza. Ma se la città diviene prodotto, cosa ci guadagna la comunità locale
coinvolta in queste nuove forme della politica pubblica? Nuovi Committenti si fa 33 In riferimento al testo: Bonomi A., 1996, Il Trionfo della moltitudine. Forme e conflitti della società che viene, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 17-25. Testo dedicato all’analisi della società alla luce del suo difficile rapporto con il non più e non ancora.
Figura 7. Foto di Paola Di Bello - Cosa si vede a Mirafiori. Cosa vede Mirafiori – 2002 - Le dieci categorie sono: Animali; Sentieri spontanei; Strade senza auto e auto senza strade; Acque; Luoghi della ricreazione; Fiori di Mirafiori; Luoghi della memoria storica; Esercizi non più in esercizio; Ripari; Impalcature. Per una visione integrale del lavoro si rimanda al testo Bertolino, Comiso, Leonardi, Parola, Perlo, curato da associazione ‘a.titolo’, 2004, Nuovi committenti. Torino Mirafiori Nord, Luca Sossella, Roma.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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carico di questa domanda. Come? […]» (a.titolo, 2004: 21).
Il cittadino-committente non deve necessariamente essere un detentore di
economia ma probabilmente potrà diventarne un ingranaggio del motore. Il
modello interviene tramite un opera fatta dalla collettività, dove l’artista si pone
come strumento e negoziatore. Il luogo è caratterizzato dal fatto che non è un
qualsiasi spazio pubblico ma un preciso punto dove i cittadini desidererebbero
ripristinare una “normale vita quotidiana”.
I progetti realizzati diventano elementi prodotti dalla collettività e inseriti in spazi
pubblici da loro desiderati. La funzionalità diventa massima la dove, con il
passare del tempo, l’opera acquista vitalità, perché vissuta e cercata dal cittadino
che l’ha commissionata.
Tra i progetti realizzati mi riferirò adesso ad uno in particolare, il Transatlantico,
una committenza non facile ma che ha avuto riscontri positivi riscontrabili
tutt’oggi. Così racconta l’esperienza la mediatrice culturale Francesca Comisso:
«[…] Nell’opera di Claudia Losi, […] l’artista ha lavorato molto sul dialogo,
prendendo come piattaforma un edificio dismesso, chiedeva alle persone cosa
vedevano affacciandosi dai balconi e cosa vedevano in quel cortile di intervento.
Interrogando questo affaccio e ricevendone descrizioni e memorie. Aveva
cominciato a tessere delle relazioni con gli abitanti e da quelle aveva cominciato
e tirarne fuori delle immagini e dei disegni con delle frasi che aveva riportato su
delle grandi lenzuola che aveva riconsegnato alle persone con cui aveva
chiacchierato. Ciascuno aveva steso un proprio lenzuolo con il disegno relativo a
qual modo di guardare fuori, ed è diventato una specie di fondale in una festa di
cortile. Intorno ad una panchina contesa, dove avvenivano pratiche illegali, usata
solo da un piccolo gruppo. Si è pensato quindi di togliere la panchina ed
eliminando anche il conflitto.[…]. »
Da qui l’associazione a.titolo decise di capire la dinamica esatta cercando di
cogliere la domanda reale da parte del cittadino-committente, «e quindi da li è
nata la committenza Claudia Losi. Una committenza complessa, non tanto per le
relazioni con questo gruppo di committenti, ma tanto dal fatto che vedere delle
cose nuove potesse creare nuovi conflitti e quindi l’ostilità nasceva, non tanto
rispetto all’opera ma quanto rispetto alla paura! Che venisse immediatamente
distrutta o addirittura di non meritare nulla del genere perché poi si sarebbe
danneggiato. L’opera è stata realizzata. Il risultato creato dopo una fase molto
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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complessa, che ha portato l’artista a rivedere parte del progetto. Una bellissima
aiuola sopraelevata con delle onde si chiamava Transatlantico. […] Di fatto tutti
pensavamo potesse sopravvivere poco, perché quell’opera è nata e cresciuta
cercando di far fronte ad un conflitto ma è stato anche cornice e rappresentazione
di questo grosso conflitto […] Sta di fatto che quell’aiola ha attecchito, anche se
ci aspettavamo venisse danneggiata e abbandonata, è un oggetto di cura, e noi
sappiamo quanto gli spazi comuni sino segnali di affezione ed i acquisizione di
un bene comune, e quindi lo ritengo un risultato positivo.» (Appendice –
Francesca Comisso).
Il modello Nuovi Committenti è un modello flessibile e allo stesso tempo con una
precisa struttura alla base: “la concertazione”, “l’azione e la responsabilità di più
attori”, “la valutazione circa la necessità e il senso di un’opera in un preciso
Artista: Claudia Losi Titolo: Affacci Luogo: case ATC, via Scarsellini 12, Mirafiori Nord, Torino, Italia. Data: Realizzato nel 2005. Mediatori: a.titolo
Artista: Claudia Losi Titolo: Aiuola Transatlantico Luogo: cortile del complesso di edilizia pubblica di via Scarsellini Data: Realizzato nel 2008. Mediatori: a.titolo
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contesto spaziale e sociale” (a.titolo, 2004: 22).
Tutte le realizzazioni legate alle committenze della collettività corrispondo ad un
preciso desiderio e, in ultima analisi, corrispondono ad una precisa richiesta del
cittadino-abitante del luogo. Per questo motivo il Comune di Torino ha
approcciato l’esperienza con positività, la quale si integrava perfettamente alle
programmazioni di rigenerazione urbana in atto.
La prima committenza è stata quella dettata a Massimo Bartolini, è stata volta alla
realizzazione di un Laboratorio di Storia e Storie del quartiere Mirafiori
all’interno della Cappella Anselmetti di via Gaidano. Come afferma la mediatrice
dell’opera Francesca Comisso: « […] Questa committenza nasce dall’avere
intuito una naturale coincidenza, […], un gruppo particolarmente attivo (un
gruppo di insegnanti delle Scuole Elementari e dell’Infanzia del circolo “Franca
Mazzarello” e della Scuola Media “Alvaro-Modigliani”) che stavano lavorando
in questo processo innovativo sulla questione della memoria e dell’identità, una
memoria di cittadinanza attiva tratta da momenti diversi, da documenti, da
interviste orali fatte ai nonni dei bambini, le passeggiate del quartiere alla ricerca
di tracce anche macroscopiche, tutto verso la raccolta di una serie di dati che
confluivano in una riscrittura storica. Una prospettiva molto aperta, plurale e
rivolta anche al futuro. Quindi oltre ad essere un progetto molto interessante è un
progetto che loro stessi avrebbero voluto svolgere in maniera più ampia e che
potesse lasciar tracce anche ad altri: creare un archivio di esperienze didattiche e
di materiali sul quartiere che venivano prodotti durante questa esperienza. Questa
era un esigenza, poi c’era anche il desiderio di ristrutturare questa piccola
Cappella settecentesca, effettivamente l’unica traccia architettonica di un passato
antico e pre-industriale, una cappella che faceva parte di un complesso e di una
cascina, che testimoniano un passato prettamente agricolo. Il progetto Urban
prevedeva ad esempio il restauro della Cascina Roccafranca, che è stata
recuperata ed è diventata un centro di quartiere molto bello e funzionale, tutto
grazie ai finanziamenti di Urban e che era quindi in progetto. Era un rudere
immerso in contesto totalmente diverso di casa di edilizia popolare. La cosa
interessante e che la possibilità di restaurare quella chiesetta, che gli abitanti la
vedevano come il simbolo di questo passato aulico dei cittadini. Però era
parecchio complicato inserirlo nella progettazione, era di proprietà privata, era un
desiderio legato all’immaginario, che però da un punto di vista dell’efficacia delle
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griglie con cui normalmente si interviene nello spazio pubblico stava
“leggermente” fuori dalle prime necessità e dalle urgenze.
Noi ci siamo dovuti permettere di recepire questa richiesta nel succedere in un
principio di funzionalità, poiché appunto recuperando questo desiderio delle
maestre di un laboratorio e mettendolo insieme al recupero della Cappella, che tra
latro era inserita nel giardino delle scuole, si è trovata una ragione e una funzione
per dare spazio a questo immaginario desiderato, si è quindi creato il Laboratorio
di Storie e Storie.»
Quello che interessa all’associazione mediatrice è appunto la produzione del
nuovo patrimonio artistico, dove la dimensione della qualità e del miglioramento
estetico dei luoghi ha un valore. Dove la comunità contemporanea è capace di
trovare usi attuali ad un vecchio patrimonio ormai non più funzionale al contesto.
Da questo punto di vista la Fondazione Adriano Olivetti negli anni si è molto
impegnata alla modalità contemporanea di contestualizzare il patrimonio, sia in
riferimento alla conservazione, come il caso della Cappella Anselmetti, sia in una
nuova invenzione.
Fig 9. Massimo Bartolini, Progetto per la Cappella Anselmetti, Torino 2003. (fonte: Bertolino, Comiso, Leonardi, Parola, Perlo, curato da associazione ‘a.titolo’, 2004)
Dal Tavolo Sociale costituito in via Dina, l’associazione a.titolo ha iniziato a
lavorare con il gruppo di insegnati della scuola realizzando con il contributo di
Urban II un volume, Ad ogni angolo una storia, un libro di storie inventate dai
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bambini su luoghi, fatti e personaggi del quartiere Mirafiori Nord. Lo scopo era
quello di «radicare atteggiamenti a abilità per costruire il cittadino futuro,
promuovendo i rapporti intergenerazionali e la scoperta di un nuovo impegno sul
territorio» (Scuole del Circolo “Franca Mazzarello”, 2003).
La richiesta degli insegnanti era quella di dare ai bambini un contenitore dove
raccogliere tutti i dati delle loro indagini, che avevano raccolto nell’abito di un
percorso formativo riguardo all’intreccio tra micro e macro storia.
Successivamente la Cappella è stata restaurata per dare spazio a tutti i bambini e
ragazzi delle scuole locali e cittadine.
La mancanza di luoghi di aggregazione a Mirafiori ha espresso altre esigenze da
parte dei cittadini-committenti. In questo quadro, le mediatrici Giorgina Bertolino
e Luisa Parola si sono impegnate nella mediazione del progetto Multiplayer,
realizzato e inaugurato nel settembre del 2008 all’interno del Parco lineare di
Corso Tazzoli. IL Multiplayer è un campetto multifunzionale attrezzato,
progettato realizzato su misura, su forme, sui colori e su quant’altro erano le
esigenze dei committenti. Un gruppo di ragazzi che abitano nel vicino complesso
di edilizia residenziale pubblica di via Poma. I ragazzi hanno esplicitamente
richiesto questa “opera” all’artista Stefano Arienti, che si è impegnato nella
consultazione e ideazione del progetto. Una fase durata tre anni, piena di scambi
di idee e desideri dei giovani cittadini, che ha successivamente permesso di
Artista: Massimo Bartolini Titolo: Lab. di Storia e Storie di quartiere Luogo: Cappella Anselmenti, Via Gaidano Mirafiori Nord, Torino, Italia. Data: Realizzato nel 2007. Committenti: Maestri delle scuole elementari e materne dell’Associazione F.Mazzarello e della scuola media A.Modigliani; Città di Torino. Mediatori: Francesca Comisso e Lisa Parola per a.titolo.
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sviluppare l’idea del campetto, realizzando così un semplice desiderio espresso
dai ragazzi.
Questo progetto insieme all’opera di Lucy Orta, hanno rappresentato ed
evidenziato quella forte esigenza di spazi di condivisione e di aggregazione, che i
giovani del quartiere desideravano. Per questo, di fronte allo stabilimento Fiat
Mirafiori, in un rinnovato parco pubblico, è stata realizzata una grande scultura
“abitabile” dalla forma di una cellula. Totipotent Architecture è il nome dell’opera
ideata da Lucy Orta a partire dal desiderio espresso da un gruppo di committenti
composto da sette studenti di due Licei del quartiere (figura X). Tutti i processi
legati al mondo giovanile sono stati realizzati con ottimi risultati. L’unica
preoccupazione era legata alla qualità del processo, che essendo di lungo termine,
poteva portare all’abbandono del progetto e al fallimento della commissione. In
definitiva il lavoro è stato realizzato con una partecipazione attiva e continuativa
dei ragazzi. Processo difficile ma affrontato con disinvoltura e acuto
atteggiamento da parte dell’artista Lucy Orta, che ha saputo interagire in maniera
efficace con i ragazzi. Come afferma la mediatrice culturale Francesca Comisso:
«[…] Un artista che abbiamo scelto non solo per la sua abitudine a misurarsi con
le tematiche sociale ma sopratutto per il fatto che spesso faceva workshop,
coinvolgeva ragazzi, aveva un attitudine alla formazione e alla co-progettazione e
che si prestava benissimo per quel contesto. Da un'altra parte va detto invece che
per la giovane età, essendo un’attività extra curriculare ed extra scolastica e
volontaria, ci potesse essere un abbandono nell’arco degli anni! Non essendo un
processo che si è concluso in breve, dove i mediatori hanno avuto un ruolo in
questo, nel mantenere vivo un processo anche nelle fasi di inerzia. Sta di fatto che
il gruppo è rimasto, anche se sfoltito, motivato fino alla fine. In definitiva la
coerenza delle committenze si è rilevata positiva.»
Tutti le committenze erano regolate da un documento, chiamato documento degli
intenti, che regolava la consegna delle domande all’ascolto e all’interpretazione
degli artisti, sintetizzando tutti gli spostamenti maturati nell’esercizio collettivo di
un immaginario essenzialmente “pratico”. «Nelle opere le narrazioni restano, non
ha caso, sottotraccia, conservate e contratte nei diversi elementi che gli artisti
hanno ideato. […] Quello con cui Massimo Bartolini ha ribaltato a terra le
funzioni dell’archivio, il mimetico che fa geografia alle linee e alle regole del
gioco del campo di Stefano Arienti, le impronte dei corpi dei committenti
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sprofondati nei giardini della scultura di Lucy Orta, i movimenti terra e le colline
d’erba con cui Claudia Losi ha coltivato l’aiuola», (Berolino G., 2008: 49), sono
gli immaginari pratici e le metafore con cui a.titolo descrive il termine del
processo Nuovi Committenti a Mirafiori Nord.
Artista: Lucy Orta Titolo: Totipotent Architecture Luogo: Parco di Corso Tazzoli, Mirafiori Nord, Torino, Italia. Data: Realizzato nel 2007. Committenti: Studenti del liceo Artistico Cottini e Liceo Scientifico Majiorana; Città di Torino. Mediatori: Giorgina Bertolino e Francesca Comisso per a.titolo.
Artista: Stefano Arienti Titolo: Multiplayer Luogo: Parco di Corso Tazzoli, Mirafiori Nord, Torino, Italia. Data: Realizzato nel 2008. Committenti: un gruppo di adolescenti e bambini residenti nel complesso di edilizia residenziale pubblica di via Poma, con Progetto Cortili. Mediatori: Giorgina Bertolino e Francesca Comisso per a.titolo.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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3.1.4 Abitanti/produttori e produzione di valori territoriali nel processo Nuovi Committenti
Il caso Nuovi Committenti a Mirafiori Nord pone la fase di mediazione come la
fase più importante del processo. La mediazione del gruppo a.titolo ha permesso
di individuare una committenza sollecitando una domanda e valorizzando un
desiderio come motore di un progetto realizzabile. Il gruppo ha attivato quella
“politica delle domande” che Aldo Bonomi auspica con fermezza in sostituzione
di quelle “offerte”, scoprendo tuttavia che nello spazio pubblico il domandare è
una pratica disattivata e quasi arrestata da processi esterni, specialmente se è
chiamata a misurarsi con il costruire. La costruzione di un’opera, un sito è una
funzione ma anche un’esperienza capace di saldare o rinsaldare i legami di un
gruppo di persone, insegnanti, studenti o abitanti, in definitiva cittadini. «La
potenzialità del metodo sta nella formazione di una “comunità di senso”
portatrice di una “nuova tensione alla denominazione degli spazi come ambiti di
vita e di relazione” ben diversa - come osserva ancora Bonomi — da una
semplice “comunità perimetrata”.» (Bonomi A., 1996: 97) (a.titolo, 2004: 30).
Le applicazioni del modello ricadono su micro - luoghi, di piccoli gruppi e di
esperienze limitate ad una temporalità breve. L’interesse delle mediatrici culturali
sta nella continuità che può scaturire da questo tipo di esperienze, la narrazione e
la trasmissione del loro modo e della loro funzione all'interno della collettività.
«Ci interessano gli effetti di un modello come Nuovi Committenti nei processi
che, facendo leva sull'esercizio cosciente delle responsabilità, possono essere in
grado di aprire prospettive nuove rispetto alle pratiche della partecipazione»
(a.titolo, 2004: 31).
Dai dialoghi con gli attori del processo Nuovi Committenti a Mirafiori Nord si è
potuto dedurre che esiste, in questa particolare sperimentazione culturale, la
capacità di attivare processi alternativi nei difficili contesti italiani e soprattutto
attivare parte della cittadinanza che sarà in grado di produrre valore per il
contesto. Questo significa che, nell’ottica di uno sviluppo locale auto-sostenibile,
che nei termini della scuola territorialista sta nel concetto di riterritorializzazione,
l’abitante del luogo inserito nel progetto locale costituisce parte determinate della
valorizzazione e produzione del luogo. Premettendo che lo scenario prospettato
dall’approccio territorialista ipotizza un avvicinamento delle figure dell’abitante e
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del produttore sia in ambito urbano che rurale […], la produzione di territorialità
diviene importante per la qualità dello sviluppo». […] Le «Politiche per
l’attivazione di processi di riterritorializzazione non richiedono solo vincoli,
norme e perimetrazioni, ma soprattutto l’attivazione degli abitanti/produttori
come protagonisti della ricostruzione dei valori territoriali. Se abitare è anche
produrre la qualità del proprio ambiente insediativo attraverso la produzione di
valori territoriali, la partecipazione si sviluppa in questo atto produttivo e non
solo nei problemi separati del risiedere.» (cfr. Magnaghi A., 2010: 105-114). Un
caso che ha prodotto dei valori territoriali. Una produzione sociale del territorio,
concetto che richiama l’autogoverno della comunità insediata nella produzione
della ricchezza.
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3.1.5 Riflessioni finali
Il modello Nuovi Committenti, un modello sicuramente innovativo per il contesto
italiano, non solo dichiara una natura alternativa alla disgregazione del ruolo
dell’arte nella società e nello spazio pubblico, ma ha dimostrato di avere le
caratteristiche per andare di pari passo con le politiche urbane attuate nel territorio
torinese. Caratteristiche riscontrabili nei linguaggi scelti, che ricadono su una
metodologia già applicata, riportando, anche nelle esperienze passate effetti
positivi nel miglioramento della qualità della vita, poiché le trasformazioni non
hanno voluto semplicemente trasformare “tramite l’arte”, ma coinvolgere nella
costruzione e progettazione della ‘cosa pubblica’ il cittadino, ponendolo come
committente di un’opera d’arte pubblica. In questo processo si accresce così la
coscienza di appartenenza al luogo, ridando identità e stimolo alla collettività, che
si ‘riappropria’ così dello spazio pubblico.
Un linguaggio scelto in base ad un modello politico preciso e strutturato come il
modello francese. Il processo Nuovi Committenti in effetti, sia per la Francia che
per l’Italia, porta l’utilizzo di mezzi idonei al contesto mettendo al centro le
esigenze del cittadino (vedi paragrafo 3.1.2.1 Il modello Noveaux Commanditaires e
Nuovi Committenti a Mirafiori Nord). In maniera generica il modello dà delle
indicazioni iniziali su cui, successivamente i tecnici e curatori dell’arte si
baseranno, riadattandolo alle esigenze dell’ambito su cui ricadrà il progetto.
Da qui, il gruppo di a.titolo ha dimostrato professionalità e coerenza, rispettando
le logiche delle politiche già in atto sia nella fase di ascolto sia nella fase di
mediazione tra le parti pubbliche e private. Ritengo utile ribadire l’efficacia del
modello Nuovi Committenti e l’operato di a.titolo, sia per le forme di
coinvolgimento e partecipazione costruttiva, insite nella metodologia e ben
adattate al contesto, sia perché il processo ha denotato, in tutte le sue fasi,
trasparenza e apertura istituzionale, che rimandano ai principi di governance.
Da sottolineare anche l’efficacia nella trasformazione dello spazio pubblico,
dimostrando che l’arte ha posto, in questa prima applicazione di progetto di Arte
Pubblica in Italia, validi ‘strumenti’ per contribuire in maniera efficace alle
politiche urbane, che fino a quel momento non avevano ancora posto la cultura e
l’arte come fattore determinante per lo sviluppo. Aver analizzato il caso Nuovi
Committenti, porta a dare delle indicazioni di metodo riscontrabili
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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dall’applicazione italiana del modello francese e nell’effettiva trasformazione
avvenuta a Mirafiori Nord che, a mio avviso, colgono un senso nella costruzione e
trasformazione dello spazio pubblico materiale e immateriale - trovando ancora
riflessioni negli obiettivi di governance per le amministrazioni comunali.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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3.2 Roma-Corviale: arte e sperimentazioni culturali nel progetto che immagina un “Nuovo Corviale” Come vedremo il tipo di intervento di riqualificazione urbana sul complesso
edilizio del ‘Nuovo Corviale’ è legato alla presenza dell’Osservatorio Nomade.
In estrema sintesi Corviale è uno tra i molti edifici di edilizia residenziale
pubblica costruiti alla fine degli anni sessanta ai margini delle grandi città per
dare risposta ad un bisogno abitativo urgente e numericamente importante. «E’
una grande macchina abitativa che rappresenta la sintesi di una cultura politica,
architettonica e urbanistica che entra in crisi negli stessi anni della sua
costruzione. » (Gennari Santori F., Pietromarchi B., 2006) (Inguaggiato, 2009).
L’edificio diventa così un’icona negativa con un riflesso mediatico di enorme
impatto, «il luogo di un’insanabile distopia, della periferia sbagliata, incarnazione
del preconcetto e dello stereotipo, utile materia di esercizio moraleggiante.» In
altre parole, un luogo comune.
In risposta a queste esigenze si è posto, dagli inizi degli anni 2000, il fattore
culturale al cento di un sistema di rigenerazione e riqualificazione verso un
accrescimento del benessere materiale e immateriale della collettività.
Come vedremo in maniera approfondita «gli architetti e gli artisti
dell’Osservatorio Nomade hanno intercettato i soggetti che hanno realizzato gli
orti spontanei per definire con loro, in modo creativo e partecipato uno scenario
di trasformazione condiviso da proporre al Comune e hanno lavorato con gli
“occupanti” del quarto piano, per formulare una proposta progettuale condivisa,
come contributo ritenuto migliorativo rispetto al progetto proposto» (Gennari
Santori F., Pietromarchi B., 2006) .
Le politiche e gli strumenti del processo Immaginare Corviale sono stati il PRU
(Programma di Recupero Urbano), il CdQ II (Contratto di quartiere di seconda
generazione) e il Laboratorio Territoriale Roma Ovest Corviale (gestito dal
Dipartimento XIX, con lo scopo di promuovere forme di partecipazione e
favorire interventi per la valorizzazione dell’ambiente). Il progetto Immaginare
Corviale ha avuto un finanziamento per la maggior parte pubblico, di all’incirca
35 mila euro e in minor parte privato. Il progetto, che avrebbe dovuto beneficiare
di un sostegno pubblico di ampio respiro, purtroppo è stato sostanzialmente
interrotto dopo un paio di anni, per il venir meno del finanziamento comunale.
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Alcuni workshop sono stati finanziati dalla Penn State University in
collaborazione con la Facoltà di Architettura Roma Tre. Successivamente,
finanziamenti ATER da dedicare a sperimentazioni sui quartieri, inerente ai
finanziamenti del Contratto di Quartiere, hanno coinvolto il gruppo
dell’Osservatorio Nomade per il progetto del quarto piano (piano dei servizi) che
prevedeva un investimento di circa un milione di euro, diventando così
successivamente la base del lavoro per il bando inerente al quarto piano. Tutti i
soggetti finanziatori sono stati: Comune di Roma, Dipartimento XIX Politiche,
sviluppo e recupero delle Periferie in collaborazione con il ‘Laboratorio
Territoriale Roma Ovest Corviale’. L’intervento sul territorio si è sviluppato
dall’aprile 2004 al maggio 2005, ma l’eredità di questa esperienza si sviluppava
fino al 2006 (pubblicazione di un saggio descrittivo del progetto).
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3.2.0 Il complesso edilizio Nuovo Corviale: un problema di cattiva gestione
Corviale è il nome della zona urbanistica 15f del XV Municipio di Roma
Capitale. Si estende sul suburbio S.VIII Gianicolense, periferia a Sud-Ovest della
città.
Il comune di Roma tra il 1950 e 1970 dopo un aumento della popolazione (un
incremento di oltre 1 milione di abitanti) doveva necessariamente rispondere ad
una domanda abitativa e di servizi ad essa connessi. L’emergenza abitativa portò
in seguito ad aumento triplicato dei costi di costruzione. L’amministrazione
comunale si pose come obiettivo l’eliminazione delle baraccopoli costruendo
successivamente alloggi. Il sensibile aumento della domanda abitativa, cercato di
respingere con un piano di finanziamenti pubblici (risultato inadeguato), portò
all’aumento dell’occupazione illegale di alloggi.
Il panorama a cui si assisteva era una vera e propria esplosione di fenomeni legati
all’abusivismo edilizio. Soluzione per rimediare alla situazione casa e alla
carenza di edificazioni popolari, in contrasto ai programmi urbanistici approvati
determinavano così una spaccatura nel territorio, il passaggio da una città
regolare ad una città irregolare. Il comune da qui stipulò un accordo con l’Istituto
Case Popolari (IACP) promuovendo un piano straordinario di intervento per la
realizzazione di nuovi alloggi popolari con i relativi servizi, e per dove era
previsto, un decentramento dei servizi e degli uffici amministrativi con le relative
opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Sulla base delle nuove leggi finanziarie della casa e del piano di emergenza
Gescal del 1969 vennero scelte delle aree di Roma per una spesa complessiva di
70 miliardi di lire italiane: Corviale, Laurentino e Vigne nuove.
Inoltre nel 1962, data di approvazione del Piano Regolatore Generale di Roma, il
Parlamento italiano aveva approvato una legge n.167 per introdurre i piani per
l’edilizia residenziale pubblica, facilitando così il reperimento di terreni (zone
agricole del piano regolatore generale) a prezzi accessibili, per trasformarli in
terreni edificabili. Nel 1964 il Comune approverà i piani di edilizia residenziale
in atto. Corviale ricadrà nel perimetro del "Piano di Zona" n. 61, approvato il 4
aprile 1975, che interessa un’area di oltre 605.000 metri quadrati. Da qui la
progettazione di “Nuovo Corviale”, un grande edificio costruito lungo la via
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Portuense. Un complesso edilizio popolare, lungo 958 metri con 1200
appartamenti, abitato da circa 6000 persone, progettato da un team di architetti
coordinato da Mario Fiorentino tra il 1972 e il 1975.
Il complesso è di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari, oggi Ater
(Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale) ed è stato completato circa dieci
anni più tardi. I lavori della costruzione e realizzazione dell’intero progetto,
affidati ad un’unica impresa edile, si arrestarono nel 1982 quando solo la parte
residenziale era stata ultimata, non completando così la parte dedicata ai servizi.
Il progetto originale di Corviale veniva considerato, come lo era effettivamente,
innovativo, sperimentale e avanguardistico. Lo stato attuale di degrado è dovuto
al non completamento di una serie di opere previste dal progetto originario, ricco
di servizi e impianti collettivi, progettati per un’estensione tre volte più ampia
degli standard minimi fissati per legge.
I servizi progettati erano stati pensati per tutto il quartiere circostante (quattro
teatri all’aperto, una grande sala di 500 posti, una biblioteca, uffici
circoscrizionali, una palestra coperta, due scuole elementari, una scuola media,
due materne, tre asili nido, un consultorio pediatrico, un mercato coperto, una
farmacia, un ristorante con sala banchetti e self-service e una chiesa
parrocchiale), a distanza di molti anni e senza nessuna pianificazione strategica
sono state realizzate solamente le strutture legate ai servizi sociali. «In realtà
Corviale non poteva “essere portato a termine” perché la macchina ideologica
soggiacente a cui si richiama (l’architettura come istituzione socio-culturale)
aveva cessato di funzionare molto prima che esso venisse progettato.» (Senaldi
M. 2006).
Gli abitanti nel Nuovo Corviale non possono usufruire degli spazi comuni perché
non sono attrezzati adeguatamente o improvvisamente occupati, sono costretti a
rintanarsi nei propri spazi privati (risultato opposto delle previsioni del progetto
originario). «Nel corso degli anni, attivisti sociali e promotori culturali hanno
cercato e stanno cercando di invertire nell’ambito di questa degenerazione psico-
sociale. Ed i risultati sono eccellenti, perché la coscienza del corvialese medio sta
evolvendo dallo stato di “malessere” a quello di “orgoglio”34. Corviale è
34 Efficace un concetto espresso da uno degli intervistati nella fase di "field" della ricerca svolta da IsCult nel 2010, un residente storico di Corviale: "Chi ci sta da tanto, come me, finisce, alla fine, per amare questa struttura, più che per come è, che per come sarebbe dovuta essere. Dal
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diventato presto sinonimo di “disagio”, di “ghetto”, di quartiere “borderline”
degradato e malfamato. […]. Questa immagine negativizzante è stata, in molti
casi confermata ed enfatizzata dalla stampa e dagli altri media, fatte salve ben
rare eccezioni, come quella […] dell’esperienza “effimera” (durata –
formalmente – poco più di un anno) dell’Osservatorio Nomade della Fondazione
Adriano Olivetti.» (AA.VV., IsCult, 2010: 42).
L’ipotesi di abbattimento dell’edificio, era impellente, avviata da una polemica
che risale al 1995, a distanza di soli vent’anni dalla fine dei lavori di costruzione.
Nel 2004 l’allora Consigliere Comunale Fabio Rampelli, con l’appoggio del
Ministro per i Beni e le Attività Culturali Giuliano Urbani, aveva rilanciato la
definitiva “riqualificazione attraverso la sostituzione edilizia”. Il sindaco Walter
Veltroni si oppose. Ma al di là delle critiche e degli interventi politici il Nuovo
Corviale, per ovvie eccessive spese per la demolizione35 e la gestione
dell’impresa, rimase in piedi. Dall’ultimo workshop organizzato
dall’amministrazione pubblica si deduce che il Ministero dei Beni Culturali
difenderà la posizione di non demolire l’edificio, ma solo in base al fatto che: è
un’opera architettonica storico culturale per la città.
Processi spontanei degli abitanti e fenomeni di presa di coscienza, hanno
provocato una sorta di reazione orgogliosa. I cittadini del complesso Corviale
richiedevano semplicemente dei servizi migliori (elemento a cui, effettivamente
anche Mario Fiorentino teneva molto).
La cattiva gestione, svalutazione simbolica e quindi anche economica, inerzia
dell’opera di completamento e abbandono, riflettono su una sensazione di
incompiutezza che porta a fare uno sforzo per riaggiustare lo sguardo verso
l’oggetto architettonico, sforzo che non porta a grandi risultati perché il gesto
architettonico è ancora incompiuto. Nuovo Corviale è diventato un luogo
emblematico per gli architetti e i progettisti urbani, evocato sistematicamente
dalla stampa italiana in relazione ai mali presunti o reali della periferia urbana.
Quello che oggi si vede del complesso è un edificio formato da due palazzi
disposti parallelamente uno di fronte all'altro per nove piani di altezza dove
punto di vista dei servizi, adesso sono abbastanza soddisfatto" (Marco Balderi, gestore del Bar della Biblioteca "Corviale"). 35 In riferimento alla demolizione o rimoludazione dell’edificio si rimanda alla letteratura interessata ai tre progetti del Prof. Ettore Maria Mazzola, del Prof. Gabriele Tagliaventi e dell'Arch. Cristiano Rosponi. (Link per visionare i tre progetti www.de-architectura.com/2010/05/giu-il-corviale-su-il-borgo-corviale.html).
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all'interno sono presenti dei ballatoi, dei cortili e degli spazi comuni. Il lavoro di
attivisti e professionisti del settore, negli ultimi anni, è rivolto proprio alla
riqualificazione e rigenerazione del quartiere.
Figura 13- Il complesso di Corviale – Presa Aerea 2011 (Patricia García - May 17, 2011. 08:40)
Figura 14 - Il complesso di Corviale – Presa Aerea 2010
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3.2.1 Le soluzioni, i programmi di riqualificazione e il ruolo della cultura
Abitato da ormai trent’anni, il complesso di Corviale è stato coinvolto nel corso
del tempo da interventi di recupero sociale e di riqualificazione urbana, in
particolare: un ‘Programma di Recupero Urbano’ (Pru)36, elaborato dall'Ufficio
per le Periferie del Dipartimento Politiche del Territorio del Comune di Roma, e
da un “Contratto di Quartiere II – Corviale” (CdQII)37 redatto dal XIX
Dipartimento del Comune di Roma.
«Nel 2007, a seguito di una sottoscrizione del protocollo d'intesa con il Ministero
delle Infrastrutture, la Regione Lazio ed il Comune di Roma, l'Ater ha avviato la
redazione dei progetti esecutivi che si è conclusa nel 2008. Ad approvazione dei
progetti, seguiva la fase di esecuzione tramite gara d'appalto che si prevedeva di
bandire entro il 2009.» (IsCult, 2010).
Nei primi mesi del 2010 l'Ater ha avviato il progetto chiamato "Chilometro
Verde", approvando la progettazione esecutiva per la ristrutturazione edilizia,
l'inizio dei lavori era previsto per l'ottobre 2010, il termine è previsto per
settembre 2013. Ad oggi dei dieci milioni di euro assegnati per Corviale ne sono
stati stanziati solamente il 10%.
Molti interventi sono stati dedicati al quarto piano e alle sale condominiali del
complesso, punti critici di Corviale per le quali si sono ipotizzate varie soluzioni:
la più interessante è rappresentata dal progetto del 2004 per allocarvi la Facoltà di
Architettura della Terza Università di Roma che dovrebbe predisporre di una
soluzione abitativa per le famiglie occupanti. Esisteva anche la proposta, sempre
36 I ‘Pru’ sono dei «sistemi coordinati di interventi pubblici e privati finalizzati alla riqualificazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica» (Legge n. 493/93, all'art. 11 225), che comprendeva circa 790 ettari del territorio del Municipio XV "Arvalia " e del Municipio XVI (Monteverde-Gianicolense). 37 I Contratti di Quartiere – delle aree abitative – sono stati promossi nel 1998 su iniziativa dell’allora Ministero dei LL.PP.; i Contratti di Quartiere II sono adottati nel 2002 su iniziativa del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. «L’esperienza dei Contratti di Quartiere ha mostrato soprattutto la sua validità nelle città medio piccole; nelle periferie delle grandi città, da Napoli a Roma, a Milano l’integrazione fra riqualificazione edilizia, urbana e sociale è risultata più difficile da attuare e le preesistenze non trovano ancora un modello valido di riferimento fra demolizione e riqualificazione. Nella ricerca di nuovi modelli insediativi, tuttavia, si è andata affermando una consapevolezza nuova delle responsabilità del progetto, culturali e operative (Come ad esempio il progetto Immaginare Corviale). Periferia e centri urbani sono un problema integrato. Si tratta prima di tutto di un problema politico e sociale: qualità e non qualità della vita, che si esprime in cittadinanza e comunità; qualità e non qualità degli interventi, che si origina dalla capacità democratica di investire, promuovere, controllare la qualità.» (Torricelli M.C., 2006).
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nello stesso anno, di allocare nel quartiere una sezione del Museo d’Arte
Contemporanea che sarebbe stata gestita da ‘MACRO’. La giunta Veltroni aveva
approvato la proposta all’interno del ‘Contratto di Quartiere’ nel 2004 come anche
quella di trasferire una parte della Facoltà di Architettura, ma evidentemente erano
ancora decisioni immature.
«L’orientamento complessivo di queste iniziative è quello di fare di Corviale un
centro di produzione culturale e un “luogo della contemporaneità” artistica e
teatrale, per ribaltare l’immagine stereotipata del quartiere» (IsCult, 2010: 58).
Di fatto, di fronte al palazzo sono presenti ad oggi numerosi servizi e impianti
collettivi per i giovani del quartiere; i maggiori sforzi sono stati dedicati alla
“spina dei servizi”. Completata nel 2005 accoglie da anni il Consiglio del XV
Municipio e l’Ufficio Tecnico, il Comando del XV Gruppo dei Vigili Urbani, uno
sportello decentrato dell’Anagrafe ed un ambulatorio e centro per il disagio
mentale dell’Asl – Roma/D. Per quanto riguarda le opere sul fronte culturale è
stato realizzato un anfiteatro all’aperto di circa 300 posti, di proprietà Ater, un
centro attrezzato per prove musicali, una scuola d’arte e una galleria d’arte
chiamata Mitreo Iside, una struttura polifunzionale di 900 mq di spazio
esposizioni, mostre, laboratori, rappresentazioni teatrali e coreografiche. È
presente inoltre la biblioteca comunale e un centro polivalente dedicato alla
memoria di Nicoletta Campanella (sociologa e studiosa delle periferie romane).
Il centro è una delle strutture più importanti dove sono presenti strutture private
che hanno ricevuto il compito di realizzare servizi socio-culturali rivolti in
particolare ai bambini.
Per Corviale, il nuovo pacchetto di interventi comprende per un 40% opere di
competenza del Comune e per il restante 60% interventi da parte dell’Ater.
Tra le operazioni programmate spettanti all’Ater è prevista la realizzazione di 107
nuovi appartamenti per gli occupanti abusivi del quarto piano e cinque grandi sale
destinate ad iniziative pubbliche, come la già citata sede universitaria decentrata.
Gli interventi di competenza del Comune, per i quali sono stati stanziati circa
cinque milioni di euro, riguarderanno il rinnovo degli arredi del Centro
polivalente “Nicoletta Campanella” e la realizzazione di un impianto sportivo al
coperto per il pattinaggio. Il Piano Regolatore Generale 2008, vigente, prevede
inoltre una trasformazione residenziale complessiva di 1.513 mq.
Nel 2009 l’Assessorato allo sviluppo Economico Ricerca e Innovazione Turismo
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ha sostenuto delle iniziative finalizzate alla realizzazione di un “Distretto
Culturale” a Corviale, concordando con Filas38 (Finanziaria Laziale di Sviluppo -
S.p.A.) l’organizzazione di incontro internazionale di riflessione sul progetto. Le
iniziative e progettazioni promosse dal Coordinamento di un Distretto
Culturale/Sportivo a Corviale hanno suscitato l’attenzione dei media e
dell’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di
Roma che ha manifestato una sensibilità rispetto al progetto.
Oltre ad un atteso “Distretto Culturale” di Corviale le previsioni del Programma
di Riqualificazione Urbana (PRU) saranno concretizzate nella realizzazione di
alcune piazze e di attrezzature pubbliche come: il Palazzetto dello Sport e della
Cultura (Pala Corviale), la Ludoteca Comunale ed il Campo di Pattinaggio
Coperto (Palazzetto del Pattinaggio), le Terme Avralia, la riqualificazione dell’ex
Mercato di Casetta Mattei, la Cavea del Teatro ed infine il Parco Nomade – Parco
dell’Arte e dell’Architettura Contemporanea.
Nell’ambito del Contratto di Quartiere II (CdQ II) del 2004 era in prospettiva un
migliore coinvolgimento degli abitanti del quartiere, per questo motivo, a
Corviale, è stato insediato dal Comune di Roma il “Laboratorio Territoriale -
Corviale Roma Ovest”, gestito dal Dipartimento XIX, con lo scopo di
promuovere forme di partecipazione e favorire interventi per la valorizzazione
dell’ambiente e lo sviluppo locale. Il lavoro è stato svolto in sintonia con altre
strutture del Dipartimento XVI, finalizzate a promuovere l’occupazione
inserendo l’Incubatore d’Impresa e il Centro di Formazione Professionale. Il
‘CdQ II’ prevedeva una strategia di integrazione degli interventi di tipo
architettonico, economico e sociale attraverso la riqualificazione complessiva
dell’abitato avendo cura dei servizi mancanti39.
Negli ultimi vent’anni il contesto sociale è stato attraversato da continui
cambiamenti e coinvolto in un profondo mutamento dell’organizzazione e della
funzione della città di Roma, la quale per rispondere al disagio urbano, si è fatta
38 «Filas ha iniziato a ragionare sulle potenzialità di Corviale come possibile “distretto culturale” metropolitano, in una ambiziosa quanto concreta operazione di recupero urbanistico-ambientale e di sviluppo socio-economico del quadrante della città in cui Corviale si trova. […] La ricerca è finalizzata a costruire un “dataset” adeguato alla riflessione sulle potenzialità di Corviale come “distretto culturale” della città di Roma (qui intendendosi, con il termine “culturale”, la convergenza di attività nell’ambito culturale, artistico, sportivo, comunicazionale, tecnologico).» (www.corvialedomani.it - 2012) 39 Per una visione integrale dei risultati si rimanda al documento redatto dal Comune di Roma, “Relazione Previsionale e Programmatica”, relativa agli anni 2009-2011” approvata dal Consiglio Comunale di Roma il 26-27 marzo 2009.
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carico di sviluppare esperienze innovative sul tema della riqualificazione urbana.
Le esperienze intraprese dal comune di Roma si collocano all’interno di
programmi strategici di tipo integrato e partecipato, finalizzati alla
riqualificazione e allo sviluppo di quartieri fortemente degradati, partendo dal
fatto che questi quartieri siano dotati di potenzialità creative e culturali proprie.
Il Comune insieme al Dipartimento per lo Sviluppo e il Recupero delle Periferie
ha avviato varie sperimentazioni nell’ambito dei programmi di riqualificazione
urbana.
Nel caso di Corviale il ruolo della cultura diventa cardine della sperimentazione,
strumento di accrescimento del benessere materiale e immateriale della
collettività, una sperimentazione culturale di pratica urbana che parte dalla
convinzione che il processo artistico rappresenti un fattore di integrazione fra
linguaggi e culture diverse. La speranza era quella di dare sinergia a piani e
programmi di varia natura, come denota il direttore del Dipartimento XIX -
Politiche per lo Sviluppo ed il recupero delle Periferie del Comune di Roma,
Mirella di Giovine - «Se le sperimentazioni avranno successo si potranno
determinare utili sinergie fra programmi di riqualificazione urbanistica dei luoghi,
iniziative di promozione culturale e pratiche artistiche, ai fini di uno sviluppo
sostenibile e duraturo». (Di Giovine M., 2006) (Santori F.G., Pietromarchi B.,
2006: 42-50). A tal proposito queste sperimentazioni culturali sono state inserite
all’interno di una pianificazione di tipo strategico.
Attraverso i processi partecipativi e gli attori sociali del quartiere, i cittadini
diventano i protagonisti di un percorso che è in grado di costruire programmi di
sviluppo locale, orientando le scelte di valorizzazione delle risorse del paesaggio,
ricoprendo e rafforzando l’identità culturale della comunità.
Le prime sperimentazioni di tipo culturale hanno previsto, in una prima fase,
l’organizzazione di eventi, concerti, spettacoli teatrali e cinematografici che nei
casi più interessanti hanno permesso la produzione e l’edizione di musica
prodotta dai ragazzi del quartiere. In una seconda fase si è arrivati all’attivazione
di centri culturali legati alla realtà locale e alla promozione di librerie e
biblioteche pubbliche.
L’obiettivo dell’amministrazione comunale è quello di affiancare all’impegnativo
programma di riqualificazione fisica del quartiere, un programma di interventi e
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azioni per lo sviluppo economico e locale, che insieme alle sperimentazioni di
iniziative culturali di questo tipo, riescono a promuovere la creatività e l’identità.
I primi risultati di queste sperimentazioni, nel caso di Corviale, come anche in
altri quartieri, sembrerebbero una conferma «che iniziative culturali di questo tipo
costituiscono un efficace strumento di valorizzazione delle risorse del territorio e
il rafforzamento della memoria collettiva delle comunità insediate.» (Di Giovine,
2006). Ma il risultato più interessante, data la difficoltà iniziale sull’ambito, è che
queste iniziative hanno aiutano ad aprire il dialogo con altre parti di città,
superando l’isolamento e i pregiudizi reciproci. Il progetto Immaginare Corviale,
che ha favorito la ricerca di percorsi creativi, della memoria, dell’identità urbana
dei luoghi periferici, ha avuto anche l’obiettivo di generare un forte
coinvolgimento dei cittadini, ricercatori e artisti.
Gli attori coinvolti nel processo hanno saputo costruire una rete solida tra le varie
figure professionali, gli abitanti e le istituzioni.
• Al certo del sistema troviamo il progetto Immaginare Corviale e gli
abitanti del complesso Nuovo Corviale.
• I promotori del progetto: Comune di Roma in collaborazione con il
Laboratorio territoriale Roma Ovest – Corviale e il Dipartimento XIX
Politiche per lo sviluppo e il Recupero delle Periferie;
• La cura della sperimentazione culturale và all’Osservatorio Nomade che
ha costituito la regia di tutti i processi attuati.
• La mediazione tra istituzioni-artisti è stata affidata dal Comune alla
Fondazione Adriano Oliveti.
Immaginare Corviale è stata «un’indagine creativa su come lo spazio pubblico
viene vissuto, ricordato, immaginato e trasformato al Corviale» (Eco&Narciso,
2007), condotta in un momento di grande trasformazione dell’area. I metodi e gli
obbiettivi dell’indagine sono stati oggetto di costante confronto con il
“Laboratorio Territoriale - Corviale Roma Ovest”. Il confronto è stato volto ad
armonizzare due differenti ma compatibili approcci al territorio: da un lato
l’approccio creativo degli artisti, dall’altro l’individuazione di necessità concrete
della cittadinanza e forme negoziate di riqualificazione sostenute nel tempo da
parte del Laboratorio Territoriale.
La partecipazione dei cittadini è cominciata grazie alla creazione del “Laboratorio
Territoriale - Corviale Roma Ovest”, che nasce come struttura pubblica, insediata
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nel cuore del quartiere e istituita nel 2003 dal Dipartimento. Le attività di
animazione sociale, comunicazione, informazione e ascolto rispetto al quartiere,
furono affidate, con il sostegno di consulenti esterni, a due dipendenti comunali,
uno dei quali era residente a Corviale. Dopo le prime iniziative si sono
cominciate ad affiancare altre figure professionali provenienti dal mondo
universitario interessate alla riqualificazione partecipata di Corviale.
Le idee di trasformazione sono state maturate grazie a gruppi interdisciplinari
capaci di produrre auto-organizzazione ed empowerment.
Come dichiara il responsabile del dipartimento Mirella Di Giovine: «il risultato
delle sperimentazioni ha dimostrato chiaramente che l’intuizione di integrare,
nell’ambito del programma di trasformazione in atto, la struttura del Laboratorio
di quartiere con un progetto di quartiere come Immaginare Corviale non era
un’astratta fuga in avanti o una ricerca intellettuale avulsa dal quartiere. Questa
integrazione si è rivelata invece indispensabile per strutturare la partecipazione
degli abitanti alla sua concreta trasformazione, e per rinsaldare gli obiettivi della
riqualificazione nella percezione collettiva. Ma l’esperienza maturata ha anche
evidenziato, con grande chiarezza, che per vincere l’emarginazione e contribuire
a reinserire Corviale nelle dinamiche della città, occorre che la sperimentazione
culturale sia strettamente ancorata alla concretezza degli obiettivi e accompagni
lo sviluppo in un programma integrato di riqualificazione. In caso contrario,
rischia di rimanere una sterile ricerca intellettuale destinata ad esaurirsi in poco
tempo. La stretta interdipendenza che si è venuta a creare tra il programma
culturale e gli interventi di trasformazione fisica ha portato a considerare la
creatività e i linguaggi che si sono sviluppati a Corviale, necessari quanto gli
ascensori che funzionano!».
Risulta indispensabile definire un rapporto di integrazione fra le istituzioni che
lavorano ai programmi di riqualificazione e coloro che istituzionalmente (e non)
mediano con gli artisti, affinché si sviluppino utili sinergie per far emergere
creatività e percorsi di identità nella città moderna. Operare con flessibilità,
agilità, creatività e massima concretezza, per evidenziare e fare uscire le esigenze
e la potenzialità e dare spazio alle forme espressive spontanee presenti in questi
quartieri. La difficoltà di questi percorsi sta proprio nel riuscire a mantenere il
giusto equilibrio fra ricerca ed espressione creativa.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 87 ~
Il progetto dell’amministrazione per le periferie romane parte dagli inizi del 2000,
cercando di sperimentare e includere l’arte e l’architettura nei Programmi di
Riqualificazione Urbana, non limitandosi solamente ad intervenire per
riqualificare ma intervenire per valorizzare e recuperare restituendo dignità,
memoria, spazio creativo a luoghi e persone.
Il lavoro è stato svolto dal Dipartimento, affrontando problematiche legate ai
contesti periferici, dando spunti su una ricerca che aveva come fine la
partecipazione dei cittadini nei processi decisionali (ponendo i cittadini, come
“attori sociali della città” nonché soggetti determinanti di questo percorso) e la
creazione di sinergie possibili fra arte e architettura.
Uno dei primi progetti realizzati a cura del Dipartimento è stato Cinema di
Raccordo e Di scena la Periferia, due eventi realizzati nelle estati del 2001 e
2002, vere e proprie carovane di cinema, teatro e musica itineranti che hanno
saputo trascinare interamente la cittadinanza di Corviale. I cittadini sono stati
coinvolti per la prima volta in qualcosa che l’istituzione, in questo caso il
Comune, “ha fatto per loro”; farli sentire parte di una comunità e di una cultura,
dove l’arte, in questo senso, si pone da strumento di esplorazione e indagine
urbana. Altre tra le prime esperienze di sperimentazione culturale che hanno
avuto la capacità di tenere vivo il rapporto tra la città e i cittadini è stato il
progetto Sonicity: architetti del suono compositori del luogo, realizzato
dall’associazione ‘Moorroom’ a Corviale nel 2002. Il tema di questa
sperimentazione era quello di sviluppare le relazioni esistenti tra suono, arti
visive e architettura, creando, tramite workshop, occasioni per riflettere sul luogo
Corviale. L’allestimento delle opere all’interno dell’edificio, che hanno
coinvolto abitanti di Corviale e chi appositamente era venuto dal centro per
visitare le opere, hanno dato modo di rileggere in un’altra chiave il luogo simbolo
della periferia urbana romana.
L’obiettivo dell’Amministrazione insieme al Dipartimento per il Recupero e lo
Sviluppo delle Periferie era quello di far partecipare attivamente i cittadini ai
programmi e progetti in tutte le loro fasi. Motivo per cui successivamente si
attivano iniziative legate agli interventi di trasformazione urbana, di nuove
funzioni sociali e culturali, come le attività svolte nella biblioteca, o per
l’occupazione, come l’Incubatore di Impresa. Il contesto di Corviale, oggi
sperimenta un rapporto diverso tra città e periferia. Ad oggi sono presenti vari
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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associazioni sul territorio una delle più attive e CorvialeUrbanLab, il
responsabile Alessio Conti spiega così la loro azione: « L’idea di fondo che noi
cerchiamo di esportare è che l’arte e la cultura possano essere strumenti della
riqualificazione urbana. Corviale nell’immaginario collettivo è una periferia che
si riflette nella collettività come un luogo degradato e di fallimento urbanistico.
Esiste però una profonda identità in quel luogo, noi la poniamo sotto un’altra
veste utilizzando l’arte e la cultura in tutto quello che facciamo». (Appendice).
L’istituzione romana ha ritenuto importante impegnarsi su questo fronte
sviluppando progetti sperimentali per affrontare percorsi di recupero e
riqualificazione che considerino la città e non solo i luoghi centrali.
Per sviluppare e lavorare al meglio sulle problematiche legate ai contesti
marginali della città era stato creato un Assessorato e un Dipartimento dedicato
specificatamente al recupero e allo sviluppo delle periferie romane. L’idea di
applicare le sperimentazioni parte da un lungo lavoro svolto, dal convegno
internazionale tenutosi a Corviale Al centro le periferie del 2002 fino a giungere
alle sperimentazioni sul campo per tutta la periferia romana, che hanno permesso
di conoscere con un taglio diverso il territorio romano.
I progetti artistici hanno preso ispirazione da un modello olandese, illustrato in
una mostra tenutasi a Roma presso la sala San Giovanni nel gennaio 2002, dove si
era proposto di esplorare il rapporto tra architettura e arte attraverso il paesaggio
olandese contemporaneo; altro scopo era quello di attivare un dialogo plurime tra
varie figure professionali come architetti, teorici dell’architettura e artisti. Da qui,
i progetti d’arte si sono posti non solo come sperimentazione culturale verso
nuove tipologie di pratiche urbane ma anche come strumenti per il
coinvolgimento diretto dei cittadini. L’impegno dell’Assessorato e del
Dipartimento si è quindi orientato con un occhio di riguardo verso i progetti come
Nuovi Committenti di Torino, curato e introdotto in Italia dalla Fondazione
Adriano Olivetti, modello innovativo per la produzione di arte pubblica su cui il
Comune di Roma ha puntato il suo interesse.
Come denota Maria Alicata, responsabile dell’area ‘Progetti e Ricerche’ della
Fondazione Adriano Olivetti: «il complesso Corviale non era ancora pronto per
applicare il modello Nuovi Committenti. Così si scelse più una fase di pre-analisi,
orientando il lavoro sull’immaginario del quartiere.» (Appendice)
Il complesso non poteva essere indirizzato verso una diretta trasformazione dello
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 89 ~
spazio pubblico. L’amministrazione comunale scelse comunque di dare un “taglio
creativo” per l’analisi del contesto, che nelle programmazioni in corso
(Programma di Recupero Urbano e il Contratto di Quartiere) bene si inserivano
per la partecipazione attiva dei cittadini. Così nel corso del biennio 2004 – 2005 la
Fondazione Adriano Olivetti e il Gruppo Osservatorio Nomade insieme al
Dipartimento, attua il progetto sperimentale Immaginare Corviale, che affronterà
le trasformazioni previste nel quartiere di Corviale nel Programma di Recupero
Urbano.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 90 ~
3.2.2 Il progetto “Immaginare Corviale”: arte, pratica urbana ed estetica Nei primi anni ’80, per le famiglie che si trasferirono a Corviale, in una periferia
così insolita, in un’architettura così esagerata si rese difficile, fin dall’inizio,
formare un gruppo, una comunità. «Erano ristretti in gruppi di vicini, di parenti, di
amici, accomunati dal lotto, dalla scala o dal ballatoio, che all’occorrenza si
davano una mano per superare la solitudine o l’isolamento ma senza mai sentirsi
parte di un insieme sociale significativo». (N. Campanella, 1995).
Per avviare una sorta di riscatto del quartiere, il “Laboratorio Territoriale -
Corviale Roma Ovest” si è interrogato ed ha chiesto consiglio ai comitati di
inquilini ancora presenti, alle strutture del Municipio XV, per trovare una
modalità di approccio innovativa. Successivamente, quasi naturalmente, si è
generato il contatto tra amministrazione pubblica e la Fondazione Adriano
Olivetti. Si individuò una strategia innovativa nella valorizzazione del rapporto tra
arte e società.
La Fondazione Adriano Olivetti ha come obiettivo indirizzare un approccio
creativo all’analisi dei territori urbani e alla trasformazione dello spazio pubblico.
Vuole investigare sulle forme più innovative di produzione culturale e
committenza, identificando nuovi strumenti capaci di produrre nuove economie
per il contesto italiano: un’economia dove amministratori pubblici cercano nuove
idee; i cittadini chiedono maggiore coinvolgimento ed una maggiore
partecipazione ai processi decisionali; un’economia dove gli artisti sono sempre
più interessati ad operare nello spazio pubblico. Proprio perché il problema si
pone in termini di spazio pubblico tutti i progetti della Fondazione sono elaborati
come un caso studio, all’interno di un quadro di ricerca che rappresenti le
continue trasformazioni dello spazio pubblico.
Come dice Bartolomeo Pietromarchi in un suo intervento per il convegno IoArte-
NoiCittà, «l’arte è, in primo luogo, lo strumento ideale per comprendere questi
mutamenti, in quanto elabora degli ‘immaginari’ che, […] possono essere
considerati a tutti gli effetti dei mezzi di esperienza del reale, e quindi di
conoscenza, in un senso più ampio. In secondo luogo l’arte contemporanea
elabora delle strategie di intervento ‘nel’ reale: l’artista si appropria della
dimensione linguistica del reale della sua totalità e ne utilizza indifferentemente
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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tutti gli strumenti: fa esperienza del mondo e della sua frammentazione
inventandone percorsi trasversali, attraversamenti di senso, sconfinamenti e scarti
linguistici, riflettendo su una dimensione soggettiva, intima e psicologica del
rapporto con lo spazio circostante, promuovendo una disseminazione creativa in
uno spazio che si fa organico e cresce secondo i principi di urgenza e necessità.»
(Petromarchi B., 2007).
Occorreva che insieme agli abitanti, attraverso la partecipazione e il lavoro del
Laboratorio territoriale, si producessero attività ed eventi di valore artistico e
culturale capaci di generare e trasmettere una “nuova immagine” del quartiere
come condizione per il suo sviluppo economico e sociale. Si costruì così un
progetto condiviso sostenuto dal Dipartimento XIX raggiungendo un accordo
economico per un anno di lavoro. Chiamati dalla Fondazione Adriano Olivetti gli
artisti dell’Osservatorio Nomade si recarono a Corviale.
Sono state sperimentate innovative modalità di collaborazione, non prive di
asperità, tra il Laboratorio territoriale, gli artisti e la Fondazione Adriano Olivetti,
che si inseriscono nell’ampio dibattito sul futuro dell’arte pubblica, sul ruolo degli
artisti come mediatori e sulla necessità di coinvolgere strutture e soggetti capaci di
attivare un processo di “accompagnamento40” delle pratiche artistiche sul
territorio. Molti abitanti si sono lasciati coinvolgere dagli artisti, dalle
progettazioni e dalle esperienze artistiche che gli si presentavano, anche perché
sapevano che dietro al progetto “artistico” c’era la presenza autorevole del
Comune di Roma.
L’architetto responsabile del Laboratorio Territoriale Mauro Martini, presente alle
vicende del progetto Immaginare Corviale, conferma che il ruolo del Comune di
Roma, attraverso i soggetti impegnati nel Laboratorio territoriale, «non è stato di
tradizionale committente, mero investitore di risorse economiche, ma anche di
conoscitore della realtà locale, presente sul territorio, e si è rivelato determinante
per indirizzare molte azioni degli artisti e per favorire il loro contatto con gli
abitanti.» (Appendice)
La Fondazione ha avuto compiti importanti sulla regia del progetto, in particolare
modo nell’individuazione degli artisti da coinvolgere. Importante, è stato
organizzare eventi che hanno orientato l’attenzione (vista la sua autorevolezza)
40 In questo processo risulta essere fondamentale la mediazione tra le parti che necessità però di una sorta di affiancamento istituzionale o associativa che funga sia da controllo che da regia.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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verso i media. Questo ha fatto modo di diffondere la “novità” prodotta a Corviale
da televisioni, giornali e convegni.
Il lavoro durato più di un anno all’interno del quartiere Corviale ha scaturito
riflessioni sul destino attuale dell’architettura modernista, sulla gestione del
territorio, sul rapporto fra ricerca artistica e società, sulla filosofia dell’abitare, la
centralità della comunicazione e dell’immaginario nella vita pubblica del nostro
paese. Nel progetto si sono intrecciate prospettive di ricerca e pratiche di
progettazione partecipata.
L’Osservatorio Nomade, impegnato da sempre per il recupero e la rigenerazione
delle zone suburbane di Roma, ha promosso il progetto Immaginare Corviale,
grazie al lavoro interdisciplinare, si è manifestata una ricca produzione culturale
partecipata coinvolgendo l’intera città. L’intento, pienamente riuscito, ha
permesso di creare sinergia tra gruppi artistici diversi, video - makers, musicisti,
‘pensatori’, architetti e urbanisti, verso la rigenerazione e riqualificazione urbana e
sicuramente come scopo primario uno scavalcamento della marginalità sociale
presente nel quartiere di Corviale cercando di abbracciare quello che è il pensiero
dei cittadini: non distruggere il palazzo ma tenere al meglio quello che c’è già.
La domanda che gli abitanti del Nuovo Corviale hanno fin dall’inizio posto agli
artisti, era quella di cambiare l’immagine stereotipata e negativa del complesso
edilizio. Erano stanchi delle critiche e dei continui commenti dei mas media
intorno al presunto “mostro”.
Un interessante intervento di Mauro Martini, presente alle riunioni del
Laboratorio, evidenzia che le cose stavano cambiando da quando i giornalisti
cominciarono a parlare della demolizione dell’edificio.
«Attirati dalle iniziative, sono ovviamente arrivati i giornalisti, convinti di dover
raccontare gli ultimi sussulti del “mostro” lungo un chilometro, destinato alla
demolizione. Ma le cose stavano cambiando. […] questo discredito ingiustificato,
gettato per anni su Corviale, aveva generato nella comunità locale, e tuttora in
parte genera, un senso di diversità, di scarsa autostima. Dunque andava
combattuto.» (Martini M., 2006).
[…] L’insostenibile utopia modernista che ha prodotto questo edificio e la
rappresentazione del complesso abitativo che i media nazionali hanno diffuso
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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negli ultimi vent’anni, hanno trasformato Corviale nel simbolo di tutti i problemi
sociali dei centri urbani italiani e ha impedito lo sviluppo di un’immagine
positiva e dinamica del quartiere. (Pietromarchi 2005: 33).
Il progetto Immaginare Corviale rientra nell'ambito di una collaborazione a
lungo termine tra la Fondazione Adriano Olivetti, il Dipartimento XIX del
Comune di Roma per interventi artisti, di analisi e di riqualificazione dello spazio
pubblico di Corviale. Commissionato dall’Assessorato alle Politiche per le
Periferie urbane di Roma, curato dalla Fondazione Adriano Olivetti e realizzato
dal gruppo interdisciplinare Osservatorio Nomade.
Trovare una nuova immagine condivisa del quartiere tramite la demolizione degli
stereotipi maturati nel tempo, individuare una domanda dei cittadini che favorisca
indicazioni per il Programma di Recupero Urbano per la trasformazione dello
spazio pubblico e produrre cittadinanza attiva, sono gli obbiettivi del progetto.
Per inciso dal rapporto annuale della Fondazione Adriano Olivetti:
Obiettivo del progetto è l'individuazione di una nuova immagine condivisa per
l'edificio e di alcune domande della cittadinanza relative allo spazio pubblico che
possano fornire indicazioni progettuali per l'area interessata da un ampio
programma di riqualificazione (Programma di Recupero Urbano). Mettendo in
relazione l'immaginario del luogo, ovvero desideri e proiezioni degli abitanti,
con le ipotesi per la sua trasformazione, Immaginare Corviale si configura come
una pratica di produzione artistica e culturale che diventa strumento di
conoscenza del territorio e di elaborazione di strategie condivise di
riqualificazione. Immaginare Corviale è un progetto su come lo spazio pubblico
viene vissuto, ricordato, immaginato e trasformato e un esperimento produttivo
che coniuga pratiche di progettazione partecipata e di produzione artistica e
multimediale. Il progetto si costruisce anche attraverso il confronto continuo con
il Laboratorio Territoriale del Comune che opera nel quartiere. ( AA.VV, 2003:
49).
L’ente pubblico chiedeva esplicitamente il coinvolgimento degli abitanti nella sua
realizzazione.
La sfida dell’Osservatorio Nomade è stata quella di restituire ai residenti la
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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consapevolezza di vivere in un “luogo eccezionale”. La richiesta avanzata dai
residenti è stata quella della creazione di una nuova immagine per il complesso
abitativo, richiesta intrecciata con il bisogno di un programma di rinnovamento
fisico del complesso. Il progetto, ispirato alla volontà di comprendere come gli
spazi edilizi e gli spazi circostanti sono vissuti immaginati e trasformati.
Di fondamentale importanza è stata la collaborazione con i residenti, che ha reso
possibile l’esplorazione, suggerendo nuove direzioni di ricerca.
Un laboratorio multidisciplinare sullo spazio urbano nel quale convergono le
pratiche di progettazione partecipata e la produzione multimediale e artistica.
Alcuni dei risultati dei laboratori sono stati documentati nel video/racconto di
Michela Franzoso impegnata nel seguire le diverse fasi del progetto che vanno
dall’esplorazione urbana alla creazione della televisione di quartiere con gli
abitanti. Lo scopo era quello di mantenere una memoria del metodo
dell’Osservatorio Nomade che ha rivelato un aspetto del quartiere sconosciuto
anche agli stessi abitanti.
L’applicazione di processi partecipativi e di innumerevoli forme di
coinvolgimento e partecipazione cittadina, hanno permesso di far emergere tre
dimensioni sulle quali la progettazione d’Osservatorio Nomade si è indirizzato:
l’esperienza reale e soggettiva del luogo, l’immagine del luogo e, infine,
l’immaginario e la memoria del luogo.
Queste tre dimensioni hanno dato forma a tre piattaforme: On/UniverCITY,
ON/Field e On/Network41.
Nel 2006 esce il volume “Osservatorio Nomade. Immaginare Corviale. Pratiche
ed Estetiche per la città contemporanea” curato da Flaminia Gennari e
Bartolomeo Pietromarchi. Il volume racconta il progetto realizzato dal 2004 al
2005, sollevando alcuni temi centrali della cultura italiana. Un anno di lavoro 41 Alcune presentazioni del progetto dal 2002 al 2005 sono state: Corviale, Il Serpentone, Presentazione video di Heidrun Holzfeind, Sala XV Municipio, maggio 2002, Roma; Laboratori, spazio pubblico, partecipazione, Presentazione del progetto in occasione dell'inaugurazione della Biblioteca Comunale "Corviale", 22 nov 2003, Roma Corviale; Costellazione Corviale - lucciole di mezzanotte, azione pubblica di illuminazione dinamica notturna,Osservatorio; Nomade per il Roma Troll, 22 aprile 2004, Roma Corviale; 3 giugno 2004 - Notte di luna piena, nell'ambito del progetto IMMAGINARE CORVIALE, 3 giugno 2004, Corviale; Il cinema e i romani dal dopoguerra ai giorni nostri all'ombra del serpentone, Rassegna di videoproiezioni, dal 15 agosto - 18 sett 2004, Giardini della Biblioteca Corviale, Roma Corviale; Vicini Vicini: la prima festa tra vicini di casa, 7 maggio 2005, Roma Corviale; Gallaratese Corviale ZEN, Mostra 19 set - 9 ott 2005, Voltoni del Guazzatoio, Palazzo della Pilotta, in Architettura; Ricchezza e povertà, Festival dell'Architettura 2005, Parma; Immaginare Corviale. Il racconto di un progetto, Roma, Palazzo Venezia - Sala Mappamondo, settembre 2006; nell'ambito del festival "Docfest" presentazione documentario di Michela Franzoso.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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degli artisti, architetti, videomakers e musicisti che insieme agli abitanti del
quartiere, vivendo con loro nell’edificio, hanno portato alla luce contraddizioni e
potenzialità. Tutti i temi sollevati dall’Osservatorio Nomade, attorno a cui sono
stati coinvolti ricercatori e storici, hanno compreso: la natura dello spazio
pubblico, l’analisi storica dell’edilizia pubblica, la dimensione dell’immaginario e
la pratica artistica nei territori urbani in trasformazione.
Le varie tipologie di pratiche artistiche hanno coinvolto il contesto totalmente,
seguendo una logica ben precisa: a partire dalla costruzione di un atlante, dove
sono state raccolte le informazioni; la mappatura generale, che ha costituito
l’ordine dei lavori e infine la fase progettuale. La prima delle piattaforme di
raccolta e coinvolgimento è Corviale UniverCITY, un progetto di formazione che
indaga la realtà fisica dell’edificio per fornire proposte, scenari futuri e progetti,
aperti alla condivisione degli abitanti. Coordinato da Osservatorio Nomade e altri
studi di architettura. Articolato in una serie di workshop destinati a studenti di
architettura di Roma Tre e della Penn State University, Corviale UniverCITY ha
indagato i processi di identificazione e appropriazione del contesto, realizzati
attraverso modificazioni d’uso degli spazi dell’edificio42. Altro obiettivo del
progetto, oltre alla conoscenza dell’edificio, è stato quello di «indirizzare le
appropriazioni dall’ambito privato ad una dimensione più consapevole,
recuperando il carattere sperimentale alla base della progettazione di Corviale,
affiche l’interpretazione di un luogo simbolo dell’architettura moderna diventasse
patrimonio comune per docenti, studenti e abitanti.» (Santori F.G., Pietromarchi
B., 2006: 78).
Per quanto riguarda invece i laboratori e i progetti ON/Field, questi hanno
permesso di collegare i vari aspetti del progetto Immaginare Corviale,
individuando quale filo conduttore, le relazioni con gli abitanti e il loro
coinvolgimento nell’interpretazione dell’edificio. Storie comuni, laboratori
artistici e il Laboratorio Condominiale sono stati buoni punti di partenza per
l’elaborazione di nuove visioni. ON/Field ha inoltre creato uno spazio per lo
scambio di idee dove poter restituire agli abitanti i risultati delle analisi
riguardanti le trasformazioni dell’edificio e dove capire quali adattamenti
spontanei e quali suggestioni visive potessero diventare progetti concreti di 42 Vedi grafico figura x
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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gestione condivisa e trasformazione.
Figura15 - Corviale – Immaginare Corviale 2005 – On-Field
In particolare lo studio delle microtrasformazioni del quartiere (viali decorati,
ballatoi ricoloriti, appartamenti ricostruiti, orti urbani etc.) è stato discusso dagli
abitanti ogni settimana, nel Laboratorio Condominiale. Il laboratorio è stato uno
strumento per svelare pratiche di gestione già consolidate, immaginare modalità
di convivenza attuali e individuare forme di auto-organizzazione degli abitanti da
presentare alle istituzioni. Conoscere quindi anche lo stato di fatto delle
microtrasformazioni già operate dagli abitanti.
Il laboratorio condominiale ha inciso sui concreti strumenti di trasformazione del
Nuovo Corviale e sulle modalità di concepire la riqualificazione del quartiere.
Corviale On/Network è invece un concreto esperimento di televisione di quartiere
il cui obiettivo era liberare Corviale dall’immagine negativa di periferia
degradata. Uno strumento di comunicazione del progetto, che diventa
«catalizzatore dell’attenzione pubblica sull’edificio, contribuendo a modificare la
rappresentazione della periferia urbana.» (Santori F.G., Pietromarchi B., 2006:
142). Realizzato con l’aiuto degli abitanti, è stato possibile creare un prototipo di
palinsesto televisivo che ha potuto raccontare Immaginare Corviale e la realtà del
quartiere ribaltando così lo stereotipo negativo.
L’Osservatorio Nomade ha individuato nel lancio di una televisione di quartiere
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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uno strumento efficace di coinvolgimento degli abitanti individuando anche
questa nuova immagine o nuova identità del quartiere. La TV di quartiere ha
raccontato la vera realtà del Nuovo Corviale e come essa sia in grado di
modificare la percezione del luogo, un mezzo con cui avviare la trasformazione
dello spazio. Una “telestreet” divenuta un ulteriore strumento di accesso e di
conoscenza delle domande poste dai cittadini per il loro edificio.
«Corviale Network è stato anche un antesignano del fenomeno delle "telestreet"
italiane43, che, dopo una stagione di entusiasmo, ha vissuto un rapido declino,
fatto salvo rinascere, nella declinazione consentita dalle nuove tecnologie, nella
forma, ancora più "locale" e certamente artigianale, ma interattiva, delle “web
tv”44.» (AA.VV., IsCult, 2010: 132).
Figura16 - Corviale – Immaginare Corviale 2005 – On-Network
43 Sull'argomento, vedi Franco Berardi et al., "Telestreet: macchina immaginativa non omologata", Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2003. 44 Sull'argomento delle web tv nella più recente prospettiva italiana, vedi Giampaolo Colletti, "Tv Fai-da-web. Storie italiane di micio web tv. Le mappe e le istruzioni per fare una tv in casa", Il Sole-24 Ore, Milano, 2010. Va osservato come un medium "mainstraim", qual è la televisione tradizionale, stia attingendo a questo grande "bacino" laboratoriale di linguaggi: si pensi al progetto "Citizen Report" promosso ad inizio 2010 da Rai Educational, basato proprio sul coinvolgimento delle web tv in un programma televisivo "tradizionale".
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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La progettazione da parte dell’Università Nomade45 ha individuato quattro
tematiche che offrono la possibilità di relazionarsi con l'intera lunghezza
dell'edificio: il sistema di gallerie e gli spazi per il tempo libero (analizzati da
M2846); il quarto piano occupato (gruppo ellelab47/stalker); il piano terra e le
chiostrine (gruppo maO48); la striscia degli orti urbani che corre parallelamente
all'edificio (nicole_fvr/2A+P49). Quattro studi di architettura50 che hanno
permesso di coordinare altri seminari sui temi degli orti urbani e sul quarto piano
occupato51. «Sulla base di questi dati, alcune idee sono state prodotte sotto forma
di piani, visioni e immagini, capaci di suggerire ed indurre nuovi processi e
trasformazioni, nonché possibili forme di gestione per questo edificio enorme».
(Pietromarchi B., 2005: 66). L'obiettivo è quello di conoscere l'attuale stato
dell'edificio attraverso una mappatura dei diversi spazi che ne mostri i molteplici
usi e le microtrasformazioni operate dai residenti per adattarsi al contesto.
La progettazione finale è stata dedotta grazie a tutti i lavori svolti ma in
particolare alle intuizioni emerse durante il workshop di UniverCITY sulle
microtrasformazioni che hanno coinvolto tutti gli abitanti in particolare gli
occupanti del piano libero e i coltivatori degli orti. Entrambi i percorsi progettuali
si sono sviluppati in stretta relazione con il Laboratorio condominiale e sono stati
determinati per innescare la massima partecipazione degli abitanti e, più in
generale, il radicamento del progetto nel territorio «dall'ambito privato di
affermazione dei propri spazi individuali a una dimensione più consapevole, ma
45 L'Università Nomade è un agente di ricerca creativa, aperta e dinamica; «una intelligenza collettiva, contestuale e coinvolta nelle situazioni con cui si confronta. L'Università Nomade crea una dinamica di insegnamento ed apprendimento in cui la sperimentazione, il lavoro sul campo e la pianificazione architettonica sono sempre compresenti. Le sfere d'intervento dell' Università Nomade sono gli ambienti incerti, marginali e contesi. Improntata ad una prospettiva principalmente interdisciplinare, L'Università No-made abita, interiorizza e descrive sia criticamente che dinamicamente questi luoghi con lo scopo di contribuire ad una loro evoluzione creativa.» (Pietromarchi B., 2005: 57). 46 Fondato nel 2002 da Fabio Martellino, Vincenzo Paolini e Fabrizio Lazzarin. 47 Fondato nel 2003 da Sara Braschi, Maria Teresa Bruca, Eleonora Crosta. Collabora con L’Osservatorio Nomade. 48 Fondato a Roma nel 1996 ma Massimo Ciuffini, Ketty Di Tardo, Alberto Iacovani e Luca La Torre. 49 Studio di Architettura fondato nel 1998 da Gianfranco Bombacci. 50 Microtrasformazioni su : Ballatoi; Viale Corviale; Workshop stile libero; Orti urbani. Per un approfondimento sulle progettazioni specifiche si rimanda al testo Santori F.G., Pietromarchi B., 2006, Osservatorio Nomade. Pratiche ed estetiche per la città contemporanea, Mondadori, Roma (pp 91-103). 51 Piano che doveva essere destinato a servizi e secondo l’ultimo Contratto di Quartiere si prevede un cambio di destinazione d'uso da servizi in abitazione.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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anche immaginifica, di creazione di spazi sociali e pubblici» (Palumbo M., 2004).
I due contesti (sociale e pubblico) sono stati scelti poiché rappresentano gli ambiti
di massima trasformazione del contesto ma anche come soluzioni progettuali
innovative da far recepire al Contratto di Quartiere per il piano libero e il
Programma di Recupero Urbano per gli orti.
Figura 17 - Corviale – Immaginare Corviale 2005 – On-univerCITY
L’intervento dell’Osservatorio Nomade a Corviale è stato definito da alcuni come
un esempio attuale di ipotesi di “rapporto sociale attraverso l’ente pubblico”, altri
come un progetto di “community art”; l’Osservatorio Nomade in realtà ha scelto
una strada diversa, cioè quella di individuare strumenti di produzione insieme e in
comune agli abitanti come la televisione, i temi di progettazione e l’analisi
dell’edificio. Gli artisti coinvolti sono stati: il gruppo Stalker; Mario Ciccioli;
Cesare Pietrogiusti; Matteo Fraterno; goldiechiari; Armin Linke.
Il gruppo ha adottato approcci sperimentali basati sulla progettazione, sull'ascolto
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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e sulle pratiche attivate dall'interazione creativa con il territorio, con gli abitanti e
con la memoria collettiva. Queste pratiche ed approcci sono mirati allo sviluppo
di processi evolutivi di auto-organizzazione, nei contesti in cui se ne avverte una
mancanza, determinata dal senso di abbandono e di difficoltà, attraverso la
struttura delle relazioni sociali e ambientali. «Questo metodo non è solo un nuovo
strumento per lo sviluppo delle conoscenze, ma promuove un approccio più
cosciente al territorio vissuto da parte della popolazione così da creare una
maggior partecipazione creativa nella gestione di questioni territoriali e
urbanistiche.» (Osservatorio Nomade, 2005: 32)
La modalità operativa, oltre ad essere un inedito strumento di conoscenza,
contribuisce a promuovere la diffusione di una più ragguardevole consapevolezza
della popolazione nei confronti del proprio territorio e quindi ottenere più efficaci
feedback di partecipazione mirando allo sviluppo di processi di auto-
organizzazione avendo l’obiettivo di contrastare il senso di abbandono e di
difficoltà attivando nuove relazioni sociali ed ambientali.
Il lavoro svolto dagli artisti dell’Osservatorio Nomade è stato soprattutto di
indagine, anche attraverso strumenti ludici che mettessero in luce la dimensione
fisica e simbolica dell’edificio, rilevandone elementi inaspettati, tanto di criticità
quanto di ricchezza.
Gli artisti hanno lavorato con tre strumenti:
1) laboratorio sulla memoria e lo spazio pubblico;
2) la produzione, assieme agli abitanti, di due eventi collettivi, metafore dei miti
del quartiere che mettano in luce usi possibili dell’edificio;
3) la documentazione dell’intero progetto in un film che ricompone i diversi piani
del progetto attraverso un registro narrativo non riconducibile né al video d’arte
né al documentario, pur comprendendo entrambe le prospettive. «Destinatari di
Immaginare Corviale sono in primo luogo gli abitanti, invitati e coinvolti a
condividere le loro idee ed expertise rispetto all’edificio.» (AA.VV., 2003: 49)
Il ruolo che l’Osservatorio Nomade ricopriva era quello di mediare il lavoro tra
Comune e artisti, incanalizzandolo in una precisa logica di progettazione creativa,
cercando di mantenere quell’equilibrio fra ricerca ed espressione creativa.
Ad esempio la connessione dei temi sostenuti tra il Laboratorio condominiale e
l’Osservatorio: progettazione di orti urbani e il lavoro sul quarto piano occupato e
iniziative del Comune di Roma come il Programma di Recupero Urbano ed il
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 101 ~
Contratto di Quartiere, sono il risultato di un iniziale scambio di informazioni. Tra
le molte opere pubbliche finanziate al PRU “Corviale” è di fatto inserita la
realizzazione del progetto “Orti Urbani”, sia come intervento di riqualificazione
sia come attivazione controllata di un fenomeno che in parte già si è insediato
spontaneamente.
Gli architetti e gli artisti dell’Osservatorio Nomade hanno saputo intercettare i
soggetti che si occupavano della realizzazione degli orti spontanei, per definire
insieme a loro, in modo creativo e partecipato, uno scenario di trasformazione
condiviso da proporre successivamente al Comune di Roma. Altri artisti hanno
lavorato con gli occupanti del quarto piano per formulare una proposta progettuale
condivisa che migliorasse l’attuale proposta progettuale dell’Ater nell’ambito del
finanziamento del Contratto di Quartiere II.
Il gruppo dell’Osservatorio Nomade si pone apertamente per accogliere altri
gruppi, individui e collaborazioni a livello nazionale ed internazionale in maniera
flessibile, come d'altronde lascia intuire l’ampia progettazione dei vari progetti
soprannominati ON/Salento, ON/Libetta o ON/Corviale, hanno affrontato una
metodologia interdisciplinare applicata a strumenti flessibili. Un network, che in
funzione dei progetti scelti, concentra le attività su realtà territoriali diverse.
(Figura 18, pp. 102).
Nell’idea di ON/Corviale, nella sua fase preliminare, è stata prevista un
attraversamento dell’edificio come analisi conoscitiva del luogo. Cogliere le
problematiche degli spazi per poi avvicinarsi agli abitanti del Nuovo Corviale in
maniera più consapevole. Il gruppo ha fatto leva sulla partecipazione come
strumento e finalità progettuale.
L’Osservatorio Nomade e gli Stalker52, hanno impiegato tutto il loro impegno per
promuovere e realizzare le loro idee creative. Si sono mossi coordinati al
Laboratorio territoriale e sono stati però penalizzati dalla tempistica della
convenzione con il Comune di Roma che stringeva sui tempi, soffrendo così di
52 Stalker è un soggetto collettivo composto da artisti ed architetti, nato nel 1995. il gruppo effettua delle ricerche e azioni sul territorio con particolare attenzione alle aree di margine e ai vuoti urbani in via di trasformazione. «Dal 2001 Stalker promuove Osservatorio Nomade, un network transdisciplinare in grado di integrare conoscenze e linguaggi capaci di captare, attraverso sguardi e relazioni incrociate, gli aspetti sommersi inerenti la complessità del territorio metropolitano. La modalità di intervento dell’Osservatorio Nomade è “sperimentale, fondata su pratiche spaziali esplorative, di ascolto, relazionali, conviviali e ludiche, attivate da dispositivi di interazione creativa con l’ambiente investigato, con gli abitanti e con gli archivi della memoria.» (Lorenzo Romito – www.situa.to) (per un approfondimento di rimanda al sito www.osservatorionomade.net/tarkowsky/tarko.html)
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 102 ~
una libertà “vigilata”. Il rapporto committente-artista, in caso di arte pubblica
partecipata, implica un certo grado di controllo da parte delle istituzioni.
«L’esperienza di Corviale è un punto di partenza per una necessaria riflessione sul
ruolo che può rivestire l’amministrazione “committente” di progetti di arte
pubblica, affinché la libertà degli artisti non sia troppo vigilata e le esigenze
dell’amministrazione e della cittadinanza siano comprese e interpretate dagli
artisti che operano sul territorio.» (Martini M., 2006).
Come denota l’architetto Mauro «quando si fa arte pubblica, o comunque arte
finanziata pubblicamente bisognerebbe scindere alcune cose. Voglio dire che, se
un artista sta nel suo atelier si fa una sua scultura se la vende, e questa scultura va
a finire in casa di qualcuno, non c’è un’implicazione sociale, diventa un “fatto
privato”. Nel momento in cui si fa un’attività di tipo artistico che implica il
coinvolgimento dei cittadini con musica, occupazione di suolo, produzione di
immagini all’interno di un quartiere, diventa allora di interesse pubblico, supera la
soglia della libertà totale dell’artista e di fare quello che vuole, perché, ad
esempio, se poi il quadro lo vende o non lo vende o se lo tiene, c’è un livello
talmente privato dell’operare dell’artista su cui ha il 100% di libertà.
Nel momento in cui va a lavorare all’interno di un quartiere ha naturalmente la
sua libertà, però bisogna anche valutare le conseguenze che i suoi atti possono far
derivare, una loro inadeguatezza rispetto alla complessità della situazione in cui si
vengono a trovare […]». (Appendice).
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 103 ~
Figura 18 - Digramma del progetto, a cura dell’Osservatorio Nomade
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 104 ~
3.2.3 L’Osservatorio Nomade, le sperimentazioni e le applicazioni su Corviale Il gruppo Osservatorio Nomade nasce nel 1995 su iniziativa del gruppo Stalker. I
promotori del collettivo Francesco Careri, Aldo Innocenzi, Romolo Ottaviani,
Giovanna Ripepi, Lorenzo e Valerio Romito, hanno trattato il complesso di
Corviale trasversalmente, utilizzando strumenti di vario genere legati al mondo
dell’arte e dell’architettura. La caratteristica dell’azione del collettivo è quella di
essere creativa ed armonica con i processi di pianificazione in atto, si servono di
forme artistiche ispirate a pratiche antiche di esplorazione del territorio.
L'approccio nomade, cardine delle loro azioni, trova le sue radici nelle riflessioni
di Costant53 (Sepe, 2007: 81) e nei percorsi dei situazionisti e si fonda sullo studio
del territorio basato sulla conoscenza attraverso l'esperienza diretta. (Andreotti,
Xavier, 1996; Careri, 2001; Debord, 1997) ( Sepe 2007: 81).
Il primo workshop, organizzato dal gruppo dell’Osservatorio ha previsto un
attraversamento del territorio romano dalla sede dell’Osservatorio Nomade del
quartiere di Ostiense fino al Nuovo Corviale. Il responsabile del progetto,
Francesco Careri, ha accompagnato un gruppo di studenti lungo tutto il percorso.
Momenti particolari fatti di osservazioni e foto. Una passeggiata durata poco più
di sei ore con lo scopo di conoscere, come dice F. Careri (2006b) «il qui e ora del
territorio».
Il metodo di indagine è quello di individuare nuove categorie operative per
l'architettura e l’arte attraverso azioni che percorrono la realtà, camminando, per
pensare e organizzare lo spazio, senza controllo e prevedibilità, per affrontare la
città nomade, fatta di luoghi “di transito e in transito”, una sorta di “arcipelago di
geometrie mobili”.
Scrive Careri (2006a: 6-7): «Tra le pieghe della città sono cresciuti spazi in
transito, territori in trasformazione continua nel tempo. È in questi territori che
oggi si può superare la millenaria separazione tra spazi nomadi e spazi sedentari.
Il nomadismo in realtà ha sempre vissuto in osmosi con la sedentarietà e la città
53 Constant. - Pseudonimo dell'artista Constant Nieuwenhuys. Esponente del gruppo COBRA (1948); le sue opere rivelano un'approfondita ricerca delle ragioni stesse del fare artistico e delle sue motivazioni sociali, affrontate con idealismo utopico. Fedele per istinto a un'improvvisazione di tipo informale, è passato attraverso varie fasi decantando la forma, ma mantenendone la tensione dinamica. Vicino al Mouvement International pour un Bauhaus Imaginiste (1955), si è interessato all'urbanistica teorizzando un “urbanisme unitaire” come funzione coordinata di arte e scienze (progetti per New Babylon).
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 105 ~
attuale contiene al suo interno spazi nomadi (vuoti) e spazi sedentari (pieni), che
vivono gli uni accanto gli altri in un delicato equilibrio di reciproci scambi. Oggi
la città nomade vive all'interno della città sedentaria, si nutre dei suoi scarti
offrendo in cambio la propria presenza come una nuova natura che può essere
percorsa solamente abitandola».
Gli Stalker hanno analizzato ed esplorato i territori attraversandoli a piedi in modo
da non ricevere influenze esterne e poter partecipare alle loro dinamiche: «è un
tipo di ricerca nomade, tesa a conoscere attraversando, senza dover
necessariamente definire l'oggetto del conoscere, perché l'atto dell'attraversare è
già un atto creativo (Barbara, 2000: 90-91)».
«Attivare le percezioni disponendosi all'ascolto, è la condizione necessaria
affinché i territori si rivelino a chi li vuole attraversare, e i vuoti incontrati
costituiscono lo sfondo sul quale leggere la forma della città che altrimenti
apparirebbe omogenea, priva di dinamiche evolutive complesse» (Sepe, 2007:
83). L'agglomerato urbano è sperimentato come una grande mappa cognitiva che
viene aggiornata con il continuo attraversamento: la realtà attraversata è percepita
misurandosi con una modalità dinamica capace di sezionare il disegno articolato
del paesaggio in tanti possibili percorsi, ognuno diverso dall'altro.
La conoscenza dell’approccio Stalker può avvenire solo per esperienza diretta,
attraverso l'uso della testimonianza piuttosto che della rappresentazione.
È in questo modo che l’Osservatorio Nomade nelle esplorazioni urbane fatte con
Stalker a metà degli anni 90’, guardando ai “vuoti” del territorio romano, come il
giro di Roma a piedi intorno al Raccordo Anulare svolto nel 1995, dove per la
prima volta viene usato il nome ‘Stalker’ allo scopo di connotare il gruppo e
dichiararne l'esistenza, ha indagato ed esplorato il territorio. Operazioni che
hanno coinvolto sia i membri che gli amici, per interessi, esperienze e affinità
come ‘Vivilerive’, svolta nel 1993 sull'argine destro del Tevere tra ponte Marconi
e lungo Tevere dei Papareschi. «Per un'intera settimana di luglio l'area venne
occupata per realizzare un giardino abusivo che vide protagonisti decine di artisti,
architetti ma soprattutto abitanti del quartiere nell'intento di liberare quel pezzo di
Tevere preso in ostaggio dal degrado e dagli interessi privati.» (Stalker, 1998). Lo
scopo finale diventava quello di dare una possibilità di fruire di quegli spazi
abbandonati che non passasse necessariamente per la loro "trasformazione" o
"riqualificazione", che non desse nessun appiglio a speculatori edili. L'anno
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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seguente sempre sul Tevere, si replica l'esperienza dal nome ‘Alquantara’ che
coinvolse più persone. Evento ricco di installazioni, cinema, teatro e persino uno
stabilimento balneare, tutto grazie all’aiuto e all’impegno di centinaia di persone.
«Prima di elaborare complicati progetti architettonici per la tutela e la
rivitalizzazione del Tevere, c'è bisogno di reinnestare nella memoria e nella
sensibilità di ciascuno il rapporto con il fiume» (Gruppo Stalker, 1994).
In queste esperienze “nomadi”, gli Stalker ritrovano il senso dell’esplorazione e
del contatto diretto con il territorio.
Si erano interessati ai “vuoti”, ma poco attratti dai “pieni”. Corviale e gli altri
quartieri di edilizia popolare erano solo punti di riferimento geografici durante le
derive, come li definisce Francesco Careri «costellazioni ordinate in un planisfero
caotico» (F. Careri, 2006: 82).
Il gruppo ON/Stalker54 conduce ricerche e azioni sul territorio, con particolare
attenzione alle aree di margine e ai vuoti urbani, agli spazi abbandonati o in via di
trasformazione. Tali indagini si sviluppano su diversi piani, attorno alla
praticabilità, alla rappresentazione e al progetto di questi spazi da loro chiamati
‘Territori Attuali’55. Il gruppo adotta approcci sperimentali basati sulla
progettazione, sull'ascolto e sulle pratiche attivate dall'interazione creativa con il
territorio, con gli abitanti e con la memoria collettiva. Queste pratiche ed approcci
sono mirati allo sviluppo di processi evolutivi di auto-organizzazione, nei contesti
in cui se ne avverte una mancanza, determinata dal senso di abbandono e di
difficoltà, attraverso la struttura delle relazioni sociali e ambientali. «Questo
metodo non è solo un nuovo strumento per lo sviluppo delle conoscenze, ma
promuove un approccio più cosciente al territorio vissuto da parte della
popolazione così da creare una maggior partecipazione creativa nella gestione di
54 Il nome Stalker proviene dall'omonimo film di Andrei Tarkovskij del 1979, che si svolge nella zona mutante, un territorio in cui la natura, in seguito all'atterraggio degli extraterrestri, ha preso una propria evoluzione autonoma. 55 “Aree interstiziali e di margine, spazi abbandonati o in via di trasformazione. Sono i luoghi delle memorie rimosse e del divenire inconscio dei sistemi urbani, il lato oscuro delle città, gli spazi del confronto e della contaminazione tra organico e inorganico, tra natura e artificio.” (citazione dal manifesto Stalker – www.osservatorionomade.net/tarkowsky/manifesto/manifest.htm). “Stalker, attraverso i Territori Attuali” è il titolo della prima deriva suburbana condotta dal Laboratorio. Riprendendo il concetto di “territorio inconscio” dei surrealisti e di “terreno passionale oggettivo” dei situazionisti, Stalker ha condotto i propri percorsi erratici apportandovi il concetto di “territorio attuale” di Robert Smillison Ietto nella chiave di Foucault (1994: 53). per cui l'attuale «non è ciò che noi siamo, ma piuttosto ciò che diveniamo, ciò che stiamo diventando, ossia l'altro, il nostro divenir-allro» (Careri, Walkscapes, op. cif. 153).
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questioni territoriali e urbanistiche.» (Osservatorio Nomade, 2005: 32)
La modalità operativa, oltre ad essere un inedito strumento di conoscenza,
contribuisce a promuovere la diffusione di una più ragguardevole consapevolezza
della popolazione nei confronti del proprio territorio e quindi ottenere più efficaci
feedback di partecipazione creativa nella gestione delle problematiche territoriali e
urbanistiche.
Il collettivo nomade attraverso Corviale UniverCITY ha esplorato l’edificio con la
stessa attitudine che aveva avuto per i “vuoti”, lo hanno mappato come se fosse un
“Territorio Attuale” a più piani.
Come dichiara sempre Francesco Careri (2006b): «le microtrasformazioni sono
tattiche di sopravvivenza indotte dai molti errori progettuali. […]. Le
trasformazioni hanno agito a più scale: le macrotrasformazioni degli abusivi,
come l’intero sistema del quarto piano e la fascia degli orti, entrambe con
caratteristiche sia di bonifica che di esclusione e indebita appropriazione. […]. Le
microtrasformazioni oltre ad essere un indice di come gli abitanti rispondono
all’imposizione dall’alto, sono indizi e suggerimenti per i futuri interventi
sull’edificio.»
L’approccio creativo intrapreso dall’Osservatorio Nomade è riuscito a tradurre il
comportamento degli abitanti che, reagendo al fallimento dell’architettura, sono
stati costretti ad auto-organizzarsi. Il gruppo ha tentato di aiutare i loro processi
guidandoli in un percorso che sia in grado di stimolarli e renderli attivi su ulteriori
forme di partecipazione condivisa e auto-organizzazione organizzata.
L’approccio creativo dell’Osservatorio Nomade funge da canale e trasmettitore di
informazioni utili ai fini progettuali e al Programma di Riqualificazione Urbana.
Come sottolinea il promotore dell’Osservatorio Nomade: «Siamo convinti che
un’architettura sperimentale come Corviale abbia bisogno di nuove
sperimentazioni interdisciplinari tra arte e architettura, di grandi visioni futuribili
fondate questa volta sulla quotidianità e non sulla monumentalità […] Corviale
UniverCITY è un invito a continuare a proiettare visioni su questa incompiuta
città ideale che è sopravvissuta eroicamente al moderno e che ha sicuramente
ancora bisogno di immaginazione, di creatività, di architettura.»
Il progetto Immaginare Corviale ha mostrato come l’amministrazione sia in grado
di affrontare contesti difficili come il Nuovo Corviale, come le università possano
affrontare temi centrali come quello della cultura e come le discipline urbane e le
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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ricerche artistiche si possano incrociare sperimentando nel vivo della città.
Figura 19 - Roma -Valle Aurelia – Gruppo Stalker in esplorazione - domenica 8 ottobre 1995
Figura 20 - Corviale UniverCITY – progetto dell’Osservatorio Nomade a Corviale - 2005
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3.2.4 Un percorso tra Arte e Riqualificazione Urbana
Nel 2003, all’inizio della collaborazione tra la Fondazione Adriano Olivetti e il
Comune di Roma si era avviata un’operazione innovativa rispetto alle pratiche
ordinarie di intervento artistico. La meditazione prolungata nel tempo, la
responsabilità e l’azione di più attori sono stati i presupposti che hanno contribuito
a connotare l’intervento a Corviale.
Il progetto si è articolato su due livelli paralleli di intervento artistico: da un lato la
presenza costante sul territorio (il workshop di Corviale UniverCITY, i
Laboratorio artistici, le riunioni di redazione di Corviale Network, il Laboratorio
condominiale) e dall’altro la comunicazione, prima di tutto con il quartiere e poi
con la città.
Il primo obiettivo è stato quello di invertire la marcia dei mass media che hanno
da sempre rappresentato il Nuovo Corviale come catalizzatore di negatività. Il
secondo obiettivo è stato invece quello di produrre una rappresentazione di
Corviale condivisa da chi lo vive e indirizzata all’esterno.
Immaginare Corviale ha messo in campo varie forme di comunicazione create
dagli artisti e sostenute dal Comune e dalla Fondazione. L’innovazione primaria è
stata quella creata dall’Osservatorio Nomade nell’ideazione di un modo diverso di
raccontare l’edificio.
Ad esempio Corviale Network ha dotato gli abitanti-cittadini di una telecamera,
per raccontarsi e rappresentarsi all’esterno. Da qui i programmi di intrattenimento:
un piatto - un ritratto, le Inchieste sugli ascensori, i Reportage sui workshop di
Corviale UniverCITY e i resoconti del laboratorio condominiale.
I progetti hanno avuto un effetto positivo sull’immagine del quartiere. I media
nazionali parlavano di Corviale come “luogo di sperimentazione” e a dirlo era il
giornalista Paolo Boccacci in un articolo della Repubblica del 19 aprile del 2004
dal titolo La rinascita di Corviale, opere d’arte e una tivù nel serpentone di
cemento. Altri articoli di cronaca locale indicavano il progetto come “un
laboratorio permanente di produzione artistica”; come un “tentativo di valorizzare
le capacità progettuali degli abitanti ma anche di dare ad un luogo così complesso
una nuova identità” come dice l’articolo di R. Ash ne “Il Sole 24 Ore” del 20
giugno 2004 dall’articolo La Street tivù di Corviale viaggia in cassetta.
Il lavoro su campo non si è limitato solamente alla sfera della comunicazione, ma
è stato proseguito portando effettive proposte progettuali rapportabili in concreti
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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processi di trasformazione come il programma di recupero urbano per gli orti e il
Contratto di Quartiere per il quarto piano.
Da un’intervista a Mariateresa Bruca, (allora responsabile dei lavori e della
mappatura del Quarto Piano del nuovo Corviale e rappresentante del gruppo
ellelab), si deduce che il CdQ II è stato redatto in parallelo con le progettazioni di
Immaginare Corviale. Un lungo lavoro durato più di un anno insieme agli abitanti
di Corviale. Il quarto piano, in seguito al fallimento progettuale che prevedeva
l’inserimento dei servizi, è stato occupato adibendo gli spazi in alloggi, a spazi di
soggiorno e a giardini pensili. «Nel fare la mappatura ci siamo accorti di come era
avvenuta questa occupazione. La maggior parte degli occupanti erano persone
cresciute a Corviale, figli degli assegnatari degli alloggi degli altri piani, non
avendo trovato una casa sul mercato hanno occupato questi spazi vuoti ricavando
un alloggio.» (Appendice). L’inserimento nel CdQ dei dati e delle riflessioni
raccolte dall’esperienza Immaginare Corviale verranno inseriti in una seconda
fase. «Parallelamente, finito il progetto, noi di ellelab ci siamo continuati ad
occupare del quarto piano, avendo istaurato un rapporto di collaborazione con gli
abitanti del quarto piano, che nel frattempo avevano costituito il comitato Piano
Occupato, e visto che parallelamente a Immaginare Corviale era partito il
Contratto di Quartiere, abbiamo pensato di collaborare con loro spontaneamente
una proposta di progetto da presentare alle istituzioni. […]. Quindi, di fatto, quello
che è venuto fuori, attraverso il progetto Immaginare Corviale, ha avuto una
prosecuzione all’interno del CdQ II e dei programmi istituzionali. […]. La
progettazione esecutiva è stata conclusa e consegnata. Pronta per essere mandata
in gara. In questo moneto le gare sono state bloccate, ma noi speriamo che al più
presto ci sia modo di attuare quello che il CdQ II prevede e di regolarizzare gli
alloggi. […]. Il lavoro svolto da Immaginare Corviale si è comunque inserito nei
processi di trasformazione per quanto riguarda il CdQ II. Adesso si spera che il
lavoro non sia stato del tutto vano.» (Appendice)
Tutti i finanziamenti pubblici dei CdQ sono ancora disponibili alla Cassa dei fondi
prestiti. Alcune iniziative private sono andate avanti sia nel CdQ sia nel PRU.
Molte delle prospettive progettuali maturate durante l’esperienza Immaginare
Corviale, come conferma il responsabile del Laboratorio Territoriale Mauro
Martini sono rimaste ancora sulla carta.
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I cittadini invece «sono stati molto spiazzati dall’idea che la nuova giunta
regionale ha detto: demoliamo Corviale! E arrivederci e grazie... quindi sono
dovuti tornare indietro di dieci anni e ricominciare, non da che cosa si fa, dal
punto di vista artistico, ma a difendere Corviale.» (Appendice)
L’abbattimento non è stato voluto, quindi il recupero dell’edificio, visto nel
quadro delle misure intraprese negli anni ’90 e nelle scelte politiche del Comune
di Roma attuali, ha avuto la caratteristica di avere interventi integrati che hanno
tentato di innescare effetti che tenessero attiva la cittadinanza, anche in fase post-
progetto, in una prospettiva di sviluppo locale, piuttosto che imporre solo
interventi distruttivi che portano alla repressione di fenomeni degenerativi.
In definitiva come afferma Mauro Martini: «è molto di più quello che di Corviale
è rimasto nella mente e nel cuore, nell’esperienza degli artisti che lo hanno
frequentato, di quanto loro stessi abbiano lasciato sostanzialmente a Corviale o di
quanto Corviale abbia ancora tracce di quell’evento di sei anni fa. Mentre tutti gli
artisti, che ogni tanto ho ricontattato e ancora sento, parlano con grande interesse
di questa loro esperienza, i cittadini invece non ne parlano affatto, quindi questo
servirà a riflettere sul senso delle cose.» (Appendice)
La progettazione partecipata ha sviluppato in questo quadro di sperimentazione,
un modo originale ed efficace di innescare processi creativi ed innovatovi ma che
purtroppo con il passare del tempo non ha prodotto in Corviale un attecchimento o
un cambiamento di tipo culturale.
Secondo Mauro Martini, esiste l’esigenza di una seconda stagione forte
dell’esperienza fatta e anche del clima che sta cambiando. «Sfruttare le direttive
europee sui Fondi Strutturali 2014-2020 che stanno per arrivare a sostegno delle
politiche economiche dei vari stati e che sono orientati a sostenere la creatività.
Tutti i quartieri e le città che dimostreranno di avere una vitalità culturale, creativa
ed artistica, associata possibilmente ad un’attività di innovazione produttiva,
saranno premiate e in questo senso aver fatto dei tentativi di attecchimento di arte
in periferia può essere una delle condizioni per verificare se c’è un futuro più
stabile dal punto di vista delle frequentazioni artistiche delle periferie.»
Esiste l’esigenza di una struttura, da dare a questo tipo di sperimentazioni.
Professionisti del settore artistico che sono in grado di sperimentare la creatività e
l’arte pubblica partecipata. Senza la professionalità vengono a mancare i giusti
equilibri tra azione e ricerca e tra artisti e istituzione. Rapporti che andrebbero
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regolarizzati a priori.
Immaginare Corviale è stato un progetto che ha avuto il suo percorso sviluppato
in preciso arco temporale, e che ha avuto un finanziamento terminato il quale è
terminato anche il progetto. L’iniziativa culturale ed artistica più rilevante è stata
la creazione di Corviale Network. Dove la Fondazione Adriano Olivetti ha avuto
la cura di mettere a disposizione soggetti qualificati: un regista, degli operatori
capaci di fare delle riprese, persone che hanno scritto un palinsesto ecc...
«[…] Una volta finita l’iniziativa finanziata […], gli abitanti non hanno preso la
palla al balzo è hanno continuato. Gli abitanti di Corviale, specialmente i giovani,
non hanno cultura di impresa, non sono mai stati abituati a pensare che loro
possano mettere su un’impresa, quello che chiedevano era: chi ci assume? Quanto
ci piace fare i dipendenti di una TV privata, ci assumete? Avevano un
atteggiamento di tipo passivo, non hanno la forza né il coraggio per mandare su
un’iniziativa d’impresa. Questa è stata un’altra delle cose su cui bisognerebbe
lavorare.» (Appendice: Mauro Martini). I costi delle “animazioni” e della
partecipazione non potevano esser prolungati nel tempo, idee politiche diverse e
nuove decisioni verranno prese per Corviale.
Questo lungo percorso che è avvenuto tra arte e riqualificazione urbana ha visto
protagonisti molteplici attori provenienti da diversi campi di studio. Un percorso
nel quale si sono intrecciate idee ai fabbisogni degli abitanti e soluzioni da parte
delle istituzioni e degli artisti. Di fondamentale importanza è stata la fase di
accompagnamento dei mediatori nel processo che diventa l’unica e sola vera parte
determinante dell’intero progetto Immaginare Corviale. Esperienza che ha
permesso di cogliere nuovi stimoli e nuove idee, sia per nuove sperimentazioni
culturali da applicare in futuro, sia per coglierne il senso della partecipazione
multidisciplinare. In generale si può affermare che in un percorso quello che conta
non è sempre il risultato, ma il cammino durante tutto il processo. Immaginare
Corviale penso che lo abbia dimostrato. Secondo gli esperti di IsCult (2010) «i
risultati del progetto sono stati indubbiamente significativi ed hanno generato un
modo diverso di rapportarsi a Corviale. Ancora oggi, nella letteratura scientifica
in materia di politiche culturali innovative e di sperimentazione artistica sul
territorio, l’Osservatorio Nomade di Corviale appare come un’esperienza
stimolante, e si lamenta unanimemente l’interruzione del progetto».
La presenza dell’Osservatorio Nomade ha permesso di osservare il contesto in
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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maniera trasversale. Un ambito di sperimentazione culturale che và sicuramente
maturato e analizzato. Come afferma il responsabile dei processi artistici
dell’Osservatorio Lorenzo Romito: «debbo dire che diverse esperienze di
partecipazione passate ma anche recenti hanno dimostrato che l’arte e gli artisti
sono diventati i nuovi protagonisti o il nuovo strumento che serve a dare
credibilità ad alcuni processi, lì dove per decenni, non hanno mai funzionato.
Ecco, quindi stare da quella parte, cioè dalla parte dell’artista, a mio modo di
vedere, non è bello, e infatti ci siamo voluti sottrarre. Ma oggi abbiamo maturato
con più chiarezza questo processo artistico avvenuto a Corviale, ne abbiamo fatto
oggetto di riflessione e di studio. […] L’unica esperienza che mi è rimasta nel
cuore è sicuramente la creazione di Corviale Network, è stata giocosa, divertente
e coinvolgente. Strumento messo nelle mani di chi a volte si sente “incapace di
fare qualsiasi cosa” come i cittadini.» (Appendice).
Il gruppo dell’Osservatorio Nomade era pronto a mantenere la posizione sul
territorio ed era pronto a produrre ancora feedback positivi sul territorio, ma
successivamente si interruppe il rapporto con il Comune di Roma. La fine del
progetto è lamentata da diverse voci di professionisti che vorrebbero un'altra
stagione per rinnovare le progettazioni, nuove delle idee maturate fini ad oggi.
Questo tipo di sperimentazione culturale è risultata interessante e coinvolgente sia
nella misura in cui si è dimostrata efficace nella partecipazione con i cittadini, sia
nello sperimentare nuove forme di progettazione per la riqualificazione dei
quartieri degradati. Ad oggi vanno maturate e analizzate molte idee per ovviare a
problemi che potrebbero verificarsi in futuro. La cultura, quale punto centrale
delle nuove politiche europee dovrebbe far riflettere sulle possibilità e sulle
capacità amministrative di saper sperimentare nuove pratiche e politiche per il
territorio.
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3.2.5 Riflessioni conclusive
Mi risulta infine dare delle riflessioni critiche per quanto riguarda i linguaggi
adoperati dall’Osservatorio Nomade che ricadono su un approccio essenzialmente
multidisciplinare ed esplorativo, (vedi paragrafo 4.2.3 L’Osservatorio Nomade le
sperimentazioni e le applicazioni su Corviale) linguaggi capaci di fare emergere
benefici a carattere immateriale, in quanto lo spazio pubblico diventa tale
mettendo all’operato persone, opportunità e interessi comuni. Il gruppo ha cercato
di individuare fin dalla fase iniziale del progetto Immaginare Corviale, tutte le
potenzialità del contesto e in particolare l’individuazione di microtrasformazioni
dello spazio pubblico che evidenziano le “tattiche di sopravvivenza indotte dai
molti errori progettuali” (Careri F. 2006b). Successivamente il coinvolgimento e
l’incrocio con altre professionalità ha portato a costruire network temporanei utili
per l’interazione collettiva con il Laboratorio Territoriale: processi che hanno
avuto più di un fine progettuale e trasformativo di proiezione futura (considerando
i finanziamenti legati al ‘PRU Corviale’ e al ‘CdQII’). Ed è proprio in questa fase
che si sono create confusioni e sovrapposizioni di linguaggi. ‘L’Osservatorio
Nomade’, pur avendo creato dei legami con i cittadini, coinvolto diversi ambiti
disciplinari e cercato di interagire con i processi partecipativi in atto del
Laboratorio Territoriale, ha adottato una metodologia che, a mio parere, non ha
portato i risultati previsti se non quelli legati al progetto artistico in sé. Le
difficoltà dell’operato dell’Osservatorio Nomade ricadono nel non aver avuto la
possibilità o il tempo di far maturare i fattori culturali nelle politiche urbane in
atto, anche se hanno alimentato i finanziamenti per il CdQ II e il PRU Corviale.
Aver analizzato un caso come Immaginare Corviale è stato utile proprio in virtù
di aver considerato sia gli errori sia gli spunti progettuali come, forse, utili
riflessioni per prossime progettazioni sperimentali in ambito culturale, poiché
deduco, dopo le varie esperienze analizzate, che la sperimentazione culturale è
sicuramente un importante anello del motore della pianificazione strategica.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
~ 115 ~
Bibliografia Immaginare Corviale
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Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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4. L’arte come “strumento per..” Riassumendo quanto detto, il ruolo della cultura diventa cardine per la
sperimentazione culturale sviluppando esperienze innovative sul tema della
riqualificazione urbana. Inserendosi in una pianificazione di tipo strategico,
integrato e partecipato, ha caratterizzato il contesto romano ed in particolar modo,
da più tempo, il contesto torinese.
L’arte quindi, secondo le accezioni finora descritte, identificabili nella pratica
estetica ed artistica, si è posta non solo come fattore di integrazione fra linguaggi
e culture diverse nello spazio pubblico, (che a nostro avviso necessita di una
“traduzione” ponendo l’arte come facilitatore, fattore d’interpretazione,
esplorazione e mediazione) ma anche come ‘strumento’ per il rafforzamento delle
politiche urbane (inteso come «mezzo per» e non come «mezzo
strumentalizzato»). «Gli interventi artistici quindi come pratiche che possono
aggiungere elementi per la progettazione di politiche innovative che attingono da
un approccio sperimentale, episodico, a volte effimero» (Inguaggiato, 2009b:
233).
Non bisogna quindi considerare la strumentalizzazione dell’arte bensì la sua
capacità di creare linguaggi maggiormente comprensibili per la sollecitazione
dell’immaginario collettivo; porsi nella parte preliminare del processo, stando alle
premesse delle soluzioni tecniche, elaborando idee, ponendo interrogativi,
sviluppando ipotesi creative capaci di creare curiosità esplorativa; nella capacità
di produrre spazio urbano, tramite l’intreccio di vari attori, desideri, aspirazioni e
responsabilità; nella capacità di agire dal basso e con mezzi propri individuando
altri scenari e innescando reti di relazione; ecc...
La presenza dell’arte nei processi urbanistici ha portato indubbiamente dei
risultati che nel caso contrario non si sarebbero raggiunti. Il valore aggiunto
dell’arte non è univocamente definibile ma è riconoscibile nei processi analizzati.
L’attivazione dei laboratori interdisciplinari dei casi esaminati, confluiti nelle
politiche urbane attuate, in maniera più o meno efficace, ha permesso di lavorare
in un unico spazio in maniera sinergica al fine di una gestione democratica dello
spazio urbano. In queste capacità non conflittuali, in cui si vede una rinnovata
azione per la città, possiamo riscontrare relazioni sociali: dove è esistita una forte
volontà di ricostruire delle relazioni all’interno di un quartiere; miglioramento
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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della qualità ambientale: microazioni che restituiscono al cittadino, in maniera
puntuale e simbolica, alcuni servizi; e strategie: che hanno avuto modo di
rimettere in relazione, anche abbattendo stereotipi o disagi reali, quartieri con il
resto della città.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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4.0 Elementi caratterizzanti e dimensioni progettuali comuni tra processi artistici e politiche urbane
L’arte e gli artisti hanno avuto modo di entrare nel processo di riqualificazione
urbana come esperti, facilitatori e mediatori in un processo che tuttavia non aveva
l’intenzione di promuovere l’arte nello spazio pubblico, ma di realizzare un
progetto urbanistico di grandi dimensioni. In questo processo, l’arte attraverso
ingenti finanziamenti economici è stata posta come mezzo per veicolare interessi
di un progetto della durata di molti anni. Sia nel caso torinese che in quello
romano è possibile delineare degli elementi caratterizzanti comuni con cui è
possibile leggere e capire cosa la pianificazione in termini di apprendimento ne
può trarre. A partire dall’analisi dei casi studio a cui mi sono sottoposto portando
un aggiornamento tramite le interviste degli attori del processo e appoggiandomi
alle ultime riflessioni del dibattito nazionale56, mi sembra utile sviscerare dai casi
studio alcune dimensioni dei processi di integrazioni tra politiche urbane,
pianificazione territoriale e processi artistici:
4.0.0 Approccio all’apprendimento e all’analisi di contesti
In questa prima fase si pone con molta forza il processo artistico, poiché come
detto precedentemente, forse è qui che l’arte con i suoi mezzi si potrebbe
collocare nella fase preliminare del piano.
L’approccio, per entrambi cognitivo ed esplorativo, mira verso una qualità del
luogo immaginario e fisico ideale che ha puntato verso un’azione e una
conoscenza del contesto con tecniche e processi differenti per ognuno dei casi
studio.
Per quanto concerne il modello ‘Nuovi Committenti’ la scelta di indagine ricade
in piccoli contesti, da qui la strategia per l’apprendimento diventa semplificata. Il
modello nella fase preliminare (è stato così sia per ‘Nuovi Committenti a
Mirafiori - 2008’ sia nelle applicazioni più recenti come ‘Nuovi Committenti a
Barca - 2012’) di esplorazione si è servito degli artisti come esploratori della città
con il fine di creare una mappatura delle trasformazioni cercando di raccontare il
contesto in maniera diversa. Aprendo un dialogo, ponendosi all’ascolto e
all’apprendimento delle richieste del cittadino, cercando così di cogliere i desideri 56 cfr. Capasso D., 2010; Cognetti F., 2006; dell’Olio A., 2009; Inguaggiato V., 2010b; Uttaro A. M., 2010.
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e le aspirazioni per il miglioramento della qualità della vita. Il caso di Claudia
Losi57 ad esempio ne è una testimonianza.
L’approccio dell’Osservatorio Nomade a Corviale in questa fase ha reinventato e
riadattato la pratica situazionista della dèrive. Con la sua attitudine all’ascolto,
l’Osservatorio Nomade a Corviale ha voluto riproporre la pratica esplorativa e
conoscitiva del contesto raccontandone così lo stato di fatto con occhi diversi,
percependone lo spazio e l’uso che l’abitante ne fa.
4.0.1 Approccio al problema
In questa fase i contributi artistici, intrecciati alle esigenze dei piani e programmi
in atto, identificheranno il problema riducendo la scala al rapporto cittadino-
contesto. In questo rapporto si individueranno le esigenze dei cittadini per una
migliore qualità del luogo e dello spazio pubblico. In entrambi i casi si è attivata
una politica delle domande relative allo spazio pubblico, che ha fornito delle
indicazioni progettuali per le aree interessate. Nel modo di agire, gli artisti si sono
posti come recettori di esigenze da esternare ai processi di progettazione.
Nel caso Nuovi Committenti notiamo come in maniera più ampia, il gruppo di
a.titolo, (come anche l’ideatore del modello francese F. Hers), si sia posto il
problema della complessità dello spazio pubblico, in questo senso è difficile
decifrarne esigenze e priorità per risolverlo. La cura è sicuramente uno dei primi
passi da raggiungere e non a caso il Transatlantico58, (come anche le altre
committenze), ha dato modo di recuperare uno spazio conteso, riadattandolo e
trasformandolo alle esigenze del quartiere.
L’Osservatorio Nomade ha puntato molto alla trasformazione, anche se esisteva
già la consapevolezza di non poter raggiungere un così complesso traguardo. I
molteplici dibattiti intorno al Corviale, e le priorità per cui preoccuparsi si sono
finora ridotti a interventi singolari e tante volte isolati. Non è il caso
dell’Osservatorio Nomade, poiché il gruppo ha lavorato con flessibilità e massima
concretezza per evidenziare le esigenze e le potenzialità del contesto. Per questo
motivo l’atteggiamento inclusivo del gruppo Stalker è riuscito a creare le
condizioni per lavorare a stretto contatto con i cittadini. Le tecniche più svariate
hanno mirato ad un progetto artistico confrontabile sia con il ‘Laboratorio 57 Riferimento al paragrafo: lavorando sul dialogo, chiedendo alla gente cosa vedessero dai balconi e in particolare cosa vedessero nel cortile d’intervento. 58 Riferimento al paragrafo: 3.1.3 L’esplorazione del territorio e le opere delle committenze.
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Territoriale Roma Ovest Corviale’ sia con gli abitanti del luogo.
4.0.2 Modalità di trattamento del problema
I progetti di ‘Arte Pubblica’ in questione sono stati, anche se con misure diverse,
sperimentazioni culturali efficaci ai processi partecipativi ed ai processi di
riconversione e riqualificazione dello spazio pubblico. Un’arte utile alla
pianificazione strategica ma in particolare uno ‘strumento’ in più con il quale la
pianificazione può avvicinarsi al suo obiettivo mostrando una diversa efficacia
rafforzando i processi inclusivi, in cui i cittadini diventano protagonisti nella
costruzione di programmi di sviluppo locale, che aggiungono complessità alle
questioni introducendo elementi nuovi e risorse per il trattamento dei problemi.
Progettazione interattiva, ascolto e processi evolutivi di auto-organizzazione che
colgono il senso della partecipazione multidisciplinare, sono tutti processi
orientati verso un «esercizio cosciente di responsabilità aprendo nuove
prospettive alle pratiche della partecipazione.» (a.titolo, 2004:31). In entrambi i
casi è avvenuto un processo di accompagnamento, fondamentale per la
mediazione tra le parti e che ha necessitato di un aiuto istituzionale e associativo
che ha funzionato sia da controllo dei processi, che da regia; si è cercato di
mantenere un equilibrio fra ricerca ed espressione creativa; nei processi si è
considerata una cittadinanza attiva pronta a far fronte alle proprie necessità e a
quelle collettive: processi identificabili nei tavoli sociali, forum e partecipazioni
tese a promuovere consapevolezza ed auto-organizzazione, per il bene pubblico.
In effetti, sia il ‘Tavolo Sociale’ (in rifermento ai processi partecipativi attuati dal
‘Progetto Speciale Periferia’ Torino) che il ‘Laboratorio Territoriale Roma Ovest
Corviale, per la partecipazione’ sono stati capaci di integrare progettazioni
innovative con approcci funzionali, che fino a qual momento non erano stati
provati prima.
Per quanto concerne il processo Nuovi Committenti, come denota Francesca
Comisso alla domanda: Cosa avete portato al lavoro già in atto nell’ambito del
Tavolo Sociale e conseguentemente al programma Urban II?
«Lo abbiamo essenzialmente potenziato, abbiamo scelto di operare in sinergia
piuttosto che in totale autonomia. Abbiamo ovviamente avuto un’autonomia
metodologica e operativa scegliendo di potenziare delle azioni già in atto,
soprattutto nella prima committenza che ci ha permesso di lavorare con Massimo
Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Bartolini nella ‘Cappella Anselmetti’[...]. Questa committenza nasce dall’avere
intuito una naturale coincidenza tra noi e la cittadinanza attiva: da una parte
c’erano gli insegnanti che partecipavano, (un gruppo particolarmente attivo di
insegnanti delle Scuole Elementari e dell’Infanzia del circolo “Franca
Mazzarello” e della Scuola Media “Alvaro-Modigliani”) lavorando in questo
processo innovativo sulla questione della memoria e dell’identità [...] e dall’altra
ovviamente la nostra pronta a costruire la nuova committenza. L’intenzione delle
committenti era quella di creare un archivio di esperienze didattiche e di materiali
sul quartiere che venivano prodotti durante questa esperienza, un’esigenza
accompagnata naturalmente al desiderio di ristrutturare questa piccola Cappella
settecentesca, effettivamente l’unica traccia architettonica di un passato antico e
pre-industriale, una cappella che faceva parte di un complesso e di una cascina
(Cascina Roccafranca), che testimoniano un passato prettamente agricolo. Il
progetto ‘Urban II’ prevedeva ad esempio il restauro della cascina ma non quello
della Cappella, [...] (stava un po’ fuori dalle prime necessità e dalle urgenze). Noi
ci siamo dovuti permettere di recepire questa prima richiesta nel succedere in un
principio di funzionalità, poiché appunto, recuperando questo desiderio delle
maestre di un laboratorio e mettendolo insieme al recupero della Cappella, (che
tra l’altro era inserita nel giardino delle scuole), si è trovata una ragione e una
funzione per dare spazio a questo immaginario desiderato, si è quindi creato il
‘Laboratorio di Storie e Storie’, riuscendo così a trasformare e recuperare il
patrimonio storico riadattandolo al contesto e restituendolo alla cittadinanza.»
In Immaginare Corviale, invece, il progetto di arte pubblica gestito
dall'Osservatorio Nomade e gli Stalker, il rapporto committente-artista, in questo
complesso processo di arte pubblica partecipata, ha implicato un certo grado di
controllo da parte delle istituzioni. «L’esperienza di Corviale è un punto di
partenza per una necessaria riflessione sul ruolo che può rivestire
l’amministrazione “committente” di progetti di arte pubblica, affinché la libertà
degli artisti non sia troppo vigilata e le esigenze dell’amministrazione e della
cittadinanza siano comprese e interpretate dagli artisti che operano sul territorio.»
(Martini M., 2006).
Come denota il responsabile del progetto artistico a Corviale Lorenzo Romito alla
domanda: la creatività e l’arte sono riuscite a progettare e coinvolgere i cittadini
e quali sono stati i risvolti positivi?
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«Immaginare Corviale è stato, tra i pochi in Italia, un tentavo progettuale di Arte
Pubblica. Noi dell’Osservatorio Nomade, siamo stati [...] coinvolti come soggetto
artistico, ci siamo introdotti come soggetti di partecipazione e abbiamo cercato di
favorire la partecipazione. Ci siamo trovati in una “strana” combinazione con il
‘Laboratorio Territoriale Roma Ovest Corviale’ in un miscuglio tra arte e
partecipazione che non avevo mai sperimentato. Per esempio nel creare la
televisione di quartiere, che poi ha prodotto alcune puntate […], abbiamo
coinvolto i giovani in questo contenitore chiamato Corviale Network. Per quanto
riguarda invece la progettazione partecipata siamo riusciti a stabilire dei rapporti
con gli abitanti del quarto piano, ma abbiamo avuto delle divergenze con
l’amministrazione pubblica.» Francesco Careri, alla domanda: Quale è stato poi
nei tavoli partecipativi il rapporto con il Laboratorio Territoriale?
«Premettendo che c'era in atto un CdQ II con un investimento di dieci milioni di
euro, di cui, […] sei messi dalle Regione e quattro dal Comune. I trentacinquemila
euro dati a noi per fare questo progetto di Arte Pubblica è durato alla fine due anni
e abbiamo coinvolto più di cinquanta persone.[...] Da parte nostra c'era un
impegno enorme perché ci interessava il tema, ci appassionava sperimentarci
come ‘Osservatorio Nomade’ nella formazione di un network. […] È stata creata
una rete di partecipazione e coinvolgimento dei laboratori successivamente
pubblicata in DOMUS nel 2005. [...] Nel percorso abbiamo trovato non poche
difficoltà, perché nel nostro percorso artistico si sono evidenziate delle divergenze
con il referente comunale. Però questo è normale quando si lavora con i poteri
pubblici. Successivamente, un finanziamento parallelo, [...], è stato investito sul
quarto piano e sono stato coinvolto anche in quello, collaborando così ai progetti
architettonici insieme ad ellelab. Ci abbiamo lavorato per più di cinque mesi
diventando così la base per il concorso del quarto piano [...].»
In definitiva le modalità del trattamento dei problemi in entrambi i casi hanno
portato a sollevare ulteriori questioni, in particolare nel caso romano. L’arte ha
sicuramente aggiunto elementi nuovi per la gestione delle problematiche della
città contemporanea. Gli approcci dimostrano che quando l’arte incontra le
dinamiche delle politiche urbane in atto, i processi per i quali si sottopongono
sperimentazioni, possono avere semplificazioni con risultati auspicati, come nel
caso Nuovi Committenti, o costituire un tavolo di confronto che mette in luce
ulteriori questioni e complessità, come nel caso di Corviale.
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Riflessioni conclusive In conclusione vorrei propinare delle riflessioni personali sul progetto di tesi
affrontato. Dall’inizio mi sono sempre interrogato su come l’arte sia in grado di
mettersi in simbiosi con le politiche urbane e come il sistema italiano coadiuvi
l’esistenza di mondi apparentemente separati. Il panorama italiano odierno vede
una deriva, in cui lo spazio pubblico viene privatizzato e i margini della città
contemporanea caratterizzati dalla ghettizzazione e dai processi di urbanizzazione
‘selvaggia’. Dopo diversi anni di studio dedicati alla città e alle sue mutevoli
trasformazioni mi sono accorto che esisteva la possibilità di poter uscire fuori dai
binari delle discipline urbanistiche tradizionali, in particolare quelle prettamente
tecniche, seguendo così un percorso trasversale come quello dell’arte. Il mondo
della pianificazione e della progettazione della città e del territorio, ad oggi
necessita di ibridazioni disciplinari come d'altronde anche il mondo dell’arte. La
città è sempre stata caratterizzata dall’occhio artistico in particolare nel contesto
italiano e nella crescita delle nostre città, questo la storia lo testimonia. Ad oggi
tutte le pratiche artistiche e le pratiche urbanistiche, pur agendo nello stesso
spazio, hanno avuto la tendenza ad affrontarlo in maniera separata. Lo spazio
pubblico, divenendo complesso nel tempo, ha visto la confluenza di svariate
dottrine. La mia indagine ha riflettuto infatti su un punto d’incontro di due
discipline apparentemente separate che riscoprono così un’ibridazione
rinnovatrice (dell’Olio, 2009). La mia non è una richiesta di efficacia e non
pretende esaustività ma vuole dare voce a degli aspetti che altrimenti non
emergerebbero.
La scelta di dare rilievo a questi processi nasce dal desiderio di poter realizzare e
modificare, con i mezzi che l’arte mette a disposizione, uno spazio pubblico che
vede nell’onnicomprensività del piano l’unica azione possibile; esiste però
l’esigenza di avere un atteggiamento più pragmatico e realistico «disposto a
“mettere in scena” e far emergere le istanze piuttosto che tenere nascosti i temi
cruciali su cui è opportuno lavorare e infine interessato a tenere in tensione
questioni che altrimenti si perderebbero e si tralascerebbero nella lunghezza di un
piano (Sennet, 1999) o ancora ad intraprendere percorsi ed azioni che possono far
intravedere forme innovative di pianificazione mettendole da subito in campo.»
(Inguaggiato, 2009: 234).
La difficoltà di intervenire nelle giuste tempistiche mette in azione varie sinergie:
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«Ogni singola buona azione, che parte da ogni cittadino, equivale ad un buon
gesto che deve assolutamente migliorare i nostri luoghi di vita. Luoghi in cui poter
giocare, ricreare e incontrare nuova gente […] Le nostre usanze, fatte di piccoli
gesti quotidiani, ormai persi in una società in continuo mutamento […] Per questo
è giusto ricominciare dai nostri spazi creandoli insieme59. […]». (Mendola G. L.,
2006). I progetti artistici, dalle mie esperienze dirette e dai casi studio analizzati,
hanno avuto modo di far collaborare i cittadini verso il ripensamento dello spazio
e verso il confronto con i poteri pubblici. L’arte in questione ha dato modo di
porsi nella fase preliminare del piano avendo la capacità di alimentare ulteriori
riflessioni per la pianificazione e per il rafforzamento delle politiche urbane
attuate.
59 La citazione fa riferimento ad alcuni progetti artistici dedicati alla valorizzazione degli spazi pubblici di Milena (paese in provincia di Caltanissetta) a cui mi sono dedicato da alcuni anni tramite l’operato collettivo e l’impegno dell’associazione culturale “Laboratorio Erbatinta”. «L’Associazione Culturale “Laboratorio Erbatinta” è iscritta nel Registro delle Associazioni non riconosciute dal 10 agosto 2007 con sede in Milena in Via M. D’Azeglio n. 16. L’intento dell’Associazione è quello di realizzare un vero e proprio cantiere sociale che, nel nome di interessi culturali, contribuisca alla funzione di maturazione e crescita umana e civile attraverso l’ideale dell’educazione permanente. L’Associazione è pensata come un’officina, appunto un “Laboratorio”, dove sperimentare continuamente nuove forme d’espressione artistiche, musicali, letterarie e dove sviluppare nuovi linguaggi di comunicazione. Il “Laboratorio Erbatinta” vuole essere un nucleo propulsore di diffusione della cultura affermandone con forza il suo profondo significato sociologico, dunque collettivo e partecipativo. L'evento più rilevante è il “Robba Rock”: una festa popolare itinerante diretta alla riscoperta urbanistico-architettonica delle Robbe, quali elementi caratterizzanti la storia della vita sociale “milocchese”, e alla riappropriazione di questi spazi, visti come luogo di aggregazione popolare e momento di incontro e confronto di idee. Le prime quattro edizioni hanno avuto come scenario le piazze di “Robba Bonfiglio” i l 27 Agosto 2006, “Robba Cardiddu” il 22 Agosto 2007, “Robba Cassenti” il 13 Agosto 2008 e “Robba Cannieddri” il 13 Agosto 2009, riuscendo ad accogliere in questi luoghi, ormai caratterizzati dalla quasi scomparsa del tessuto sociale, un’affluenza considerevole coinvolgendo oltre la popolazione locale anche quella dei paesi del Vallone. L’attenzione che spinge l’Associazione a realizzare questa manifestazione muove dalla profonda esigenza di momenti culturali aggregativi realizzati con musica dal vivo, arte di strada, estemporanee di pittura, giocoleria e tutto accompagnato dalla degustazione di prodotti tipici enogastronomici.» (http://laboratorioerbatinta.wordpress.com/pagina-iniziale/chi-siamo/)
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Bibliografia
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Appendice
Interviste degli attori dei processi (Nuovi Committenti e Immaginare Corviale )
Maria Alicata – Intervista del 12/10/2012 Maria Alicata è una dei responsabili dell'Area progetti e ricerche della Fondazione
Adriano Olivetti insieme a Beniamino de’Liguori, Carino e Matilde Trevisani,Viviana
Renzetti. Conosce profondamente l'esperienza romana Immaginare Corviale, che ha
costituito una delle sperimentazioni culturali più rilevanti nel panorama italiano, ed è stata
la responsabile del processo Nuovi Committenti a Torino Mirafiori Nord, insieme a
Bartolomeo Pietromarchi (2000-2008). Un modello che di recente è stato applicato in
altre esperienze del territorio italiano.
In quanto responsabile dell’are progetti della Fondazione Adriano Olivetti cosa
mi può dire riguardo al progetto Immaginare Corviale di Roma, e come esso è
collegato alla progettazione del modello francese Nuovi Committenti?
Innanzi tutto bisogna spiegare cos’è Nuovi Committenti: è un modello francese
che è stato ideato da un artista e adottato in Francia e promosso dalla Fondaction
de France, associazione che applica un certo di grado di filantropia a vari livelli.
Negli anni si è occupata di un programma chiamato Mecenà (Mecenati) che era
incentrato su progetti artistici. Chi si occupava di quella parte di programma era
appunto l’artista F.Heries che ha deciso di prendersi il rischio di mettere l’arte al
centro di una serie di cambiamenti sociali in contesti particolarmente necessari
partendo dalla domanda dei cittadini del contesto. In Francia in questi quindici
anni sono stati fatti centinaia di progetti anche perché la Fondazione dava un forte
sostegno per la realizzazione, in Francia esiste una struttura politica molto più
delocalizzata rispetto a quella italiana, ci sono autonomie locali molto più forti. In
Italia si è deciso di portare Nuovi Committenti poiché aveva delle affinità molto
forti e vicine al pensiero di Adriano Olivetti riguardo all’intervento sulla
comunità, come creare senso di appartenenza e identità nei luoghi attraverso
interventi di tipo architettonico e artistico sul territorio. Negli anni 2000 il
contesto ideale era Torino, dove esisteva una consapevolezza amministrativa
molto forte sul tipo di intervento, dove uno degli assi strategici della città era ed è
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ancora l’arte e la cultura. In quegli anni esisteva un piano strategico allineato su
questo tema, un contesto ideale e con la consapevolezza di cosa si andava
incontro, investendo sulla cultura in cui c’era l’occasione del programma
URBAN, all’uscita del bando, la Fondazione Adriano Olivetti (che all’epoca
aveva legami molti forti con le fondazioni bancarie in particolare San Paolo e
CRT) si è proposta e i fondi sono stati destinati al quartiere Mirafiori Nord. In
ogni caso dovevano essere investiti per interventi artistici, ma questa volta la
metodologia era improntata sul modello Nuovi Committenti. È stato un modello
applicato dalle linee guida del progetto originario. Quello che conta del progetto
non è l’opera in sé ma il processo, “fare più attenzione alla traiettoria che al
bersaglio, al processo che non all’obiettivo”.60
Gli attori coinvolti sono stati: il cittadino committente che nel caso di URBAN è
stato individuato, a fianco la collaborazione dell’ufficio Urban II che era fisso sul
quartiere, un gruppo di mediatori culturali (curatori ed esperti d’arte che hanno
una propensione al dialogo) e l’artista.
Il cittadino viene aiutato dal mediatore nell’individuare la loro richiesta.
La richiesta del committente viene codificata e sintetizzata dal mediatore.
(possono durare anche anni questi casi di mediazione – il caso Mirafiori in effetti
è durato 5 anni).
Una volta che viene individuata l’esigenza del cittadino committente viene
commissionata l’opera all’artista che realizzerà qualcosa che deriva dalle necessità
dei cittadini.
Come opera non intendiamo la scultura o l’opera site specific ma interventi
artistici come la biblioteca, il parco giochi, un’aiuola e della scultura abitabile
progettata per un gruppo di adolescenti.
L’elemento fondamentale è la mediazione che nel caso di Torino è riuscita molto
bene. Con una lunga fase di accompagnamento (per i laboratori e per
l’individuazione di quella che era la domanda) il progetto riesce perché
l’intervento artistico è qualcosa su cui tu ti identifichi, sei tu che l’hai chiesto e
corrisponde alla tua esigenza, questo fa sì che si crei un grande senso di
appartenenza verso l’opera. Tu cresci nel gruppo di cittadini perché hai
partecipato insieme ad altri cittadini per realizzare qualcosa per la collettività. E
60 Georges Cavallier, L’habitat social au coeur de l’urbanisme, Lione, 4-5-6 dicembre 1995, e Habitat II, Istanbul, giugno 1996.
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quindi si lavora molto su una consapevolezza di una collettività per dare senso di
appartenenza ad un luogo.
Sono stati individuati dei gruppi: le scuole, che si sono dimostrate un grande
catalizzatore di intervento sul territorio poiché la biblioteca è adiacente alla
scuola, si è puntato molto sui giovani, sui ragazzi che non hanno memoria del
luogo etc.. un progetto di riqualificazione che è riuscito a produrre anche un senso
civico maggiore, e come se adottassi l’opera, ne partecipi alla realizzazione per
cui accresce una sorta di orgoglio nato dal fatto che sei riuscito a realizzare questo
intervento.
Il modello del progetto è molto ben strutturato, le Protocole (il Protocollo) dove ci
sono cinquanta punti scritti da F.Hers, dove vengono descritte tutte le varie fasi e
ruoli di vari attori, e poi un altro elemento fondamentale, che per l’Italia è
abbastanza nuovo per quanto riguarda le pratiche artistiche, cioè la
contrattualistica: nel primo step c’è una carta di documento di intenti, che viene
redatta tra i committenti e il mediatore, la prima formalizzazione del desiderio e di
quelle che sono le volontà delle parti, poi c’è il contratto tra il mediatore e il
committente, infine c’è un contratto tra l’artista, il mediatore e i committenti.
Il modello è molto valido, o almeno per quella che è stata la mia esperienza, anche
perché a Torino in quel periodo era la condizione ideale. La stessa metodologia
l’ho continuata ad applicare anche in altri contesti: per un intervento in
un’Università privata a Roma e ti accorgi di come questo processo di mediazione
crei proprio un appartenenza del progetto, si crea anche un accompagnamento che
c’è nella mediazione, anche perché il mediatore fa un lavoro di traduzione.
Per adesso stiamo cercando di applicare il modello nel carcere di Bollate è uno
grosso a Matera e ovvio che a te interessano più quelli a scala urbana.
Quello di Corviale è un progetto propedeutico alla creazione di un intervento
Nuovi Committenti. È un progetto che è stato commissionato dall’Assessorato
delle Periferie del Comune di Roma alla Fondazione Olivetti proprio per lavorare
sull’immaginario del quartiere.
È andata così: c’è stato un approccio con l’Assessorato alle periferie che voleva
lavorare su Corviale però non siamo pronti (e questo è stato deciso in comune
accordo) per Nuovi Committenti, perché è ancora un’area molto complessa,
quello che interessava era lavorare solo sull’immagine del quartiere: come
riqualificare insomma. Prima di arrivare a Nuovi Committenti e applicare un
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progetto propedeutico, la proposta fatta alla Fondazione era quella di lavorare
sull’immaginario di Corviale, un progetto di riqualificazione per l’immaginario
del quartiere. L’arrivo dell’Osservatorio Nomade è stato talmente innovativo da
inventarsi una TV come Tele Corviale. Poi il progetto, dopo un anno non è più
andato avanti, proprio per un discorso di impegno da parte di tutti ma in
particolare dell’amministrazione.
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Intervista Alberto Lalli - 13/11/2012 Architetto ed Urbanista. All’epoca era il Responsabile dell’Area Tecnica del settore
Periferie di Torino nell’ambito del PSP (Progetto Speciale Periferie) della stagione che
va dal 1998 al 2006. Attualmente è dottorando al DIST -Dipartimento Interateneo di
Scienze, Progetto e Politiche del Territorio del Politecnico di Torino.
Come il programma Nuovo Committenti si inserisce all’interno della logica
della programmazione amministrativa?
Nuovi Committenti è stato uno degli assi di Urban. Urban è un programma
europeo istituito nel 2000 fino al 2006. Io ero responsabile del coordinamento
tecnico.
Le opere legate a Nuovi Committenti sono state inserite come del parco lineare di
Parco lineare di Corso Tazzoli. Questo faceva parte del programma di Urban il
quale andava a sistemare tutta una serie di spazi pubblici comprese le aree di
Mirafiori Nord come Via Dini ecc. L’inserimento di lancio se non ricordo male è
stato proprio tramite Urban, il finanziamento totale riguardava oltre 40 milioni di
euro, questi finanziamenti riguardavano anche gli interveti di Arte Pubblica cosa
che in genere è molto difficile al di la dell’applicazione della legge nazionale del
2%, riguardo al finanziamento previsto per le opere di Arte Pubblica.
Per quanto riguarda invece il PSP, al momento non è più attivo mi sembra.
Quale è stata la particolarità del Progetto Speciale Periferie ?
Il PSP è “defunto” dal 2006 per volontà dell’Assessore che è subentrato, il nuovo
settore è cambiato, trattando la rigenerazione urbana e lo sviluppo, ha cambiato
essenzialmente la sua mission. Per rigenerazione urbana si intende intervenire in
parti ristrette di città e rimetterla apposto. Quindi vale attualmente anche per aree
periferiche o aree dismesse.
La sostanza era che derivando da un esperienza di rete di città europee nato in
Francia negli anni ’80 e legata ad altre reti di città dell’euro city chiamato
Economic Development and Regeneration di cui facevo parte. L’approccio che è
stato impostato per il progetto periferie a Torino è stato sviluppato da queste
esperienze insieme alle specifiche del programma Urban I e poi Urban II nel
2000. Le parole chiavi sono sostanzialmente: partecipazione dei cittadini nelle
trasformazioni. Quindi costituzioni di tavoli e di dibattiti e anche decisionali con
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Planning for Real e tecniche di coinvolgimento dei cittadini; un approccio
integrato alle trasformazioni, che significa non occuparsi soltanto della parte
fisica degli interventi, come rifare le strade, piazze, scuole, palazzi ecc., ma anche
collegare questo ad una rigenerazione dal punto di vista economico locale,
culturale e sociale. Una crescita dell’empowerment dei soggetti locali. Questa era
la filosofia di fondo del PSP. Quindi la partecipazione e il processo integrato con
un approccio intersettoriale e andava a coinvolgere colleghi dell’amministrazione
che lavoravano in diversi ambiti: chi nei lavori pubblici, chi di verde pubblico,
chi di scuola, ecc. ma anche operatori sociali, animatori culturali e chi si
occupava del lavoro e dell’occupazione.
Quali implicazioni ha avuto Nuovi Committenti nel PSP?
Nell’ottica di una crescita di una “società locale” che si riscatta rispetto a
deprivazioni di tipo sia fisico che culturale ed economici ecc., si decide di inserire
all’interno dei programmi di rigenerazione fisica, e non solo di quel quartiere,
anche interventi di tipo artistico, progettati con le scuole del quartiere. Ha
sicuramente dato e un contributo alla crescita dell’empowerment dei soggetti
locali: possiamo dire che l’arte fa bene!. In riferimento al progetto specifico ti
riamando all’associazione a.titolo.
Secondo te progetti di Arte Pubblica come Nuovi Committenti ha assunto un
carattere di strumento per il PSP ?
Assolutamente si!
Come giudichi questo tipo di processo che è stato visto a livello europeo come
uno dei migliori processi di governance locale?
Tutto quel processo però fino al 2006!. Nel 2006 c’è stata una cerniera perché
finisce la stagione dei grandi programmi europei sulle città. Le due stagioni d’oro
della rigenerazione urbana per Torino sono state nel ’93 nel ’99 e nel periodo che
dal 2000 al 2006. La programmazione 2006-2013, che è quella ancora in essere,
ha destinato la stragrande maggioranza dei soldi (è una scelta europea) alle new
entry dell’est: la Romania, la Polonia, l’Ungheria ecc., che avevano un ghetto nei
nostri confronti da un punto di vista economico e da un punto di vista
infrastrutturale. I programmi delle città e conseguentemente i fondi, sono stati
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destinato all’estero, e questo è un dato. Poi a Torino nel 2006 a febbraio ci sono
state le Olimpiadi invernali. È stato affrontato un percorso abbastanza grosso da
parte dell’amministrazione e della città per realizzare quello che andava fatto, per
lo svolgere al meglio la realizzazione delle Olimpiadi. Sono stati fatti anche
errori molto gravi, dal punto di vista urbanistico, strutturali e di spese assurde per
le comunicazioni (vabbè!). La città comunque si è molto orientata su quello, e per
questo motivo, ha svuotato di molto le casse comunali. Poi sempre nel 2006 è
cambiata l’amministrazione, cadendo la seduta Chiamparino ne è salita un’altra.
Il nuovo assessore che si è occupato del progetto periferie ha cambiato il modo di
intervenire e a cambiato il nome ad alcuni progetti, sono cambiate molte cose.
Dal 2007 c’è stato un “fuggi fuggi” generale nel settore. Io all’epoca mi occupavo
della parte tecnica e urbanistica, altri colleghi si occupavano della parte socio-
culturale, socio assistenziale e amministrativa. Chi se ne doveva andare poi se ne
andato insomma! Io stesso dopo un anno me ne sono andato. Quelle due stagioni
d’oro per Torino sono partite nel 1993 e terminano nel 2006. Nel ’93 i fondi
strutturali erano destinati alle città ed è proprio l’anno in cui esce la legge che
istituisce e finanzia i Programmi di Recupero Urbano li partì quella stagione che
ormai è tramontata.
Quali sono state le difficoltà e le complessità che avete trovato come pubblica
amministrazione nello gestire i programmi e progetti di rigenerazione in quel
periodo?
Non a caso questi programmi che abbiamo realizzato si chiamano Programmi
Complessi e di Rigenerazione Urbana. La difficoltà è stata proprio quella di
formulare un quadro di interventi che ha al loro interno avevano una grossa
diversificazione di intervento, tanti aspetti sia fisici che non fisici di un ambito
urbano, ma ovviamente dovevano avere tutti una coerenza. Dovevano essere
inseriti in una cornice anche teorica se vuoi, ideare una quadro di riferimento che
in base agli obbiettivi che tu vuoi perseguire delinea dei percorsi e delle linee
guida che poi a volte si declinano in interventi veri e propri. Il tutto però deve
essere concepito come intervento organico che abbia una sua coerenza.
Quindi anche il pezzo dell’Arte Pubblica non è a sestante ma inquadrato in una
precisa logica e ordine. Un percorso di empowerment dei soggetti locali e di
governance (anche se non condivido questo termine!), in cui i cittadini diventano
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i Committenti delle opere. Questo è molto interessante perché riesce a ridare
potere ai cittadini e nello stesso tempo si occupavano di cose di cui non si erano
mai occupati. Un altro aspetto molto interessante, che può essere uno degli effetti
ben calibrati di Arte Pubblica, è che lavorando in questa maniera si ri-crea anche
un notevole senso di comunità locale. Cioè di identità del quartiere, perché i
simboli sono importanti nella vita delle persone e delle società e hanno bisogni di
elementi di decoro. Un’opera d’arte pubblica riconosciuta da tutti diventa
“simbolo” di un ritrovato senso di comunità.
Per quanto riguarda invece un attecchimento maggiore che porti ad un
cambiamento culturale, per la mia esperienza, “appena inizi non finisci più”, nel
senso che finisci a dare elementi, a trasformare la realtà, a coinvolgere le persone
ecc., poi l’esperienza ha dimostrato che “la pianta che abbiamo piantato non ha
attecchito”. I luoghi che vengono abbandonati, come questi dal 2006 hanno
ricominciato a far affiorare problemi di tipo fisico e sociale. Quindi non bisogna
mai abbassare la guardia perché lasciando questi luoghi, poi i problemi
continuano a riaffiorare. Attualmente però non conosco nello specifico la realtà di
Mirafiori Nord, in generale però posso dire che i luoghi marginali non
bisognerebbe mai lasciarli a se stessi, anche dopo stagioni fiorenti per esse.
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Intervista Lisa Parola – 16/11/2012 Lisa Parola è laureata in storia dell’arte moderna a Torino. Fino al 2010 è stata
collaboratrice del quotidiano “La Stampa”. Dal 2011 collabora con il mensile “Italic”.
Dal 2007 è docente a contratto del Master in Management, Marketing e Multimedialità
per i Beni e le Attività Culturali del Corep di Torino. È coautrice di Souvenir d’Italie
(Milano, 2010), Culture e territori (Lecce, 2009), Art Syntomi. Il sistema dell’Arte
Contemporanea tra Torino e Milano(2004-2008), Arte Contemporanea a Torino (Torino,
2004), Creative Europe: on governance and management of artistic creativity in Europe
(Bonn, 2002). Dal 2004 è advisor di DOCVA Careof-Viafarini Milano per il Piemonte.
Ha curato varie mostre in gallerie e spazi non profit. Nel 2008 ha curato il progetto
Superfici sconnesse. Arte follia e immaginari e la relativa mostra a Palazzo Barolo.
Cosa vedi nel futuro di Nuovi Committenti?
Dobbiamo dire che l’amministrazione ha lavorato tantissimo per avere i fondi
europei speciali per tutti quegli aspetti strutturali e culturali. Adesso abbiamo due
applicazioni nuove del modello Nuovi Committenti sempre a Torino però per me
la casa migliore è quella di approfondire il tutto, che è abbastanza complesso,
quello che forse ti manca del caso e proprio l’aggiornamento a mio parere.
Allora, quel percorso a Mirafiori ormai finito era un Urban II invece adesso
stiamo applicando lo stesso programma per un centro giovanile in un area
periferica con un badget molto più ridotto ovviamente, un programma della
compagnia di San Paolo che si intitola ‘Generazione Creativa’, trovi tutto in
internet anche sul progetto ‘Barca’in collaborazione con un collettivo di architetti
di Berlino. E poi ne stiamo iniziando un altro, avremo un primo incontro sabato e
domenica (8-9 dicembre 2012), con Martino Gamper che è un designer di origine
peruviana che vive da molto tempo in Italia. Abbiamo coinvolto un piccolo
comune della cintura di Torino coinvolgendo i giovani e lavorando sugli arredi
urbani. Queste sono le due nuove applicazioni del modello Nuovi Committenti.
L’applicazione è sempre ispirata al modello francese?
Per quanto riguarda il modello francese noi di a.titolo siamo la prima realtà
italiana che ha applicato questo modello, lo abbiamo applicato anche all’interno
di uno spazio museale, un centro d’arte vicino a Cuneo, abbiamo coinvolto un
piccolo pubblico, la nuova committenza che chiedeva una specifica mostra: il
tema, il titolo, ecc.. già è avvenuto l’incontro con gli artisti e sta proseguendo. Lo
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steso modello lo applicheremo a Bologna con uno staff tutto al femminile, un
staff formato da donne all’interno del ‘Mambo’, che è il museo di arte
contemporanea di Bologna.
Attualmente stiamo provando a passare dallo spazio pubblico a uno spazio come
quello del museo, per vedere come questo modello, che alla fine come avrai ben
capito, è molto elastico in ogni sua forma e può sfruttare lo spazio dentro e fuori
del museo, visto che noi intendiamo lo spazio del museo come spazio pubblico.
Come stanno funzionando queste nuove esperienze?
Lavorare nello spazio pubblico non è mai poi tanto ‘così bene’. Questo è un
momento molto difficile non solo come economia ma anche come disagio
sociale. Stanno funzionando bene nel senso che Nuovi Committenti permette non
solo ai committenti-cittadini ma anche al curatore e all’artista di curare lo spazio
pubblico ,che in questo momento, quanto mai in Italia, ha bisogno di cure e parlo
non tanto dello spirito ma dal punto di vista fisico. Voi architetti avete una grande
responsabilità in tutto questo. Tutto sommato sta funzionando bene, non è mai
stato semplice e in questo momento è ancora più complesso. Nel senso che
l’amministrazione più tosto che i progettisti non sono abituati a pensare con e per
strumenti elastici per cui lo spazio pubblico e troppo “normato” è stato pensato e
ideato secondo un modello di cittadino italiano che tendenzialmente a più di
cinquant’anni e ha una casa di proprietà e invece in questo momento la città
sembra qualcosa di più articolato, è molto più complesso. Però stiamo
procedendo su questo con enorme fatica.
Qual è la fatica maggiore?
La fatica è che non siamo ancora pronti ad affrontare un mondo così complesso e
che significa che gli usi i tempi e i modi dello spazio pubblico stanno cambiando
continuamente. È una fatica sicuramente normativa. Ogni volta che intervieni hai
bisogno di assicurazioni, permessi ecc., ma poi c’è anche un disagio sociale che
non riguarda solo gli stanchi ma in generali i giovani italiani, la dove ti muovi
fuori dal centro cittadino e dalla parte più curata incontri i disagi di ogni genere,
per cui stare li è complicato. Per tutti quanti noi è sempre una scommessa.
Implica una responsabilità molto grande rispetto alla collettività. Differenza di
progettisti o educatori noi non abbiamo l’idea di risolvere, perché lo spazio
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pubblico non può essere risolto, c’è sempre lo spazio della prossimità e della
diversità. Sicuramente un punto fondamentale è la “responsabilità”, su cui
tantissimi stanno facendo tesi di laurea, però poi la definizione giusta di spazio
pubblico è sempre molto complessa, gli urbanisti la intendono in modo e noi in
altro. Bisognerebbe dibattere molto su questo.
In Italia c’è una scarsissima consapevolezza dello spazio pubblico perché
viviamo in città e territori molto privatizzati da questo punto di vista, e dunque è
un lavoro ancora più lungo quello del Botton Up , nel senso che tu devi
contemporaneamente fare una forma di accompagnamento a cosa è lo spazio
pubblico. In Italia ma alche molto nei Balcani se c’è l’idea di uno spazio
pubblico tra la quantità di alloggi privati che abbiamo ecc.. è proprio mancante
quella parte li. La crisi aggrava ulteriormente la questione perché ovviamente il
pubblico non ha più fondi per curare lo spazio pubblico e dunque noi diamo una
formula, che non puoi adottare in tutta la città, calcolando la sua grandezza e
complessità, per cui in aree medio piccole con gruppi medio piccoli più provare
ad attivare un percorso con maggior consapevolezza sia rispetto alla cura dello
spazio fisico ma anche sociale. Bisogna lavorare bene e tanto ma soprattutto
convincere le amministrazioni che questo ha un senso, che è la cosa più difficile.
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Intervista Francesca Comisso – 23/11/2012 Francesca Comisso è laureata in storia dell’arte moderna. Ha insegnato storia dell’arte
contemporanea (2003-2009) nel corso di Graphic e Virtual design della I Facoltà di
Architettura di Torino, dove tuttora tiene il corso di Teoria della Percezione Visiva. È co-
curatrice del catalogo generale di Pinot Gallizio (Milano, 2001), di volumi e mostre
dedicate all’artista del cui Archivio fa parte. Ha scritto articoli su riviste e saggi in
volumi e cataloghi, tra i quali Muntadas On Translation (Barcelona 2002), e Muntadas
On Translation: i Giardini (Barcelona, 2005). È coautrice di EccentriCity. Arti applicate
a Torino 1945-1968 (Torino, 2003), Arte Contemporanea a Torino (Torino, 2004),
Torino Tour. Visual design per una città invisibile (Torino, 2008). Tra le più recenti
mostre da lei curate, il ciclo Tracce alla Galleria Martano.
Mediatrice culturale, ha lavorato nell’ambito dell’associazione a.titolo, un collettivo di
curatrici incaricato dalla Fondazione Adriano Olivetti nel 2000-2001 di occuparsi della
mediazione culturale del progetto Nuovi Committenti a Torino – Mirafiori Nord.
Come vi siete inserite nella progettazione di Mirafiori Nord e cosa vedi nel futuro
del progetto Nuovi Committenti?
In quel periodo abbiamo intercettato, efficacemente, in un momento dove la città
di Torino stava preparando la candidatura ai finanziamenti nell’abito del
programma Urban II, che è un programma comunitario di rigenerazione urbana, e
poiché la metodologia di Nuovi Committenti chiama in causa un metodo
innovativo alla partecipazione, sui processi di cittadinanza attiva e si prestava
perfettamente a quelle che erano le direttive e le pratiche auspicate dalla comunità
europea, il Comune di Torino ha accolto questa nostra proposta e la città stessa ha
proposto tra le progettualità che avrebbe messo in campo nella realizzazione dei
progetti di Urban II anche Nuovi Committenti. Quando poi di fatto questo bando
è passato noi abbiamo potuto sperimentare per la prima volta Nuovi Committenti
in Italia nella cornice di questa progettualità della città in questo processi di
rigenerazione urbana comunitario.
Io ho avuto un ruolo, non singolarmente, ma in quanto collettivo: la nostra
modalità di lavoro riguarda una progettualità condivisa e collettiva, poi dopo una
fase di elaborazione e di strumenti per potere attivare questo programma, io nello
specifico ho condiviso con Lisa Parola e con Giorgina Bertolino due progetti in
particolare, due committenze: una che ha coinvolto l’artista Massimo Bartolini e
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l’altra che ha coinvolto Lucy Orta. Però prima di queste due committenze c’è
stato un lavoro più tosto lungo durato più di anno, in lavoro per capire come
recepire questa domanda d’arte che è alla base del concetto di committenza,
poiché le domande non preesistono, non sono già pronte, il programma non era
conosciuto e ci siamo interrogate su come attivarlo, sul fatto che gli esempi che
avevamo erano assai diversi. Uno era quello francese, dove il programma è nato,
promosso dalla ‘Fondation de France’, un ente che eroga finanziamenti a varie
strutture piccole o grandi per varie cose: dalla ricerca medica alle attività
culturali, un organismo già conosciuto e pertanto la prima diffusione di questa
possibilità d’azione dei cittadini attraverso l’arte poteva venire da contatti già
esistenti, c’è stato un passa parola dei lavori svolti dalla Fondazione francese.
In Belgio per esempio c’era stato più un appello, una proposta fatta direttamente
ai cittadini, elaborando delle domande, noi invece ci siamo mosse più come
‘operarie’ anche perché avevamo una porzione di territorio piccola nel quartiere.
Un quartiere come Mirafiori Nord che risultava emblematico di una
trasformazione radicale e profonda sull’educazione, sull’identità e su tanto altro.
Su questo abbiamo pensato di intraprendere un approccio diverso come quello
dell’ascolto attivo.
Considerando anche il fatto che non partivamo così a vuoto, a in un quadro di una
cornice operativa, progettuale, economica e politica culturale, dove eravamo
pagati direttamente dalla Fondazione Adriano Olivetti, come nel nostro caso, e
dove nell’abito di questa politica culturale dovevo e dovevano essere liberi di
scegliere e diversamente agire a seconda della propria attitudine nel lavora con
l’arte e con il territorio. Agendo all’interno di quella cornice noi abbiamo scelto
di adottarne alcune delle potenzialità in atto: come il Tavolo Sociale, che era una
piattaforma di co-progetazione eredita da un precedente lavoro di rigenerazione
urbana e che poi si è inserito in Urban II. Esisteva già un tavolo molto attivo e
dunque per un anno abbiamo preso un posizione di ascolto, la nostra scelta è stata
quella di innestarci in un processo di “cittadinanza attiva” già in corso. Ci
interessava capire se potevamo rintracciare delle motivazioni particolari dei
racconti che ci portassero a comprendere anche bene.
Cosa avete portato al lavoro già in atto nell’ambito del Tavolo Sociale e
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conseguentemente al programma Urban II?
Lo abbiamo essenzialmente potenziato, abbiamo scelto di operare in sinergia
piuttosto che in totale autonomia. Abbiamo ovviamente avuto un’autonomia
metodologica e operativa scegliendo di potenziare delle azioni già in atto.
Soprattutto nella prima committenza che ci ha permesso di lavorare con Massimo
Bartolini nella ‘Cappella Anselmetti’ è stata una committenza che abbiamo
seguito io e Lisa Parola. Questa committenza nasce dall’avere intuito una naturale
coincidenza, dove da una parte gli insegnanti che partecipavano, un gruppo
particolarmente attivo (un gruppo di insegnanti delle Scuole Elementari e
dell’Infanzia del circolo “Franca Mazzarello” e della Scuola Media “Alvaro-
Modigliani”) che stavano lavorando in questo processo innovativo sulla
questione della memoria e dell’identità, una memoria di cittadinanza attiva tratta
da momenti diversi, da documenti, da interviste orlai fatte ai nonni dei bambini,
le passeggiate del quartiere alla ricerca di tracce anche macroscopiche, tutto verso
la raccolta di una serie di dati che confluivano in una riscrittura storica. Una
prospettiva molto aperta, plurale e rivolta anche al futuro. Quindi oltre ad essere
un progetto molto interessante è un progetto che loro stessi avrebbero voluto
svolgere in maniera più ampia e che potesse lasciar tracce anche ad altri. Creare
un archivio di esperienze didattiche e di materiali sul quartiere che venivano
prodotti durante questa esperienza. Questa era un esigenza, poi c’era anche il
desiderio di ristrutturare questa piccola Cappella settecentesca, effettivamente
l’unica traccia architettonica di un passato antico e pre-industriale, una cappella
che faceva parte di un complesso e di una cascina, che testimoniano un passato
prettamente agricolo. Il progetto Urban prevedeva ad esempio il restauro della
Cascina Roccafranca, che è stata recuperata ed è diventata un centro di quartiere
molto bello e funzionale, tutto grazie ai finanziamenti di Urban e che era quindi
in progetto. Era un rudere immerso in contesto totalmente diverso di casa di
edilizia popolare. La cosa interessante e che la possibilità di restaurare quella
chiesetta, che gli abitanti la vedevano un pò come il simbolo di questo passato
aulico dei cittadini. Però era parecchio complicato inserirlo nella progettazione,
era di proprietà privata, era un desiderio legato all’immaginario, che però da un
punto di vista dell’efficacia delle griglie con cui normalmente si interviene nello
spazio pubblico stava un po fuori dalle prime necessità e dalle urgenze.
Noi ci siamo dovuti permettere di recepire questa richiesta nel succedere in un
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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principio di funzionalità, poiché appunto recuperando questo desiderio delle
maestre di un laboratorio e mettendolo insieme al recupero della Cappella, che tra
latro era inserita nel giardino delle scuole, si è trovata una ragione e una funzione
per dare spazio a questo immaginario desiderato, si è quindi creato il Laboratorio
di Storie e Storie.
Tenendo conto del modello francese, dove i tre attori sono costituiti dal
committente cittadino, mediatore e artista, in che modo agite in questi contesti?
Diciamo che dei tre attori del processo secondo il modello francese il cittadino-
committente è il motore iniziale di fatto poi si allarga ad una comunità di attori
più ampia a parte le fondazioni come la Fondazione Adriano Olivetti o la
Fondation de France, poi ci sono altri attori come i finanziatori, pubblici se si
tratta di un progetto come quello di Mirafiori dove Urban è stato l’interlocutore
centrale. Poi se si tratta di un progetto che riguarda lo spazio pubblico è
imprescindibile, e quindi anche i tecnici ad esempio diventano interlocutori del
progetto. O artigiani che negoziano con gli artisti o con gli stessi committenti
sulle proprie azioni. Poi i modi di produrre le progettazioni cambiano in base ai
finanziamenti, ad esempio nel caso di Urban Mirafiori esisteva una cifra precisa.
Diciamo che è una geografia di relazioni ampia e ciò che è interessante vedere è
che tutte le relazioni cercano un dialogo tra di loro in una maniera creativa, nel
senso della messa in comune in maniera orizzontale. Il committente si trova ad
interagire con tutti in modo più tosto paritario, poiché inserito in una dinamica di
produzione che normalmente non si crea.
In quale dei progetti realizzati, queste relazioni tra attori, si sono rilevate
migliori?
Entrambe i lavori sia quello di Massimo Bartolini che di Lucy Orta hanno
funzionato molto bene. Poi dipende dal gruppo, in una c’erano le insegnati, quindi
persone mature, nell’altro un gruppo di adolescenti che avevano tra i 17 anni e 19,
poi essendo processi abbastanza lunghi, in quel caso li, si è visto un vero e proprio
cambiamento dei committenti. Forse era più semplice quest’ultimo caso da un
punto di vista e meno da un altro. Semplice per la questione della relazione, della
fiducia e nella collaborazione tra i committenti e l’artista. Un artista che abbiamo
scelto non solo per la sua abitudine a misurarsi con le tematiche sociale ma
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sopratutto per il fatto che spesso faceva workshop, coinvolgeva ragazzi, aveva un
attitudine alla formazione e alla co-progettazione e che si prestava benissimo per
quel contesto. Da un'altra parte va detto invece che per la giovane età, essendo
un’attività extra curriculare ed extra scolastica e volontaria, ci potesse essere un
abbandono nell’arco degli anni! Non essendo un processo che si è concluso in
breve dove i mediatori hanno avuto un ruolo in questo, nel mantenere vivo un
processo anche nelle fasi di inerzia. Sta di fatto che il gruppo è rimasto, anche se
un po sfoltito, motivato fino alla fine. Alla fine la coerenza delle committenze si è
rilevata positiva. Per quanto riguarda le maestre invece, c’è stata un ottima
relazione, legata alla maturità delle persone, c’è stato un effettivo scambio dove
l’artista ha “mansito” la sua personalità con un mediato feedback delle sue idee e
questo a portato a rivedere alcun cose, a capire cosa che è veramente necessario in
un progetto e ciò che potrebbe non essere così determinante. Per le maestre-
committenti è stata un esperienza stimolante sia dal punto di vista morale e umano
ma soprattutto professionale. Loro ci dicevano che: l’opera (di Bartolini) ha
offerto delle nuove prospettive sulla didattica e ha dato nuovi spunti e nuovi modi
di guardare, e questo è molto interessante.
Che definizione possiamo dare a questo dialogo tra arte e partecipazione attiva?
È una cosa su cui ci stiamo interrogando perché indubbiamente ci sono una serie
di percorsi in cui queste pratiche stanno diventando sempre più diffuse, il
cosiddetto “ritorno al reale” e le ragioni sono molteplici. Alcune sono legate al
contesto storico e alle urgenze e dall’altra la differenza tra Italia e altri paesi,
perché ad esempio nel mondo anglosassone esistono agenzie che promuovono
questo dialogo in maniera più strutturata talvolta con modalità molto tradizionali
anche discutibili, però possiamo dire che c’è una tradizione forte che Italia non
c’è, non esistono agenzie o cose di questo tipo, e sta sempre più diffondendosi
invece, da parte delle amministrazioni, la consapevolezza del ruolo dell’arte. Un
fenomeno che si sta pian piano diffondendo e come tale ci sono anche molte
criticità sollevate in ambito teorico anche rispetto al significato di community-
based art e cioè quando l’arte si relaziona con la società, cosa vuol dire
partecipazione? Perché poi la riflessione non è tanto legata alle parole ma alle
pratiche. Se la partecipazione può avere un solo un ruolo consultivo su delle
decisione già prese anziché invece essere u processo emporwerment e cioè che da
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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degli strumenti, la comunità spesso può essere coinvolta anche a livello
strumentale, anche non volontariamente, per ingenuità da parte del’artista, del
curatore, dall’ente pubblico che attiva le dinamiche. Fare un po di animazione
culturale ed essere riusciti a portare avanti un’iniziativa culturale. La cosiddetta
comunità, anche se preferisco collettività, sia più che altro “usata”. Credo quindi
che sia importante che queste pratiche che si stanno diffondendo molto, che ci sia
una assunzione di responsabilità e consapevolezza di chi, come autori, come
artisti, come produttori e teorici, dovrebbero capire si fanno determinati percorsi.
Cercare quindi preliminarmente, come scrisse un’artista: “Le regole d’ingaggio
siano chiare”.
Come agiscono le opere realizzate a Mirafiori e quanto si è riusciti a fare
attecchire un cambiamento culturale?
Le opere agiscono su vari livelli, una che poteva apparire la più problematica,
dove la dinamica della committenza, nell’opera di Claudia Losi, dentro un cortile
di case di edilizia pubblica con una forte componente culturale, dove stava già
agendo un’agenzia di accompagnamento, “Avventura Urbana”, che lavora molto
bene, che sta attuando un processo di rinnovamento degli spazi comuni e
lavoravano sulle relazioni. Noi abbiamo deciso di potenziare questo lavoro con un
processo di committenza. L’artista ha lavorato molto sul dialogo, prendendo come
piattaforma un edificio dismesso, chiedeva alle persone cosa vedevano
affacciandosi dai balconi e cosa vedevano in quel cortile di intervento.
Interrogando questo affaccio e ricevendone descrizioni, memorie. Aveva
cominciato a tessere delle relazioni con gli abitanti e da quelle aveva cominciato e
tirarne fuori delle immagini e dei disegni con delle frasi che aveva riportato su
delle grandi lenzuola che aveva riconsegnato alle persone con cui aveva
chiacchierato. Ciascuno aveva steso un proprio lenzuolo con il disegno relativo a
qual modo di guardare fuori ed è diventato una specie di fondale di festa di cortile.
Intorno ad una panchina contesa, dove avvenivano pratiche illegali, usata solo da
un piccolo gruppo, e quindi si è pensato di togliere la panchina eliminando anche
il conflitto. Noi quindi siamo andate a cogliere questa domanda per un “luogo
dove stare”, un luogo dello stare di qualità, dove le mamme, che erano anche gli
attori mossi maggiormente, potevano stare tranquille vedendo i propri bambini
che giocavano. E quindi da li è nata la committenza Claudia Losi. Una
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committenza complessa, non tanto per le relazioni con questo gruppo di
committenti, ma tanto dal fatto che vedere delle cose nuove potesse creare nuovi
conflitti e quindi l’ostilità nasceva, non tanto rispetto all’opera ma quanto rispetto
alla paura! Che venisse immediatamente distrutta o addirittura di non meritare
nulla del genere perché poi si sarebbe danneggiato. L’opera è stata realizzata. Il
risultato creato dopo una fase molto complessa, che ha portato l’artista a rivedere
parte del progetto. Una bellissima aiuola sopraelevata con delle onde si chiamava
Transatlantico, con delle aree da seduta molto belle e un passaggio nel mezzo che
rappresenta un gesto un po spontaneo e quindi interagiti degli abitanti di quelle
case. Di fatto tutti pensavamo potesse sopravvivere poco, perché quell’opera è
nata e cresciuta cercando di far fronte ad un conflitto ma è stato anche cornice e
rappresentazione di questo grosso conflitto che non a caso si è manifestato anche
durante l’inaugurazione e che invece sta volta ha avuto un diversa cornice, perché
c’era presente il presidente della circoscrizione, c’erano i decisori, quindi le
ragioni anche antitetiche hanno trovato anche un modo di articolarsi in una
cornice più ampia che forse è servita a dare un altro tipo di possibilità di
espressione.
Sta di fatto che quell’aiola ha attecchito, anche se ci aspettavamo che venisse
danneggiata e abbandonata, è un oggetto di cura, e noi sappiamo quanto gli spazi
comuni sino segnali di affezione ed i acquisizione di un bene comune, e quindi lo
ritengo un risultato positivo.
Dove siete impegnate al momento?
In questo momento siamo molto impegnate nella conclusione di una committenza
in corso che riguarda un’area della città a nord di Torino che si chiama Barca
dove siamo arrivate dopo un percorso di formazione fatto con giovani, un
“parkour” urbano, come esploratori della città. Un gruppo di giovani di discipline
diverse che vanno dall’architettura, all’antropologia alla musica e all’arte, che
abbiamo formato tramite workshop con artisti e gli Stalker, per vedere la città in
un modo diverso. L’obbiettivo era quello di creare una mappatura di una città che
si sta trasformando, una città formata dai quartieri e di aree che non sono sempre
sotto gli occhi di tutti, fatta di luoghi che pensiamo di conoscere ma infondo non
conosciamo. Volevamo provare a raccontarla in modo diverso, attraverso una
maniera diversa di abitarla, fatto di nuovi cittadini ma non solo, e con questo
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tentativo questo ragazzi hanno ri - mappato la città alla ricerca di situazioni. (Si
chiama SITUA.TO questo programma). Situazioni che prendiamo un po’ dai
situazionisti, perché quella è la nostra storia. Nasce da comportamenti di persone e
luoghi prendendo tutti quegli elementi di criticità o di forza, da valorizzare, da
progettare e da riscoprire. Individuare i punti nevralgici della città da dove creare
dei progetti di natura molto diversa: abbiamo prodotto un documentario e altri
materiali. Nel caso di Barca il progetto nasce in un’area un po abbandonata dove
esisteva una comunità che abitava questo spazio marginale al contesto territoriale.
Quindi volevamo fare qualcosa che lasciasse qualcosa a quel luogo riattivando
magari delle pratiche artigianali che erano andate perdute e uscire dalla
condizione di inerzia. Abbiamo invitato pertanto gli architetti di Raumlabor
(sostanza del lavoro), un collettivo interdisciplinare di Berlino, che utilizza la
pratica dell’auto-costruzione.
Un lavoro e un azione che produce un cambiamento e ci pareva essere
un’esperienza che apriva delle possibilità altre per valorizzare quel modo di
abitare quello spazio pubblico. Un centro, con un chioschetto, dove potevano
condividere il tempo libero della quotidianità e che invece nelle città è difficile
creare un situazione simile. Abbiamo pensato che fosse un valore in un contesto
dove il livello culturale era anche abbastanza piatto soprattutto nei giovani. Il
gruppo di Raumlabor sono arrivati attrezzati di seghe, martelli e si è cominciato
con materiali di recupero assi di legno e vecchi mobili insieme a quanti hanno
voluto unirsi e man mano le persone sono arrivate. È stato un grande catalizzatore
di immaginario e di desiderio di cooperazione nel lavorare insieme, e lo abbiamo
chiamato “Cantiere Barca” come la grande scritta di questo fabbricato che è
diventato un centro a cielo aperto, e da li è nata una committenza per uno spazio
per i giovani.
Dopo un primo start up, sono stati raccolti i progetti, i desideri e la volontà di chi
voleva partecipare e condividere quanto veniva fatto, è stato un processo di
emporwerment, quando vedi che qualcosa può cambiare con l’impegno, dà fiducia
e da li c’è stata la domanda per un centro per i giovani e stiamo lavorando proprio
su questo. Si sono uniti altri collettivi di designer, di giovani che abitano nel
quartiere con altri che arrivano da altre città italiane e non per lavorare con
Raumlabor.
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Questo progetto si è unito a qualcosa che era già in corso o a livello autonomo?
Questo progetto lo abbiamo fatto in maniera autonoma. SITUA.TO è un
programma per Your Time - Turin 2010 European Youth Capital, abbiamo avuto
quindi un finanziamento con la Regione Piemonte, poi abbiamo finito e quello che
abbiamo voluto portare avanti lo abbiamo fatto creando le condizioni volta per
volta. In questo caso un primo workshop lo abbiamo fatto come start up ottenendo
un piccolo sostegno dalla Fondation de France che ci ha dato il permesso di
coinvolgere questi architetti. Poi abbiamo fatto un bando con la Compagnia San
Paolo, un bando per la rigenerazione creativa e abbiamo ottenuto un altro
sostegno e un anno dopo abbiamo fatto un secondo workshop, a giugno e a
settembre. Nel frattempo abbiamo richiesto i permessi per recuperare dei locali
sfitti e di volta in volta cerchiamo interlocutori economici e decisionali per la
produzione del progetto, non c’è stato commissionato.
Quale tipo di produzione interessa Nuovi Committenti e la vostra azione in
particolare?
Ci interessa la produzione del nuovo patrimonio artistico, dove la dimensione
della qualità e del miglioramento estetico dei luoghi ha un valore. Il processo è
politico ma l’estetica può mantenere una sua posizione, non è conflittuale, per
tanti anni si è discusso se scegliere l’estetico o il politico ma non crediamo sia più
questa la questione.
In Nuovi Committenti ritieni che sia più importante il processo o l’esito?
Nuovi Committenti se vogliamo guardalo da un certo punto di vista: è un
programma che è nato da un artista, ha scritto il protocollo, cresciuto negli anni
’70 e che quindi nasce in quel clima e si è interrogato molto sul rapporto tra arte e
società e quindi su come l’arte potesse di nuovo assumere un ruolo sociale. Quindi
tutto Nuovi Committenti, visto come processo, ogni volta si attua i modo diverso.
È considerato come meta-progetto artistico proprio perché nasce da un progetto di
un artista, ma non è questo importante. Detto ciò, Il lavoro dell’artista che sta
dentro un processo che non è attivato dall’artista. In Nuovi Committenti, gli artisti
cercano un dialogo, le modalità per svilupparlo, decidono di trasformare la loro
azione in un servizio oppure in realtà di produrre un progetto, a seconda!
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Non è arte sociale o arte politica, è il metodo che è sociale e politico. L’artista nel
processo può incontrare chiunque, poi è il mediatore rende possibile questo
dialogo, poiché essendo un esperto del settore riesce a mettere tutto a sevizio di
una domanda, una domanda che deve essere in grado di tradurre correttamente e
che magari coinvolga un gruppo ampio. Ogni volta si decide. Sta di fatto che però
il mediatore individua un’artista, da lì nasce un dialogo, dalla capacità di ascolto,
capace a negoziare proposte. Ecco questo è un processo interessante, dialettico, di
fiducia reciproca, che cresce, che si stabilisce, ma può essere anche conflittuale.
Detto ciò però, poi l’esito è importante, se il processo è stato fatto bene, l’esito è
ottimo. E’ un campo di decisioni dove ciascuno ascolta tutti ma ascolta anche le
proprie riflessioni. Questa negoziazione produce un’opera che deve corrispondere
al desiderio di chi l’ha commissionata ma che poi sappia essere acquisita dalla
collettività. In Nuovi Committenti è importante sia il processo che l’esito. In realtà
è un processo di produzione d’arte. E’ politico in se, perché restituisce al singolo
individuo, che nella democrazia occidentale come scrive Alì Francois: è
considerato motore della storia. Gli riconosce la possibilità di agire attraverso
un’opera e assumere un ruolo all’interno della collettività.
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Attori del processo Immaginare Corviale
Architetto Mauro Martini - Intervista del 19/11/2012 Dal 2011 è in pensione. Nel progetto Immaginare Corviale ricopriva il ruolo di
responsabile del ‘Laboratorio Territoriale per la partecipazione – Corviale Ovest’.
Architetto / Direttore Tecnico XV Municipio Arvalia - referente per il Comune di Roma.
Nato a Roma nel 1951, si è laureato in Architettura presso l’Università di Roma “La
Sapienza”. Tra il 1982 ed 1987, è stato vincitore di una borsa di studio per laureati
(rinnovata di anno in anno), bandita dal Comune di Roma, per ricerche sul Centro Storico
e sul patrimonio edilizio esistente.
Dal 1988 al 2006, ha lavorato come architetto, assunto a seguito di concorso, dal Comune
di Roma, occupandosi principalmente di urbanistica, riqualificazione urbana e sviluppo
locale. Ha curato la redazione di due programmi di recupero urbano e di alcuni “contratti
di quartiere”. Dal 2003 al 2008, è stato Responsabile, tra l'altro, del “Laboratorio
Territoriale per lo Sviluppo locale e la Partecipazione” di Corviale-Roma Ovest. A partire
dal novembre 2009, dirige l’Unità Organizzativa Tecnica del Municipio Roma XV.
Con quali modalità, l’istituzione e il Laboratorio Territoriale per la
partecipazione - Corviale Roma Ovest” ha svolto il lavoro all’interno del
progetto Immaginare Corviale?
Il Laboratorio faceva parte di una politica del Comune di Roma ed era uno dei
laboratori aperto a Roma. Servivano a facilitare la partecipazione dei cittadini alla
individuazione delle scelte di trasformazione e riqualificazione del territorio. In
questo contesto il Dipartimento ha messo a disposizione un centro polivalente con
delle persone che lavoravano con me. Eravamo già attivi dal 2003 su una serie di
iniziative sul territorio di Corviale: coinvolgevamo abitanti, organizzavamo
campagne di pulizia del quartiere insieme all’AMA s.p.a. (azienda comunale per
le pulizie) e anche attività di tipo culturale, come le indagini con i bambini e
coinvolgimenti con attività sportive.
Successivamente parlando con il direttore del Dipartimento, Mirella Di Giovine,
ci si rese conto che esisteva la possibilità di investire una certa somma per
iniziative di carattere artistico a Corviale. Quindi dietro tutta l’organizzazione
Immaginare Corviale c’è un finanziamento pubblico. La Fondazione Adriano
Olivetti è stata pagata per fare questo lavoro, il committente è stato il Comune di
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Roma e l’iniziativa è andata avanti fin quando i finanziamenti ci sostenevano.
Come Comune di Roma è stato più facile avere rapporti con una struttura
qualificata come la Fondazione Adriano Olivetti e con un unico referente che era
Bartolomeo Pietromarchi, allora Direttore responsabile per la Fondazione Olivetti
a Roma. Non era pensabile per me prendere contatti con artisti e retribuire artisti
direttamente, sarebbe stato troppo complicato per le modalità di scelta, non
conoscevo i criteri. Demandando tutto alla Fondazione Olivetti diventava più
sicuro, un referente che ci semplificava la vita. Tutto nasce come un’iniziativa di
Arte Pubblica. Noi volevamo stabilire in che misura la presenza di artisti a
Corviale potesse contribuire a ribaltare quella logica del quartiere degradato, quel
pregiudizio, per cui Corviale doveva finire nelle cronache solo nelle eventualità di
eventi criminali, cosa che per fortuna non si è quasi mai verificata, quindi basta
parlare del “serpentone del degrado” e facciamo parlare la città di cose che
avvengono a Corviale e che hanno un valore culturale, ribaltiamo logica e
vediamo se questo si riverbera anche sulla qualità della vita degli abitanti. Questa
iniziativa è stata una forzatura, non è nata spontaneamente dal quartiere.
Con il senno di poi, ormai sono passati sei anni, e ho l’impressione che è molto di
più quello che di Corviale è rimasto nella mente e nel cuore, nell’esperienza degli
artisti che lo hanno frequentato, di quanto loro stessi abbiano lasciato
sostanzialmente a Corviale, o di quanto Corviale abbia ancora tracce di
quell’evento di sei anni fa. Mentre tutti gli artisti, che ogni tanto ho ricontattato e
ancora sento, parlano con grande interesse di questa loro esperienza, i cittadini
invece non ne parlano affatto, quindi questo servirà a riflettere sul senso delle
cose.
Io mi chiedo: tutto è finito quando sono finiti i finanziamenti e questo è forse
anche logico, ma allora vuol dire che solo una politica pubblica di investimento
nei quartieri può generare eventi artistici o scatta a un certo punto un momento per
cui si creano produzioni autogestite? Di sicuro questa è una questione molto
difficile. Certo che la presenza di artisti comunque, alla sola condizione che siano
persone veramente qualificate, genera un’atmosfera migliore, una qualità della
vita superiore e una maggiore curiosità da parte degli abitanti, i quali naturalmente
si accorgono subito se le persone con cui hanno a che fare sono delle persone
intelligenti, aperte e creative. Questa è stata un po’ la sorpresa e il piacere di
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vedere le potenzialità operative più concrete degli artisti, che in quel momento
rappresentavano, anche se in parte, un’istituzione. Questi artisti sono stati accolti
nelle case, hanno avuto la possibilità di dialogare, hanno avuto modo di entrare
nelle stanze private di queste edificazioni sociali, che altrimenti difficilmente si
sarebbero aperte.
Debbo dire che tutti gli eventi artistici, risolti in una serie di operazioni di pratiche
artistiche, non hanno lasciato scritte o murales, sono state attività abbastanza
effimere dal mio punto di vista, però utili da più fronti. Andrebbero perseguite con
continuità e non saltuariamente, successivamente dovrebbero essere affiancate
contemporaneamente con un lavoro di formazione sugli abitanti.
Perché se è vero che l’arte, in qualche modo, con la sua stessa presenza genera
nella testa di ognuno un qualcosa che viene assorbito in maniera tale per cui, poi ,
non si è più esattamente uguali a prima, forse gli abitati saranno capaci di vedere
qualcosa di diverso, e questo di per sé contribuisce alla crescita culturale dei
quartieri. Ma è pur vero che questa attività va sostenuta in presenza di artisti in
maniera strutturata, con una politica culturale e sociale che crede in queste
iniziative perché naturalmente ci vogliono investimenti e finanziamenti.
Attualmente esiste una politica culturale e sociale attiva?
Che io sappia, attualmente non c’è qualcosa in atto di questo tipo. Ti voglio però
segnalare che iniziative spontanee di tipo artistico a Corviale ci sono, non legate
agli artisti della Fondazione Adriano Olivetti. Attualmente c’è il Mitreo, un centro
artistico ormai in attività da più di cinque anni. Ha uno spazio di proprietà del
Comune che è stato assegnato con un bando ad un artista, Monica Melani che
organizza mostre, convegni e dibattiti. Una preziosa presenza a Corviale che
anima un po’ la vita culturale. Non so quanto questo sia stato frutto della
casualità, quanto invece Monica Melani abbia avuto la forza dall’esperienza di
Immaginare Corviale per avere una struttura ancora presente nel territorio. Ad
esempio sabato scorso (17 novembre 2012) è stata inaugurata nella di biblioteca di
Corviale una mostra dedicata al Nuovo Corviale, una mostra tutt’ora aperta per
una quindicina di giorni di opere, di fotografie, di sculture e di pittura di persone
che lavorano o vivono a Corviale, ci sono artisti tra cui la stessa Monica Melani,
Stefano De Santis e altri.
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Quindi c’è ancora la presenza di artisti, che fanno con quello che possono, con
mezzi modesti. I lavori sono presentati dentro la sala della biblioteca e non
all’interno del fabbricato o all’interno delle case degli abitanti, un modo più
tradizionale di trattare l’arte, però testimoniando che una brace ancora accesa c’è.
Erano state fatte altre iniziative artistiche in passato mi sembra?
Eventi a Corviale ne furono fatti nel tempo perché c’era una precisa volontà
politica delle giunte di Rutelli prima e Veltroni dopo, di sostenere la
riqualificazione delle periferie esportando eventi di tipo culturale in periferia. Per
esempio Sonicity: architetti del suono compositori del luogo, fu un’iniziativa di
artisti, di performer e musicisti a Corviale, poi ci fu un grande convegno
internazionale Al centro le periferie che vide la presenza di uomini della cultura,
economisti, ecc., a discutere dello sviluppo delle città. Una serie di iniziative ci
sono state anche in passato, ma naturalmente tutto dipende da quanto la volontà
politica di un Comune crede di investire nella cultura e nell’arte come mezzo di
riqualificazione delle periferie.
Nel suo modo di vedere, questo tipo di sperimentazione culturale di carattere
artistico che è stata applicata a Corviale, è stata funzionale ai processi
partecipativi o comunque al lavoro del Laboratorio Territoriale che
rappresentava l’istituzione?
Assolutamente si, personalmente mi sono preoccupato, perché c’è stata una lunga
discussione con gli artisti, i quali naturalmente non volevano condizionamenti,
perché l’artista dovrebbe essere lasciato libero, però io ero molto preoccupato di
verificare che le cose andassero bene per i cittadini, mortificati da anni di
abbandono con problemi serissimi dati dal lavoro, dalla salute e dalla qualità
dell’abitare del complesso. Una situazione molto esclusiva, se poi queste
manifestazioni artistiche fossero risultate ridicole o poco capite? Rischiavamo una
sorta di ribellione, cioè si rischiava che gli abitanti potessero percepire questa
iniziativa come l’ennesimo investimento sprecato. Ho dovuto prendere una
precauzione. Nel momento in cui c’è un committente pubblico, non può l’artista
essere lasciato libero, se fanno qualcosa di sbagliato in modo da generare negli
abitanti azioni antagoniste, poi chi ne paga le conseguenze? Oltre che gli abitanti,
è il referente politico del Comune.
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In che modo l’istituzione dovrebbe lasciare libero un artista?
Quando si fa arte pubblica, o comunque arte finanziata pubblicamente
bisognerebbe scindere alcune cose. Voglio dire che, se un artista sta nel suo atelier
, si fa una sua scultura, se la vende, e questa scultura va a finire in casa di
qualcuno, non c’è un’implicazione sociale, diventa un “fatto privato”. Nel
momento in cui si fa un’attività di tipo artistico che implica il coinvolgimento dei
cittadini con musica, occupazione di suolo, produzione di immagini all’interno di
un quartiere, diventa allora di interesse pubblico, supera la soglia della libertà
totale dell’artista di fare quello che vuole, perché, ad esempio, se poi il quadro lo
vende o non lo vende o se lo tiene, c’è un livello talmente privato dell’operare
dell’artista su cui ha il 100% di libertà.
Nel momento in cui va a lavorare all’interno di un quartiere ha naturalmente la
sua libertà, però bisogna anche valutare le conseguenze che i suoi atti possono far
derivare, una loro inadeguatezza rispetto alla complessità della situazione in cui si
vengono a trovare. C’è una percentuale di rischi, dove bisogna capire chi li corre,
se li corrono gli artisti direttamente o se li corrono gli artisti e il committente.
Quindi bisogna: o scegliere gli artisti con molta attenzione o accettare che l’arte
pubblica deve essere comunque in qualche modo, dal mio punto di vista, frutto di
un ragionamento concreto e congiunto che comporta delle libertà reciproche,
libertà di orientare e libertà di essere indipendenti.
Nel caso Immaginare Corviale ?
È un progetto che ha avuto un suo inizio e una sua fine, si è sviluppato in un arco
temporale e che ha avuto un finanziamento, terminato il quale, è terminato anche
il progetto. Volevo dire però un'altra cosa: durante questa operazione una delle
iniziative culturali ed artistiche più rilevanti e materializzata è stata la creazione di
un network chiamato Corviale Network – Televisore di quartiere. Naturalmente la
Fondazione Adriano Olivetti ha messo a disposizione soggetti che erano
qualificati: un regista, delle operatori capaci di fare delle riprese, persone che
hanno scritto un palinsesto e sceneggiature di alcune cose. Tutte queste figure
sono venute dall’esterno rispetto al quartiere. Poi gli abitanti sono stati coinvolti
nelle riprese. Sono state fatte otto o nove puntate di Corviale Network, ognuna
con una serie di attività ricorrenti. Ogni puntata aveva una visita a casa di una
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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signora che presentava una sua ricetta di cucina, altre che invece erano indagini
sullo stato dell’ascensore ecc.. Queste nuove puntate sono state confezionate e
hanno dimostrato che si può produrre una televisione di quartiere.
Successivamente ci siamo appoggiati a Roma 1 , un’emittente che va in onda sul
satellitare, la quale si è prestata a proiettare, man mano che venivano prodotte,
queste nuove puntate, credo che sia stato visto in tutta Europa.
Detto questo però, una volta che è finita l’iniziativa finanziata che sosteneva
Corviale Network, gli abitanti non hanno preso la palla al balzo e continuato. Gli
abitanti di Corviale, specialmente i giovani, non hanno cultura di impresa, non
sono mai stati abituati a pensare che loro possono mettere su un’impresa, quello
che chiedevano era: chi ci assume? Quanto ci piace fare i dipendenti di una TV
privata, ci assumete? Avevano un atteggiamento di tipo passivo, non hanno la
forza ne il coraggio per mandare su un’iniziativa d’impresa. Questa è stata
un’altra delle cose su cui bisognerebbe lavorare. Quindi le puntate sono finite
così. Queste cose non attecchiscono e sono altro soggetto di riflessione.
E’ rimasta quindi la voglia di essere coinvolti e basta?
Noi dicevamo scherzando come Laboratorio quando si lavorava li: ma se in un
Club c’è bisogno di animazione per divertirsi e essere attivati, figurati in un
quartiere di periferia, dove tutti sono disperati e hanno problemi, è chiaro che c’è
bisogno di una animazione permanete. Ma i costi di questa animazione e i costi
della partecipazione, chi li paga? Questo è il punto.
Cosa si è fatto dopo la fine dei finanziamenti?
Il Laboratorio è rimasto e ha fatto altri lavori, ma non è più andato avanti il
rapporto con la Fondazione Adriano Olivetti. Poi è cambiata anche la giunta ed è
stato chiuso anche il Laboratorio.
Ci vorrebbe quindi un atteggiamento diverso da parte dei cittadini per dare
continuità alle progettazioni?
Secondo me ci vorrebbe una seconda stagione forte dell’esperienza fatta e anche
del clima che sta cambiando. Sfruttare le direttive europee sui Fondi Strutturali
2014-2020 che stanno per arrivare a sostegno delle politiche economiche dei vari
stati e che sono orientati a sostenere la creatività, servirebbe molto alla città. C’è
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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un fondo che si chiama Europa Creativa: tutti i quartieri e le città che
dimostreranno di avere una vitalità culturale, creativa ed artistica, associata
possibilmente ad un’attività di innovazione produttiva, saranno premiate e in
questo senso aver fatto dei tentativi di attecchimento di arte in periferia può essere
una delle condizioni per verificare se c’è un futuro più stabile dal punto di vista
delle frequentazioni artistiche delle periferie.
Possiamo dire che questa esperienza, attualmente, ha maturato il luogo, aldilà di
tutto?
Assolutamente si.
Mi interessava capire come ha funzionato questo miscuglio che c’è stato tra:
sperimentazioni culturali e piani e programmi in atto, come il PRU o il CdQ?
Anche quelle erano iniziative, sia i PRU sia i CdQ, erano iniziative nate dal
Ministero delle Infrastrutture, c’erano dei finanziamenti pubblici che lo Stato ha
dato a disposizione per Bando. Per avere questi finanziamenti bisognava
presentare un progetto e vincere. Corviale nel CqQ ha ottenuto il finanziamento di
10 milioni di euro perché ha presentato un programma di investimento
dimostrando di avere un laboratorio che generava partecipazione e che aveva
lavorato tanto. Non tutti i comuni che hanno partecipato hanno ottenuto dei
finanziamenti. La Regione Lazio alla fine credo abbia finanziato una quindicina di
proposte su oltre 40 che ne erano arrivate. Corviale è stata una di queste proprio
perché aveva dimostrato di avere già avviato una serie di lavori.
Dietro c’è sempre un finanziamento pubblico perché in Italia i privati per adesso,
mi sembrano un po’ “addormentati” sulla sponsorizzazione di queste iniziative e
se ne sentirebbe il bisogno ad esempio: in periferia si potrebbero promuovere
attraverso i centri commerciali che ci sono, o attraverso le banche, fondi per la
promozione di queste iniziative. Il problema è che queste produzioni artistiche
non riescono a promuovere occupazione, perché se arrivassimo a questo sarebbe
proprio il massimo, cioè le attività che si portano appresso nuovi posti di lavoro
sono l’unica risorsa credibile per gli abitanti.
Questo lungo lavoro, ben fatto sia da parte di artisti sia da parte delle istituzioni,
ha sicuramente portato dei buoni risultati, tanto da pubblicare un testo e tanto da
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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essere trattato come uno degli eventi culturali più rilevanti, cosa ne pensa?
I comuni non hanno nel loro DNA e nelle loro capacità organizzativa la
flessibilità per capire, a parte queste eccezioni che hanno dimostrato di poter fare
qualcosa grazie al frutto di una congiuntura di persone e di idee. Non sono
strutturati con una certa flessibilità a sostener iniziative di questo tipo, hanno i
loro meccanismi tradizionali, lavori pubblici, gara d’appalto, asilo nido, si ripara
la strada, si da la mensa e tutta una sera di iniziative di routine, ma se devi fare
ricerca e sviluppare nuove idee i comuni si incartano subito a meno che non ci sia
una forte volontà politica e una forte capacità nelle persone coinvolte di correre
dei rischi. Se gli enti locali fossero a loro volta orientati con indicazioni precise
che possono provenire dai ministeri o da chi fa una programmazione delle attività
a sostenere queste iniziative artistiche, saremmo avvantaggiati. Il problema è che
altrimenti rimani sempre uno sperimentatore che rischia di pagare di proprio le
scelte.
Per quanto riguarda il PRU e il CdQ, c’è qualcosa che è stato riflesso dal
progetto Immaginare Corviale?
No, non c’è un annesso diretto tra il contratto di quartiere e il PRU, sono due
iniziative che arrivano, prima il CdQ poi il PRU, un poco casualmente. Io sono
stato il tramite, avendo esperienza e conoscendo bene Corviale, che ha dirottato
sia il CdQ sia il PRU o uno dei PRU di Roma su Corviale. Nel senso che quando
si è deciso quali quartieri coinvolgere, sia per il CdQ, che era un bando del 2002
mi sembra, sia i programmi di recupero urbano, potevano essere tantissimi i
quartieri di Roma interessati all’investimento.
Io che però lavoravo e conoscevo la realtà di Corviale ho fatto il modo di dirigere
tutti e due su Corviale. Ci sono stati ovviamente altri CdQ e PRU a Roma, a San
Basilio, a Torbella Monaca ecc., uno di questi è stato Corviale. Ma tutti i
finanziamenti pubblici dei CdQ sono ancora disponibili alla Cassa dei fondi
prestiti. Alcune iniziative private sono andate avanti sia nel CdQ e nel PRU, ma
debbo dire che con il cambiamento di politica urbana dell’ultimo sindaco, c’è
stato un rallentamento totale di queste iniziative, per cui non si è applicato né gli
orti urbani, che era uno dei progetti legati a Immaginare Corviale, e c’era un
finanziamento per quel progetto, né la riqualificazione e il riarredo degli spazi
pubblici che è un’altra delle opere del PRU e che implicava la ricostruzione
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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dell’immagine per le strade o per gli ingressi di Corviale, ma tutto questo ancora è
sulla carta.
E i cittadini che si sono auto-organizzati?
Io continuo a chiedermelo questo. Sono stati molto spiazzati dall’idea che la
nuova giunta regionale ha detto: demoliamo Corviale! E arrivederci e grazie..
quindi sono dovuti tornare indietro di dieci anni e ricominciare, non da che cosa si
fa, dal punto di vista artistico, ma a difendere Corviale. In quanto opera
architettonica di valore storico-culturale per la città. Tutti hanno concentrato lo
sforzo per evitare che Corviale si abbattesse. Da un po’ di tempo a questa parte
c’è stato anche un convegno che abbiamo organizzato con il Ministero dei Beni
Culturali, che per fortuna ha un settore che si occupa di valorizzare l’architettura e
l’arte contemporanea, ha sposato la nostra causa e ci ha sostenuto nell’impresa di
Corviale con un convegno che si chiama Forum Corviale, tenutosi il 30 di ottobre
2012 qui a Roma, che ha lanciato anche una prospettiva di futuro con tante cose,
compresa anche quella dell’arte. Per cui, abbiamo dovuto, per Corviale, pagare un
prezzo carissimo alla difesa stessa dell’edificio.
Io non credo all’abbattimento, Corviale non è San Pietro, e quindi ci si può anche
condurre delle modifiche in parte, di destinazione d’uso se servirà a rilanciarlo
funzionalmente. Siccome il Ministero stabilisce in base al valore storico e
culturale, bisogna quindi rivalutare quanto questa opera sia stata valutata su libri e
opere internazionali, e Corviale è su tutti i libri d’Europa. Quindi utilizzando
questo parametro si è concluso che questo edificio va tutelato e riqualificato, là
dove è possibile, correggendo tutti gli errori che sono stati fatti, ma sicuramente
non è da abbattere.
Il problema è che la popolazione originaria c’è stata deportata a Corviale, cioè non
è stata una scelta, erano case popolari, la maggior parte erano stati sfrattati e
andarono in una zona che allora era priva di qualsiasi servizio. Io sono convinto
che se oggi, con tutto il bisogno che hanno i giovani, si svuotasse Corviale, e si
dicesse: chi è interessato ad andare a Corviale? Magari sperimentando forme
abitative di tipo innovativo come si sta facendo adesso anche a Milano con il Co-
Housing o forme di condivisione di acquisti di merci o Gruppi di Acquisto
Solidale: se si fosse lasciato libero a tanti giovani che non hanno casa e dovessero
andare ad abitare a Corviale per scelta, secondo me si riempirebbe il fabbricato in
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pochi secondi di una popolazione totalmente diversa e totalmente giovane e
sicuramente motivata a stare lì.
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Maria Teresa Bruca – Intervista del 10/11/12 Attualmente dipendente dell’ATER (Ex IACP). Nel progetto Immaginare Corviale
ricopriva il ruolo di responsabile dell’associazione ellelab per la redazione del lavoro
svolto per il Quarto Piano da inserirsi nel CdQ II del 2004.
Ellelab con Stalker ha curato la mappatura e la protrazione partecipata del Quarto Piano.
Ellelab ad oggi non è più attiva, ha collaborato con l’Osservatorio Nomade nella
costruzione e realizzazione del progetto Immaginare Corviale. Il collettivo formatosi nel
2003 era formato da Sara Braschi, Maria Teresa Bruca ed Eleonora Costa.
Nel progetto ‘Immagina Corviale’, quali sono gli elementi fondamentali che
hanno costituito il lavoro del Quarto Piano e quali poi si sono inseriti nel CdQ II
ad oggi?
Nel progetto dell’Osservatorio Nomade Immaginare Corviale è stato fatto un
programma di mappatura del quarto piano. Quest’ultimo corre longitudinalmente
lungo tutto l’edificio e originariamente, rispetto al progetto di Mario Fiorentino,
era stato destinato ai sevizi (negozi e studi professionali). Una grande strada
interna all’edificio che contenesse tutti i servizi. Di fatto non sono mai stati
realizzati e gli spazi, ormai rimasti vuoti, sono stati pian piano occupati dagli
abitanti che ne hanno ricavato degli alloggi.
Nel fare la mappatura ci siamo accorti di come era avvenuta questa occupazione.
La maggior parte degli occupanti erano persone cresciute a Corviale, figli degli
assegnatari degli alloggi degli altri piani, non avendo trovato una casa sul mercato
hanno occupato questi spazi vuoti ricavando un alloggio.
Vorrei sottolineare che nella distribuzione spaziale, lì dove lo spazio pubblico
aveva fallito, (come ad esempio il quarto piano), si era creato una nuova forma di
spazio semi-pubblico condiviso.
I grandi pianerottoli comuni a più alloggi occupati, venivano autogestiti dagli
occupanti stessi per diverse funzioni: spazio gioco per i bambini, spazio per il
soggiorno all’aperto, dei giardini pensili. Il lavoro di mappatura è stato fatto con
la collaborazione degli abitanti durante il progetto Immaginare Corviale.
Parallelamente, finito il progetto, noi di ellelab ci siamo continuati ad occupare
del quarto piano, avendo instaurato un rapporto di collaborazione con gli abitanti
del quarto piano, che nel frattempo avevano costituito il comitato Piano Occupato,
e visto che parallelamente a Immaginare Corviale era partito il Contratto di
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Quartiere, abbiamo pensato di collaborare con loro spontaneamente, elaborando
una proposta di progetto da presentare alle istituzioni.
Il CdQ di Corviale ha delle particolarità dovute al fatto che l’edificio Nuovo
Corviale è di proprietà dell’ATER, invece i servizi intorno sono di proprietà del
Comune. Quindi il lavoro è stato fatto contemporaneamente da ATER e Comune.
ATER per la regolarizzazione degli alloggi del quarto piano, il Comune invece
per quanto concerne tutta la ristrutturazione e il potenziamento dei servizi intorno
a Corviale.
Nel frattempo il CdQ andava avanti prevedendo in sé una parte di
sperimentazione affidata all’Università degli Studi di Roma III in particolare al
Dipartimento di Studi Urbani (DIPSU). All’interno del Dipartimento lavorava una
figura di Stalker/Osservatorio Nomade che aveva lavorato con noi al progetto
Immaginare Corviale che ci ha coinvolto a prendere parte attivamente al CdQ.
Quindi quella che era stata una proposta nata spontaneamente fra noi e gli abitanti
diventata di fatto una proposta che è stata messa in atto ed entrava a far parte del
CdQ come progettazione definitiva.
Partecipando al bando di gara del CdQ la progettazione è diventata quella
esecutiva ma non siamo riusciti a vincere. I vincitori del Bando mi hanno
chiamato a collaborare per la realizzazione del progetto.
Quindi di fatto quello che è venuto fuori attraverso il progetto Immaginare
Corviale ha avuto una prosecuzione all’interno del CdQ e dei programmi
istituzionali.
Per adesso si è giunti in una fase esecutiva. La progettazione esecutiva è stata
conclusa e consegnata ed è pronto per essere mandato in gara. In questo moneto
le gare sono state bloccate, ma noi speriamo che al più presto ci sia modo di
attuare quello che il CdQ prevede e di regolarizzare gli alloggi.
Spetterebbe una casa alla maggior parte degli inquilini, ovviamente quelli che
hanno diritto, perché non tutti quelli che occupano gli alloggi hanno diritto agli
alloggi popolari. Si prevede che attraverso un bando di assegnazione speciale,
solo chi ha i requisiti può rimanere all’interno degli alloggi. Anche per l’ATER
sarebbe buono perché si ritrova con 120 alloggi occupati dai quali non percepisce
affitto. Tutti hanno intenzione di regolarizzare la loro posizione. I lavori
ovviamente non sono iniziati perché la gara d’appalto non è ancora stata fatta,
poiché bloccata dall’attuale Giunta Regionale. I problemi non sono di natura
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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tecnica perché il progetto è completo, sono più che altro le scelte politiche e
orientamenti politici che non prevedevano un potenziamento di Corviale ma ne
prevedevano addirittura la demolizione. Adesso si aspetteranno i risultati delle
nuove elezioni che si prevedono per la fine di febbraio 2013.
Il lavoro svolto da Immaginare Corviale si è comunque inserito nei processi di
trasformazione per quanto riguarda il CdQ II, si spera adesso che il lavoro non sia
stato del tutto vano. Non conosco al momento l’esecuzione dei progetti legati al
PRU (Programma di Recupero Urbano) per gli orti urbani. I professionisti del
gruppo di progettazione nicole_fvr/A+P si è occupato della mappatura degli orti
che sono autogestiti dagli abitanti. Corviale divide la città dalla campagna ed è
stato un limite all’espansione urbana per quel lato di città e dal lato della
campagna c’è una striscia di orti gestita dagli abitanti, però non so se gli orti si
sono inseriti nel Programma di Recupero Urbano.
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Lorenzo Romito – Intervista del 18/11/12 Architetto e coordinatore artistico del progetto Immaginare Corviale dell’Osservatorio
Nomade.
La creatività e l’arte sono riuscite a progettare e coinvolgere i cittadini e quali
sono stati i risvolti positivi?
Immaginare Corviale è stato, tra i pochi in Italia, un tentavo progettuale di Arte
Pubblica. Noi dell’Osservatorio Nomade, siamo stati coinvolti dalla Fondazione
Adriano Olivetti.
Coinvolti come soggetto artistico, ci siamo introdotti come soggetti di
partecipazione e abbiamo cercato di favorire la partecipazione. Ci siamo trovati in
una “strana” combinazione con il Laboratorio Territoriale in un miscuglio tra arte
e partecipazione che non avevo mai sperimentato. Per esempio nel creare la
televisione di quartiere, che poi ha prodotto alcune puntate che sono andate in
onda su Roma 1, abbiamo coinvolto i giovani in questo contenitore chiamato
Corviale Network.
Per quanto riguarda invece la progettazione partecipata siamo riusciti a stabilire
dei rapporti con gli abitanti del quarto piano, ma abbiamo avuto delle divergenze
con l’amministrazione pubblica.
Erano divergenze date dal vostro modo di operare o avevano sollevato problemi
sull’approccio artistico?
In questo caso di artistico c’era ben poco, anche se il progetto veniva
contrassegnato come progetto di Arte Pubblica. Noi in realtà avevamo promosso
la realizzazione di laboratori condominiali che servissero per un maggiore
coinvolgimento degli abitanti del quarto piano. Quello che è stato prodotto alla
fine si trova attualmente in gara insieme agli altri progetti fatti con tutto il gruppo
interdisciplinare. Nella fase finale siamo però stato esclusi per un nostro errore
burocratico e non siamo potuti andare avanti con la progettazione.
Come potevate agire in altri casi e come le istituzioni potevano inserivi
diversamente?
Intanto esisteva una nostra ingenuità sul fatto che potevamo con le nostre sole
forze condividere idee direttamente con gli abitanti. Noi dovevamo essere uno
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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strumento artistico per promuovere un’azione come quella del programma di
recupero. Ci siamo infatti interrogati sui fondi che arrivavano a Corviale e il modo
in cui venivano spesi e abbiamo messo in gioco tutto l’argomento con tutti. È stata
forse questa la nostra ingenuità. Dalla parte dell’amministrazione invece esisteva
il desiderio che fosse il Laboratorio Territoriale a condurre il progetto.
Noi eravamo anche pronti a mantenere la posizione sul territorio, non penso si
possa dire che sono finiti i soldi, il nostro progetto fatto di tanti prodotti ha
sicuramente prodotto dei feedback positivi. Oggi credo ci siano nuove attività a
Corviale in cui, per così dire, “fa comodo ripartire da zero”, perché la funzione
che può avere un progetto simile è quella di ricondurre tutto alla questione che
Corviale è un buon “bacino di voto”. Così non si determinerà mai un vero
cambiamento strutturale che attecchisce sul territorio.
Il vostro lavoro artistico e creativo nel progetto Immaginare Corviale in sostanza
a cosa è servito?
È costituito all’analisi del quartiere innanzitutto, dove sono emersi con chiarezza i
problemi dei cittadini. Ma più che la creatività e l’arte, a parte il progetto Corviale
Network, ci siamo impegnati su tutti i fronti che avevano a che fare con problemi
pratici dei cittadini, come il caso degli ascensori che non funzionano. Ma poi ci
siamo resi conto che potevamo dare fastidio a qualcuno. Da questo vari processi
che volevamo condurre sul complesso non sono venuti più a capo.
Nel 2008 abbiamo infatti interrotto completamente il rapporto con
l’amministrazione.
Però debbo dire che diverse esperienze di partecipazione passate ma anche recenti
hanno dimostrato che l’arte e gli artisti sono diventati i nuovi protagonisti o il
nuovo strumento che serve a dare credibilità ad alcuni processi, lì dove per
decenni, non hanno mai funzionato. Ecco, quindi stare da quella parte, cioè dalla
parte dell’artista, a mio modo di vedere, non è bello, e infatti ci siamo voluti
sottrarre. Ma oggi abbiamo maturato con più chiarezza questo processo artistico
avvenuto a Corviale, ne abbiamo fatto oggetto di riflessione e di studio.
L’unica esperienza che mi è rimasta sul cuore è sicuramente la creazione di
Corviale Network, è stata giocosa, divertente e coinvolgente. Strumento messo
nelle mani di chi a volte si sente “incapace di fare qualsiasi cosa” come i cittadini.
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Intervista Alessio Conti – intervista del 15/12/2012 Delegato alle Politiche Giovanili del Municipio Roma XV e responsabile
dell’Associazione Corviale Urban Lab.
Ho avuto modo di notare che siete molto attivi dal punto di vista artistico e
culturale sul contesto Corviale. In cosa consiste il vostro lavoro?
Tra le varie cose che organizziamo a Corviale, come Delegato alle Politiche
Giovanili, ci sono dei progetti che vengono affidati a delle associazioni e chi poi
si occupa per esempio della direzione artistica, si occupa dei progetti. Io sono un
referente delle istituzioni del Municipio XV. Mi occupo nel contesto Corviale di
diversi progetti in particolare di Corviale UrbanLab, che è il nostro contenitore di
tutte le attività artistiche e culturali emergenti del Municipio.
L’idea di fondo che noi cerchiamo di esportare è che l’arte e la cultura possano
essere strumenti della riqualificazione urbana. Corviale nell’immaginario
collettivo è una periferia che si riflette nella collettività come un luogo degradato
e di fallimento urbanistico. Esiste però una profonda identità in quel luogo, noi la
poniamo sotto un’altra veste utilizzando l’arte e la cultura in tutto quello che
facciamo.
Il format Corviale UrbanLab lo abbiamo esportato anche in altri luoghi al di fuori
dell’Italia, perché attualmente riscontriamo buoni risultati dal contesto Corviale.
Ultimamente abbiamo agito presso il Forte Portuense, situato nel XV Municipio
nel quartiere Portuense, che era un Forte Militare romano.
Cerchiamo nel nostro lavoro il massimo coinvolgimento degli abitanti producendo
dei materiali come la Tv Corviale Urban Lab che raccolgono tutte le iniziative da
dicembre 2011. Nelle altre azioni come quella del Forte Portuense abbiamo creato
una centralità urbana cercando di creare un’attrazione artistico - culturale. Stiamo
organizzando dei workshop incentrati sul Forte per percepire quali sono realmente
le possibilità attuali di trasformarlo in un luogo di produzione culturale.
Siamo riusciti a raccogliere in soli due giorni 1500 persone.
Lavoriamo soprattutto sulla produzione culturale dei contesti marginali ma non
possiamo riuscire direttamente ad intervenire sui processi di riqualificazione
urbana che hanno coinvolto il complesso di Corviale, perché è di competenza
della Regione Lazio. Promuoviamo la cultura del Municipio XV nel Comune di
Roma. Ti rimando al sito della nostra associazione.
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Intervista Francesco Careri – 20/11/2012
«Francesco Careri è architetto e dal 2005 è Ricercatore Universitario presso il DIPSU –
Dipartimento di Studi Urbani dell’Università di Roma Tre. Dal 1995 è membro fondatore
di Stalker Osservatorio Nomade, un laboratorio di ricerca interdisciplinare con cui
sperimenta metodologie di intervento creativo nella città. Dal 1990 fino al 2008 anima
insieme a Lorenzo Romito, Aldo Innocenzi e molti altri il progetto Stalker, con cui
sperimenta azioni sperimentali di ricerca interdisciplinare e di intervento artistico e
politico. Nel 1995 con un’azione esplorativa sul sistema dei vuoti della città di Roma,
Stalker comincia una serie di esplorazioni a piedi di diverse città europee ed americane,
su territori in abbandono e in trasformazione chiamati “Territori Attuali”. Nel 1999
insieme ai rifugiati curdi di Roma occupa l’edificio ex veterinario del Campo Boario del
Mattatoio di Testaccio denominandolo “Ararat”, per sperimentare ludicamente nuove
forme di spazio pubblico fondate sull’accoglienza e l’ospitalità. Nel 2002 attiva
Osservatorio Nomade, una rete transdisciplinare di ricercatori che realizza importanti
progetti quali Ricordando Samudaripen (2004), Egnatia (2003 – 2004), Immaginare
Corviale (2003 – 2005), Campagnaromana (2006), Suilettidelfiume (2007), Campus Rom
(2008). In seno a tali esperienze Stalker/ON ha dato vita a diversi spazi simbolici tra i
quali Amacario (1998), Transborderline (2000), Tappeto Volante (2000), Along the
Egnatia (2003), Savorengo Ker (2008); e ha partecipato alla Biennale di Architettura di
Venezia, la Triennale di Milano, la Quadriennale di Roma, le mostre internazionali
"Manifesta 3" a Lublijiana, "Mutations" al Centre d'Architecture Arc en Reve di
Bordeaux, "La ville, le jardin, la memoire" a Villa Medici, “Città Natura” al Palazzo delle
Esposizioni di Roma; espone al Miami Arts Project, alla Storefront for Art and
Architecture di New York, a KunstWerk di Berlino, al Palais de Tokyo di Parigi, al
CAPC-Musée d’Art Contemporaine di Bordeaux, al Netherland Architecture Institute di
Rotterdam.»
.
In quale maniera l’approccio Stalker ha analizzato il Corviale e quanto le
passeggiate su Corviale hanno influenzato il vostro lavoro?
L’abbiamo fatto nei primi anni e lo continuiamo a fare, camminare nelle amnesie
urbane, prima passavamo accanto alle statali adesso a Corviale abbiamo deciso di
affrontarla come se fosse un territorio come gli altri, andare a cercare anche li.
Dove c’erano spazi nascosti, dove c’era qualcosa da rilevare, da svelare e da
capire.
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Da chi era costituito il gruppo di cammino?
Un gruppo di Stalker e gli studenti della Penn State University, è stata una
giornata, un workscop pagato dalla Penn State University.
Quali sono state le riflessioni che sono venute fuori dai workschop?
Nulla in particolare, ma mi ricordo che dalla torretta del Trullo, in questo punto
altissimo si vedevano una serie di palazzine per tre o quattro chilometri con una
linea nell’orizzonte di questo chilometro di Corviale di colore nero che faceva un
po’ da confine, da muro. La passeggiata in se ha avuto poca importanza, più che
altro il lavoro poi fatto dentro il contesto insieme al Laboratorio Territoriale.
Quale è stato poi nei tavoli partecipativi il rapporto con il Laboratorio
Territoriale?
Premettendo che c’era in atto un CdQII con un investimento di dieci milioni di
euro, di cui, se non sbaglio, sei mesi dalle Regione e quattro dal Comune. I
trentacinque mila euro dati a noi per fare questo progetto di Arte Pubblica è durato
alla fine due anni è abbiamo coinvolto più di cinquanta persone, in rapporto è
veramente una miseria e allo stato attuale continuano a rivendersi una cosa che gli
abbiamo regalato. Da parte nostra c’era un impegno enorme perché ci interessava
il tema, ci appassionava sperimentarci come Osservatorio Nomade nella
formazione di una rete. È stato un lavoro complesso nel coinvolgimento di reti
gruppi. Non se hai presente quello schema con tutti gli insiemi? È stata pubblicata
poi in DOMUS del 2005 e l’articolo e di Luca Molinari.
Questo lo dico per farti capire i pesi, perché nel percorso abbiamo trovato non
poche difficoltà, perché nel nostro percorso artistico, nel lavoro della televisione e
negli altri ci guardavano come matti, poi quando funzionava se la rivendevano
come volevano. Però questo è normale quando si lavora con i poteri pubblici.
Successivamente, un finanziamento parallelo, di un milione di euro del CDQII, è
stato investito sul quarto piano e sono stato coinvolto anche in quello, per progetti
architettonici insieme ad ellelab. Ci abbiamo lavorato per più di cinque mesi
diventando così la base per il concorso del quarto piano successivamente e quelli
che hanno vinto hanno in sostanza modificato qualcosa sulle nostre idee ma alla
fine il quadro conoscitivo lo avevamo fatto noi.
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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Quanto del vostro lavoro quindi è stato riflesso nel CdQII e quanto eravate liberi
di agire nel contesto?
In sostanza solo la parte che riguarda il quarto piano, che era uno dei capitoli del
CdQ, per quanto riguarda le altri parti non hanno dato indicazioni di nessun tipo.
finito il nostro lavoro il rapporto con il Comune è rimasto nullo.
Abbiamo avuto la nostra libertà perché ce la siamo presa poi è normale che ci
siano nel percorso dei conflitti ma comunque rifarei l’esperienza.
Comunque sia quando il potere pubblica chiama un artista per un progetto di arte
pubblica pensa di poterlo utilizzare come sistema di comunicazione delle sue idee
e su questo nascono sempre dei conflitti a meno che il pubblico stia facendo un
buon lavoro oppure che l’artista non abbia una sensibilità e capacità di costruirsi
un autonomo punto di vista.
Siamo usciti dai binari continuamente perché la persona come nel caso di Storie
Comuni con la signora del nono piano si è incontrata così per caso e da una
chiacchiera poi e nata l’iniziativa sfuggendo però all’area del Laboratorio
Territoriale, perché non era nella rete dei loro fili. Cercavamo di muoverci in
autonomia. I lavori erano paralleli e diversi.
Diciamo che il nostro impegno è stato sul coinvolgimento e sulla sensibilità di
capire come gli abitanti si muovevano nello spazio in cui vivevano e in quel
contesto non c’è stata sinergia con il Laboratorio se non in poche occasioni legate
ovviamente al progetto Immaginare Corviale.
Cosa della rete costruita (come da grafico) è rimasto nel quartiere e su cosa
volevate continuare a lavorare?
Attualmente il comitato piano occupato, ad esempio, non c’è più, anche perché la
maggior parte hanno cambiato casa. In tutto quello che facevamo fin dall’inizio
non avevamo capito quale era la mappa di potere infatti molto progetti fatti sono
stati tagliati. Poi i sistemi politici legati ad atteggiamenti mafiosi ci hanno
impedito di proseguire le nostre iniziative. Molte cose che coinvolgevano gli spazi
passavano per loro e quindi continuavano a togliere stimoli nel coinvolgimento
cittadino e ovviamente anche nostri. Da qui abbiamo cominciato a sentire anche la
loro voce. Il laboratorio condominiale è servito a svegliare un po gli abitanti
anche perché da quando esiste Corviale non era mai stata indetta una riunione di
condominio. Il comitato condominiale ad esempio continua ad esistere.
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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In generale non potevamo agire da trasformatori ma siamo stati utilizzati per
esplorare e ricercare nel territorio. Quindi finito il progetto di Arte Pubblica si è
continuato, non trasformando il territorio, ma rimanendo uno studio urbanistico e
di pianificazione, processi che hanno dei tempi e delle rigidità enormi, per cui è
difficilissimo riuscire ad inserirsi se non si ha un minimo di apertura dei
progettisti. Tutto dipende, nel nostro caso, dalla lungimiranza dell’amministratore
e non tanto dalla cultura. Quindi in sostanza alla fine quello che è venuto fuori
dal progetto è stato il lavoro della televisione, raccontato anche molto bene nella
pubblicazione della Mondadori, non riuscendo però ad entrare negli schemi di
trasformazione dello spazio pubblico. Il rammarico alla fine è quello di non essere
stati in grado di far attecchire una cultura imprenditoriale legata a qual progetto,
ma soprattutto di non aver ricevuto “meriti” sulle progettazioni riguardanti la
trasformazione fisica del quartiere.
Appendice - Arte pubblica, città e sperimentazioni culturali. Le pratiche artistiche come strumento delle politiche urbane
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