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Tra fonti e ricerca
Arresto ed esecuzione di Mussolini nei rapporti della Guardia di finanza
Marino Viganò
Le vicende dell’arresto e dell’esecuzione di Mussolini sembrano, dopo cinquant’anni, sempre di attualità. Decine di libri, opuscoli, pamphlet polemici, centinaia di articoli e inchieste hanno raccontato il suo fermo sulla piazza di Dongo il 27 aprile 1945, la detenzione nella caserma della Guardia di finanza di Germasino, il trasporto verso Moltrasio nella notte, la riconduzione verso l’alto lago, la “custodia” a Giulino di Mezzegra, la fucilazione al cancello di villa Belmonte il pomeriggio del 28 stesso.
Sono indagini che riflettono nelle conclusioni metodi di ricerca in genere molto diversi: dalle ricostruzioni più attente dei fatti, a interpretazioni stravaganti, soprattutto se di taglio giornalistico e con l’assillo di dimostrare a tutti i costi la partecipazione di “ agenti segreti” a quelle vicende. È una produzione continua, che promette ancora nuove “ rivelazioni” o “verità” inedite su episodi che senza dubbio hanno anche aspetti controversi. Pochi titoli sembrano
avere però un valore di testimonianza o un interesse per la storiografia. Fra le pubblicazioni più attendibili vi sono i resoconti di protagonisti diretti: il libro di Pier Bellini delle Stelle, “ Pedro” , comandante la 52a brigata Garibaldi, con testi di Urbano Lazzaro, “ Bill” , vicecommissario politico1; il diario dello stesso Lazzaro2; la testimonianza di Michele Moretti, “Pietro Gatti” , commissario politico della stessa brigata3; le memorie di Walter Audisio, il “colonnello Valerio” , membro della segreteria del comando generale del Corpo volontari della libertà4.
Anche le ricostruzioni storiche con un buon apparato di documenti si riducono a cinque o sei, e fra queste la più sobria sembra restare quella di Candiano Falaschi, basata in parte su testimonianze5. Le altre, in genere, attribuiscono la fucilazione di Mussolini e di Claretta Petacci all’uno o all’altro dei protagonisti (Walter Audisio, Michele Moretti e Aldo Lampredi, anch’egli membro
L’autore desidera ringraziare i testimoni che hanno precisato alcuni particolari di quelle vicende e il comando della Scuola allievi della Guardia di finanza, Roma, per aver consentito la riproduzione dei documenti, riportati in appendice in linea di massima secondo l’ordine cronologico degli avvenimenti e corretti solo negli errori di ortografia.1 Pier Bellini delle Stelle, Urbano Lazzaro, Dongo ultima azione, Milano, Mondadori, 1962.2 Urbano Lazzaro, Il compagno Bill. Diario dell’uomo che catturò Mussolini, Torino, Sei, 1989.3 Giusto Perretta, Dongo, 28 aprile 1945. La verità nel racconto di Michele Moretti "Gatti Pietro", Commissario politico della 52° Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" protagonista della esecuzione di Mussolini, Como, Actac, 1990.4 Walter Audisio, In nome del popolo italiano, Milano, Teti, 1975.5 Candiano Falaschi, Gli ultimi giorni del fascismo. Come furono giustiziati Mussolini e i gerarchi. Le testimonianze dei protagonisti dell’ultimo atto della Resistenza, Roma, Editori Riuniti, 1973, pp. 73-97, con un’appendice di testimonianze di Emilio Sereni, Renato Scionti, Giovanni Aglietto, Michele Moretti, Mario Ferro.
Italia contemporanea”, marzo 1996, n. 202
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del comando generale Cvl)6, o ancora — ma in modo non convincente — ad altri personaggi chiamati in causa per dare spessore alla tesi della “doppia fucilazione” del capo del fascismo e della sua amante7.
C’è poi una massa di scritti di valore trascurabile, per lo più di carattere nostalgico e con conclusioni forzate il cui intento è mettere in evidenza l’autore più che le vicende ricostruite. Scritti falsati di solito da tre fattori fra loro connessi: carenza di indagine sulle fonti orali o archivistiche e sull’esatta geografia e cronologia degli avvenimenti; manipolazione o distorsione delle fonti consultate per dimostrare una tesi prefabbricata; interpolazione disinvolta di fonti controllate e autentiche con altre di provenienza dubbia.
È abbastanza significativo che le “rivelazioni” più suggestive seguano quasi sempre la scomparsa dei protagonisti: ad esempio, dopo la morte nel 1969 di Alfredo Mordini, “Riccardo”, comandante del plotone d’esecuzione di Dongo; di quella di Walter Audisio e Aldo Lampredi nel 1973; di Luigi Longo, comandante generale delle brigate “Garibaldi” , nel 1980. Deceduto lo scorso anno Michele Moretti, c’è da aspettarsi qualche altra novità: i morti non possono replicare alle “inchieste” ...
Alcuni degli ultimi titoli sono esemplari di questa tendenza, e possono soltanto disorientare il lettore che certo non può verificare fatti e interpretazioni di quel momento tanto concitato della storia della Resistenza. Un momento, vale ricordarlo, nel quale l’esecuzione di Mussolini — decretata e sanzionata in piena legalità dalle disposizioni del governo luogotenenziale e del Clnai — non è stato che un episodio rispetto a questioni più urgenti quali organizzare il “governo del popolo” dei Cln e preparare in una situazione eccezionale il ritorno alla normalità8. Sui “fatti di Dongo” esistono invece fonti di prima mano ancora in tutto o in parte inedite, utili a confermare o puntualizzare quanto accaduto. Un caso esemplare è dato dai rapporti dei sottufficiali della Guardia di finanza che sono stati protagonisti o testimoni diretti dell’arresto e della detenzione di Mussolini, e cronisti indiretti della sua fucilazione per aver ascoltato i racconti immediati (per lo più in dialetto) dei partigiani del luogo in quelle stesse giornate, prima cioè dell’avvio della saga tuttora inconclusa sulla esecuzione di Mussolini9.
Sono sette le relazioni che trattano di questi episodi, redatte fra il 2 maggio e l’8 agosto
6 Cfr. per esempio Franco Bandini, Le ultime 95 ore di Mussolini, Milano, Mondadori, 1968 (ed. orig. Milano, Sugar, 1959); Giulio Guderzo, Missione a Dongo, “Annali di Storia Pavese” 1982/83, n. 8/9; Gianfranco Bianchi, Fernando Mezzetti, Mussolini aprile '45: l’epilogo, Milano, Editoriale Nuova, 1985 (ed. orig. 1979); Fabio Andriola, Appuntamento sul lago. L'ultimo piano di Benito Mussolini, Milano, SugarCo, 1990; Franco Giannantoni, "Gianna" e "Neri": vita e morte di due partigiani comunisti. Storia di un "tradimento" tra la fucilazione di Mussolini e l ’oro di Dongo, Milano, Mursia, 1992.7 In questo senso, molto carente come impianto e deduzioni è Franco Bandini, Vita e morte segreta di Mussolini, Milano, Mondadori, 1978, mentre “scivola” di nuovo sulla fucilazione di Mussolini la buona e ben documentata ricostruzione di Alessandro Zanella, L ’ora di Dongo, Milano, Rusconi, 1993.8 Si veda, per tutti, sugli aspetti giuridici dei provvedimenti contro i gerarchi fascisti, Romano Canosa, Le sanzioni contro il fascismo, Milano, Mazzotta, 1978, e, per i decreti del Clnai, a partire dal manifesto “Arrendersi o perire!” del 19 aprile 1945 sino al decreto sui poteri giurisdizionali del Clnai del 25 aprile e alla dichiarazione sulla fucilazione di Mussolini e dei suoi complici del 29 aprile, Gaetano Grassi (a cura di), "Verso il governo del popolo". Atti e documenti del Clnai 1943/1946. Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 309-311, 324-328 e 334-335.9 II ruolo fondamentale della Gdf nei “fatti di Dongo” è stato cosi riassunto: “Meno noto è che il partigiano Urbano Lazzaro, l’uomo che materialmente catturò Mussolini, era un finanziere della Legione di Milano, espatriato l’8 settembre e quindi rientrato in Italia per partecipare alla lotta partigiana. [...] La stessa mattina del 27 aprile, il comandante della 52a Brigata, Bellini delle Stelle, non potendo affrontare con i suoi uomini (26 in tutto) l’autocolonna ferma a Musso, ritiene di entrare in trattative allo scopo di temporeggiare per preparare una difesa. Infatti, il comandante ‘Pedro’ con un ufficiale tedesco va a parlamentare a Morbegno con il Comando dei patrioti. Quando essi tornano verso le ore
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1945. Segnalate la prima volta nel 1959 da Franco Bandini (che peraltro ne trascriveva una sola, e da una versione che presentava discordanze rispetto aH’originale)10, hanno le caratteristiche dei rapporti di servizio delle forze armate con compiti d’istituto quali appunto i carabinieri e la Guardia di finanza: stile burocratico, sforzo di precisione e sobrietà e indicazione di più fonti sulla dinamica dei fatti riportati.
Gli autori di questi rappòrti — qui proposti secondo l’ordine cronologico dei fatti — sono il maresciallo capo Francesco Di Paola, della brigata di Dongo, il tenente colonnello Luciano Bosisio (per Urbano Lazzaro, già brigadiere della Gdf), il brigadiere Antonio Scappin, della brigata di Gera Lario, il brigadiere Antonio Spadea, comandante la brigata di Germasino, il maresciallo capo Francesco Nanci, della stessa brigata, il brigadiere Giorgio Buffelli, della brigata di Dongo. Quattro i momenti sui quali contribuiscono a dare una testimonianza più attendibile: a) le circostanze dell’arresto del dittatore; b) la detenzione a Germasino; c) la comunicazione a Milano dell’accaduto; d) le decisioni prese al momento sulla sua sorte.
La casualità del fermo di Mussolini sulla piazza di Dongo nel pomeriggio del 27 aprile è confermata da tutti i rapporti. Come attestano anche le guardie di finanza, essa avviene nel corso dell’ispezione eseguita da loro, da alcuni patrioti e da cittadini del luogo a una colonna della Luftwaffe in ripiegamento alla quale a Menaggio, quel mattino, si erano accodati i fascisti. La colonna, bloccata
fra Musso e Dongo in località “Puncett” , ottiene il “via libera” solo a patto di abbandonare quegli italiani. Ricordava alcuni anni fa uno dei protagonisti dell’arresto di Mussolini, il partigiano ed ex finanziere Urbano Lazzaro:
A Dongo, ho chiamato una decina di garibaldini ed ho spiegato cosa dovessero fare. Mentre la colonna scendeva, ho avvisato gli uomini al ponte della Vallorba pronti con le micce a far volare le mine: “ G uardate sempre me, in piazza a Dongo: se do l’ordine, fate saltare” . Ho istruito, dunque, una decina di garibaldini su ciò che dovessero fare, e cioè il controllo dei documenti militari dei tedeschi che si trovavano sui camion. A rrivato Fall- meyer, si è posto in testa, quasi alla fine della piazza in direzione Gravedona ma sempre sul lato via Regina: poi, ad uno ad uno, sono scesi i camion. Sono salito sul primo. Ad un certo momento, mi sento chiam are, scendo ed è un garibaldino: lo manda “Pedro” per avvisarmi che gli è stato riferito che c’è M ussolini nella colonna. Rispondo: “Va bene” , ridendo naturalm ente, perché non ci credo. R im onto sul camion, compio la mia ispezione e poi salgo sul secondo. Dopo alcuni minuti, risuona una sparatoria sul “Puncett” ed io, in alto sul camion, guardo i miei con la mitraglia sul molo e sul balcone e quelli al ponte della Vallorba. Ho visto, comunque, che Fallmeyer e i suoi ufficiali sulla macchina davanti non si muovevano, i tedeschi sui camion non si muovevano, sempre con il M auser in spalla, e ho respirato. La sparatoria sul “P uncett” è durata una decina di minuti. A Dongo abbiam o ripreso il controllo dei camion. Dopo un po’, viene Giuseppe Negri, uno dei dieci incaricati dell’ispezione e della verifica dei documenti dei tedeschi: è tutto agitato, e io gli domando cosa abbia. Negri mi dice: “A ghe chi el cra-
13, tutti i preparativi per la difesa erano stati condotti a termine; era stato minato il ponte di Vallorba con esplosivo reperito dal brig. Buffelli e si era costituito un gruppo di un centinaio di armati (uomini e armi, come abbiamo visto, provenienti da Menaggio). Viene concesso alla colonna di passare, previa perquisizione per fermare gli italiani eventualmente a bordo. Sulla piazza di Dongo, durante la visita dell’autocolonna sono individuati prima il Ministro Romano, che indossava un cappotto grigioverde, e quindi Mussolini. Sono poi catturati altri gerarchi. Mussolini e Porta vengono scortati presso la brigata di Germasino, ove rimangono sotto la sorveglianza del mar.c. Nanci e del brig. Buffelli. In tale occasione quest’ultimo si fa rilasciare da Mussolini una dichiarazione scritta sulla sua cattura e sul trattamento usatogli” . Cfr. Giuliano Oliva, La guardia di finanza nella guerra di Liberazione, Roma, Scuola allievi della Guardia di Finanza, 1986, p. 263.10 F. Bandini, Le ultime 95 ore, cit., pp. 165-186.
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pun\”. Gli rispondo: “M a va, che stai sognando: sei stanco, vai a dormire...” “M a no, no, te lo giuro: è proprio lui, l’ho visto io!” . Gli dico: “ Se l’hai visto, dimmi un po’ dove l’hai visto” “ G uarda, è su un camion qui vicino, vestito da tedesco. ‘Bill’, ti giuro che è proprio Mussolini, l’ho riconosciuto subito” “Raccontami” . Negri mi dice: “ Sono salito su un camion, ho esaminato tutti i documenti e il resto. Dabbasso al camion c’era il maresciallo della Finanza Francesco Di Paola che mi ha raccom andato di osservare bene tu tti. Passati tu tti quanti in rivista, ho visto che ce n’era uno seduto vicino alla cabina, con il bavero rialzato e un mucchio di coperte, una delle quali gli copriva in parte una spalla. Sono andato a chiedergli i documenti, ma gli altri tedeschi sul camion mi hanno detto: ‘Quello cam erata ubriaco, cam erata ubriaco’. N on ho dato loro retta, mi sono avvicinato, gli ho abbassato il bavero e, visto di profilo, l’ho riconosciuto subito: ‘Bill’, è lui, è Mussolini! D ato che i tedeschi erano armati, ho fatto finta di niente e sono sceso. Il maresciallo Di Paola mi ha chiesto cosa c’era, ma io non gli ho risposto e sono venuto a cercarti” “ Beh, andiam o a vedere” . Effettivamente, vedo sul quarto camion della colonna una sagoma accasciata a terra verso la cabina, con vicino un mucchio di coperte e indosso un pastrano tedesco. Allora, mi avvicino all’uomo alle spalle, da terra del camion, e attraverso la sponda gli batto sulla schiena e lo chiamo: “camerata!” . Non un movimento, niente. Ribatto sulla schiena: “Eccellenza!” , niente. Un poco innervosito, batto di nuovo sulla schiena: “Cavalier Benito Mussolini!” . La figura ha avuto come una scossa elettrica, e mi sono convinto che fosse lui. Sono salito immediatamente sul camion, gli ho tolto l’elmetto tedesco e gli occhiali scuri: era M ussolini".
Il secondo episodio è il trasferimento di Mussolini e dell’ex commissario federale di Como, Paolo Porta, alla caserma della Gdf di Germasino, sopra Dongo. Le complicate ipotesi sui motivi di questo trasferimento — interventi del Cvl di Milano, dei “servizi segreti” alleati, di cellule fasciste già infiltrate a Germasino — non trovano riscontro nei 11
rapporti della Gdf. Il brigadiere Giorgio Buf- felli scrive già nel suo rapporto che l’idea era venuta a lui come semplice misura di sicurezza. In quella caserma, Buffelli e il maresciallo Francesco Nanci raccolgono dalla viva voce di Mussolini una specie di “confessione” su alcune sue scelte degli ultimi mesi e sui motivi del ripiegamento su Como e Menaggio nelle giornate precedenti. Ancora nel 1989 Buffelli ribadiva:
Come recita anche un rapporto: “Oggi, venerdì 27 aprile nella piazza di D ongo...” , il 27 aprile io ero al comando della brigata della Guardia di Finanza di Dongo. Ricordo che era un venerdì, perché la dichiarazione rilasciatami da Mussolini a Germasino era proprio in quei termini. Abbiamo fermato la colonna al “Puncett” e, in seguito, siamo scesi a Dongo con la colonna, che si è fermata in piazza per l’ispezione. Chi in un modo, chi in un altro è salito sugli automezzi, poi un calzolaio, certo G iuseppe Negri, ha visto M ussolini, è sceso dal camion, ha incontrato U rbano Lazzaro, “ Bill” , e gli ha riferito: “Guarda che sul camion c’è M ussolini!” . Dunque, quel Giuseppe Negri ha riconosciuto M ussolini, poi “ Bill” è salito sul camion, ha detto a Mussolini: “Scenda” e Mussolini è sceso. Poi l’hanno condotto nel municipio di Dongo. Attraverso l’ispezione si voleva controllare se i tedeschi avessero armi. M a escludo che si sapesse che c’era Mussolini nella colonna. Io ero proprio vicino alla scena dell’arresto di Mussolini, ma il vero e proprio pro tagonista dell’arresto è stato U rbano Lazzaro, “ Bill” , com missario politico del “Puecher” : lui ha preso in consegna Mussolini e l’ha condotto in municipio. Si sono fermati un po’ di tempo in municipio. Dopo un po’, “Pedro” è uscito e mi ha detto: “G uardi che la gente continua ad entrare e a ingiuriare, non si può lavorare!” . Io, allora, ho consigliato: “ Dai retta a me, porta via Mussolini da D ongo” “ Dove?” “ Beh, io lo porterei a G erm asino” . Io conoscevo bene quella caserma: era isolata, facile da difendere. Io stesso ho consigliato quella soluzione a “Pedro” . Mi è venuta in mente Germasino perché aveva alle spalle la montagna ed era facile da difende
11 Testimonianza resa all’autore di Urbano Lazzaro (nato a Quinto Vicentino il 27 ottobre 1924), San Germano Vercellese, 15 settembre 1988.
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re. Avrei potuto consigliare di portare Mussolini a Gera o Gravedona, ma per difenderlo bene c’era Germasino. Tenuto conto della topografia e tenuto conto che tutti erano sulla strada Regina, quello era il posto ideale. Nella peggiore delle ipotesi, con un paio d ’ore di buon cammino si sarebbe arrivati in Svizzera (tanto per dire). Noi abbiamo messo Mussolini a Germasino solo per permettergli di riposare, perché anche lui era frastornato; e poi, c’era gente che entrava e usciva dal municipio, c’erano epiteti che volavano con facilità. Il trasferimento sarà avvenuto sicuramente alle ore 18 o 18,30. Se a Como si sapesse già qualcosa a quell’ora, magari per telefono? I telefoni non funzionavano. Io penso che notizie ne abbia comunicate il Cln, subito. A Dongo c’era la ferriera Falck e può darsi che là avessero un telefono interno. Mussolini è stato accompagnato a Germasino con una scorta. Una piccola scorta c’era. Sulla prima auto c’eravamo l’autista, Porta, Mussolini, Pier Bellini delle Stelle ed io. Poi, può darsi che ci sia stata un’auto di scorta, con un certo “Ettore” , Luigi Corbetta. Quando è stato trattato da noi a quel modo, Mussolini si è rasserenato, magari pensando: “Beh, sono in mano a truppe regolari” . Inoltre, Mussolini ha constatato la buona predisposizione di “Pedro” e “Bill” . A Germasino c’era il maresciallo Spadea, che comandava la brigata. Io sono salito a Germasino con “Pedro” soltanto per aiutare a far la guardia a Mussolini, ed è ciò che ho fatto. A Mussolini abbiamo anche dato da mangiare ciò che ha chiesto, con quanto si trovava: capirà, aver procurato un caffè lassù... Mussolini ha mangiato un po’ di verdura, una minestrina e ha bevuto un caffè che gli abbiamo preparato. Altri finanzieri di guardia non ne ricordo, anche se sicuramente ci sarà stato qualche finanziere. Ma, più che altro, c’erano diversi garibaldini, perché di fatto il potere lo detenevano loro in quanto partigiani. In quel momento, era naturale scambiarsi
qualche parola mangiando. Mussolini mi ha domandato: “ Secondo te, cosa mi faranno?” “La giudicheranno” “Per che cosa?” “Pensi lei di che cosa” “M a prima di giudicare me, giudicheranno il re” . Era giusto anche quello, perché quando uno si deve difendere, si difende. Quell’epilogo non rallegrava certamente Mussolini, ma anzi lo angustiava, lo preoccupava: ma, ovviamente, ciò è naturale. Mussolini parlava più che altro con Paolo Porta. Io ho cenato con Mussolini e Porta, e Mussolini parlottava più con Porta. Comunque, delle sue vicende non si è parlato molto. E stato prelevato verso le ore 1,30 o le 2 meno un quarto del 28 aprile, da Pier Bellini delle Stelle. “Pedro” l’ha portato a Germasino e sempre “Pedro” lo ha portato via da là12.
Più tardi Erminio Dell’Era, “ Pierin” , garibaldino della 52a brigata “Clerici” , rivendicherà il merito di aver suggerito al brigadiere Buffelli, a Germasino, di far compilare a Mussolini una dichiarazione sul luogo preciso dell’avvenuto arresto e sul trattamento ricevuto dai patrioti e partigiani di Dongo durante e dopo la cattura13.
Il terzo particolare è la comunicazione dell’accaduto al comando generale del Cvl a Milano. Il comandante la legione di Milano della Gdf, colonnello Alfredo Malgeri, ha scritto: “La prima notizia della cattura di Mussolini mi perviene a Milano nel tardo pomeriggio del 27 aprile, mentre sono a conferire con il neocommissario per la provincia, ingegner Riccardo Lombardi. E una notizia imprecisa, vaga, comunicatami da un finanziere, venuto appositamente non so da dove. Ne do comunicazione anche al Comando generale del Cvl, dove più tardi sono invitato a presentar-
12 Testimonianza resa all’autore di Giorgio Buffelli (nato a Chaunsiers ITI gennaio 1913), Bergamo, 10 maggio 1989.13 “Dichiaro che mentre ero di guardia, a Mussolini e al Federale Porta, con diversi altri compagni, nella caserma di Finanza di Germasino, la sera stessa in un comunicato radio, sentimmo: ‘Mussolini è stato fermato sul Lago di Como, pare in località di Nesso’. Al ché mi rivolsi al Brigadiere Buffelli e gli dissi: ‘Non senti cosa dicono? Non sarebbe meglio far fare una dichiarazione che è stato fermato da noi?’. Lui rispose: ‘Giusto’ e andò nella stanzetta attigua a prendere un pezzo di carta; lo porse a Mussolini invitandolo a dichiarare ciò che effettivamente era accaduto. Mussolini prese la penna e scrisse ‘Sono stato fermato oggi dalla 52esima Brigata Garibaldi a Dongo. Il trattamento usatomi prima e dopo l’arresto è stato corretto’. Dichiaro inoltre che all’una di notte circa, quando Pedro arrivò con gli altri quattro gerarchi fascisti, invitai Buffelli a consegnare il documento scritto da Mussolini a Pedro stesso. Ciò che effettivamente avvenne” . Cfr. Giusto Perretta (a cura di), La 52a Brigala Garibaldi “Luigi Clerici" attraverso i documenti, Como, Istituto comasco per la storia del Movimento di liberazione, 1991, p. 566.
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mi” 14. A questo riguardo Bandini ha precisato: “A noi personalmente ‘Pedro’ ha dichiarato che, essendo il telefono di Dongo o guasto o interrotto, pensò bene di inviare ‘qualcuno’ sulla sponda opposta del lago per telefonare da Lenno. Pare di ricordare, a ‘Pedro’, che appunto ci si dovette servire di una barca, e che l’incaricato fu uno dei marescialli o brigadieri della Guardia di Finanza” , e ancora:
Potevano essere circa le 18, o al massimo le 18,30, quando il colonnello Alfredo Malgeri, che si trovava a colloquio con il neo-prefetto di M ilano, Riccardo Lombardi, vide aprirsi la porta della saletta prefettizia, ed entrare un graduato della Finanza. Non ricorda se fosse un suo diretto dipendente o un finanziere di qualche comando di Circolo periferico: oggi, a tan ta distanza di tempo, ha l’impressione, il vago ricordo, che si trattasse più di un finanziere esterno che di uno della città. Presume cioè che il messaggio recatogli fosse arrivato più facilmente per strada ordinaria che per telefono. “Signor colonnello” riferì il giovanotto “la Guardia di Finanza ha catturato Mussolini” . Immediatamente il prefetto Lombardi si alzò col volto improvvisamente illuminato, e strinse calorosamente la mano al colonnello Malgeri: “Bene, bene, molto bene. In questi giorni la vostra Guardia, colonnello, si sta coprendo di gloria” 15.
Secondo il brigadiere Vincenzo Dell’Acqua, nome di battaglia “Caterina” , responsabile dell’“ufficio falsi” della Gdf nel periodo clandestino, collaboratore del comando generale del Cvl, medaglia d’argento della Resistenza,
“la notizia della cattura di Mussolini è giunta a Milano direttamente nel momento in cui Mussolini è stato arrestato: è giunta al comando della Guardia di Finanza perché Mussolini fu condotto in una caserma della Guardia di Finanza” .
Aggiunge Dell’Acqua che l’informazione dev’essere stata comunicata “subito dopo la cattura” dai “comandi locali” , forse dal “brigadiere che comandava quel reparto” , ma che “il comando generale del Cvl ne era già al corrente, tramite partigiani conosciuti o sconosciuti come tali” 16. Dunque, un messaggio pervenuto quasi in contemporanea da fonti diverse a diversi comandi, uno militare, la Guardia di finanza, l’altro politicomilitare, il comando generale del Cvl.
Di sicuro, una conferma arriva dalle successive telefonate intercorse circa alle ore 19-20, fra il Clnai a Milano e il brigadiere Antonio Scappin a Gera Lario “per mezzo della linea diretta della Società elettrica Co- macina” : proprio in quell’occasione Scappin dà “i primi particolari sull’arresto di Mussolini e sui principali fatti dei quali ero stato testimone diretto e indiretto” . E riceve istruzioni quantomeno sorprendenti: di “ ’vigilare Mussolini senza fargli del male, anzi di usargli un trattamento buono’, e testualmente: ‘piuttosto che fargli del male lasciarlo andare’” . Notizie più precise arriveranno a Milano alle 21,5017 e alle 23,2018, portate da due fonogrammi del tenente colonnello della
14 Alfredo Malgeri, L ’occupazione di Milano e la liberazione, Milano, Comune di Milano, 19832, p. 142.15 F. Bandini, Le ultime 95 ore, cit., pp. 200-201 e 205-206.16 Testimonianza resa all’autore di Vincenzo Dell’Acqua (Matera, 15 agosto 1912 — Milano, 10 gennaio 1991), Milano, 7 giugno 1989.17 “N. 11.319 = Il Comandante Comitato Liberazione Menaggio Ten. Col. p.a. Villani Luigi comunica che Mussolini, Pavolini e Farinacci sotto buona scorta sono partiti per essere tradotti carceri Milano. Inoltre comunica che è stato arrestato il Comandante della Legione ‘Muti’. I primi sono stati arrestati a Dongo e il Colombo a Cadenabbia”. Cfr. “Fonogramma 12.496 dal Comando gruppo Guardia di Finanza Como al Comando legione Guardia di Finanza Milano, li 27 aprile 1945 — ore 21,50. F.to Capitano Lazzeri” , in Archivio della Scuola allievi della Guardia di Finanza, Roma (d’ora innanzi: Asgdf), Documento n. 276.18 “Il Comandante Ten. Col. Villani Luigi seguito precedente fonogramma rettifica: Di presenza ho constatato che il Duce e il suo segretario particolare si trovano nella caserma Guardia di Finanza di Germasino. Il Commissario Federale Como — Porta — Medaglia d’Oro Barracu — Casalinuovo, ufficiale d’ordinanza addetto al Duce, Bombacci Nicola, Pavolini, Utimerg, Vice Comandante Blinda, fermati dalla 52a Brigata Garibaldi” . Cfr. “Fonogramma 12.497 dal Co-
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Gdf Luigi Villani, allora residente a Menag- gio, che asserirà tra l’altro — ma risulta non vero — di essere salito a Germasino19. In quelle ore, e le istruzioni date a Scappin ne sono conferma, sono già in azione nell’ambito del comando generale del Cvl le opposte volontà di chi vuole Mussolini vivo a tutti i costi, e di chi, con altrettanta determinazione, lo vuol morto.
E il quarto “momento” illustrato — secondo chi scrive in modo attendibile — da documenti e testimonianze della Gdf, cioè il nodo della fucilazione di Mussolini. Il colonnello Malgeri nelle sue memorie ne dà una versione
in parte edulcorata, fatto comprensibile dato che escono nel 1947 con tutti i protagonisti viventi e appena rivelata l’identità del “colonnello Valerio” , Walter Audisio, indicato come l’esecutore20. Il colloquio fra Audisio e Malgeri, avvenuto la sera del 27 aprile alla sede del Cvl in presenza di Fermo Solari, rappresentante del Partito d’azione, avrebbe avuto secondo Bandini questo tenore:
“ C olonnello” esordì “ stiam o per affidarvi una missione dopo la quale potrete chiedere ed avere qualsiasi ricom pensa o prom ozione vorrete. Si tra tta di una missione di grande delicatezza, per la quale noi riteniamo siate particolarmente adat-
mitato Liberazione Menaggio al Comando legione Guardia di Finanza Milano, li 27 aprile 1945 — ore 23,20. F.to Ten. Col. Villani” , in Asgdf, Documento n. 277.19 E questo viene difatti contestato duramente dal brigadiere Buffelli: “Villani sarà stato a Germasino in spirito! Io non ho visto Villani! Di fronte a certi fatti, bisognerebbe usare il condizionale in tutto. Io, comunque, sarei disposto a giurare che Villani non c’era a Germasino: a meno che vi fosse in spirito. Ma forse, Villani intendeva dire di presenza come ‘con la mia azione, anche se a Menaggio, attraverso gli uomini a Germasino’. Certo, la cosa è piuttosto astrusa quando afferma la sua presenza a Germasino: stava forse vaneggiando?”: testimonianza all’autore di Giorgio Buffelli, cit.20 “ Mi attende il colonnello Valerio, il quale, in presenza di Somma (ing. Fermo Solari), mi prega di scortare Mussolini fino a Milano, avvertendomi che ogni provvedimento sarebbe giustificato per impedire eventuali tentativi di fuga. È un incarico di estrema delicatezza. Sono molto stanco, rispondo senza impegnarmi. Non ho una precisa conoscenza della situazione, che mi riservo di chiarire. Mi avvio verso il comando di Legione, dove cerco di prendere subito collegamento telefonico con Menaggio, ma non vi riesco e d’altra parte il Comando del Circolo di Como non mi sa dare notizie approssimativamente esatte. Intanto, le chiamate al telefono da parte di Valerio per me si susseguono. Gli faccio comprendere che non ritengo di poter portare a compimento la missione. Alle ore 21,30, con fonogramma n. 11319, il comandante del Circolo di Como mi avverte, erroneamente, in seguito a spiegabile errata segnalazione del tenente colonnello Luigi Villani da Menaggio, che ‘Mussolini, Pavolini e Farinacci, sotto buona scorta sono partiti per essere tradotti alle carceri di Milano’. Ne informo Valerio, il quale mi chiede precisazioni al riguardo e insiste nella sua precedente richiesta. Gli rispondo che non ho la possibilità di aderire. Alle ore 23,20 mi perviene altro fonogramma, questa volta direttamente dal tenente colonnello Villani, così concepito: ‘Di persona ho constatato che il duce e il segretario particolare si trovano nella caserma Guardia di Finanza di Germasino. Il commissario federale di Como, Porta, medaglia d’oro Bar- racu, Casalinuovo, ufficiale d’ordinanza del duce, Bombacci Nicola, Pavolini, Utimpergher, vicecomandante Blinda fermati 52a Brigata Garibaldi’. Ne informo anche questa volta, a mezzo telefono, Valerio, il quale mi dice che s’interesserà lui personalmente della faccenda per evitare che Mussolini possa fuggire” . Cfr. A. Malgeri, L ’occupazione di Milano, cit., pp. 142-143, versione ribadita nel corso dell’istrattoria del processo “dell’oro di Dongo”, celebrato poi a Padova nel 1957: “Ero a Milano. Il pomeriggio del 27 aprile mi trovavo in prefettura nell’ufficio del commissario, quando arrivò un finanziere della zona di Como il quale comunicò che era stato fermato Mussolini. Erroneamente egli precisò che al fermo avevano proceduto le guardie di Finanza. Lo riferii subito al Lombardi, commissario, e demmo subito comunicazione al Cvl, non ricordo a chi personalmente, per telefono. Non ricordo se telefonai io o il Lombardi. Ritornato in caserma, la sera stessa fui invitato al Comando Cvl dove fui ricevuto dal col. Valerio e dall’ing. Solari. Parlò sempre Valerio, approvato dal Solari. Egli mi disse: ‘Il Cvl le affida un incarico delicatissimo: quello di prelevare Mussolini e di accompagnarlo a Milano’ ed aggiunse che in nessun caso Mussolini doveva cadere in mano di altri. Io non sapevo dove si trovasse, chi lo avesse catturato: niente. Mi riservai: tornato in caserma telefonai a Como, a Menaggio ecc.: nessuna notizia. Finalmente alle ore 23.20 dal maggiore Villani mi pervenne un fonogramma che mi annunciava che Mussolini era stato fermato dalla 53a [rede 52a] brigata Garibaldi e si trovava nella caserma di Germasino. Comunicai a Valerio la notizia dicendogli che non avevo autorità di eseguire l’incarico, dato il fermo da parte della 53“ [recte 52“] brigata: Valerio mi rispose ‘va bene, non fa niente, provvederò io’”. Cfr. Verbale d’interrogatorio n. 340 (301): Malgeri Alfredo, in Atti della Corte d’Assiste di Padova (Archivio del Tribunale di Padova).
120 Marino Viganò
to. Dovete recarvi a prendere in consegna M ussolini, con i mezzi che riterrete opportuni, per tra sportarlo a Milano. Naturalmente (pausa), naturalmente, voi sapete meglio di me come possono term inare queste cose. Normalmente gli arrestati tentano di fuggire, ed è logico che lo facciano. Ne viene di conseguenza che questi incarichi finiscono con il risolversi nella m orte di coloro che tentano la fuga: le dichiaro qui che il Com ando Generale non vedrebbe nulla di male in una soluzione del genere alla sua missione, tanto più che, come lei sa, c’è anche il pericolo che M ussolini possa cadere vivo nelle mani degli Alleati. Quindi, come le ripeto, una soluzione del genere non sarebbe sgradita al Comando. Anzi (pausa), noi tutti gliene saremmo molto grati”21.
Si trattava insomma di “ far fuori” Mussolini senza esitazione, inscenando un tentativo di fuga durante il trasporto a Milano. Di questo colloquio, Walter Audisio nelle sue memorie non fa cenno. Fermo Solari, chiamato in causa da Malgeri, negherà di avervi assistito e tenderà inoltre in buona fede ad attenuare il senso e la gravità della richiesta di “Valerio” allo stesso Malgeri, comandante la legione della Gdf di Milano:
Al Com ando Generale del Cvl la notizia della cattura di Mussolini da parte di una brigata garibaldina e con l’intervento anche di una brigata della G uardia di F inanza, è pervenuta la sera del 27 aprile, ma l’informazione era ancora molto sommaria, e tuttavia fin da quel momento sono state prese iniziative per dare esecuzione alle decisioni del Clnai. [...] Franco Bandini alle pagg. 206-207-214 del suo libro “ Le ultime 95 ore di Mussolini” , riferisce di un colloquio tra Audisio (col. Valerio — solo in quei giorni da noi conosciuto perché addetto al Com ando clandestino delle formazioni Garibaldi) ed il col. Malgeri — comandante la Legione della Guardia di Finanza di Milano. Di tale colloquio ho avuto altre volte notizia, ma debbo invece deplorare il modo come il colloquio viene riferito, giacché l’autore sembra voler insinuare che per uccidere Mussolini si do
vesse simulare un tentativo di fuga. Soltanto per am ore della verità voglio inoltre precisare che, contrariam ente a quanto asserisce lo scrittore Bandini a pagina 206 del suo libro, non ho assistito al colloquio sopra menzionato: con il col. M algeri avevo avuto dei contatti da parecchi mesi, e di tale dichiarata mia presenza in quel colloquio non so se lo sbaglio sia di Malgeri o di Bandini, fatto si è che non potrei non ricordarmene data l’importanza dell’argomento trattato , e dato anche che essendo io nel Cvl gerarchicamente superiore ad Audisio, non sarebbe stata comprensibile la mia presenza senza una diretta partecipazione al colloquio stesso22.
Solari smentisce dunque la sua presenza al colloquio. Questo non basta però a dimostrare che quella drammatica richiesta di prelevare Mussolini e ucciderlo nel tragitto verso Milano non sia stata rivolta da “Valerio” a Malgeri. Fattagli per telefono, nella confusione il colonnello Malgeri può aver sovrapposto momenti diversi dello stesso episodio. Che viene confermato ed esce anzi in tutta la sua crudezza da una testimonianza dell’al- lora brigadiere Dell’Acqua, incaricato appunto della sommaria soppressione di Mussolini:
Ero presente al Comando generale del Cvl quando si è saputo della cattura di Mussolini. Mi fu anche richiesto dal colonnello Malgeri di andare a prendere Mussolini e portarlo a Milano, su disposizione del cosiddetto “colonnello Valerio” . D isposizione alla quale io, sensatamente, mi opposi, perché la G uard ia di F inanza non aveva niente a che fare con dei partiti politici o altri enti, né poteva andare a prendere un uomo così importante e, durante il tragitto verso Milano, far finta di niente e sopprimerlo! [...] La richiesta è partita da “Valerio” per il colonnello Malgeri. Il colonnello M algeri ebbe l’incarico di espletare, tram ite persone di fiducia, tale compito. Il colonnello Malgeri effettuò ricerche e io e un altro ufficiale, l’allora tenente G iorgio Ognibene, posti davanti alla dom anda se fossimo disposti a compiere un’azione
21 F. Bandini, Le ultime 95 ore, cit., p. 207.22 Lettera di Fermo Solari a Renzo De Felice, Udine, 7 febbraio 1972, in Archivio privato Renzo De Felice.
Arresto ed esecuzione di Mussolini 121
simile, ci rifiutam m o apertam ente, afferm ando che noi avevamo le mani pulite e non intendevamo sporcarcele di sangue. Alla nostra risposta, anche il colonnello Malgeri accettò la situazione e disse: “ A nch’io sono dello stesso parere” , dopodiché proprio io scesi assieme al colonnello M algeri dal telefonista della Guardia di Finanza e telefonai a Walter Audisio, il quale aveva promesso a Malgeri che con tale servizio si sarebbe salvato da questo e da quello... Io stesso ho detto per telefono a Audisio: “ Il colonnello Malgeri è a posto, non ha bisogno di salvarsi da niente: se vuoi andare a prendere Mussolini, vacci tu!” . Io conoscevo già Walter Audisio. Difatti, così avvenne e la m attina dopo si seppe che Mussolini era stato ammazzato e portato a Milano, con il seguito sconcio di piazzale Loreto. [...] L’invito di “Valerio” di andare a prendere Mussolini mi è stato rivolto verso le 2 di notte fra il 27 e il 28 aprile. Sono stato trasportato da casa in caserma. Sono venuti una ventina di uomini a prelevarmi con un camioncino appositamente per quella missione. Il colonnello Malgeri ha detto di aver ricevuto una telefonata da un certo “colonnello Valerio” (allora Walter Audisio si chiamava “ Valerio” ), il quale gli aveva spiegato che quello era il m om ento per po ter salvare la sua stessa persona e la Guardia di Finanza andando a prendere il duce, facendo finta di niente e, durante il tragitto verso M ilano, farlo fuori. [...] Il “colonnello Valerio” non si è presentato di persona al comando, ha solo telefonato. Dopodiché, il “colonnello Valerio” è stato richiamato per telefono dal colonnello Malgeri, il quale gli ha comunicato come non fosse possibile mandare alcuno. Il “ colonnello V alerio” ha replicato che allora avrebbe provveduto lui personalmente. Ho parlato io di persona con Walter Audisio (alias “colonnello Valerio” ), e gli ho comunicato che noi non
avevamo proprio nulla da che salvarci, che avevamo compiuto il nostro dovere per tutto ciò che potevamo fare e che, quindi, se avesse voluto persistere nel suo intento, si arrangiasse da sé23.
Queste testimonianze sembrano confermare altri particolari: Walter Audisio “Valerio” sin dal primo pomeriggio del 27 aprile sarebbe l’uomo del comando generale del Cvl incaricato di procedere all’esecuzione di Mussolini; la scelta non sarebbe quindi caduta su di lui a caso, nella notte, al momento di far partire la spedizione dei giustizieri; anche “Valerio” avverte la necessità che il dittatore non arrivi vivo a Milano nelle mani degli alleati, ma l’incarico della fucilazione gli ripugna al punto da tentare di servirsi di un’altra formazione per portarlo a termine. Cadrebbe in ogni caso la tesi della “doppia fucilazione” di Mussolini con una “spedizione parallela” costretta a fucilare il dittatore diverse ore prima di “Valerio”, addirittura il mattino del 28 (si è arrivati persino a fantasticare della partecipazione di Luigi Longo e Sandro Pertini a questa presunta spedizione): “Valerio” sapeva di non doverlo solo “prelevare” . E si può capire anche la sua esitazione davanti a Mussolini e alla Petacci, il pomeriggio del 28 aprile 1945, al cancello di villa Belmonte di Grillino di Mezzegra: “Valerio” è un funzionario di partito disciplinato ma tutt’altro che “sanguinario” . Un’esitazione che ha lasciato nella storiografia interrogativi ancora sospesi dopo mezzo secolo24.
Marino Viganò
23 Testimonianza resa all’autore di Vincenzo Dell’Acqua, cit.24 L’autore dell’articolo ha ricevuto di recente una lettera da un alto funzionario della Questura di Como, inviato da Parri a nome del Cln sul luogo subito dopo gli avvenimenti per svolgere un’indagine sulla loro reale dinamica. Ne riportiamo il testo senza la firma, per esplicita richiesta del mittente. “Egregio dottor Viganò, leggo negli ultimi giorni su giornali italiani recensioni, commenti e critiche a un libro-intervista di Renzo De Felice e su sue ipotesi circa la presunta responsabilità degli inglesi nella decisione di far fucilare Mussolini. Al corrente delle Sue ricerche e della Sua collabo- razione con l’Istituto storico della Resistenza di Como nel tentativo di fare chiarezza in merito e per far cessare le dicerie di ogni genere che in particolare in questi anni sono state date in pasto ai giornali come ‘verità’, vorrei precisarLe quanto segue. Per alcuni mesi ho avuto occasione di occuparmi della vicenda. Sono arrivato infatti a Como il 29 aprile 1945 con il preciso incarico di svolgere inchieste sui fatti accaduti nel Comasco nei giorni precedenti. Esecuzione di Mussolini. Ho svolto le indagini appena arrivato a Como, dopo aver preso contatto con il comando Alleato che si era stabilito in città. Secondo i risultati di quelle indagini, la fucilazione di Mussolini era avvenuta davanti al cancello di villa Belmonte
122 Marino Viganò
Documento n. 1
Relazione del Maresciallo capo della Regia Guardia di Finanza di Paola Francesco 828 VO/50 appartenente alla Brigata di Dongo sui fatti dell’8 settembre 1943 e 26 aprile 1945 e giorni successivi25.
[...] nel pomeriggio dello stesso giorno 26 il Brigadiere Buffelli che si trovava al comando provvisorio della Brigata di Dongo durante l’assenza del sottoscritto, mi fece sapere che si doveva allontanare da Dongo per ragioni di servizio per conto della 52a Brigata Garibaldi e quindi era necessaria la mia presenza in caserma. Senza indugio mi portai presso il comando della Brigata e per telefono presi contatto col com andante della Brigata di Germasino che a sua volta era in contatto con elementi partigiani. Per tutto il pomeriggio oltre che col comandante della Brigata di Germasino tenni continuamente il collegamento col comando della Brigata di Gravedona comunicando loro quanto avveniva a Dongo. M entre il com andante della Brigata di Germasino cercava di raccogliere tutti i patrioti della zona, io gli comunicavo ogni movimento della Brigata nera di Dongo, notizie che mi venivano fomite dalla signorina del Centralino telefonico di Dongo che dista pochi metri dall’ex caserma della Brigata nera allo scopo di attaccare la Brigata nera al momento opportuno. Verso le ore 17,30 circa, sempre del giorno 26, mi fu comunica
to da Germasino che per la sera non era possibile fare alcuna azione perché la forza disponibile era di pochi uomini male armati e che era opportuno fare i preparativi la notte e nelle prime ore del giorno successivo dare l’assalto alla brigata nera. Poco dopo però venni informato che i componenti della suddetta Brigata nera avevano deciso la fuga, come infatti avvenne con una barca, dirigendosi verso Menaggio. Perciò ne diedi comunicazione al comandante della Brigata di Germasino pregando di far scendere a Dongo quei pochi uomini disponibili per occupare il paese. Intanto i patrioti del posto e la popolazione tutta erano in pieno fermento presentandosi in caserma a chiedere armi ai quali furono distribuite le poche armi che si trovavano in caserma. Verso le ore 18,30 del giorno 26 il dottor Rubini Presidente provvisorio del Com itato N azionale di Liberazione [ite] di Dongo a mezzo telefono, mi invitò presso il comune per collaborare col com itato stesso. Portatom i subito al Palazzo comunale, presi subito contatto col predetto comitato che come primo atto più urgente fu stabilito il ripristino del comando della Stazione dei RrCc per la custodia dei dirigenti il fascio rep. e altre persone fasciste di Dongo. Mentre mi trovavo presso il comitato venne il comandante della 52a Brigata G aribaldi al quale mi presentai mettendomi a sua disposizione. Il predetto comandante mi incaricò di eseguire servizio d’ordine pubblico in paese in com pagnia di elementi patrio ti. La notte passò tranquilla. Il mattino successivo, verso le ore 7,30
in località Giulino di Mezzegra il pomeriggio del 28 aprile, verso le ore 16.00, senza l’intervento né diretto, né indiretto degli Alleati — tantomeno degli inglesi. Tre persone — Walter Audisio ‘Valerio’, Aldo Lampredi ‘Guido’ e Michele Moretti ‘Pietro’ — erano in quel momento sul posto per l’esecuzione di Mussolini, ma non della Petacci. L’indagine ha permesso di stabilire che materialmente Mussolini è stato ucciso nella concitazione di passarsi il mitra fra Moretti e Audisio, impacciato nell’uso di un fucile mitragliatore che non conosceva. I colpi mortali che avevano ucciso Mussolini — secondo quanto mi risultava — provenivano da Michele Moretti. È comunque da escludere in modo assoluto che vi sia stata la presenza degli inglesi o che gli inglesi abbiano effettuata la fucilazione di Mussolini. In zona, in quei momenti, non vi erano assolutamente informatori, agenti o militari delle forze alleate. In più ho parlato subito di persona con Michele Moretti di questa vicenda e lui non ha escluso di esser stato lui a uccidere Mussolini, anzi, per me lo ha affermato, a meno che non si sia trattato di una questione di interpretazione quando mi ha detto: ‘Mi l’ho mazaa!’, alla presenza di uno dei suoi, il vicequestore Fernando Cappuccio. Può anche darsi abbia detto: ‘A l ’emm mazaaP. Sfumature dialettali... E anche vero che il questore di Como, Luigi Davide Grassi, non ha affatto incoraggiato queste indagini: a lui come ai vicequestori, Fernando Cappuccio ‘Fiore’ e Cosimo Maria De Angelis, come al prefetto di Como, Virginio Bertinelli, quest’indagine non interessava per niente. Anzi, il questore mi diceva sempre: ‘Lascia stare. Questa faccenda non ci riguarda, è una cosa fra di loro, una questione tra i partiti. A noi cosa interessa se Mussolini l’ha ucciso l’uno piuttosto che l’altro?’. Ma naturalmente tanto il prefetto come il questore sapevano benissimo che non erano stati né gli inglesi, né gli americani. Per ragioni che potrà facilmente comprendere, non mi è possibile firmare questa lettera. Ma La prego di credere che quanto Le scrivo corrisponde a quanto ho di persona visto, ascoltato o verificato attraverso le mie indagini” : Lettera all’autore, s.L, 12 settembre 1995, in Archivio autore.25 Asgdf, Documento n. 269, s.d.
Arresto ed esecuzione di Mussolini 123
circa, si ebbe notizia che era giunta a Musso, paese a qualche km. da Dongo, una colonna tedesca composta di 30 autocarri, una autoblinda ed alcune macchine di lusso. Il comandante della 52a Brigata Garibaldi detto “Pedro” subito informato si portò con alcuni patrioti presso la predetta colonna e preso contatto col comandante della colonna stessa per parlamentare. Il Pedro fece presente al com andante tedesco che sarebbe stato inutile il tentativo di passare perché la zona era compieta- mente occupata da patrioti. Il com andante tedesco fece presente al comandante Pedro che voleva parlamentare con il comando superiore dei patrioti. Difatti con una macchina tedesca l’ufficiale con alcuni suoi uomini ed il comandante della 52a Brigata G aribaldi ed alcuni aiutanti si portarono a Chiavenna per parlam entare col comando superiore dei patrioti. In tan to tu tti gli arm ati, come pure la popolazione borghese, andavano al lavoro per barricare la strada e minare il ponte della vai Orba. Verso le ore 12 i lavori erano quasi ultimati e si poteva dire ormai che la colonna tedesca non poteva più passare senza prim a aver com battuto duramente. Alle ore 13 circa fecero ritorno i parlamentari e il comandante Pedro ci comunicò che il comando di Chiavenna aveva deciso di lasciar passare i tedeschi arm ati senza fare uso delle armi; nessun italiano però doveva passare con la colonna stessa e per cui noi dovevamo visitare tutte le macchine per tale scopo. Per cui fu deciso di far proseguire la colonna fino a Dongo dove ebbe luogo la visita a tutti gli automezzi. Io iniziai la visita per mio conto senza mai stancarmi di raccomandare ai patrioti che mi erano vicino di eseguire le visite minuziosamente, guardando bene fra le valigie e cassette di cui erano cariche le macchine. N onostante però le raccomandazioni ognuno agiva per proprio conto e non si vide altro che una grande confusione specialmente quando furono trovati i primi italiani vestiti da tedeschi (come il ministro Romano, Coppola ecc.). Tutti gli armati e borghesi scendevano a salivano sui camion ma senza risultati positivi appunto perché le visite venivano fatte superficialmente. Visto tale confusione iniziai per mio conto un servizio di osservazione per studiare le mosse dei tedeschi che occupavano gli autocarri. Giunto presso un autocarro già visitato parecchie volte notai che l’atteggiamento dei militari tedeschi che vi erano a bordo era sospetto fino al punto di farmi pensare con certezza che su
quel automezzo si trovava qualche gerarca nascosto. Allora subito ordinai al partigiano Negri Giuseppe da Dongo di salire su quell’autocarro ed eseguire una minuziosa perquisizione indicandogli anche di guardare bene sotto i materiali che si trovavano dietro il posto di guida perché vi era qualche cosa che assomigliava alla figura di un uomo. Il Negri obbedì e salito sul camion iniziava la perquisizione mentre io sorvegliavo sempre le mosse dei soldati tedeschi. Q uando il Negri si avvicinò al punto dove io precedentemente gli avevo indicato ed alzate le coperte, mi accorsi che i militari suddetti dichiararono qualche cosa al Negri, ma non mi fu possibile capire le vere parole che poi seppi che gli avevano dichiarato che ivi era un loro camerata ubriaco. Il Negri non si convinse delle dichiarazioni dei militari tedeschi e alzata la coperta vide Mussolini. Fingeva di nulla e continuava la perquisizione fino a guardare bene tutto il camion. Term inata la perquisizione scese ed io subito gli chiesi il risultato della visita da me ordinata, ma il Negri era talmente confuso fino al punto di rispondermi balbettando qualche parola e precisa- mente “c’è su il bello” . Intanto io ancora insistentemente gli chiedevo che cosa aveva visto, insieme ci portammo verso la piazza. In quel momento appariva Bill — Lazzaro U rbano — ex G uardia di Finanza, al quale il Negri si fece incontro gridando “ Bill su quel camion c’è Mussolini” . Io, Bill e alcuni uom ini ci precipitam m o verso il camion. Bill salì sull’automezzo e scorto Mussolini lo invitò a scendere. Mussolini lo seguì e si portò verso la parte posteriore del camion per scendere. I soldati tedeschi rimasero fermi al loro posto, mentre Mussolini li guardava e quasi con lo sguardo li invitava a reagire, come poi si è saputo che Mussolini era convinto che alla sua scoperta i militari tedeschi dovevano fare uso delle armi. Mussolini fu accompagnato presso il comando della 52a Brigata Garibaldi che si trovava in un locale del M unicipio di Dongo. Dopo Mussolini furono catturati tutti gli altri ministri al suo seguito e accompagnati pure al Comando della 52a Brigata. Solo Mussolini e il federale Porta furono accompagnati presso la nostra caserma di Germ asino alla sera stessa verso le ore 18,30 mentre gli altri ministri furono lasciati tutta la notte presso il municipio di Dongo ove io prestai servizio di guardia tutta la notte. Il giorno successivo e seguenti, sempre a disposizione della 52a Brigata Garibaldi prestai la mia opera
124 Marino Viganò
per la sistemazione del Presidio di Dongo collabo- rando sempre con il Cnl [sic] di Dongo. La presente dichiarazione viene docum entata dagli uniti giornali Popolo Comasco del 5/7 e 8/8/1945.
Il maresciallo capo di Paola Francesco
Documento n. 2
Relazione sull’attività svolta dal Capitano del Cvl Lazzaro Urbano (Bill) durante il periodo clandestino ed insurrezionale26.
[...] Il 26 Aprile, pur mancando assolutamente di notizie dai suoi Comandi, occupa con Pedro ed altri sei garibaldini Domaso, ordinando poi ai fascisti e ai tedeschi della zona che va da Dongo a Du- bino [jj'c], dove riesce con l’aiuto di Pedro, a disarmare i tedeschi che avevano resistito tutto il giorno agli “ultim atum ” dei partigiani della zona. Il 27 Aprile dopo l’intimazione di fermarsi, si reca con Pedro dal Comandante della colonna tedesca che si trovava appena prima di Dongo, e poi, mentre Pedro si recava col C om andante tedesco a Chiavenna per conferire col Comandante della Ia Divisione “ Spluga” , Bill, preso il Comando della zona, organizzava prontamente per la difesa; mina il ponte che trovavasi poco prim a di Dongo; dispone vari nuclei di uomini armati di mitraglia e mitragliatori requisiti il 26 ai fascisti ed ai tedeschi, poco sopra la rotabile, e raccoglie gli uomini della zona, preparandoli per un eventuale attacco alle forze tedesche che disponevano di circa 300 uomini armati di mortai, di autoblinde, di mitraglieri e di moltissime munizioni; fa allontanare dal paese i bambini, le donne ed i vecchi, così quando il Com andante tedesco rito rna, vedono [ììc ] un così perfetto apparato di forze, cede e chiede solo il transito per i soldati tedeschi, mentre prima voleva a tutti i costi passare con tutta la colonna al completo. La prontezza con cui è stata svolta tu tta questa manovra è una chiara documentazione dell’abilità tattica e strategica dell’audacia del Bill e se egli non avesse dim ostrato la sua prontezza
26 Asgdf, Documento n. 216, Como, 3 agosto 1945.
nel capire la gravità della situazione e non avesse agito così opportunam ente, la colonna tedesca avrebbe attaccato, senza fallo, com’era suo intendimento, dato l’esiguo e sparuto numero di uomini che le stavano contro. A Bill si deve la pacifica soluzione dei fatti accaduti a Dongo. Nell’indimenticabile 27 aprile, concluso l’accordo con il com andante della colonna tedesca, Pedro va a M usso ad arrestare i vari membri del governo fascista che si erano rifugiati in casa del Parroco e Bill scende in Piazza a Dongo per eseguire il controllo sui camion della colonna. D opo vari minuti arresta Claretta, Marcello Petacci e l’amante di ques t’ultim o, che volevano proseguire m ediante la presentazione di documenti falsi, in cui era dichiarato Marcello Petacci era il console Spagnolo in Milano e la sua amante era la moglie. Bill li fa tradurre in Municipio sotto strettissima sorveglianza. Proseguendo nel controllo viene informato da un suo garibaldino che M ussolini si trova in un cam ion poco distante da quello che sta visitando. Bill segue il suo informatore che dopo avergli indicato il camion dove trovavasi Mussolini, si apparta per paura che i tedeschi abbiano a far fuoco all’atto della cattura. Da notare che i tedeschi, come ebbe a confermare in seguito Mussolini avevano l’ordine di aprire il fuoco in caso che l’ex duce fosse stato scoperto. Bill invece non si cura del pericolo, e, dopo aver inutilmente interpellato l’individuo, sale sul camion e mentre la folla attornia il camion, scopre il capo di Mussolini e riconosciutolo lo disarm a e lo arresta traducendolo poi in una saletta del Municipio. [...].
F .to Luciano Bosisio.Menaggio, li 31 agosto 1945.
PccIl capitano comandante
Salvatore Cervone
Documento n. 3
Relazione sull’attività svolta dal brigadiere tenente Scappin Antonio 59743/28 in seno al movimento
Arresto ed esecuzione di Mussolini 125
patriottico che ha portato alla liberazione dell’Alta Italia27.
[...] La notte tra il 26 e il 27 lavorammo per sistemarci a difesa temendo la reazione dei fascisti di Como e di Lecco, e il Comandante impartiva l’ordine al distaccam ento M ogni, dislocato sopra Dongo, di en trare in azione per occupare il seguente paese. Quando i Garibaldini entrarono in Dongo lo trovarono sgombro dappertutto dai fascisti i quali saputo che Gravedona era caduto mediante barche la stessa sera del 26, si erano allontanati. La m attina del 27 arrivò nei pressi Musso (a un km. circa da Dongo) un’auto colonna tedesca che subito segnalata ferm ata nell’am bito di Musso. Poiché le forze patriottiche non erano in num ero sufficiente per accettare eventualmente battaglia, fu deciso fra i capi della 52a di entrare in trattative allo scopo di guadagnar tempo per trasportare in quella zona tutti i rinforzi possibili. In tanto provvide a minare il ponte sulla provinciale alle porte di Dongo detto della “Vallorba” durante le trattative il Capo della Colonna Tedesca chiese di parlare col C om andante in Capo dei Partigiani e fu accompagnato al Comando di D ivisione in Chiavenna. Dove ottenne libero il passaggio a condizioni di abbandonare tu tti gli italiani eventualmente a bordo e di lasciar visitare gli automezzi uno per uno. È così che la colonna arrivò in piazza a Dongo, mentre un ’autoblinda facente parte della colonna rimase a Musso dove venne successivamente attaccata e immobilizzata e nella quale vennero arrestati Pavolini, Porta , Barracu ed altri. Durante la visita dell’autocolonna un garibaldino, Negri, per ordine del maresciallo del Corpo Di Paola, il quale unitamente al maresciallo Nanci e al brigadiere Buffelli, si era messo a disposizione della 52a, sali in camion e credente] di scorgere Mussolini tra i soldati germanici. Scese, corse a chiamare uno dei capi e trovò il v. Commissario Bill, al secolo Lazzaro Urbano, già finanziere della Compagnia di Chiavenna, fuggito nel settembre 1944 per unirsi ai partigiani, confidò il dubbio. Bill salito sullo autocarro, tolse il cappotto tedesco che copriva il supposto Mussolini e accertatosi trattarsi veramente dell’ex Duce lo invitò a scendere dichiarandolo prigioniero della 52a Brigata Garibaldina. Mussolini, che teneva tra le gi
27 Asgdf, Documento n. 275, Gera Lario, 2 maggio 1945.
nocchia un m itra e vestiva la divisa della milizia con cinturone e pistola, scese senza dir parola e fu accompagnato nella sede del Municipio di D ongo. Nella sala del Consiglio municipale, poco dopo la cattura, io vidi il signor Mussolini e mi parve molto abbattuto. Dal Comandante della 52a seppi poi che il brigadiere Buffelli Giorgio ebbe l’incarico di accompagnare l’ex Duce nella nostra caserma di Germasino dove fu custodito fino a notte inoltrata, quando per mezzo di u n ’autom obile venne accompagnato in località Giulino di Mezze- gra in quel di Azzano (Como). Scendendo da Germasino, nel passare per D ongo, a M ussolini fu unita la Petacci, la quale riconosciuta in macchina convogliata nella stessa colonna tedesca ed arrestata, unitamente al fratello Marcello, chiese di essere vicina all’amico. Testimone oculare mi confidò che nelle prime ore del 28 Mussolini e la Petacci furono prelevati dalla baita posta in frazione G iulino di Mezzegra, fatti scendere il pendio fino alla strada carrozzabile, fatti salire in automobile e accom pagnati per qualche centinaio di metri. D avanti al recinto di una villa furono fatti scendere e disposti con le spalle rivolte al cancello di ferro, fucilati entrambi al petto. A Dongo, dopo la cattura di Mussolini, arrivavano man mano i gerarchi del seguito cattu rati nell’autoblinda di Musso e nelle macchine incolonnate coi tedeschi e giunti con essi a Dongo. Porta federale di Como, Pavolini ex Comandante delle brigate nere, Barracu e altri. L’indomani in piazza a Dongo furono tutti fucilati. Term inata la visita all’autocolonna, dopo l’arresto dell’ex Duce, questa prosegui verso sera ed io ricevei l’ordine di lasciarla passare. [...] Dopo aver consegnato tutto il materiale a incaricati del Comando Settore di M orbegno, i tedeschi, sotto scorta arm ata dei garibaldini, furono accom pagnati fino a Chiavenna secondo le condizioni di resa pattuite. Di ritorno da Morbegno fui avvisato che il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia di Milano aveva telefonato a Gera, per mezzo della linea diretta della Società elettrica Comaci- na, chiedendo di me. O ttenuto il collegamento mi chiesero la situazione della forza, mi diedero notizie sulla Valtellina dove i fascisti resistevano e m’impartivano l’ordine di ostacolare la colonna tedesca segnalata da Como verso Sondrio. Risposi che detta colonna si era già arresa, che tu tta la
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sponda settentrionale dell’alto lago era sotto nostro controllo e assicuravo d ’informare il Settore di M orbegno circa le notizie sulla Valtellina. Con successiva comunicazione diedi i primi particolari sull’arresto di Mussolini e sui principali fatti dei quali ero stato testim one diretto e indiretto. [...]
F.to Brigadiere t. Antonio Scappin
Visto, i fatti sopra esposti corrispondono a verità Zona operazioni, li 15 maggio 1945
Il Commissario Politico II Comandantedella 52a Brigata
(Lazzaro Urbano Bill) F.to Pier Luigi Bellinidelle Stelle “Pedro”
vistop. il comando della piazza di Como F.to T.Colonnello Luciano Bosisio
Documento n. 4
Relazione del brigadiere Scappin28.
[...] Nelle prime ore del 27, ad opera del distaccamento garibaldino “Mogni” , veniva occupato anche Dongo da dove la sera del 26, mediante barche, i componenti la Brigata Nera che lo presidiavano, si erano allontanati. Il 27 mattina a Musso, un certo capitano Barbieri dà l’alt ad una numerosa colonna di automezzi tedeschi in testa ai quali risalta una grossa autoblinda italiana. Ai tedeschi, sospettosi e guardinghi, Barbieri spiega l’impossibilità di lasciarli passare. Il comandante della colonna chiede di parlam entare col capo dei patrioti e Barbieri m anda a chiamare Pedro che nel frattempo, avvertito dalle staffette dell’arrivo della autocolonna mette in allarmi tutti i reparti da lui dipendenti e manda a me l’ordine di spedire rinforzi più numerosi che è possibile. Lasciato in luogo le sole forze indispensabili per garantire l’ordine e presidio del Ponte del Passo sul
M era invio quanti uomini mi rimangono, com presi i membri della popolazione civile ai quali distribuisco le armi ca ttu ra te ai tedeschi. Pedro, raggiunto Musso, s’incontra col comandante tedesco e lo accompagna a Chiavenna presso il Comando della Divisione Garibaldina per le tra ttative. Qui, tra questi viene stabilito che i germanici possono transitare abbandonando però tutti gli italiani che eventualmente avessero a bordo. D opo un po’ di riluttanza il tedesco accetta le condizioni. A M usso ecco l’au tocolonna m ettersi in m oto, dopo una breve e vivace discussione con gli occupanti l’autoblinda italiana i quali, messi al corrente dai tedeschi delle condizioni pattuite coi patrio ti, non intendono piegarsi al rispetto dei patti e restare a Musso in mano dei partigiani. M entre l’autocolonna raggiunge Dongo e si ferma in piazza per subire la visita degli automezzi, una breve e furiosa battaglia si accende tra i partigiani e l’autoblinda, che poco dopo si arrende e sulla quale vengono arrestati Barracu, P orta , Bombacci, Romano e altri. Pavolini invece, sceso di soppiatto , fu scoperto m entre tentava di nascondersi tra le rocce della scogliera e, rincorso, venne arrestato ferito all’occhio sinistro da una fucilata sparatagli da un volontario. In piazza a Dongo una discreta folla circonda gli autoveicoli fermi: Garibaldini, Guardie di Finanza, qualche carabiniere in congedo, volontari della resistenza, volontari dell’ultima ora fan ressa intorno all’autocolonna. Sguardi guardinghi e preoccupati dei tedeschi che dall’alto degli autocarri osservano meno baldanzosi e sicuri di un tempo malgrado siano ancora arm ati fino ai denti con armi m odernissime e di ogni tipo. Viene iniziata la visita piuttosto sommaria giacché si trattava di fermare solo le persone. Di tanto in tanto qualcuno veniva “ scovato” e avviato verso il M unicipio di Dongo. La visita era ormai term inata quando il maresciallo capo della G uard ia di Finanza Di Paola Francesco, messosi a disposizione della 52a Brigata G aribaldi, ordinava al garibaldino Negri Giuseppe, ex sotto capo di marina, di salire su di un camion. Il garibaldino obiettò che tale veicolo già era stato visitato, ma il sottufficiale insistè col dire che “ non si è mai guardato abbastanza bene quando si è guardato bene” . Il Negri salì sul camion e scorse, immediatamente dietro
28 Asgdf, Documento n. 273, s.d.
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alla cabina di guida, un individuo in gran parte occultato con una coperta tedesca. Chiesto ai soldati tedeschi chi era, questi risposero: “Camerata tedesco ubriaco” , facendo contemporaneamente il gesto con la mano di chi porta il bicchiere verso la bocca. M a il garibaldino non si accontentò della spiegazione e tirò un lembo della coperta scoprendo la testa del signor Mussolini che riconobbe. Vinto dalla sorpresa e dall’emozione il Negri am m utolì, scese e si mise alla ricerca di un comandante. Trovato Bill confidò la scoperta. Mentre la notizia si diffondeva rapidamente fra i presenti, Bill, salito sul camion e tolta completamente la coperta, invitava il signor Mussolini a scendere dichiarandolo prigioniero della 52a Brigata Garibaldi. Presente era anche il maresciallo della G uardia di F inanza Nanci Francesco, sceso da Germasino per offrire la sua opera ai volontari. Mussolini, che vestiva la divisa della Milizia fascista sotto un pastrano militare tedesco e che era armato di mitra, una pistola automatica “Glisen- ti” infilata nel cinturone e della pistola d’ordinanza degli ufficiali, scese senza un m otto saettando sguardi sm arriti tu t t’in torno dove orm ai si era ammassata una folla numerosa che inveiva e imprecava all’indirizzo dell’ex duce. Bill rassicurò Mussolini che nessuno gli avrebbe torto un capello finché fosse rim asto prigioniero della 52a, al che l’ex duce parve sollevato e rassicurato. La sala al piano rialzato , lato sinistro entrando, del municipio di Dongo fu la prima tappa di Mussolini prigioniero e fu in questa sala che io incontrai l’ex capo della ormai tram ontata repubblica di Salò, presenti il sindaco di Dongo, il partigiano C orbetta e il signor M allone di G era Lario. In un angolo della sala, scamiciato e con un asciugamano al collo, stava seduto il federale di Como, Porta, mentre Pavolini era appoggiato al tavolo di centro in piedi, intento a medicarsi la ferita all’occhio sinistro. A llorquando mi accingevo ad uscire, entrò Barracu scortato da due garibaldini, il quale appena scorto Mussolini, messosi sull’attenti, alzò il braccio sinistro nel saluto romano e disse: “ Duce, ai vostri ordini!” . Il sindaco di Dongo redarguì l’ex gerarca dicendo testualmente: “Qui non c’è un duce e lei si ricordi che è nostro prigioniero” . Barracu abbassò la testa e rispose: “ Sì, sì!” . Mussolini guardava e taceva. Lasciai quindi la sala e mi avviai al portone d ’ingresso. Sulla gradinata incontrai Pedro, il quale
mi ordinò di partire subito per l’estremo alto lago, zona m ilitarm ente sotto il mio com ando, per adottare le misure di sicurezza lungo il tragitto che la colonna, ormai libera di proseguire, doveva percorrere, perché la strada che da Dongo per G ravedona-D om aso-G era Lario e Sorico conduce in Valtellina. [...] G iunto a Gera vengo avvertito che il Cvl di Milano per mezzo del telefono di proprietà della Soc. Elettrica Comacina aveva chiesto di me. Vado all’apparecchio e ottenuta la comunicazione con Milano do la notizia del fermo definitivo della colonna e dell’arresto del sig. Mussolini col seguito operato a Dongo. Due ore dopo sono nuovamente chiamato al telefono e dall’ingegnere capo Lucio di Milano della predetta Società Com acina ricevo l’ordine del Comando Generale del Cvl di: “vigilare Mussolini senza fargli del male, anzi di usargli un trattamento buono” , e testualm ente: “ p iu ttosto che fargli del male lasciarlo andare” . Rispondo che senza m altrattarlo lo avremmo bene vigilato e che avrei subito trasmesso l’ordine al Com andante della 52a. Diffatti, mediante staffetta, spedii subito un biglietto che Bill e Pedro dichiararono di aver ricevuto. A Dongo intanto, passato il primo momento di euforia, il Com andante della 52a si preoccupò di far partire Mussolini per altra località, e ciò per ovvie ragioni. Scelsero Germasino, paesino di montagna posto sopra Dongo, e la Caserma della Regia G uardia di Finanza fu la seconda tappa del prigioniero. Pedro e il brigadiere Buffelli Giorgio accompagnarono Mussolini lassù dove fu affidato al comandante di quella Brigata, brigadiere Spadea A ntonio. D opo poche ore, a notte inoltrata, Mussolini fu nuovamente prelevato da Germ asino e riaccom pagnato a Dongo, dopo avergli fasciato la testa per renderlo irriconoscibile lungo il trag itto da percorrere. Questa volta la m eta era Brunate sopra Como. A Dongo breve sosta per prelevare la Petacci, la quale fermata in una macchina civile accodata all’autocolonna tedesca, unitam ente al fratello M arcello, alla di lui am ante con due bam bini, era stata successivamente riconosciuta e che in un colloquio avuto col comandante Pedro, dopo aver professato il suo amore sincero e disinteressato per il “Duce” aveva chiesto di essere unita a “ lu i” . È notte fonda quando le macchine con Mussolini, la Petacci e la scorta partono per Como. Superata la Tremezzina si fa strada tra i
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componenti la scorta il dubbio che gli alleati, già arrivati a Cemobbio, possano fermare le macchine, riconoscere il sig. Mussolini e dichiararlo loro prigioniero. Viene allora deciso il ritorno, senon- ché giunti ad Azzano il capitano Neri, capo della scorta, consigliò di far sostare i due prigionieri in una casa di montanari, posta in frazione Giulino di Mezzegra, che già aveva servito tante volte da ospitale rifugio ai Garibaldini durante l’oppressione. Mussolini e la Petacci vengono accompagnati lassù: due garibaldini restano di guardia: uno di essi è “ Sandrino” quel tale Guglielmo Cantoni che fu presente al fermo definitivo della colonna a Ponte del Passo. L’indomani 28 da Milano arrivano a Dongo una quindicina di uomini in divisa partigiana ed un certo Colonnello Valerio. Quest’ultimo dichiara d ’essere arrivato per far giustizia sommaria dei fascisti catturati dicendosi mandatario del Comando Generale Cv della Libertà. Qualcuno tenta di opporsi ad un ordine cosi draconiano: il sindaco di Dongo indignato darà le dimissioni in segno di protesta. Pedro soggiace al vincolo della disciplina militare che gli impone obbedienza e si piega, sia pur contrariato, agli ordini superiori. Nel pomeriggio del 28 mentre in Dongo si fanno preparativi per la fucilazione dei gerarchi catturati, che verso le ore 16,30 scontano con la morte il loro passato, Valerio e un altro partono in auto alla volta di Giulino di Mezzegra. Qui giunti salgono alla casetta m ontana ignara del dramma che sta per giungere al suo epilogo, ed entrano nella stanza dei prigionieri. Mussolini in calzoni e camicia chiede cosa vogliono e sentito che deve partire sollecita l’amante, ancora a letto, ad alzarsi. Dieci minuti dopo escono tutti all’aperto e raggiunta la macchina salgono: l’auto si mette in moto e s’avvia lentamente per la strada che si innesta alla statale del lago di Como. I due partigiani di guardia, term inato ormai il loro compito, raccolgono le poche cose rimaste si incamminano giù per la china. Giunta di fronte alla villa la macchina si arresta. Mussolini e la Petacci son fatti scendere e posti contro il cancello di ferro che immette nel giardino. Valerio pronuncia la sentenza di m orte in nome di un supposto popolo italiano e punta l’arma verso i fucilandi, ma il colpo non parte. La Petacci getta le braccia al collo dell’amico invocando pietà, ma
29 Asgdf, Documento n. 274, Germasino, 7 luglio 1945.
Valerio le ordina di scostarsi e fattosi dare la pistola autom atica dell’accom pagnatore, con una raffica li abbatte entrambi. Poco dopo i due partigiani, che erano stati le ultime sentinelle dell’ex duce, arrivano sul posto e si fermano di fronte ai cadaveri: una pioggerella sottile comincia a cadere e i due indifferenti dopo un ultimo sguardo alla coppia tristemente famosa se ne vanno. Verso sera un camion carico di cadaveri dei giustiziati a Dongo si ferma nei pressi, riceve le spoglie irrigidite dalla m orte, e riparte per M ilano dove scaricherà il lugubre carico in Piazzale Loreto.
Bg. Scappin A.
Documento n. 5
Comando della Brigata di Frontiera di Germasino. Relazione di servizio del Comandante della Brigata sugli avvenimenti insurrezionali del giorno 26 Aprile 1945 e seguenti. Al Comando della Tenenza R. Guardia di Finanza Dongo29.
Alle prime ore del pomeriggio del giorno 26 del mese di Aprile c.a., venuto a conoscenza a mezzo della radio della celere avanzata delle truppe Alleate verso Milano e appreso che i vicini paesi di Gera e Domaso erano già stati liberati dai valorosi partigiani scesi dai monti circostanti, lo scrivente, al fine di poter far fronte ad ogni richiesta di collaborazione coi Patrioti per la liberazione della zona dai nefasti elementi nazi-fascisti, provvide, di propria iniziativa a mobilitare n. 15 giovani di Germasino e G arzeno, che vennero arm ati e tenuti pronti per l’impiego. Verso le ore 16 dello stesso giorno, appreso che tu tti i militari del D istaccamento della Milizia Confinaria di Stazzona avevano abbandonato la caserma per raggiungere Gra- vedona, portando seco con tre carretti tutte le armi e parte del materiale di casermaggio, lo scrivente, allo scopo di evitare il saccheggio da parte della popolazione del materiale ancora rimasto nella caserma, di propria iniziativa si recò sul posto, dove, dal prete della parrocchia ricevette le chiavi della caserma, a lui consegnate dal Brigadiere Piccinini
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della Milizia Confinaria, perché le facesse recapitare a questo comando. N onostante l’immediato intervento, parte del m ateriale di casermaggio era stata già asportata dai civili, che si erano introdotti forzando le porte. Si provvide subito a trasportare a mezzo di carretti presso questo Com ando il materiale di maggior valore rinvenuto. Intanto essendo sopraggiunta la sera, per ragioni di sicurezza si dovette sospendere, col proposito di trasportare la poca mobilia che vi rimaneva il giorno successivo. Per i fatti che seguono, però, non si potette rito rnare a Stazzona che la m attina del giorno 29. Si ebbe però a constatare che ciò che vi era rimasto, era stato portato via, pare, dai giovani garibaldini del posto. Intanto nella stessa serata del 26, il m.c.t. Nanci Francesco che trovavasi là presso la sua famiglia per fruire un permesso, durante la mia assenza dopo il ritiro dalla caserma della Milizia del materiale di cui è detto sopra, era venuto in caserma dove ricevette le varie telefonate fatte dal m.c.t. Di Paola Francesco di Dongo, il quale chiedeva rinforzo di uomini in quel paese per necessità di ordine pubblico e per quanto altro potesse occorrere in previsione degli avvenimenti che stavano per maturare. In seguito a ciò il maresciallo Nanci decise di recarsi subito a Dongo per prestare la sua opera. Egli difatti chiese se potevo mettergli a disposizione degli uomini armati ed io ordinai ai finanzieri Alghisi e Zagolin ed a mobilitati civili di mettersi agli ordini di tale sottufficiale, insieme al quale si sarebbero dovuti recare a D ongo per sei-vizio. Lì essi rimasero sino al pomeriggio del giorno 27, dove presero parte al fermo della colonna tedesca proveniente da Como, negli automezzi della quale furono rinvenuti Benito Mussolini ed altri noti gerarchi del Fascismo. Alle ore 19,30 del giorno 27, questo Comando ricevette in consegna dal C om andante dei Partigiani, conte avvocato Bellini delle Stelle, soprannominato “Pe- dro” , giunto in macchina da Dongo, il Sig. Benito Mussolini ed il Federale di Como Paolo Porta. Il seguito del suddetto Com andante era com posto di molti giovani partigiani ed era con essi anche il b.t. Buffelli Giorgio, Comandante del Distaccamento di Dongo. A tutti venne offerta la cena e l’alloggio in caserma, meno che al surripetuto Comandante, il quale fece ritorno a Dongo. Alle ore 21 circa, personalmente ho servito la cena ai Sigg.
30 Asgdf, Documento n. 270, Rho, 8 maggio 1945.
Mussolini e Porta, i quali alle ore 23,30 furono accompagnati a letto, avendo essi manifestato il desiderio di andare a riposare. Il Porta venne messo a dormire in una stanza, mentre Mussolini venne da me assicurato nella prigione, della quale io personalmente custodii la chiave. Alle ore 1 del giorno 28, lo stesso conte Bellini delle Stelle, giunto a Germasino in macchina, prelevò il Sig. Mussolini dopo avergli fasciato il viso al fine, credo, di renderlo irriconoscibile o farlo credere ferito. Alle ore 8,30 circa il surripetuto conte Bellini accompagnò in macchina presso questo Com ando i Sigg. Casalinovo Vito, aiutante di Campo di Mussolini, Barracu Piero Maria [recte\ Francesco Maria], Sottosegretario alla Presidenza e Utimperger, federale di Lucca e successivamente, alle ore 10, i Sigg. Pa- volini Alessandro, segretario del Partito e Comandante delle Brigate Nere e Bombacci Nicola, pubblicista, i quali, come gli altri, vennero custoditi e vigilati. Alle ore 16,30 i predetti Pavolini, Casalinovo, Barracu, Bombacci, Porta e Utimperger furono prelevati dal Comandante conte Bellini e portati in macchina a Dongo, dove alle ore 17,30 circa vennero fucilati, essendo stata annunciata per essi sentenza di morte. Per la vigilanza dei detenuti e della caserma, nonché per il servizio d’ordine del paese e della zona circostante, questo Comando ha provveduto coi propri militari e con i mobilitati civili, ai quali si sono aggiunti i partigiani provenienti da Dongo. [...] Si fa riserva di trasmettere, appena possibile, documentazione di quanto detto nella presente relazione.
Il brigadiere comandante (Spadea Antonio)
Documento n. 6
Fermo di Mussolini a Dongo. Relazione del maresciallo capo Nanci Francesco. Al Comando della Legione Guardia Finanza Milano30.
[...] Alle ore 7,30 circa del successivo giorno 27.4.1945 giunse a Dongo la notizia che una colonna tedesca forte di un ’autoblinda seguita da
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circa 36 mezzi arm atissim i era in m arcia verso Dongo, proveniente da Menaggio. A Musso, comune che dista da Dongo un km. circa, la colonna venne fermata da elementi della 52a Brigata G aribaldi. Il comandante della colonna tedesca che ricopriva il grado di ten.col. delle SS germaniche, avendo accettato di trattare, fu condotto verso il Comando della 52a Brigata Garibaldi di stanza a Morbegno ove si svolsero le trattative che durarono fino alle ore 12 circa. In forza degli accordi la colonna avrebbe potuto continuare il viaggio senza attaccare od essere attaccata ma con l’obbligo di lasciare in nostre mani gli italiani che eventualmente facessero parte della colonna stessa. Dopo alterne vicende spiegate dal fatto che il comandante della colonna non era del tutto deciso alla pacifica soluzione degli accordi e dopo numerosi ordini contradditori di fare e non fare fuoco la colonna senza l’autoblinda mosse dal limitrofo comune di M usso alla volta di Dongo (Debbo aggiungere per inciso che alle ore 9 circa del 27 stesso, durante cioè la sosta dell’autocolonna a Musso ebbi occasione di fermare a Dongo ed interrogare un finanziere che proveniva da Menaggio diretto a Grave- dona ed appresi da questi la conferma della notizia che già conoscevo, ma vagamente, che Mussolini con altri gerarchi era stato per due giorni a M enaggio. Ciò spiega infatti la mia condotta nelle successive operazioni). Superato lo sbarram ento di S. Eufemia (ove era stato concentrato il grosso delle forze della 52a Brigata Garibaldi a disposizione del presidio di Dongo) località situata a metà strada fra Musso e Dongo la colonna giunse in piazza a Dongo ove venne da me fermata e sottoposta a visita ed alla identificazione degli uomini. La collaborazione di pochi patrioti e di molti curiosi più che volenterosi, se rivelava slancio ed attività era tuttavia slegata assai poco fattiva e talvolta ingombrante e comunque niente affatto perspicace. Avvalendomi allora della collaborazione del maresciallo capo Di Paola Francesco impartii istruzioni sul modo di procedere alla visita che diede come immediato primo risultato l’identificazione del pilota personale di Mussolini certo Callistri [ì /c]. Dopo una seconda visita feci scendere dagli automezzi ove si erano occultati tre donne, fra le quali, credo, la Petacci, sfornite di tessera di identificazione e qualcuna con tessera falsa, e che consegnai ai patrioti per rinchiuderle in camera di sicurezza. Visitai tutti gli automezzi tom ai indietro
per riprendere daccapo la visita e mi soffermai al quinto automezzo sul quale dietro mio ordine il maresciallo Di Paola fece salire il patrio ta certo Negri Giuseppe il quale procedette ad una seconda e terza visita infruttuosamente. Istruitolo meglio sul modo di rovistare fra gli zaini e le valigie e le cassette e le coperte il Negri iniziò una quarta visita. Io stavo dappresso per la ragione che i soldati tedeschi che si trovavano sull’automezzo, armati di ben sei mitragliatrici pesanti, avendo notato la nostra insistenza, cominciarono a manifestare il loro disappunto attraverso gesti che rivelavano la loro intenzione di innestare le mitragliatrici sui treppiedi. Fra i pochissimi armati presenti, essendo io solo arm ato di m itra, e, non essendomi sfuggito il gesto dei soldati, ordinai senza esitare un istante al comandante della colonna che mi stava dappresso e che mi im portunava continuamente con la richiesta del lasciapassare per riprendere subito la marcia, di fare alzare le mani ai soldati puntando contemporaneamente il mio mitra contro quei tedeschi minacciosi. Il mio gesto deve avere indotto quest’ultimi a desistere da ogni eventuale azione violenta, mentre il comandante della colonna con fare irritato si scostò verso la riva del lago nel quale versò la sua vescica teutonica. Nel corso della quarta visita che frattanto si stava eseguendo il Negri rovistando fino in fondo alla massa delle coperte e dei teloni impermeabili scoprì in parte il volto di un uomo che il Negri dice di aver subito riconosciuto per Mussolini. Il Negri tu tta via non avendo forse avuto il coraggio di sollevare Mussolini per tema della reazione dei soldati saltò giù dall’automezzo e senza avermene data spiegazione corse a confondersi in mezzo alla folla, per chiamare aiuto, mentre io continuavo a tenere a bada i tedeschi. Subito sopraggiunto certo Billi, al secolo Lazzari [ite], ex G uard ia di F inanza e Commissario Politico di una squadra di patrioti della 52a Brigata G aribaldi, sollevò la persona che si era acquattata sotto un cumulo di coperte. Dopo di essersi spacciato per un generale tedesco, e dopo di essere stato privato del cappotto, dell’elm etto e degli occhiali che ne m ascheravano alquanto le caratteristiche fisiche, apparve finalmente Mussolini. Mentre la colonna dopo un’ultima visita riprendeva la marcia per essere poi arresta ta in prossim ità di Colico, l’autoblinda nel frattempo veniva disarm ata e i gerarchi che vi erano annidati tutti arrestati, e condotti nella sede del
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locale Municipio dov’era stato rinchiuso Mussolini e gli altri. Mussolini ed il federale Porta vennero poco dopo trasportati a Germasino e custoditi nella caserma della G uardia di Finanza dalle ore 17 circa del 27 alle ore 1 del successivo giorno 28. Alle ore 1 si presentò a Germasino il Comandante della 52a Brigata Garibaldi detto Pedro, al secolo conte delle Stelle Bellini il quale dopo di averlo bendato si riprese Mussolini per altra destinazione. D urante le 8 ore di permanenza a Germasino ebbi occasione di parlare a lungo con M ussolini al quale raccontai le m alefatte, le crim inalità commesse dalle associazioni a delinquere che rispondevano al nome di “ legione M uti” — “Xa M as” — “ Brigate N ere” — “ Milizie Varie” , ma egli si limitò ad ascoltare ed a tacere. Trattai pure l’argomento che riguardava il Corpo cui era stata inflitta l’onta delfallontanam ento dal confine e che il meschino espediente della fascia dei 3 Km. mirava ad intaccare il primo dei nostri privilegi. M ’interruppe Porta ex federale di Como per dimostrare che la Guardia di Finanza lasciava alquanto a desiderare ed io a ribadire che ciò non rispondeva al vero in quanto i posti di confine più disagiati dopo il nostro allontanam ento non furono più vigilati da nessuna altra forza armata, e che comunque le ragioni del parziale indebolimento della compagine del Corpo erano dovute principalm ente al fatto che molti dei nostri erano stati internati in Germania ma anche ai molti espedienti tentati ed attuati di estraniare il C orpo dalla sua vera missione. Mussolini taceva, sì, ma guardava con ironia il Porta. Il quale ad un certo momento mi chiama in disparte per dirmi che gli argom enti tra tta ti m ortificavano Mussolini. Dopo qualche m inuto di silenzio, M ussolini che passeggiava lungo la stanza dell’ufficio, si arrestò e soggiunse: “Unproverbio tedesco dice: nessun albero cresce fino al cielo” . “Ammettete quindi di essere già arrivato” , rispondo io: “ questa constatazione è piuttosto tardiva dopo il macabro espediente della repubblica sociale, neo fascista, dalla quale tutto il popolo, esclusi i criminali, era assente perché nessuno più credeva in voi” . Ed egli risponde: “ Fino a poco tempo fa ho fa tto dopo tanti l ’ultimo tentativo presso Ribbentrop di cambiare rotta e di allargare le basi alle diverse correnti, ma egli mi ha risposto che ciò avrebbe determinato sfiducia alla potenza tedesca ancora intatta e capace di capovolgere la situazione nel campo militare come in quello politico-sociale.
Io come sempre ho creduto ai tedeschi ma sono stato disilluso ed anche tradito, molte volte. Ero un loro prigioniero e schiavo. M i seguivano dappertutto ed i miei colloqui dovevano avere la durata che loro f is savano” . “ Il m inistro degli esteri tedesco, come commerciante in aceto, era in ogni caso in carattere, tuttavia soltanto voi eravate in Italia il solo credente al mito della potenza tedesca, e che lo sgambetto del 25 luglio non vi ha rivelato proprio nulla” . Ed egli: “Ho voluto risparmiare al popolo italiano la minacciata sciagura dei gas”. “ Ed avete quindi” , riprendo io, “permesso ai tedeschi di invadere l’Italia per continuare una guerra che quelli più competenti di voi avevano ritenuta perduta, e, per graziarci con le vostre milizie, delle delizie della guerra fratricida e civile, terrorizzando gli italiani che da soli sarebbero stati certamente capaci di liberare la Patria. M entre i vostri tedeschi non hanno avuto l’ardire con tutti i mezzi a loro disposizione di superare con un atto di forza e con l’astuzia uno sbarramento tenuto da un pugno di patrioti molti dei quali erano arm ati di sassi, dopo dei quali la via della Germania era libera” . “Sono stati dei vigliacchi perché non solo non mi hanno lasciato fuggire ma mi hanno lasciato prendere. Continuavano solo a buttarmi addosso coperte su coperte fino a soffocarmi”. “ I vostri amici tedeschi” , soggiungo io, “ in quanto a coraggio sono in ogni caso inferiori all’italiano ed in quanto ad astuzia non reggono al confronto. Posso comunque tranquillizzarvi che da Dongo non passavate certamente inosservato, poiché dopo le prime visite infruttuose, avevo financo deciso di aprire anche le latte della benzina che portavano sugli autocarri. E dopo che vi avevano portato via ai soldati tedeschi non sembrava vero di essersi liberati di una compagnia che o prima o poi li avrebbe tratti in conflitto. Quali spese avete sostenuto per il mantenimento dei tedeschi in Italia?” . “Quattrocentottanta milioni al giorno che nemmeno le rotative potevano stampare per impedire che dilagasse nella repubblica sociale la moneta d ’occupazione che avrebbe certamente determinato il crollo della finanza”. “E quanto credete che ci vorrà perché l’Italia si riprenda?” . “Almeno tre generazioni”. Poi si è interessato del fermo delle donne delle quali ha chiesto che gliene descrivessi il colore e la foggia dei vestiti. Indi ha cenato, ma poco. Secondo le confessioni fattemi da Bombacci la fuga di Mussolini dall’Italia era stata studiata minutamente. Dopo i due pri-
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mi tentativi di passare dalla Svizzera, rimasti infruttuosi, ne fu fatto un terzo a Menaggio. Volendo eludere la vigilanza dei tedeschi Mussolini fece credere a questi che aveva necessità di recarsi da solo, con la complicità della Petacci, in una stanza dalla quale si accedeva su una strada opposta a quella d ’ingresso. Così avvenne infatti, ma allorché fu aperta la porta da dove poi doveva allontanarsi, trovò schierati 4 tedeschi col fucile spianato. Bisognava per forza seguirli perché essi avevano l’ordine di portare vivo Mussolini in Germania o di lasciarlo m orto in Italia. D urante la sosta a Musso era giunto alla colonna un contrordine secondo il quale Mussolini doveva raggiungere una località prossim a a Chiavenna ove era p ron ta una “Cicogna” che l’avrebbe condotto in Germania mentre il resto della colonna doveva proseguire per Sondrio fino al Brennero. Tempo tre ore. M a lo spirito garibaldino di quel pugno di patrioti della 52a Brigata Garibaldi ed il concorso non meno importante di pochi elementi della Guardia di Finanza, decisi a farne di Dongo un campo di battaglia, ebbe ragione sui piani di siffatti personaggi. Ho avuto in custodia i seguenti ex gerarchi: — Pa- volini — Casalinuovo — G uttem berg [ recte: Utimpergher] — Porta — Barracu e Bombacci.
PccIl colonnello comandante II maresciallo capo t. Alfredo Malgeri F .to Francesco Nanci
Documento n. 7
Relazione sui fatti insurrezionali del giorno 26/4/ 1945 e successivi31.
[...] Dato che i tedeschi avevano premura si venne alla determinazione di lasciarli passare e farli poi fermare nella piazza di Dongo, dove avrebbe avuto poi luogo la visita agli automezzi ed a operazione ultimata i tedeschi sarebbero stati accompagnati fino a Colico. Così infatti avvenne. Fui incaricato di salire sulla prima macchina tedesca dove tro- vavasi pure l’ufficiale tedesco parlam entare con una bandiera bianca (segno di resa) ed una rossa
(nostro distintivo) e li accompagnai nella piazza di Dongo. Lì giunti incominciammo la visita agli automezzi. Salito sul primo autocarro, che si trovava subito dietro le macchine dove avevo preso posto per accompagnarli a Dongo, trovai il ministro Rom ano che indossava un cappotto grigioverde con un elmetto italiano di vecchio tipo. Gli ordinai subito di scendere ed egli spaventatissimo e pallido si alzò, smontò dall’autocarro e si diresse verso il Com ando della 52a B.G. quasi già conoscesse questa strada (Evidentem ente Rom ano non aveva pensato a nascondersi sotto a copertoni da camion sicuro che per il solo fatto di trovarsi su di un autocarro tedesco, gli italiani si sarebbero ben guardati dal fare qualche atto che potesse irritare la suscettibilità e provocare chissà quale rappresaglia — Romano fu poco intelligente, ma più intelligenti di lui furono tutti i tedeschi che si guardarono bene dal fare qualche azione insana, dato che avevano capito che per loro era ormai la fine). Pago e soddisfatto di quanto avevo trovato su quell’autocarro mi recai su quello successivo e notai che i tedeschi mi guardavano con viso cattivo. Da ciò sorse il mio sospetto per quella macchina e mentre mi avvicinavo all’autocarro vedendo il T. medico Giacobbe a pochi m etri dal veicolo, gli raccomandai: “Dottore attento a quell’autocarro” e ritornai sui miei passi dirigendomi verso il Tenente tedesco che com andava la colonna, perché salisse con me su quella vettura, ormai en tra ta nei miei dubbi per prevenire qualche cattiva intenzione da parte dei militari tedeschi che mi avevano sogguardato in modo cattivo. Dopo qualche istante tornai, dirigendomi verso l’automezzo e quando vi giunsi, accompagnato dal Tenente che era venuto con me, trovai Mussolini in piedi sull’autocarro, pallido in viso, che stava per scendere. Seppi poi che nel breve intervallo che separò la mia assenza per andare a chiamare il Tenente, qualche borghese era salito (avendo sentito quando gridai il mio sospetto al Dottore) ma la visita aveva dato esito negativo. Salì pure il patriota Negri o meglio più che salire si aggrappò all’automezzo per vedere ed osservare. Non vide nulla di sospetto e stava per tornarsene, quando il nostro M aresciallo di Finanza Di Paola Francesco, che trovavasi li vicino, fece presente al Negri che così non si visitava l’autocarro, ma che era necessario salire, vedere i
31 Asgdf, Documento s. n., Dongo, 15 maggio 1945.
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documenti dei militari e guardare sotto ad eventuali nascondigli. Il Negri fece tesoro dell’osservazione e salì di nuovo. Si guardò un po’ in giro, visto che i tedeschi lo guardavano con fare arrogante, notò che in fondo all’automezzo verso la parte dell’autista, si trovavano delle coperte che davano l’impressione che sotto nascondessero qualche cosa. Si avvicinò, ne alzò qualche parte e per quanto i militari tedeschi gli dicessero che si trattava di un loro cam erata ubriaco, riconobbe Mussolini. Fu preso da un momentaneo spavento di avere riconosciuto un pezzo così grosso e temendo forse la reazione tedesca scese, disse al. Maresciallo di Paola che gli andò incontro di avere trovato Mussolini e si diresse verso il V. Commissario della 52a Brigata (Bill) dicendogli che su quel “cam ion” da lui visitato si trovava Mussolini. Bill (al secolo Urbano Lazzaro ex Guardia di Finanza) senza indugiare altro si precipitò sull’automezzo si avvicinò al presunto M ussolini, gli tolse l’elmo tedesco e gli occhiali neri da sole e riconobbe Mussolini che indossava pure un cappotto dell’aviazione tedesca. Lo invitò a scendere, cosa che subito fece dato che la presunta reazione tedesca non avveniva. Dallo stesso Bill e da certo Ortelli fu accompagnato al Com ando. Io che in quel frattem po mi ero avvicinato e che gli avevo steso la mano per aiutarlo a scendere, lo tranquillizzai a non aver paura di nulla che nessuno gli avrebbe fatto del male. Egli mi guardò e mi rispose “ No non ho paura, lo so che non mi faranno del male” . La visita degli altri automezzi intanto continuava. Trovato il Capo quasi per incanto saltavano fuori tu tti gli altri satelliti. Chi su un automezzo, chi sull’altro, avevano cercato un presunto sicuro rifugio. Tutti furono diretti o portati verso il Comando. Terminata la visita agli automezzi, io mi misi in testa all’autocolonna e la accompagnai fino quasi al ponte del Passo. Lì giunto trovai il mio collega brigadiere Scappin Antonio che faceva ritorno con la motocicletta da Colico. Vedendomi in testa all’autocolonna e sapendo che si trattava di quella il cui Com andante era il Tenente tedesco che aveva il m attino parlam entato a Chiavenna per ottenere il passaggio, mi fece presente che in quel frattempo il forte di Colico era stato occupato dalle forze partigiane le quali, con quell’acquisto, non intendevano più lasciare passare la colonna tedesca, ma l’avrebbero messa sotto il tiro del forte, dotato di cannoni. N on sapendo cosa fare, pregai il mio
collega di volersi interessare della faccenda, anche perché io dovevo fare urgente ritorno a Dongo. Difatti fino a Gera feci uso di una motocicletta e da Gera a Dongo mi feci prestare una bicicletta. Giunsi a Dongo verso le ore 17,45 circa. Trovai i caporioni sempre nel Com ando e in tan to seppi che la schiera si era arricchita di altri nomi. Seppi anche che Barracu, Pavolini e Casalinovo avevano fatto resistenza dall’interno dell’autoblinda, resistenza subito domata da qualche bomba ben lanciata dai patrioti. N otai che Pavolini presentava ferita da fucile da caccia. Gli chiesi il m otivo ed egli mi disse che nella sparatoria che era nata era stato ferito. Seppi più tardi che un patriotta arm ato di fucile da caccia aveva fatto fuoco su Pavolini che prima di arrendersi scappò buttandosi nel lago. Intanto al di fuori la ressa della folla aum entava in modo impressionante. Tutti i paesi circonvicini venuti a conoscenza del fatto e della copiosa preda erano scesi a Dongo. Il Comandante Pedro, alquanto preoccupato di un bottino cosi forte e prezioso, mi palesò il suo timore di dover passare la notte con quella gente da curare. Consigliai il Comandante che Mussolini e qualche altro era bene portarli presso la caserma delle Guardie di Finanza di Germasino: — Caserm a questa che si prestava benissimo a qualsiasi difesa. Pedro accettò e mi ordinò di fare preparare almeno due macchine. Intanto Mussolini era stato preso da brividi di freddo (forse l’emozione). Gli fu offerto un cappotto militare tedesco, ma l’ex duce strappandoglielo di mano a chi glielo porgeva esclamò “ Ne ho abbastanza di questi tedeschi. N on voglio più vedere la loro divisa” . Intanto le macchine furono allestite e verso le ore 18,30 circa si incominciò l’ascesa per Germasino. Sulla prim a macchina sali Pedro vicino all’autista, io dietro avente alla mia sinistra Mussolini e alla destra il federale Porta. Dietro alla nostra macchina seguiva una macchina carica di armati di scorta. Durante il tragitto volli interrom pere il silenzio dei due ai miei fianchi e volgendomi a Mussolini “questa è la seconda volta che vi fanno prigioniero” dissi. “Caro ragazzo, altare polvere polvere altare” rispose lui. La sua vana gloria lo paragonava a Napoleone. Lungo il viaggio mi chiese varie volte dove andavam o ed in quali posti ci si trovava. N on sapendo se avessi fatto bene o male rispondendo il vero, cercai sempre di contraccam biare con vaghe ed incomplete risposte “ Siamo tra i monti della valle
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di D ongo” . M ussolini durante tale trag itto mi sembrò piuttosto nervoso ed inquieto. Non parlò d ’altro e notò, quasi adom brato, che io tenevo in mano la pistola con la sicurezza to lta e p ron ta per lo sparo. Si arrivò a Germ asino alle ore 18,55 circa. I personaggi furono subito condotti in caserma e fatti accomodare nell’ufficio del Comandante della Brigata. Venne loro offerto della spuma per dissetarsi. E bene tener presente che la temperatura, data l’acqua caduta in seguito alla pioggia, si era alquanto abbassata, e tanto Mussolini che Porta, dopo un po’ che si trovavano in ufficio, fecero capire di avere freddo. Porta accettò una coperta che mise addosso a guisa di scialle — Mussolini non la volle e preferì passeggiare un po’ per la camera per riscaldarsi. Intanto i G aribaldini si erano predisposti per la difesa interna ed esterna della caserma. A dar man forte era venuto anche il Maresciallo Nanci Francesco ex Comandante della Brigata di Germasino, che era stato il giorno prima e tutto il 27 ad offrire il suo aiuto alle operazioni che si erano svolte in Dongo. M ussolini e P orta non furono mai lasciati soli, ma in loro presenza sempre fui presente io oppure il Maresciallo Nanci e altri militari che si trovavano lì per il servizio di guardia. Verso le ore 19,20 “ Pedro” mi raccom andò il servizio di guardia e stava per andarsene. Mussolini capì che il Com andante era sulle mosse per partire e chiam atolo a parte lo pregò di salutare quella signora che si tro vava sull’autocolonna e che era stata lei pure fermata. “ Come si chiama” , asserì Pedro. L’ex Duce non voleva rispondere. La dom anda di Pedro lo seccò e si dimostrò quasi contrariato. Il Com andante Garibaldino insistette dicendo “Capirete... tanto veniamo a saperlo lo stesso” . Mussolini si convinse allora che ormai era alla mercé degli altri, che non gli rimaneva più nulla da fare e più sottovoce ancora, ma con fare nervoso, dondolando il capo e muovendo nervosamente il piede dietro disse: “ La... la... Petacci...” . Non disse altro quasi pentito di una confessione che lo degradava m oralmente di fronte agli italiani ed al mondo intero. Pedro lo assicurò che avrebbe fatto a parti. Verso le ore 20 circa rimasi in ufficio solo e Mussolini per quanto abbattuto e stanco, avendomi preso per un capo, perché mi vedeva impartire e aveva notato la confidenza che avevo con il Com andante Pedro, fece capire che avrebbe scambiato volontieri qualche parola. Cominciò col chiedermi in quale posto
si trovasse ed io gli riconfermai nella caserma delle G uardie di Finanza. Il discorso che facemmo fu molto spezzettato e incompleto perché si incominciava un tema per finire magari in un altro senza aver prima terminato il primo che Mussolini faceva capire di non gradire. La prim a cosa che mi chiese di una certa importanza fu: “ Si può sapere perché mi avete arrestato?” . Con una calma più che convincente risposi “ Prego, non vi abbiam o arrestato, vi abbiamo ferm ato” . Mussolini quasi seccato “ E perché mi avete ferm ato?” . Trovai una risposta decisa, forse un po’ troppo scocciante per l’ex Duce: “Vi abbiamo fermato” dissi “perché siete un italiano e non intendiamo più che gli italiani vadano in Germania a farsi scannare per i tedeschi” . Mussolini continuava a passeggiare: udi bene la mia risposta e voltandosi quasi di scatto, fissandomi con quello sguardo che un giorno faceva tremare proruppe: “ D ’altronde di che cosa mi si può incolpare?” . Io di ritorno e calmo: “Di nulla, solo di averci ridotti in questa situazione. Avete un’idea delle meraviglie che la guerra ha creato nel nostro paese? Una guerra che gli italiani non volevano, e voi responsabile primo potevate capire benissimo che noi non eravamo preparati, non solo, ma che l’Italia poteva stare neutrale” . Di scatto, impaziente, esclamò: “Non è vero il popolo ha voluto la guerra ed il Re l’ha firm ata” . Ed io di risposta: “ E voi eravate il mediatore innocente” . M ussolini, sentendosi colpire nell’intimo, come da uno scudiscio, protestando cercò di spiegare, di convincere che il popolo aveva acclamato la guerra e lui, povera vittima, era stato obbligato ad agire. “ Se tu ben ricordi” — disse — “ nel giugno del 1940 tu tti gli italiani volevano la guerra ed a me fu detto tan te volte: ‘Cosa aspetti ad entrare? N on vedi che è il momento buono? Vuoi entrare per ultimo per far la parte dell’avvoltoio?’ e tante altre cose” . Al che io risposi “Allora non erano solo il popolo ed il Re arbitri, ma anche voi potevate disporre bene” . A questo punto fece capire che quello era un tasto che toccava mal volentieri e cercò di scansarlo portando il discorso sui fascisti, per cui chiese “Ed ora avendo perso la guerra i fascisti li uccideranno tutti?” “Non credo tutti — risposi — solamente i criminali che hanno fatto tanto male e specialmente le vostre brigate nere che non hanno seminato altro che dolori: se veramente avevano un ideale da difendere perché non sono andati al fronte? Perché stavano nelle retrovie?
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Per meglio rubare, per meglio uccidere e sfogare tu tti i loro più bassi istinti? Avete un’idea delle porcherie che hanno fatto?” (e qui citai tu tte le bravure delle brigate nere specie quelle che avevo potuto constatare personalmente). In questo punto entrò Porta nel discorso e chiedendo permesso al suo Com andante soggiunse: “ Sarà, però questi non erano gli ordini” . Con calma risposi: “A me questo non interessa e poi se quelli non erano gli ordini e loro lo facevano vuol dire che voialtri non eravate capaci di farvi obbedire, anzi eravate consapevoli ed appoggiavate le loro porcherie” . Entrambi parvero piuttosto adom brati per le mie risposte e Porta continuò: “ Eppure vi posso assicurare che per gli arrestati di Dongo del CI ho fatto molto e sono riuscito ad ottenere la loro scarcerazione” . Risposi: “Questo io non lo so sarebbe bene che lo raccontaste agli interessati” (Nel giorno 21/12/44 le brigate nere operavano un fermo di circa 40 persone perché facenti parte del Cl). M ussolini continuava a passeggiare. Allora per distoglierlo dai suoi cattivi pensieri lo ammonii: “Alleandovi con la Germ ania di H itler, vi siete reso conto con chi legavate voi e l’Italia? Siete convinto almeno ora di aver avuto a che fare con un pazzo, con un criminale, con un uomo che non ha nulla di umano?” . M olto vilipeso e vinto disse: “Hitler deve ricordare che ogni forza umana ha un limite al di là del quale la natura si ribella, e non deve dimenticare che un proverbio tedesco dice che nessuna pianta arriva al cielo” . Allora usai una risposta secca per vedere a quale esito portasse: “ Sì ma intanto alla sua forza ed alla sua potenza qualcuno ci ha creduto, trascinandoci in questa situazione” . Fu come un colpo deciso. Cambiò argomento mostrando un avvilimento grande. Gli feci osservare “Vedete per esempio, quando è morto Roosevelt, Hitler disse: ‘E m orto il più grande criminale dei nostri tempi’. Allo opposto il Giappone che è l’avversario diretto: ‘E m orto il più grande statista dei nostri tempi’” . N on ebbi da lui alcuna risposta ma accennò di si col capo approvando la frase dei giapponesi. Gli domandai: “ Che ne dite della Russia e di Stalin?” . Convinto quasi con ammirazione soggiunse: “ Ho sorvolato la Russia per giorni e giorni senza riuscire a vederne i confini un paese grande che non finisce mai composto da un agglomerato di varie razze. Il fatto di essere capace di governare quel popolo, bisogna essere dei grandi uomini” . A questo punto asserii “ M a il 25 luglio
1943 non vi aveva aperto gli occhi! Dovevate ben capire che non era una guerra nostra, e perché l’8 settembre 1943 vi siete rimesso al governo per trascinarci fino in fondo alla sciagura?” . E incominciò a narrare le sue vicende sulla liberazione al Gran Sasso: “Quando fui liberato dal Gran Sasso, fui portato in Germania da Hitler. Dopo qualche tempo, quando mi rimisi in salute, Hitler mi disse: ‘Ed ora cosa intendi fare?’ ‘Intendo darmi alla politica, ma di quello che può essere cosa militare, non mi sento più’. Hitler divenne furioso e mi disse ‘Sta bene, ricorda che questa è una guerra di partito, qui c’è di mezzo 1’esistenza del Nazionalsocialismo e del Fascismo. Ad ogni modo sappi che io per il nemico ho del piombo e per i traditori del gas’. Ed egli intendeva gasare tutta l ’Italia”. A questo punto intervenni: “Questo forse lo posso credere, conoscendo quanto bestiale sia Hitler, lo ritengo capace di quello e di altro. Pensate che la Germania possa ancora risorgere? e siete convinto che dopo questa non vi saranno più guerre?” . A tale domanda egli rispose: “ Ma non si può sapere, forse fra cinquanta anni non si sa, qualcuno potrebbe avere a fare una Germania forte e scatenare un’altra guerra” . Al che io: “Non ci credo. I popoli, dopo quello che hanno visto di guerre non ne vorranno più sapere. Perché anche in questi ultimi tempi vi permettevate di fare discorsi non corrispondenti al vero dicendo, per esempio, nel discorso del dicembre scorso che le nuove armi c’erano e che erano di azione ‘positiva e determinante’? Ma insomma la Germania ha o non ha queste famose armi nuove e in che cosa consistono?” . Deciso e quasi persuaso l’ex duce disse: “ le telearm i” “ E le telearmi le chiamate armi nuove e pensate che siano in grado — dissi — di ristabilire una situazione come può essere quella della Germania a tut- t’oggi?” . Convinto e tanto abbattuto fece cenno di no col capo, dicendomi: “Forse fra 30 se studiate a fondo potrà essere un’arma offensiva di una potenza mai vista, oggi no” . Deciso e calmo lo rimbeccai: “ E perché voi allettavate il popolo italiano con delle speranze che sapevate infondate ed inesistenti?” . “ Q uando ti avrò detto — soggiunse — che mancava solo che uno delle SS tedesche dormisse con me perché il servizio fosse completo ti sarà facile capire tutto. Ad ogni modo al Tribunale avrò molte cose da dire e dimostrerò che in questi 18 mesi ho salvato l’Italia da sciagure peggiori” . Non gli risposi. Venne l’ora della cena. Quan
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do gli chiesi cosa gradisse, rispose facendo cenno di no col capo “Anche nulla, anche nulla” . Siccome noi si insistette egli rispose: “Un po’ di verdura” . Per cena gli fu portato pasta in bianco — frittata — verdura — capretto — formaggio grana — e spuma. Alla fine di tale cena fu pure servito il tè. Mussolini in compagnia di Porta e sotto la mia vigilanza cenò con appetito parlando del più e del meno. Fini la cena verso le 21,30 circa. N otai che l’ex Duce tutto il tempo della cena tenne sempre la mano sinistra nella tasca del soprabito (indossava un soprabito color ruggine) e mi dava l’impressione che la tenesse stretta verso la bocca dello stomaco. Anzi ad un certo punto levò la mano da quella posizione e vidi che nella tasca si trovava un oggetto nero. Ebbi l’impressione si tra ttasse di un’arma, ma non dissi nulla solo mi preoccupò temendo che se fosse stata veramente un’arma, per non averla consegnata, avesse magari intenzione di togliersi la vita. Quando l’accompagnai a dormire, mi accertai invece che non si trattava di un ’arm a. Term inata la cena, M ussolini passeggiò in su e in giù per riscaldarsi i piedi e digerire, così mi disse. Intanto cominciammo a discorrere. Mentre passeggiava, voltandosi verso di me disse: “Avete giocato una bella carta fermandoci, i tedeschi avevano l’ordine di fare immediatamente uso delle armi” . “ Eravamo decisi a tutto — affermai io risoluto — perché troppo stanchi di uno stato di cose insopportabile. Ad ogni modo ora è fatto ed è andata bene, speriamo solo che qui non venga la ‘Cicogna’ perché noi siamo decisi a tutto . O tu tti assieme usciamo o nessuno esce” . Egli si fermò, mi guardò quasi a scrutarmi e poi prendendo un ’aria quasi sorridente aggiunse: “ No, non è possibile, sono altri tem pi” . A llora gli chiesi qual era la meta fissata. “Dove volevate andare — dissi — e non sapevate che tu tta la zona di quassù era controllata da noi?” . “ Lo sapevo benissimo — asserì — e ieri sera al Comandante delle SS tedesche di Cernobbio feci presente la difficoltà di un tale viaggio, ma egli mi fece presente che l’ordine che aveva era di portarmi in Germania e come prima tappa Merano via Stelvio; se ne andava di mezzo la sua testa se non ubbidiva. Poi il Comandante delle SS aggiunse: ‘Non è il caso di avere paura, l’altro giorno è passato, dalla stessa strada, un mio capitano ed è arrivato a Merano, in tu tti i modi con i miei 150 (e qui disse un nome che ora non ricordo e che voleva significare SS della
m orte) tu arriverai dap p ertu tto ’. Scossi il capo, mi disse Mussolini, e feci notare che per arrivare a M erano via Stelvio bisognava passare in posti controllati dai ‘Patriotti’. Gli aggiunsi — ‘ricordatevi che noi lassù troverem o i veri soldati d ’Ita- lia’” . Continuava a passeggiare, non aveva quiete siccome con il Com andante “Pedro” eravamo rimasti d’accordo che avrebbe portato a Germasino anche tu tti gli altri ministri arrestati, M ussolini ogni tan to mi chiedeva: “ V erranno gli altri?” . “Spero e credo, gli rispondevo, ma non sono sicuro perché può darsi che a Dongo abbiamo molto da fare” . Intanto fuori continuava a piovere a dirotto. Porta, che quasi sempre rimaneva in silenzio o da parte, entrò in scena dicendo: “Quassù a G ermasino non sono mai venuto” . Gli risposi: “N on è un brutto posto, certo ora il tempo è cattivo ed è più triste anche il paesaggio — vi è della gente buona e lavoratrice” . Mussolini che non perdeva il filo del discorso entrò affermando: “ E vero, la popolazione del lago di Como è sana, onesta e laboriosa” “Proprio” riconfermò Porta. L ’ex federale di Como che fumava molto e pregava sempre che lo accompagnassimo fuori perché sapeva che al suo Duce il fumo dava fastidio, anche dopo cena mi chiese delle sigarette. Gliene offrii e M ussolini mi disse: “Oggi anch’io avrò fumato 10 sigarette ed ora mi sento la testa pesante e stanca” . A tale affermazione io gli chiesi: “Perché non siete abituato a fumare?” . Mi disse “Non ho quasi mai fum ato” . Intanto Porta usciva ancora dall’ufficio per fumarsi la sigaretta. Lo consegnai, come le altre volte al piantone che si trovava di fuori alla porta e rimasi solo con Mussolini. Egli continuava a passeggiare. Aspettai che mi arrivasse vicino e gli dissi prendendo in mano la penna e tenendo con la sinistra un mezzo foglio di carta protocollo: “ Vi dispiace voler scrivere due righe?” . Egli si fece quasi burbero e mi rispose: “ Che è questo? Forse un verbale di in terrogatorio?” . Lo rassicurai: “Non ho ordini in proposito e me ne guarderei bene, trattasi solo di una dichiarazione per dimostrare che siamo noi della 52a che vi abbiamo preso” . Mi disse: “ E che te ne fai un vanto?” . Soggiunsi “No, ma non vorrei che dessero alla storia cose non rispondenti al vero. Ad ogni modo se volete farlo ...” . “ Sta bene, rispose lui, ma sotto form a di cimelio storico” . “ Sia” affermai. “Che debbo scrivere?” chiese Mussolini. Gli risposi: “ Scrivete” . Ed egli sotto dettatura scrisse “La 52a Brigata
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Garibaldi mi ha catturato oggi 27 aprile 1945 nella piazza di D ongo” . Poi gli aggiunsi: “Ed ora dite che vi abbiamo trattato male, picchiato, lasciato senza cena ecc.” . Mussolini di sua iniziativa aggiunse: “ Il trattam ento usatom i durante e dopo tale cattura è stato corretto” . Indi lo firmò. Presi il foglietto, lo piegai, ringraziai e me lo misi in tasca. Più tardi quando venne Pedro a riprendersi Mussolini glielo consegnai a lui. Mussolini riprese a passeggiare. Io continuai a discorrere: “Dite — dissi — noi venimmo a conoscenza che nei giorni scorsi voi avevate avuto colloqui con parlamentari per una pace separata, è vero questo?” . Confermò lui: “ E vero. I giorni scorsi ebbi dei contatti per trattare una pace che però non mi fu possibile accettare perché era senza condizioni e le condizioni potevano interessare non tanto me, quanto i fascisti in genere” . “Tanto — ora aggiunsi — dovranno accettare la pace perché, secondo il mio modesto modo di vedere, la Germania avrà si e no qualche giorno ancora da com battere e poi anche lei avrà finito, vi pare?” . Non mi rispose. M a con l’espressione del viso alzò bene le palpebre degli occhi come ad aprirli nella loro massima capacità volendo dire: “Può darsi!” . Lo interrogai: “Questi contatti dove li avete avuti?” “Nell’Arcivescovado— rispose — di M ilano” . Ed io mutando il discorso che capivo l’opprimeva: “ E la vostra famiglia— chiesi — dove l’avete lasciata? Perché non avete pensato a m andarla in Isvizzera m ettendola in condizioni di vivere? Ora dove si trova?” . Mi disse: “ In una località tra Como e M ilano” . Rivoltomi ancora a lui: “E voi perché non avete cercato rifugio nella vicina Svizzera?” . “ Ieri, mi dissero — affermò l’ex Duce — che avevo tre ore di tempo per andare in Isvizzera, non accettai” . Ogni tanto uscivo per controllare il servizio di guardia, lasciando coi prigionieri un Garibaldino. Porta nel frattempo era rientrato. Mussolini mi chiese ancora se gli altri fossero o meno venuti: “ Orm ai è troppo tardi e credo non verranno più per questa sera” . Con Porta Mussolini parlò di Barracu e raccontò che la medaglia d ’oro di cui era fregiato, gli era stata conferita proprio perché fu un valoroso e raccontò il fatto che ora non ricordo. Chiese a Porta se conoscesse come si era fatto male Pavoli- ni (aveva fatto resistenza e gli fu sparato addosso). Porta asserì di non saperlo ed io pure dissi loro che non conoscevo il motivo, aggiunsi solo che se si fosse arreso in buon ordine come gli altri, nessuno
gli avrebbe fatto del male. “Anche il fatto che era Com andante delle brigate nere, per noi non vuol dire nulla — spiegai loro — quando uno viene arrestato è protetto dalla legge e più nessuno gli può torcere un capello” . “Certo — gli ripetei — con le b.n. la popolazione ce l’ha un po’. Troppe ingiustizie ha commesso; vedete per esempio io rimasi al mio posto di servizio come Brigadiere di Finanza fino a ieri: nessuno mi torce un capello, nessuno mi fa del male, perché io ho rispettato tutto e tutti aiutandoli nel limite delle mie possibilità sempre s’intende nella legge” . Rispose Mussolini: “E... le guardie di F inanza hanno un ’altra disciplina, un ’altra istruzione” . Erano circa le 23,30. L ’ex condottiero espresse il desiderio di andare a riposare. L’accompagnai nella camera per lui appositamente preparata (fu messo a dormire nella prigione perché la camera più sicura e meglio sbarrata). Lì giunti egli si tolse la giubba, e in quell’occasione (ram m entando l’oggetto nero che avevo visto quando cenava) gli dissi: “ Scusate, ho l’impressione che siate arm ato” , egli si voltò di scatto e quasi adom brato di quella mia dom anda rispose: “No no no” e levò dalla tasca quell’oggetto nero per me tanto sospetto e che mi dava pensiero — vidi — era l’astuccio di un paio di occhiali. Gli dissi convinto: “ E quello che avevo visto — ora sono sicuro che non siate arm ato” . Abbozzò un sorriso e continuò a spogliarsi. Lo invitai a guardare se gli bastassero o no le coperte ed egli dopo avere guardato e provato il peso delle stesse rispose: “Sì, così va bene” . Presi una coperta fuori uso che mi capitò di trovare e gliela misi a guisa di scendiletto. Fu contento di quel pensiero perché mi ringraziò caldamente. A llora dissi: “ Vedete dunque che non siete in mano a delinquenti comuni — tranquillizzatevi e buona notte” “Buona notte” rispose lui. Tirai la porta dietro me e cominciai a fare cantare il catenaccio per ben sprangarla. Feci un giro per vedere che i servizi tanto interni quanto esterni vigilassero poi mi sdraiai sul letto così vestito. Erano le 24 da poco passate. Il Maresciallo Nanci che pure si trovava in caserma, mi disse di pure andare a dormire tranquillo che avrebbe vegliato per qualche ora e poi mi avrebbe chiamato per il cambio. Erano la una e dieci minuti circa quando un Pa- triotta mi svegliava dicendomi che Pedro era arrivato e voleva parlarmi. Mi recai subito da lui che mi disse: “ Sono venuto a prendere Mussolini, lo porto via” . “Sta bene” gli risposi. Mi recai nella
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cam era dove egli riposava feci cantare un’altra volta il catenaccio per aprire la porta, accesi la luce e Mussolini ancora non si svegliava. Scossi il letto ed egli guardandomi disse “ Che c’è” “ E arrivato l’ordine di partire” — gli risposi. “ Lo immaginavo” rispose. Si alzò e noi chiudemm o la porta per lasciarlo vestire. Dopo dieci minuti circa era vestito. Il Comandante Pedro gli si avvicinò dicendogli: “Permettete che vi fasci il viso, dobbiamo passare diversi posti di blocco ed è bene che non vi conoscano” “Sì, sì” e lasciò fare. Presi la benda che Pedro aveva in mano, gli tolsi la bustina dalla testa e lo fasciai dal mento al capo, lasciandogli nudi solo il naso, gli occhi e la bocca. Erano esattamente le una e 35, Mussolini e Pedro con altri arm ati lasciavano la caserma delle G uardie di F inanza di Germasino per dirigersi verso Dongo.
Continuava a piovere. Rientrai e mi misi a dormire nel suo stesso letto di prigione, dato che dovevamo darsi il cambio per mancanza di letti, fino al mattino. [...].
In fede
Visto si dichiara che la presente relazione fatta dal Brigadiere della G uardia di Finanza Buffelli G iorgio risponde, per sommi capi, al vero. D etta relazione si compone di n. 12 fogli e tale relazione è stata fatta in 4 copie.
Dongo, 15 maggio 1945
Il comandante Pier Luigi Bellini delle Stelle
STUDI STORICISommario del n. 4, ottobre-dicembre 1995
Mario Liverani, La rivoluzione "neolitica" e la fine delle ideologie; Augusto Fraschetti, Roma: spazi del sacro e spazi della politica tra IV e V secolo-, Peter Partner, Guerra santa, crociate e jihad: un tentativo di definire alcuni problemi; Pasquale Villani, Agenti e diplomatici francesi in Italia durante la rivoluzione. Eymar e la sua missione a Genova (1793)
Opinioni e dibattitiEugenio Di Rienzo, "Illuminismo politico"? Alcuni problemi di metodo sulla storiografia politica del Settecento-, Sergio Manca, A proposito de L’antichità negata e l'Idea di progresso in N.A. Boulanger di Franco Venturi
Ricerche
Samuel K.Cohn jr., Insurrezioni contadine e demografia: il mito della povertà nelle montagne toscane (1348-1460)-, Francesco Manconi, Traffici commerciali e integrazione culturale nel mediterraneo occidentale tra Quattro e Cinquecento: Gian Giacomo Ortu, Famiglia e possesso contadino in contesto feudale: il caso sardo-, Giuseppe Cengiarottl, Un laboratorio politico culturale nell’Europa del Seicento: i Clamores Eliae di Comenio
Note critiche
Giorgio Vercellln, Sciiti nel mondo-, Emma Mana, Luigi Luzzatti e il suo tempo