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ditoria Il numero 8 di Arté contiene una articolata testimo- nianza delle diverse terapie espressive (drammaterapia, danzamovimentoterapia, arteterapia, musicoterapia). Il primo articolo, Susana Pendizk, descrive un’interes- sante ed esaustivo modello metodologico in Dramma- terapia (il modello delle 6 chiavi). Nel contributo suc- cessivo Vincenzo Puxeddu ci offre una riflessione sulla danzamovimentoterapia (DMT), partendo dalla pro- pria personale esperienza formativa ed esistenziale. Anche lo scritto di Marialena Tamino è dedicato alla DMT; l’autrice affronta il tema della seduzione, impli- citamente presente nelle terapie espressive. Ulteriore esperienza di DMT è quella descritta da Ele- na Cerruto, relativa ad un percorso decennale condot- to presso un Centro Semiresidenziale rivolto ad utenza psichiatrica. Michele Daghero tratta il contesto proprio dell’artete- rapia presentando un intervento clinico, rivolto a sog- getti disabili, ma altresì ricco di ricadute formative per gli operatori coinvolti. Chiara Salza, di seguito, riferisce di un progetto di arte- terapia dove emerge la dimensione umana e relazionale. L’approccio musicoterapico è affrontato in due contributi. Alicia Isabella Gibelli presenta un’esperienza corale in- cludente pazienti psichiatrici e ricca di qualità integra- tive. Maria Santonocito descrive l’evolversi di un grup- po di musicoterapia condotto all’interno di un centro diurno psichiatrico. Gerardo Manarolo 08

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ditoriaIl numero 8 di Arté contiene una articolata testimo-nianza delle diverse terapie espressive (drammaterapia,danzamovimentoterapia, arteterapia, musicoterapia).Il primo articolo, Susana Pendizk, descrive un’interes-sante ed esaustivo modello metodologico in Dramma-terapia (il modello delle 6 chiavi). Nel contributo suc-cessivo Vincenzo Puxeddu ci offre una riflessione sulladanzamovimentoterapia (DMT), partendo dalla pro-pria personale esperienza formativa ed esistenziale.Anche lo scritto di Marialena Tamino è dedicato allaDMT; l’autrice affronta il tema della seduzione, impli-citamente presente nelle terapie espressive.Ulteriore esperienza di DMT è quella descritta da Ele-na Cerruto, relativa ad un percorso decennale condot-to presso un Centro Semiresidenziale rivolto ad utenzapsichiatrica. Michele Daghero tratta il contesto proprio dell’artete-rapia presentando un intervento clinico, rivolto a sog-getti disabili, ma altresì ricco di ricadute formative pergli operatori coinvolti.

Chiara Salza, di seguito, riferisce di un progetto di arte-terapia dove emerge la dimensione umana e relazionale.L’approccio musicoterapico è affrontato in due contributi.Alicia Isabella Gibelli presenta un’esperienza corale in-cludente pazienti psichiatrici e ricca di qualità integra-tive. Maria Santonocito descrive l’evolversi di un grup-po di musicoterapia condotto all’interno di un centrodiurno psichiatrico.

Gerardo Manarolo

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mariosomm somm04 Il modello delle 6 chiavi come strumento d’intervento in dramma terapia

SUSANA PENDIZK

17 Uomini e DanzaMovimentoTerapiaVINCENZO PUXEDDU

24 Arteterapia per il ritardo mentale e formazionealla facilitazione delle attività artistico-espressive per le assistenti di un Centro d’incontroMICHELE DAGHERO

34 La seduzione della danzamovimentoterapiaMARIALENA TAMINO

37 Le signore Rosetta ed Emilia: un incontro sorprendenteCHIARA SALZA

42 Il coro come esperienza di socializzazioneALICIA ISABELLA GIBELLI

45 Il suono dentro: un percorso di musicoterapia di gruppo in un Centro diurno psichiatricoMARIA SANTONOCITO

50 CRA e Danzamovimentoterapia: 10 anni di folliaELENA CERRUTO

60 Recensioni ar-té61 Notiziario ar-té

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tare storie o tecniche gestuali possono essereconsiderate valide forme della realtà dram-matica. Di fatto, la realtà drammatica puòprendere la forma di qualsiasi attività lungo ilparadigma EPR (personificazione-proiezione-ruolo) come definito da Jennings (1998, 2004).La personificazione include attività corporeee sensoriali; la proiezione comprende tutte letecniche proiettive, dai “mondi in miniatura”a pittura, marionette, immaginazione attivaetc. Il ruolo si riferisce prima di tutto alla rap-presentazione e al lavoro scenico. Concettual-mente, i confini della realtà drammatica pos-sono essere delineati in accordo con lanozione di Shechner (1988) delle sette attivitàperformative (teatro, musica, danza, gioco li-bero, giochi di regole, rito, e sport) che hannola capacità di manifestare un mondo dentroun mondo. In sintesi: per essere definita comerealtà drammatica, un’esperienza immagina-ria richiede che alcuni suoi aspetti siano in-carnati nel mondo reale (Pendzik, 2006).Il modello delle sei chiavi esamina sei parametrifondamentali della realtà drammatica, intornoai quali il processo della drammaterapia tende agravitare. Complessivamente, questi parametricomprendono una mappa della realtà dramma-tica e dei suoi dintorni, offrendo un quadro del-lo stato dei fatti (valutazione iniziale), indicandole direzioni di intervento (trattamento) e valu-tando il progresso (valutazione finale). In un ar-ticolo precedente (Pendzik, 2003), ho introdottoil modello come metodo di valutazione iniziale.In questo scritto rivedo brevemente questa in-formazione e la sviluppo per presentare il suoutilizzo come strumento di intervento e per of-frire spunti di lavoro in ogni chiave.

La figura 1 offre una panoramica del modello:ogni chiave affronta un particolare aspetto dellarealtà drammatica.

Le prime due chiavi sono vitali per lo sviluppo delprocesso drammaterapeutico dal momento chehanno a che fare con la stessa esistenza e le funzio-ni di base della realtà drammatica - senza la qualenessuna drammaterapia può avere luogo. Questechiavi riguardano innanzitutto la forma. Tendonoa essere in relazione con le domande sul “come”:vie di accesso, modi di migliorare la realtà dram-matica, questioni di stile. La seconda coppia dichiavi è connessa ai contenuti della realtà dram-matica: esamina “chi” e “cosa” la occupa. Laquinta e la sesta chiave contemplano eventi cheaccadono al di fuori della realtà drammatica: esa-minano le reazioni delle persone all’esperienza, ecosa non è stato detto o rimane “tra le righe”.Il modello può essere usato per ricapitolare unasingola sessione o per creare un profilo di un in-dividuo o un gruppo. Il drammaterapista rico-struisce il processo scrivendo le sue impressionisu ogni chiave, basate sull’osservazione soggetti-va. Questa semplice procedura di solito illumina

Il modello delle 6 chiavicome strumento d’intervento in dramma terapia*SUSANA PENDIZK PHD, RDT, Theatre Studies Department, Hebrew University of Jerusalem, Israele

Tra tutte le isole di una certa gradevolezza,l’Isola-che-non-c’è è la più accogliente e lapiù compatta; non è grande e disordinata,sapete, con noiose distanze tra un’avventurae l’altra, ma è tutta ben concentratain poco spazio. Quando di giorno si giocaall’Isola-che-non-c’è, con le sedie e la tovaglia,essa non fa per nulla paura, ma nei due minutiprima di andare a dormire diventa quasi reale.Ecco perché ci sono le lampade per la notte.J.M. Barrie, Peter Pan

Introduzione ■La realtà drammatica è riconosciuta come unostrumento terapeutico fondamentale dalla mag-gior parte dei drammaterapisti (tra gli altri: Blat-ner&Blatner,1988; Duggan&Grainger, 1997;Jenkyns, 1996; Jennings, 1998; Johnson, 1991,2000; Jones, 1996; Lahad, 2000; Moreno, 1987;Pendzik, 2006, 2008). La possibilità di creare unospazio dove l’immaginario diventa tangibile è alcuore di qualsiasi approccio drammaterapeutico.Tutti i metodi e le tecniche impiegate dai dram-materapisti - inclusi gioco, lavoro sul personaggio,improvvisazione, storie, metafore, marionette,maschere - mirano a “scaricare” il regno dell’im-maginario e a dargli una forma materiale nellarealtà drammatica. La realtà drammatica è unluogo a metà strada tra il regno soggettivo del-l’immaginazione e il mondo concreto della realtà.Il concetto è stato battezzato con una varietà dinomi; tuttavia tutti hanno indicato un’idea simi-le, che concorda con la visione di Winnicotst(1971) di spazio potenziale come luogo naturaledella terapia, e con la definizione di Stanislavski(1936) di come se come meccanismo consapevole

con cui gli attori trascendono verso il regno del-l’immaginario. Non tanto per il gusto di aggiun-gere un nome in più, ma forse per invocarneuno che possa aiutare di più a chiarire il concet-to, potremmo dire che la realtà drammatica po-trebbe essere chiamata l’Isola-che-non-c’è perchéè precisamente in quell’isola che l’immaginazionediventa manifesta nel qui e ora. E davvero comela leggendaria Isola di Barrie, la realtà dramma-tica è un luogo di trasformazione, cambiamentoe crescita personale.

Il modello delle 6 chiavi ■Nello stesso modo in cui il transfert costituisce unindice di progresso e uno strumento principale ditrattamento nella psicoterapia dinamica (Jones,1963; Yalom, 1975), la realtà drammatica può es-sere vista come la bussola che guida la praticadella drammaterapia: è un fattore terapeuticoprimario, necessario per lavorare in modo effica-ce con la drammaterapia (Pendzik, 2006).Tenendo presente che tutto il lavoro drammate-rapeutico richiede un viaggio nella realtà dram-matica, sembra del tutto naturale che i sistemi divalutazione e i metodi di intervento valutino iprogressi terapeutici, considerino i cambiamentie definiscano gli obiettivi in termini di realtàdrammatica. Su questa idea è costruito il mo-dello delle 6 chiavi.In questo contesto, la realtà drammatica è agrandi linee definita come la manifestazione del-l’immaginazione nel qui e ora. Questa operazio-ne può essere fatta in varie forme - di cui la mes-sa in scena teatrale è solo un modo. La parola“drammatica” non deve essere fuorviante: la stousando nel suo senso etimologico (dal greco:azione, fare). Di conseguenza, metodi per inven-

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Figura 1

6meta-realtà

1passaggi

2qualità

3ruoli e

personaggi4

trama,temi

5risposte

{

{

{

fuor

i dal

la r

d

forma

contenuto

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menti diventa futile, e il significato dei contenu-ti esplorati in esso è perso. Se non è sentito co-me un’esperienza attendibile, gli individui po-trebbero percepire che il loro stare nella realtàdrammatica è inadeguato o irrilevante (“soloper finta”, “roba da bambini”). Questo non so-lo aumenta la loro resistenza a partecipare, maanche indebolisce la loro abilità a creare unmondo drammatico dove i contenuti possonoessere esplorati in sicurezza ed elaborati. Perdirla con la terminologia di Winnicott (1971), laqualità richiede la creazione di un livello “ab-bastanza buono” di realtà drammatica (vedischema sotto). In questo senso, la qualità si rife-risce alla capacità di un individuo o gruppo distabilire un come se che sia abbastanza credibileper poterci lavorare.Il secondo aspetto della qualità è associato allostile o modo che la realtà drammatica assume:esamina gli attributi e le caratteristiche specifi-che del mondo drammatico creato. Questo puòincludere particolari caratteristiche, come il rit-mo lento, euforico, pieno di colpi di scena; o igeneri: video-clip, animazione, commedia, tea-tro dell’assurdo, fiaba, e così via.Forse questi due aspetti della chiave qualità pos-sono essere chiariti se li confrontiamo con l’attodi guidare l’auto: un aspetto del guidare concer-ne l’essere un buon guidatore; l’altro è che ognipersona ha un suo modo di guidare, che costi-tuisce il suo stile di guida. Lo stile di guida di unindividuo può avere un impatto sul suo essereun guidatore abbastanza buono (per esempio, seil suo stile è troppo azzardato); tuttavia lo stile èanche indipendente dal requisito di essere unbuon guidatore. Così i due aspetti sono connes-si, ma autonomi. Lo stesso si applica alla realtà

drammatica: una qualità abbastanza buonaprecede considerazioni di stile. Comunque, in-dipendentemente da quanto abbastanza buonapossa essere la realtà drammatica, un interventoin questa chiave può essere richiesto nell’aspettostilistico. Di conseguenza, ci sono due tipi di in-tervento in questa chiave: uno che è legato almiglioramento e all’accrescimento della qualitàdella realtà drammatica; l’altro legato alla varia-zione e allo sviluppo dello stile.Questa chiave è critica quando la realtà dram-matica sembra caotica, superficiale o stereotipa-ta, è noiosa, iterativa, o è scollegata dalle emo-zioni. Nello stile, la criticità si presenta comemotivi ripetuti, forme ricorrenti, o uso inefficacedi generi (come quando la realtà drammaticainevitabilmente finisce per essere un melodram-ma, una caricatura, una tragedia, etc).

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una o due chiavi “critiche” - quelle in cui l’inter-vento sarebbe più importante. Le chiavi sonopensate come un tutto interconnesso e dinami-co, così che un intervento fatto su una chiave hapuntualmente un impatto sulle altre.

Prima chiave - passaggi ■Ci sono tanti modi per andare nell’Isola-che-non-c’è, tanti quanto le persone o i gruppi. L’i-sola può essere raggiunta con cavalli volanti,chiudendo gli occhi, o con un po’ di semplicemagia. Alcune persone (in particolare i bambi-ni) riescono a tuffarsi subito dentro la realtàdrammatica, mentre altri hanno bisogno di ri-scaldamento e di una guida.I modi particolari con cui gli individui entranoed escono dalla realtà drammatica è importantein drammaterapia. Le osservazioni in questachiave includono: la relazione tra le due realtà,l’abilità o la diff icoltà che una persona o ungruppo sperimenta quando è invitato ad andareoltre la realtà quotidiana - e ritornarci - e i modiper facilitare il passaggio. I disturbi in questachiave potrebbero rivelarsi come blocchi dellosviluppo, scarse funzioni dell’io, questioni inter-personali, problemi transizionali, traumi o resi-stenze alla terapia. Questa chiave è di solito per-cepita come critica quando:1. Le persone richiedono molta assistenza nella

messa in atto della transizione (in ambedue ledirezioni);

2. Il passaggio non è propriamente compiuto (lepersone si muovono costantemente dentro efuori la realtà drammatica);

3. I confini tra le realtà non sono chiaramentedifferenziati (le persone mostrano confusionetra l’immaginario e la realtà).

Idee di intervento nella prima chiave:facilitare la transizione/creazione di confinia) Stabilire rituali di ingresso/uscita dalla realtà

drammatica.b) Fornire chiare strutture per il processo di en-

roling (assumere un ruolo) e de-roling (ab-bandonare un ruolo) (per es. cantare unacanzone per entrare, “scuoterla via” quandosi torna indietro).

c) Creare spazi separati per interazioni fuori edentro la realtà drammatica, qualcosa di si-mile alle linee della “stuoia blu” di Cattanach(1992), uno spazio portatile sicuro che defini-sce i confini dell’area di gioco.

d) Creare livelli di passaggio: stabilire uno “stopdi transizione” tra la realtà drammatica e ilmondo quotidiano. Per esempio, allestire una“spazio di editing” dove i clienti possono sta-re sulla soglia della realtà drammatica per fa-re commenti come osservatori, come creatori(autori e registi) che discutono quello che vo-gliono vedere. Uno stop di transizione po-trebbe semplicemente essere marcato piaz-zando sedie sulla soglia dell’area nella qualeha luogo la realtà drammatica.

e) Prendere consapevolezza dei modi dell’EPR(personificazione-proiezione- ruolo) che pos-sono facilitare il progredire del passaggio.

f) Trovare quale forma artistica (disegno, scrit-tura, story-telling, etc.) è adatta a facilitare latransizione per questa particolare perso-na/gruppo.

Seconda chiave - qualità ■Questa chiave implica due aspetti: innanzitutto,per essere efficace, un viaggio nella realtà dram-matica deve essere vissuto come vivo e reale: altri-

Il modello delle 6 chiavicome strumento d’intervento in dramma terapia

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Alcuni indicatori di una qualità abbastanza buonadi realtà drammatica

1. Una buona distanza estetica: le persone sono coinvolte emoti-vamente ma capaci di osservare e riconoscere il “come se”.

2. Un giusto livello di concentrazione e coinvolgimento.

3. Il flusso è dinamico e costante; la permanenza nella realtàdrammatica è stabile.

4. La realtà drammatica è appropriatamente condivisa con glialtri - non messa in scena esclusivamente in solitudine.

5. Le offerte del drammaterapista o degli altri membri sonoprese in considerazione (non viste sempre come intromis-sioni).

6. Una certa quantità di piacere estetico (anche se i contenutisono difficili, la persona sembra trarre piacere dal creare sudi essi).

7. L’azione segue alcune forme di coerenza interna - non è deltutto caotica, insulsa o instabile.

8. L’azione non è percepita come noiosa o emotivamente mi-nacciosa né per il terapista né per il cliente.

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naggi: creare per loro una storia personale,costruire la loro casa, un profilo di cosa a loropiace/non piace, un quadro della loro primainfanzia, scrivere un’analisi del personaggio,intervistare i personaggi, etc.

b) Creare il personaggio a partire da un ruoloattraverso la sua personalizzazione - come nelmetodo degli eight step di Landy (1993, 2000).

c) Trasformare sentimenti opposti o ambivalen-ti in personaggi antagonisti.

d) Espandere il repertorio di ruoli introducendo-ne di nuovi e necessari - come nella nozionedi Landy (2000) di ruolo/controruolo/guida.

e) Espandere il repertorio di ruoli invertendo iruoli (per esempio, facendo interpretare allapersona il ruolo del suo antagonista, comenello psicodramma).

f) Muovere dal ruolo di un personaggio predo-minante ad uno complementare o ad un sot-toruolo che questo personaggio potrebbe as-sumere, per esempio portandolo dal passato

al futuro - un tempo nel quale il personaggiodovrebbe interpretare un diverso ruolo.

g) Focalizzarsi su personaggi repressi facendo inmodo che la loro prospettiva sia ascoltata.

h) Come nella chiave precedente, cambiare iruoli di pubblico, attore, e regista tra terapi-sta e cliente per sviluppare il suo senso di es-sere autore della propria vita, acquisire nuo-ve prospettive sulle situazioni, etc.

Quarta chiave - Trama. Conflitti,temi e altro ancora ■Mentre la chiave precedente è legata a una spe-cifica categoria di contenuti (ruoli/personaggi),questa include contenuti in un senso più ampio:trama, temi, conflitti, complessi, simboli, temi,etc. I contenuti della realtà drammatica possonoessere visti come le immagini di un caleidosco-pio: prendono una diversa forma a seconda del-la cornice filosofica dalla quale uno li guarda.Di conseguenza, questa chiave si interseca con il

SUSANA PENDIZK

Idee di intervento nella seconda chiave:migliorare o variare la qualitàa) Usare strumenti teatrali per influire sulla qua-

lità: soliloquio, azione non verbale, espressio-ne gestuale, esagerazione o amplificazione, ri-petere la frase con diverse intonazioni, etc.

b) Usare strumenti cinematografici per influiresulla qualità: zoom, grandangolo, rallentato-re, veloce, flashback, framing, immagine fissa.

c) Modificare la distanza estetica: trasformare unracconto personale in una storia inventata;cambiare ruoli; cambiare il modo EPR (peresempio, da dimensio-ni reali a miniatura) ola forma d’arte impie-gata (dallo story-tel-ling alla scultura).

d) Elaborare i contenuticome un genere. (Peresempio: “Se questa esperienza fosse un film,che genere di film sarebbe?). Tradurre i conte-nuti in un altro genere (“Proviamo a presentarequesto sogno come un’antica parabola cinese”).

e) Cambiare la posizione del drammaterapista edel cliente in relazione alla realtà drammatica(da attore a regista o a spettatore). Questo puòessere ottenuto cambiando le tecniche: peresempio, dalle developmental transformationsdi Johnson (1991, 2000), al playback theatre orisonanze drammatiche, dove il cliente gioca ilruolo del pubblico (Pendzik, 2008).

Terza chiave - ruoli e personaggi ■Il modello delle sei chiavi distingue tra ruoli epersonaggi. I ruoli si riferiscono a un livello piùarchetipico - come la Madre, il Bambino, l’Ag-gressore, la Vittima, etc. Include anche ruoli che

riguardano le funzioni della realtà drammatica:attore, direttore, pubblico, etc. I personaggi si ri-feriscono a ruoli incarnati: Peter Pan, Wendy oCapitan Uncino - anche se non necessariamentepersonaggi inventati. Un personaggio di solito hadiversi ruoli. Per esempio, Peter Pan è l’eternobambino, la guida per i bambini dell’Isola, il ne-mico numero uno di Capitan Uncino; Wendy èla sorella più grande, una madre per i BambiniPerduti, una cantastorie, e così via. Così può ac-cadere che la realtà drammatica creata da unbambino includa un leone, un topo, un poliziotto

chiamato Sam, Tom esua madre; tuttavia tuttiquesti personaggi gioca-no sostanzialmente solodue ruoli: la vittima el’aggressore. A volte laprofusione di personaggi

non implica una ricchezza nel repertorio di ruoli.In questo caso, è richiesto un intervento per aiu-tare i personaggi a interpretare anche altri ruoli.Esiste una vasta letteratura sul concetto di ruoloin drammaterapia (Blatner, 1988; Duggan &Grainger, 1997; Emunah, 1994; Jennings, 1998;Jones, 1996, per menzionarne solo alcuni). Inparticolare Landy (1993, 1996, 1997, 2000) hasviluppato il concetto in profondità e offre diver-si metodi di intervento in questa chiave. Di più,diverse tecniche sul lavoro sul personaggio chearrivano dal teatro costituiscono una ricca fontedi idee di intervento.

Idee di intervento per la terza chiave:sviluppare un sistema di ruoli e personaggiflessibilea) Usare tecniche teatrali per sviluppare i perso-

Il modello delle 6 chiavicome strumento d’intervento in dramma terapia

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A VOLTE LA PROFUSIONE DI PERSONAGGINON IMPLICA UNA RICCHEZZA NEL REPERTORIODI RUOLI. IN QUESTO CASO, È RICHIESTOUN INTERVENTO PER AIUTARE I PERSONAGGIA INTERPRETARE ANCHE ALTRI RUOLI

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Il modello delle 6 chiavicome strumento d’intervento in dramma terapia

10particolare approccio psicoterapeutico abbrac-ciato dal drammaterapista.Il mio personale orientamento è influenzato daimetodi narrativi e letterari, tanto quanto dagliapprocci femministi, esistenziali e junghiani;quindi le mie idee di intervento in questa parolachiave derivano da questi contesti teorici: cercomodi di raccontare esperienze, portare avanti latrama, decostruire e cambiare la narrativa uffi-ciale, incoraggiare discorsi alternativi, trovaremetafore curative, connettere esperienze perso-nali ai miti universali e alle storie, etc. (Camp-bell, 1972; Cox & Theilgaard, 1987; Gersie,1997; Wehr, 1988; White & Epston, 1990).La maggior parte delle persone (di sicuro gliadulti) di solito viene in terapia con in menteproblemi, temi e conflitti specifici. Così c’è sem-pre una certa criticità in questa parola chiave.Un invito a portare questi contenuti nella realtàdrammatica è sempre un buon punto d’iniziocome intervento. Sebbene le chiavi siano nelcomplesso interconnesse, sembra esserci unparticolare legame tra la seconda chiave (quali-tà) e la quarta: un giusto cambiamento nellaqualità della realtà drammatica tende a portareavanti la trama, liberare problemi bloccati, ri-velare conflitti nascosti, e così via. Comunque,un intervento diretto in questa chiave è richie-sto quando c’è un tema opprimente, o un con-flitto imminente.

Idee di intervento nella quarta chiave:guarire la storiaa) Aiutare i clienti a “mettere in storia” la loro

esperienza: dividere la storia in scene princi-pali; trovarle un titolo, etc.

b) Tradurre le esperienze personali o i problemi

in lavori di fantasia (per es. un film, una fia-ba, etc.)

c) Usare strumenti letterari per elaborare espe-rienze personali: descrizione, metafora, ri-ma, etc.

d) Usare tecniche narrative per far avanzare lastoria. (Per esempio “Un eroe può solo falliredue volte; la terza volta dovrebbe farcela”).

e) Aiutare a stabilire un contesto nel quale posso-no essere espressi alternative soppresse, discor-si (per es., una Radio Pirata che trasmette ideenon convenzionali o rivoluzionarie).

f) Lavorare con il genere: elaborare un’espe-rienza come un genere; usare gli attributi digenere come significati per far avanzare lastoria (per es., “Il tuo Eroe non può morirequi, perché la trama si bloccherebbe troppopresto; o se lo fa, qualcosa deve succedere do-po la morte...”). Cambiare i generi.

g) Viaggiare su metafore appropriate - trovaremodi concreti per esprimerle e permettere lo-ro di schiudersi e trasformarsi.

h) Usare storie universali per legare esperienzeo problemi personali con simboli collettivi(Vedi Gersie & King, 1990; Gersie, 1991,1997; Lahad, 2000).

Quinta chiave: risposta alla realtàdrammatica ■Al ritorno dall’Isola-che-non-c’è, la prima cosache dice il piccolo Michele è: “Voglio vedere pa-pà”; poi aggiunge con evidente disappunto,“Non è così grande come il pirata che ho ucciso”(Peter Pan, p. 169).Il ritorno dalla realtà drammatica - proprio comequando si torna a casa da un viaggio - suscita difrequente commenti, reazioni, pensieri, senti-

menti, etc. La risposta non deve essere necessa-riamente elaborata e verbale: un bambino puòsolo dire, “È stato divertente...!” o la vitalità delsuo sorriso può dire questo per lui. Detta o nondetta, una risposta di solito c’è; e come Johnson(1981) fa notare, l’atteggiamento delle personeverso la propria performance nella realtà dram-matica può riflettere la loro visione di se stessi edella propria posizione nel mondo reale. Così,questa è la chiave dove i giudizi di valore vengonocreati e perpetuati. Inoltre, qui è dove la capacitàterapeutica della dram-materapia è valutata -affermata o scartata.Questa chiave è criticaquando il viaggio nellarealtà drammatica èminimizzato o rifiutatodal cliente al suo ritorno. Talvolta, le personesembrano impegnate nella realtà drammatica,ma quando ne sono fuori commentano su di es-sa con sarcasmo, o negano il loro coinvolgimen-to emotivo. In generale, una criticità in questachiave non può essere riconosciuta al primo in-contro, ma diventa chiara nelle sessioni successi-ve. Occasionalmente la risposta delle personedurante la sessione è positiva; tuttavia in un tem-po successivo riferiscono che il loro lavoro nellarealtà drammatica era “inutile”. Questo potreb-be indicare che le persone trovano difficoltà neltradurre esiti positivi conseguiti nella realtàdrammatica in risultati nella vita reale. In molticasi, questo è connesso alla presenza di una figu-ra interna critica che è tacitamente “seduta nelpubblico”, e che invalida il processo terapeutico.Sia la quinta che la sesta chiave si riferiscono aifatti che avvengono al di fuori della realtà dram-

matica. Qui la principale strategia di interventoè portare i contenuti dentro la realtà drammati-ca, così che possano essere elaborati.

Idee di intervento nella quinta chiave:portare il censore alla ribalta/incoraggiarela critica utilea) Assicurarsi di avere tempo a sufficienza per ela-

borare l’esperienza. Recuperare il problema,invitare ad affrontarlo ancora una volta nellarealtà drammatica. (Questo diventa un tema

che può essere esploratoattraverso una delle ideepresentate nella quartachiave: “L’ultima voltasei sembrato molto col-pito da quello che abbia-mo fatto, e invece oggi ti

sembra inutile. È una sequenza che conoscigià? Come la chiameresti?”

b) Allestire un gioco che porta il severo Critico apartecipare nella realtà drammatica. Peresempio, invitare il cliente a valutare cosa èstato fatto nella realtà drammatica: “In unascala da 1 a 10 (1 = insignificante, 10 = moltosignificativo) come classificheresti quello cheabbiamo fatto in questa seduta?”

c) Portare l’atteggiamento ipercritico nella real-tà drammatica, trasformandolo in un perso-naggio, e sviluppandolo come nella terzachiave, usando il lavoro sul personaggio. “Im-magina che questi commenti sarcastici sianodetti da un personaggio, come apparirebbe?Che tipo di voce avrebbe?”

d) Creare un’immagine visiva del censore; faretre cambiamenti desiderati su di lui.

e) Trovare chi potrebbe essere l’antagonista del

TALVOLTA, LE PERSONE SEMBRANO IMPEGNATENELLA REALTÀ DRAMMATICA, MA QUANDO NE SONOFUORI COMMENTANO SU DI ESSA CON SARCASMO,O NEGANO IL LORO COINVOLGIMENTO EMOTIVO

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Il modello delle 6 chiavicome strumento d’intervento in dramma terapia

12censore e svilupparlo come un personaggio(come la nozione di controruolo in Landy).

f) Trovare un appropriato lavoro immaginativoche risuoni con il critico interno del cliente, elavorarci.

Sesta chiave: il sottotesto ela meta realtà ■Questa chiave è molto sfuggente, come i suoicontenuti sono in linea di massima non elabora-ti, elusivi, e spesso inesprimibili. Il sottotesto èciò che giace sotto al testo, che non può esserdetto o fatto, che è velato e solo indirettamenteespresso. Secondo Cuddon (1991), si riferisce adaspetti di un testo che sembrano marginali, ac-cennati o ambigui. Nel-la drammaterapia, il te-sto può essere raccoltoda due fonti: l’incontroterapeutico (realtà quo-tidiana) e il come se (real-tà drammatica). Questi operano come due ca-nali paralleli del qui e ora in costante e apertainterazione. Esiste un flusso di contenuti dall’u-no all’altro, così che di solito i testi che non pos-sono essere articolati nella realtà ordinaria tro-vano espressione in quella drammatica.Comunque, in certe situazioni, il flusso è bloc-cato, generando così un meta-livello di sottote-sto. La meta-realtà è il luogo che nutre tutti icontenuti che non possono essere convogliati at-traverso i canali aperti. Questo è il livello al qua-le operano transfert e contro-transfert. Inoltre,questa chiave non riguarda solo i processi ditransfert: altri fattori intangibili possono essereal lavoro in un incontro terapeutico, toccando lepersone in modo sottile e impreciso - come un

evento nazionale, una tensione sociale, o ancheinfluenze climatiche.Una criticità in questa chiave può essere perce-pita nella forma di intuizioni o vaghi sentimenti,che hanno quasi una qualità immateriale.Quando questi sono riconosciuti in uno dei ca-nali di comunicazione, la loro influenza nasco-sta viene dissipata e apre la strada a un lavoroterapeutico significativo. È solo quando la con-sapevolezza è negata in entrambi i livelli chequesti contenuti possono depositarsi come sotto-testo. Per esempio un bambino può non parlaredirettamente dell’esperienza di abuso al suo te-rapista; tuttavia, se il problema emerge nellarealtà drammatica, può essere considerato dal

drammaterapista comeun testo che richiede in-terventi nella quartachiave (tema). D’altrocanto se il bambino nonporta il problema né

nella normale interazione con il terapista né nel-la realtà drammatica, è probabile che questocontenuto crei un sottotesto. Un terapista sensi-bile avrebbe presto la sensazione che “qualcosalegato all’abuso è presente”, anche se non puòspiegare il perché.È importante notare che questa chiave non èsempre in opera nella drammaterapia. Averedue livelli di uscita permette di trovare per molticontenuti la loro via nella realtà drammatica -che è il luogo più flessibile e tollerabile per espri-mere l’inesprimibile. Tuttavia, quando il sottote-sto è intrappolato nella meta-realtà, tutte le altrechiavi non funzionano nel modo giusto. Alloradiventa una priorità per il drammaterapista in-tervenire direttamente in questa chiave.

Idee di intervento nella sesta chiave:liberare il sottotesto dalla meta-realtàCi sono due modalità principali di intervento inquesta chiave, che concordano con i due livellidi realtà:1) Trovare strade per permettere ai contenuti diemergere nella realtà drammatica:a) Usare gli approcci di distanza estetica (per es.

usare opere letterarie o teatrali che risuonanocon il tema, creare storie di fantasia);

b) Usare tecniche che attivano la funzione dellaparte destra del cervello (muoversi o disegna-re con gli occhi chiusi, guidati dalle immagi-ni, etc.);

c) Introdurre il problema attraverso un inter-vento del terapeuta nella realtà drammatica:prendere un ruolo che dia voce ad esso inscena.

2) Riproporre i contenuti al di fuori della realtàdrammaticaa) Parlare del problema con il cliente, come si fa

nella psicoterapia verbale;b) Riproporre il problema in supervisione: la

meta-realtà di solito cambia forma quandoviene elaborata. Questo non è solo dovuto apossibili processi controtransferali, ma ancheal fatto che la consapevolezza e la lucidità daparte del terapista contribuiscono a portarealla luce temi sottointesi.

Caso-esempio ■Marta (nome fittizio) mi è stata inviata dal suoprecedente psicoanalista, dopo più di due annidi inutile cura. Donna single sulla quarantina,Marta era una cattolica devota che viveva conla sua famiglia di origine, lavorava come segre-taria, e non aveva mai avuto una relazione sen-

timentale o sessuale nella sua vita. Era sola epiena di risentimento, e soffriva di un basso li-vello di autostima. Si vestiva in modo molto for-male e rigido, e sembrava incapace di rilassarsinei suoi abiti.Nella nostra prima seduta, mi parlò della suarabbia per la famiglia, e dei suoi sentimenti diisolamento e inadeguatezza. Si lamentò che nes-suno aveva mai mostrato alcun rispetto per lei ol’avesse amata. Mentre parlava, cominciava apiangere, e continuava a parlare mentre sin-ghiozzava disperatamente per il resto dell’incon-tro. Alla fine, disse che si sentiva “molto meglio”;parlammo delle persone con cui aveva una buo-na connessione emotiva, e le chiesi di portare perla prossima volta una lista di queste persone.Nella sessione successiva, non portò la lista; inve-ce, voleva parlare di qualcosa che era successo allavoro con i suoi colleghi. Iniziò la solita scena:non appena richiamò la situazione, cominciò apiangere mentre parlava, e versò lacrime in mo-do inconsolabile per l’intera seduta. A questopunto realizzai che era quasi impossibile per meinterporre qualsiasi cosa: mi sentii limitata nellamia capacità di intervento: qualsiasi consiglioprovassi a dare urtava contro un muro di rabbiae lacrime. Mi sentii inutile come drammaterapi-sta, in quanto Marta non permetteva incursioninella realtà drammatica. Mi chiesi se questo sche-ma fosse legato alla sua precedente esperienza interapia e mi domandai se (come il suo precedenteterapista) fossi anch’io incapace di aiutarla.La terza volta, Marta iniziò subito a lamentarsidel gruppo di persone della Chiesa di cui facevaparte. Non appena mi accorsi che lo schema siripeteva, la interruppi e tirai fuori le mie rifles-sioni sulla seduta precedente. (Sesta chiave: ri-

LA META-REALTÀ È IL LUOGO CHE NUTRETUTTI I CONTENUTI CHE NON POSSONO ESSERECONVOGLIATI ATTRAVERSO I CANALI APERTI

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SUSANA PENDIZK

Il modello delle 6 chiavicome strumento d’intervento in dramma terapia

14lanciare-raccogliere i contenuti al di fuori dellarealtà drammatica). Le dissi che avevo sentitoche la mia capacità di usare le mie competenzecome drammaterapista con lei era limitata. Leparlai di come lavora un drammaterapista, e lechiesi se volesse provare. Marta mi guardò ab-bastanza sorpresa, ma fu d’accordo.L’ingresso nella realtà drammatica fu fatto attra-verso un lavoro proiettivo: usando il concetto diMoreno (1987) di atomo sociale, le chiesi di dise-gnare le sue relazioni sociali significative su unfoglio (prima chiave: trovare la forma EPR che fa-ciliti il passaggio). Poiché Marta aveva numeroselamentele per le persone che la facevano soffrire,la invitai a sezionare la sua parte piena di risenti-mento e a descriverla come se fosse un personag-gio (terza chiave: tradurre i sentimenti in perso-naggi). Durante le poche sessioni successiveesplorammo questo personaggio: lo intervistam-mo, lo chiamammo “il vecchio brontolone”, escrivemmo il copione del personaggio: “la tua vi-ta è piatta, non varrai mai niente...”Sebbene l’impegno di Marta nel partecipare nellarealtà drammatica avesse segnato una soglia nelprocesso terapeutico, laqualità della realtà dram-matica che lei creava erafragile: ne usciva troppofacilmente, segnalandouna criticità nella secon-da chiave. Per migliorare la qualità, suggerii dicreare insieme una storia su una donna che vivevasotto il controllo di un “Vecchio Brontolone”. Co-minciai il racconto raccogliendo il materiale cheavevamo esplorato finora, alla maniera di una fia-ba. Continuammo la storia a turno passandoci “ilbastone parlante” (metodo dei nativi americani)

(seconda chiave: alternare lo stile: dal personale alfantastico, dall’attore all’autore). Per tutte le altrasessioni lavorammo sulla storia - per mezzo di nar-razione, dramma, scrittura creativa, etc. In ogniesempio, il mio criterio guida per scegliere la for-ma era usarne una che aiutasse a sostenere un li-vello abbastanza buono di realtà drammatica.Quando questo fu gradualmente ottenuto, il fo-cus dei miei interventi si spostò alla quarta chia-ve: portare avanti la trama. La donna nella sto-ria aveva tentato di liberarsi dal VecchioBrontolone più volte. Ogni volta che provava,c’era un senso catartico di entusiasmo e speran-za; comunque, ogni volta falliva ancora. Peresempio, a un certo punto Marta decise di farequalcosa di buono per se stessa, come “compra-re nuovi vestiti”. (Questa scena era stata esplora-ta in modo drammatico: seconda chiave: cambiarei modi di EPR - dalla proiezione alla personificazio-ne). All’inizio era molto felice per il suo nuovolook, ma dopo poco “realizzò che si sentiva orri-bile e grassa e nessuno l’amava”. Dopo un paiodi inutili tentativi, dissi a Marta che una fiabapoteva girare in tondo solo per un paio di volte,

perché è la natura dellestorie come questa tro-vare infine una svolta(quarta chiave: usare gliattributi del genere perportare avanti la trama).

Parlammo della differenza tra storie e vita, ci ac-cordammo per lavorare sul “migliorare la sto-ria”. Presi la guida della narrazione dicendo che“sebbene la donna si sentisse persa perché nonaveva trovato nessuno che le dicesse qualcosa dibuono, c’era di fatto un essere nell’immenso uni-verso, che l’amava teneramente e che poteva

IN OGNI ESEMPIO, IL MIO CRITERIO GUIDAPER SCEGLIERE LA FORMA ERA USARNE UNACHE AIUTASSE A SOSTENERE UN LIVELLOABBASTANZA BUONO DI REALTÀ DRAMMATICA

parlare gentilmente di lei”. E Marta aggiunse “Ilsuo Angelo Custode”.Trovare l’Angelo Custode (terza chiave: introdur-re personaggi necessari) fu una importante svoltaterapeutica. Tra le altre cose, l’esplorazione diquesto personaggio richiese di trovare un giustoequipaggiamento per lui, e la creazione di unasceneggiatura. Personificare l’Angelo Custode fuun’esperienza emotiva forte per Marta, poichél’Angelo espresse molto dolore, ma anche tene-rezza e compassione verso la donna della storia.Poi le scrisse una lettera,dalla quale Marta creòuna serie di asserzionisu se stessa, che portòcon sé nella borsetta.Insieme al progressosul piano della realtà drammatica, c’erano al-cuni cambiamenti evidenti nella vita di Mar-ta: acquistò nuovi vestiti, partecipò a una seriedi laboratori, cominciò a uscire con un uomo,e a parlare di vivere da sola. Il processo tera-peutico andò avanti per altri pochi mesi, neiquali fummo capaci di occuparci di problemilegati al corpo, agli schemi di comunicazione,e alla storia familiare, a un livello di profondi-tà che differiva in modo significativo dalla ste-rile discussione sui sentimenti un cui Martaera impegnata quando era venuta la primavolta. Nel caso di Marta, è chiaro che la suaesposizione alle possibilità offerte dalla realtàdrammatica ha costituito una forza terapeuti-ca di primaria importanza. L’uso del Modellodelle sei chiavi ha supportato la mia compren-sione di come il suo processo si sviluppava, edè stato una guida che mi ha accompagnato at-traverso questo lavoro.

Conclusione ■Il caso di Marta esemplifica il modo in cui iprocessi di drammaterapia sono inestricabil-mente legati alla realtà drammatica, eviden-ziando la necessità di osservare tutti gli aspettiche la riguardano per essere sincronizzati col rit-mo della terapia.Il progresso terapeutico di Marta fu riflesso dalletrasformazioni nella sua gestione della realtàdrammatica: il suo ingresso in essa segnò un cam-biamento da un comportamento disperato e au-

todistruttivo, verso un’a-pertura e un contattointerpersonale. Quandola sua capacità di abita-re il come se iniziò adespandersi, lei cominciò

a sperimentare il suo potenziale creativo comeuna vera forza. Il cambiamento nella qualità/stiledella realtà drammatica (dalla storia personale aquella di fantasia) le ha fornito la distanza esteti-ca necessaria per esplorare nuove possibilità erompere con un vecchio e inutile schema. Lamia scelta del genere della fiaba fu un interventoterapeutico finalizzato a infondere speranza e unfascino magico nel racconto di Marta - che ten-deva a presentare la vita come un fallimento pre-determinato e inesorabile. Inoltre, il caso di Mar-ta illustra come gli interventi nelle chiavi dellaforma (prima e seconda) possano influenzare icontenuti che il cliente porta nel setting terapeuti-co, supportando cosi l’idea che le scelte estetichepossano avere implicazioni terapeutiche.I processi di dramma terapia sono stratificati ecomplessi: richiedono che il terapista sia subitoattivo e in allerta nei diversi piani di realtà; inpiù, richiedono interventi a livello di forma,

NEL CASO DI MARTA, È CHIARO CHE LA SUAESPOSIZIONE ALLE POSSIBILITÀ OFFERTE DALLAREALTÀ DRAMMATICA HA COSTITUITO UNAFORZA TERAPEUTICA DI PRIMARIA IMPORTANZA

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16 SUSANA PENDIZK

contenuto e fatti che accadono al di fuori dellarealtà drammatica. Il modello delle 6 chiavi èuno strumento pratico che funziona come unamappa di lavoro, che permette al terapista difare un’indagine sui processi di drammaterapiae strutturare il lavoro terapeutico. Presentandoun quadro generale della situazione, il modellosegnala per ogni chiave dove gli interventi tera-peutici possono essere più eff icaci. Dal mo-mento che ogni chiave tocca un differenteaspetto della drammaterapia, il modello si in-terseca con altri approcci di drammaterapia e

psicoterapia, e di conseguenza diverse prospet-tive e vari modi di fare drammaterapia posso-no essere incorporati.

Ringraziamenti ■Vorrei ringraziare la drammaterapista GalilaOren, M.A. per le sue preziose annotazioni almanoscritto. ■

* Traduzione di Cristina Morosi con la colla-borazione di Salvo Pitruzzella

Il modello delle 6 chiavicome strumento d’intervento in dramma terapia

Danza e DanzaMovimentoTerapia (DMT) ■Parlare del mio essere uomo nella DMT è qual-cosa di profondamente radicato nel mio incon-tro con la danza. Avevo forse 7-8 anni quandoaccompagnavo mia sorella, più grande di due an-ni, alle lezioni di danza classica... ma “la danzaclassica, si sa... è per le bambine!”Ho iniziato lo studio della danza a 19 anni, la miafidanzata mi aveva convinto ad iscrivermi ad uncorso di Danza Contem-poranea per principiantie da allora non ho maismesso di ballare... ricor-do ancora il profondostupore nel sentire que-sta intima corrispondenza tra me e il linguaggiodel movimento, questo piacere che nasce dalmuoversi, che diviene possibilità di stare benecon se stessi, di canalizzare l’energia, di ritrovarsi.Iniziare lo studio della danza professionale a 19 an-ni, vuol dire “essere in ritardo”, vuol dire lasciare illavoro, mettere in standby gli studi, stare nella saladi danza 6-8 ore al giorno e scoprire che... allenar-si non basta! Per andare più lontano nel linguaggiodella danza, in una dimensione artistica ed espres-siva, il danzatore deve anche fare i conti con le pro-prie istanze più profonde, trovare uno spazio e untempo speciale per accoglierle... La DMT è statoper me questo spazio e questo tempo, in cui ritro-vare il corpo e il movimento come risorsa per ac-cogliere la propria interiorità, per attivare un dialo-go dapprima timido e squisitamente non verbale epoi poco per volta più riflessivo e cosciente.

Uomo e Danza ■La pratica della danza si confronta immediata-mente con gli elementi legati all’identità di genere

e ai pregiudizi che la cultura occidentale porta consé: il balletto classico è infatti l’immagine che piùfrequentemente le persone associano alla parolaDanza e la danzatrice classica con la sua grazia, lasua leggerezza, la sua femminilità ne è la protago-nista. Solo in un secondo tempo altre forme e altristili di danza si fanno spazio nella nostra mente, co-me ad esempio le danze tradizionali ove spesso gliuomini hanno un ruolo di protagonisti. Tutto que-

sto incide nel nostro im-maginario e nella perce-zione di questa disciplinain generale.George Balanchine, ri-ferisce J. Pierre Pastori,

diceva “the ballet is woman!” a cui rispondevaMaurice Bejart “the dance is man”: nell’ambitodella danza teatrale certamente abbiamo assisti-to nel corso del novecento attraverso lo sviluppodella danza moderna e contemporanea ad unagrande valorizzazione dei danzatori sia uominiche donne, andando progressivamente verso unsuperamento di ruoli rigidi, tuttavia il numerodi danzatori uomini continua ad essere moltoinferiore rispetto a quello delle donne.Nell’Accademia Nazionale di Danza a Romadove ho studiato e ove insegno attualmente, gliuomini sono una minoranza, talvolta sono dueo tre su una classe di venti alunni, talvolta leclassi sono solo femminili e solo nei corsi supe-riori vi sono alcune classi riservate ai ragazzi.Se al danzatore in questi contesti viene accordatauna speciale attenzione ed accoglienza, proprioin funzione al fatto che sono pochi coloro chepraticano la danza, è pur vero che nella societàattuale la pratica della danza viene vista più comeuna professione femminile che non maschile.

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BIBLIOGRAFIA

Uomini eDanzaMovimentoTerapia

Presidente APID, Direttore della Scuola di Formazione in Danza Movimento Terapia Integrata® VINCENZO PUXEDDU 17

LA PRATICA DELLA DANZA SI CONFRONTAIMMEDIATAMENTE CON DEGLI ELEMENTILEGATI ALL’IDENTITÀ DI GENERE E AI PREGIUDIZICHE LA CULTURA OCCIDENTALE PORTA CON SÉ

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tà del corpo e del movimento di significare, dicomunicare una serie di informazioni, di dareforma alle diverse istanze della persona. Mi pa-re importante sottolineare che il movimento e ladanza hanno anche una componente ricettiva o“impressiva” che riguarda, con modalità diver-se, al tempo stesso “il danzatore” e chi lo osser-va. Per comprendere in profondità la ricchezzadi questa esperienza, è importante considerareche si tratta di due pola-rità del movimento chesi sviluppano in un con-tinuum e che, nella pra-tica della DMT, questediverse componenti sitrovano sempre presenti, anche se in proporzio-ni diverse. Queste diverse modalità di approcciodel movimento possono consentire esperienzeemotive molto differenti, che possono essere as-sociate a modalità di movimento riconducibilimaggiormente alla polarità maschile o femmi-nile e ciò va a influenzare le modalità di approc-cio e di confronto con questo materiale.Modalità impressive: il soggetto incontra, co-me nell’esperienza delle danze tradizionali, odei rituali terapeutici danzati, una danza, un ge-sto, una forma di movimento: questo movimen-to “si imprime” nel corpo in un processo chelungi dall’essere passivo va ad arricchire l’espe-rienza del soggetto. A partire da questo enuncia-to che gli viene dall’ “altro” può sviluppare unapropria enunciazione personale.Modalità espressive: l’accento è posto sullacomponente espressiva del soggetto cioè sullapossibilità che il suo mondo interno possa mani-festarsi attraverso un vocabolario gestuale origi-nale che non è il risultato di uno sforzo di volon-

tà dell’individuo o delle sue competenze tecni-che, bensì della sua possibilità di lasciarsi andareal flusso del movimento, senza censura, consen-tendosi di dare forma coreografica ai propri im-pulsi e alle proprie istanze.Penso che queste polarità nell’esperienza del mo-vimento rappresentino una grande risorsa al ser-vizio della scoperta di quella globalità di elemen-ti maschili e femminili che coesistono all’interno

di un’identità di generedefinita, come già Freud(1985) ammetteva: “nédal punto di vista biolo-gico né da un punto divista psicologico, i carat-

teri di uno dei sessi in un individuo escludonoquelli dell’altro”, elementi questi sviluppati daJung (1951) attraverso il concetto di Animus eAnima: “ciascun uomo porta di sé un’immaginefemminile definita. Lo stesso vale per la donna: an-ch’essa possiede la sua immagine innata dell’uomo.”Come dmt, la dimensione dell’identità di generesi inserisce come elemento più specifico all’inter-no di quella dimensione di coscienza che carat-terizza lo sviluppo del proprio testimone inter-no, il carattere e la qualità della propria presenzanella relazione terapeutica.

Il dmt, come chi a lui si rivolge, ha una sua sto-ria, un suo mondo simbolico, una sua dimensio-ne emotiva e una sua interpretazione del mon-do e degli eventi che non è neutrale, néonnipotente. Anzi è proprio in quanto ha un suovissuto emotivo e simbolico che il dmt può com-prendere ed entrare in relazione con il mondodell’altro. Comprendere l’altro nella sua alteritàimplica lo sforzo di comprendere se stessi. Os-

VINCENZO PUXEDDU

Il grande danzatore russo Rudolf Nouréev rac-conta in un’intervista, le parole che il padre gliha rivolto come risposta alla sua richiesta didanzare: “Non è un lavoro per un uomo. Non èun lavoro!”Certamente oggi c’è più rispetto e più sensibili-tà, tuttavia i numeri parlano da soli!Nel contesto della formazione, la presenza di in-segnanti e coreografi uomini rappresenta certa-mente un sostegno importante per chi adole-scente si avvia verso questa professione.

Essere un danzamovimentoterapeuta(dmt) uomo ■Quando ho iniziato il mio training di DMT stu-diavo alla Sorbona nella facoltà di Danza, ero l’u-nico uomo del corso, maricordo, questo non co-stituiva un problema perme... come nella danza ilconfronto con le mie col-leghe danzatrici e futuredanza terapeute ha rappresentato l’opportunitàper poter percepire similitudini e differenze equindi rinforzare gradualmente la dimensionedell’identità... è vero che l’analisi Laban ci consen-te di cogliere molte sfumature nel proprio profilodi movimento, vi sono modalità più indulgenti opiù lottanti, diversi attributi, ma questi non posso-no essere visti rigidamente come patrimonio diun’identità di genere! Sono tuttavia la base per unconfronto ampio con le proprie modalità espressi-ve, la loro valenza emotiva e la possibilità di con-fronto con elementi di polarità e di contrasto.Credo che il cogliere in me delle polarità, ele-menti vari e contrastanti, mi abbia aiutato a faremergere un sentimento di globalità, di connes-

sione, di confine più definito, in cui anche il miomaschile poteva trovare spazio, non in lotta main dialogo, con una dimensione più ampia doveelementi più femminili avevano diritto di esiste-re a fianco a quelli maschili.Penso che la possibilità di esprimersi attraversol’esperienza del movimento nel setting acco-gliente, sicuro e definito della DMT (caratteriz-zato dalla regola del “non giudizio” e del “se-greto”, aperto alle libere associazioni, ai vissutiemotivi vari e contrastanti), sia la base per inte-grare elementi personali, parti di sè, nei qualitrova spazio anche la propria identità di genere.Le dinamiche specifiche dei gruppi nel settingdella DMT Integrata e lo speciale dispositivoche integra una pratica corporea a dei momenti

di elaborazione attra-verso la parola e il dise-gno, rappresentano unelemento essenziale nel-lo sviluppo delle capaci-tà emozionali indivi-

duali e quindi dell’accesso a una dimensione dicoscienza più allargata.Un altro aspetto in gioco in questo processo disviluppo e definizione dell’identità personale èrappresentato dalla dimensione espressiva e im-pressivo-recettiva del movimento nella praticadella DMT nei gruppi, come pure nel lavoro in-dividuale.“La danza e la coreografia sono in relazione contutte le emozioni fondamentali. Le modalità espres-sive sono al tempo stesso personali e universali”Chodorow (1991). In DMT, il corpo, la danza eil movimento in generale sono considerati unlinguaggio. Ma, spesso, l’attenzione si focalizzasulla componente espressiva, cioè sulla possibili-

Uomini eDanzaMovimentoTerapia

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NEL CONTESTO DELLA FORMAZIONE,LA PRESENZA DI INSEGNANTI E COREOGRAFIUOMINI RAPPRESENTA CERTAMENTEUN SOSTEGNO IMPORTANTE PER CHI ADOLESCENTESI AVVIA VERSO QUESTA PROFESSIONE

...FREUD AMMETTEVA: “NÉ DAL PUNTO DI VISTABIOLOGICO NÉ DA UN PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO,I CARATTERI DI UNO DEI SESSI IN UN INDIVIDUOESCLUDONO QUELLI DELL’ALTRO”

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ne da parte dei maschietti ma rappresenti un po’per tutti l’opportunità di poter essere in una rela-zione di vicinanza e di scambio sul piano corpo-reo, emotivo ed affettivo con una figura che nellasua identità di genere richiama la figura paternaspesso non così presente nella dimensione delgioco del bambino.In particolare ricordo come nel lavoro con ibambini di 4 e 5 anni ci fosse il bisogno di speri-mentare, attraverso giochi basati sulla dramma-tizzazione di fiabe, l’interazione corporea, ad es.nella fiaba di cappuccetto rosso, il gioco di essereinseguiti e di acchiappare il lupo (il conduttore).Nel lavoro con i bambini autistici la dimensionedel lavoro ritmico e delle polarità consente dipoter sperimentare contrasti sensoriali e di inte-grare in termini corporei modalità lottanti e in-dulgenti, favorendo tuttavia il processo di identi-ficazione con una figura maschile di riferimento.In particolare il lavororitmico nel trattamentodell’autismo infantileconsente di sperimenta-re la dinamica “fusio-ne/separazione”, attra-verso le componenti “materne”, regressive(fusione) e quelle “paterne” (separazione) asso-ciate alla regola e alla struttura.Nel lavoro con i tossicodipendenti, svolto pressoun centro pubblico specializzato nella riabilita-zione, gli utenti maschi rappresentavano il 50%dei partecipanti. L’equipe di cura era costituitada un dmt e da due assistenti, un uomo ed unadonna. La partecipazione dei maschi è stata lapiù assidua. Tra i risultati più positivi raggiunti,abbiamo osservato la dimissione dal servizio daparte di 2 soggetti maschi. È stato proprio un ra-

gazzo che per la prima volta nel gruppo ha par-lato espressamente della problematica della tossi-codipendenza e ciò ha consentito una riflessionepiù profonda sul lavoro di movimento. Nella com-pilazione dei questionari di valutazione del per-corso, quelli compilati con maggior completezzaerano di soggetti maschi. Dalle loro osservazionisull’esperienza svolta emergeva uno sviluppo dellapercezione corporea, un’ampliamento del voca-bolario di movimento ma anche una maggiorecapacità di percepire ed esprimere le proprieemozioni, e di accogliere la parte di sé più creativama talvolta più fragile e sensibile.

Vorrei infine citare un’esperienza di DMT svol-ta in un servizio psichiatrico per pazienti acutidell’ospedale di Cagliari, in questo caso l’intro-duzione del laboratorio di DMT, fortementevoluto dal personale medico, aveva dapprima

incontrato le resistenzedel personale infermie-ristico, in particolaredegli infermieri uomini,che con ironia diceva-no: “ecco quelli che fan-

no ballare i pazienti... non so se io oggi potrò par-tecipare all’attività perché ho dimenticato il tutù ele scarpette da ballo!”. Con queste premesse nonavevamo l’aspettativa di vedere parteciparemolti pazienti maschi, viceversa la loro parteci-pazione al gruppo è stata significativa, sia dalpunto di vista numerico che della qualità dellapartecipazione. In questo caso, un lavoro di for-mazione delle diverse figure professionali ope-ranti nel reparto e la partecipazione al laborato-rio anche delle figure mediche, tra cui diversiuomini, ha forse contribuito a sostenere questa

VINCENZO PUXEDDU

servare l’altro che si muove rimanda alla intro-spezione di ciò che si prova nel muoversi nellostesso contesto e con gli stessi gesti. “L’osservare ri-manda al comprendere e il comprendere ad un’au-tocomprensione che passa per l’introspezione.” Co-me testimone partecipe dell’esperienza dell’altro,il dmt nell’esperienza dell’osservazione conosceprima di tutto se stesso, le proprie risonanze per-sonali e soggettive nella presenza e nel movimen-to dell’altro, che evoca in lui immagini, sensazio-ni, emozioni, le quali sono sostenute dai propriprocessi proiettivi.Nell’incontro con l’altro attraverso l’esperienzadell’empatia kinestesica, il dmt ha l’opportunitàdi poter incontrare parti dell’altro, e quindi an-che elementi connessi all’identità di genere, dicogliere le proprie risonanze personali, metten-do a fuoco similitudini e differenze.

I professionisti dmt in Italia ■Nelle formazioni per DanzaMovimentoTera-peuti la proporzione tra maschi e femmine è si-mile a quella tra danzatori e danzatrici che vedequeste ultime in grande maggioranza. Nel regi-stro professionale dei dmt italiani ad esempio sucirca 300 dmt registrati ed iscritti all’Apid (Asso-ciazione ProfessionaleItaliana Danza Movi-mento Terapia) solo 19sono maschi. Di loro 10hanno seguito un trai-ning il cui responsabileera un uomo. In Italia su 10 scuole di formazio-ne accreditate 3 hanno infatti come responsabi-le didattico un uomo.È attualmente in corso una ricerca, attraversointerviste, mirata a focalizzare meglio gli ele-

menti di specificità della pratica della DMT daparte di questi professionisti operanti sul territo-rio italiano.

Gli uomini come utenti ■Nella mia pratica professionale opero prevalen-temente nella conduzione di gruppi in ambitoclinico, anche se talvolta, quando la pratica ingruppo non si rivela possibile o efficace, utilizzoun setting individuale, ad esempio nel lavorocon i bambini autistici.In questo ambito ho spesso osservato come ladicitura DanzaMovimentoTerapia sia un osta-colo nel consentire a molti uomini di avvicinarsia questa pratica, in relazione ai pregiudizi e ailuoghi comuni, di cui abbiamo già accennato,che vedono la danza associata a prerogativefemminili, a particolari abilità o predisposizionifisiche. Al tempo stesso sono stato molto colpitonell’osservare che ogni qual volta le persone ac-cettano di sperimentare questa pratica, il pre-giudizio lascia spazio ad una partecipazione pie-na da parte degli uomini, senza riserve e spessomolto generosa.Nel corso della mia pratica professionale hospesso avuto degli uomini come clienti, mi viene

in mente ad esempio illavoro svolto presso lescuole elementari inprogrammi di educazio-ne alla consapevolezzaemotiva o di integrazio-

ne degli alunni disabili. In quei contesti ma-schietti e femminucce si trovavano coinvolti pie-namente, con grande entusiasmo. Credo che lapresenza di un conduttore maschio possa facili-tare il processo di identificazione e di emulazio-

Uomini eDanzaMovimentoTerapia

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NELLE FORMAZIONI PERDANZAMOVIMENTOTERAPEUTI LA PROPORZIONETRA MASCHI E FEMMINE È SIMILE A QUELLA TRADANZATORI E DANZATRICI CHE VEDE QUESTEULTIME IN GRANDE MAGGIORANZA

IN PARTICOLARE RICORDO COME NEL LAVOROCON I BAMBINI DI 4 E 5 ANNI CI FOSSEIL BISOGNO DI SPERIMENTARE ATTRAVERSOGIOCHI BASATI SULLA DRAMMATIZZAZIONEDI FIABE, L’INTERAZIONE CORPOREA...

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L’esperienza empatica implica la possibilità diriconoscere nella propria esperienza ciò che l’al-tro sente, di valutare la situazione e di poter agi-re di conseguenza; si tratta di mettere insiemegli elementi comuni e di tollerare le differenze.Questo processo è attivo anche quando i parti-colari contenuti emotivi riguardano la dimen-sione relativa al maschile e al femminile e allanostra relazione all’identità di genere.La presenza di un conduttore maschio, consen-te negli utenti maschi e femmine l’attivazione diprocessi di transfert connessi alla figura maschi-le sia in termini di figura paterna, che di ruoli ofigure significative per il soggetto. Il dmt nel mo-mento in cui è cosciente di questi processi puòfavorire un loro orientamento in relazione allenecessità della persona.Per quel che riguarda gli utenti maschi la figuradi un conduttore uomo sembra facilitare il pro-cesso di identificazione con una figura maschi-le, “sufficientemente buona”, specie nel corsodell’infanzia e l’adolescenza, e più in generalesembra consentire per gli uomini l’accoglienza

della propria complessità identitaria e delleproprie istanze. Così da favorire l’integrazioneattraverso il processo creativo di parti meno co-nosciute o ri-conosciute, sia nel senso di unamaggiore sensibilità e ricettività (capacità di in-troversione) che di una capacità di scelta, diazione e di determinazione (capacità di estro-versione). ■

VINCENZO PUXEDDU

partecipazione in maniera indiretta. Quel che ècerto è che non abbiamo raccolto il rifiuto all’at-tività motivato da elementi legati alla femminili-tà o mascolinità dell’attività, ma viceversa più diun partecipante ha espresso con molta chiarez-za il suo piacere e il suo bisogno di partecipareal laboratorio. Il setting di DMT sembrava rap-presentare uno spazio e un tempo in cui trovareo ritrovare, anche in regime di ricovero ospeda-liero, delle proprie partisane e dove potere in-contrare se stessi e gli al-tri in una relazione piùspontanea ed autentica,al di fuori di pregiudizie luoghi comuni.La presenza di parteci-panti uomini ha favorito la proposta di attivitàcaratterizzate da modalità più fighting che daun lato consentivano agli uomini presenti diconfrontarsi con elementi di forza, peso e dire-zionalità a loro più familiari, ma anche ha of-ferto all’insieme dei partecipanti la possibilità

di accedere ad un vocabolario di movimentopiù articolato anche grazie all’utilizzazione ditecniche di rispecchiamento, ripetizione e am-plificazione.

In conclusione credo che l’identità di genere enello specifico l’essere uomini, sia un elementoessenziale nella dimensione più generale e com-plessa della propria identità, il dmt nel suo pro-

cesso formativo e di cre-scita continua, comeogni persona, è chiama-to a ridefinire la propriaidentità nell’incontro escambio con l’altro; larelazione terapeuticarappresenta una parti-

colare opportunità, nella quale l’attivazione delprocesso empatico consente, come sottolinea S.Bolognini (2002), una condivisione degli affettima anche una separazione, una differenziazio-ne, un’attenzione, ed infine una capacità dimantenere un pensiero teorico-operativo.

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... LA RELAZIONE TERAPEUTICA RAPPRESENTAUNA PARTICOLARE OPPORTUNITÀ, NELLA QUALEL’ATTIVAZIONE DEL PROCESSO EMPATICO CONSENTE[...] UNA CONDIVISIONE DEGLI AFFETTI MA ANCHEUNA SEPARAZIONE, UNA DIFFERENZIAZIONE,UN’ATTENZIONE, ED INFINE UNA CAPACITÀ DIMANTENERE UN PENSIERO TEORICO-OPERATIVO

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alla relazione. Gerry Prouty (Prouty, 1991) cheha collaborato con Rogers al progetto Wisconsin(Rogers, 1970), ha elaborato in questo ambitouna interazione comunicativa basata sullo svilup-po del contatto psicologico e della relazione attra-verso una comunicazione empatica verbale e nonverbale-prossemica-posturale.Le possibilità di espressione e di comunicazionecon attività artistiche espressive non verbali comeil disegno, la pittura, la scrittura o il modellaggioplastico nelle “relazioni di aiuto” con un approc-cio centrato sulla persona per utenti con una co-municazione verbale carente o interrotta è statasviluppata progressivamente da Axline V. (1947),Rogers N. (1993), Daghero M. (2005, 2009).

Le/gli assistenti come facilitatori nellerelazioni di aiuto ■Il corso per la facilitazione delle attività artisti-co-espressive cui hanno partecipato le assistentidel Centro d’incontro è stato impostato in modoche le diverse componenti specificate dalla ri-cerca sul processo terapeutico con un approcciocentrato sulla persona, considerato nella suaspecificità di “relazione di aiuto”, potessero esse-re riconosciute ed elaborate personalmente daciascuna assistente, secondo la propria modalitàe sensibilità. Gli obiettivi delle “relazioni di aiu-to” si concretizzano nel promuovere la crescitapersonale e migliori relazioni del soggetto con ilproprio ambiente di vita, obiettivi che, salva-guardando le specifiche aree di intervento pro-fessionale, possono essere condivisi dalle/dagliassistenti impegnati in diverse attività di assisten-za e riabilitazione.La cornice teorica di riferimento diagnostico èstata fornita con la descrizione dell’ ICD-10

(1994) e, in modo complementare, dall’Icf(2003) per la valutazione della salute, del funzio-namento e della disabilità, documenti elaboratientrambi dall’Oms.Il corso di formazione si è svolto con una meto-dologia attiva e partecipativa proponendo alter-nativamente alle assistenti aspetti teorici edaspetti esperienziali.Gli aspetti teorici sono stati forniti ad ogni in-contro attraverso:a) Parti tematiche di testib) Articoli del docentec) Esposizioni didatticheLa parte esperienziale per le assistenti è statasvolta con:a) La proposta di alcune tecniche artistico/espres-

sive come l’acquarello, i colori a tempera, ipennarelli e l’utilizzo dei disegni pronti, il dise-gno libero, il modellaggio con la creta, l’utiliz-zo dell’engobbio nella decorazione ceramica.

b) La facilitazione del lavoro espressivo e artisti-co degli utenti partecipanti, in presenza del-l’arteterapeuta con le modalità descritte piùavanti.

c) La compilazione di schede di autoapprendi-mento, attraverso la descrizione di capacità elimiti, percepiti nel momento presente, degliutenti in modo indipendente da valutazionidiagnostiche pregresse.

Una “relazione di aiuto” centrata sulla personae sviluppata tramite le attività artistico-espressi-ve comprende:

A) Il contattoNel laboratorio/atelier per le attività artistico-espressive l’utente può stabilire un contatto psi-

Arteterapia per il ritardo mentale e formazionealla facilitazione delle attività artistico-espressive per le assistenti di un Centro d’incontro

MICHELE DAGHERO Arteterapeuta, Formatore. Apiart, Associazione professionale italiana arteterapeuti

In una recente esperienza l’attività arteterapeuticache ho svolto per un gruppo di partecipanti conritardo mentale medio grave di un Centro d’in-contro ha affiancato contestualmente la formazio-ne alla facilitazione delle attività artistico-espressi-ve per le assistenti del Centro.Il gruppo dei partecipanti era composto da ot-to utenti di età compresa tra diciannove e tren-tasei anni, due con diagnosi di autismo. L’atti-vità arteterapeutica e il corso di formazioneper le assistenti (cinque)si sono tenuti entrambicon un approccio cen-trato sulla persona.L’attività arteterapeuti-ca ha riguardato preva-lentemente il disegno, la pittura, il modellaggiodella creta; sono stati effettuati anche alcuni la-vori con il legno e la carta.Il percorso realizzato complessivamente dagliutenti partecipanti costituisce parte di un’altrapubblicazione mentre la descrizione dell’attivi-tà svolta con uno di loro, Emilio, è stata pre-sentata in un articolo nel 2009 (Daghero,2009). Espongo ora la metodologia formativaadottata e numerosi resoconti esperienzialidelle assistenti.

Riferimenti storici e teorici ■Sviluppato inizialmente per i clienti consultoria-li che esplicitano la loro richiesta di un aiutoprofessionale (Rogers, 1970; Rogers, Kinget,1970), l’approccio centrato sulla persona ha poitrovato numerose altre applicazioni con utenti/clienti che presentano maggiori difficoltà rela-zionali e di contatto (psicotici, disagio psichico,ritardo mentale (Prouty, 1991; Rogers, 1970) e

in settori quali l’insegnamento e la formazione(Rogers, 1970).Le “relazioni di aiuto” con il ritardo mentale ispi-rate all’approccio centrato sulla persona hannocome riferimento gli assunti specificati da C. Ro-gers (Rogers, 1970) come efficaci in una relazio-ne per il superamento del disagio psichico e la fa-cilitazione dello sviluppo personale: contattopsicologico, empatia, considerazione positiva epositiva incondizionata, congruenza, percezio-

ne anche in misura mi-nima di essi da partedell’utente/cliente. L’at-tivazione di queste qua-lità nella relazione daparte degli operatori

che sono impegnati in attività con soggetti conritardo mentale rappresenta a mio parere unaulteriore verifica dei presupposti dell’approccioche considera la fiducia dell’operatore nelle pos-sibilità di crescita dell’utente/cliente - per l’effet-to ipotizzato della tendenza attualizzante - unelemento centrale sia per riconoscere e sostener-ne la motivazione, sia nel rendere disponibili efacilitare l’accesso alle opportunità espressive edi apprendimento necessarie alla crescita perso-nale del soggetto.

La facilitazione della comunicazioneespressiva e artistica nelle relazionidi aiuto con il ritardo mentale e ildisagio psichico ■Le esperienze terapeutiche dell’approccio centra-to sulla persona con utenti con ritardo mentale epsicotici cronici hanno evidenziato le difficoltà dicontatto con questi utenti e l’assenza - spesso - dirichiesta di aiuto da parte loro come motivazione

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L’ATTIVITÀ ARTETERAPEUTICA E IL CORSO DIFORMAZIONE PER LE ASSISTENTI (CINQUE)SI SONO TENUTI ENTRAMBI CON UN APPROCCIOCENTRATO SULLA PERSONA

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circostanze della vita personale dell’assistente,che possono inf luenzare il suo stato emotivoquando nella relazione con l’utente l’assistenteavverte in sè una incongruenza che non riesce amodificare - introducendo cambiamenti che riman-gono nel processo della relazione di aiuto - è beneche si spieghi (trasparenza) con l’utente/clientechiarendo in modo opportuno la situazione. Perquesto è necessario che l’assistente sia aperto all’e-sperienza che si svolge in lui momento per mo-mento, nel suo processo di consapevolezza durantela relazione di aiuto.

E) La soddisfazione dell’utente/clienteCome “effetto” della relazione di aiuto questoaspetto è generalmente indicativo della percezio-ne che il soggetto ha degli atteggiamenti specifi-cati sopra, rivolti verso di lei/lui dall’assistente.Numerosi elementi possono contribuirvi: l’esser-si sentito compreso e accettato, l’aver realizzatoun qualche lavoro, semplice o complesso, l’averpotuto comunicare aspetti significativi di sè. Nelcontempo le/gli assistenti possono percepire lasoddisfazione provata dall’utente/cliente attra-verso una sua maggiore attenzione e coinvolgi-mento nell’attività, con il raggiungimento in al-cuni momenti di uno stato di maggioredistensione, con l’espressione di sentimenti posi-tivi (Daghero, 2009).

L’atelier di arteterapia e il laboratorio per le atti-vità artistico espressive con un approccio centratosulla persona consentono ai partecipanti di sce-gliere tra le diverse attività presenti, in genere di-segno, pittura, modellaggio e di svolgerle con unbuon grado di autonomia. La sistemazione del-l’ambiente fisico, i materiali disponibili, la presen-

za “facilitante” degli operatori, rendono possibileintraprendere un percorso nel quale la soggettivitàdi ciascuno - con i diversi gradi di capacità nell’u-so dei materiali e delle tecniche espressive - si puòmanifestare attraverso le opere, semplici o com-plesse, che vengono realizzate. Esse sono l’espres-sione di aspetti significativi del sè del soggetto chesi attualizza nel momento presente. Pensieri, emo-zioni e sensazioni, attraverso la manifestazione diun’intenzionalità manifesta e con i materiali utiliz-zati per la produzione delle opere, conducono aun processo formativo di integrazione e di concre-ta rappresentazione.Alcuni dei molti lavori realizzati individualmen-te dagli utenti:

I resoconti esperienzialidelle assistenti ■Al termine di ogni incontro con gli utenti le assi-stenti hanno ricevuto una scheda con una o duedomande relative all’esperienza effettuata daciascuna di loro durante l’attività in atelier. Ho

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cologico e fenomenologico (io-tu), premessa perlo svolgersi della relazione, attraverso l’assistenteche agevola:1) La realizzazione delle opere e dei lavori

espressivi e artistici che pongono l’utente acontatto con molteplici aspetti della propriaesperienza: ideativa, sensoriale, emozionale,cenestetica.

2) La sua presenza in atelier che facilita l’utentenel prendere contatto con l’ambiente fisico,la situazione, i materiali presenti.

3) La relazione con altri eventuali partecipanti.

B) L’empatiaLa comprensione empatica dell’utente, da par-te dell’assistente, può manifestarsi in atelier inmodo partecipativo facilitando la scelta dei sog-getti e dei temi da rappresentare nelle opere,con la loro eventuale delucidazione/chiarifica-zione verbale, attraverso la collaborazione nellarealizzazione delle opere stesse e l’utilizzo deidiversi materiali, attraverso proposte per i lavo-ri da eseguire.La relazione e l’interazione assistente/utentepossono svilupparsi in modo molto significativoattraverso la collaborazione che si stabilisce perrealizzare un lavoro al quale alternativamente -o talora contemporaneamente - entrambi con-tribuiscono.Lo sviluppo della relazione e, implicitamente,della comprensione empatica attraverso modalitàcollaborative cliente-arteterapeuta per la realiz-zazione di lavori artistico espressivi in arteterapiaè anche stato descritto da E. Kramer (1971), daM. Peciccia che con G. Benedetti ha sviluppatoil disegno speculare progressivo per la terapia ana-litica della psicosi (2006), da C. Malchiodi (2009).

C)La considerazione positiva e positiva in-condizionata

È l’atteggiamento di apprezzamento incondiziona-to dell’assistente verso la persona dell’utente, cosìcome essa si manifesta nel momento presente. I la-vori realizzati, le prove, gli abbozzi, i cambiamentiin corso d’opera, sono accettati e riconosciuti: co-stituiscono espressioni e sperimentazioni di sè chel’utente effettua e il loro riconoscimento e apprez-zamento da parte dell’assistente contribuiscono afar acquisire fiducia e ad aumentare la compren-sione di sè dall’utente/cliente.Il mantenimento di questo atteggiamento - con-dizione perché si manifesti significativamentel’empatia - è l’aspetto più impegnativo e taloradiscusso; come realizzarlo riguarda la congruen-za, la dimensione descritta nel punto successivo.

D)La congruenza, l’autenticità, la trasparenzaQuesta dimensione riguarda l’assistente che,perché la relazione di aiuto sia efficace, necessitadi essere congruente e autentico nei suoi atteg-giamenti verso l’utente: è la sua capacità di ascol-tare ed elaborare, durante la relazione, il propriostato interno. La disponibilità verso l’altro, l’ap-prezzamento, la comprensione devono esseresinceri e non di facciata con sentimenti sotto-stanti incongrui (Rogers, 1970; Rogers, 1973;Rogers, 1970). Le nozioni di congruenza, auten-ticità e trasparenza nell’approccio rogersiano in-cludono le questioni relative al transfert e al con-trotransfert della psicoanalisi (Rogers, 1970).Gli atteggiamenti di considerazione positiva epositiva incondizionata non possono essere rea-listicamente sempre provati, sia per i comporta-menti del soggetto che talvolta suscitano nell’o-peratore delusione, rabbia, noia, sia per le

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ti partecipanti proponendo le attività disponi-bili e, quando possibile e se condiviso, di colla-borare con loro.Nelle immagini alcune “relazione empatiche ecollaborative”.

I resoconti esperienziali:“Lavoro a quattro mani con A. (tempera su fogliogrande). Ha cominciato A. delineando un’arearossa centrale. Ho disegnato un cerchio interno elui ha risposto con linee aperte. Altri cerchi altrelinee. Colori puri i suoi, io ho cominciato a far en-trare un colore nell’altro, poi a sfumare. Mi sem-brava divertito a ogni cerchio e a ogni sfumatura.Il dialogo è diventato più armonico e allegro. Gio-co finale: riempire tutti gli spazi bianchi. Alla fi-ne: molto soddisfatti entrambi”.

“Quest’oggi con G. abbiamo imparato a fare lecornici, è stato difficoltoso ma con tante soddisfa-zioni”.

“Ho lavorato con B.: interessante la facilità concui mi ha seguita in forme e colori. Un’ora doporipeteva da solo l’elemento modulare del disegno ela tecnica di pittura”.

“F: guidata nella “padronanza” di tempere e pen-nello”.

“Quest’oggi ho notato che... dipingendo con L. siera creata una bella armonia... nel suo movimen-to con il pennello c’era morbidezza e delicatezza adifferenza di quando disegna con le matite dove sivede la sua rigidità”.

“Blu, rosso, giallo. Ha cercato con impegno di riem-pire gli spazi del disegno, rimanendo nei margini”.

“...C. ha collaborato con un pò più di interesse delsolito. L’aspetto più significativo è stato l’impegnoe la soddisfazione per essere riuscito a disegnarel’albero di Natale e colorarlo con i pennarelli”.

- Congruenza e apprendimentoQuesti aspetti sono inerenti la consapevolezzadelle assistenti verso se stesse durante la rela-

MICHELE DAGHERO

suddiviso le loro risposte scritte secondo i diversiaspetti considerati.

- Contatto e comprensione empatica verso cia-scun utente, nella sua unicità e nel suo mododi essere attuale

Il primo contatto avviene attraverso la percezio-ne visiva, con l’interazione verbale e non verba-le. Per gli utenti il significato soggettivo che essiattribuiscono alla propria presenza in atelier simanifesta generalmente con una comunicazio-ne implicita, anche di attesa e di aspettativa dipartecipazione alle attività.Assume particolare importanza che le/gli assi-stenti riescano a “entrare in contatto” con cia-scun utente al momento del loro arrivo in ate-lier. Con l’inizio dell’attività la premessa di un“buon contatto” consente poi una comunicazio-ne reciproca più articolata.Ecco alcune “esperienze di contatto”:“Ricerca di empatia. Occhi, suoni, contatti. Testaovattata, mente immobile”.

“...un buon feeling è importante per realizzarequalcosa”.

“Con L. il contatto delle mani con la pallina fattainsieme. Da F. l’apertura...”.

“G. ha collaborato con un pò più di interesse delsolito”.

“G. e i colori: secondo me sta prendendo confiden-za. Ha bisogno di rassicurazioni e piccoli stimoli.Non lascia intervenire”.

Esempi di considerazione positiva e positiva in-condizionata provata dalle assistenti:“Quest’oggi sono stata vicino ad A. a fare un

nuovo lavoro, devo dire che per me è stato moltobello e costruttivo...”.

“Nulla è insignificante, il modo di creare, didipingere, colorare o incollare; tutto diventa ar-te o espressione. Oggi ero felice di vedere tuttoquesto, di poter partecipare a questo corso conquesti ragazzi”.

“...Certo che l’autismo esiste, ma penso che il suomondo sia differente e non capisco perché cam-biarlo quando lui a modo suo dimostra tenerezza ecuore, i suoi occhi così profondi, e a volte persi inchissà che cosa, mi affascinano e mi donano sere-nità. Oltre il suo mondo c’è il mio e con amorequesti due mondi trovano in alcuni momentigrande complicità e forza”.

- La comprensione empaticaattraverso il lavoro collaborativo

Nelle “relazioni di aiuto”, con un approcciocentrato sulla persona, il consulente manifestala propria comprensione empatica partecipan-do all’esperienza immediata del cliente; una de-scrizione dettagliata di come questo avviene at-traverso la comunicazione verbale è effettuatada M. Kinget in “Psicoterapia e relazioni uma-ne”, scritto con C. Rogers (Rogers, 1970). Inassenza di comunicazione verbale o quandoessa è carente il prodotto arteterapeutico è unamodalità comunicativa del soggetto che espri-me attraverso di esso intenzionalità e mondopersonale. Il lavoro collaborativo utente/consu-lente nella realizzazione dell’opera può essereuna importante modalità di relazione empati-ca e di partecipazione all’esperienza dell’utentestesso. Ho proposto alle assistenti, dopo alcuniincontri introduttivi, di interagire con gli uten-

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“La voglia di mettersi in gioco, di tentare, di pro-vare senza essere giudicati. Essere se stessi.

“Da tutti i ragazzi ho imparato la semplicità dellavita”.

“E. ha cercato con impegno di riempire gli spazi del di-segno, rimanendo nei margini. Blu, rosso, giallo. Co-munica... meno, sguardi ecenni del capo”.

“E: molto più disinvolto”.

“A.: la sua creatività”.

“Ho appreso ancora unavolta che posso contare su chi mi sta intorno”.

“La leggerezza e la spontaneità”.

“Ho appreso che tutti seguiti con attenzione e de-vozione sono in grado di fare cose meravigliose!!”.

“L’attenzione e l’interesse a portare a termine leconsegne”.

“La forza di volontà e l’impegno nonostante ledifficoltà”.

“Ho appreso molta gratitudine”.

Ho anche proposto l’osservazione di aspetti si-gnificativi dell’attività svolta dai partecipanti.

Queste le loro risposte:“Oggi, un aspetto significativo di un nuovo parteci-pante è stato il comportamento e il rapporto di relazio-ne nei confronti degli altri... Ho rilevato molto interes-se per ciò che faceva e nello stesso tempo si dedicavaagli altri. La sua soddisfazione era evidente...”.

“...stamattina A. al termine dell’attività si è vistodallo sguardo e di come osservava il disegno che...era molto soddisfatto...”.

“Visto che c’è stata una mattina un pò impegnati-

va non ho partecipato al laboratorio con impegno”.

“Momento significativo con E, nel suo microco-smo, (forse)”.

“B. è stato molto restio nel partecipare all’attivitàdi oggi. Ha utilizzato i colori a tempera. Sono ri-masta soddisfatta perché anche se ho faticato per

farlo lavorare ho vistopoi in lui la soddisfazio-ne di aver lavorato conun risultato apprezzabi-le. Il mio parere riguar-do al risultato è stato po-

sitivo perché ho visto oltre all’impegno anche unlavoro molto espressivo”.

“Mi sembra che G. si sia aperto un pò allo scam-bio. Il suo comportamento è progettuale, ma haaccettato scambi di opinioni e suggerimenti. Hagradito (con mediazioni) di provare sul suo la-voro un pezzo di C. e si è reso disponibile a mo-difiche, chiedendo aiuto e colloquiando. Com-portamento molto diverso rispetto all’incontroprecedente, in cui si era chiuso completamentein se stesso e nel suo lavoro. Ho notato ancheche si è relazionato di più con gli altri compo-nenti del gruppo”.

In un periodo successivo ho chiesto alle assi-stenti, considerando le modalità espressive ecomunicative di ciascuno partecipante, di ef-fettuare una propria riflessione personale, sen-za immediate implicazioni operative:“Osservando G. mi rendo conto che ha bisognodi continue conferme di valutazione, ha pauradi sbagliare come infatti ho notato... prima di-segna su un foglio quello che vuole creare conl’argilla. Alla fine è molto soddisfatto di tuttoquello che realizza”.

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zione con l’utente. Al termine di alcune sessio-ni ho proposto due domande: “Quali signifi-cati (emozionali e/o cognitivi) ha avuto per me,oggi, l’esperienza del laboratorio?” e, conside-rando l’importanza di essere disponibili eaperti nella relazione con gli utenti per co-glierne aspetti nuovi, non percepiti in prece-denza, e le diverse modalità del loro modo diessere nel momento presente: “Che cosa ho ap-preso da uno o più partecipanti durante questolaboratorio?”.

Le risposte alla prima domanda sono state:“...cercare di lavorare con calma, senza fretta”.

“Non so che dire. Ho preparato i volantini perNatale... noioso. Mi sarebbe piaciuto fare cose piùcreative”.

“Il significato... per me oggi è stato di rilassamento”.

“Condivisione e emozione, felicità, amicizia”.

“Un significato per la mattina è stato di reciprocacomprensione con le persone”.

“Emozionante”.

“Gratificante”.

“Oggi ho lavorato per lo più da sola. Ma imparosempre dai ragazzi sorrisi e semplicità”.

“Oggi per me l’esperienza è stata di aver ricordatoil periodo della scuola elementare. Un periodomolto semplice e sereno”.

“L’altro giorno mentre dipingevo, sono andatain crisi. Mentre pennellavo, mentre guardavo ilpennello andar su e giù o da destra verso sini-stra che prendeva “potenza” dentro di me si ac-cendeva qualcosa. Sono sempre stata molto per-plessa riguardo ad un corso di arteterapia, non

ne avevo mai capito granchè. Eppure la scorsavolta, non so nemmeno io il motivo, sono unapersona che non si emoziona quasi mai... forseè tutta questa novità, questo poter sfogarsi inun modo diverso che mi ha scombussolato (nelsenso buono)”.

“Pazienza”.

“Oggi ho riflettuto”.

“Emozionante ogni volta”.

“Quest’oggi... è stato stimolante e creativo”.

“Rendermi utile nei confronti degli altri ha un si-gnificato che mi emoziona molto”.

“La nuova tecnica di pittura mi ha molto colpito”.

“Vedere i ragazzi contenti e creativi mi porta tantagioia”.

“Conoscenza, lavorando - verso fine giornata e perbreve tempo - con E. Penso che il nostro denomina-tore comune sia la musica - piace a entrambi”.

“Un nuovo utente... interessato a fare il nuovo la-voro che non conosceva”.

Le risposte alla seconda domanda:“Da un partecipante nuovo arrivato ho appresola volontà e l’impegno verso la novità ... per luidel laboratorio”.

“Il clima sereno”.

“La forza di volontà e l’impegno nonostante ledifficoltà”.

“La nuova scoperta di E”.

“Non penso di aver appreso molto oggi, però mipiacerebbe provare a lavorare con A.”.

“Da A. la precisione e da F. il modo allegro di usa-re i colori”.

Arteterapia per il ritardo mentale e formazionealla facilitazione delle attività artistico espressive per le assistenti di un Centro d’incontro

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SONO RIMASTA SODDISFATTA PERCHÈ ANCHESE HO FATICATO PER FARLO LAVORARE HO VISTOPOI IN LUI LA SODDISFAZIONE DI AVER LAVORATOCON UN RISULTATO APPREZZABILE

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Page 17: art 08 int - musicaterapia.s3-external-3.amazonaws.com Il numero 8 di Arté contiene una articolata testimo-nianza delle diverse terapie espressive (drammaterapia, danzamovimentoterapia,

lare in modo corretto. Secondo me si esprime inmodo naturale e questo lo trovo molto bello”.

“B. ...lo si potrebbe stimolare per farlo interessarecon la curiosità... forse lui lavorerebbe molto dipiù. Però capisco anche che questo suo processo varispettato... si vedono dei progressi negli ultimitempi. Ha messo più impegno nella pittura e nellavoro di collaborazione”.

Conclusioni ■Penso che le esperienze riportate dalle assistentimettano in evidenza l’importanza delle attivitàartistico-espressive e di arteterapia per le relazio-ni di aiuto con soggetti con ritardo mentale, an-che grave. Vengono evidenziate diverse compo-nenti nella prospettiva di un approccio centratosulla persona: la possibilità di “entrare in contat-to e in relazione”, di riconoscere le difficoltà e lecapacità attuali di ciascuno e, attraverso la facili-tazione per la realizzazione dei lavori, la manife-stazione di una significativa partecipazione em-

patica. Nel contempo la metodologia esperien-ziale nella formazione rende possibile evidenzia-re la complessità delle emozioni e dei sentimentidegli operatori, la loro accettazione e le possibili-tà di cambiamento che si manifestano. ■

MICHELE DAGHERO

“Le forme (in argilla) che ha realizzato... sono sta-te molto significative e molto rifinite”.

“L’energia di H. è molto positiva e contagiosa.L’attenzione che lui mette nell’eseguire i lavori in-dica molto interesse. Nel colorare i suoi disegni hamolta fantasia. L’affettività corrisposta con L. fatenerezza, ma nello stesso tempo è come un’esplo-sione della natura”.

“Si, a volte C. ha difficoltà a farsi capire, o maga-ri siamo noi a non capirlo? Ma la sua comunica-zione non verbale basta per capire qualsiasi parolanon detta. I suoi mal ditesta improvvisi... sonouna dimostrazione diquanto abbia bisognod’amore e di attenzioni...basta veramente poco per-ché passino... secondo me potrebbe fare di più, ha lepotenzialità”.

“Vedo i progressi che ha fatto H. e mi fa pensareche si possano trovare altre strade e proposte chepartano dai suoi passi di evoluzione. Alcunevolte fa ha disegnato un’automobile copiandonela forma da una rivista. La forma era perfetta-mente riconoscibile e esprimeva anche dinamici-tà. L’ha poi colorata rispettandone i contorni.Tende in genere, se lasciato solo, a non cambiarecolore e a coprire tutto dello stesso. Oggi gli hoproposto un disegno astratto con molti colori... eha lavorato... con piacere, mi pare. Era fiero dellavoro fatto”.

“Penso veramente che non è giusto nei confrontidegli altri, a volte B. mi sembra pigro, non ha vo-glia di fare le attività proposte, ma a volte pensoanche che... mancano delle attività che potrebberostimolarlo di più”.

“...Valuterei anche un percorso figurativo piùlibero e di copia dal vero, incentivando l’usodel colore ad acqua per il quale ha manifestatocuriosità. Il “viaggio” deve essere seguito da unfacilitatore che lo incoraggi e si confronti conlui passo dopo passo perché il suo approccio è...timoroso”.

“A volte diventa difficile capire C. che si ostina adisegnare sempre nello stesso modo rifiutando lenuove proposte”.

“Sono favorevole nel dire che G. partecipa coninteresse alle attività. Isuoi disegni sono moltoprecisi e scrupolosi. Lasua passione per il re-stauro è molto evidente.Lui è molto soddisfatto

dei lavori che esegue e se lo si loda è molto com-piaciuto”.

“...È una persona piacevole (F.) ed è molto sensi-bile e attenta a quello che succede intorno a lei”.

“Questa mattina ho lavorato con C. ma io nonero molto in forma ed ho accusato malessere e fru-strazione, mi è spiaciuto molto”.

“Sì... F., è molto costante nella esecuzione delle at-tività proposte. ...Lei fa con precisione quello chele viene richiesto ma non è in grado di proporrenuove attività”.

“Sono d’accordo che E. è molto più tranquillo esoddisfatto ora. Più rilassato e sereno dei primitempi... Penso anche che lui si trovi molto a suoagio con tutti noi. L’esperienza mi suscita moltasoddisfazione perché si vedono i miglioramenti...”.

“Conoscendo C. da qualche tempo, posso dire chelui non si rende conto della sua difficoltà di par-

Arteterapia per il ritardo mentale e formazionealla facilitazione delle attività artistico espressive per le assistenti di un Centro d’incontro

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SI, A VOLTE C. HA DIFFICOLTÀ A FARSI CAPIRE,O MAGARI SIAMO NOI A NON CAPIRLO?MA LA SUA COMUNICAZIONE NON VERBALEBASTA PER CAPIRE QUALSIASI PAROLA NON DETTA

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Il concetto afroditico di bellezza come percezio-ne sensoriale o aisthesis, da cui deriva la parolaestetica, ci riporta a un modo primario di cono-scenza. Quel restare senza fiato ha origine neltorace. Nel chakra del cuore. Ci toglie il fiatoper un attimo, crea una sospensione. Un effettoestetico, parola di origine greca che indica pro-prio questo effetto di trattenere il respiro.

Se questo chakra non viene alla vita,se il cuore non si apre noi rimaniamosordi e ciechi, repressivi nonostante le miglioriintenzioni, semplicemente perché l’organoche percepisce la bellezza, che resta senza fiatonella risposta estetica, non è stato risvegliato.J. Hillman (2005)

Mi posso chiedere come risuona in me l’emo-zione, nel mio petto, nella mia gola? Come simuove attraverso il mio corpo? Quale è la suadanza?Sempre secondo Hillman (2005), la terapia chepermette la danza è una liberazione dell’imma-

ginazione, le consente di entrare nel mondo at-traverso le emozioni del paziente. Si prende cu-ra della sua anima. Ogni gesto che il paziente farappresenta in una forma definita le emozioniche lo attraversano.

Anche la voce del terapeuta, il suono, la musicausa il fenomeno acustico per raggiungere il de-stinatario. Il potere di penetrazione del suonoporta la sua energia trasformatrice nel cuore delsoggetto. Alla musica e alla parola è attribuitaorigine divina.

Il canto delle Sirene ha un potere di incanto, diseduzione che tocca le corde dell’animo in modosottile e penetrante. Le Sirene cantano, nel mito,una musica dolce che ci porta in un mondo ras-sicurante. Un passaggio che quasi a nostra insa-puta ci conduce a un cambiamento di visuale.Come una iniziazione, ci svia dalle certezze, daipregiudizi abitudinari e apre lo spazio per unapprendimento.Questo effetto di spaesamento non si determina

La seduzionedella danzamovimentoterapiaMARIALENA TAMINO Psicologa, Psicoanalista, Docente c/o Scuola di Formazione per Danzamovimentoterapisti, Sarabanda, Milano

L’aura era soave e il ciel qual è,se nulla nube il velaPetrarca

Il verso del celebre poeta ci porta in un’atmosfe-ra incantata, seducente. Evoca serenità, purez-za, bellezza.Quando iniziamo un incontro di danzaterapia èproprio questa atmosfera “altra” che intendia-mo creare. Un clima accogliente, una sollecitu-dine verso ogni partecipante, una cura ai parti-colari che permette di creare uno spazio internomolto speciale, di fiducia. Si tratta di seduzione?Il termine “seduzione”ricrea davanti agli oc-chi uno scenario noncerto di terapia, evocarapporti potere, di ma-nipolazione che nonappartengono a un contesto professionale diformazione o di cura dell’Altro.Seduzione nella sua accezione comune di con-durre a sé, arte quasi diabolica di persuadereper ingannare, non riguarda una interazionedialogica improntata ad una attenzione rispet-tosa di quanto accade nell’esperienza di in-contro.Sedurre in altra etimologia significa sviare, disto-gliere dalla via dell’abitudine, creare una sorta didisorientamento, di magìa che può essere la pre-messa di un cambiamento.La modalità seduttiva rientra pertanto in unarelazione educativa, di apprendimento e di pra-tica terapeutica.Mi pare importante avviare una riflessione sullenostre modalità di accogliere e modulare gli af-fetti in un rapporto terapeutico, considerando le

valenze del nostro comportamento in rapportoalle finalità che ci poniamo.In una seduta, il setting crea proprio quella di-mensione particolare, sorprendente che caratte-rizza un modo di interagire diverso dall’abitudi-nario, in cui ci si può sentire liberi di mettersi ingioco, di sperimentare comportamenti fuori da-gli schemi.Lo scenario, che comprende noi stessi, se chiaroe rassicurante è un buon contenitore,un’areapotenziale, una rete di protezione che garantisceil processo di cambiamento, dove l’utente puòabbandonare per un poco la sua corazza di per-

sonalità, rimettere ingioco l’equilibrio fra leparti di sé, sperimenta-re e creare.Elemento di garanziadella elaborazione della

dimensione affettiva del rapporto terapeutico, ilsetting permette di creare un’illusione, fa accet-tare la dipendenza che l’apprendimento esige.Dopo questa prima fase in cui si crea una rela-zione che permette di sostenere un cambiamen-to a volte anche doloroso, si entra in una dimen-sione in cui vengono modificati i rapporti finoad arrivare alla fase necessaria del distacco.Nella pratica della danzaterapia, proprio l’effettodell’arte, della bellezza, crea quell’incanto, quelsentimento piacevole di armonia e di distaccodalle quotidiane preoccupazioni che è premessadi un cambiamento.Pensiamo al senso di armonia, di benessere chesi crea di fronte a uno spettacolo della natura. Èun incanto. Ci sentiamo rapiti.Afrodite era per i greci la dea della bellezza, ren-deva manifesto il pensiero divino.

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SEDURRE IN ALTRA ETIMOLOGIA SIGNIFICASVIARE, DISTOGLIERE DALLA VIA DELL’ABITUDINE,CREARE UNA SORTA DI DISORIENTAMENTO,DI MAGÌA CHE PUÒ ESSERE LA PREMESSADI UN CAMBIAMENTO

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Quando mi accingo a stendere una relazione, aconclusione di un percorso di arteterapia, mitrovo spesso nella difficoltà di essere fedele testi-mone degli avvenimenti, emozioni e vissutiemersi. Ripercorro, passo dopo passo, il proget-to ed esplicito quanto realizzato, ma i soggettiprincipali, e nel caso qui esposto gli ospiti di unacasa albergo per anziani, restano in secondopiano, non prendono parte alla stesura, proprioloro che sono stati i pro-tagonisti dell’interventostesso, come personeestromesse dalla valuta-zione dei risultati otte-nuti. Spesso gli articolipubblicati su riviste specializzate riservano agliutenti, a cui è rivolto un progetto, piccoli spazi,dove al massimo sono riportate le loro osserva-zioni e commenti “tra virgolette” rispetto all’in-tera esperienza vissuta.Ho deciso così di coinvolgere, nella stesura diquesto articolo, due signore che hanno aderitoal percorso: “Arte e Anziani” presso la Casa Al-bergo di Lomazzo (Co). Le signore Rosetta edEmilia, in più occasioni hanno lasciato stupefat-te me, arteterapista e conduttrice del percorso, eil personale dell’RSA per le loro capacità di co-gliere il significato della proposta arteterapeuti-ca, per aver esplicitato chiaramente, con paroleproprie, ciò che hanno compreso del concetto diprocesso artistico.Ho conosciuto le signore, come detto prima, du-rante la conduzione di un progetto di arteterapiadal titolo: “Arte e Anziani”. Dopo le prime sedu-te tutti i partecipanti hanno iniziato a prendereconfidenza con me e con la proposta, a rilassarsie di conseguenza hanno iniziato a parlare di sé.

Al termine di uno degli incontri, la signora Emi-lia e la signora Rosetta mi raccontano le lorostorie. Storie che riporto perché sia possibile de-lineare meglio la personalità delle due signore.

Rosetta inizia la sua testimonianza affermandoche avrebbe voluto laurearsi, ma questo non èstato possibile. Infatti all’età di 15 anni, dopo averconseguito la licenza di terza media, frequenta un

corso di specializzazionedella durata di tre anni.È una ragazza brillantee intelligente, ma soprat-tutto un’adolescente cheassorbe come una spu-

gna il mondo che si sta aprendo davanti ai suoiocchi. Durante l’esame finale, nel tema di italia-no parla di Garibaldi. Il tema è splendido, la vo-tazione alta: 9, ma a causa della superficialità diun professore scenderà di molto perché quest’ul-timo non crede che alcuni riferimenti storici sia-no corretti. In realtà, nei giorni seguenti l’esame,Rosetta, grazie all’aiuto di un parente Monsi-gnore, riuscirà a dimostrare la sua ragione: ogniriferimento storico è attendibile, ma i verbali del-le prove sono ormai stati archiviati e così a Ro-setta non resta che chiudere il suo esame conuna votazione più bassa, pur sapendo di valeredi più. Comunque il suo talento colpisce il presi-dente di commissione che le offre di lavorare co-me segretaria nello studio di un noto avvocato.Lo zio non acconsente, come non acconsente cheprosegua gli studi laureandosi e così Rosetta develasciar perdere il suo sogno di proseguire gli studi.Questo però non la distoglie dalla sua fame di co-noscenza. Ogni volta che lo zio organizza incon-tri con intellettuali e uomini di cultura, lei si siede

MARIALENA TAMINO

solo nell’utente, ma anche in noi terapeuti chesiamo chiamati ad esserne consapevoli .In particolare, diversi significati sono connessi all’i-dea di “seduzione” come riporta R. Massa (1995):- seducere come “condurre in disparte”, por-

tare altrove, porre di fronte al nuovo, all’im-previsto, nascondere e svelare, ma anchespaesare. Una dinamica del perdersi e del ri-trovarsi, ricollegandosi alla forza di Eros;

- seducere come “separare”, differenziare, iso-lare in un processo di individuazione che puòanche essere doloroso;

- seducere significa anche “ammaliare”. È ilcampo della magìa pedagogica e dell’illusio-ne formativa. Fare sognare, indurre sorpresa,alimentare il desiderio e l’entusiasmo;

- seducere come “ridurre al proprio volere” inun gioco di potere. Qui entra in gioco la no-stra capacità di riconoscere tali dinamiche edecostruirle. Mettiamo in gioco noi stessi e cipermettiamo attraverso questa esperienzacondivisa di trovare una nuova via, feconda.

Nella pratica della Danzamovimentoterapia

mettiamo in atto un itinerario che si rivolge agliutenti con cura, con amore. Capaci di provarelo stupore in noi, di “esserci” nella relazione co-me scrive Heiddeger. Il prendersi cura di noi edegli altri istituisce il “con-esserci”con gli altri ele cose del mondo.Non è da dimenticare, inoltre, una modalità piùquieta di incontro: il rispetto per gli uomini e lecose. Modalità capace di attenuare e appianareogni effetto distorcente di seduzione.Interesse, umiltà, amicizia e rispetto costituisco-no, secondo me, le condizioni per aprire uncontatto con le persone.La comprensione come contemplazione si colle-ga allo stupore e all’espressività artistica. ■

L’arte è una rivelazione dell’essere.Anche la più sovversiva è portatrice di formae significato... con racconti, immagini, ritmi,si rivolge a ogni essere umanoe con discrezione invita ciascuno ad aprirsialla bellezza del mondo.T. Todorov (2010)

La seduzionedella danzamovimentoterapia

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BIBLIOGRAFIA

Le signore Rosetta ed Emilia:un incontro sorprendente

Arteterapista c/o Centro Artiterapie Lecco CHIARA SALZA 37

QUANDO MI ACCINGO A STENDEREUNA RELAZIONE, A CONCLUSIONE DI UN PERCORSODI ARTETERAPIA, MI TROVO SPESSO NELLADIFFICOLTÀ DI ESSERE FEDELE TESTIMONEDEGLI AVVENIMENTI, EMOZIONI E VISSUTI EMERSI

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siamo messi al lavoro e nel silenzio della creazio-ne abbiamo riscoperto rumori che non cono-scevamo più, ma che comunque ci appartene-vano. I suoni e rumoriprodotti dalle nostreazioni, dai nostri respiri,dai nostri movimenti,dal nostro corpo... Trala “prepotenza” dei no-stri pensieri e la possibilità di vederli realizzaticoncretamente, si è aperto uno spazio che ri-schiava di divenire un baratro. Il corpo, veicolotra sogno e realizzazione, rischiava, con i suoi li-miti, di accentuare il senso d’impotenza e fru-strazione se non fosse intervenuta la resilienza(vocabolo suggerito dall’arteterapista), che si èmanifestata attraverso l’ironia e l’esperienza lu-dica, ma soprattutto attraverso l’ascolto silenzio-so di ognuno di noi per scoprire le risorse anco-ra presenti su cui fare leva.Questo “silenzio”, personalmente in me Roset-ta, ha permesso di riconciliarmi con “una paro-la sospesa”, l’ultima, pronunciata da mio mari-

to, mentre eravamo in giardino a chiacchierareserenamente, pochi secondi prima che morisse.Era rimasta lì sospesa e non aveva più potuto

trovare forma.Nello spazio di questosalone (che Chiara chia-mava setting) siamo di-venuti suoni ascoltati enell’essere ascoltati ci

siamo ritrovati, riscoperti: ah potesse anche ilmondo fuori di qua tornare a risuonare...È stato come tornare alle origini e ascoltare ilrespiro dell’uomo; bello da sentirsi, ma anchetriste da rilevare. Una malinconia dettata so-prattutto dalla consapevolezza che quell’entu-siasmo che stavamo vivendo, attraverso l’atelierdi arteterapia, era lo stesso entusiasmo primor-diale del bambino messo difronte alla creazionee al suo plasmare. Siamo tornati un po’ bambininell’esperienza del gesto, dell’atto creativo, mamentre il fanciullo è lanciato verso il futuro, noitroppo spesso ci confrontiamo con il nostro“non futuro”, o meglio con l’idea che non ci si

CHIARA SALZA

in un angolo della sala e dalla sua postazioneascolta e assorbe. Arrivando così ad avere unacultura da autodidatta enorme. La malinconia dipoter esprimere questo ricco mondo interno restalatente fino al nostro incontro.

La signora Emilia, invece, inizia il suo raccontocon un filo di voce molto emozionato. È giuntapresso la Casa Albergo di Lomazzo nell’ottobre2009 a seguito di un ictus, subito dopo esserestata dimessa dall’ospedale. Oggi ha un’emipa-resi e si serve di una carrozzina per gli sposta-menti. Grande lettrice, trascorre molto del suotempo immersa nella lettura di romanzi e bio-grafie storiche. Un tempo, dedicato a se stessa,che non aveva mai po-tuto concedersi, ma cheora la vita “forzatamen-te” le regala. Maggioredi sei fratelli, ha semprelavorato in campagnafino a 21 anni. Vita dura quella di contadina,che non lascia molto spazio alla possibilità dicoltivare interessi o inclinazioni personali. A 22anni si reca a Milano e qui lavora come guarda-robiera presso una famiglia borghese per diversianni. Oggi dice: “quello che allora risparmiavoper un domani dedicato alle mie passioni, oggi lodevo spendere per le cure”!Queste sono, per così dire, le loro sintetiche pre-sentazioni che precedono la stesura di questo ar-ticolo. Da qui in poi la relazione è stata scrittautilizzando le loro parole.

...Il percorso di arteterapia si è caratterizzatoper le fasi tipiche di un progetto:1. obiettivo: contenuti da esprimere

2. strumenti: la materia che rende visibile ilpensiero

3. realizzazione: la fase pratica4. verifica: si ripercorrere il progetto per osser-

varne le diverse fasi5. festa: tutti insieme si esulta per l’obiettivo rag-

giunto

Il cardine del lavoro è stata la fase iniziale, du-rante la quale tutti erano liberi di dire qualsiasicosa volessero: un pensiero, un’emozione, unasemplice parola, una barzelletta, un proverbio,una parolaccia, etc., non c’era nessun tipo di li-mite o di censura. Questo è avvenuto in un climasereno perché sapevamo che nessuno averebbe

giudicato, tanto meno laconduttrice Chiara eche il gruppo avrebbeaccolto e accettato ogniespressione. Le frasiesplicitate sono state

raccolte e trascritte su di un cartellone in modotale che fossero espressioni , non solo udibili, maanche visibili a tutti i partecipanti. Osservare lagrande quantità e differenza di parole e frasi ri-portate ha permesso di notare che la nostra esi-stenza era riconoscibile proprio per la presenza ela contrapposizione dell’altro. L’individuazionedella propria alterità, esclusività e unicità ha per-messo ad ognuno di ritrovarsi e riscoprirsi.In seguito i nostri pensieri hanno trovato mododi divenire visibili attraverso la materia, che noistessi dichiaravamo essere quella idonea adesprimere quel preciso concetto o emozione.Abbiamo recuperato il materiale necessario al-la realizzazione di un’opera, che fosse l’espres-sione visibile e fruibile del nostro pensiero. Ci

Le signore Rosetta ed Emilia:un incontro sorprendente

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IN SEGUITO I NOSTRI PENSIERIHANNO TROVATO MODO DI DIVENIRE VISIBILIATTRAVERSO LA MATERIA, CHE NOI STESSIDICHIARAVAMO ESSERE QUELLA IDONEA ADESPRIMERE QUEL PRECISO CONCETTO O EMOZIONE

NELLO SPAZIO DI QUESTO SALONE (CHE CHIARACHIAMAVA SETTING) SIAMO DIVENUTI SUONIASCOLTATI E NELL’ESSERE ASCOLTATI CI SIAMORITROVATI, RISCOPERTI: AH POTESSE ANCHE ILMONDO FUORI DI QUA TORNARE A RISUONARE...

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mente non posso più raggiungere e ciò che anco-ra è nelle mie possibilità di realizzazione.Le nostre personalità, con le loro ombre e luci,differenze e unicità hanno potuto iniziare unpercorso di cambiamento proprio perché si sonoscontrate con altre individualità, in particolarecon quella della conduttrice, che ha fatto da me-diatrice tra le nostre differenti soggettività, senzainfluenzare, interferire, ma permettendo anche aquelle più nascoste di essere messe in luce.Non ci resta che concludere con le parole diMetastasio: “Ovunque il guardo io giro, immensoDio ti vedo. Nell’opre tuo ti ammiro e ti ritrovo inme”. Noi scopriamo ciò che Dio ha messo in noi enel mondo, e di ciò ci meravigliamo. Ecco lo stupo-re di cui parlavamo prima, simile a quello delbambino. Io ti cerco, ti trovo, ti amo, ti prego nelPadre Nostro e con l’azione ti amo.”Al di là delle opere concretamente realizzate efruibili da tutti, resta l’esperienza vissuta da tutto ilgruppo, di cui Rosetta ed Emilia sono state le por-

ta voci. Ho voluto che Rosetta ed Emilia scrivesse-ro una parte di questo articolo perché, conoscen-dole, ho capito quanto fosse importante per loroessere voci fuori dal coro, sia immagine dell’anzia-no che non si abbandona al suo destino, sia pre-senze vive e brillanti in continua sfida col futuro. Ilprogetto “arte e Anziani” è stato un percorso dal-l’alto contenuto affettivo, cognitivo e riabilitativo,che si è sviluppato in un contesto-setting aperto,rassicurante ed accogliente, permettendo a tutti diconfrontarsi, attraverso l’esperienza estetica, con ipropri vissuti emotivi e storici e si è concluso conuna mostra itinerante sul territorio comasco. ■

Signore Emilia e Rosetta,Arteterapista Chiara

CHIARA SALZA

possa immaginare, proiettare ancora in un futuro.E sebbene ci siano stati momenti a volte disorien-tanti, ripercorrere con l’arteterapista, passo dopopasso, il senso di quello che stavamo facendo ci hapermesso di affermare alla verifica della primaopera artistica realizzata: “lanciamoci nel prossi-mo progetto artistico!” riappropriandoci così delnostro futuro.Abbiamo compreso che non era un lavoro “dabambini”, come qualcuno erroneamente avevapensato, ma un essere “come bambini”, chesperimentano il concetto di tempo e di spazio.Tempo che diviene, spazio che accoglie. Tempoche scandisce un ritmo di vita, spazio che agevo-la l’incontro con l’altro. Ci siamo immersi inuna dimensione tipicamente infantile: la curiosi-tà, il desiderio di esperienze nuove, il piacere, lapossibilità di gioire di sé.Dopo aver dedicato tempo all’atto creativo, altirar fuori, a rendere visibile, ci siamo accorteche sarebbe stato bello riuscire a rimandare

dentro ciò che avevamo vissuto. L’esperienzadoveva rientrare, essere “rimangiata” (rin-troiettata). Nella fase di verifica del secondoprogetto, abbiamo deciso di festeggiare tutti in-sieme mangiando una torta cucinata in modoche riproducesse fedelmente l’opera artisticarealizzata (vedi fotografia). Infatti nella fase pro-gettuale la frase che si era scelto di rendere visi-bile era stata: “noi siamo gruppo”. Quando si ètrattato di decidere quale forma dare al concettotutti siamo stati d’accordo sul fatto che ognunodi noi era l’ingrediente di una torta, che, se benamalgamato con gli altri ingredienti, dà originead un dolce molto saporito.Vogliamo parlare anche della fatica, quella fisica,necessaria alla realizzazione dell’opera. La faticaè lo specchio delle nostre capacità, ci mette allaprova e ci restituisce un’immagine diversa di noi,ci obbliga al confronto con noi stessi, con i nostrilimiti, ma anche con le nostre possibilità residuee ad avere il senso dell’equilibrio tra ciò che real-

Le signore Rosetta ed Emilia:un incontro sorprendente

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Signora Emilia

Il sorriso

La torta

Signora Rosetta Laboratorio

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della capacità di stringere e intrattenere relazio-ni con gli altri e di coinvolgersi in complesse in-terazioni interpersonali; il saper integrare il pro-prio comportamento con quello degli altri; ilsaper far fronte e risol-vere conf litti in modoaccettabile, mettendo inatto abilità di contratta-zione e negoziazione;l’essere in grado di assu-mere, riconoscere e rispettare ruoli diversi; il ri-conoscere e rispettare le regole proprie di ogniambiente e situazione e saper contraddirle inmodo socialmente adeguato; lo sviluppo dellacapacità di condividere con gli altri oggetti, spa-zi, esperienze; l’essere in grado di produrre ecomprendere segnali sociali e diventare consape-voli delle conseguenze che questi stessi segnaliproducono; lo sviluppo della capacità di comu-nicare con gli altri in modo efficace; l’esprimeree regolare in modo socialmente adeguato le pro-prie emozioni; il saper comprendere e capire glialtri, essendo capaci, inoltre, di empatia.A partire da queste assunzioni teoriche, proposila creazione di un coro che fosse costituito sia dapersone con disturbo psichico sia da personeestranee alla patologia.Il coro rappresenta un contenitore spazio-tem-porale definito, che prevede l’incontro tra indivi-dui che partecipano ad una esperienza collettiva,comune, in questo caso musicale, consistentenell’acquisire una preparazione vocale-musicalesufficiente ad affrontare un repertorio di branicorali e forse anche nell’impegnarsi in obiettivicomuni come l’organizzazione e/o la partecipa-zione a rassegne o concerti, incontrando altri co-ri e cantando per altre persone.

Nel coro, sin dall’inizio, le persone vanno incon-tro ad una sorta di identificazione, dipendentedal tipo della propria voce, che li definirà di voltain volta come soprano, contralto, tenore o basso

e determinerà, al menoin parte, il ruolo chesvolgeranno e la collo-cazione che avranno al-l’interno del coro stesso.Attraverso la prepara-

zione tecnica e la creazione di un proprio reper-torio si affronta il processo di sviluppo e afferma-zione progressiva della propria voce individuale,e della propria voce capace di incontrare e fon-dersi con quella degli altri e si vive l’esperienzadella costruzione corale di ogni singolo branoche prevede lo sviluppo progressivo di un insie-me fatto prima di singole sezioni, fino ad arriva-re all’incontro-dialogo del coro intero e che vedeil suo culmine nel cogliere ed esprimere il senso egli affetti che animano il brano stesso.L’attività corale, inoltre, può far vivere ai parte-cipanti l’esperienza collettiva di: faticare; ridere;provare la frustrazione del pezzo non riuscito,dell’errore; provare il piacere dell’obiettivo rag-giunto; provare il piacere fisico-psichico chespesso produce il cantare, sia attraverso la per-cezione uditiva che attraverso la percezione fisi-co-corporea della vibrazione e della risonanzadella propria voce e di quella degli altri; condivi-dere le proprie sensazioni e emozioni. Ma il co-ro può essere anche un luogo attraversato datensioni e conflitti a cui bisogna imparare a farfronte esercitando di continuo la propria capa-cità di comprensione, di tolleranza, di sopporta-zione verso gli altri. Inoltre, attraverso l’utilizzodi tecniche che riportano alla sensorialità e la

Il corocome esperienza di socializzazione*ALICIA ISABELLA GIBELLI Musicista, musicoterapista, Cagliari

Le riflessioni che seguono riguardano la crea-zione e l’attività del coro Kirkende di Cagliari. Ilcoro nasce nel 2007 a seguito di una generica ri-chiesta fattami dal CSM di Cagliari-Ovest, fa-cente capo al DSM della ASL n. 8 di Cagliari,di attivare un intervento musicoterapico che po-tesse coinvolgere il maggior numero di utentipossibile e con finalità di socializzazione.Come venivano intesi termini quali socializza-zione e musicoterapico e come poteva essere da-ta risposta a questa richiesta?Il termine socializzazione rappresenta un con-cetto molto ampio e complesso, così ricco disfaccettature e così intrecciato con ogni aspettodello sviluppo umano, che consente innumere-voli possibilità di analisi in funzione del punto diosservazione che viene scelto. È un termine, tut-tavia, che oggi viene tal-mente usato, al di fuoridella comunità scientifi-ca, che spesso ha finitoper essere svuotato di si-gnificato. Non di rado,per socializzazione viene inteso far star bene in-sieme delle persone, senza contemplare la possi-bilità che questo star bene insieme rappresenti ilpunto di arrivo di un processo di cambiamentonel tempo, capace di essere esplicitato anche aldi fuori del contesto di incontro. Ne consegueche il termine musicoterapico nasconda, spesso,una richiesta di animazione musicale.Personalmente intendo per socializzazione lamolteplicità di processi che avvengono all’inter-no di un contesto relazionale e l’interazione trale persone, aspetti che favoriscono l’inserimentoe l’adattamento di queste all’interno della pro-pria società o comunità in cui vivono, attraverso

la trasmissione dei propri modelli di comporta-mento sociale, dei valori, delle credenze predo-minanti nella propria cultura di riferimento. Al-l’interno di questi processi due concetti,intimamente intrecciati tra loro, diventano chia-ve: individuazione e Sé.Intendo per individuazione quel processo attra-verso il quale diveniamo consapevoli di avereuna propria identità personale e sociale, che sisviluppa, partendo dalle proprie caratteristichebiologiche di base, attraverso le innumerevoliinterazioni interpersonali in cui siamo coinvoltisin dalla nascita e che necessita della formazio-ne di un senso di essere distinto e separato daglialtri, di avere un proprio corpo coeso, di avereemozioni e sentimenti propri che possono essereespressi e condivisi, di essere agente delle pro-

prie azioni, di avere del-le proprie intenzioniche possono concretiz-zarsi in progetti e pianidi azione e che possonoessere condivise con gli

altri, di agire all’interno e di partecipare a siste-mi di comunicazione, di essere “uno” lungo latraiettoria esperienziale e temporale. Socializzazione ed individuazione si presentanocome due processi inscindibili l’uno dall’altro einterdipendenti dallo sviluppo del senso e dellaconsapevolezza di Sé. E il Sé, percepito, rappre-sentato, narrato diviene uno dei più importanticoncetti sociali.Quali sono le qualità, le abilità che una personadeve sviluppare per divenire socialmente abile,socialmente competente? Da più parti le competenze sociali nella nostracultura vengono identificate con: lo sviluppo

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SOCIALIZZAZIONE ED INDIVIDUAZIONE SIPRESENTANO COME DUE PROCESSI INSCINDIBILIL’UNO DALL’ALTRO E INTERDIPENDENTIDALLO SVILUPPO DEL SENSO E DELLACONSAPEVOLEZZA DI SÉ

IL CORO RAPPRESENTA UN CONTENITORESPAZIO-TEMPORALE DEFINITO, CHE PREVEDEL’INCONTRO TRA INDIVIDUI CHE PARTECIPANOAD UNA ESPERIENZA COLLETTIVA, COMUNE,IN QUESTO CASO MUSICALE

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Spesso quando iniziamo un nuovo lavoro partia-mo dall’idea della progressiva strutturazione, daun’idea che principia nel caos per organizzarsiprogressivamente e nel tempo. Invece io per rac-contarvi questa esperienza vorrei partire da unpensiero opposto quello della frammentarietà,della sospensione, della discontinuità. Il nucleocentrale delle mie riflessioni nasce, infatti, dall’in-tersecarsi di un’esperienza lavorativa caratteriz-zata dalla precarietà legata a fattori istituzionali,dalla frammentarietà connessa alla malattiamentale dei pazienti, e dal sorprendente incrocioche ne viene fuori nell’esperienza musicoterapica.L’esperienza in oggetto si è svolta presso il cen-tro diurno di Bagheria della asl 6 di Palermo, inun rapporto in cui gli operatori della riabilita-zione psichiatrica sono “operatori-nomadi” cuinon è garantita la continuità -ancorchè tempo-ralmente discontinua - con strutture e pazienti.Ciononostante mi ritrovo per quattro anni nellamedesima struttura; specularmente ai pazientimi trovo in un percorso di progettazione, lorodella propria esistenza accompagnata da soffe-renza ma anche da possibilità offerte dal lavoroche il centro diurno offre supportandoli nella ri-

strutturazione delle loro vite, io pensando cheman mano l’esperienza poteva arricchirsi diqualcosa che non restasse sospeso nel tempo,potendo iniziare a pensare di articolare mag-giormente il nostro progetto terapeutico.Le sedute di gruppo erano settimanali e la dura-ta è andata progressivamente a crescere dagliiniziali 30 minuti a 50 minuti. Si è trattato di ungruppo semiaperto formato da pazienti schizo-frenici di età compresa tra i 35 e i 55 anni circa,per un totale massimo di sei pazienti. Al gruppoha costantemente preso parte un infermiere, ilcui ruolo sonoramente attivo ha costituito altresìun “trait d’union” rispetto alla musicoterapistaestranea all’istituzione, costituendo quindi lamemoria storica del lavoro e del percorso arti-colatosi nel corso degli anni.

I pazienti ■G. è isolato e silenzioso, rigido rispetto alla ge-stione del tempo, nel gruppo di musicoterapia èstato uno dei poli essenziali per il determinarsidella “problematizzazione sonora” dell’incontrorelazionale. Suonava con intensità forti, produ-cendo ritmi sostenuti e incalzanti, senza pause,

ALICIA ISABELLA GIBELLI

Il corocome esperienza di socializzazione

44coinvolgono globalmente, può essere attivato unprocesso in grado di migliorare le capacità per-cettive anche cinestesiche e propriocettive. L’at-tività corale, se ben indirizzata, può restituire unsenso di autoefficacia, così come può diventareun luogo di allenamento per migliorare la pro-pria resistenza alla frustrazione.Potevo chiamare la mia proposta interventomusicoterapico?Io possiedo una doppia competenza: musicale emusicoterapica. L’intervento veniva basato ingran parte sul modellopsicologico di Stern eveniva disegnato attor-no a concetti quali sen-so e consapevolezza diSé. Da un punto di vi-sta musicoterapico l’intervento si proponeva disviluppare delle relazioni attraverso l’esperien-za musicale, capaci di avviare processi di cam-biamento nei partecipanti, di promuovere il re-cupero di funzioni compromesse, nel nostrocaso maggiormente riferite al funzionamentosociale, e di prevenire complicanze del disturbopsichico quali l’isolamento e l’auto ed etero stig-

ma. Erano previste delle tecniche precise anchese non solo riferite all’improvvisazione. La valu-tazione era attuata seguendo degli indicatorioggettivi predefiniti e attraverso il confrontocon l’équipe di riferimento.Nonostante questo la numerosità del gruppodivenne un fattore determinante, che limitò laprofondità dell’intervento stesso, non consen-tendo al conduttore di tenere sotto controllotutte le variabili e di contenere ogni situazionepossibile. A mio parere l’esperienza con il coro

Kirkende ha rappre-sentato innanzi tuttouna buona pratica, chepuò essere collocata inuno spazio intermediotra il musicoterapico-

riabilitativo e quello educativo, il cui campod’azione non si esaurisce in se stesso, ma puòfavorire processi di cambiamento anche dura-turi nel tempo. ■

* Contributo presentato in occasione del VIICongresso Nazionale Confiam “Le cure mu-sicali”, 28/29/30 maggio 2010, Genova.

L’ATTIVITÀ CORALE, SE BEN INDIRIZZATA,PUÒ RESTITUIRE UN SENSO DI AUTOEFFICACIA,COSÌ COME PUÒ DIVENTAREUN LUOGO DI ALLENAMENTO PER MIGLIORARELA PROPRIA RESISTENZA ALLA FRUSTRAZIONE

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BIBLIOGRAFIA

Il suono dentro: un persorso di musicoterapiadi gruppo in un Centro diurno psichiatrico*

Psicologo, psicoterapeuta, musicoterapista, Palermo MARIA SANTONOCITO 45

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formarsi di un assetto esperienziale condiviso, incui il rapporto dei pazienti si esplicava quale re-lazione comunicativa ad una via, in cui cioè gliscambi e i contatti si indirizzavano prevalente-mente verso la musicoterapista. Riferendoci aicriteri organizzativi del campo sonoro di Porena(1999), possiamo dire che il gruppo si organizza-va attraverso un criterio di addizione, in cuiemergevano i singoli. “L’organizzazione per ad-dizione contempla i casi in cui i campi e le figuresi sovrappongono in maniera indipendente, sen-za legami di identità, somiglianza, opposizione.È un criterio che implica un basso livello di co-municazione, che si verifica soprattutto nei mo-menti esplorativi, di ricerca, quando si procedeper tentativi. Le condotte principali sono quelledella ripetizione di sequenze già sperimentate(la pratica del già conosciuto) e dell’improvvisa-zione individuale (quando uno o più esecutori sidedicano prevalentemente alla propria creazio-ne senza tener conto del resto)”.

2) Il gruppo recettivoNel terzo anno del gruppo l’inserimento del pa-ziente C. attiva un con-flitto “sonoro”che si ma-nifesta come scontro tradue dimensioni del tem-po, come due unicità edue vissuti di solitudineche viaggiano parallele. Silenzi e pause, contrap-posti a suoni forti e ritmi incalzanti, utilizzoesclusivo e coartato dello strumento, contrappo-sto a creazione di un micro setting sonoro artico-lato e chiuso al proprio interno. Nonostante imolti tentativi della musicoterapeuta di offrireuno spazio di riflessione a posteriori all’improvvi-

sazione, in cui si sottolineava come la presenza didue tempi diversi nel gruppo sembrava esprime-re voci diverse, modi diversi di stare nel gruppo enel mondo, ciò non sembrava poter contribuirein modo fattivo all’apertura di uno spazio in cui sicostituisse una trasformazione, sonora, uno spa-zio in cui potessero coesistere tempi diversi chenon entrassero in evidente collisione. Il malesseredi C. rispetto al suo bisogno di silenzio, di pause,di rallentamenti era crescente e l’impossibilità diG. a rallentare, ad abbassare i toni delle sue im-provvisazioni sempre più forti era altrettanto cre-scente. Erano due solitudini che non si potevanoincontrare. Nelle verbalizzazioni successive alleimprovvisazioni è emerso in modo chiaro lo scon-tro tra due tempi diversi, dove la parola esplicita,semplice e diretta ha aperto una possibilità al co-stituirsi di uno spazio non saturo, in cui può na-scere qualcosa che ancora non è.È stato come se per la prima volta ciascuno deidue pazienti fosse costretto a guardarsi attraversogli occhi di un altro, a decentrarsi per vedersi.Stavamo finalmente destrutturando ciò che cia-scuno aveva in sé già prestabilito, l’abbandono

del cliché. L’idea di mo-dificare l’impostazionemetodologica è stata ac-compagnata da una at-tenta riflessione, non vo-levo rischiare di esporre

ad un eccessivo senso di destrutturazione pazien-ti che con sofferenza, fatica e tempo, avevanoraggiunto un certo livello di integrazione. Per cuisi è proposto l’ascolto ed uno scambio verbale chepotesse contenere le emozioni, dando a queste unsenso che si potesse poi convogliare compiuta-mente nelle successive improvvisazioni.

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utilizzando più strumenti e proponendo soprat-tutto improvvisazioni di natura ritmica; nel cor-so del tempo si è andato costruendo un propriomicro setting strumentale. Emergeva come pre-senza sonoramente affermativa nel gruppo, glialtri membri si ponevano in modo gregario ri-spetto a lui.L. riservato ma disponibile alla relazione. Inizial-mente utilizzava esclusivamente il triangolo conmodalità incistata, portandolo alle orecchie, pro-ducendo sonorità alea-torie e ritmi incalzanti.In lui si sono osservaticambiamenti sostan-ziali nel corso degli an-ni, giungendo a unamodalità sonora comunicativa, caratterizzata daun atteggiamento di ricerca e sperimentazionetimbrica, spostandosi verso gli strumenti melodicie alternando poi produzioni ritmiche e melodi-che dotate di dinamicità.M. è un’ex studentessa di pianoforte del Conser-vatorio, esperienza questa strettamente connes-sa all’esordio della malattia. Per ogni anno cheha preso parte al gruppo M. inizialmente ripro-duceva al metallofono brani che mostrassero lesue competenze esecutive residue; l’atteggia-mento accogliente del gruppo le ha consentitodi abbandonare queste esecuzioni per esprimer-si in modo più libero, a volte manifestando ladifficoltà di farlo, altre volte riuscendo ad entra-re in contatto con la musicoterapeuta, che l’haincoraggiata ad uscire da un cliché che la con-frontava con una frustrazione ed un fallimento,non consentendole di vivere la dimensione pre-sente. M. si è affacciata alle proprie emozioniabbandonando gli strumenti melodici ed uti-

lizzando le percussioni in legno ed in pelle esoprattutto gli strumenti più regressivi quali isonagli ed il tubo della pioggia.C. con personalità bipolare aveva tentato mol-te volte il suicidio. È entrato nel gruppo nel suoterzo anno di esperienza ed ha immediata-mente espresso un forte malessere. I suoi tenta-tivi di razionalizzazione lo ponevano fuori dal-l’esperienza musicoterapica.Nell’improvvisazione utilizzava soltanto stru-

menti melodici, da cuiemergevano scale enote congiunte, segnodi una forte coartazio-ne emozionale, suo-nava con intensità de-

bole, introducendo lunghe pause in cui cercavadi ascoltare strumenti la cui voce risultava fle-bile all’interno del contesto improvvisativo.

Metodologia ■Il percorso del gruppo di musicoterapia può es-sere suddiviso in tre fasi che coincidono con trepassaggi metodologici.

1) Il gruppo improvvisativoNei primi due anni il gruppo è stato caratteriz-zato da una conduzione semidirettiva, esclusiva-mente basata sulla tecnica della libera improvvi-sazione di gruppo ed i cui tratti specifici sonostati: la possibilità individuale di contattare leproprie peculiarità sonoro/musicali, lavorandoquindi su una dimensione intrapersonale ed in-trapsichica in cui far emergere le peculiarità so-nore di ciascuno. La possibilità di prendere con-tatto con modalità di espressione sonora legataa istanze personali soggettive ha determinato il

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IN LUI SI SONO OSSERVATI CAMBIAMENTISOSTANZIALI NEL CORSO DEGLI ANNI, GIUNGENDOA UNA MODALITÀ SONORA COMUNICATIVA,CARATTERIZZATA DA UN ATTEGGIAMENTO DI RICERCAE SPERIMENTAZIONE TIMBRICA...

RIFERENDOCI AI CRITERI ORGANIZZATIVIDEL CAMPO SONORO DI PORENAPOSSIAMO DIRE CHE IL GRUPPO SI ORGANIZZAVAATTRAVERSO UN CRITERIO DI ADDIZIONE,IN CUI EMERGEVANO I SINGOLI

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Sonoramente le improvvisazioni sono state ca-ratterizzate da utilizzi non convenzionali dellostrumentario, organizzazioni sonore per contra-sto e dialoghi sonori a due e tre membri delgruppo. Abbandono di ritmiche prestabilite,sperimentazioni e cambi di ruolo nella condu-zione sonora: cioè l’emergere di un campo sono-ro gruppale. Ciò è riferibile al criterio della simi-litudine gestaltica in cui si coglie una sorta diaffinità diffusa. “La similitudine è il criterio diorganizzazione più utilizzato dai gruppi d’im-provvisazione musicoterapica poiché rappresen-tativo della possibilità di stare insieme pur essen-do diversi. Attraverso di essa prende corposonoro la matrice dinamica nei suoi aspetti evo-lutivi e dialettici” (Masotti, 2002). Nelle esperien-ze improvvisative si percepiva la storia che ciaveva attraversati, le emozioni che avevamo con-diviso. L’ascolto delle registrazioni ci ha restituitouna sonorità gruppale, la sensazione di avere co-struito nel tempo un campo condiviso e la possi-bilità di entrare ed uscire dal gruppo portandosidentro i suoi suoni.

Conclusioni ■Nonostante la frammentarietà dell’interventonel suo snodarsi nel tempo, il gruppo in oggettoha costruito una propria storia, che prescindedalle singole presenze dei pazienti poiché è lastoria del gruppo. È proprio questo che consentedi affermare che, al di là della presenza addizio-nale degli individui, si è costituito un campo con-diviso che si è evoluto nel suo divenire, giungen-do ad essere gruppo come dimensione interna,transpersonale, sovra individuale ed interiorizza-ta in maniera inconscia, che esiste nell’esperien-za istituzionale. ■

* Contributo presentato in occasione del VIICongresso Nazionale Confiam “Le cure mu-sicali”, 28/29/30 maggio 2010, Genova.

MARIA SANTONOCITO

Si è deciso di introdurre una variazione tecni-co/metodologica nel setting. Il setting era ora co-sì articolato: ascolto di brani portati dapprimadalla musicoterapista e poi dai pazienti; verbaliz-zazione sull’ascolto da parte del paziente e poidel gruppo, focalizzazione del tema di fondo eimprovvisazione finale. L’idea che ha guidato que-sta impostazione era di offrire ai pazienti una con-divisione di vita ed emozioni, che confluissero nel-la possibilità di prendere una forma comune nelsenso sonoro dell’im-provvisazione che poi neemergeva. Le scelte ef-fettuate dalla musicote-rapista si sono basatesulla metodologia dellasequenza sonda utilizza-ta in musicoterapia recettiva (Manarolo, 2006),poiché introducono il gruppo all’ascolto e all’at-tivazione di un’ampia riflessione rispetto ai varitemi esistenziali. Successivamente sono stati i pa-zienti a proporre brani musicali significativi perloro; ciò ha consentito una condivisione nelgruppo, un’esperienza nuova ed intensa, apren-do agli altri squarci della propria vita emoziona-le; nelle verbalizzazioni la direzione data dalconduttore è stata la ricerca di un’emozione difondo che accomunasse il sentire del gruppo eche ne guidasse la successiva improvvisazione.Ne sono scaturite improvvisazioni caratterizzateda un’organizzazione che lasciava emergere l’in-staurarsi di una matrice di base substrato acco-munante, la cui presenza consente l’immediatapossibilità di comprendersi. Erano attivi fattoriterapeutici di gruppo quali: l’universalità legataalla possibile condivisione della propria sofferen-za con una ricaduta sulle problematiche narcisi-

stiche e su quelle di isolamento; lo sviluppo del séinterpersonale e vicario legato all’identificazione,all’osservazione degli altri e al confronto recipro-co. Per la prima volta, dopo molti anni, alcuni diquesti pazienti hanno offerto, gli uni agli altri,frammenti del proprio senso di vuoto, di solitudi-ne, d’inadeguatezza, desiderando altresì qualco-sa che fosse una possibilità, uno spazio per l’esi-stenza. Il gruppo ha realizzato una svolta in cuiciascuno ha abbandonato il cliché del brano su

cui identificarsi, fonder-si in maniera identitariae identica per mostrarefragilità ed emozioni,ma in un luogo simboli-camente e sonoramentecondiviso. In conclusio-

ne di questo percorso recettivo C. chiede al grup-po di ascoltare insieme a lui “Cercami” di Rena-to Zero, che ha molto emozionato tutti noi, siaper il testo, sia per la scelta fatta da quest’uomodi mostrare un uomo che dal vivo canta la suadifficoltà esistenziale.

3) Il gruppo del riascoltoNell’ultimo anno di questo percorso si è decisodi lavorare ancora sull’improvvisazione di grup-po, registrata e poi riascoltata. Il motivo di que-sta scelta è stato la percezione di una maturitàstorica del gruppo, il passaggio, infatti, fonda-mentale sperimentato nella precedente fase erastato focalizzato sulla possibilità di mostrarsi perciò che si è ed il poter chiedere aiuto all’esterno.Siamo dunque tornati a lavorare su una dimen-sione che da intrasoggettiva era passata all’inter-soggettività, per transitare ora verso una dimen-sione gruppale matura.

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PER LA PRIMA VOLTA DOPO MOLTI ANNIALCUNI DI QUESTI PAZIENTI HANNO OFFERTOGLI UNI AGLI ALTRI FRAMMENTIDEL PROPRIO SENSO DI VUOTO, DI SOLITUDINE,D’INADEGUATEZZA, DESIDERANDO ALTRESÌQUALCOSA CHE FOSSE UNA POSSIBILITÀ, UNOSPAZIO PER L’ESISTENZA

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inteso come radicamento nelle carni e nella ter-ra. Questo è un punto cardine a favore dellaDMT in ambito psichiatrico. La DMT riportaalla Terra, riporta al corpo. “I soffi della Terra,che sono collegati ai Fu straordinari hanno a chevedere con il sostegno della vita” (Rochat de LaVallée, 2008).Dalle applicazioni dell’agopuntura in ambito psi-chiatrico è dimostrata l’importanza di pungerepunti di Terra in presenza di alcuni sintomi da ec-cesso di Fuoco (es: eloquio disorganizzato, deliri).

Danzaterapia e follia:Storia di un’interazione possibile ■“Vi è un sano modo di essere folli e dimentichi:la follia “dei meno folli” che manifestano con laloro “eccentricità” quanto siano lontani dallafollia reale dei mondani, la cui vitaapparentemente ben ordinata, non è cheillusione mantenuta accuratamente.”Larre, 1994

Il CRA è un centro a porte aperte. Anche il can-cello del giardino che attornia la sede è aperto.Alcuni tra gli utenti del gruppo movimento-danzaterapia attendono in giardino.Un giardino curato (“me ne occupo io!” Dirà fie-ro Marco più tardi). In generale i volti sono cu-pi, contrastano con i colori intensi dei fiori.Il CRA prevede che gli ospiti non rimangano alungo nella struttura e stimola il reinserimentonell’ambito lavorativo. Alcune persone, in effet-ti, hanno iniziato ad avere una casa e ad occu-parsene, frequentando nel contempo corsi pro-fessionali. Altri ospiti vengono mandati incomunità terapeutiche. Il “gruppo movimento-danzaterapia” ha inizia-

to presso il CRT (Centro Residenziale di Terapiepsichiatriche e di risocializzazione, poi ridefinitocome CRA, Comunità Riabilitativa Alta Assi-stenza) come gruppo aperto a libera frequenzanel marzo del 2001 fino a luglio dello stesso an-no. L’anno seguente l’attività è stata rivolta ad unnucleo di utenti del precedente anno con l’ag-giunta dei “nuovi”. Con l’équipe di riferimento(psicologo, psichiatra, educatrice), si è deciso,dietro mia proposta, di mantenere il gruppochiuso per un anno per poter svolgere un vero eproprio lavoro di danzamovimentoterapia. Laproposta è nata proprio dall’esperienza dei mesiprecedenti: i partecipanti, una decina, erano en-tusiasti, attivi secondo le loro possibilità, fedelissi-mi all’appuntamento settimanale. Dopo pochimesi hanno iniziato a chiamare spontaneamentequesto gruppo danzaterapia, mentre il termine“gruppo movimento”, scelto per non “spaven-tarli” , iniziava pian piano a scomparire. L’educatrice decise di continuare a frequentarelei stessa gli incontri, coinvolgendosi sempre dipiù. Bisogna riconoscere il valore della sua pre-senza, come facilitante il lavoro. In generale èsuo il compito di “portar giù” gli utenti che nonsempre hanno la nozione del tempo o si addor-mentano, anche a causa delle elevate dosi difarmaci.La cura del setting è nella preparazione di ungiardino terapeutico dove empaticamente si fadell’ ascolto attivo una modalità per preparare,nutrire, colmare e svuotare un terreno comun-que fecondo. Considero che la conoscenza delladiagnosi occidentale possa essere interessantecome termine di confronto con gli altri operato-ri, per la valutazione dei risultati e per una cor-retta contestualizzazione della danzaterapia,

CRA e Danzamovimentoterapia:10 anni di folliaELENA CERRUTO Supervisore presso il CRA di via Plebisciti, Milano.

Premessa ■L’articolo descrive una esperienza decennale(2000-2010) tuttora in corso presso il CRA diC.so Plebisciti. L’accento è posto sul camminodi due pazienti che frequentarono per 2 anniconsecutivi anche gli incontri di danzamovi-mentoterapia (DMT) presso il Centro Saraban-da in completa integrazione con utenti “nor-malmente nevrotici”.Quasi tutti gli utenti, che hanno partecipato al-l’esperienza, sono classificati all’interno di unquadro di psicosi grave, per la maggior parte siparla di schizofrenia. Alcuni seguono una psico-terapia, individuale o di gruppo, altri non ne so-no in grado. Sia il gruppo DMT presso il CRAche quello presso Sarabanda, avevano frequen-za settimanale.

Il metodo: DanzaMovimentoTerapia traOriente e Occidente (Cerruto, 2008) ■La Medicina Tradizionale Cinese individua al-cune dinamiche fondamentali: movimento “del-l’andare in fuori” che corrisponde al Legno, inquesto caso portar fuori sentimenti, emozioni emovimenti. Analogicamente è la proposta chespinge gli utenti ad uscire dal luogo di “patolo-gia”. Polare e opposto al movimento del Legno,troviamo il movimento del Metallo che porta adinteriorizzare; la sua espressione è un rallenta-mento che può generare tristezza, stato dell’ani-mo che se si fissa diviene patologico, “La tristez-za si oppone allo slancio gioioso verso la pienezzache è propria del fegato” (Larre, 1994). Caratteri-stica del Metallo è la discesa in profondità e lacristallizzazione che analogicamente può mani-festarsi come depressione. L’immobilizzarsi del-la depressione, così come la paura eccessiva e i

sentimenti legati alla morte risuonano col Movi-mento Acqua. “Mi sono venuti pensieri tristi”,“Stanotte c’è la fine del mondo”, “Voglio morire”sono espressioni tipiche con cui alcuni utenti sipresentano, le braccia rigidamente conserte chesi sciolgono nel corso dell’incontro. Con l’uten-za psichiatrica è fondamentale far vivere del-l’Acqua l’aspetto del radicamento (Rene comeRadice dell’esistenza) e del Fuoco l’espansione(Cuore come apertura emozionale, mentale,spirituale). Se il Legno è nutrito dall’Acqua puòcrescere come l’albero che arrivato all’espansio-ne si apre al Cielo (Cielo risuona anche comeapertura spirituale).Possiamo riscontrare nel movimento “sano” delLegno un aspetto del ruolo del danzamovimen-toterapeuta (dmt). Compie lo sforzo necessarioper facilitare la spinta naturale verso l’esterno,magari bloccata da anni, utilizzando le risorsecreative tipiche della DMT equilibrate dallafunzione di controllo del Metallo: a seconda de-gli stati patologici, in genere dovuti a stagnazio-ne, l’intento terapeutico si muove sull’asse Me-tallo/Legno (interno/esterno) e Fuoco/Acqua(Cielo/Terra). Così anche le proposte di movi-mento che esplorano la dimensione orizzontaleo verticale dello spazio.Il perno centrale è il Movimento Terra, intesacome riattivazione della circolazione attraversoil movimento, accoglienza trasformativa che simanifesta come presenza nel corpo e coordina-zione. Nello spazio si riscontra come compren-sione di percorsi diversificati e adattabilità aidifferenti livelli e spazi. Ha funzione centrante egarantisce il costante nutrimento, la riattivazio-ne dinamica, il passaggio dalla forma di stagna-zione alla trasformazione. Il Radicamento è qui

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Cinese, mira ad un quadro di armonia e attivala sua considerazione positiva incondizionata(Terra come accoglienza).Ogni tanto accade, prima dell’incontro, che gliospiti portino fuori verbalmente il loro disagio,talvolta essi precisano spontaneamente i terminiclinici della loro patologia o espongono dettaglia-tamente i sintomi ed idisagi delle loro “crisi”o vogliano spiegarmichi sono loro veramentee portano, come spessofanno i “normali”, ladescrizione dettagliata del loro “io”, apprendocosì che ho a che fare con artisti, professori, medi-ci, camerieri, figli d’arte e di cultura; essi sono iprimi a raccontarmi chi sono. Lo leggo come: inrealtà “io non sono qui, c’è stato un errore...” masoprattutto come la descrizione di un io cristalliz-zato e vecchio, forse quello che non ha retto, nonha cambiato forma, cioè non ha saputo modifi-carsi nelle circostanze di un mutamento possibile.(Terra come trasformazione).Altri pazienti arrivano all’ultimo minuto, si pre-sentano come uomini d’affari con due cellulari eIpod che disattivano a malincuore. Contrastanonella loro evidente copertura, contrastano so-prattutto con la figura di Fernando, giovane au-tistico che trovo ogni volta ad attendermi sedutodavanti alla porta. È l’unica attività che segue,preciserà poi lo psicologo. Non mi parla ma su-bito entra. Tra i primi è sempre anche Marco,vuole raccontarmi della sua ultima crisi d’ansia.Gli chiedo dove la sente ora. Mi risponde cheora non c’è e che è felice di stare qui mentre si to-glie in fretta le scarpe. Mesi dopo mi racconteràdi avere trovato un lavoro come giardiniere e che

forse andrà a vivere da solo. Cosa che puntual-mente avverrà e perdura ormai da 8 anni.La Danzaterapia favorisce “un processo creativodi scambio comunicativo, orientato non al ripri-stino di funzioni perdute, ma alla produzione dinuove reti di significati” (Bellia, 1997).Ogni volta li invito al qui e ora, al che cosa senti

ed alla f isicità del checosa senti. Il dmt in que-sto caso è terra acco-gliente e trasformativa,ascolta sia le parti saneche quelle malate e co-

me fa la terra non giudica ma trasforma.Paolo dichiara che sembra come in quel film... einizia a raccontare... “ma tu parli sempre, smetti-la!” Intima il gruppo all’unisono.Le parole parlate si fanno parole danzate:“Buon giorno come stai” diventa danza di corpo edi voce che ricalibra nel qui e ora, cambiandonella continuità forme diverse di un corpo-cuore(Rochat de La Vallée, 2008) che muta. Il “buon-giorno”, nella sua vibrazione sonora e nella in-tensità corporea, manifesta anche la disponibilitàe l’accoglienza del terapeuta, ritualizza l’iniziodell’incontro.In realtà il buongiorno a tutti gli ospiti è iniziatocon l’apertura del cancello esterno. Occhi che siraccolgono delicatamente come fiori pronti peressere colti. Ma non sempre, spesso gli sguardirimangono vuoti. La stagnazione prevale. “Cambiamo le forme del nostro corpo” è frase pro-grammatica nella “sala danza”. Chi è giuntofin li è già in uno stato di disponibilità, ha giàpassato la fase del “togliamo le scarpe” e se tut-to va bene, abbandonato anche l’àncora dellasedia. Lavoro costantemente con la fiducia nel-

ELENA CERRUTO

che certo non è attività ricreativa, ma ritengoche, soprattutto inizialmente, essa non sia fon-damentale per il dmt. “In tutti i casi in cui ilcuore è occupato da conoscenze formalizzate si per-de la vita” (Larre, 1994). Rigorosamente neces-saria per la strategia terapeutica è invece unadiagnosi energetica basata sui 5 Movimenti del-la Medicina Tradizionale Cinese.Ciò che trovo molto interessante nelle riunionid’équipe è sapere da dove vengono, come sono leloro famiglie, come stanno quando tornano dopoperiodi di assenza dal CRA e soprattutto comestanno in seguito agli incontri di DMT e qualicambiamenti significativi lo psicologo, la psichia-tra o gli educatori ritengono opportuno segnalare.Gli operatori tendono a rispecchiare questo miostesso interesse per la dimensione umana e rela-zionale e soprattutto sono interessati alla realtà di-namica e cangiante chesembra ogni volta ri-creare condizioni nuovealla cui luce poter osser-vare senza giudizio an-che minimi cambiamenti che nel contesto quoti-diano potrebbero sfuggire. La comprensione si fafluida quando si coglie il punto di vista dell’altro.“Vuotate il cuore ed equilibrate il proposito; vi ralle-grerete dei comportamenti naturali” (Larre, 1994).L’équipe si dimostrò sin dall’inizio sensibile alconcetto di integrazione della danzaterapia: in-tesa sia come integrazione dell’attività nel pro-getto terapeutico per il paziente, sia come inte-grazione di persone con diverse manifestazionipatologiche. Inizialmente lo psicologo e l’educa-trice prescrivevano la DMT ai pazienti appa-rentemente più disponibili a muoversi ma poicompresero e apprezzarono il fatto che “è meglio

mandare quelli con maggiore difficoltà”. Propor-re o prescrivere è sempre una tematica che sidiscute insieme. La mia assistente ed io parteci-pammo da subito alle riunioni d’équipe e di su-pervisione interna in cui si analizzavano casi cli-nici specifici. Alcune riunioni vennero indetteappositamente per far conoscere anche al perso-nale non direttamente coinvolto il tipo di attivitào per valutare insieme chi tra educatori e psico-logi fosse più indicato per seguire insieme agliutenti i gruppi esperienziali.È interessante a questo punto raccontare di An-tonio. Egli dal suo arrivo al CRA non desidera-va partecipare alle attività chiamate espressive.Sorprendentemente iniziò e frequentò assidua-mente il gruppo di DMT. Lo psicologo mi spiegòche Antonio inizialmente non partecipava alle at-tività espressive perché esse “gli indagano den-

tro”. Praticare la DMTevidentemente era vis-suto come un “portarfuori” in cui apprezzavala dimensione non inva-

siva. Inutile dire quanto di sé portava fuori sia at-traverso il movimento sia attraverso l’espressioneverbale e del volto.In tutti questi anni non è mai successo che simanifestassero crisi durante gli incontri; l’atten-zione e la concentrazione di tutti sono stati nu-trimento per un giardino che portava fuori la“parte sana” di ognuno. Punto fondamentaleassolutamente centrante è che l’attenzione siavolta sempre e comunque sulla danza, espressio-ne di energia vitale, presente in ognuno. Il dmtguarda e si rivolge alla parte sana, in essa si ri-specchia attivandola. Non perde la fiducia nellarisposta dell’utenza. Il dmt, così come il Medico

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PRATICARE LA DMT EVIDENTEMENTE ERA VISSUTOCOME UN “PORTAR FUORI” IN CUI APPREZZAVA LADIMENSIONE NON INVASIVA.

IL DMT IN QUESTO CASOÈ TERRA ACCOGLIENTE E TRASFORMATIVA,ASCOLTA SIA LE PARTI SANE CHE QUELLE MALATEE COME FA LA TERRA NON GIUDICA MA TRASFORMA

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po divengono il centro da cui partire per l’incon-tro con se stessi e con il mondo; ogni azione di-venta “azione significante” in una dimensionespazio-temporale che contiene il dentro dell’emo-zione e il fuori della comunicazione.L’aria che respiriamo è la stessa per tutti. Acquistia-mo leggerezza. Capacità di sorridere. Qualcunodichiara di aver perso peso (“ora peso solo 90 kg!”).Nel periodo della guerra in Iraq, si improvvisa-rono danze di pace. Gesti di preghiera al Cielo,con l’elevarsi di braccia, torsi, sguardi: il cuore siapre al Cielo. Man mano che la qualità internaal movimento si fa più intensa riescono a saltare,a salire più velocemente da terra, ad elaborarestimoli in gruppo. Con l’acquisita fiducia nelladimensione esplorativa osano fare proposte diampio respiro e progettualità: introducono mo-vimenti personali, propongono di leggere le loropoesie, di far video, addirittura uno spettacolo.Entusiasmata mi coinvolgo e danzo con loro ot-tenendo da parte del signore che raccontavasempre i film un confortante commento: “Biso-gna proprio essere matti per fare quello che fai tu!”Le proposte venute daloro vengono accolte erealizzate insieme.Maurizio un giorno ar-rivò con un bigliettostropicciato su cui avevascritto una poesia, mi chiese se per caso fosse pos-sibile danzarla. L’evento era interessante in quan-to era parte della sua patologia la scarsa disponi-bilità a condividere le sue creazioni e soprattuttoera refrattario a fare qualunque cosa su cui altrifondassero aspettative. Quando venni a cono-scenza della sua storia personale provai grandesolidarietà verso le sue motivazioni. La sua parte-

cipazione fu fondamentale e soprattutto sponta-nea. Oltre a testimoniare il suo grande talentopoetico la sua danza contribuì alla realizzazione diuna performance che li vide tutti coinvolti. Spaziodi creatività, ma anche vuoto che porta a riflette-re su ciò che fanno, facciamo.Dopo due anni di lavoro a cadenza settimanalepresso il CRA, percepii una sorta di vuoto inter-no vedendo i cancelli sempre aperti e mi nacqueuna domanda: “dove vanno?”Incontrai qualcuno di loro nel bar di fronte alCRA: al mio saluto ricevetti risposte strascicate,erano ubriachi o forse peggio (visto che la miscelapsicofarmaci/alcolici è piuttosto pericolosa). Allamia domanda “venite a danzare?” ricevevo risposteproprio come nel video di Trudi Schoop(1): “No”,“Si, dopo”, “No vado in sala fumo”. Altre risposteerano costituite da suoni incomprensibili, non de-cifrabili. A volte mi lasciavano come sospesa dopoessermi sentita dire con tono ufficiale: “No, ‘Signo-ra’, oggi i miei numerosi impegni non mi consentonodi partecipare al ‘suo’ gruppo”. Tono e modo incon-sueti: normalmente il tono della comunicazione

era molto amichevole,teso a sottolineare unarelazione empatica enon discriminante: ci sidava del tu e tutti michiamavano per nome.

Fu allora che decisi di proporre loro un “dove van-no” più interessante dal mio punto di vista: li invitaial centro Sarabanda; l’équipe approvava il proget-to. Lo psicologo e l’educatrice furono entusiasti del-la proposta, soprattutto Marco e Maurizio trovaro-no una naturale continuità nel proseguire il lavoroin un luogo lontano ma stimolante. Ero certa cheun ambiente diverso, protetto, accogliente ma so-

ELENA CERRUTO

la possibilità di cambiamento. Si crea un filo dicomplicità che porta tutti ad aprirsi, raccolgocome stimolo anche il più piccolo spiraglio diluce. La possibilità di cambiamento è da inten-dersi in senso esteriore ed interiore. È aperturaall’altro, ai materiali, agli stimoli dati, ai movi-menti base della danza; è apertura alla “partesana” sempre e comunque presente. Nei primi mesi prevale la dimensione imitativaper aprirsi sempre più alla creatività e alla ricer-ca personale. Cambia-re forma è stato subitointeso in relazione al“sentimento interno disé”: se cambio formaposso cambiare. Cam-biare le forme del corpo, consapevolezza dellecarni, della loro forma e possibilità, disegno del-la forma del corpo nello spazio. Danziamo noistessi. Danziamo noi stessi in un contesto di va-lorizzazione della persona e delle sue possibilitàdi cambiamento ma soprattutto della sua creati-vità sempre presente. Danziamo il nostro corpo-cuore, i nostri dolori, le nostre idee, le nostrepoesie “...molto mi aiutò il Dr G. che con la suaterapia della non violenza dava all’ammalato lasensazione di poter essere ancora vivo, o di poteralmeno accedere a quella specie di autenticità delvivere cui di fatto il malato solitamente aspira.”(Merini, 2000).Danziamo anche gli oggetti del quotidiano: ungiorno Maurizio mi accolse davanti alla sala;aveva con sé due sacchetti del supermercato:“Ho fatto spese speciali... Pensando che mai avevocomprato cose normali con la prospettiva che avreidanzato con loro. E così sono speciali.” Fu così cheognuno ebbe diritto alla sua scatola di pelati, al

suo detersivo, ai suoi piatti di carta blu. Anch’iodanzai con loro le cose che avevano un’anima, lecose che non si possono muovere se noi non leaiutiamo, le cose usate e mai amate. Quel giornoprima di arrivare al centro mi ero arrabbiatamolto... Ovviamente mi capitò l’ultimo degli og-getti rimasti: uno splendido ammorbidente.Danziamo sogni e immagini, diamo loro corpoe movimento, diamo corpo all’immaginario.Diamo unità ad un corpo frantumato ma anche

diamo un corpo a di-verse parti di noi in undialogo concreto ecreativo grazie all’usodi materiali o ritrovan-do nella musica parti di

un’orchestra che ricomincia ad accordarsi. (Ter-ra come armonia e integrazione delle parti).La musica per muoversi ha bisogno di noi, perquesto singole parti dialogano con singole parti.La mano è violoncello che interiorizza, i piedifanno percussione dei ricordi non detti, il grup-po-corpo disegna melodie che a volte portano lepersone ad entrare in contatto, anche se Fer-nando si toglie subito quando chiedo di metterciaddosso la musica toccandoci diverse parti delcorpo. Solo una volta toccò la mia mano e ri-mase un attimo. Non ci fu concessa nessuna po-steriore evoluzione, Fernando fu trasferito altro-ve per motivi logistici.Incontrare l’altro oltre al lavoro di rispecchia-mento sottende la capacità di prendere iniziativepersonali. Dimensione che si attribuisce al Movi-mento del Legno e si esprime con movimenti di-namici che tendono ad andare verso l’alto e versol’esterno. Scegliere e non subire. Capacità di por-si e di proporsi. Il comunicare e il sentire del cor-

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DANZIAMO NOI STESSI IN UN CONTESTODI VALORIZZAZIONE DELLA PERSONA E DELLE SUEPOSSIBILITÀ DI CAMBIAMENTO MA SOPRATTUTTODELLA SUA CREATIVITÀ SEMPRE PRESENTE

...IL COMUNICARE E IL SENTIRE DEL CORPODIVENGONO IL CENTRO DA CUI PARTIRE PERL’INCONTRO CON SE STESSI E CON IL MONDO...

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era... è contatto con la mamma. Un’utente an-ziana raccontò che al di là di qualche incontrocoi nipotini da tempo il suo corpo non era accol-to, riconosciuto e tanto meno desiderato. Fu inquesto stesso gruppo che si manifestarono, mesidopo, i racconti degli abusi. Ed ognuno fu ingrado di ascoltare, accogliere, sostenere. Il grup-po perse il pudore per poter danzare il pudore.Nel 2010 l’integrazione è continuata, prossima-mente inseriremo in un nuovo gruppo Leonar-do. L’educatrice che ora lavora in un CSE (Cen-tro Socio Educativo) si è ricordata dell’esperienzadi Marco e Maurizio e presto accompagnerà quiquesto caso definito impossibile perché da un an-no non manifesta nessuna ricettività al cambia-mento. Questa volta l’équipe ha ancora delleperplessità iniziali ma secondo l’educatrice Leo-nardo ha bisogno di Spazio, di muovere il corpoper muovere l’essere.La grande sala lo attende. Vuota. ■

NOTA

1) Komm tanz mit mir coreografiaTrudi Schoop. Produzione: Claudia Wilkefilmproduktion, 1991, Germania. Si ringraziaper gentile concessione Cro.me. Milano.

2) “Mentre il nevrotico parla al massimodi ‘un corpo a pezzi’, perché solitamente leparti del corpo continuano a mantenereil loro significato di parti di una totalità;lo psicotico, nella radicalità della suadissociazione, giunge a quella vera e propriadistruzione dell’immagine corporea, per cuinon gli è più possibile riconoscere la relazionetra le parti e la totalità”, Galimberti U.,Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli, 1979.

ELENA CERRUTO

prattutto creato appositamente per la danza sareb-be stato per gli utenti più avanzati assolutamentestimolante. Organizzai presso la Scuola alcuni “in-contri aperti” all’interno di un setting protetto in cuile altre partecipanti erano allieve del corso di for-mazione. La prima volta arrivarono quattro ospitidel CRT, un po’ in ritardo, accompagnati dall’edu-catrice. Alle pareti della sala erano appesi dei car-toncini colorati su cui erano scritte le “parole ma-dri” trovate con la danzaterapia dai partecipantiai gruppi di DMT. Maurizio il poeta chiese cosafossero: li condussi per gradi a portar fuori la voce,le sillabe, le parole per trovare con il corpo la pa-rola-madre di ognuno. A fine incontro il contattotra noi, con la sala, con i diversi stimoli fece nasce-re una parola-madre comune per tutto il gruppo,che vibrò nel cerchio fi-nale, negli occhi e nelleparole: gioia. La dan-zammo a lungo.La seconda volta a Sa-rabanda li vidi arrivarepuntualissimi, conoscevano ormai la strada enon era più necessaria la presenza di un accom-pagnatore. Bastò il mio invito.La terza volta fu in occasione di una conferenzadi una pittrice seguita da una performance.Non li invitai, mi limitai ad appendere un vo-lantino alla bacheca del CRT. Arrivarono in due: Marco il giardiniere, e Mauri-zio il poeta; non mi aspettavo che di loro iniziati-va scegliessero di venire e partecipare attivamen-te. Il dolce giardiniere chiese all’anziana pittrice:“Quando dipingi porti fuori le tue emozioni? Co-me fai?”, lei gli rispose con saggezza ed intensità.Pochi mesi dopo Marco e Maurizio iniziarono afrequentare il gruppo esperienziale settimanale

di Danza Terapeutica al Centro Sarabanda in-sieme alle cosiddette persone “normalmente ne-vrotiche”. Ero consapevole del rischio dell’acco-stamento in quanto il disagio psichico è sempreaccompagnato da una distorta percezione delproprio corpo, sicuramente più evidente nei dueragazzi del CRT. Ero comunque fiduciosa nelprincipio base della Danzaterapia: integrando lediverse parti dell’essere grazie alla Danza inte-griamo l’altro, anche quando tutto l’essere appa-re frantumato dalla psicosi (Galimberti, 1979)(2).Marco e Maurizio dall’ottobre del 2003 al giu-gno del 2004 frequentarono il gruppo settima-nale con regolarità, senza mai perdere un in-contro e soprattutto totalmente accolti comeparte del gruppo, a cui nemmeno all’inizio fu

detto che avrebbero la-vorato con utenti spe-ciali. La principale no-vità per i “ragazzi delCRA” fu il cerchio dicondivisione verbale al-

la fine dell’incontro, la cui durata poteva essereanche di mezz’ora, mentre al CRA al massimo sidedicavano dieci minuti per una “raccolta di pa-role” finale. Usarono da subito “parole di veri-tà”, Marco e Maurizio sembravano dare stimoliche inducevano tutti a scendere nel profondo perdanzare e poi verbalizzare con semplicità, auten-ticità, senza intellettualismi ed in un certo sensosenza difese. Sin dal primo incontro Marco por-tò fuori una verità che toccò la densità di un cor-po trovato, perduto e ritrovato: “Quando danzomi manca la mamma!” All’interno del suo qua-dro clinico l’espressione era rivelatrice ma gliutenti tutti ripresero le parole riportandole a lorostessi e qualcuno aggiunse: contatto col corpo

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BIBLIOGRAFIA

Bellia V., Danzaterapia nei servizi psichiatrici, Quaderni di psichiatria, 2/97, 1997.

Cerruto E., Metodologia e pratica della Danza Terapeutica. Danzamovimentoterapia tra Oriente e Occidente, Franco Angeli Ed., Milano, 2008.

Galimberti U., Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli, Milano, 1979.

Larre C., Rochat de la Vallée E., Huangdi Neijing LingShu, La psiche nella tradizione cinese, Jaca Book, Milano, 1994.

Merini A., Diario di una diversa, Rizzoli, Milano, 2000.

Rochat de la Vallée E., Symphonie corporelle, E.E.A., Paris, 2008.

A FINE INCONTRO IL CONTATTO TRA NOI,CON LA SALA, CON I DIVERSI STIMOLIFECE NASCERE UNA PAROLA-MADRE COMUNE PERTUTTO IL GRUPPO, CHE VIBRÒ NEL CERCHIO FINALE,NEGLI OCCHI E NELLE PAROLE: GIOIA

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5958 NUMERI ARRETRATI AR-TÉ

Manuale di Arteterapiaa cura di Caroline Case e Tessa Dalleypp. 196, euro 18.00, ed. Cosmopolis, Torino - www.edizionicosmopolis.it

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Traduzione di un “classico” dell’arteterapia di matriceanglosassone, il testo fornisce una descrizione puntua-le ed organica di cosa sia questa pratica terapeutica:nelle sue radici storiche, artistiche e psicoterapeutiche,e nel suo concreto operare in situazioni diverse; ma an-che nella centralità di una formazione professionalespecifica e consapevole.L’intento è quello di offrire indicazioni chiare ed unacomprensione dettagliata di come l’arteterapia sia pra-ticata, in quali situazioni di disagio psicologico possatrovare migliore applicazione e su quale teoria si basi.Le Autrici, entrambe con esperienza sia di pratica chedi insegnamento dell’arteterapia, tracciano un quadrodello sviluppo di questa professione sino al suo statusattuale, anche grazie a testimonianze dirette di artete-rapeuti e di pazienti, analizzando aspetti quali l’in-fluenza del pensiero psicodinamico, il ruolo dell’imma-gine nel processo, il setting di lavoro.Il testo è utile a chi è interessato a tutti gli aspetti del-l’arteterapia e a coloro che intendano intraprendere unpercorso formativo per diventare terapeuti.

Caroline Case vive e lavora come arteterapeuta privata inScozia.Tessa Dalley lavora come arteterapeuta in un centro diconsulto e terapia per bambini e adulti a Londra e cometutor al Goldsmiths’ College, Università di Londra.

numero 00 - giugno 2006■ Arti-terapie e musicoterapia tra impegno sociale e verifica scientifica(R. Caterina) ■ Stati di grazia. Eventi trasformativi in Drammaterapia(S. Pitruzzella) ■ Il Grembo della Creazione. Creazione artistica eautocreazione della mente (R. Porasso) ■ Dieci anni di martedì mattinacon l’arteterapia. Il processo creativo come strumento per contrastare ilburn out (Centro Diurno Riabilitativo Arcipelago - coop. S.A.B.A.) ■ Versola relazione terapeutica nella Danza Movimento Terapia (A. Lagomaggiore)■ L’approccio storico-relazionale in musicoterapia: analisi di un frame (G.Artale, F. Albano, C. Grassilli) ■ Arte e Psichiatria. Conversazione con GilloDorfles (G. Bedoni, L. Perfetti) ■

numero 01 - aprile 2007■ Riparazione del processo primario nella psicoterapia verbale e nonverbale delle psicosi (M. Peciccia, G. Benedetti) ■ Creatività e potere nellospirito siciliano: le storie di Giufà, il Saggio e lo Stolto (S. Pitruzzella) ■ Labellezza che sana, riflessioni sul ruolo dell’estetica in musicoterapia (G.Antoniotti) ■ Un’esperienza di musicoterapia presso l’U.O. di Psichiatria diCremona: la musicoterapia nel trattamento dei disturbi d’ansia,somatoformi e nei quadri misti ansioso-depressivi (L. Gamba, A. Mainardi,R. Poli, E. Agrimi) ■ L’arte di accompagnare: l’osservazione in DanzaMovimento Terapia Integrata (V. Puxeddu) ■ Variazioni del linguaggiosimbolico in un gruppo di musicoterapia (G. Del Puente, G. Manarolo, E. Zanelli, G. Fornaro) ■

numero 02 - dicembre 2007■ Dall’Agire al Pensare: esperienze creative e percorsi psicoterapeutici(R.M. Boccalon) ■ Corpo, Movimento, Linguaggio: specificità della Danza-Movimento Terapia (F. Russillo) ■ Atelier ideale - Atelier reale. Arteterapiain un servizio pubblico: contratto terapeutico, setting e prima accoglienza(M. Levo Rosenberg) ■ Riabilitazione in Danzamovimento Terapia (E.Rovagnati) ■ La forma e lo sguardo: Polisemia dell’immagine in arteterapia. Carlo Zinelli e i mondi visionari (G. Bedoni) ■

numero 03 - aprile 2008■ Da Bowlby a Budda. Un’iniziale esplorazione del significato di‘attaccamento’ e ‘non attaccamento’ e delle loro implicazioni per laDrammaterapia (Gammage) ■ L’albero dei desideri: l’arte terapia con ibambini ricoverati in Ematoncologia pediatrica ed i loro genitori (C.Favara Scacco, G. Baggione) ■ Applicazione della musicoterapia neidisturbi d’ansia (R. Poli, L. Gamba, A. Mainardi, E. Agrimi) ■ Leartiterapie e la scientificità. Esiste un ponte che le unisce? OvveroArteterapia, teatro di esperienze e di mutamenti profondi (W. Cipriani,A. Cossio) ■ Il piccolo seme... conversazioni al confine. Laboratorio diDanza e Arte Terapia dedicato ai bambini in situazione di gravedisabilità psicofisica in una ludoteca comunale (E. Degli Esposti, A.Monteleone, Francesca Stolfi) ■ Il suono dello stress: come percepirela sintomatologia del “Burn Out” ( B. Foti) ■

numero 04 - dicembre 2008■ Il corpo abi(ta)to. L’esperienza di danzamovimentoterapeuta nellasezione femminile della casa Circondariale S. Anna di Modena (C. Lugli,U.S. Benatti) ■ Il disegno speculare progressivo nella cura di un pazientecon sordità secondaria (P. Catanzaro) ■ Il ruolo dell’improvvisazione nelprogresso creativo: laboratorio interattivo di arte e danza movimentoterapia e orientamento psicodinamico (E. Colace, M. Menzani) ■

Artiterapia nelle cure palliative. Un approccio umanistico esistenziale“centrato sulla persona” (M. Daghero) ■ Tra corpo e cultura: ladanzamovimentoterapia come mediazione simbolica. Per una pedagogiae una didattica dell’attività motoria (A.G.A. Naccari) ■ Esserci, Esprimersi,Interagire tra adolescenti attraverso la musica e gli altri linguaggi (F.Prestia) ■ Musica del corpo, musica della mente: un violino nelle mani delmalato di Alzheimer (S. Ragni) ■ Danzamovimentoterapia e minoriabusati: dal danno alla riparazione (M.R. Cirrincione) ■

numero 05 - aprile 2009■ Arti terapie integrate in oncologia (G. Nataloni) ■ ‘Objet Trouve’ and Markmaking in Movement and Art. Una prospettiva Winnicottiana sugli atti discoperta nel movimento e nell’arte visuale (E. Goldhahn) ■ Danza e cantodei neuroni specchio (E. Cerruto, G. Ansaldi) ■ Specularità e identità inmusicoterapia (G. Manarolo) ■ DanzaMovimentoTerapia: Arte delMovimento e poetica del... cambiamento (V. Puxeddu) ■ Il pas de deux inDanzaMovimento Terapia: riflessioni sulle coreografie del rapporto primarioe alcuni risvolti applicativi (E. Rovagnati) ■ Kind of blue (R. Porasso) ■

Setting musicoterapeutico: cornice e palcoscenico (G. Vizzano) ■

numero 06 - dicembre 2009■ Creatività, follia e oggetto artistico; consanguinei o parenti per caso? (M.Levo Rosenberg) ■ Setting / Azione: Trattamenti di Pace (D. Bruna) ■ Laprospettiva delle artiterapie in ambito psicopedagogico (M.R. Cirrincione)■ Cantare in armonie (G. Guiot, C. Meini) ■ Arteterapia con la disabilitàpsicofisica grave. Un approccio centrato sulla persona (M. Daghero) ■

numero 07 - aprile 2010■ Curare a regola d’arte: processi biologici, processi creativi, processiterapeutici (R. Boccalon) ■ Betweenness: il teatro e l’arte della cura (S.Pitruzzella) ■ Musicoterapia in Rosa. Laboratorio di Musicoterapiaindirizzato ad un gruppo di donne (F. Prestia) ■ Tra Arte e Terapia.Riflessioni sull’utilizzo terapeutico dell’autoritratto fotografico (F. Piccini)■ L’ospite inatteso. Incantesimi e trasformazioni nella relazioneterapeutica in un contesto di danzaterapia (M. Tamino) ■ Tra la DanzaTerapeutica al CDD Archimede di Inzago. Il limite come risorsa epossibilità: il caso di Margherita (T. Cristiani) ■ La musicoterapia in unaesperienza di formazione per operatori di una comunità alloggio (A.Alchieri) ■ Il valore della musica: esperienze e riflessioni sull’applicazionedella musicoterapia nella demenza (S. Ragni) ■ Aiutare chi aiuta:musicoterapia e prevenzione del burnout (R. Quinzi, G. D’Erba) ■

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Page 31: art 08 int - musicaterapia.s3-external-3.amazonaws.com Il numero 8 di Arté contiene una articolata testimo-nianza delle diverse terapie espressive (drammaterapia, danzamovimentoterapia,

61a cura di Luca Zoccolan RECENSIONI AR-TÉ60 RECENSIONI AR-TÉ a cura di Luca Zoccolan

L’OLTRE E L’ALTRO. ARTE COME TERAPIA

Niccolò Cattich e Giuseppe Saglio

Priuli & Verlucca, 2010

“L’oltre e l’altro”, pur essendo un libro indi-rizzato al vasto mondo delle terapie espressi-ve, si pone al lettore come un trattato in gra-do di spaziare nel mondo dell’arte offrendospunti di riflessione che toccano le più svaria-te sfere del sapere umano: storia dell’arte, let-teratura, musicologia, neurologia, psicologia,filosofia etc.I pregi di questo scritto sono la gradualità e lalentezza con cui si arriva a parlare e conoscerele terapie espressive come se un nuovo Virgilio ticonducesse tra i gironi o meglio tra gli stadi chehanno visto sorgere l’arteterapia nel mondo.Il Dott. Cattich e il Dott. Saglio, esperti navi-ganti nel campo della psicoanalisi e dell’arte ingenerale, non si limitano solo a presentare imodelli occidentali che vengono utilizzati nel-le artiterapie di oggi ma si addentrano nelsimbolismo che caratterizza ogni cultura uma-na che sappia esprimere e trasmettere la pro-pria storia attraverso l’arte.Il modo in cui viene presentata la metaforadei quattro elementi per la creazione e l’in-novazione di un nuovo spazio terapeuticoevidenzia come, senza tralasciare i modelliarti terapeutici che si collocano in ambito cli-nico e socio assistenziale, si possa anche pren-dere in considerazione una matrice orienta-le, dal momento che la musica e la scienzaaffondano in radici ben più lontane di quelleproposte dal teorema empirico del positivi-smo occidentale. Gli universali in musica, di

cui ci parla il musicologo Nattiez, ci ram-mentano quanto sia determinante nella mu-sica il simbolismo che la inserisce in uno spa-zio ermeneutico ricco di orizzonti di sensoche avvalorano e accentuano la soggettivitàdi chi la fa e l’ascolta.Così diventa importante il pensiero del Dott.Cattich che, alla luce delle conoscenze adle-riane, riprende il concetto di Sé Creativo perdescrivere lo spazio creativo intersoggettivoche si viene a creare tra paziente e terapeutaall’insegna di una totale epoché.In queste parole troviamo tutto il senso e il ri-spetto di uno spazio arte-terapeutico: “atten-zione e rispetto, esperienza ma senza presun-zione né pregiudizio. Si attraversa insieme unterritorio inesplorato, laddove la guida cono-sce posti simili ma solo il viaggiatore può co-noscere i luoghi attraversati, per tracciare in-sieme una carta geografica del mondo internodel paziente, realizzazione ‘concreta’ del lavo-ro creativo svolto insieme.”Il saggio “L’oltre e l’altro” non esplica solo inmodo esauriente i modelli più utilizzati dallearti terapie nel mondo teorico-pratico ma neoffre una lettura diversificata in chiave adle-riana dove la psicologia individuale e quelladinamica si fondono per dare alla luce unnuovo modo di intendere l’arte come terapia.

NOTIZIARIO AR-TÉ 61■ IL CENTRO DI ARTITERAPIE DI LECCO (tel: 0341 350496 / sito: www.artiterapie.it)

Il Centro Artiterapie, del settore formazione della Cooperativa Sociale “La linea dell’arco” di Lecco, finalizzale proprie attività alla diffusione delle Arti Terapie e all’accompagnamento del Professionista delle Arti Terapienel suo percorso professionale. A tale scopo il Centro Artiterapie promuove:■ il Centro di Formazione nelle Artiterapie■ l’Area Professionisti

■ Il Centro di Formazione nelle Artiterapie (mail: [email protected])Il Centro di Formazione nelle Artiterapie di Lecco è un punto di riferimento per coloro che a vario titolo sono in-teressati alle Arti Terapie. Noto a livello nazionale, è luogo di collegamento con le principali associazioni di cate-goria nei settori specifici e di formazione e aggiornamento che vede attivi e coinvolti i maggiori professionisti deicampi delle Arti Terapie. Nel 1994 ha dato avvio a percorsi formativi promuovendo quattro scuole. I settori spe-cifici di cui si occupa sono la Musicoterapia, l’Arteterapia, la Drammaterapia e la Danzamovimentoterapia chenell’ambito formativo consistono in percorsi triennali e quadriennali ai quali si affiancano approfondimenti spe-cifici e seminari tematici e contemplano la realizzazione di tirocini accompagnati da una attività di tutoring.

■ L’Area Professionisti (mail: [email protected])L’Area Professionisti ha come obiettivo principale lo sviluppo qualitativo della professionalità del Professioni-sta, contribuendo in questo modo alla diffusione delle Arti Terapie e al riconoscimento della loro utilità. Ulte-riore scopo dell’Area Professionisti è la costituzione di una rete di professionisti che possano avvalersi dell’ap-partenenza ad una struttura qualificata. Gli ambiti attraverso i quali realizza questo obiettivo sono:- lo sviluppo della qualità professionale attraverso proposte di specializzazione, aggiornamento e supervisione;- la comunicazione tra professionisti attraverso un Forum di discussione;- la facilitazione ad essere individuati dai committenti tramite la visibilità del proprio profilo professionale sul sito.

■ IL CENTRO DI ARTITERAPIE DI LECCOELENCO SEMINARI 2011

■ Gennaio16/2011: Alessandra Auditore, Francesca Pasini “Musica e Musicoterapia prima e dopo la nascita”23/2011: Ivan Sirtori “Comprendere l’esperienza (di sé) per stare in relazione”23/2011: Sergio Rovagnati “La ricostruzione del “legame”. Arte e Mito tra terapia, cura e socialità”

■ Febbraio13/2011: Silvia Cornara “Psicologia e artiterapie”13/2011: Vanda Ghedin “Dottoressa che occhi grandi che ha! È per capirti meglio bambina mia”: un modello

di formazione alla attitudine osservativa nelle artiterapie.13/2011: Fernanda Lombardi “Libri d’arte o quaderni di arte-terapia? Una risorsa in atelier”19-20/2011: Lucia Citterio “Atelier di ricerca danza e paesaggio”

■ Marzo6/2011: Glenda Pagnoncelli “La Drammaterpia e le applicazioni nella formazione”20/2011: Antonio Catalano “I love shopping. Laboratorio di spesa creativa a impatto (e costo) zero”20/2011: Francesca Rossi “Lavoro di rete: esperienze di Musicoterapia nella scuola”

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Page 32: art 08 int - musicaterapia.s3-external-3.amazonaws.com Il numero 8 di Arté contiene una articolata testimo-nianza delle diverse terapie espressive (drammaterapia, danzamovimentoterapia,

63NOTIZIARIO AR-TÉ62- “Musica, memoria e identità: musicoterapia per l’Alzheimer”, Dr.sa Silvia Ragni, 10 aprile 2011.- Workshop di 7 ore : “Touch the Future: Make Music with Babies”, prof.ssa Beth M. Bolton, 16 aprile 2011,

Musica in Culla® con i bimbi da 0 a 2 anni. In collaborazione con l’Associazione SolMIReSo di Pinerolo edil Coordinamento Nazionale Musica in Culla®.

Per informazioni:tel e fax: 011 5682285 / e-mail: [email protected] / sito www.centrobenenzon.it

■ S. STEFANO RIABILITAZIONE■ ALLA RICERCA DELL’IDENTITÀ SONORA. LA MUSICOTERAPIA

9/10 aprile 2011- Auditorium S. Stefano - Via Aprutina, 194 - Porto Potenza Picena (MC)

Il convegno è rivolto a tutte le professioni sanitarie e anche a tirocinanti, specializzandi, studenti, musicote-rapisti, artiterapisti, danzamovimentoterapisti, docenti, insegnanti e a chiunque operi nel campo della relazio-ne, anche al di fuori dell’ambito medico/assistenziale. È stato richiesto l’accreditamento ECM.

Per informazioni:Segreteria CFP (Centro di Formazione Permanente S. Stefano) - Via Rossini, 134 - Porto Potenza Picena (MC)tel.: 0733881085, 0733881748 / fax: 0733686881

■ WORKSHOP SULLA CREATIVITÀ di Vera Roberta Riccobaldi■ CONTAMINAZIONI: CONTAMINARSI CON LA CREAZIONE ARTISTICA, DECONTAMINARSI

CON L’ANALISI TRANSAZIONALE16 aprile 2011- Aula Monteverde - ProgettoArteRoma - Via Antonio Toscani, 33 - Roma

I partecipanti attraverso un percorso creativo in crescendo e con l’ausilio della musica, potranno sperimentarsinell’uso di varie tecniche espressive (dal collage, al calligramma, alla pittura), trasformando l’esperienza di la-boratorio in un’esperienza liberatoria portatrice di benessere.Verranno proposte attività di manipolazione e produzione creativa, di espressività emotiva con la scritturae di creazione collettiva al ritmo della musica attraverso l’utilizzo di tutti i canali sensoriali: visivo, uditivo,cinestesico.

Per informazioni:ProgettoArteRoma - Agoragroup - Via Antonio Toscani, 33 - Roma - tel.: 06 53271886Vera Roberta Riccobaldi - cel.: 338 7933741 / e-mail: [email protected]

■ LA MENTE MUSICALE. NEUROSCIENZE, MUSICA E PROSPETTIVE MUSICOTERAPICHE■ GIORNATA DI STUDIO a cura di Apim / Casa della Musica / Casa Paganini con il Patrocinio della Confiam

28 maggio 2011 - Casa Paganini - Piazza Santa Maria in Passione, 34 - Genova

Segreteria Scientifica:Gerardo Manarolo - cel.: 339 3678572e-mail: [email protected]

26/2011: Danilo Rigamonti “I disturbi di personalità”26-27/2011: Daniela Umiliata “Simboli miti e riti. Da Jung... a Neumann”26/2011: Paola Coghi “Starci Dentro”: limiti e risorse dell’arteterapia nella scuola”27/2011: Marco Belcastro “Identità vocale. L’orecchio: udire o ascoltare?”

■ Aprile16/2011: Maggiani Annalisa “Dmt e Intercultura. Alle radici dell’appartenenza”

■ Maggio7/2011: Danilo Rigamonti “Psicogeriatria”7/2011: Barbara Tocchetti “Verso la psicologia del Sé”7/2011: Massimo Aliverti “Teoria e pratica della Psichiatria transculturale”8/2011: Lorena Colonnello “L’Arteterapia come strumento di informazione e prevenzione in adolescenza”8/2011: Maurizio Disoteo “Antropologia culturale e Artiterapie”8/2011: Marina Gesmundo “L’arte terapia nelle dipendenze e nella relazione d’aiuto”15/2011: Silvia Cornara “La nascita della musica: dall’esplorazione al dialogo sonoro”28-29/2011: Anna Seymour “Esplorando l’espressività e il contenimento”28/2011: Elena Rovagnati “Dmt e disabilità grave: quali danze possibili”29/2011: Marilde Trinchero “La solitudine delle madri”

■ DANZAMOVIMENTOTERAPIA INTEGRATA®■ CORSO INTENSIVO DI PRIMAVERA

IL CORPO DIALOGA: PERCEZIONE, MATERIA, CREAZIONE, FORMA29 aprile/1 maggio 2011 c/o Hotel Villa Carlotta, lago Maggiore, Belgirate (VB)Dr. Johan Dhase (pedagogista e danzaterapeuta con formazione in espressione primitiva)Dr. Vincenzo Puxeddu (medico fisiatra, danzamovimentoterapeuta DMT, presidente APID)e con la partecipazione di:Dr.ssa Laura Panza (psicologa, danzamovimentoterapeuta DMT - APID, MilanoDr.ssa Milena Sarbonara (danzamovimentoterapeuta DMT - APID, Torino

Il seminario è indirizzato a tutti coloro che desiderano fare esperienza o approfondire la conoscenza della Danza-MovimentoTerapia per esigenze professionali o personali. Lo stage è riconosciuto nell’ambito della Scuola di For-mazione in Danzamovimento Terapia Integrata® e accreditato nel programma della formazione permanente.

Per informazioni e iscrizioni:Centro Studi Danza Animazione Arte Terapiatel.: 070 650349 / e-mail: [email protected] / sito www.danzamovimentoterapia.it

■ ISOINSIEME “CENTRO MUSICOTERAPIA BENENZON ITALIA”Cooperativa Sociale Isoinsieme a r.l. - Via Piazzi, 41 - Torino

■ FORMAZIONE E WORKSHOP- Seminario di Danzaterapia: “Ritmo e pulsazione”, Dr. Bellia Vincenzo, 13 marzo 2011.- Seminari di Clinica: “Musicoterapia e psicosi”, Dr. Bellia Vincenzo, 9 aprile 2011;

NOTIZIARIO AR-TÉ

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1) I colleghi interessati a pubblicare articoli ori-ginali sulla presente pubblicazione sono pregatidi inviarne una copia redatta secondo il pro-gramma Word per Windows (tipo RTF) al se-guente indirizzo email: [email protected]) L’accettazione dei lavori è subordinata allarevisione critica del comitato di redazione.3) La comunicazione di accettazione verrà in-viata non appena il comitato di redazione avràespresso parere favorevole alla pubblicazione.4) Il testo degli articoli dovrà essere redatto inlingua italiana e accompagnato dal nome e co-gnome dell’autore (o degli autori) completo diqualifica professionale, ente di appartenenza,recapito postale e telefonico.5) Per la stesura della bibliografia ci si dovrà at-tenere ai seguenti esempi:

a) LIBRO: Cordero G.F., Etologia della co-municazione, Omega edizioni, Torino,1986.

b) ARTICOLO DI RIVISTA: Cima E., Psi-cosi secondarie e psicosi reattive nel ritar-do mentale, Abilitazione e Riabilitazione,II (1), 1993.

c) CAPITOLO DI UN LIBRO: MorettiG., Cannao M., Stati psicotici nell’infan-zia. In M. Groppo, E. Confalonieri (a cu-ra di), L’Autismo in età scolare, MariettiScuola, Casale M. (Al), 1990.

d) ATTI DI CONVEGNI: Neumayr A.,Musica ed humanitas. In A. Willeit (a cu-ra di), Atti del Convegno: Puer, Musica etMedicina, Merano, 1991.

6) Gli articoli pubblicati impegnano esclusi-vamente la responsabilità degli Autori. Laproprietà letteraria spetta all’Editore, chepuò autorizzare la riproduzione parzialeo totale dei lavori pubblicati.

NORME REDAZIONALI1) I colleghi interessati a pubblicare articoli ori-ginali sulla presente pubblicazione sono pregatidi inviarne una copia redatta secondo il pro-gramma Word per Windows (tipo RTF) al se-guente indirizzo email: [email protected]) L’accettazione dei lavori è subordinata allarevisione critica del comitato di redazione.3) La comunicazione di accettazione verrà in-viata non appena il comitato di redazione avràespresso parere favorevole alla pubblicazione.4) Il testo degli articoli dovrà essere redatto inlingua italiana e accompagnato dal nome e co-gnome dell’autore (o degli autori) completo diqualifica professionale, ente di appartenenza,recapito postale e telefonico.5) Per la stesura della bibliografia ci si dovrà at-tenere ai seguenti esempi:

a) LIBRO: Cordero G.F., Etologia della co-municazione, Omega edizioni, Torino,1986.

b) ARTICOLO DI RIVISTA: Cima E., Psi-cosi secondarie e psicosi reattive nel ritar-do mentale, Abilitazione e Riabilitazione,II (1), 1993.

c) CAPITOLO DI UN LIBRO: MorettiG., Cannao M., Stati psicotici nell’infan-zia. In M. Groppo, E. Confalonieri (a cu-ra di), L’Autismo in età scolare, MariettiScuola, Casale M. (Al), 1990.

d) ATTI DI CONVEGNI: Neumayr A.,Musica ed humanitas. In A. Willeit (a cu-ra di), Atti del Convegno: Puer, Musica etMedicina, Merano, 1991.

6) Gli articoli pubblicati impegnano esclusi-vamente la responsabilità degli Autori. Laproprietà letteraria spetta all’Editore, chepuò autorizzare la riproduzione parzialeo totale dei lavori pubblicati.

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