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Tra fonti e ricerca Arresto ed esecuzione di Mussolini nei rapporti della Guardia di finanza Marino Viganò Le vicende dell’arresto e dell’esecuzione di Mussolini sembrano, dopo cinquant’anni, sempre di attualità. Decine di libri, opuscoli, pamphlet polemici, centinaia di articoli e in- chieste hanno raccontato il suo fermo sulla piazza di Dongo il 27 aprile 1945, la detenzio- ne nella caserma della Guardia di finanza di Germasino, il trasporto verso Moltrasio nel- la notte, la riconduzione verso l’alto lago, la “custodia” a Giulino di Mezzegra, la fucila- zione al cancello di villa Belmonte il pomerig- gio del 28 stesso. Sono indagini che riflettono nelle conclu- sioni metodi di ricerca in genere molto di- versi: dalle ricostruzioni più attente dei fat- ti, a interpretazioni stravaganti, soprattutto se di taglio giornalistico e con l’assillo di di- mostrare a tutti i costi la partecipazione di “agenti segreti” a quelle vicende. È una produzione continua, che promette ancora nuove “rivelazioni” o “verità” inedite su episodi che senza dubbio hanno anche aspetti controversi. Pochi titoli sembrano avere però un valore di testimonianza o un interesse per la storiografia. Fra le pub- blicazioni più attendibili vi sono i resoconti di protagonisti diretti: il libro di Pier Bellini delle Stelle, “Pedro”, comandante la 52a brigata Garibaldi, con testi di Urbano Laz- zaro, “Bill”, vicecommissario politico1; il diario dello stesso Lazzaro2; la testimonian- za di Michele Moretti, “Pietro Gatti”, com- missario politico della stessa brigata3; le memorie di Walter Audisio, il “colonnello Valerio”, membro della segreteria del co- mando generale del Corpo volontari della libertà4. Anche le ricostruzioni storiche con un buon apparato di documenti si riducono a cinque o sei, e fra queste la più sobria sembra restare quella di Candiano Falaschi, basata in parte su testimonianze5. Le altre, in gene- re, attribuiscono la fucilazione di Mussolini e di Claretta Petacci all’uno o all’altro dei protagonisti (Walter Audisio, Michele Mo- retti e Aldo Lampredi, anch’egli membro L’autore desidera ringraziare i testimoni che hanno precisato alcuni particolari di quelle vicende e il comando della Scuola allievi della Guardia di finanza, Roma, per aver consentito la riproduzione dei documenti, riportati in appendice in linea di massima secondo l’ordine cronologico degli avvenimenti e corretti solo negli errori di ortografia. 1 Pier Bellini delle Stelle, Urbano Lazzaro, Dongo ultima azione, Milano, Mondadori, 1962. 2 Urbano Lazzaro, Il compagno Bill. Diario dell’uomo che catturò Mussolini, Torino, Sei, 1989. 3 Giusto Perretta, Dongo, 28 aprile 1945. La verità nel racconto di Michele Moretti "Gatti Pietro", Commissario politico della 52° Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" protagonista della esecuzione di Mussolini, Como, Actac, 1990. 4 Walter Audisio, In nome del popolo italiano, Milano, Teti, 1975. 5 Candiano Falaschi, Gli ultimi giorni del fascismo. Come furono giustiziati Mussolini e i gerarchi. Le testimonianze dei protagonisti dell’ultimo atto della Resistenza, Roma, Editori Riuniti, 1973, pp. 73-97, con un’appendice di testimonianze di Emilio Sereni, Renato Scionti, Giovanni Aglietto, Michele Moretti, Mario Ferro. Italia contemporanea”, marzo 1996, n. 202

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Tra fonti e ricerca

Arresto ed esecuzione di Mussolini nei rapporti della Guardia di finanza

Marino Viganò

Le vicende dell’arresto e dell’esecuzione di Mussolini sembrano, dopo cinquant’anni, sempre di attualità. Decine di libri, opuscoli, pamphlet polemici, centinaia di articoli e in­chieste hanno raccontato il suo fermo sulla piazza di Dongo il 27 aprile 1945, la detenzio­ne nella caserma della Guardia di finanza di Germasino, il trasporto verso Moltrasio nel­la notte, la riconduzione verso l’alto lago, la “custodia” a Giulino di Mezzegra, la fucila­zione al cancello di villa Belmonte il pomerig­gio del 28 stesso.

Sono indagini che riflettono nelle conclu­sioni metodi di ricerca in genere molto di­versi: dalle ricostruzioni più attente dei fat­ti, a interpretazioni stravaganti, soprattutto se di taglio giornalistico e con l’assillo di di­mostrare a tutti i costi la partecipazione di “ agenti segreti” a quelle vicende. È una produzione continua, che promette ancora nuove “ rivelazioni” o “verità” inedite su episodi che senza dubbio hanno anche aspetti controversi. Pochi titoli sembrano

avere però un valore di testimonianza o un interesse per la storiografia. Fra le pub­blicazioni più attendibili vi sono i resoconti di protagonisti diretti: il libro di Pier Bellini delle Stelle, “ Pedro” , comandante la 52a brigata Garibaldi, con testi di Urbano Laz­zaro, “ Bill” , vicecommissario politico1; il diario dello stesso Lazzaro2; la testimonian­za di Michele Moretti, “Pietro Gatti” , com­missario politico della stessa brigata3; le memorie di Walter Audisio, il “colonnello Valerio” , membro della segreteria del co­mando generale del Corpo volontari della libertà4.

Anche le ricostruzioni storiche con un buon apparato di documenti si riducono a cinque o sei, e fra queste la più sobria sembra restare quella di Candiano Falaschi, basata in parte su testimonianze5. Le altre, in gene­re, attribuiscono la fucilazione di Mussolini e di Claretta Petacci all’uno o all’altro dei protagonisti (Walter Audisio, Michele Mo­retti e Aldo Lampredi, anch’egli membro

L’autore desidera ringraziare i testimoni che hanno precisato alcuni particolari di quelle vicende e il comando della Scuola allievi della Guardia di finanza, Roma, per aver consentito la riproduzione dei documenti, riportati in appendice in linea di massima secondo l’ordine cronologico degli avvenimenti e corretti solo negli errori di ortografia.1 Pier Bellini delle Stelle, Urbano Lazzaro, Dongo ultima azione, Milano, Mondadori, 1962.2 Urbano Lazzaro, Il compagno Bill. Diario dell’uomo che catturò Mussolini, Torino, Sei, 1989.3 Giusto Perretta, Dongo, 28 aprile 1945. La verità nel racconto di Michele Moretti "Gatti Pietro", Commissario politico della 52° Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" protagonista della esecuzione di Mussolini, Como, Actac, 1990.4 Walter Audisio, In nome del popolo italiano, Milano, Teti, 1975.5 Candiano Falaschi, Gli ultimi giorni del fascismo. Come furono giustiziati Mussolini e i gerarchi. Le testimonianze dei protagonisti dell’ultimo atto della Resistenza, Roma, Editori Riuniti, 1973, pp. 73-97, con un’appendice di testimonianze di Emilio Sereni, Renato Scionti, Giovanni Aglietto, Michele Moretti, Mario Ferro.

Italia contemporanea”, marzo 1996, n. 202

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del comando generale Cvl)6, o ancora — ma in modo non convincente — ad altri perso­naggi chiamati in causa per dare spessore alla tesi della “doppia fucilazione” del capo del fascismo e della sua amante7.

C’è poi una massa di scritti di valore tra­scurabile, per lo più di carattere nostalgico e con conclusioni forzate il cui intento è met­tere in evidenza l’autore più che le vicende ri­costruite. Scritti falsati di solito da tre fattori fra loro connessi: carenza di indagine sulle fonti orali o archivistiche e sull’esatta geogra­fia e cronologia degli avvenimenti; manipola­zione o distorsione delle fonti consultate per dimostrare una tesi prefabbricata; interpola­zione disinvolta di fonti controllate e autenti­che con altre di provenienza dubbia.

È abbastanza significativo che le “rivelazio­ni” più suggestive seguano quasi sempre la scomparsa dei protagonisti: ad esempio, dopo la morte nel 1969 di Alfredo Mordini, “Ric­cardo”, comandante del plotone d’esecuzione di Dongo; di quella di Walter Audisio e Aldo Lampredi nel 1973; di Luigi Longo, coman­dante generale delle brigate “Garibaldi” , nel 1980. Deceduto lo scorso anno Michele Mo­retti, c’è da aspettarsi qualche altra novità: i morti non possono replicare alle “inchieste” ...

Alcuni degli ultimi titoli sono esemplari di questa tendenza, e possono soltanto disorien­tare il lettore che certo non può verificare fat­ti e interpretazioni di quel momento tanto concitato della storia della Resistenza. Un momento, vale ricordarlo, nel quale l’esecu­zione di Mussolini — decretata e sanzionata in piena legalità dalle disposizioni del gover­no luogotenenziale e del Clnai — non è stato che un episodio rispetto a questioni più ur­genti quali organizzare il “governo del popo­lo” dei Cln e preparare in una situazione ec­cezionale il ritorno alla normalità8. Sui “fatti di Dongo” esistono invece fonti di prima ma­no ancora in tutto o in parte inedite, utili a confermare o puntualizzare quanto accadu­to. Un caso esemplare è dato dai rapporti dei sottufficiali della Guardia di finanza che sono stati protagonisti o testimoni diretti del­l’arresto e della detenzione di Mussolini, e cronisti indiretti della sua fucilazione per aver ascoltato i racconti immediati (per lo più in dialetto) dei partigiani del luogo in quelle stesse giornate, prima cioè dell’avvio della saga tuttora inconclusa sulla esecuzione di Mussolini9.

Sono sette le relazioni che trattano di que­sti episodi, redatte fra il 2 maggio e l’8 agosto

6 Cfr. per esempio Franco Bandini, Le ultime 95 ore di Mussolini, Milano, Mondadori, 1968 (ed. orig. Milano, Sugar, 1959); Giulio Guderzo, Missione a Dongo, “Annali di Storia Pavese” 1982/83, n. 8/9; Gianfranco Bianchi, Fernando Mezzetti, Mussolini aprile '45: l’epilogo, Milano, Editoriale Nuova, 1985 (ed. orig. 1979); Fabio Andriola, Appuntamen­to sul lago. L'ultimo piano di Benito Mussolini, Milano, SugarCo, 1990; Franco Giannantoni, "Gianna" e "Neri": vita e morte di due partigiani comunisti. Storia di un "tradimento" tra la fucilazione di Mussolini e l ’oro di Dongo, Milano, Mur­sia, 1992.7 In questo senso, molto carente come impianto e deduzioni è Franco Bandini, Vita e morte segreta di Mussolini, Mi­lano, Mondadori, 1978, mentre “scivola” di nuovo sulla fucilazione di Mussolini la buona e ben documentata ricostru­zione di Alessandro Zanella, L ’ora di Dongo, Milano, Rusconi, 1993.8 Si veda, per tutti, sugli aspetti giuridici dei provvedimenti contro i gerarchi fascisti, Romano Canosa, Le sanzioni con­tro il fascismo, Milano, Mazzotta, 1978, e, per i decreti del Clnai, a partire dal manifesto “Arrendersi o perire!” del 19 aprile 1945 sino al decreto sui poteri giurisdizionali del Clnai del 25 aprile e alla dichiarazione sulla fucilazione di Mus­solini e dei suoi complici del 29 aprile, Gaetano Grassi (a cura di), "Verso il governo del popolo". Atti e documenti del Clnai 1943/1946. Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 309-311, 324-328 e 334-335.9 II ruolo fondamentale della Gdf nei “fatti di Dongo” è stato cosi riassunto: “Meno noto è che il partigiano Urbano Lazzaro, l’uomo che materialmente catturò Mussolini, era un finanziere della Legione di Milano, espatriato l’8 settem­bre e quindi rientrato in Italia per partecipare alla lotta partigiana. [...] La stessa mattina del 27 aprile, il comandante della 52a Brigata, Bellini delle Stelle, non potendo affrontare con i suoi uomini (26 in tutto) l’autocolonna ferma a Mus­so, ritiene di entrare in trattative allo scopo di temporeggiare per preparare una difesa. Infatti, il comandante ‘Pedro’ con un ufficiale tedesco va a parlamentare a Morbegno con il Comando dei patrioti. Quando essi tornano verso le ore

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1945. Segnalate la prima volta nel 1959 da Franco Bandini (che peraltro ne trascriveva una sola, e da una versione che presentava di­scordanze rispetto aH’originale)10, hanno le caratteristiche dei rapporti di servizio delle forze armate con compiti d’istituto quali ap­punto i carabinieri e la Guardia di finanza: stile burocratico, sforzo di precisione e so­brietà e indicazione di più fonti sulla dinami­ca dei fatti riportati.

Gli autori di questi rappòrti — qui propo­sti secondo l’ordine cronologico dei fatti — sono il maresciallo capo Francesco Di Paola, della brigata di Dongo, il tenente colonnello Luciano Bosisio (per Urbano Lazzaro, già brigadiere della Gdf), il brigadiere Antonio Scappin, della brigata di Gera Lario, il briga­diere Antonio Spadea, comandante la briga­ta di Germasino, il maresciallo capo France­sco Nanci, della stessa brigata, il brigadiere Giorgio Buffelli, della brigata di Dongo. Quattro i momenti sui quali contribuiscono a dare una testimonianza più attendibile: a) le circostanze dell’arresto del dittatore; b) la detenzione a Germasino; c) la comunicazione a Milano dell’accaduto; d) le decisioni prese al momento sulla sua sorte.

La casualità del fermo di Mussolini sulla piazza di Dongo nel pomeriggio del 27 aprile è confermata da tutti i rapporti. Come atte­stano anche le guardie di finanza, essa avvie­ne nel corso dell’ispezione eseguita da loro, da alcuni patrioti e da cittadini del luogo a una colonna della Luftwaffe in ripiegamento alla quale a Menaggio, quel mattino, si era­no accodati i fascisti. La colonna, bloccata

fra Musso e Dongo in località “Puncett” , ot­tiene il “via libera” solo a patto di abbando­nare quegli italiani. Ricordava alcuni anni fa uno dei protagonisti dell’arresto di Mussoli­ni, il partigiano ed ex finanziere Urbano Lazzaro:

A Dongo, ho chiamato una decina di garibaldini ed ho spiegato cosa dovessero fare. Mentre la co­lonna scendeva, ho avvisato gli uomini al ponte della Vallorba pronti con le micce a far volare le mine: “ G uardate sempre me, in piazza a Dongo: se do l’ordine, fate saltare” . Ho istruito, dunque, una decina di garibaldini su ciò che dovessero fare, e cioè il controllo dei documenti militari dei tede­schi che si trovavano sui camion. A rrivato Fall- meyer, si è posto in testa, quasi alla fine della piaz­za in direzione Gravedona ma sempre sul lato via Regina: poi, ad uno ad uno, sono scesi i camion. Sono salito sul primo. Ad un certo momento, mi sento chiam are, scendo ed è un garibaldino: lo manda “Pedro” per avvisarmi che gli è stato rife­rito che c’è M ussolini nella colonna. Rispondo: “Va bene” , ridendo naturalm ente, perché non ci credo. R im onto sul camion, compio la mia ispe­zione e poi salgo sul secondo. Dopo alcuni minuti, risuona una sparatoria sul “Puncett” ed io, in alto sul camion, guardo i miei con la mitraglia sul molo e sul balcone e quelli al ponte della Vallorba. Ho visto, comunque, che Fallmeyer e i suoi ufficiali sulla macchina davanti non si muovevano, i tede­schi sui camion non si muovevano, sempre con il M auser in spalla, e ho respirato. La sparatoria sul “P uncett” è durata una decina di minuti. A Dongo abbiam o ripreso il controllo dei camion. Dopo un po’, viene Giuseppe Negri, uno dei dieci incaricati dell’ispezione e della verifica dei docu­menti dei tedeschi: è tutto agitato, e io gli doman­do cosa abbia. Negri mi dice: “A ghe chi el cra-

13, tutti i preparativi per la difesa erano stati condotti a termine; era stato minato il ponte di Vallorba con esplosivo reperito dal brig. Buffelli e si era costituito un gruppo di un centinaio di armati (uomini e armi, come abbiamo visto, provenienti da Menaggio). Viene concesso alla colonna di passare, previa perquisizione per fermare gli italiani eventual­mente a bordo. Sulla piazza di Dongo, durante la visita dell’autocolonna sono individuati prima il Ministro Romano, che indossava un cappotto grigioverde, e quindi Mussolini. Sono poi catturati altri gerarchi. Mussolini e Porta vengono scortati presso la brigata di Germasino, ove rimangono sotto la sorveglianza del mar.c. Nanci e del brig. Buffelli. In tale occasione quest’ultimo si fa rilasciare da Mussolini una dichiarazione scritta sulla sua cattura e sul trattamento usato­gli” . Cfr. Giuliano Oliva, La guardia di finanza nella guerra di Liberazione, Roma, Scuola allievi della Guardia di Fi­nanza, 1986, p. 263.10 F. Bandini, Le ultime 95 ore, cit., pp. 165-186.

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pun\”. Gli rispondo: “M a va, che stai sognando: sei stanco, vai a dormire...” “M a no, no, te lo giu­ro: è proprio lui, l’ho visto io!” . Gli dico: “ Se l’hai visto, dimmi un po’ dove l’hai visto” “ G uarda, è su un camion qui vicino, vestito da tedesco. ‘Bill’, ti giuro che è proprio Mussolini, l’ho riconosciuto subito” “Raccontami” . Negri mi dice: “ Sono sali­to su un camion, ho esaminato tutti i documenti e il resto. Dabbasso al camion c’era il maresciallo della Finanza Francesco Di Paola che mi ha rac­com andato di osservare bene tu tti. Passati tu tti quanti in rivista, ho visto che ce n’era uno seduto vicino alla cabina, con il bavero rialzato e un muc­chio di coperte, una delle quali gli copriva in parte una spalla. Sono andato a chiedergli i documenti, ma gli altri tedeschi sul camion mi hanno detto: ‘Quello cam erata ubriaco, cam erata ubriaco’. N on ho dato loro retta, mi sono avvicinato, gli ho abbassato il bavero e, visto di profilo, l’ho rico­nosciuto subito: ‘Bill’, è lui, è Mussolini! D ato che i tedeschi erano armati, ho fatto finta di niente e sono sceso. Il maresciallo Di Paola mi ha chiesto cosa c’era, ma io non gli ho risposto e sono venuto a cercarti” “ Beh, andiam o a vedere” . Effettiva­mente, vedo sul quarto camion della colonna una sagoma accasciata a terra verso la cabina, con vicino un mucchio di coperte e indosso un pa­strano tedesco. Allora, mi avvicino all’uomo alle spalle, da terra del camion, e attraverso la sponda gli batto sulla schiena e lo chiamo: “camerata!” . Non un movimento, niente. Ribatto sulla schiena: “Eccellenza!” , niente. Un poco innervosito, batto di nuovo sulla schiena: “Cavalier Benito Mussoli­ni!” . La figura ha avuto come una scossa elettrica, e mi sono convinto che fosse lui. Sono salito im­mediatamente sul camion, gli ho tolto l’elmetto te­desco e gli occhiali scuri: era M ussolini".

Il secondo episodio è il trasferimento di Mus­solini e dell’ex commissario federale di Co­mo, Paolo Porta, alla caserma della Gdf di Germasino, sopra Dongo. Le complicate ipotesi sui motivi di questo trasferimento — interventi del Cvl di Milano, dei “servizi se­greti” alleati, di cellule fasciste già infiltrate a Germasino — non trovano riscontro nei 11

rapporti della Gdf. Il brigadiere Giorgio Buf- felli scrive già nel suo rapporto che l’idea era venuta a lui come semplice misura di sicurez­za. In quella caserma, Buffelli e il maresciallo Francesco Nanci raccolgono dalla viva voce di Mussolini una specie di “confessione” su alcune sue scelte degli ultimi mesi e sui motivi del ripiegamento su Como e Menaggio nelle giornate precedenti. Ancora nel 1989 Buffelli ribadiva:

Come recita anche un rapporto: “Oggi, venerdì 27 aprile nella piazza di D ongo...” , il 27 aprile io ero al comando della brigata della Guardia di Finanza di Dongo. Ricordo che era un venerdì, perché la dichiarazione rilasciatami da Mussolini a Germa­sino era proprio in quei termini. Abbiamo fermato la colonna al “Puncett” e, in seguito, siamo scesi a Dongo con la colonna, che si è fermata in piazza per l’ispezione. Chi in un modo, chi in un altro è salito sugli automezzi, poi un calzolaio, certo G iu­seppe Negri, ha visto M ussolini, è sceso dal ca­mion, ha incontrato U rbano Lazzaro, “ Bill” , e gli ha riferito: “Guarda che sul camion c’è M usso­lini!” . Dunque, quel Giuseppe Negri ha ricono­sciuto M ussolini, poi “ Bill” è salito sul camion, ha detto a Mussolini: “Scenda” e Mussolini è sce­so. Poi l’hanno condotto nel municipio di Dongo. Attraverso l’ispezione si voleva controllare se i te­deschi avessero armi. M a escludo che si sapesse che c’era Mussolini nella colonna. Io ero proprio vicino alla scena dell’arresto di Mussolini, ma il vero e proprio pro tagonista dell’arresto è stato U rbano Lazzaro, “ Bill” , com missario politico del “Puecher” : lui ha preso in consegna Mussolini e l’ha condotto in municipio. Si sono fermati un po’ di tempo in municipio. Dopo un po’, “Pedro” è uscito e mi ha detto: “G uardi che la gente conti­nua ad entrare e a ingiuriare, non si può lavora­re!” . Io, allora, ho consigliato: “ Dai retta a me, porta via Mussolini da D ongo” “ Dove?” “ Beh, io lo porterei a G erm asino” . Io conoscevo bene quella caserma: era isolata, facile da difendere. Io stesso ho consigliato quella soluzione a “Pe­dro” . Mi è venuta in mente Germasino perché ave­va alle spalle la montagna ed era facile da difende­

11 Testimonianza resa all’autore di Urbano Lazzaro (nato a Quinto Vicentino il 27 ottobre 1924), San Germano Ver­cellese, 15 settembre 1988.

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re. Avrei potuto consigliare di portare Mussolini a Gera o Gravedona, ma per difenderlo bene c’era Germasino. Tenuto conto della topografia e tenuto conto che tutti erano sulla strada Regina, quello era il posto ideale. Nella peggiore delle ipotesi, con un paio d ’ore di buon cammino si sarebbe arrivati in Svizzera (tanto per dire). Noi abbiamo messo Mus­solini a Germasino solo per permettergli di riposa­re, perché anche lui era frastornato; e poi, c’era gen­te che entrava e usciva dal municipio, c’erano epite­ti che volavano con facilità. Il trasferimento sarà avvenuto sicuramente alle ore 18 o 18,30. Se a Co­mo si sapesse già qualcosa a quell’ora, magari per telefono? I telefoni non funzionavano. Io penso che notizie ne abbia comunicate il Cln, subito. A Dongo c’era la ferriera Falck e può darsi che là avessero un telefono interno. Mussolini è stato ac­compagnato a Germasino con una scorta. Una pic­cola scorta c’era. Sulla prima auto c’eravamo l’au­tista, Porta, Mussolini, Pier Bellini delle Stelle ed io. Poi, può darsi che ci sia stata un’auto di scorta, con un certo “Ettore” , Luigi Corbetta. Quando è stato trattato da noi a quel modo, Mussolini si è rassere­nato, magari pensando: “Beh, sono in mano a trup­pe regolari” . Inoltre, Mussolini ha constatato la buona predisposizione di “Pedro” e “Bill” . A Ger­masino c’era il maresciallo Spadea, che comandava la brigata. Io sono salito a Germasino con “Pedro” soltanto per aiutare a far la guardia a Mussolini, ed è ciò che ho fatto. A Mussolini abbiamo anche dato da mangiare ciò che ha chiesto, con quanto si tro­vava: capirà, aver procurato un caffè lassù... Mus­solini ha mangiato un po’ di verdura, una minestri­na e ha bevuto un caffè che gli abbiamo preparato. Altri finanzieri di guardia non ne ricordo, anche se sicuramente ci sarà stato qualche finanziere. Ma, più che altro, c’erano diversi garibaldini, perché di fatto il potere lo detenevano loro in quanto par­tigiani. In quel momento, era naturale scambiarsi

qualche parola mangiando. Mussolini mi ha do­mandato: “ Secondo te, cosa mi faranno?” “La giu­dicheranno” “Per che cosa?” “Pensi lei di che cosa” “M a prima di giudicare me, giudicheranno il re” . Era giusto anche quello, perché quando uno si deve difendere, si difende. Quell’epilogo non rallegrava certamente Mussolini, ma anzi lo angustiava, lo preoccupava: ma, ovviamente, ciò è naturale. Mus­solini parlava più che altro con Paolo Porta. Io ho cenato con Mussolini e Porta, e Mussolini parlotta­va più con Porta. Comunque, delle sue vicende non si è parlato molto. E stato prelevato verso le ore 1,30 o le 2 meno un quarto del 28 aprile, da Pier Bellini delle Stelle. “Pedro” l’ha portato a Germa­sino e sempre “Pedro” lo ha portato via da là12.

Più tardi Erminio Dell’Era, “ Pierin” , gari­baldino della 52a brigata “Clerici” , rivendi­cherà il merito di aver suggerito al brigadiere Buffelli, a Germasino, di far compilare a Mussolini una dichiarazione sul luogo preci­so dell’avvenuto arresto e sul trattamento ri­cevuto dai patrioti e partigiani di Dongo du­rante e dopo la cattura13.

Il terzo particolare è la comunicazione del­l’accaduto al comando generale del Cvl a Mi­lano. Il comandante la legione di Milano del­la Gdf, colonnello Alfredo Malgeri, ha scrit­to: “La prima notizia della cattura di Musso­lini mi perviene a Milano nel tardo pomerig­gio del 27 aprile, mentre sono a conferire con il neocommissario per la provincia, ingegner Riccardo Lombardi. E una notizia imprecisa, vaga, comunicatami da un finanziere, venuto appositamente non so da dove. Ne do comu­nicazione anche al Comando generale del Cvl, dove più tardi sono invitato a presentar-

12 Testimonianza resa all’autore di Giorgio Buffelli (nato a Chaunsiers ITI gennaio 1913), Bergamo, 10 maggio 1989.13 “Dichiaro che mentre ero di guardia, a Mussolini e al Federale Porta, con diversi altri compagni, nella caserma di Finanza di Germasino, la sera stessa in un comunicato radio, sentimmo: ‘Mussolini è stato fermato sul Lago di Como, pare in località di Nesso’. Al ché mi rivolsi al Brigadiere Buffelli e gli dissi: ‘Non senti cosa dicono? Non sarebbe meglio far fare una dichiarazione che è stato fermato da noi?’. Lui rispose: ‘Giusto’ e andò nella stanzetta attigua a prendere un pezzo di carta; lo porse a Mussolini invitandolo a dichiarare ciò che effettivamente era accaduto. Mussolini prese la penna e scrisse ‘Sono stato fermato oggi dalla 52esima Brigata Garibaldi a Dongo. Il trattamento usatomi prima e dopo l’arresto è stato corretto’. Dichiaro inoltre che all’una di notte circa, quando Pedro arrivò con gli altri quattro gerarchi fascisti, invitai Buffelli a consegnare il documento scritto da Mussolini a Pedro stesso. Ciò che effettivamente avvenne” . Cfr. Giusto Perretta (a cura di), La 52a Brigala Garibaldi “Luigi Clerici" attraverso i documenti, Como, Istituto comasco per la storia del Movimento di liberazione, 1991, p. 566.

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mi” 14. A questo riguardo Bandini ha precisa­to: “A noi personalmente ‘Pedro’ ha dichia­rato che, essendo il telefono di Dongo o gua­sto o interrotto, pensò bene di inviare ‘qual­cuno’ sulla sponda opposta del lago per tele­fonare da Lenno. Pare di ricordare, a ‘Pedro’, che appunto ci si dovette servire di una barca, e che l’incaricato fu uno dei marescialli o bri­gadieri della Guardia di Finanza” , e ancora:

Potevano essere circa le 18, o al massimo le 18,30, quando il colonnello Alfredo Malgeri, che si tro­vava a colloquio con il neo-prefetto di M ilano, Riccardo Lombardi, vide aprirsi la porta della sa­letta prefettizia, ed entrare un graduato della Fi­nanza. Non ricorda se fosse un suo diretto dipen­dente o un finanziere di qualche comando di Cir­colo periferico: oggi, a tan ta distanza di tempo, ha l’impressione, il vago ricordo, che si trattasse più di un finanziere esterno che di uno della città. Presume cioè che il messaggio recatogli fosse arri­vato più facilmente per strada ordinaria che per te­lefono. “Signor colonnello” riferì il giovanotto “la Guardia di Finanza ha catturato Mussolini” . Im­mediatamente il prefetto Lombardi si alzò col vol­to improvvisamente illuminato, e strinse calorosa­mente la mano al colonnello Malgeri: “Bene, bene, molto bene. In questi giorni la vostra Guardia, co­lonnello, si sta coprendo di gloria” 15.

Secondo il brigadiere Vincenzo Dell’Acqua, nome di battaglia “Caterina” , responsabile dell’“ufficio falsi” della Gdf nel periodo clan­destino, collaboratore del comando generale del Cvl, medaglia d’argento della Resistenza,

“la notizia della cattura di Mussolini è giunta a Milano direttamente nel momento in cui Mussolini è stato arrestato: è giunta al co­mando della Guardia di Finanza perché Mussolini fu condotto in una caserma della Guardia di Finanza” .

Aggiunge Dell’Acqua che l’informazione dev’essere stata comunicata “subito dopo la cattura” dai “comandi locali” , forse dal “bri­gadiere che comandava quel reparto” , ma che “il comando generale del Cvl ne era già al corrente, tramite partigiani conosciuti o sconosciuti come tali” 16. Dunque, un mes­saggio pervenuto quasi in contemporanea da fonti diverse a diversi comandi, uno mili­tare, la Guardia di finanza, l’altro politico­militare, il comando generale del Cvl.

Di sicuro, una conferma arriva dalle suc­cessive telefonate intercorse circa alle ore 19-20, fra il Clnai a Milano e il brigadiere Antonio Scappin a Gera Lario “per mezzo della linea diretta della Società elettrica Co- macina” : proprio in quell’occasione Scappin dà “i primi particolari sull’arresto di Musso­lini e sui principali fatti dei quali ero stato te­stimone diretto e indiretto” . E riceve istruzio­ni quantomeno sorprendenti: di “ ’vigilare Mussolini senza fargli del male, anzi di usar­gli un trattamento buono’, e testualmente: ‘piuttosto che fargli del male lasciarlo anda­re’” . Notizie più precise arriveranno a Mila­no alle 21,5017 e alle 23,2018, portate da due fonogrammi del tenente colonnello della

14 Alfredo Malgeri, L ’occupazione di Milano e la liberazione, Milano, Comune di Milano, 19832, p. 142.15 F. Bandini, Le ultime 95 ore, cit., pp. 200-201 e 205-206.16 Testimonianza resa all’autore di Vincenzo Dell’Acqua (Matera, 15 agosto 1912 — Milano, 10 gennaio 1991), Milano, 7 giugno 1989.17 “N. 11.319 = Il Comandante Comitato Liberazione Menaggio Ten. Col. p.a. Villani Luigi comunica che Mussolini, Pavolini e Farinacci sotto buona scorta sono partiti per essere tradotti carceri Milano. Inoltre comunica che è stato ar­restato il Comandante della Legione ‘Muti’. I primi sono stati arrestati a Dongo e il Colombo a Cadenabbia”. Cfr. “Fo­nogramma 12.496 dal Comando gruppo Guardia di Finanza Como al Comando legione Guardia di Finanza Milano, li 27 aprile 1945 — ore 21,50. F.to Capitano Lazzeri” , in Archivio della Scuola allievi della Guardia di Finanza, Roma (d’ora innanzi: Asgdf), Documento n. 276.18 “Il Comandante Ten. Col. Villani Luigi seguito precedente fonogramma rettifica: Di presenza ho constatato che il Duce e il suo segretario particolare si trovano nella caserma Guardia di Finanza di Germasino. Il Commissario Federale Como — Porta — Medaglia d’Oro Barracu — Casalinuovo, ufficiale d’ordinanza addetto al Duce, Bombacci Nicola, Pavolini, Utimerg, Vice Comandante Blinda, fermati dalla 52a Brigata Garibaldi” . Cfr. “Fonogramma 12.497 dal Co-

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Gdf Luigi Villani, allora residente a Menag- gio, che asserirà tra l’altro — ma risulta non vero — di essere salito a Germasino19. In quelle ore, e le istruzioni date a Scappin ne sono conferma, sono già in azione nel­l’ambito del comando generale del Cvl le op­poste volontà di chi vuole Mussolini vivo a tutti i costi, e di chi, con altrettanta determi­nazione, lo vuol morto.

E il quarto “momento” illustrato — secon­do chi scrive in modo attendibile — da docu­menti e testimonianze della Gdf, cioè il nodo della fucilazione di Mussolini. Il colonnello Malgeri nelle sue memorie ne dà una versione

in parte edulcorata, fatto comprensibile dato che escono nel 1947 con tutti i protagonisti vi­venti e appena rivelata l’identità del “colon­nello Valerio” , Walter Audisio, indicato come l’esecutore20. Il colloquio fra Audisio e Malge­ri, avvenuto la sera del 27 aprile alla sede del Cvl in presenza di Fermo Solari, rappresen­tante del Partito d’azione, avrebbe avuto se­condo Bandini questo tenore:

“ C olonnello” esordì “ stiam o per affidarvi una missione dopo la quale potrete chiedere ed avere qualsiasi ricom pensa o prom ozione vorrete. Si tra tta di una missione di grande delicatezza, per la quale noi riteniamo siate particolarmente adat-

mitato Liberazione Menaggio al Comando legione Guardia di Finanza Milano, li 27 aprile 1945 — ore 23,20. F.to Ten. Col. Villani” , in Asgdf, Documento n. 277.19 E questo viene difatti contestato duramente dal brigadiere Buffelli: “Villani sarà stato a Germasino in spirito! Io non ho visto Villani! Di fronte a certi fatti, bisognerebbe usare il condizionale in tutto. Io, comunque, sarei disposto a giu­rare che Villani non c’era a Germasino: a meno che vi fosse in spirito. Ma forse, Villani intendeva dire di presenza come ‘con la mia azione, anche se a Menaggio, attraverso gli uomini a Germasino’. Certo, la cosa è piuttosto astrusa quando afferma la sua presenza a Germasino: stava forse vaneggiando?”: testimonianza all’autore di Giorgio Buffelli, cit.20 “ Mi attende il colonnello Valerio, il quale, in presenza di Somma (ing. Fermo Solari), mi prega di scortare Mussolini fino a Milano, avvertendomi che ogni provvedimento sarebbe giustificato per impedire eventuali tentativi di fuga. È un incarico di estrema delicatezza. Sono molto stanco, rispondo senza impegnarmi. Non ho una precisa conoscenza della situazione, che mi riservo di chiarire. Mi avvio verso il comando di Legione, dove cerco di prendere subito collegamento telefonico con Menaggio, ma non vi riesco e d’altra parte il Comando del Circolo di Como non mi sa dare notizie ap­prossimativamente esatte. Intanto, le chiamate al telefono da parte di Valerio per me si susseguono. Gli faccio compren­dere che non ritengo di poter portare a compimento la missione. Alle ore 21,30, con fonogramma n. 11319, il coman­dante del Circolo di Como mi avverte, erroneamente, in seguito a spiegabile errata segnalazione del tenente colonnello Luigi Villani da Menaggio, che ‘Mussolini, Pavolini e Farinacci, sotto buona scorta sono partiti per essere tradotti alle carceri di Milano’. Ne informo Valerio, il quale mi chiede precisazioni al riguardo e insiste nella sua precedente richie­sta. Gli rispondo che non ho la possibilità di aderire. Alle ore 23,20 mi perviene altro fonogramma, questa volta diret­tamente dal tenente colonnello Villani, così concepito: ‘Di persona ho constatato che il duce e il segretario particolare si trovano nella caserma Guardia di Finanza di Germasino. Il commissario federale di Como, Porta, medaglia d’oro Bar- racu, Casalinuovo, ufficiale d’ordinanza del duce, Bombacci Nicola, Pavolini, Utimpergher, vicecomandante Blinda fer­mati 52a Brigata Garibaldi’. Ne informo anche questa volta, a mezzo telefono, Valerio, il quale mi dice che s’interesserà lui personalmente della faccenda per evitare che Mussolini possa fuggire” . Cfr. A. Malgeri, L ’occupazione di Milano, cit., pp. 142-143, versione ribadita nel corso dell’istrattoria del processo “dell’oro di Dongo”, celebrato poi a Padova nel 1957: “Ero a Milano. Il pomeriggio del 27 aprile mi trovavo in prefettura nell’ufficio del commissario, quando arrivò un finanziere della zona di Como il quale comunicò che era stato fermato Mussolini. Erroneamente egli precisò che al fermo avevano proceduto le guardie di Finanza. Lo riferii subito al Lombardi, commissario, e demmo subito comuni­cazione al Cvl, non ricordo a chi personalmente, per telefono. Non ricordo se telefonai io o il Lombardi. Ritornato in caserma, la sera stessa fui invitato al Comando Cvl dove fui ricevuto dal col. Valerio e dall’ing. Solari. Parlò sempre Valerio, approvato dal Solari. Egli mi disse: ‘Il Cvl le affida un incarico delicatissimo: quello di prelevare Mussolini e di accompagnarlo a Milano’ ed aggiunse che in nessun caso Mussolini doveva cadere in mano di altri. Io non sapevo dove si trovasse, chi lo avesse catturato: niente. Mi riservai: tornato in caserma telefonai a Como, a Menaggio ecc.: nes­suna notizia. Finalmente alle ore 23.20 dal maggiore Villani mi pervenne un fonogramma che mi annunciava che Mus­solini era stato fermato dalla 53a [rede 52a] brigata Garibaldi e si trovava nella caserma di Germasino. Comunicai a Valerio la notizia dicendogli che non avevo autorità di eseguire l’incarico, dato il fermo da parte della 53“ [recte 52“] brigata: Valerio mi rispose ‘va bene, non fa niente, provvederò io’”. Cfr. Verbale d’interrogatorio n. 340 (301): Malgeri Alfredo, in Atti della Corte d’Assiste di Padova (Archivio del Tribunale di Padova).

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to. Dovete recarvi a prendere in consegna M usso­lini, con i mezzi che riterrete opportuni, per tra ­sportarlo a Milano. Naturalmente (pausa), natu­ralmente, voi sapete meglio di me come possono term inare queste cose. Normalmente gli arrestati tentano di fuggire, ed è logico che lo facciano. Ne viene di conseguenza che questi incarichi fini­scono con il risolversi nella m orte di coloro che tentano la fuga: le dichiaro qui che il Com ando Generale non vedrebbe nulla di male in una solu­zione del genere alla sua missione, tanto più che, come lei sa, c’è anche il pericolo che M ussolini possa cadere vivo nelle mani degli Alleati. Quindi, come le ripeto, una soluzione del genere non sa­rebbe sgradita al Comando. Anzi (pausa), noi tutti gliene saremmo molto grati”21.

Si trattava insomma di “ far fuori” Mussolini senza esitazione, inscenando un tentativo di fuga durante il trasporto a Milano. Di questo colloquio, Walter Audisio nelle sue memorie non fa cenno. Fermo Solari, chiamato in cau­sa da Malgeri, negherà di avervi assistito e tenderà inoltre in buona fede ad attenuare il senso e la gravità della richiesta di “Valerio” allo stesso Malgeri, comandante la legione della Gdf di Milano:

Al Com ando Generale del Cvl la notizia della cattura di Mussolini da parte di una brigata gari­baldina e con l’intervento anche di una brigata della G uardia di F inanza, è pervenuta la sera del 27 aprile, ma l’informazione era ancora molto sommaria, e tuttavia fin da quel momento sono state prese iniziative per dare esecuzione alle deci­sioni del Clnai. [...] Franco Bandini alle pagg. 206-207-214 del suo libro “ Le ultime 95 ore di Mussolini” , riferisce di un colloquio tra Audisio (col. Valerio — solo in quei giorni da noi cono­sciuto perché addetto al Com ando clandestino delle formazioni Garibaldi) ed il col. Malgeri — comandante la Legione della Guardia di Finanza di Milano. Di tale colloquio ho avuto altre volte notizia, ma debbo invece deplorare il modo come il colloquio viene riferito, giacché l’autore sembra voler insinuare che per uccidere Mussolini si do­

vesse simulare un tentativo di fuga. Soltanto per am ore della verità voglio inoltre precisare che, contrariam ente a quanto asserisce lo scrittore Bandini a pagina 206 del suo libro, non ho assisti­to al colloquio sopra menzionato: con il col. M al­geri avevo avuto dei contatti da parecchi mesi, e di tale dichiarata mia presenza in quel colloquio non so se lo sbaglio sia di Malgeri o di Bandini, fatto si è che non potrei non ricordarmene data l’importanza dell’argomento trattato , e dato an­che che essendo io nel Cvl gerarchicamente supe­riore ad Audisio, non sarebbe stata comprensibile la mia presenza senza una diretta partecipazione al colloquio stesso22.

Solari smentisce dunque la sua presenza al colloquio. Questo non basta però a dimostra­re che quella drammatica richiesta di preleva­re Mussolini e ucciderlo nel tragitto verso Milano non sia stata rivolta da “Valerio” a Malgeri. Fattagli per telefono, nella confusio­ne il colonnello Malgeri può aver sovrappo­sto momenti diversi dello stesso episodio. Che viene confermato ed esce anzi in tutta la sua crudezza da una testimonianza dell’al- lora brigadiere Dell’Acqua, incaricato ap­punto della sommaria soppressione di Mus­solini:

Ero presente al Comando generale del Cvl quando si è saputo della cattura di Mussolini. Mi fu anche richiesto dal colonnello Malgeri di andare a pren­dere Mussolini e portarlo a Milano, su disposizio­ne del cosiddetto “colonnello Valerio” . D isposi­zione alla quale io, sensatamente, mi opposi, per­ché la G uard ia di F inanza non aveva niente a che fare con dei partiti politici o altri enti, né pote­va andare a prendere un uomo così importante e, durante il tragitto verso Milano, far finta di niente e sopprimerlo! [...] La richiesta è partita da “Vale­rio” per il colonnello Malgeri. Il colonnello M al­geri ebbe l’incarico di espletare, tram ite persone di fiducia, tale compito. Il colonnello Malgeri ef­fettuò ricerche e io e un altro ufficiale, l’allora te­nente G iorgio Ognibene, posti davanti alla do­m anda se fossimo disposti a compiere un’azione

21 F. Bandini, Le ultime 95 ore, cit., p. 207.22 Lettera di Fermo Solari a Renzo De Felice, Udine, 7 febbraio 1972, in Archivio privato Renzo De Felice.

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simile, ci rifiutam m o apertam ente, afferm ando che noi avevamo le mani pulite e non intendevamo sporcarcele di sangue. Alla nostra risposta, anche il colonnello Malgeri accettò la situazione e disse: “ A nch’io sono dello stesso parere” , dopodiché proprio io scesi assieme al colonnello M algeri dal telefonista della Guardia di Finanza e telefonai a Walter Audisio, il quale aveva promesso a Mal­geri che con tale servizio si sarebbe salvato da que­sto e da quello... Io stesso ho detto per telefono a Audisio: “ Il colonnello Malgeri è a posto, non ha bisogno di salvarsi da niente: se vuoi andare a prendere Mussolini, vacci tu!” . Io conoscevo già Walter Audisio. Difatti, così avvenne e la m attina dopo si seppe che Mussolini era stato ammazzato e portato a Milano, con il seguito sconcio di piaz­zale Loreto. [...] L’invito di “Valerio” di andare a prendere Mussolini mi è stato rivolto verso le 2 di notte fra il 27 e il 28 aprile. Sono stato trasportato da casa in caserma. Sono venuti una ventina di uo­mini a prelevarmi con un camioncino apposita­mente per quella missione. Il colonnello Malgeri ha detto di aver ricevuto una telefonata da un cer­to “colonnello Valerio” (allora Walter Audisio si chiamava “ Valerio” ), il quale gli aveva spiegato che quello era il m om ento per po ter salvare la sua stessa persona e la Guardia di Finanza andan­do a prendere il duce, facendo finta di niente e, du­rante il tragitto verso M ilano, farlo fuori. [...] Il “colonnello Valerio” non si è presentato di perso­na al comando, ha solo telefonato. Dopodiché, il “colonnello Valerio” è stato richiamato per telefo­no dal colonnello Malgeri, il quale gli ha comuni­cato come non fosse possibile mandare alcuno. Il “ colonnello V alerio” ha replicato che allora avrebbe provveduto lui personalmente. Ho parla­to io di persona con Walter Audisio (alias “colon­nello Valerio” ), e gli ho comunicato che noi non

avevamo proprio nulla da che salvarci, che aveva­mo compiuto il nostro dovere per tutto ciò che po­tevamo fare e che, quindi, se avesse voluto persi­stere nel suo intento, si arrangiasse da sé23.

Queste testimonianze sembrano confermare altri particolari: Walter Audisio “Valerio” sin dal primo pomeriggio del 27 aprile sareb­be l’uomo del comando generale del Cvl inca­ricato di procedere all’esecuzione di Mussoli­ni; la scelta non sarebbe quindi caduta su di lui a caso, nella notte, al momento di far par­tire la spedizione dei giustizieri; anche “Vale­rio” avverte la necessità che il dittatore non arrivi vivo a Milano nelle mani degli alleati, ma l’incarico della fucilazione gli ripugna al punto da tentare di servirsi di un’altra forma­zione per portarlo a termine. Cadrebbe in ogni caso la tesi della “doppia fucilazione” di Mussolini con una “spedizione parallela” costretta a fucilare il dittatore diverse ore pri­ma di “Valerio”, addirittura il mattino del 28 (si è arrivati persino a fantasticare della par­tecipazione di Luigi Longo e Sandro Pertini a questa presunta spedizione): “Valerio” sape­va di non doverlo solo “prelevare” . E si può capire anche la sua esitazione davanti a Mus­solini e alla Petacci, il pomeriggio del 28 apri­le 1945, al cancello di villa Belmonte di Gril­lino di Mezzegra: “Valerio” è un funzionario di partito disciplinato ma tutt’altro che “san­guinario” . Un’esitazione che ha lasciato nella storiografia interrogativi ancora sospesi do­po mezzo secolo24.

Marino Viganò

23 Testimonianza resa all’autore di Vincenzo Dell’Acqua, cit.24 L’autore dell’articolo ha ricevuto di recente una lettera da un alto funzionario della Questura di Como, inviato da Parri a nome del Cln sul luogo subito dopo gli avvenimenti per svolgere un’indagine sulla loro reale dinamica. Ne ri­portiamo il testo senza la firma, per esplicita richiesta del mittente. “Egregio dottor Viganò, leggo negli ultimi giorni su giornali italiani recensioni, commenti e critiche a un libro-intervista di Renzo De Felice e su sue ipotesi circa la presunta responsabilità degli inglesi nella decisione di far fucilare Mussolini. Al corrente delle Sue ricerche e della Sua collabo- razione con l’Istituto storico della Resistenza di Como nel tentativo di fare chiarezza in merito e per far cessare le dicerie di ogni genere che in particolare in questi anni sono state date in pasto ai giornali come ‘verità’, vorrei precisarLe quan­to segue. Per alcuni mesi ho avuto occasione di occuparmi della vicenda. Sono arrivato infatti a Como il 29 aprile 1945 con il preciso incarico di svolgere inchieste sui fatti accaduti nel Comasco nei giorni precedenti. Esecuzione di Mussolini. Ho svolto le indagini appena arrivato a Como, dopo aver preso contatto con il comando Alleato che si era stabilito in città. Secondo i risultati di quelle indagini, la fucilazione di Mussolini era avvenuta davanti al cancello di villa Belmonte

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122 Marino Viganò

Documento n. 1

Relazione del Maresciallo capo della Regia Guardia di Finanza di Paola Francesco 828 VO/50 apparte­nente alla Brigata di Dongo sui fatti dell’8 settem­bre 1943 e 26 aprile 1945 e giorni successivi25.

[...] nel pomeriggio dello stesso giorno 26 il Briga­diere Buffelli che si trovava al comando provviso­rio della Brigata di Dongo durante l’assenza del sottoscritto, mi fece sapere che si doveva allonta­nare da Dongo per ragioni di servizio per conto della 52a Brigata Garibaldi e quindi era necessaria la mia presenza in caserma. Senza indugio mi por­tai presso il comando della Brigata e per telefono presi contatto col com andante della Brigata di Germasino che a sua volta era in contatto con ele­menti partigiani. Per tutto il pomeriggio oltre che col comandante della Brigata di Germasino tenni continuamente il collegamento col comando della Brigata di Gravedona comunicando loro quanto avveniva a Dongo. M entre il com andante della Brigata di Germasino cercava di raccogliere tutti i patrioti della zona, io gli comunicavo ogni movi­mento della Brigata nera di Dongo, notizie che mi venivano fomite dalla signorina del Centralino te­lefonico di Dongo che dista pochi metri dall’ex ca­serma della Brigata nera allo scopo di attaccare la Brigata nera al momento opportuno. Verso le ore 17,30 circa, sempre del giorno 26, mi fu comunica­

to da Germasino che per la sera non era possibile fare alcuna azione perché la forza disponibile era di pochi uomini male armati e che era opportuno fare i preparativi la notte e nelle prime ore del gior­no successivo dare l’assalto alla brigata nera. Poco dopo però venni informato che i componenti della suddetta Brigata nera avevano deciso la fuga, co­me infatti avvenne con una barca, dirigendosi ver­so Menaggio. Perciò ne diedi comunicazione al co­mandante della Brigata di Germasino pregando di far scendere a Dongo quei pochi uomini disponibi­li per occupare il paese. Intanto i patrioti del posto e la popolazione tutta erano in pieno fermento pre­sentandosi in caserma a chiedere armi ai quali fu­rono distribuite le poche armi che si trovavano in caserma. Verso le ore 18,30 del giorno 26 il dottor Rubini Presidente provvisorio del Com itato N a­zionale di Liberazione [ite] di Dongo a mezzo tele­fono, mi invitò presso il comune per collaborare col com itato stesso. Portatom i subito al Palazzo comunale, presi subito contatto col predetto comi­tato che come primo atto più urgente fu stabilito il ripristino del comando della Stazione dei RrCc per la custodia dei dirigenti il fascio rep. e altre persone fasciste di Dongo. Mentre mi trovavo presso il co­mitato venne il comandante della 52a Brigata G a­ribaldi al quale mi presentai mettendomi a sua di­sposizione. Il predetto comandante mi incaricò di eseguire servizio d’ordine pubblico in paese in com pagnia di elementi patrio ti. La notte passò tranquilla. Il mattino successivo, verso le ore 7,30

in località Giulino di Mezzegra il pomeriggio del 28 aprile, verso le ore 16.00, senza l’intervento né diretto, né indiretto degli Alleati — tantomeno degli inglesi. Tre persone — Walter Audisio ‘Valerio’, Aldo Lampredi ‘Guido’ e Michele Moretti ‘Pietro’ — erano in quel momento sul posto per l’esecuzione di Mussolini, ma non della Petacci. L’indagine ha permesso di stabilire che materialmente Mussolini è stato ucciso nella concitazione di passarsi il mitra fra Moretti e Audisio, impacciato nell’uso di un fucile mitragliatore che non conosceva. I colpi mortali che avevano ucciso Musso­lini — secondo quanto mi risultava — provenivano da Michele Moretti. È comunque da escludere in modo assoluto che vi sia stata la presenza degli inglesi o che gli inglesi abbiano effettuata la fucilazione di Mussolini. In zona, in quei mo­menti, non vi erano assolutamente informatori, agenti o militari delle forze alleate. In più ho parlato subito di persona con Michele Moretti di questa vicenda e lui non ha escluso di esser stato lui a uccidere Mussolini, anzi, per me lo ha affermato, a meno che non si sia trattato di una questione di interpretazione quando mi ha detto: ‘Mi l’ho mazaa!’, alla presenza di uno dei suoi, il vicequestore Fernando Cappuccio. Può anche darsi abbia detto: ‘A l ’emm mazaaP. Sfuma­ture dialettali... E anche vero che il questore di Como, Luigi Davide Grassi, non ha affatto incoraggiato queste indagini: a lui come ai vicequestori, Fernando Cappuccio ‘Fiore’ e Cosimo Maria De Angelis, come al prefetto di Como, Virginio Bertinelli, quest’indagine non interessava per niente. Anzi, il questore mi diceva sempre: ‘Lascia stare. Questa faccenda non ci riguarda, è una cosa fra di loro, una questione tra i partiti. A noi cosa interessa se Mussolini l’ha ucciso l’uno piuttosto che l’altro?’. Ma naturalmente tanto il prefetto come il questore sapevano benissimo che non erano stati né gli inglesi, né gli americani. Per ragioni che potrà facilmente comprendere, non mi è possibile firmare questa lettera. Ma La prego di credere che quanto Le scrivo corrisponde a quanto ho di persona visto, ascoltato o verificato attraverso le mie indagini” : Lettera all’autore, s.L, 12 settembre 1995, in Archivio autore.25 Asgdf, Documento n. 269, s.d.

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circa, si ebbe notizia che era giunta a Musso, paese a qualche km. da Dongo, una colonna tedesca composta di 30 autocarri, una autoblinda ed alcu­ne macchine di lusso. Il comandante della 52a Bri­gata Garibaldi detto “Pedro” subito informato si portò con alcuni patrioti presso la predetta colon­na e preso contatto col comandante della colonna stessa per parlamentare. Il Pedro fece presente al com andante tedesco che sarebbe stato inutile il tentativo di passare perché la zona era compieta- mente occupata da patrioti. Il com andante tede­sco fece presente al comandante Pedro che voleva parlamentare con il comando superiore dei patrio­ti. Difatti con una macchina tedesca l’ufficiale con alcuni suoi uomini ed il comandante della 52a Bri­gata G aribaldi ed alcuni aiutanti si portarono a Chiavenna per parlam entare col comando supe­riore dei patrioti. In tan to tu tti gli arm ati, come pure la popolazione borghese, andavano al lavoro per barricare la strada e minare il ponte della vai Orba. Verso le ore 12 i lavori erano quasi ultimati e si poteva dire ormai che la colonna tedesca non poteva più passare senza prim a aver com battuto duramente. Alle ore 13 circa fecero ritorno i parla­mentari e il comandante Pedro ci comunicò che il comando di Chiavenna aveva deciso di lasciar pas­sare i tedeschi arm ati senza fare uso delle armi; nessun italiano però doveva passare con la colon­na stessa e per cui noi dovevamo visitare tutte le macchine per tale scopo. Per cui fu deciso di far proseguire la colonna fino a Dongo dove ebbe luo­go la visita a tutti gli automezzi. Io iniziai la visita per mio conto senza mai stancarmi di raccoman­dare ai patrioti che mi erano vicino di eseguire le visite minuziosamente, guardando bene fra le vali­gie e cassette di cui erano cariche le macchine. N o­nostante però le raccomandazioni ognuno agiva per proprio conto e non si vide altro che una gran­de confusione specialmente quando furono trovati i primi italiani vestiti da tedeschi (come il ministro Romano, Coppola ecc.). Tutti gli armati e borghe­si scendevano a salivano sui camion ma senza ri­sultati positivi appunto perché le visite venivano fatte superficialmente. Visto tale confusione ini­ziai per mio conto un servizio di osservazione per studiare le mosse dei tedeschi che occupavano gli autocarri. Giunto presso un autocarro già visi­tato parecchie volte notai che l’atteggiamento dei militari tedeschi che vi erano a bordo era sospetto fino al punto di farmi pensare con certezza che su

quel automezzo si trovava qualche gerarca nasco­sto. Allora subito ordinai al partigiano Negri Giu­seppe da Dongo di salire su quell’autocarro ed ese­guire una minuziosa perquisizione indicandogli anche di guardare bene sotto i materiali che si tro­vavano dietro il posto di guida perché vi era qual­che cosa che assomigliava alla figura di un uomo. Il Negri obbedì e salito sul camion iniziava la per­quisizione mentre io sorvegliavo sempre le mosse dei soldati tedeschi. Q uando il Negri si avvicinò al punto dove io precedentemente gli avevo indica­to ed alzate le coperte, mi accorsi che i militari sud­detti dichiararono qualche cosa al Negri, ma non mi fu possibile capire le vere parole che poi seppi che gli avevano dichiarato che ivi era un loro ca­merata ubriaco. Il Negri non si convinse delle di­chiarazioni dei militari tedeschi e alzata la coperta vide Mussolini. Fingeva di nulla e continuava la perquisizione fino a guardare bene tutto il camion. Term inata la perquisizione scese ed io subito gli chiesi il risultato della visita da me ordinata, ma il Negri era talmente confuso fino al punto di ri­spondermi balbettando qualche parola e precisa- mente “c’è su il bello” . Intanto io ancora insisten­temente gli chiedevo che cosa aveva visto, insieme ci portammo verso la piazza. In quel momento ap­pariva Bill — Lazzaro U rbano — ex G uardia di Finanza, al quale il Negri si fece incontro gridan­do “ Bill su quel camion c’è Mussolini” . Io, Bill e alcuni uom ini ci precipitam m o verso il camion. Bill salì sull’automezzo e scorto Mussolini lo invi­tò a scendere. Mussolini lo seguì e si portò verso la parte posteriore del camion per scendere. I soldati tedeschi rimasero fermi al loro posto, mentre Mussolini li guardava e quasi con lo sguardo li in­vitava a reagire, come poi si è saputo che Musso­lini era convinto che alla sua scoperta i militari te­deschi dovevano fare uso delle armi. Mussolini fu accompagnato presso il comando della 52a Briga­ta Garibaldi che si trovava in un locale del M uni­cipio di Dongo. Dopo Mussolini furono catturati tutti gli altri ministri al suo seguito e accompagna­ti pure al Comando della 52a Brigata. Solo Musso­lini e il federale Porta furono accompagnati presso la nostra caserma di Germ asino alla sera stessa verso le ore 18,30 mentre gli altri ministri furono lasciati tutta la notte presso il municipio di Dongo ove io prestai servizio di guardia tutta la notte. Il giorno successivo e seguenti, sempre a disposizio­ne della 52a Brigata Garibaldi prestai la mia opera

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124 Marino Viganò

per la sistemazione del Presidio di Dongo collabo- rando sempre con il Cnl [sic] di Dongo. La presen­te dichiarazione viene docum entata dagli uniti giornali Popolo Comasco del 5/7 e 8/8/1945.

Il maresciallo capo di Paola Francesco

Documento n. 2

Relazione sull’attività svolta dal Capitano del Cvl Lazzaro Urbano (Bill) durante il periodo clande­stino ed insurrezionale26.

[...] Il 26 Aprile, pur mancando assolutamente di notizie dai suoi Comandi, occupa con Pedro ed al­tri sei garibaldini Domaso, ordinando poi ai fasci­sti e ai tedeschi della zona che va da Dongo a Du- bino [jj'c], dove riesce con l’aiuto di Pedro, a disar­mare i tedeschi che avevano resistito tutto il gior­no agli “ultim atum ” dei partigiani della zona. Il 27 Aprile dopo l’intimazione di fermarsi, si reca con Pedro dal Comandante della colonna tedesca che si trovava appena prima di Dongo, e poi, men­tre Pedro si recava col C om andante tedesco a Chiavenna per conferire col Comandante della Ia Divisione “ Spluga” , Bill, preso il Comando della zona, organizzava prontamente per la difesa; mina il ponte che trovavasi poco prim a di Dongo; di­spone vari nuclei di uomini armati di mitraglia e mitragliatori requisiti il 26 ai fascisti ed ai tedeschi, poco sopra la rotabile, e raccoglie gli uomini della zona, preparandoli per un eventuale attacco alle forze tedesche che disponevano di circa 300 uomi­ni armati di mortai, di autoblinde, di mitraglieri e di moltissime munizioni; fa allontanare dal paese i bambini, le donne ed i vecchi, così quando il Co­m andante tedesco rito rna, vedono [ììc ] un così perfetto apparato di forze, cede e chiede solo il transito per i soldati tedeschi, mentre prima voleva a tutti i costi passare con tutta la colonna al com­pleto. La prontezza con cui è stata svolta tu tta questa manovra è una chiara documentazione del­l’abilità tattica e strategica dell’audacia del Bill e se egli non avesse dim ostrato la sua prontezza

26 Asgdf, Documento n. 216, Como, 3 agosto 1945.

nel capire la gravità della situazione e non avesse agito così opportunam ente, la colonna tedesca avrebbe attaccato, senza fallo, com’era suo inten­dimento, dato l’esiguo e sparuto numero di uomi­ni che le stavano contro. A Bill si deve la pacifica soluzione dei fatti accaduti a Dongo. Nell’indi­menticabile 27 aprile, concluso l’accordo con il co­m andante della colonna tedesca, Pedro va a M us­so ad arrestare i vari membri del governo fascista che si erano rifugiati in casa del Parroco e Bill scende in Piazza a Dongo per eseguire il controllo sui camion della colonna. D opo vari minuti arre­sta Claretta, Marcello Petacci e l’amante di que­s t’ultim o, che volevano proseguire m ediante la presentazione di documenti falsi, in cui era dichia­rato Marcello Petacci era il console Spagnolo in Milano e la sua amante era la moglie. Bill li fa tra­durre in Municipio sotto strettissima sorveglianza. Proseguendo nel controllo viene informato da un suo garibaldino che M ussolini si trova in un ca­m ion poco distante da quello che sta visitando. Bill segue il suo informatore che dopo avergli indi­cato il camion dove trovavasi Mussolini, si appar­ta per paura che i tedeschi abbiano a far fuoco al­l’atto della cattura. Da notare che i tedeschi, come ebbe a confermare in seguito Mussolini avevano l’ordine di aprire il fuoco in caso che l’ex duce fos­se stato scoperto. Bill invece non si cura del perico­lo, e, dopo aver inutilmente interpellato l’indivi­duo, sale sul camion e mentre la folla attornia il camion, scopre il capo di Mussolini e riconosciu­tolo lo disarm a e lo arresta traducendolo poi in una saletta del Municipio. [...].

F .to Luciano Bosisio.Menaggio, li 31 agosto 1945.

PccIl capitano comandante

Salvatore Cervone

Documento n. 3

Relazione sull’attività svolta dal brigadiere tenen­te Scappin Antonio 59743/28 in seno al movimento

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Arresto ed esecuzione di Mussolini 125

patriottico che ha portato alla liberazione dell’Al­ta Italia27.

[...] La notte tra il 26 e il 27 lavorammo per siste­marci a difesa temendo la reazione dei fascisti di Como e di Lecco, e il Comandante impartiva l’or­dine al distaccam ento M ogni, dislocato sopra Dongo, di en trare in azione per occupare il se­guente paese. Quando i Garibaldini entrarono in Dongo lo trovarono sgombro dappertutto dai fa­scisti i quali saputo che Gravedona era caduto me­diante barche la stessa sera del 26, si erano allon­tanati. La m attina del 27 arrivò nei pressi Musso (a un km. circa da Dongo) un’auto colonna tede­sca che subito segnalata ferm ata nell’am bito di Musso. Poiché le forze patriottiche non erano in num ero sufficiente per accettare eventualmente battaglia, fu deciso fra i capi della 52a di entrare in trattative allo scopo di guadagnar tempo per trasportare in quella zona tutti i rinforzi possibili. In tanto provvide a minare il ponte sulla provin­ciale alle porte di Dongo detto della “Vallorba” durante le trattative il Capo della Colonna Tede­sca chiese di parlare col C om andante in Capo dei Partigiani e fu accompagnato al Comando di D ivisione in Chiavenna. Dove ottenne libero il passaggio a condizioni di abbandonare tu tti gli italiani eventualmente a bordo e di lasciar visitare gli automezzi uno per uno. È così che la colonna arrivò in piazza a Dongo, mentre un ’autoblinda facente parte della colonna rimase a Musso dove venne successivamente attaccata e immobilizzata e nella quale vennero arrestati Pavolini, Porta , Barracu ed altri. Durante la visita dell’autocolon­na un garibaldino, Negri, per ordine del marescial­lo del Corpo Di Paola, il quale unitamente al ma­resciallo Nanci e al brigadiere Buffelli, si era messo a disposizione della 52a, sali in camion e credente] di scorgere Mussolini tra i soldati germanici. Sce­se, corse a chiamare uno dei capi e trovò il v. Com­missario Bill, al secolo Lazzaro Urbano, già finan­ziere della Compagnia di Chiavenna, fuggito nel settembre 1944 per unirsi ai partigiani, confidò il dubbio. Bill salito sullo autocarro, tolse il cappot­to tedesco che copriva il supposto Mussolini e ac­certatosi trattarsi veramente dell’ex Duce lo invitò a scendere dichiarandolo prigioniero della 52a Bri­gata Garibaldina. Mussolini, che teneva tra le gi­

27 Asgdf, Documento n. 275, Gera Lario, 2 maggio 1945.

nocchia un m itra e vestiva la divisa della milizia con cinturone e pistola, scese senza dir parola e fu accompagnato nella sede del Municipio di D on­go. Nella sala del Consiglio municipale, poco do­po la cattura, io vidi il signor Mussolini e mi parve molto abbattuto. Dal Comandante della 52a seppi poi che il brigadiere Buffelli Giorgio ebbe l’incari­co di accompagnare l’ex Duce nella nostra caser­ma di Germasino dove fu custodito fino a notte inoltrata, quando per mezzo di u n ’autom obile venne accompagnato in località Giulino di Mezze- gra in quel di Azzano (Como). Scendendo da Ger­masino, nel passare per D ongo, a M ussolini fu unita la Petacci, la quale riconosciuta in macchina convogliata nella stessa colonna tedesca ed arre­stata, unitamente al fratello Marcello, chiese di es­sere vicina all’amico. Testimone oculare mi confi­dò che nelle prime ore del 28 Mussolini e la Petacci furono prelevati dalla baita posta in frazione G iu­lino di Mezzegra, fatti scendere il pendio fino alla strada carrozzabile, fatti salire in automobile e ac­com pagnati per qualche centinaio di metri. D a­vanti al recinto di una villa furono fatti scendere e disposti con le spalle rivolte al cancello di ferro, fucilati entrambi al petto. A Dongo, dopo la cattu­ra di Mussolini, arrivavano man mano i gerarchi del seguito cattu rati nell’autoblinda di Musso e nelle macchine incolonnate coi tedeschi e giunti con essi a Dongo. Porta federale di Como, Pavoli­ni ex Comandante delle brigate nere, Barracu e al­tri. L’indomani in piazza a Dongo furono tutti fu­cilati. Term inata la visita all’autocolonna, dopo l’arresto dell’ex Duce, questa prosegui verso sera ed io ricevei l’ordine di lasciarla passare. [...] Dopo aver consegnato tutto il materiale a incaricati del Comando Settore di M orbegno, i tedeschi, sotto scorta arm ata dei garibaldini, furono accom pa­gnati fino a Chiavenna secondo le condizioni di re­sa pattuite. Di ritorno da Morbegno fui avvisato che il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Ita­lia di Milano aveva telefonato a Gera, per mezzo della linea diretta della Società elettrica Comaci- na, chiedendo di me. O ttenuto il collegamento mi chiesero la situazione della forza, mi diedero notizie sulla Valtellina dove i fascisti resistevano e m’impartivano l’ordine di ostacolare la colonna tedesca segnalata da Como verso Sondrio. Risposi che detta colonna si era già arresa, che tu tta la

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sponda settentrionale dell’alto lago era sotto no­stro controllo e assicuravo d ’informare il Settore di M orbegno circa le notizie sulla Valtellina. Con successiva comunicazione diedi i primi parti­colari sull’arresto di Mussolini e sui principali fatti dei quali ero stato testim one diretto e indiretto. [...]

F.to Brigadiere t. Antonio Scappin

Visto, i fatti sopra esposti corrispondono a verità Zona operazioni, li 15 maggio 1945

Il Commissario Politico II Comandantedella 52a Brigata

(Lazzaro Urbano Bill) F.to Pier Luigi Bellinidelle Stelle “Pedro”

vistop. il comando della piazza di Como F.to T.Colonnello Luciano Bosisio

Documento n. 4

Relazione del brigadiere Scappin28.

[...] Nelle prime ore del 27, ad opera del distacca­mento garibaldino “Mogni” , veniva occupato an­che Dongo da dove la sera del 26, mediante bar­che, i componenti la Brigata Nera che lo presidia­vano, si erano allontanati. Il 27 mattina a Musso, un certo capitano Barbieri dà l’alt ad una nume­rosa colonna di automezzi tedeschi in testa ai quali risalta una grossa autoblinda italiana. Ai te­deschi, sospettosi e guardinghi, Barbieri spiega l’impossibilità di lasciarli passare. Il comandante della colonna chiede di parlam entare col capo dei patrioti e Barbieri m anda a chiamare Pedro che nel frattempo, avvertito dalle staffette dell’ar­rivo della autocolonna mette in allarmi tutti i re­parti da lui dipendenti e manda a me l’ordine di spedire rinforzi più numerosi che è possibile. La­sciato in luogo le sole forze indispensabili per ga­rantire l’ordine e presidio del Ponte del Passo sul

M era invio quanti uomini mi rimangono, com ­presi i membri della popolazione civile ai quali di­stribuisco le armi ca ttu ra te ai tedeschi. Pedro, raggiunto Musso, s’incontra col comandante te­desco e lo accompagna a Chiavenna presso il Co­mando della Divisione Garibaldina per le tra tta­tive. Qui, tra questi viene stabilito che i germanici possono transitare abbandonando però tutti gli italiani che eventualmente avessero a bordo. D o­po un po’ di riluttanza il tedesco accetta le condi­zioni. A M usso ecco l’au tocolonna m ettersi in m oto, dopo una breve e vivace discussione con gli occupanti l’autoblinda italiana i quali, messi al corrente dai tedeschi delle condizioni pattuite coi patrio ti, non intendono piegarsi al rispetto dei patti e restare a Musso in mano dei partigiani. M entre l’autocolonna raggiunge Dongo e si fer­ma in piazza per subire la visita degli automezzi, una breve e furiosa battaglia si accende tra i par­tigiani e l’autoblinda, che poco dopo si arrende e sulla quale vengono arrestati Barracu, P orta , Bombacci, Romano e altri. Pavolini invece, sceso di soppiatto , fu scoperto m entre tentava di na­scondersi tra le rocce della scogliera e, rincorso, venne arrestato ferito all’occhio sinistro da una fucilata sparatagli da un volontario. In piazza a Dongo una discreta folla circonda gli autoveicoli fermi: Garibaldini, Guardie di Finanza, qualche carabiniere in congedo, volontari della resistenza, volontari dell’ultima ora fan ressa intorno all’au­tocolonna. Sguardi guardinghi e preoccupati dei tedeschi che dall’alto degli autocarri osservano meno baldanzosi e sicuri di un tempo malgrado siano ancora arm ati fino ai denti con armi m o­dernissime e di ogni tipo. Viene iniziata la visita piuttosto sommaria giacché si trattava di fermare solo le persone. Di tanto in tanto qualcuno veni­va “ scovato” e avviato verso il M unicipio di Dongo. La visita era ormai term inata quando il maresciallo capo della G uard ia di Finanza Di Paola Francesco, messosi a disposizione della 52a Brigata G aribaldi, ordinava al garibaldino Negri Giuseppe, ex sotto capo di marina, di salire su di un camion. Il garibaldino obiettò che tale veicolo già era stato visitato, ma il sottufficiale in­sistè col dire che “ non si è mai guardato abba­stanza bene quando si è guardato bene” . Il Negri salì sul camion e scorse, immediatamente dietro

28 Asgdf, Documento n. 273, s.d.

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alla cabina di guida, un individuo in gran parte occultato con una coperta tedesca. Chiesto ai sol­dati tedeschi chi era, questi risposero: “Camerata tedesco ubriaco” , facendo contemporaneamente il gesto con la mano di chi porta il bicchiere verso la bocca. M a il garibaldino non si accontentò del­la spiegazione e tirò un lembo della coperta sco­prendo la testa del signor Mussolini che riconob­be. Vinto dalla sorpresa e dall’emozione il Negri am m utolì, scese e si mise alla ricerca di un co­mandante. Trovato Bill confidò la scoperta. Men­tre la notizia si diffondeva rapidamente fra i pre­senti, Bill, salito sul camion e tolta completamen­te la coperta, invitava il signor Mussolini a scen­dere dichiarandolo prigioniero della 52a Brigata Garibaldi. Presente era anche il maresciallo della G uardia di F inanza Nanci Francesco, sceso da Germasino per offrire la sua opera ai volontari. Mussolini, che vestiva la divisa della Milizia fasci­sta sotto un pastrano militare tedesco e che era armato di mitra, una pistola automatica “Glisen- ti” infilata nel cinturone e della pistola d’ordinan­za degli ufficiali, scese senza un m otto saettando sguardi sm arriti tu t t’in torno dove orm ai si era ammassata una folla numerosa che inveiva e im­precava all’indirizzo dell’ex duce. Bill rassicurò Mussolini che nessuno gli avrebbe torto un capel­lo finché fosse rim asto prigioniero della 52a, al che l’ex duce parve sollevato e rassicurato. La sa­la al piano rialzato , lato sinistro entrando, del municipio di Dongo fu la prima tappa di Musso­lini prigioniero e fu in questa sala che io incontrai l’ex capo della ormai tram ontata repubblica di Salò, presenti il sindaco di Dongo, il partigiano C orbetta e il signor M allone di G era Lario. In un angolo della sala, scamiciato e con un asciuga­mano al collo, stava seduto il federale di Como, Porta, mentre Pavolini era appoggiato al tavolo di centro in piedi, intento a medicarsi la ferita al­l’occhio sinistro. A llorquando mi accingevo ad uscire, entrò Barracu scortato da due garibaldini, il quale appena scorto Mussolini, messosi sull’at­tenti, alzò il braccio sinistro nel saluto romano e disse: “ Duce, ai vostri ordini!” . Il sindaco di Dongo redarguì l’ex gerarca dicendo testualmen­te: “Qui non c’è un duce e lei si ricordi che è no­stro prigioniero” . Barracu abbassò la testa e ri­spose: “ Sì, sì!” . Mussolini guardava e taceva. La­sciai quindi la sala e mi avviai al portone d ’in­gresso. Sulla gradinata incontrai Pedro, il quale

mi ordinò di partire subito per l’estremo alto la­go, zona m ilitarm ente sotto il mio com ando, per adottare le misure di sicurezza lungo il tragit­to che la colonna, ormai libera di proseguire, do­veva percorrere, perché la strada che da Dongo per G ravedona-D om aso-G era Lario e Sorico conduce in Valtellina. [...] G iunto a Gera vengo avvertito che il Cvl di Milano per mezzo del tele­fono di proprietà della Soc. Elettrica Comacina aveva chiesto di me. Vado all’apparecchio e otte­nuta la comunicazione con Milano do la notizia del fermo definitivo della colonna e dell’arresto del sig. Mussolini col seguito operato a Dongo. Due ore dopo sono nuovamente chiamato al tele­fono e dall’ingegnere capo Lucio di Milano della predetta Società Com acina ricevo l’ordine del Comando Generale del Cvl di: “vigilare Mussoli­ni senza fargli del male, anzi di usargli un tratta­mento buono” , e testualm ente: “ p iu ttosto che fargli del male lasciarlo andare” . Rispondo che senza m altrattarlo lo avremmo bene vigilato e che avrei subito trasmesso l’ordine al Com andan­te della 52a. Diffatti, mediante staffetta, spedii su­bito un biglietto che Bill e Pedro dichiararono di aver ricevuto. A Dongo intanto, passato il primo momento di euforia, il Com andante della 52a si preoccupò di far partire Mussolini per altra loca­lità, e ciò per ovvie ragioni. Scelsero Germasino, paesino di montagna posto sopra Dongo, e la Ca­serma della Regia G uardia di Finanza fu la se­conda tappa del prigioniero. Pedro e il brigadiere Buffelli Giorgio accompagnarono Mussolini las­sù dove fu affidato al comandante di quella Bri­gata, brigadiere Spadea A ntonio. D opo poche ore, a notte inoltrata, Mussolini fu nuovamente prelevato da Germ asino e riaccom pagnato a Dongo, dopo avergli fasciato la testa per renderlo irriconoscibile lungo il trag itto da percorrere. Questa volta la m eta era Brunate sopra Como. A Dongo breve sosta per prelevare la Petacci, la quale fermata in una macchina civile accodata al­l’autocolonna tedesca, unitam ente al fratello M arcello, alla di lui am ante con due bam bini, era stata successivamente riconosciuta e che in un colloquio avuto col comandante Pedro, dopo aver professato il suo amore sincero e disinteres­sato per il “Duce” aveva chiesto di essere unita a “ lu i” . È notte fonda quando le macchine con Mussolini, la Petacci e la scorta partono per Co­mo. Superata la Tremezzina si fa strada tra i

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componenti la scorta il dubbio che gli alleati, già arrivati a Cemobbio, possano fermare le macchi­ne, riconoscere il sig. Mussolini e dichiararlo loro prigioniero. Viene allora deciso il ritorno, senon- ché giunti ad Azzano il capitano Neri, capo della scorta, consigliò di far sostare i due prigionieri in una casa di montanari, posta in frazione Giulino di Mezzegra, che già aveva servito tante volte da ospitale rifugio ai Garibaldini durante l’oppres­sione. Mussolini e la Petacci vengono accompa­gnati lassù: due garibaldini restano di guardia: uno di essi è “ Sandrino” quel tale Guglielmo Cantoni che fu presente al fermo definitivo della colonna a Ponte del Passo. L’indomani 28 da Mi­lano arrivano a Dongo una quindicina di uomini in divisa partigiana ed un certo Colonnello Vale­rio. Quest’ultimo dichiara d ’essere arrivato per far giustizia sommaria dei fascisti catturati dicen­dosi mandatario del Comando Generale Cv della Libertà. Qualcuno tenta di opporsi ad un ordine cosi draconiano: il sindaco di Dongo indignato darà le dimissioni in segno di protesta. Pedro sog­giace al vincolo della disciplina militare che gli impone obbedienza e si piega, sia pur contrariato, agli ordini superiori. Nel pomeriggio del 28 men­tre in Dongo si fanno preparativi per la fucilazio­ne dei gerarchi catturati, che verso le ore 16,30 scontano con la morte il loro passato, Valerio e un altro partono in auto alla volta di Giulino di Mezzegra. Qui giunti salgono alla casetta m onta­na ignara del dramma che sta per giungere al suo epilogo, ed entrano nella stanza dei prigionieri. Mussolini in calzoni e camicia chiede cosa voglio­no e sentito che deve partire sollecita l’amante, ancora a letto, ad alzarsi. Dieci minuti dopo esco­no tutti all’aperto e raggiunta la macchina salgo­no: l’auto si mette in moto e s’avvia lentamente per la strada che si innesta alla statale del lago di Como. I due partigiani di guardia, term inato ormai il loro compito, raccolgono le poche cose rimaste si incamminano giù per la china. Giunta di fronte alla villa la macchina si arresta. Musso­lini e la Petacci son fatti scendere e posti contro il cancello di ferro che immette nel giardino. Vale­rio pronuncia la sentenza di m orte in nome di un supposto popolo italiano e punta l’arma verso i fucilandi, ma il colpo non parte. La Petacci getta le braccia al collo dell’amico invocando pietà, ma

29 Asgdf, Documento n. 274, Germasino, 7 luglio 1945.

Valerio le ordina di scostarsi e fattosi dare la pi­stola autom atica dell’accom pagnatore, con una raffica li abbatte entrambi. Poco dopo i due par­tigiani, che erano stati le ultime sentinelle dell’ex duce, arrivano sul posto e si fermano di fronte ai cadaveri: una pioggerella sottile comincia a ca­dere e i due indifferenti dopo un ultimo sguardo alla coppia tristemente famosa se ne vanno. Ver­so sera un camion carico di cadaveri dei giustizia­ti a Dongo si ferma nei pressi, riceve le spoglie ir­rigidite dalla m orte, e riparte per M ilano dove scaricherà il lugubre carico in Piazzale Loreto.

Bg. Scappin A.

Documento n. 5

Comando della Brigata di Frontiera di Germasi­no. Relazione di servizio del Comandante della Brigata sugli avvenimenti insurrezionali del gior­no 26 Aprile 1945 e seguenti. Al Comando della Tenenza R. Guardia di Finanza Dongo29.

Alle prime ore del pomeriggio del giorno 26 del mese di Aprile c.a., venuto a conoscenza a mezzo della radio della celere avanzata delle truppe Al­leate verso Milano e appreso che i vicini paesi di Gera e Domaso erano già stati liberati dai valorosi partigiani scesi dai monti circostanti, lo scrivente, al fine di poter far fronte ad ogni richiesta di col­laborazione coi Patrioti per la liberazione della zo­na dai nefasti elementi nazi-fascisti, provvide, di propria iniziativa a mobilitare n. 15 giovani di Ger­masino e G arzeno, che vennero arm ati e tenuti pronti per l’impiego. Verso le ore 16 dello stesso giorno, appreso che tu tti i militari del D istacca­mento della Milizia Confinaria di Stazzona aveva­no abbandonato la caserma per raggiungere Gra- vedona, portando seco con tre carretti tutte le ar­mi e parte del materiale di casermaggio, lo scriven­te, allo scopo di evitare il saccheggio da parte della popolazione del materiale ancora rimasto nella ca­serma, di propria iniziativa si recò sul posto, dove, dal prete della parrocchia ricevette le chiavi della caserma, a lui consegnate dal Brigadiere Piccinini

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della Milizia Confinaria, perché le facesse recapi­tare a questo comando. N onostante l’immediato intervento, parte del m ateriale di casermaggio era stata già asportata dai civili, che si erano intro­dotti forzando le porte. Si provvide subito a tra­sportare a mezzo di carretti presso questo Com an­do il materiale di maggior valore rinvenuto. Intan­to essendo sopraggiunta la sera, per ragioni di si­curezza si dovette sospendere, col proposito di trasportare la poca mobilia che vi rimaneva il gior­no successivo. Per i fatti che seguono, però, non si potette rito rnare a Stazzona che la m attina del giorno 29. Si ebbe però a constatare che ciò che vi era rimasto, era stato portato via, pare, dai gio­vani garibaldini del posto. Intanto nella stessa se­rata del 26, il m.c.t. Nanci Francesco che trovavasi là presso la sua famiglia per fruire un permesso, durante la mia assenza dopo il ritiro dalla caserma della Milizia del materiale di cui è detto sopra, era venuto in caserma dove ricevette le varie telefona­te fatte dal m.c.t. Di Paola Francesco di Dongo, il quale chiedeva rinforzo di uomini in quel paese per necessità di ordine pubblico e per quanto altro potesse occorrere in previsione degli avvenimenti che stavano per maturare. In seguito a ciò il mare­sciallo Nanci decise di recarsi subito a Dongo per prestare la sua opera. Egli difatti chiese se potevo mettergli a disposizione degli uomini armati ed io ordinai ai finanzieri Alghisi e Zagolin ed a mobili­tati civili di mettersi agli ordini di tale sottufficiale, insieme al quale si sarebbero dovuti recare a D on­go per sei-vizio. Lì essi rimasero sino al pomeriggio del giorno 27, dove presero parte al fermo della co­lonna tedesca proveniente da Como, negli auto­mezzi della quale furono rinvenuti Benito Musso­lini ed altri noti gerarchi del Fascismo. Alle ore 19,30 del giorno 27, questo Comando ricevette in consegna dal C om andante dei Partigiani, conte avvocato Bellini delle Stelle, soprannominato “Pe- dro” , giunto in macchina da Dongo, il Sig. Benito Mussolini ed il Federale di Como Paolo Porta. Il seguito del suddetto Com andante era com posto di molti giovani partigiani ed era con essi anche il b.t. Buffelli Giorgio, Comandante del Distacca­mento di Dongo. A tutti venne offerta la cena e l’alloggio in caserma, meno che al surripetuto Co­mandante, il quale fece ritorno a Dongo. Alle ore 21 circa, personalmente ho servito la cena ai Sigg.

30 Asgdf, Documento n. 270, Rho, 8 maggio 1945.

Mussolini e Porta, i quali alle ore 23,30 furono ac­compagnati a letto, avendo essi manifestato il de­siderio di andare a riposare. Il Porta venne messo a dormire in una stanza, mentre Mussolini venne da me assicurato nella prigione, della quale io per­sonalmente custodii la chiave. Alle ore 1 del gior­no 28, lo stesso conte Bellini delle Stelle, giunto a Germasino in macchina, prelevò il Sig. Mussolini dopo avergli fasciato il viso al fine, credo, di ren­derlo irriconoscibile o farlo credere ferito. Alle ore 8,30 circa il surripetuto conte Bellini accompa­gnò in macchina presso questo Com ando i Sigg. Casalinovo Vito, aiutante di Campo di Mussolini, Barracu Piero Maria [recte\ Francesco Maria], Sot­tosegretario alla Presidenza e Utimperger, federale di Lucca e successivamente, alle ore 10, i Sigg. Pa- volini Alessandro, segretario del Partito e Coman­dante delle Brigate Nere e Bombacci Nicola, pub­blicista, i quali, come gli altri, vennero custoditi e vigilati. Alle ore 16,30 i predetti Pavolini, Casalino­vo, Barracu, Bombacci, Porta e Utimperger furono prelevati dal Comandante conte Bellini e portati in macchina a Dongo, dove alle ore 17,30 circa venne­ro fucilati, essendo stata annunciata per essi senten­za di morte. Per la vigilanza dei detenuti e della ca­serma, nonché per il servizio d’ordine del paese e della zona circostante, questo Comando ha provve­duto coi propri militari e con i mobilitati civili, ai quali si sono aggiunti i partigiani provenienti da Dongo. [...] Si fa riserva di trasmettere, appena pos­sibile, documentazione di quanto detto nella pre­sente relazione.

Il brigadiere comandante (Spadea Antonio)

Documento n. 6

Fermo di Mussolini a Dongo. Relazione del mare­sciallo capo Nanci Francesco. Al Comando della Legione Guardia Finanza Milano30.

[...] Alle ore 7,30 circa del successivo giorno 27.4.1945 giunse a Dongo la notizia che una co­lonna tedesca forte di un ’autoblinda seguita da

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circa 36 mezzi arm atissim i era in m arcia verso Dongo, proveniente da Menaggio. A Musso, co­mune che dista da Dongo un km. circa, la colonna venne fermata da elementi della 52a Brigata G ari­baldi. Il comandante della colonna tedesca che ri­copriva il grado di ten.col. delle SS germaniche, avendo accettato di trattare, fu condotto verso il Comando della 52a Brigata Garibaldi di stanza a Morbegno ove si svolsero le trattative che duraro­no fino alle ore 12 circa. In forza degli accordi la colonna avrebbe potuto continuare il viaggio sen­za attaccare od essere attaccata ma con l’obbligo di lasciare in nostre mani gli italiani che eventual­mente facessero parte della colonna stessa. Dopo alterne vicende spiegate dal fatto che il comandan­te della colonna non era del tutto deciso alla paci­fica soluzione degli accordi e dopo numerosi ordi­ni contradditori di fare e non fare fuoco la colonna senza l’autoblinda mosse dal limitrofo comune di M usso alla volta di Dongo (Debbo aggiungere per inciso che alle ore 9 circa del 27 stesso, durante cioè la sosta dell’autocolonna a Musso ebbi occa­sione di fermare a Dongo ed interrogare un finan­ziere che proveniva da Menaggio diretto a Grave- dona ed appresi da questi la conferma della notizia che già conoscevo, ma vagamente, che Mussolini con altri gerarchi era stato per due giorni a M e­naggio. Ciò spiega infatti la mia condotta nelle successive operazioni). Superato lo sbarram ento di S. Eufemia (ove era stato concentrato il grosso delle forze della 52a Brigata Garibaldi a disposi­zione del presidio di Dongo) località situata a me­tà strada fra Musso e Dongo la colonna giunse in piazza a Dongo ove venne da me fermata e sotto­posta a visita ed alla identificazione degli uomini. La collaborazione di pochi patrioti e di molti cu­riosi più che volenterosi, se rivelava slancio ed at­tività era tuttavia slegata assai poco fattiva e tal­volta ingombrante e comunque niente affatto per­spicace. Avvalendomi allora della collaborazione del maresciallo capo Di Paola Francesco impartii istruzioni sul modo di procedere alla visita che die­de come immediato primo risultato l’identificazio­ne del pilota personale di Mussolini certo Callistri [ì /c]. Dopo una seconda visita feci scendere dagli automezzi ove si erano occultati tre donne, fra le quali, credo, la Petacci, sfornite di tessera di iden­tificazione e qualcuna con tessera falsa, e che con­segnai ai patrioti per rinchiuderle in camera di si­curezza. Visitai tutti gli automezzi tom ai indietro

per riprendere daccapo la visita e mi soffermai al quinto automezzo sul quale dietro mio ordine il maresciallo Di Paola fece salire il patrio ta certo Negri Giuseppe il quale procedette ad una secon­da e terza visita infruttuosamente. Istruitolo me­glio sul modo di rovistare fra gli zaini e le valigie e le cassette e le coperte il Negri iniziò una quarta visita. Io stavo dappresso per la ragione che i sol­dati tedeschi che si trovavano sull’automezzo, ar­mati di ben sei mitragliatrici pesanti, avendo nota­to la nostra insistenza, cominciarono a manifesta­re il loro disappunto attraverso gesti che rivelava­no la loro intenzione di innestare le mitragliatrici sui treppiedi. Fra i pochissimi armati presenti, es­sendo io solo arm ato di m itra, e, non essendomi sfuggito il gesto dei soldati, ordinai senza esitare un istante al comandante della colonna che mi sta­va dappresso e che mi im portunava continuamen­te con la richiesta del lasciapassare per riprendere subito la marcia, di fare alzare le mani ai soldati puntando contemporaneamente il mio mitra con­tro quei tedeschi minacciosi. Il mio gesto deve ave­re indotto quest’ultimi a desistere da ogni eventua­le azione violenta, mentre il comandante della co­lonna con fare irritato si scostò verso la riva del la­go nel quale versò la sua vescica teutonica. Nel corso della quarta visita che frattanto si stava ese­guendo il Negri rovistando fino in fondo alla mas­sa delle coperte e dei teloni impermeabili scoprì in parte il volto di un uomo che il Negri dice di aver subito riconosciuto per Mussolini. Il Negri tu tta ­via non avendo forse avuto il coraggio di sollevare Mussolini per tema della reazione dei soldati saltò giù dall’automezzo e senza avermene data spiega­zione corse a confondersi in mezzo alla folla, per chiamare aiuto, mentre io continuavo a tenere a bada i tedeschi. Subito sopraggiunto certo Billi, al secolo Lazzari [ite], ex G uard ia di F inanza e Commissario Politico di una squadra di patrioti della 52a Brigata G aribaldi, sollevò la persona che si era acquattata sotto un cumulo di coperte. Dopo di essersi spacciato per un generale tedesco, e dopo di essere stato privato del cappotto, dell’el­m etto e degli occhiali che ne m ascheravano al­quanto le caratteristiche fisiche, apparve final­mente Mussolini. Mentre la colonna dopo un’ulti­ma visita riprendeva la marcia per essere poi arre­sta ta in prossim ità di Colico, l’autoblinda nel frattempo veniva disarm ata e i gerarchi che vi era­no annidati tutti arrestati, e condotti nella sede del

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locale Municipio dov’era stato rinchiuso Mussoli­ni e gli altri. Mussolini ed il federale Porta vennero poco dopo trasportati a Germasino e custoditi nel­la caserma della G uardia di Finanza dalle ore 17 circa del 27 alle ore 1 del successivo giorno 28. Alle ore 1 si presentò a Germasino il Comandante della 52a Brigata Garibaldi detto Pedro, al secolo conte delle Stelle Bellini il quale dopo di averlo bendato si riprese Mussolini per altra destinazione. D uran­te le 8 ore di permanenza a Germasino ebbi occa­sione di parlare a lungo con M ussolini al quale raccontai le m alefatte, le crim inalità commesse dalle associazioni a delinquere che rispondevano al nome di “ legione M uti” — “Xa M as” — “ Bri­gate N ere” — “ Milizie Varie” , ma egli si limitò ad ascoltare ed a tacere. Trattai pure l’argomento che riguardava il Corpo cui era stata inflitta l’onta delfallontanam ento dal confine e che il meschino espediente della fascia dei 3 Km. mirava ad intac­care il primo dei nostri privilegi. M ’interruppe Porta ex federale di Como per dimostrare che la Guardia di Finanza lasciava alquanto a desiderare ed io a ribadire che ciò non rispondeva al vero in quanto i posti di confine più disagiati dopo il no­stro allontanam ento non furono più vigilati da nessuna altra forza armata, e che comunque le ra­gioni del parziale indebolimento della compagine del Corpo erano dovute principalm ente al fatto che molti dei nostri erano stati internati in Germa­nia ma anche ai molti espedienti tentati ed attuati di estraniare il C orpo dalla sua vera missione. Mussolini taceva, sì, ma guardava con ironia il Porta. Il quale ad un certo momento mi chiama in disparte per dirmi che gli argom enti tra tta ti m ortificavano Mussolini. Dopo qualche m inuto di silenzio, M ussolini che passeggiava lungo la stanza dell’ufficio, si arrestò e soggiunse: “Unpro­verbio tedesco dice: nessun albero cresce fino al cie­lo” . “Ammettete quindi di essere già arrivato” , ri­spondo io: “ questa constatazione è piuttosto tar­diva dopo il macabro espediente della repubblica sociale, neo fascista, dalla quale tutto il popolo, esclusi i criminali, era assente perché nessuno più credeva in voi” . Ed egli risponde: “ Fino a poco tempo fa ho fa tto dopo tanti l ’ultimo tentativo pres­so Ribbentrop di cambiare rotta e di allargare le ba­si alle diverse correnti, ma egli mi ha risposto che ciò avrebbe determinato sfiducia alla potenza tedesca ancora intatta e capace di capovolgere la situazione nel campo militare come in quello politico-sociale.

Io come sempre ho creduto ai tedeschi ma sono stato disilluso ed anche tradito, molte volte. Ero un loro prigioniero e schiavo. M i seguivano dappertutto ed i miei colloqui dovevano avere la durata che loro f is ­savano” . “ Il m inistro degli esteri tedesco, come commerciante in aceto, era in ogni caso in caratte­re, tuttavia soltanto voi eravate in Italia il solo cre­dente al mito della potenza tedesca, e che lo sgam­betto del 25 luglio non vi ha rivelato proprio nul­la” . Ed egli: “Ho voluto risparmiare al popolo ita­liano la minacciata sciagura dei gas”. “ Ed avete quindi” , riprendo io, “permesso ai tedeschi di in­vadere l’Italia per continuare una guerra che quelli più competenti di voi avevano ritenuta perduta, e, per graziarci con le vostre milizie, delle delizie del­la guerra fratricida e civile, terrorizzando gli italia­ni che da soli sarebbero stati certamente capaci di liberare la Patria. M entre i vostri tedeschi non hanno avuto l’ardire con tutti i mezzi a loro dispo­sizione di superare con un atto di forza e con l’a­stuzia uno sbarramento tenuto da un pugno di pa­trioti molti dei quali erano arm ati di sassi, dopo dei quali la via della Germania era libera” . “Sono stati dei vigliacchi perché non solo non mi hanno la­sciato fuggire ma mi hanno lasciato prendere. Con­tinuavano solo a buttarmi addosso coperte su coper­te fino a soffocarmi”. “ I vostri amici tedeschi” , soggiungo io, “ in quanto a coraggio sono in ogni caso inferiori all’italiano ed in quanto ad astuzia non reggono al confronto. Posso comunque tran­quillizzarvi che da Dongo non passavate certa­mente inosservato, poiché dopo le prime visite in­fruttuose, avevo financo deciso di aprire anche le latte della benzina che portavano sugli autocarri. E dopo che vi avevano portato via ai soldati tede­schi non sembrava vero di essersi liberati di una compagnia che o prima o poi li avrebbe tratti in conflitto. Quali spese avete sostenuto per il mante­nimento dei tedeschi in Italia?” . “Quattrocentot­tanta milioni al giorno che nemmeno le rotative po­tevano stampare per impedire che dilagasse nella re­pubblica sociale la moneta d ’occupazione che avreb­be certamente determinato il crollo della finanza”. “E quanto credete che ci vorrà perché l’Italia si ri­prenda?” . “Almeno tre generazioni”. Poi si è inte­ressato del fermo delle donne delle quali ha chiesto che gliene descrivessi il colore e la foggia dei vesti­ti. Indi ha cenato, ma poco. Secondo le confessioni fattemi da Bombacci la fuga di Mussolini dall’Ita­lia era stata studiata minutamente. Dopo i due pri-

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mi tentativi di passare dalla Svizzera, rimasti in­fruttuosi, ne fu fatto un terzo a Menaggio. Volen­do eludere la vigilanza dei tedeschi Mussolini fece credere a questi che aveva necessità di recarsi da solo, con la complicità della Petacci, in una stanza dalla quale si accedeva su una strada opposta a quella d ’ingresso. Così avvenne infatti, ma allor­ché fu aperta la porta da dove poi doveva allonta­narsi, trovò schierati 4 tedeschi col fucile spianato. Bisognava per forza seguirli perché essi avevano l’ordine di portare vivo Mussolini in Germania o di lasciarlo m orto in Italia. D urante la sosta a Musso era giunto alla colonna un contrordine se­condo il quale Mussolini doveva raggiungere una località prossim a a Chiavenna ove era p ron ta una “Cicogna” che l’avrebbe condotto in Germa­nia mentre il resto della colonna doveva prosegui­re per Sondrio fino al Brennero. Tempo tre ore. M a lo spirito garibaldino di quel pugno di patrioti della 52a Brigata Garibaldi ed il concorso non me­no importante di pochi elementi della Guardia di Finanza, decisi a farne di Dongo un campo di bat­taglia, ebbe ragione sui piani di siffatti personaggi. Ho avuto in custodia i seguenti ex gerarchi: — Pa- volini — Casalinuovo — G uttem berg [ recte: Utimpergher] — Porta — Barracu e Bombacci.

PccIl colonnello comandante II maresciallo capo t. Alfredo Malgeri F .to Francesco Nanci

Documento n. 7

Relazione sui fatti insurrezionali del giorno 26/4/ 1945 e successivi31.

[...] Dato che i tedeschi avevano premura si venne alla determinazione di lasciarli passare e farli poi fermare nella piazza di Dongo, dove avrebbe avu­to poi luogo la visita agli automezzi ed a operazio­ne ultimata i tedeschi sarebbero stati accompagna­ti fino a Colico. Così infatti avvenne. Fui incarica­to di salire sulla prima macchina tedesca dove tro- vavasi pure l’ufficiale tedesco parlam entare con una bandiera bianca (segno di resa) ed una rossa

(nostro distintivo) e li accompagnai nella piazza di Dongo. Lì giunti incominciammo la visita agli automezzi. Salito sul primo autocarro, che si tro­vava subito dietro le macchine dove avevo preso posto per accompagnarli a Dongo, trovai il mini­stro Rom ano che indossava un cappotto grigio­verde con un elmetto italiano di vecchio tipo. Gli ordinai subito di scendere ed egli spaventatissimo e pallido si alzò, smontò dall’autocarro e si diresse verso il Com ando della 52a B.G. quasi già cono­scesse questa strada (Evidentem ente Rom ano non aveva pensato a nascondersi sotto a copertoni da camion sicuro che per il solo fatto di trovarsi su di un autocarro tedesco, gli italiani si sarebbero ben guardati dal fare qualche atto che potesse irri­tare la suscettibilità e provocare chissà quale rap­presaglia — Romano fu poco intelligente, ma più intelligenti di lui furono tutti i tedeschi che si guar­darono bene dal fare qualche azione insana, dato che avevano capito che per loro era ormai la fine). Pago e soddisfatto di quanto avevo trovato su quell’autocarro mi recai su quello successivo e no­tai che i tedeschi mi guardavano con viso cattivo. Da ciò sorse il mio sospetto per quella macchina e mentre mi avvicinavo all’autocarro vedendo il T. medico Giacobbe a pochi m etri dal veicolo, gli raccomandai: “Dottore attento a quell’autocarro” e ritornai sui miei passi dirigendomi verso il Te­nente tedesco che com andava la colonna, perché salisse con me su quella vettura, ormai en tra ta nei miei dubbi per prevenire qualche cattiva inten­zione da parte dei militari tedeschi che mi avevano sogguardato in modo cattivo. Dopo qualche istan­te tornai, dirigendomi verso l’automezzo e quando vi giunsi, accompagnato dal Tenente che era venu­to con me, trovai Mussolini in piedi sull’autocar­ro, pallido in viso, che stava per scendere. Seppi poi che nel breve intervallo che separò la mia as­senza per andare a chiamare il Tenente, qualche borghese era salito (avendo sentito quando gridai il mio sospetto al Dottore) ma la visita aveva dato esito negativo. Salì pure il patriota Negri o meglio più che salire si aggrappò all’automezzo per vede­re ed osservare. Non vide nulla di sospetto e stava per tornarsene, quando il nostro M aresciallo di Finanza Di Paola Francesco, che trovavasi li vici­no, fece presente al Negri che così non si visitava l’autocarro, ma che era necessario salire, vedere i

31 Asgdf, Documento s. n., Dongo, 15 maggio 1945.

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documenti dei militari e guardare sotto ad even­tuali nascondigli. Il Negri fece tesoro dell’osserva­zione e salì di nuovo. Si guardò un po’ in giro, vi­sto che i tedeschi lo guardavano con fare arrogan­te, notò che in fondo all’automezzo verso la parte dell’autista, si trovavano delle coperte che davano l’impressione che sotto nascondessero qualche co­sa. Si avvicinò, ne alzò qualche parte e per quanto i militari tedeschi gli dicessero che si trattava di un loro cam erata ubriaco, riconobbe Mussolini. Fu preso da un momentaneo spavento di avere rico­nosciuto un pezzo così grosso e temendo forse la reazione tedesca scese, disse al. Maresciallo di Pao­la che gli andò incontro di avere trovato Mussolini e si diresse verso il V. Commissario della 52a Bri­gata (Bill) dicendogli che su quel “cam ion” da lui visitato si trovava Mussolini. Bill (al secolo Ur­bano Lazzaro ex Guardia di Finanza) senza indu­giare altro si precipitò sull’automezzo si avvicinò al presunto M ussolini, gli tolse l’elmo tedesco e gli occhiali neri da sole e riconobbe Mussolini che indossava pure un cappotto dell’aviazione te­desca. Lo invitò a scendere, cosa che subito fece dato che la presunta reazione tedesca non avveni­va. Dallo stesso Bill e da certo Ortelli fu accompa­gnato al Com ando. Io che in quel frattem po mi ero avvicinato e che gli avevo steso la mano per aiutarlo a scendere, lo tranquillizzai a non aver paura di nulla che nessuno gli avrebbe fatto del male. Egli mi guardò e mi rispose “ No non ho paura, lo so che non mi faranno del male” . La vi­sita degli altri automezzi intanto continuava. Tro­vato il Capo quasi per incanto saltavano fuori tu t­ti gli altri satelliti. Chi su un automezzo, chi sull’al­tro, avevano cercato un presunto sicuro rifugio. Tutti furono diretti o portati verso il Comando. Terminata la visita agli automezzi, io mi misi in te­sta all’autocolonna e la accompagnai fino quasi al ponte del Passo. Lì giunto trovai il mio collega bri­gadiere Scappin Antonio che faceva ritorno con la motocicletta da Colico. Vedendomi in testa all’au­tocolonna e sapendo che si trattava di quella il cui Com andante era il Tenente tedesco che aveva il m attino parlam entato a Chiavenna per ottenere il passaggio, mi fece presente che in quel frattempo il forte di Colico era stato occupato dalle forze partigiane le quali, con quell’acquisto, non inten­devano più lasciare passare la colonna tedesca, ma l’avrebbero messa sotto il tiro del forte, dotato di cannoni. N on sapendo cosa fare, pregai il mio

collega di volersi interessare della faccenda, anche perché io dovevo fare urgente ritorno a Dongo. Difatti fino a Gera feci uso di una motocicletta e da Gera a Dongo mi feci prestare una bicicletta. Giunsi a Dongo verso le ore 17,45 circa. Trovai i caporioni sempre nel Com ando e in tan to seppi che la schiera si era arricchita di altri nomi. Seppi anche che Barracu, Pavolini e Casalinovo avevano fatto resistenza dall’interno dell’autoblinda, resi­stenza subito domata da qualche bomba ben lan­ciata dai patrioti. N otai che Pavolini presentava ferita da fucile da caccia. Gli chiesi il m otivo ed egli mi disse che nella sparatoria che era nata era stato ferito. Seppi più tardi che un patriotta arm a­to di fucile da caccia aveva fatto fuoco su Pavolini che prima di arrendersi scappò buttandosi nel la­go. Intanto al di fuori la ressa della folla aum enta­va in modo impressionante. Tutti i paesi circonvi­cini venuti a conoscenza del fatto e della copiosa preda erano scesi a Dongo. Il Comandante Pedro, alquanto preoccupato di un bottino cosi forte e prezioso, mi palesò il suo timore di dover passare la notte con quella gente da curare. Consigliai il Comandante che Mussolini e qualche altro era be­ne portarli presso la caserma delle Guardie di Fi­nanza di Germasino: — Caserm a questa che si prestava benissimo a qualsiasi difesa. Pedro accet­tò e mi ordinò di fare preparare almeno due mac­chine. Intanto Mussolini era stato preso da brividi di freddo (forse l’emozione). Gli fu offerto un cap­potto militare tedesco, ma l’ex duce strappando­glielo di mano a chi glielo porgeva esclamò “ Ne ho abbastanza di questi tedeschi. N on voglio più vedere la loro divisa” . Intanto le macchine furono allestite e verso le ore 18,30 circa si incominciò l’a­scesa per Germasino. Sulla prim a macchina sali Pedro vicino all’autista, io dietro avente alla mia sinistra Mussolini e alla destra il federale Porta. Dietro alla nostra macchina seguiva una macchina carica di armati di scorta. Durante il tragitto volli interrom pere il silenzio dei due ai miei fianchi e volgendomi a Mussolini “questa è la seconda vol­ta che vi fanno prigioniero” dissi. “Caro ragazzo, altare polvere polvere altare” rispose lui. La sua vana gloria lo paragonava a Napoleone. Lungo il viaggio mi chiese varie volte dove andavam o ed in quali posti ci si trovava. N on sapendo se avessi fatto bene o male rispondendo il vero, cer­cai sempre di contraccam biare con vaghe ed in­complete risposte “ Siamo tra i monti della valle

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di D ongo” . M ussolini durante tale trag itto mi sembrò piuttosto nervoso ed inquieto. Non parlò d ’altro e notò, quasi adom brato, che io tenevo in mano la pistola con la sicurezza to lta e p ron ta per lo sparo. Si arrivò a Germ asino alle ore 18,55 circa. I personaggi furono subito condotti in caserma e fatti accomodare nell’ufficio del Co­mandante della Brigata. Venne loro offerto della spuma per dissetarsi. E bene tener presente che la temperatura, data l’acqua caduta in seguito alla pioggia, si era alquanto abbassata, e tanto Musso­lini che Porta, dopo un po’ che si trovavano in uf­ficio, fecero capire di avere freddo. Porta accettò una coperta che mise addosso a guisa di scialle — Mussolini non la volle e preferì passeggiare un po’ per la camera per riscaldarsi. Intanto i G a­ribaldini si erano predisposti per la difesa interna ed esterna della caserma. A dar man forte era ve­nuto anche il Maresciallo Nanci Francesco ex Co­mandante della Brigata di Germasino, che era sta­to il giorno prima e tutto il 27 ad offrire il suo aiu­to alle operazioni che si erano svolte in Dongo. M ussolini e P orta non furono mai lasciati soli, ma in loro presenza sempre fui presente io oppure il Maresciallo Nanci e altri militari che si trovava­no lì per il servizio di guardia. Verso le ore 19,20 “ Pedro” mi raccom andò il servizio di guardia e stava per andarsene. Mussolini capì che il Com an­dante era sulle mosse per partire e chiam atolo a parte lo pregò di salutare quella signora che si tro ­vava sull’autocolonna e che era stata lei pure fer­mata. “ Come si chiama” , asserì Pedro. L’ex Duce non voleva rispondere. La dom anda di Pedro lo seccò e si dimostrò quasi contrariato. Il Com an­dante Garibaldino insistette dicendo “Capirete... tanto veniamo a saperlo lo stesso” . Mussolini si convinse allora che ormai era alla mercé degli altri, che non gli rimaneva più nulla da fare e più sotto­voce ancora, ma con fare nervoso, dondolando il capo e muovendo nervosamente il piede dietro dis­se: “ La... la... Petacci...” . Non disse altro quasi pentito di una confessione che lo degradava m o­ralmente di fronte agli italiani ed al mondo intero. Pedro lo assicurò che avrebbe fatto a parti. Verso le ore 20 circa rimasi in ufficio solo e Mussolini per quanto abbattuto e stanco, avendomi preso per un capo, perché mi vedeva impartire e aveva notato la confidenza che avevo con il Com andante Pedro, fece capire che avrebbe scambiato volontieri qual­che parola. Cominciò col chiedermi in quale posto

si trovasse ed io gli riconfermai nella caserma delle G uardie di Finanza. Il discorso che facemmo fu molto spezzettato e incompleto perché si incomin­ciava un tema per finire magari in un altro senza aver prima terminato il primo che Mussolini face­va capire di non gradire. La prim a cosa che mi chiese di una certa importanza fu: “ Si può sapere perché mi avete arrestato?” . Con una calma più che convincente risposi “ Prego, non vi abbiam o arrestato, vi abbiamo ferm ato” . Mussolini quasi seccato “ E perché mi avete ferm ato?” . Trovai una risposta decisa, forse un po’ troppo scocciante per l’ex Duce: “Vi abbiamo fermato” dissi “perché siete un italiano e non intendiamo più che gli ita­liani vadano in Germania a farsi scannare per i te­deschi” . Mussolini continuava a passeggiare: udi bene la mia risposta e voltandosi quasi di scatto, fissandomi con quello sguardo che un giorno face­va tremare proruppe: “ D ’altronde di che cosa mi si può incolpare?” . Io di ritorno e calmo: “Di nul­la, solo di averci ridotti in questa situazione. Avete un’idea delle meraviglie che la guerra ha creato nel nostro paese? Una guerra che gli italiani non vole­vano, e voi responsabile primo potevate capire be­nissimo che noi non eravamo preparati, non solo, ma che l’Italia poteva stare neutrale” . Di scatto, impaziente, esclamò: “Non è vero il popolo ha vo­luto la guerra ed il Re l’ha firm ata” . Ed io di rispo­sta: “ E voi eravate il mediatore innocente” . M us­solini, sentendosi colpire nell’intimo, come da uno scudiscio, protestando cercò di spiegare, di con­vincere che il popolo aveva acclamato la guerra e lui, povera vittima, era stato obbligato ad agire. “ Se tu ben ricordi” — disse — “ nel giugno del 1940 tu tti gli italiani volevano la guerra ed a me fu detto tan te volte: ‘Cosa aspetti ad entrare? N on vedi che è il momento buono? Vuoi entrare per ultimo per far la parte dell’avvoltoio?’ e tante altre cose” . Al che io risposi “Allora non erano so­lo il popolo ed il Re arbitri, ma anche voi potevate disporre bene” . A questo punto fece capire che quello era un tasto che toccava mal volentieri e cercò di scansarlo portando il discorso sui fascisti, per cui chiese “Ed ora avendo perso la guerra i fa­scisti li uccideranno tutti?” “Non credo tutti — ri­sposi — solamente i criminali che hanno fatto tan­to male e specialmente le vostre brigate nere che non hanno seminato altro che dolori: se veramente avevano un ideale da difendere perché non sono andati al fronte? Perché stavano nelle retrovie?

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Per meglio rubare, per meglio uccidere e sfogare tu tti i loro più bassi istinti? Avete un’idea delle porcherie che hanno fatto?” (e qui citai tu tte le bravure delle brigate nere specie quelle che avevo potuto constatare personalmente). In questo pun­to entrò Porta nel discorso e chiedendo permesso al suo Com andante soggiunse: “ Sarà, però questi non erano gli ordini” . Con calma risposi: “A me questo non interessa e poi se quelli non erano gli ordini e loro lo facevano vuol dire che voialtri non eravate capaci di farvi obbedire, anzi eravate consapevoli ed appoggiavate le loro porcherie” . Entrambi parvero piuttosto adom brati per le mie risposte e Porta continuò: “ Eppure vi posso assi­curare che per gli arrestati di Dongo del CI ho fat­to molto e sono riuscito ad ottenere la loro scarce­razione” . Risposi: “Questo io non lo so sarebbe bene che lo raccontaste agli interessati” (Nel gior­no 21/12/44 le brigate nere operavano un fermo di circa 40 persone perché facenti parte del Cl). M us­solini continuava a passeggiare. Allora per disto­glierlo dai suoi cattivi pensieri lo ammonii: “Al­leandovi con la Germ ania di H itler, vi siete reso conto con chi legavate voi e l’Italia? Siete convinto almeno ora di aver avuto a che fare con un pazzo, con un criminale, con un uomo che non ha nulla di umano?” . M olto vilipeso e vinto disse: “Hitler de­ve ricordare che ogni forza umana ha un limite al di là del quale la natura si ribella, e non deve di­menticare che un proverbio tedesco dice che nes­suna pianta arriva al cielo” . Allora usai una rispo­sta secca per vedere a quale esito portasse: “ Sì ma intanto alla sua forza ed alla sua potenza qualcuno ci ha creduto, trascinandoci in questa situazione” . Fu come un colpo deciso. Cambiò argomento mo­strando un avvilimento grande. Gli feci osservare “Vedete per esempio, quando è morto Roosevelt, Hitler disse: ‘E m orto il più grande criminale dei nostri tempi’. Allo opposto il Giappone che è l’av­versario diretto: ‘E m orto il più grande statista dei nostri tempi’” . N on ebbi da lui alcuna risposta ma accennò di si col capo approvando la frase dei giapponesi. Gli domandai: “ Che ne dite della Rus­sia e di Stalin?” . Convinto quasi con ammirazione soggiunse: “ Ho sorvolato la Russia per giorni e giorni senza riuscire a vederne i confini un paese grande che non finisce mai composto da un agglo­merato di varie razze. Il fatto di essere capace di governare quel popolo, bisogna essere dei grandi uomini” . A questo punto asserii “ M a il 25 luglio

1943 non vi aveva aperto gli occhi! Dovevate ben capire che non era una guerra nostra, e perché l’8 settembre 1943 vi siete rimesso al governo per trascinarci fino in fondo alla sciagura?” . E inco­minciò a narrare le sue vicende sulla liberazione al Gran Sasso: “Quando fui liberato dal Gran Sas­so, fui portato in Germania da Hitler. Dopo qual­che tempo, quando mi rimisi in salute, Hitler mi disse: ‘Ed ora cosa intendi fare?’ ‘Intendo darmi alla politica, ma di quello che può essere cosa mi­litare, non mi sento più’. Hitler divenne furioso e mi disse ‘Sta bene, ricorda che questa è una guerra di partito, qui c’è di mezzo 1’esistenza del Nazio­nalsocialismo e del Fascismo. Ad ogni modo sappi che io per il nemico ho del piombo e per i traditori del gas’. Ed egli intendeva gasare tutta l ’Italia”. A questo punto intervenni: “Questo forse lo posso credere, conoscendo quanto bestiale sia Hitler, lo ritengo capace di quello e di altro. Pensate che la Germania possa ancora risorgere? e siete convinto che dopo questa non vi saranno più guerre?” . A tale domanda egli rispose: “ Ma non si può sapere, forse fra cinquanta anni non si sa, qualcuno po­trebbe avere a fare una Germania forte e scatenare un’altra guerra” . Al che io: “Non ci credo. I popo­li, dopo quello che hanno visto di guerre non ne vorranno più sapere. Perché anche in questi ultimi tempi vi permettevate di fare discorsi non corri­spondenti al vero dicendo, per esempio, nel discor­so del dicembre scorso che le nuove armi c’erano e che erano di azione ‘positiva e determinante’? Ma insomma la Germania ha o non ha queste famose armi nuove e in che cosa consistono?” . Deciso e quasi persuaso l’ex duce disse: “ le telearm i” “ E le telearmi le chiamate armi nuove e pensate che siano in grado — dissi — di ristabilire una situa­zione come può essere quella della Germania a tut- t’oggi?” . Convinto e tanto abbattuto fece cenno di no col capo, dicendomi: “Forse fra 30 se studiate a fondo potrà essere un’arma offensiva di una po­tenza mai vista, oggi no” . Deciso e calmo lo rim­beccai: “ E perché voi allettavate il popolo italiano con delle speranze che sapevate infondate ed inesi­stenti?” . “ Q uando ti avrò detto — soggiunse — che mancava solo che uno delle SS tedesche dor­misse con me perché il servizio fosse completo ti sarà facile capire tutto. Ad ogni modo al Tribuna­le avrò molte cose da dire e dimostrerò che in que­sti 18 mesi ho salvato l’Italia da sciagure peggio­ri” . Non gli risposi. Venne l’ora della cena. Quan­

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do gli chiesi cosa gradisse, rispose facendo cenno di no col capo “Anche nulla, anche nulla” . Sicco­me noi si insistette egli rispose: “Un po’ di verdu­ra” . Per cena gli fu portato pasta in bianco — frit­tata — verdura — capretto — formaggio grana — e spuma. Alla fine di tale cena fu pure servito il tè. Mussolini in compagnia di Porta e sotto la mia vi­gilanza cenò con appetito parlando del più e del meno. Fini la cena verso le 21,30 circa. N otai che l’ex Duce tutto il tempo della cena tenne sem­pre la mano sinistra nella tasca del soprabito (in­dossava un soprabito color ruggine) e mi dava l’impressione che la tenesse stretta verso la bocca dello stomaco. Anzi ad un certo punto levò la ma­no da quella posizione e vidi che nella tasca si tro­vava un oggetto nero. Ebbi l’impressione si tra t­tasse di un’arma, ma non dissi nulla solo mi preoc­cupò temendo che se fosse stata veramente un’ar­ma, per non averla consegnata, avesse magari intenzione di togliersi la vita. Quando l’accompa­gnai a dormire, mi accertai invece che non si trat­tava di un ’arm a. Term inata la cena, M ussolini passeggiò in su e in giù per riscaldarsi i piedi e di­gerire, così mi disse. Intanto cominciammo a di­scorrere. Mentre passeggiava, voltandosi verso di me disse: “Avete giocato una bella carta ferman­doci, i tedeschi avevano l’ordine di fare immedia­tamente uso delle armi” . “ Eravamo decisi a tutto — affermai io risoluto — perché troppo stanchi di uno stato di cose insopportabile. Ad ogni modo ora è fatto ed è andata bene, speriamo solo che qui non venga la ‘Cicogna’ perché noi siamo decisi a tutto . O tu tti assieme usciamo o nessuno esce” . Egli si fermò, mi guardò quasi a scrutarmi e poi prendendo un ’aria quasi sorridente aggiunse: “ No, non è possibile, sono altri tem pi” . A llora gli chiesi qual era la meta fissata. “Dove volevate andare — dissi — e non sapevate che tu tta la zona di quassù era controllata da noi?” . “ Lo sapevo be­nissimo — asserì — e ieri sera al Comandante delle SS tedesche di Cernobbio feci presente la difficoltà di un tale viaggio, ma egli mi fece presente che l’or­dine che aveva era di portarmi in Germania e co­me prima tappa Merano via Stelvio; se ne andava di mezzo la sua testa se non ubbidiva. Poi il Co­mandante delle SS aggiunse: ‘Non è il caso di ave­re paura, l’altro giorno è passato, dalla stessa stra­da, un mio capitano ed è arrivato a Merano, in tu t­ti i modi con i miei 150 (e qui disse un nome che ora non ricordo e che voleva significare SS della

m orte) tu arriverai dap p ertu tto ’. Scossi il capo, mi disse Mussolini, e feci notare che per arrivare a M erano via Stelvio bisognava passare in posti controllati dai ‘Patriotti’. Gli aggiunsi — ‘ricorda­tevi che noi lassù troverem o i veri soldati d ’Ita- lia’” . Continuava a passeggiare, non aveva quiete siccome con il Com andante “Pedro” eravamo ri­masti d’accordo che avrebbe portato a Germasino anche tu tti gli altri ministri arrestati, M ussolini ogni tan to mi chiedeva: “ V erranno gli altri?” . “Spero e credo, gli rispondevo, ma non sono sicu­ro perché può darsi che a Dongo abbiamo molto da fare” . Intanto fuori continuava a piovere a di­rotto. Porta, che quasi sempre rimaneva in silenzio o da parte, entrò in scena dicendo: “Quassù a G er­masino non sono mai venuto” . Gli risposi: “N on è un brutto posto, certo ora il tempo è cattivo ed è più triste anche il paesaggio — vi è della gente buona e lavoratrice” . Mussolini che non perdeva il filo del discorso entrò affermando: “ E vero, la popolazione del lago di Como è sana, onesta e la­boriosa” “Proprio” riconfermò Porta. L ’ex fede­rale di Como che fumava molto e pregava sempre che lo accompagnassimo fuori perché sapeva che al suo Duce il fumo dava fastidio, anche dopo ce­na mi chiese delle sigarette. Gliene offrii e M usso­lini mi disse: “Oggi anch’io avrò fumato 10 siga­rette ed ora mi sento la testa pesante e stanca” . A tale affermazione io gli chiesi: “Perché non siete abituato a fumare?” . Mi disse “Non ho quasi mai fum ato” . Intanto Porta usciva ancora dall’ufficio per fumarsi la sigaretta. Lo consegnai, come le al­tre volte al piantone che si trovava di fuori alla porta e rimasi solo con Mussolini. Egli continuava a passeggiare. Aspettai che mi arrivasse vicino e gli dissi prendendo in mano la penna e tenendo con la sinistra un mezzo foglio di carta protocollo: “ Vi dispiace voler scrivere due righe?” . Egli si fece quasi burbero e mi rispose: “ Che è questo? Forse un verbale di in terrogatorio?” . Lo rassicurai: “Non ho ordini in proposito e me ne guarderei be­ne, trattasi solo di una dichiarazione per dimostra­re che siamo noi della 52a che vi abbiamo preso” . Mi disse: “ E che te ne fai un vanto?” . Soggiunsi “No, ma non vorrei che dessero alla storia cose non rispondenti al vero. Ad ogni modo se volete farlo ...” . “ Sta bene, rispose lui, ma sotto form a di cimelio storico” . “ Sia” affermai. “Che debbo scrivere?” chiese Mussolini. Gli risposi: “ Scrive­te” . Ed egli sotto dettatura scrisse “La 52a Brigata

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Garibaldi mi ha catturato oggi 27 aprile 1945 nella piazza di D ongo” . Poi gli aggiunsi: “Ed ora dite che vi abbiamo trattato male, picchiato, lasciato senza cena ecc.” . Mussolini di sua iniziativa ag­giunse: “ Il trattam ento usatom i durante e dopo tale cattura è stato corretto” . Indi lo firmò. Presi il foglietto, lo piegai, ringraziai e me lo misi in ta­sca. Più tardi quando venne Pedro a riprendersi Mussolini glielo consegnai a lui. Mussolini riprese a passeggiare. Io continuai a discorrere: “Dite — dissi — noi venimmo a conoscenza che nei giorni scorsi voi avevate avuto colloqui con parlamentari per una pace separata, è vero questo?” . Confermò lui: “ E vero. I giorni scorsi ebbi dei contatti per trattare una pace che però non mi fu possibile ac­cettare perché era senza condizioni e le condizioni potevano interessare non tanto me, quanto i fasci­sti in genere” . “Tanto — ora aggiunsi — dovran­no accettare la pace perché, secondo il mio mode­sto modo di vedere, la Germania avrà si e no qual­che giorno ancora da com battere e poi anche lei avrà finito, vi pare?” . Non mi rispose. M a con l’e­spressione del viso alzò bene le palpebre degli oc­chi come ad aprirli nella loro massima capacità volendo dire: “Può darsi!” . Lo interrogai: “Questi contatti dove li avete avuti?” “Nell’Arcivescovado— rispose — di M ilano” . Ed io mutando il discor­so che capivo l’opprimeva: “ E la vostra famiglia— chiesi — dove l’avete lasciata? Perché non avete pensato a m andarla in Isvizzera m ettendola in condizioni di vivere? Ora dove si trova?” . Mi disse: “ In una località tra Como e M ilano” . Rivoltomi ancora a lui: “E voi perché non avete cercato rifu­gio nella vicina Svizzera?” . “ Ieri, mi dissero — af­fermò l’ex Duce — che avevo tre ore di tempo per andare in Isvizzera, non accettai” . Ogni tanto uscivo per controllare il servizio di guardia, la­sciando coi prigionieri un Garibaldino. Porta nel frattempo era rientrato. Mussolini mi chiese anco­ra se gli altri fossero o meno venuti: “ Orm ai è troppo tardi e credo non verranno più per questa sera” . Con Porta Mussolini parlò di Barracu e rac­contò che la medaglia d ’oro di cui era fregiato, gli era stata conferita proprio perché fu un valoroso e raccontò il fatto che ora non ricordo. Chiese a Porta se conoscesse come si era fatto male Pavoli- ni (aveva fatto resistenza e gli fu sparato addosso). Porta asserì di non saperlo ed io pure dissi loro che non conoscevo il motivo, aggiunsi solo che se si fosse arreso in buon ordine come gli altri, nessuno

gli avrebbe fatto del male. “Anche il fatto che era Com andante delle brigate nere, per noi non vuol dire nulla — spiegai loro — quando uno viene ar­restato è protetto dalla legge e più nessuno gli può torcere un capello” . “Certo — gli ripetei — con le b.n. la popolazione ce l’ha un po’. Troppe ingiusti­zie ha commesso; vedete per esempio io rimasi al mio posto di servizio come Brigadiere di Finanza fino a ieri: nessuno mi torce un capello, nessuno mi fa del male, perché io ho rispettato tutto e tutti aiutandoli nel limite delle mie possibilità sempre s’intende nella legge” . Rispose Mussolini: “E... le guardie di F inanza hanno un ’altra disciplina, un ’altra istruzione” . Erano circa le 23,30. L ’ex condottiero espresse il desiderio di andare a ripo­sare. L’accompagnai nella camera per lui apposi­tamente preparata (fu messo a dormire nella pri­gione perché la camera più sicura e meglio sbarra­ta). Lì giunti egli si tolse la giubba, e in quell’occa­sione (ram m entando l’oggetto nero che avevo visto quando cenava) gli dissi: “ Scusate, ho l’im­pressione che siate arm ato” , egli si voltò di scatto e quasi adom brato di quella mia dom anda rispose: “No no no” e levò dalla tasca quell’oggetto nero per me tanto sospetto e che mi dava pensiero — vi­di — era l’astuccio di un paio di occhiali. Gli dissi convinto: “ E quello che avevo visto — ora sono si­curo che non siate arm ato” . Abbozzò un sorriso e continuò a spogliarsi. Lo invitai a guardare se gli bastassero o no le coperte ed egli dopo avere guar­dato e provato il peso delle stesse rispose: “Sì, così va bene” . Presi una coperta fuori uso che mi capi­tò di trovare e gliela misi a guisa di scendiletto. Fu contento di quel pensiero perché mi ringraziò cal­damente. A llora dissi: “ Vedete dunque che non siete in mano a delinquenti comuni — tranquilliz­zatevi e buona notte” “Buona notte” rispose lui. Tirai la porta dietro me e cominciai a fare cantare il catenaccio per ben sprangarla. Feci un giro per vedere che i servizi tanto interni quanto esterni vi­gilassero poi mi sdraiai sul letto così vestito. Erano le 24 da poco passate. Il Maresciallo Nanci che pu­re si trovava in caserma, mi disse di pure andare a dormire tranquillo che avrebbe vegliato per qual­che ora e poi mi avrebbe chiamato per il cambio. Erano la una e dieci minuti circa quando un Pa- triotta mi svegliava dicendomi che Pedro era arri­vato e voleva parlarmi. Mi recai subito da lui che mi disse: “ Sono venuto a prendere Mussolini, lo porto via” . “Sta bene” gli risposi. Mi recai nella

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cam era dove egli riposava feci cantare un’altra volta il catenaccio per aprire la porta, accesi la luce e Mussolini ancora non si svegliava. Scossi il letto ed egli guardandomi disse “ Che c’è” “ E arrivato l’ordine di partire” — gli risposi. “ Lo immagina­vo” rispose. Si alzò e noi chiudemm o la porta per lasciarlo vestire. Dopo dieci minuti circa era vestito. Il Comandante Pedro gli si avvicinò dicen­dogli: “Permettete che vi fasci il viso, dobbiamo passare diversi posti di blocco ed è bene che non vi conoscano” “Sì, sì” e lasciò fare. Presi la benda che Pedro aveva in mano, gli tolsi la bustina dalla testa e lo fasciai dal mento al capo, lasciandogli nudi solo il naso, gli occhi e la bocca. Erano esat­tamente le una e 35, Mussolini e Pedro con altri ar­m ati lasciavano la caserma delle G uardie di F i­nanza di Germasino per dirigersi verso Dongo.

Continuava a piovere. Rientrai e mi misi a dormi­re nel suo stesso letto di prigione, dato che doveva­mo darsi il cambio per mancanza di letti, fino al mattino. [...].

In fede

Visto si dichiara che la presente relazione fatta dal Brigadiere della G uardia di Finanza Buffelli G ior­gio risponde, per sommi capi, al vero. D etta rela­zione si compone di n. 12 fogli e tale relazione è stata fatta in 4 copie.

Dongo, 15 maggio 1945

Il comandante Pier Luigi Bellini delle Stelle

STUDI STORICISommario del n. 4, ottobre-dicembre 1995

Mario Liverani, La rivoluzione "neolitica" e la fine delle ideologie; Augusto Fraschetti, Roma: spazi del sacro e spazi della politica tra IV e V secolo-, Peter Partner, Guerra santa, crociate e jihad: un tentativo di definire alcuni problemi; Pasquale Villani, Agenti e diplomatici francesi in Italia durante la rivoluzione. Eymar e la sua missione a Genova (1793)

Opinioni e dibattitiEugenio Di Rienzo, "Illuminismo politico"? Alcuni problemi di metodo sulla storiografia politica del Settecento-, Sergio Manca, A proposito de L’antichità negata e l'Idea di progresso in N.A. Boulanger di Franco Venturi

Ricerche

Samuel K.Cohn jr., Insurrezioni contadine e demografia: il mito della povertà nelle montagne toscane (1348-1460)-, Francesco Manconi, Traffici commerciali e integrazione culturale nel mediterraneo occidentale tra Quattro e Cinquecento: Gian Giacomo Ortu, Famiglia e possesso contadino in contesto feudale: il caso sardo-, Giuseppe Cengiarottl, Un laboratorio politico culturale nell’Europa del Seicento: i Clamores Eliae di Comenio

Note critiche

Giorgio Vercellln, Sciiti nel mondo-, Emma Mana, Luigi Luzzatti e il suo tempo