Art. 41 bis

2

Click here to load reader

Transcript of Art. 41 bis

Page 1: Art. 41 bis

Il 41-bis

Approfondimento a cura di Rosaria Giambersio

La legge 354/1975 (Ordinamento Penitenziario) pone come principio fondamentale e finalità da

perseguire attraverso il carcere la rieducazione del detenuto. Come infatti statuisce anche l’art. 27

c.3 della Costituzione (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso dell’umanità

e devono tendere alla rieducazione del condannato”), il carcere dovrebbe avere come scopo quello

di rieducare il soggetto e di reinserirlo nella società. Dice dunque l’art. 1 c. 6 della legge 354/1975

(Ordinamento Penitenziario) “Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un

trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al

reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione

in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti”.

L’art. 41-bis fa parte dell’ordinamento penitenziario: è stato inserito all’interno dello stesso dalla

legge 663/1986: originariamente constava di un solo comma, che riguardava la sospensione dei

diritti dei carcerati in casi eccezionali di rivolta o in altre grave situazioni di emergenza. Rispetto al

nostro discorso rileva però il secondo comma dell’art. 41-bis, inserito dal decreto legge nr. 306

dell’8 giugno 1992, convertito in legge il 7 agosto 1992: importante sottolineare le date,

considerando che la strage di Capaci è del 23 maggio 1992 e la strage di Via d’Amelio è del 19

luglio dello stesso anno. Il comma (che è stato poi sottoposto a vari interventi normativi) prevede la

facoltà per il Ministro della Giustizia di sospendere per i soggetti che abbiano commesso alcuni

delitti elencati al comma 1 dell’art. 4-bis ord.pen. o comunque un delitto commesso avvalendosi

delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, l’applicazione delle regole di

trattamento e degli istituti previsti dallo stesso ordinamento penitenziario, laddove gli stessi si

possano porre in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. Al comma 2-bis si

specifica che il provvedimento ha durata pari a quattro anni, ed è derogabile se risulta che la

capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale non è venuta meno. Al comma 2-

quater si stabilisce che i soggetti sottoposti al regime del 41-bis devono essere detenuti all’interno di

istituti a loro espressamente dedicati. Inoltre si elenca in cosa consista nello specifico la limitazione

dei diritti dei soggetti sottoposti a tale regime: all’interno di quest’elenco si può ricordare la

limitazione nei colloqui, la censura della corrispondenza, la limitazione della permanenza all’aperto.

Ad ogni modo la Corte Costituzionale ha affermato nella sentenza 351/1996 che rimane il dettato

costituzionale per cui la pena non può essere contraria al senso di umanità, affermando quindi che

vi sono alcuni diritti (che la Consulta individua in quelli indicati nel comma 4 dell’art. 14-quater

ord. pen.) che non possono mai essere soppressi. La disciplina di cui al 41-bis è stata sottoposta

anche all’attenzione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che nei casi Natoli e Labita ha

sostenuto che detto regime non si configurasse come un trattamento disumano e degradante (come

sostenevano i ricorrenti, denunciando la violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti

dell’Uomo), in quanto, seppure le pene fossero severe rimanevano comunque proporzionate alla

gravità dei reati commessi. La problematicità permane in caso di soggetti sottoposti a regime di 41-

bis i quali versino in gravi condizioni di salute: una certa giurisprudenza della CEDU afferma infatti

che in questo caso detto regime si configurerebbe come trattamento disumano e degradante. È

inoltre importante sottolineare che dinanzi al decreto che dispone l’applicazione del regime di

carcere duro il carcerato può presentare reclamo.

Può apparire certamente problematico contestualizzare l’art. 41-bis all’interno della finalità

rieducativa che l’ordinamento penitenziario si autopone e che è anche costituzionalmente garantita.

In effetti diverse critiche si sono riversate verso l’articolo in questione: è stata criticata

l’applicazione in pianta stabile di una norma che aveva originariamente carattere emergenziale,

oppure il rischio, evidenziato dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o

trattamenti inumani o degradanti che l’isolamento determinato dal 41-bis comporti danni alle

facoltà sociali o mentali dell’individuo irreversibili. La norma comunque si mantiene

Page 2: Art. 41 bis

nell’ordinamento grazie alla particolare gravità e peculiarità dei reati che cerca di contrastare, e

delle specifiche esigenze poste dalla detenzione in carcere di boss mafiosi.