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ARNAUT DANIEL. LA VIDA E LA RAZO DEL “MIGLIOR FABBRO DEL PARLAR MATERNO” Martina Michelangeli, matricola n. 1493414 Esame di Filologia Romanza, a.a. 2012-2013- prof. Paolo Canettieri Filologia Romanza, cod. 1027334 1

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ARNAUT DANIEL.LA VIDA E LA RAZO DEL

“MIGLIOR FABBRO DEL PARLAR MATERNO”

Martina Michelangeli, matricola n. 1493414Esame di Filologia Romanza, a.a. 2012-2013- prof. Paolo Canettieri

Filologia Romanza, cod. 1027334! 1

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INDICE

INTRODUZIONE! 3

LA VIDA! 4

Canzone 29,10! 12

LA RAZO DELLA CANZONE [29,2]! 20

Canzone 29,2! 23

ARNAUT DANIEL: IL PADRE DELLA SESTINA E IL LUSSURIOSO! 30

CONCLUSIONI! 34

BIBLIOGRAFIA! 35

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INTRODUZIONELe vidas dei trovatori sono le narrazioni delle loro vite, cioè le loro biografie. Queste vidas sono

scritte in terza persona e sono inserite nei Canzonieri: collezioni di autori vari e spesso uniti per te-

matiche. I Canzonieri non sono la raccolta poetica di un singolo autore, ma una raccolta di più poe-

sie e di più autori e sono indicati con delle sigle: in lettera maiuscola si indicano i codici scritti in

pergamena e in lettera minuscola quelli scritti in carta. La struttura di questi canzonieri è composta

da una parte antecedente alle poesie e poi le poesie stesse: la parte che precede le poesie è chiamata

vidas ed è un’introduzione concepita come Accessus ad auctorem, cioè come un’introduzione al-

l’opera di un’autore, in evidenza rispetto ai componimenti poetici perché di colore rosso ed è la ru-

brica, cioè appunto la vida; spesso vicino alla rubrica nei canzonieri si trova una vignetta, una mi-

niatura, con il ritratto dell’autore delle poesie ( la vignetta che noi abbiamo inserito come copertina

per il nostro lavoro è un’immagine di Arnaut Daniel del manoscritto K). Una delle caratteristiche

delle vidas è quella di darci delle annotazioni sulla poetica di un’autore: leggendo la vida si ha

l’idea di leggere una piccola storia, un piccolo romanzo, come se fosse la traccia di qualcosa di mol-

to più grande oltre la semplice biografia dell’autore di un componimento lirico. Nei canzonieri, nel-

la sezione specifica di un autore, non venivano scritte solo la vita e i suoi componimenti, ma c’era

anche la razo o le razos ( dal latino ratio- rationis): sono i motivi, le ragioni della composizione di

una poesia, l’esegesi del componimento, ricordiamo sempre in prosa, come la vida. Spesso le noti-

zie che sono fornite da queste razos sono tratte, o si immaginano, sulla base di ciò che si trova nel

componimento lirico.

Per questo lavoro l’autore da noi studiato sarà Arnaut Daniel, considerato uno dei trovatori più im-

portanti conosciuto anche dai grandi poeti della nostra letteratura come Dante, il quale cita il trova-

tore sia nel canto XXVI del Purgatorio e sia nel De Vulgari Eloquentia, II, X, 2.

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LA VIDAL’edizione critica della vida di Arnaut Daniel presa da noi come punto di riferimento per questo la-

voro è tratta dal testo Biographies des troubadours di Boutierès-Schutz1:

1. Arnaut Daniel si fo d’aquella encontrada don fo N’Arnautz de Meruoill, de l’eve-

squat de Peiregors, d’un castel che a nom Ribairac, e fo gentils hom. 2. Et amparet

ben letras e delectet se en trobar. 3. Et abandonet las letras, et fetz se joglars, e pres

una maniera de trobar en caras rimas, per que soas cansons no son leus ad entendre ni

ad aprende. 4. Et amet una auta domna de Gascoingna, muiller d’en Guillem de Bou-

villa, mas non fo cregut que la domna li fezes plaiser ed dreit d’amor; per qu’el dis:

[29,10] Eu son Arnautz qu’amas l’aura

e chatz la lebre al lo bou

e nadi contra suberna2

I manoscritti in cui la vida di Arnaut Daniel viene riportata sono i seguenti3:

- A 39 = Lat. 5232 della Biblioteca apostolica Vaticana, Città del Vaticano.

- B 27 = Fr. 1592 della Bibliothèque Nationale, Paris.

- E 200= Fr. 1749 della Bibliothèque Nationale, Paris.

- K 50 = Lat. 3207 della Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano.

- I 65= Fr. 854 della Bibliothèque Nationale, Paris.

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1 J. Boutière, A. H. Schutz, Biographies des troubadours, A.G. Nizet, Paris, 1964.

2 Ibidem, p. 59.

3 ibidem, p. 15.

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- N2 1 = Phillips 1910 della Staatsbibliothek, Berlin.

- R 2= Fr. 22543 della Bibliothèque Nationale, Paris

- a 104= 2814 della Biblioteca Riccardiana, Firenze.

- a” 30 = 2814 della Biblioteca Riccardiana, Firenze.

La tradizione di questa vida è stata trasmessa attraverso diversi manoscritti, portando alla formazio-

ne di varianti fra un testo e l’altro, varianti che possono essere minime per quanto riguarda magari

la differenza di scrittura di una singola parola, ma si possono trovare anche varianti importanti co-

me la mancanza di un’intero periodo; questa differenza la troviamo nel manoscritto R, per esempio

nell’assenza del periodo:

“ E delectet se en trobar. Et abandonet las lestras” e “ de l’evesquat de Peiregors”.

Prima di provare a ricostruire le varianti più importanti di questi manoscritti, riportando anche

l’edizione diplomatica di questa vida, dobbiamo dare la traduzione della vida prima citata, per poter

conoscere la storia di questo importante trovatore: cercheremo di trascrive una traduzione letterale

con eventuali spiegazioni di termini tecnici della lirica dei trovatori per rendere più facile l’appren-

dimento del testo:

1. Arnaut Daniel fu di quella contrada di Arnaut de Mareuill4 , del vescovado di Péri-

gord5, di un castello che il nome di Ribairac, e fu un uomo gentile6. 2. E imparò bene

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4 trovatore del vescovato di Peiregos, un chierico di povera famiglia che girò il mondo. Era un uomo avvenente e sape-va ben comporre. Si innamorò della contessa di Burlatz, figlia di Raimondo e moglie del vescovo di Burlatz, che aveva nome Taillafer. Dedicò alla contessa dei componimenti per dimostrarle il suo amore.

5 Pèrigord: oggi forma il dipartimento della Dordogne.

6 gentiluomo, onesto.

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le lettere e si dilettò nel comporre. 3. E abbandonò le lettere e si fece giullare7, prese

una maniera di comporre in rime preziose8, per cui le sue canzoni9 non sono facili né

da intendere né da apprendere. 4. E amò una nobildonna de Guascogna, moglie del

signor Guglielmo di Buoville, ma non fu creduto che la donna gli facesse piacere10

nel diritto d’amore11; per cui egli dice:

[29,10] Io sono Arnaut che vento raccolgo,

e caccia la lepre con il bue

e nuota contro corrente.

1. arnaut daniel fo de lencontrada d. fo narnaut de marruelh R. n’ (mancanza) B. mar(u)oill B. ma-

rueill E. peiregos B. peiregorc E. (mancanza) R. quez a n. E. ribaurac IK. 2. g. homs et apres le-

tras R. deleitet BE. deletet K. et delectet... 3. las letras R. 3. et abandonet... de trobar B. efes E.

io(t)glar E. pres manyeyra de t. R. apres una maneira E. mainera BK. et en c.r. B. cars rims R. ca-

ra IK. las soas B. sas E. azentendre ni azapenre E. no so leu dentendre (niente di più) R. 4. unauta

dona E. gascoigna B. gascueaha E. gascoina K. gascomgna I. buouvila BR. bouvila E. crezut BE.

quez B. q. anc la domna B. q. la dona anc E. plazer BE mas anc non ac plazer en dreg d. R. p. que

el ditz B. p que d. R. verso1. sui B. ieu soi E. camas ER. verso2. caz B. cas ER. verso 3. com s.

R. siberna IK. et aqui son dels soas chansos si com vos auziretz E. lonc tems estet en aquela amor

en fes motas bonas chansos, et el era mot avinens hom e cortes R.

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7 poeti professionisti del divertimento che giravano il mondo da una corte all’altra, possono essere paragonati ai mo-derni cantastorie.

8 rime difficili, rare, oscure.

9 i suoi componimenti lirici.

10 nella cultura cortese il piacere che la donna può trasmettere ad un uomo non implica per forza un piacere di tipo car-nale.

11 si parla di “diritto d’amore” poiché nella cultura cortese anche l’amore aveva le sue regole e le sue leggi che la donna e l’amante dovevano rispettare: le regole del corteggiamento fra l’amante e la donna comportano che a fronte di un ser-vizio d’amore prolungato ci siano delle ricompense da parte della donna corteggiata.

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Riporteremo adesso l’edizione diplomatica dei manoscritti B, E, I, K e R trascrizione che permette

di mostrare anche diverse varianti rispetto al testo da noi precedentemente riportato e le varianti fra

queste versioni della tradizione. Sotto ogni edizione diplomatica è stata inserita l’immagine della

vida del manoscritto preso in esame.

Edizione diplomatica di I:

Arnautz daniels si fo daquella encontrada don fo narnauts de meruoill. Del evesquat

de peiregors. Dun castel que anom ribaurac. Efo gentils hom. Et amparet ben letras.

edelectet se entrobar. et abandonet las letras efetz se ioglar. epres una maniera de tro-

bar encara rimas. p(er)que soas cansons no son leus adentendre ni adaprendre. Et

amet una auta domna de gascomgna muiller den guillem de buouilla. mas no(n) fo

cregut q(ue) la domna li fezes plaiser endreit damor. P(er) quel dis eu son arnaut qua

mas l aura echatz la lebre al lo bou. euadi contra siberna.

foto: vida mano-scritto I

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Edizione diplomatica di K:

Arnautz daniels si fo daquella enco(n)trada don fo narnautz de meruoill. Del evesquat

de peiregors. Dun chastel q(ue) anom ribaurac. E fo gentils om. Et anparet ben letras.

edeletet se entrobar. et abandoner las letras. efez se ioglar, epres una mainera de tro-

bar, en cara rimas. perque soas canso(n)s no son leus ad entendre. Ni adprendre. Et

amet una auta domna de gascoina. Mullier denguillim de buouilla. Mas no(n)fo cre-

gut que la domna li fezes plaiser endreit damor. per quel dis euson arnaut qua mas

laura echatz lalebre ablobou. euadi contra siberna.

foto: vida manoscritto K

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Edizione diplomatica di E:

Arnautz daniels si fo daquela enco(n)trada. don fo narnautz demarueill. d(e)levescat

depeiregorc. dil castel queza nom ribairac. efo gentils hom (e) amparet ben letras.

edeleiret se entrobar. (e) abandonet las letras efes se iotglar. (e) apres una maneira de-

trobar encaras rimas. perque sas chansos non fon leus ezentendre. ni azapende. (e)

amet unauta dona de guascueaha moiller denguilem debou uila. mas non fo crezut

que la dona anc li fezes plazer endreg damor. perquel dis ieu soi arnautz camas laura.

cas la lebre ablo bou. euadi contra suberna (e) aqui son delas soas chansos si com uos

auziretz.

foto: vida manoscritto E

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Edizione diplomatica di B:

Arnautz daniels si fo daq(ue)lla encontrada don fo arnautz demaroill delevescat de-

perregos dun chastel que anom ribairac (e) fo gentils hom et amparet ben letras. ede-

leitet se entrobar et abandoner las letras. efez se ioglar, epres una mainera de trobar

(e)t encaras rimas. p(er) que las soas chanssons non son leus ad entendre. ni ad

aprendre. (e) amet una auta dompna degascoina moiller den guillem debuouuila. mas

no(n) fo crezut qez anc la dompna li fezes plazer endreich damor. p(er) que el ditz. eu

sui arnautz qamas laura. ecaz lalebre ad lo bou. enadi contra suberna.

foto: vida manoscritto B

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Edizione diplomatica di R:

Arnaut daniel fo delecon(n)trada don fo narnautz de marruelh dun castel q(ue) a nom

ribairac e fo gentils homs et apres letras. e fesse ioglars. e pres manieira de trobar en

cars rims p(er) q(ue) sae cansons no so leu dentendre. et amet unauta dona de ga-

scuenha moller den G. de buou uila. mas anc no(n) ac plazer en dreh damor. p(er) que

disieu soi ar. camas laura e cas la lebre ab lo buou e nadu com siberna. lonc tems estet

en aq(ue)la amor en fes motas bonas chansons. et el era mot auinens homs e cortes.

foto: vida manoscritto R

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Le notizie sulla vita di questo autore non sono molte e basandosi proprio sulla vida dei canzonieri il

quadro generale che si può avere di questo autore è quello di essere ritenuto un gentiluomo nativo

del castello di Ribérac, dello stesso vescovado di un altro Arnaut ( Arnaut de Maroill). Nella vida

viene riferito al lettore che il trovatore imparò bene le lettere, per cui fu un uomo che ebbe una pro-

fonda cultura. Come abbiamo notato non in tutte le tradizioni della vida si dice che Arnaut lasciò le

lettere per diventare giullare: elemento che può essere ribadito dalla razo in cui si testimonia una

singolare gara poetica fra Arnaut giullare e un altro giullare alla corte del re Riccardo d’Inghilterra,

Riccardo cuor di Leone. E proprio questa razo potrebbe dare un aiuto in più per cercare di delineare

la vita di Arnaut Daniel: nella vida non si trovano elementi che si riferiscono ai suoi viaggi, ma la

razo invece parla di un suo soggiorno in Inghilterra ( proprio su questo elemento Canello propose la

tesi per cui alla corte di Riccardo Cuor di Leone si siano incontrati Arnaut e Bertran de Born)12.

Come gli altri trovatori anche Arnaut trovò l’amore: secondo la vida il trovatore si innamorò della

moglie di Guglielmo di Buonvilla, amore però che non sarà ricambiato andando contro il diritto

d’amore della morale cortese. Anche sulla questione dell’amore ci sono molti dubbi nella vita del

trovatore: se nella vida viene citata la dama di Buovila, nelle canzoni, attraverso vari giochi di paro-

le Arnaut farà riferimento ad una certa Laura13, un’ aragonese che a differenza della dama di Buovi-

la accetta il corteggiamento e l’amore del suo amante fedele.

La vida non accenna nessun riferimento alla morte del trovatore, e proprio per questo dato mancan-

te può essere definita una leggenda, tramandata anche da Benvenuto da Imola14, il quale narra che il

trovatore ormai vecchio e povero si ritirerà in chiostro, come altri suoi colleghi.

Canzone 29,10

I versi della canzone che troviamo nella vida sono gli ultimi tre versi della canzone En cest sonet coind’e leri. La canzona è composta da 6 coblas unissonans di 7 versi.

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12 U. A. Canello, La vita e le opere del trovatore A. Danie$o, Halle, Niemeyer, 1883, p. 8.

13 esempi: canzone IX,1 ( l’aura ) - X, 12 ( aura ), 40 e 43 ( laura ).

14 Benvenuto da Imola, ed. Lacaita, Barbera, Firenze, 1887, p.134.

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IEn cest sonet coind’e leri

fauc motz e capuig e doli,

que serant verai e cert

qan n’aurai passat la lima;

q’Amors marves plan’e daura

mon chantar, que de liei mou

qui pretz manten e governa.

II

Tot iorn meillur et esmeri

car la gensor serv e coli

el mon, so•us dic en apert.

Sieus sui del pe tro q’en cima,

e si tot venta•ill freid’aura,

l’amors q’inz el cor mi plou

mi ten chaut on plus iverna.

III

Mil messas n’aug e•n proferi

e•n art lum de cer’e d’oli

que Dieus m’en don bon issert

de lies on no•m val escrima;

e qan remir sa crin saura

e•l cors q’es grailet e nou

mais l’am que qi•m des Luserna.

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IVTant l’am de cor e la queri

c’ab trop voler cug la•m toli

s’om ren per ben amar pert.

Q’el sieus cor sobretracima

lo mieu tot e non s’eisaura;

tant a de ver fait renou

c’obrador n’a e taverna.

V

No vuoill de Roma l’emperi

ni c’om m’en fassa apostoli,

q’en lieis non aia revert

per cui m’art lo cors e•m rima;

e si•l maltraich no•m restaura

ab un baisar anz d’annou

mi auci e si enferna.

VI

Ges pel maltraich q’ieu soferi

de ben amar no•m destoli,

si tot me ten en desert,

c’aissi•n fatz los motz en rima.

Pieitz trac aman c’om que laura,

c’anc plus non amet un ou

cel de Moncli n’Audierna.

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VII

Ieu sui Arnautz q’amas l’aura,

e chatz la lebre al lo bou

e nadi contra suberna.

La canzone descrive l’immagine del poeta nella sua solitudine spirituale. Il poeta grazie all’aiuto di

Amore, come un artigiano che costruisce, compone i suoi versi rendendoli perfetti in onore della

sua donna. Il servire la donna porta il poeta a migliorare ogni giorno, ma il troppo amore che il poe-

ta sente lo porta a temere la perdita della donna: Arnaut non chiede di essere l’imperatore di Roma,

né di diventare Apostolico, vuole solo l’amore della donna per la quale “arde e fende il cuore”.

Come per la vida, riportiamo qui le edizioni diplomatiche della canzone nei manoscritti B, K e I.

Edizione diplomatica B:

En cest sonet coindeleri. fauc motz ecapuich edoli. (que) serant uerai ecert. (qan) an

naurai passat la lima. ramois ma deplan edaura. mon chantar que delieis mou. (que)

pretz manten egouerna.

Mil messas naug enproferi. enart lum decera edoli. (que) dieus men don bon issert.

delieis on nom ual es crima. eqan remir sacrin saura. elcolor qa graile enou. mais lam

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que qim des luserna.

Tant lam decor elaqueri. cab trop uoler auch

lam toli. Somre p(er) ben amar pert. lo sieus

cors sobretrasima. lo mieu tot enonsi saura.

ta(n)t ai deuer fait renou. cobrador nar

etauerna.

Tot iorn meillur (et) esmeri. car la genssor

seru ecoli. delmon sous dic enapert. Sieus sui

delpe troc encima. esitot uentaill fredaura.

lamors qinz dalcor mimou. miten chaut

onplus iuerna.

Ges pelmaltraich qieu soferi. deben amar

nom destoli. lieis ans dir en descobert. car

sim fauc los motz en rima. pieitz trac aman

com que laura. canc plus non amet unou. cel

de monclin naudierna.

Nouuoill deroma lemperi. ni com mi fassa

apostoli. (que) enlieis nonaia reuert. p(er) au

mart lo cors em rima. esil maltraich nom re-

staura. abun baisar anz dannou. mi auci esi

en ferna.

Eu siu arnautz qamas laura. echatz la lebre al

lo bou. enadi contra suberna.

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Edizione diplomatica K:

Enest sonet cuende leri. fas motz ecapud

edoli. Eseran uerai e esert. Qan naurai pas-

sat la lima. Camors maes plane(n) daura.

Mon cantar q(en) dellei mueu. Que mante

pretz egouerna.

Ades meillur et esmeri. Quela ge(n)sor feru

ecoli. Del mon sous dic en apert. Sieus son

dal petro quel sima. Esitot uental freidura.

Lamors quinz elcor me plou. Onten caur on

plus iuerna.

Tan lam de cor elaqueri. Catrop uoler i cug

lamtoli. Somren per ben amar pert. Quel fis

corz sobretrasima. Lo miei tot e non sei

saura. Tantai damor fag renueu. Cobrador

nai etauerna.

Non uoil de roma lemperi. Nicom me(n)

fas la postoli. Quen lei no(n) aia reuert. pe-

rau o mair lo cors em rima. Esi midonz

nom restaura. Lamor que balcor mas mueu.

On ai si esi enferna.

Mal messas naug enproferri. En fas lumde

refedoli. Que dieus midon bon efert. Dellei

quem vem fes escrima. Ecan remur da cruisa ura. Eson blanc cors fresc enueu. Mais

la que quim des luserna.

Ges perl mal trag qen soferi. De ben amar nom destoli. Lei anz dic endescubert. Cais-

sim faill los motz el rima. pietz trac aman com que laura. Canc plus non amet unueu.

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Celde mon clun naudierna.

Eu son Arnau camas laura. Eraz la lebre alobueu. Enadu contra suberna.

Edizione diplomatica I:

En est sonet cuei(n)de leri. fas

motz ecapud edoli. Es esetan ueari

esert. Quan naurai passat la lima.

Camors marues planen daura. mon

cartar que dellei mueu. Que mante

pretz egouerna.

des meillur er esimeri. Que la gen-

sor seru ecoli. Del mon soue dic en

apert. Bieus son del pe tro quel si-

ma. Esi uental freidura. lamors

quinz el cor me plou. mi ten caut

ou plus iuerna.

Tan lam de cor e la queri. Cattrop

uoler cug lam toli. Som ren p(er)

ben amar pert. Quel fis cors sobre

trasima. lo mieu tot eno(n) sei i

saura. Tant ai damor fag reinieu.

Cobrador nai etauerna.

Non uoill te roma lemperi. No com

men fassa postolli. Que lei no(n)

aia revert. p(er) cui mart lo cors em

rima. Esi midonz nom restaura la-

morr que dilcorr mes mueu. mi ausi esi enferna.

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Miss messas naug en preferi. Enfas kum de cere doli. Que dueus midon bon esers.

Dellei que uent escrima. Eam remir sa crin saura. Eson blanccors frels enueu. Mais

lam que quim des luserna.

Gel pel trag quen soferi. De ben amar nom destoli. lei mi dic endesaibert. Eaissin

faill los motz elrima. pietz trac aman com que laura. Canc plus no(n) amet unieu.

Celde monclii audierna.

Eu son arnautz camas laura. Ecaz la lebre alo bueu. Enadi contra siberna.

Martina Michelangeli, matricola n. 1493414Esame di Filologia Romanza, a.a. 2012-2013- prof. Paolo Canettieri

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LA RAZO DELLA CANZONE [29,2]

1. E fon aventura qu’el fon en la cort del rey Richart d’Englaterra15, et estant en la

cort, us autres joglars escomes lo com el trobava en pus caras rimas quel el. 2. Ar-

naut[z] tenc so ad esquern e feron messios, cascu[s] de son palafre, que no fera, en

poder del rey. 3. E•l rey[s] enclaus cascu en una cambra. 4. E•N Arnaut[z], de fasti

que n’ac, non ac poder que lasses un mot ab autre. 5. Lo joglar[s] fes son cantar leu e

tost; e[t] els non avian mas detz jorns d’espazi, e devias jutgar per lo rey a cap de cinc

jorns. 6. Lo joglar[s] demandet a•N Arnaut si avia fag, e•N Arnaut[z] respos que oc,

passat a tre jorns; e non avia pessat. 7. E•l joglar[s] cantava tota neug sa canso, per so

que be la saubes. 8. E•n Arnaut[z] pesset col traysses isquern; tan que venc una neug,

e•l joglar[s] la cantava, e•N Arnaut[z] la va tota arretener, e•l so. 9. E can foro denan

lo rey, N’Arnaut[z] dis che volia retraire sa chanso, e comenset mot be la chanso quel

joglar[s] avia facha. 10. E•l joglar[s], can l’auzic, gardet lo en la cara, e dis qu’el l’a-

via facha. 11. E•l reys dis cos posia far; e•l joglar[s] preguet al rey qu’el ne saubes lo

ver; e•l rey[s] demandec a•N Arnaut com era estat. 12. E•N Arnaut[z] comtet li tot

come era estat, el rey[s] ac ne gran gaug e tenc so tot a gran esquern; e foro aquitiat li

gatge, et a cascu fes donar bel dos. 13. E fo donatz lo cantar a•N Arnaut Daniel, que

di:

[29.2] Anc yeu non l’ac, mas ela m’a

Et aysi trobaretz de sa obra.

Prima di riportare l’edizione diplomatica del suddetto testo, cerchiamo di riportare la traduzione,

come è stato fatto per la vida:

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15 si tratta di Riccardo I Cuor di Leone (1157- 1199). Se fosse vero il racconto della razo si tratta per periodo della giovinezza della vita di Arnaut, negli anni appunti in cui ci si riferisce alla sua attività di giullare.

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1. E fu un caso ch’egli fu alla corte del re Riccardo d’Inghilterra, e stando a corte, un

altro giullare scommise di comporre in più preziose rime di lui. 2. Arnaldo prese ciò

per scherzo e ciascuno fece scommessa del proprio cavallo, a disposizione del re, che

l’altro non avrebbe fatto. 3. E il re fece rinchiudere ciascuno in una camera. 4. E Ar-

naldo, per la noia che ne provò, non poté legare una parola all’altra. 5. Il giullare

compose la sua canzone facilmente e subito; essi non avevano più di dieci giorni di

tempo, e il re doveva giudicare di lì a cinque giorni. 6. Il giullare domandò ad Arnal-

do se avesse fatto, e Arnaldo rispose di sì; erano passato tre giorni e ancora non ci

aveva pensato. 7. E il giullare cantava tutta la notte la sua canzone, per ben saperla. 8. E Arnaldo pensò come potersi gabbarsi di lui, finché venne una notte, e il giullare la

cantava e Arnaldo la impara tutta, insieme con l’aria. 9. E quando furono dinanzi al

re, Arnaldo disse di voler recitare la sua canzone e cominciò assai bene la canzone

che il giullare aveva composto. 10. Come l’udì il giullare, lo fissò in volto e disse che

lui l’aveva composta. 11. E il re chiese come si poteva fare; e il giullare pregò il re

ch’egli sapesse il vero e il re chiese ad Arnaldo come fosse andata. 12. E Arnaldo gli

raccontò tutto come era andata; il re ebbe grande gioia e ritenne tutto una gran burla e

furono liberati i pegni e a ciascuno fece dare bei doni. 13. Ad Arnaldo fu dato il canto

che dice:

[29,2] Mai io l’ebbi, ma esso m’ha

Qui troverete il frutto della sua opera.

Riportiamo l’edizione diplomatica del manoscritto R.

Edizione diplomatica R:

( E fon aue(n)tura q(ue)l fon en la cort del rey richart dengla(te)rra. et estant en la cort

us autres ioglars esmontes lo com el trobaua en pus caras rimas q(u1) el. ( Ar. tenc so

adesquern. e fero(n) messios cascu de son palafre q(ue) no fera en poder del rey. ( El

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rey enclaus cascu en (una) cambra. en ar. de fasti q(ue) nac no(n) ac poder q(ue) las-

ses un mot ab autre. lo ioglar fes son cantar leu e tost. e els no(n) auian mas. (detz)

jorns despazi. e deuias iutgar p(er) lo rey a cap de (cinc) iorns. ( Lo ioglar dem(n)det

an ar. si auia fag en ar. respos q(ue) oc passat a (tre) iorns e no(n) auia pessat. ( El io-

glar cantava tota neug la canso p(er) so q(ue) be la saubes. en ar. pesset col traysse

isquern. tan q(ue) venc una neug el ioglar la cantava en ar. laua tota arretener el so. e

can foro denan lo rey. narnaut dis q(ue) uolia retraire sa chanso. e comeset mot be la

chanso q(ue)l ioglar avia facha. ( El ioglar can lauzic gardet lo en cara e dis q(ue)l

lauia facha. el reys dis cos posia far. el ioglar preguet el rey q(ue)l ne saubes lo ver el

rey demandec an ar. com era estat ( En ar. comtet la tot com era estat. el rey ac ne

gran gaug. e tenc so tot a gran esquern. e foro aquitiast los gatge. era csscu fesdonar

beldos. e fo donatz lo cantar an ar. daniel q(ue)dis. ( Anc yeu no(n) lac mas ela ma. Et

aysi trobaretz de sa obra.

foto: razo ma-noscritto R

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Canzone 29,2

La canzone che viene indicata nella razo è costituita da 6 coblas unissonans di 11 versi.

I

Anc ieu non l’aic, mas ella m’a

totz temps en son poder Amors,

e fai• irat, let, savi, fol,

cum cellui q’en re no•is torna,

c’om no•is deffen qui ben ama;

c’Amors comanda

c’om la serv’è la blanda,

per q’ieu n’aten

soffren,

bona partida

qand m’er escarida.

II

S’ieu dic pauc, inz el cor m’esta

q’esta mi fai temen paors;

la lenga•is feign, ma slo cors vol

so don dolens si soiorna;

q’el languis ma no s’en clama,

q’en tant a rada

cum mars terra garanda

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no a tant gen

presen

cum la clausida

q’ieu ai encobida

III

Tant sai son pretz fin e certa

per q’ieu no•m puose vorar aillors;

per so fatz ieu qe•l cors men dol,

que quan sols clau ni s’aiorna

eu non aus dir qui m’aflama;

lo cors m’abranda

e•ill huoill n’ant la vianda,

car solamen

vezen

m’estai aizida:

ve•us qe•m ten a vida!

IV

Fols es qui per parlar en va

qier cum sos iois sia dolors!

Car lausengier, cui Dies afol,

non ant ies lenguet’adorna:

l’us conseill’ e l’autre brama,

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per qe•is desmanda

Amors tals fora granda.

Mas ieu•m deffen

feignen

de lor brugida

e am ses fallida

V

Maint con chantar levet e pla

n’agr’ieu plus fait, si•m fes socors

cella qe•m da ioi e•l mi tol;

q’er sui letz, er m’o trastorna,

car a son vol me liama.

Ren no•il desmanda

mos cors, ni no•il fai ganda,

ans franchamen

li•m ren:

dones, si ,‘oblida

Merces es perida.

VI

Pero gauzen mi ten e sa

ab un plazer de que m’a sors,

mas mi no passara ia•l col

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per paor q’il no•m fos morna,

q’enqera•m sent de la flama

d’Amor, qi•m manda

que mon cor non espanda;

si fatz, soven

temen,

puois vei per crida

maint’amor delida.

VII

Mieills-de-ben ren,

si•t pren,

chiansoss, grazida,

c’Arnautz non oblida.

Si tratta del canto dell’Amore, di cui il trovatore è fedele felice ma nello stesso tempo tormentato.

La “lingua del poeta esita, ma il suo cuore ama” la sua dolorosa gioia. Amore l’ha in suo potere e il

poeta attende la sorte che gli sarà assegnata.

Si riportano le edizioni diplomatiche di K e I.

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Edizione diplomatica K:

Anc ieu no(n) masella ma. Trastot en

fo(n) poder amors. E(n)fai mirat let

sain foi. Co(n) selui qen ren nos torna.

Com nos defen qui ben ama. Camors

comanda. Comla seru ela blanda.

p(er) quieu naten. sofren. Bona par

tida. Qant mer escarida.

Ien dic pauc quins elcor mesta. Estar

mi fai temen paors. Lalenga mas locor

no uol so don dolen se soiorna.

Ge(n)n langius mas non senclama.

Qentant arranda. Comars t(er)ra ga-

randa. No(n) atan gen. prezen. Con la

echausida. Qeu ai encobida.

Tan sai son pretz fin ecerta. p(er)

quieu no(n) puosc virar aillors. p(er)

so fas euquel cors men dol. Qan lo

sols elau ni saiorna. Jeuno(n) aus dir

que ma flama. Los cors ma branda. El

ineil non la vianda. Car solame(n)

vezen. mestai aizida. eus qem ten aui-

da.

Fols es qui per parlar enua. Quer comsos iois sia dolors. Que lansengiers audie us

afol. No(n) anges lenga adorna. Lus conseilla lautre brama. p(er) ques desmanda.

Qamors cals fora garanda. mas ieu defen fengen. Dellor bruida. E am ses falida..

Mant bon cantar leuet epla. Na gries plusfag sim fes sercors. Cilqem dona ioi el me

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tol. Car soi letz ermo trastorna. Ac aso nuol me liama. Ren nol desmanda. Mos cors

nu nolfai ganda. Anz franchame(n) lim renn do(n)es si moblida. merces es perida.

Per iaufren mi tesa abun plazer abque masors. Mas mi no passara ialcol. per paor

quilnom fos morna. Quenqueram sent de la flama. damor que mimanda. Que mo(n)

cor no espanda. sifatz soven. men ten puois uei per cria mantamor delida.

Edizione diplomatica di I:

Anc ieu no(n) lac mas ellama. Tem-

stor enso(n) poder amors. Efai mirat

let saui fol. Com selui quen ren no-

storna. Com nes defen qui ben ama.

Camors comanda. Com la servela

blanda. p(er) queu naten.sofren. bona

parida. Qanant ner escarida.

Tan sai son pretz fin ecerta. p(er) quieu

no(n) puose uirar aillors. p(er) so fas

eu quel cors men dol. Quan lo fols

clau ni saiorna. (e)t eu non aus dir que

maflama. lo cors ma branda. El meill

na(n)lor huranda. Car solamen uezen.

mestai aizida veus quem ten auida.

Fols es qui per parlar enua. Quez com

fes iois sia dolors. Quel lausengiers ai

dieus afol. Non anges lenga tadorna.

lus conseilla lautre brama. p(er) ques

desmanda. Amors tals fora granda.

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M a s g e m d e f e n f e i n g n e n . D e l l o r b r u i d a . E t a m s e s f a l l i d a .

Mant bon zantar leuet epla. Nagrieu plus fag sim socors. Cilquem dona ioi el metol.

Car siu let. er mo trastorna. Que asen uol me laima. Ren nol demanda. mos cors ninol

fai ganda. Anz franchamen. lim ren. do(n)es si moblida. mercez es perida.

Per iauszen mi te esa. Abun plaser abque masors. mas mi no passera ialcol. p(er) paor

quill nom fos morna. Quen quezam seur dela flama samor quenz manda. Que mon

cor no(n) espanda. Si fatz souen. mentem pois uei p(er) crida mainamor delida.

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ARNAUT DANIEL: IL PADRE DELLA SESTINA E IL LUSSURIOSO

La struttura delle canzoni di Arnaut Daniel ha il numero delle strofe che varia da 5 a 7, con una pre-

ferenza per la canzone di 6 strofe: la sestina è definita come una struttura di sei strofe esastiche con

una tornada di tre versi. Il nostro trovatore utilizza una grande libertà nell’uso dei versi, dal trisilla-

bo, al pentasillabo, esasillabo e così via.

Ma la caratteristica della tecnica arnaldiana è nell’arte della rima: particolarità visibile nel numero,

nella qualità e nella disposizione delle rime; la particolarità dell’uso delle rime è centrale anche nel-

la vida del trovatore, dove si scrive che compose in caras rimas, in rime preziose non sempre sem-

plici da comprendere. Arnaut offre ai lettori dei suoi componimenti una trentina di caras rimas ori-

ginali; ma la sua originalità la si trova proprio nella tecnica, il cui unico scopo è di arrivare al bello,

distinguendosi dall’ispirazione poetica.

Le parole-rima in Arnaut sono: arma - cambra - ongla - verja - oncle - intra.

Proprio per la sua tecnica poetica al nostro trovatore è anche universalmente riconosciuto il merito

di aver arricchito la poesia cortese con la sestina: colui che attribuì la paternità di questa nuova for-

ma metrica al Daniel fu Dante Alighieri nella sua opera latina il De Vulgari Eloquentia, in particola-

re in II, X, 2:

“ Dicimus ergo quod omnis stantia ad quandam odam recipiendam armonizata est. Sed in modis

diversificari videntur, quia quedam sunt sub una oda continua usque ad ultimun progressive, hoc

est sine iteratione modulationis cuiusquam et sine diesi- et diesim dicimus deductionem vergentem

de una oda in aliam ( hanc voltam vocamus, cum vulgus alloquimur). Et huiusmodi stantia usus est

fere in omnibus cantionibus suis Arnaldus Danielis, et nos eum secuti sumus cum diximus:

Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra”16.

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16 “ Diciamo dunque che ogni stanza è armonizzata per ricevere una certa melodia. Ma nelle forme si diversifica-no, perché alcune stanno sotto un’unica melodia che procede continua fino alla fine, cioè senza che la frase musi-cale venga ripetuta senza diesis - definiamo diesis il passaggio che conduce da una melodia a un’altra, ciò che chiamiamo volta, quando parliamo agli illetterati. E una stanza di questo tipo ha usato in quasi tutte le sue canzoni Arnaut Daniel, e noi lo abbiamo seguito quando abbiamo cantato: Al poco giorno e al cerchio d’ombra.”

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Nel testo Dante citando Arnaut Daniel dice di averlo imitato nell’uso della oda continua (la stan-

za di canzone governata da una sola indivisibile melodia), e ricordando anche l’uso frequente della

rimas dissolutas da parte del trovatore, attraverso la canzone Lo ferm voler, sestina che dante imita

per la sua sestina Al poco giorno. Sempre nel De Vulgari Dante qualifica, nella sua classifica dei

poeti “più eccellenti” del volgare illustre, Arnaut Daniel come il poeta d’amore apprezzando in par-

ticolar modo le sue doti tecniche. Dante, nel suo trattato latino, riconosce il trovatore come un mae-

stro di perfezione, dello stile più alto e illustre ( gradus constructionis excellentibus). Sempre nel

De Vulgari in II, XIII, 2, quando Dante si occupa della rima, viene citata la canzone Si•m fos Amors,

come dimostrazione della stantia sine rithimo, nella quale non si osserva nessuna disposizione di

rime, confrontandola di nuovo con la sua sestina Al poco giorno. Dante utilizzerà la sestina nelle

Rime petrose, dimostrando la prova dell’imitazione della tecnica poetica di Arnaut, portando a cre-

dere che nel corso della sua vita Dante continuò ad studiare la poesia del trovatore, imitandone la

perfezione tecnica attraverso l’uso di una rima aspra e difficile.

Queste affermazioni da parte dell’Alighieri permettono di capire come il nostro poeta abbia studiato

in modo approfondito la poesia di Arnaut Daniel, portandolo alla sua grande ammirazione per la

preziosità della tecnica arnaldiana: in particolare per la rarità dei vocaboli e l’originalità delle rime.

Questa lode verso il trovatore come poeta d’amore si ritrova anche nella maggiore opera dantesca:

la Commedia, e in particolare nel canto XXVI del Purgatorio, canto dove si trovano le anime pur-

ganti dei lussuriosi.

In questo canto Dante incontra Guido Guinizzelli, il massimo rappresentante della poesia in volgare

italiana. Dante desidera abbracciare Guido e alle lodi ricevute il Guinizzelli indicherà a Dante, co-

me accade spesso nella Commedia, un’altra anima, purgante in quel fuoco, un artista più grande di

lui:

“ O frate”, disse, “ questi ch’io ti cerno

col dito”, e additò uno spirito innanzi,

“fu il miglior fabbro del parlar materno.

Versi d’amore e prose di romanzi

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soverchiò tutti; e lascia dir li stolti

che quel di Lemosì credon ch’avanzi.

A voce più ch’al ver drizzan li volti,

e così ferman sua oppinione

prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti.

Così fer molti antichi di Guittone,

di grido in grido pur lui dando pregio,

fin che l’ha vinto il ver con più persone”17.

La grande lode che Dante, attraverso le labbra di Guinizzelli, attribuisce ad Arnaut è quella di essere

“il miglior fabbro del parlar materno”, che “versi d’amore e prose di romanzi soverchiò tutti”, di-

mostrando la superiorità poetica del trovatore: l’immagine del poeta paragonato ad un fabbro è tipi-

ca nella poesia medievale: il poeta è come un artigiano, termine con cui si definisce lo stesso Arnaut

nella canzone 29,10 da noi precedentemente scritta; il Daniel è il maggior poeta dei trovatori, poi-

ché fu il maggiore della sua poesia volgare, del suo “parlar materno”.

Proprio per questa sua grandezza nella sua lingua madre Dante farà parlare Arnaut Daniel in pro-

venzale, dimostrando anche ai suoi contemporanei la sua conoscenza della lingua d’oc:

“Tan m’abellis vostre cortes deman,

qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.

Ieu sui Arnautz, que plor e vau cantan;

consiros vei la passada folor,

e vei jausen lo joi qu’esper, denan.

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17 D. Alighieri, La Commedia, secondo l’antica vulgata, a.c. Giorgio Petrocchi, Purgatorio XXVI, vv. 115-26.

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Ara vos prec, per aquella valor

que vos guida al som de l’escalina,

sovenha vos a temps de ma dolor!18”

Questo brano, con cui Dante farà parlare il trovatore, è l’unico passo dell’Opera dantesca in lingua

straniera: “ Tanto mi è gradita la vostra cortese domanda, ch’io non mi posso né voglio nascondere

a voi. Io sono Arnaldo, che piango e vo cantando; guardo pensoso la passata follia e guardo con

gioia, davanti a me, la felicità celeste che spero. Ora vi prego, in nome di quella virtù, che vi guida

al sommo della scala, vi sovvenga, a tempo debito, del mio dolore”.

Possiamo prendere come esempio due termini di questo passo per capire come Dante riesca a modi-

ficare il livello di significato della poesia di Arnaut: per esempio troviamo folor, cioè follia, la pas-

sione sregolata dell’amore e jausen lo joi, cioè godendo, la gioia, elemento cardine della poesia cor-

tese; Dante con questi versi trasferirà la poesia di Arnaut ad un livello cristiano, orientato sull’amo-

re di Dio, differente invece dall’amore cantanto da Arnaut e dai suoi colleghi nella società cortese:

in questo modo il trovatore Dante riesce a essere una controfigura dello stesso Dante: L’Alighieri

non si identifica con il trovatore solo per essere peccatore di lussuria, ma forse voleva dimostrare,

attraverso questo “confronto”, la sua grandezza poetica, come “miglior fabbro” della lingua italiana,

dimostrando di essere alla pari con il più grande poeta della letteratura provenzale.

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18 D. Alighieri, op.cit., vv. 140-47.

In copertina: miniatura di K della canzone X.

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CONCLUSIONILeggendo le diverse versioni della vida di Arnaut Daniel, tramandate dalla tradizione, l’elemento

comune fra tutte è di ricordare che il nostro poeta scrisse caras rimas, una poesia difficile e porta-

trice di un nuovo linguaggio poetico. Questa tecnica innalzò il nome del trovatore portandolo alla

lode da parte dei poeti postumi, compreso Dante. Ma l’Alighieri lesse la vida e la razo del Daniel?

Le informazioni sulla tecnica poetica del trovatore vengono riferite da Dante prima nel De Vulgari

Eloquentia, in cui viene messa in risalto proprio la particolarità della poesia di Arnaut, tanto da es-

sere ritenuto dal Fiorentino come il maggior esponente provenzale della poesia amorosa; questa

ammirazione verrà portata anche nella Commedia, ritenendo il trovatore il maggior poeta della poe-

sia provenzale in generale.

Potrebbero essere due gli elementi che porterebbero a pensare che l’Alighieri abbia letto la vida di

Arnaut, dalla quale riuscì a cogliere le tracce più importanti della poetica del trovatore: il trobar in

caras rimas, cioè appunto l’utilizzo di una tecnica poetica che catturò l’attenzione dell’Alighieri,

tanto da imitarla nelle sue Rime petrose attraverso l’uso della sestina ( De Vulgari Eloquentia), e

l’amore per una donna, portando Dante ad inserire nella sua maggiore Opera il trovatore fra i lussu-

riosi, insieme a Guinizzelli ( il più grande poeta della poesia italiana in volgare), come esponenti di

una poesia in cui viene cantato un amore fine a sé stesso e non rivolto a Dio. La vida di Arnaut Da-

niel ha una tradizione maggiore rispetto alla razo, dato che quest’ultima è stata tramandata solo dal

manoscritto R: si tratta di un episodio in cui si racconta dell’avventura di Arnaut in una gara poetica

insieme ad un altro giullare e non vengono esaltate le doti tecniche tanto acclamate nella vida; e del-

l’episodio della razo non vi è traccia nei giudizi dell’Alighieri verso Arnaut, portando a presupporre

che Dante non abbia letto la razo del Daniel e neanche la canzone della razo, essendo un componi-

mento a stanza divisibile, mentre Dante cita nel De Vulgari sempre le canzoni ad oda continua. Op-

pure se dovesse essere stata letta la razo, l’Alighieri non la ritenne di grande importanza ai fini della

sua lode verso il “miglior fabbro19” della poesia provenzale.

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19 D. Alighieri, op. cit., v. 117.

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