Arlecchino

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Lucio Diodati Lucio Diodati Lucio Diodati Arlecchino

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Il fascino è racchiudere in una maschera il segreto di unapittura sempre più innovativa, di un'arte che ci entradentro permettendoci di fi ngere, ed è questo che più cipiace, di essere noi stessi dietro quella maschera, di potervivere negli spazi infi ti e luccicanti dell'arte.

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Lucio DiodatiLucio DiodatiLucio DiodatiArlecchino

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La Maschera di Arlecchino di Francesca Renzi - 2002

Nell'immaginario mondo di Diodati, una nuova fi gura è apparsa ad intrigarci: Arlecchino.

A differenza degli altri personaggi che popolano il mondo femminile, arlecchino ha già un suo spzio

all'interno delle opere di Diodati. Uno spazio nuovo, un mondo diverso che ci affascina incredibilmente.

Arlecchino, infatti, non deve conquistarsi la scena, non vuole diventare protagonista. Lo è già.

Se i carabinieri,il domatore Arturo, ci hanno affascinato per la loro discrezione, per il loro esserci e non esserci, Arlecchino ci intriga da subito, rapisce il nostro sguardo con le sue macchie di colore ma soprattutto con la sua

maschera.Ecco l'elemento distintivo, la forza coinvolgente di questo

personaggio: il mistero.Per la prima volta Diodati nasconde il volto di una sua

fi gura, di un suo personaggio rendendoci complici di un gioco misterioso, a volte erotico.

C'è erotismo nelle donne che appaiono nude accanto ad arlecchino. C'è erotismo nel loro apparire tranquille, anzi volutamente provocanti al cospetto di un personaggio che non sappiamo se essere uomo o donna, amante o amico. Ci fa rifl ettere la serenità con cui le donne vivono con

questa colorata fi gura. Una rifl essione più profonda delle altre, più provocatoria ci porta a chiedere: ma sarà il

pittore a vivere dietro quella maschera?Sarà Diodati che vuole apparire, seppur nascosto, nel suo

mondo? segretamente speriamo di no. Il fascino è racchiudere in una maschera il segreto di una

pittura sempre più innovativa, di un'arte che ci entra dentro permettendoci di fi ngere, ed è questo che più ci

piace, di essere noi stessi dietro quella maschera, di poter vivere negli spazi infi ti e luccicanti dell'arte.

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Diodati - Arlecchinodi Olga Chieffi 2002

Il Diodati-Arlecchino, ci ricorda vagamente il Cherubino mozartiano, aggirantesi tra innumerevoli

donne diverse, in paesaggi solari, scherzosi, vacanzieri trasformandosi, a volte anche in carabiniere, per meglio

sorvegliare le sue donne ora sensuali, ora feline, ora malinconiche, ora altezzose.

Pittura da gustare come in un nembo radioso, tutti i corpi in parata, voluttuosi, índomiti, estenuati delle infi

nite donne di questa festa d'amore che è l'arte di Diodati.

Il pittore si pone dinanzi alla tela come di fronte uno specchio d'amore per dipingere questo gineceo, forse

dedicato ad una donna ignota, in cui ogni osservatrice vi Diodati sembra dipingere ponendo a frutto tutta la sua esperienza, quasi di “donna” curiosa, sull’affi orare di

ricordi non vani, non chiusi ad incursioni improvvise di defl emmate “semidee”, guidando il fruitore complice, attaraverso gli enigmi del senso smarrito dell’ironia, i

ricettacoli, i luoghi e le situazioni in cui è possibile goderne. si ritroverà e riconoscerà.

Diodati sembra dipingere ponendo a frutto tutta la sua esperienza, quasi di “donna” curiosa, sull’affi orare di ricordi non vani, non chiusi ad incursioni improvvise

di defl emmate “semidee”, guidando il fruitore complice, attaraverso gli enigmi del senso smarrito

dell’ironia, i ricettacoli, i luoghi e le situazioni in cui è possibile goderne.

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Sono cose che capitano olio su tela 160x120 - 2006

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La maschera di Silvia Petronici 2006

Questo autore nel complesso della sua opera anima un teatro di fi gure leggere e ripetute fi no a renderle familiari. La compagnia di maschere ingaggiata da Diodati caratterizza l’intero corso della sua opera come

quello di un costante tentato attraversamento dello specchio. L’aldilà che però queste fi gure non varcano è l’altro, il mondo reale dove è inevitabile

quanto a volte persino doloroso, il confronto con l’alterità.Restano, queste maschere, e restando nel loro spazio di privilegio,

agiscono una seducente rappresentazione dell’identico, dell’eternamente ripetuto. Sembra, volendo guardare i quadri di Diodati, per così dire, da

vicino, che la scena sia occupata da un unico personaggio. L’autore, forse? Il suo alias pittorico? Non so, certo è che quell’arlecchino sognante

ma furbetto ha gli stessi occhi delle signorine che accompagna, queste hanno la stessa bocca del piccolo gendarme, che a sua volta sembra più

preoccupato per la resa dei suoi piccoli baffi di scena che delle signorine. Insomma è delizioso questo mondo leggero, questo clima di vacanza.

La vacanza in effetti è soprattutto di tipo estetico, è una vacanza strutturale. La maschera di arlecchino permette a Diodati un passaggio di

grande interesse, gli consente di occupare lo spazio della fi nzione, che è poi quello proprio della seduzione. I colori rendono arlecchino allettante, come un uccello tropicale, sono parte del suo gioco; la maschera aggiunge mistero e impedisce l’individuazione e con essa il confronto e tutti i suoi inevitabili rischi, il dissenso, il confl itto e persino lo scarto. Arlecchino resta. Infatti.

E forse resiste anche, perché non è attraversato dalle intemperie della realtà, è un rifugio senza tempo, un luogo poetico dove ci si può riparare dai riverberi del confl itto identitario che la realtà contemporanea impone.Diodati offre ai suoi mille padroni un arlecchino ancora nuovo, ancora accattivante e irresistibile, offre una sua articolata declinazione in una

cornice rassicurante, luce serena, impostazione certa, nessun apparente turbamento.

Potrebbe essere che... olio su tela 60x70 - 2003

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Quell’ Arlecchino di Lucio Diodati servo di un solo padronedi Franco Corrado 2006

Manifestatasi la prima volta alla metà degli anni Ottanta tra una avvincente irripetibile folla di donne, muse eterne di una suggestiva iconografi a, quella enigmatica fi gura di Arlecchino non ha mai più abbandonato la scena della ricerca di Lucio Diodati. Nel suo racconto pittorico, il personaggio più tipico e universalmente conosciuto del teatro goldoniano, solo nell’ apparenza esterna simile all’ originale della tradizione, perduta

ogni cadenza marionettistica, é apparso subito come elemento equilibratore rispetto alle altre limitate grottesche apparizioni maschili: quelle del carabiniere e del domatore.

All’ autoritarismo insito in questi due tipi, nati con intenti per così dire “protettivi” o per tenere a freno esuberanze ben individuabili dell’ universo femminile, ecco a far da contraltare una ben più accondiscendente presenza: la stessa proposta nei panni di un rispettoso cavaliere, capace di assecondare gli atteggiamenti più

tipici della donna, al punto da esserne in tutto e per tutto complice.Questa volta, quindi, nelle vesti di “servitore di un solo padrone”, un Arlecchino uscito dall’ ennesima

trasformazione, nel quale Lucio Diodati si riconosce e dietro cui coglie il gusto giocoso del nascondersi, trovando per altri aspetti una identifi cazione totale con il personaggio, fi no a farne una sorta di alter ego.Ed é così che, per il pittore abruzzese, prende corpo una stagione di sempre nuove feconde invenzioni.

Quello strano affacciarsi di una delle fi gure più tipiche della commedia dell’ arte sul palcoscenico di vicende umane già raccontate attraverso presenze in massima parte al femminile, a voler sottolineare l’ avvincente perpetuarsi di un mondo che ruota tutto intorno alla donna, dà altra vitale linfa ad un quadro già di per sé

emblematico di rappresentazioni. Con l’ entrata in azione di Arlecchino, Diodati rende ancora più solido il suo parlar per simboli con il linguaggio della pittura.

Il personaggio del servitore furbo, semplice e malizioso, quel “secondo Zanni” nella gerarchia dei ruoli assegnati dallo schema classico del “recitare libero”, passato attraverso tutta una serie di trasformazioni capaci di cambiarne il carattere, diventa allora immagine di allegoriche visioni di una realtà particolare in cui, guidate da sensibilità le più varie, confl uiscono e si fondono esemplari di vita serena o di un intrigante stare al mondo

e trovano anche spazio modelli alternativi.Arlecchino, dunque, ad assecondare ironicamente i vezzi delle donne fatali che popolano le tele di

Lucio Diodati; ad assumere atteggiamenti di compiaciuta comprensione nei confronti dei tanti ammiccamenti all’ eros; a darsi un contegno, in qualche misura anche protettivo, stando alle spalle di quelle longilinee fi gure muliebri rese in pose prossime allo straniamento; a celare voglie ed altre emozioni dietro la serica maschera

nera di una tradizione iconografi ca non sempre rispettata (ricordate la “Famiglia di Arlecchino” di Picasso, con il soggetto principale a volto scoperto?).

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In questo insieme di sfaccettature date al soggetto, del “servo goffo ed ignorante” della commedia dell’ arte, nella

versione pittorica di Diodati, insieme alla maschera che cela sguardi non sempre graditi e che conferiscono un alone di

mistero all’ interprete del ruolo, forse resta solo il variopinto abito a scacchi: quel vestito che é una fi tta rete di

fi gure quadrate e romboidali, in linea con la propensione alla geometria ben evidente nella ricerca del

maestro di Popoli.Così reso nell’ insieme – pur conservando i caratteri voluti dal gioco dell’ improvvisazione, peculiari del

“secondo Zanni” come degli altri personaggi delle origini – Arlecchino diventa una sorta di arbitro e di risolutore di

situazioni di varia natura, complesse o meno che siano, che abbiano o no attinenza con gli intrighi in cui spesso si caccia l’ animo umano. Una funzione di giudice e di

consigliere al tempo stesso, quindi, che si porta dietro quel tanto di misterioso proposto sempre da un volto mascherato.

D’altra parte, a questo gioco all’ arcano Diodati non rinuncia. Anzi ne fa una costante del suo continuo dar vita ad una galleria di tipi che, come dicevamo in occasione di

altri interventi critici, appartengono ad una commedia umana capace immancabilmente di rigenerarsi e di offrire

educativi spunti di meditazione.

Mi dipingerò di te olio su tela - 2005

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Portami a ballare olio su tela 120x100 - 2006

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Voglio stare con te olio su tela 50x40 - 2006

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La tavola di Arlecchino di Marzio dall'Acqua 2008

I lazzi sono mimesi del corpo, artifi cio di posizione e di comportamenti, azioni che accentuano il comico ed il fantastico della scena, moltiplica i suoni e le allusioni a rumori più o meno escatologici, insomma articolano lo stesso linguaggio comico sulla scena della commedia improvvisata, costruita su canovacci, trame esili e componibili, ad incastro. Ebbene non ci sono lazzi per il mangiare, per la tavola imbandita, ma ce ne sono moltissimi e ben descritti, nei testi che tramandavano azioni e trame per gli attori, per la fame, una fame atavica, insaziabile, che porta a escogitare ogni imbroglio, ogni inganno, che spinge a fantasie esagerate, che hanno il paese di Cuccagna come ultima Thule di una quotidianità povera di cibo, scarsa e scarna di sostentamenti, sogno ad occhi aperti, perenne come il rodio delle budella. E non meraviglia che Arlecchino, forse l’estrema trasformazione e reincarnazione di un Herculinus di antiche atellane, di primitive satire tra cerimonia religiosa e farsa da fi era, cioè di un essere abitatore di boschi, dell’uomo selvaggio e nero che tanta parte ha nell’immaginario urbano, come totale rivolta contro la civiltà, come sovversione di quanto ci sembra stabile risultato di un processo lungo e razionale, del quale tuttavia in noi stessi temiamo la fragilità. Ma nel momento del banchetto i lazzi non sono più possibili. Si tratta infatti di una liturgia, di un rito, sul quale si concentra il corpo con gesti che sono misura, piacere, godimento, espressione di una ricerca massima e totale di appagamento e, se con altri, di condivisione sociale, di scambio, di incontro, oltre ogni divisione.Ecco, la tavola di Arlecchino di Lucio Diodati è questo ripetersi di bocche aperte con la grazia di becchi di uccellini che invocano il cibo, è una rappresentazione diafana e smunta che non ha l’eccesso carnale, l’opulenza senza vergogna di Botero, ma ne può rappresentare, tra bulimia e anoressia, l’altra faccia, che trova gesti misurati, colori delicati, grafi smi di fumetti, di tabelloni pubblicitari, nella bidimensionalità delle immagini inventate che rimandano ad un mondo borghese, ad un galateo rispettato e condiviso, di una eleganza senza peso e corpo, defi nita da un segno preciso, un contorno senza incertezze e dubbi, mentre il colore steso in modo uniforme imita carni, abiti e piani, oggetti di un esangue desiderio. E’ il pranzo dell’abbondanza, dell’eccesso, onnivoro, ma insieme senza fame, senza persino appetito. Per riattivare la gola bisogna inventarsi non un sovrabbondante paese di Cuccagna, dove l’eccesso porta al rifi uto, al rigetto ma raffi natezze estreme, accostamenti di sapori, invenzioni per sollecitare e stimolare l’oralità che diventa così fantasia e cultura. Arlecchino è così l’infi nita tavola di colori del cibo e delle possibilità della gastronomia.

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Lei sta con me olio su tela 120x100 - 2007

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Lucio Diodatidi Claudio Alessandri 2009

L’arte di questo artista esplosivo, per colori e messaggi, è condensata nei principi universali della fi losofi a scaturita dall’anima popolare, quindi chi, più di Arlecchino, può impersonare la “logica” ed il suo “contrario” se non Arlecchino, in questa “maschera” si compendiano allegria sfrenata e profonda tristezza.Il colore vivace richiama alla mente i momenti, seppur brevi, di gioia racchiusi nella vita di ogni essere umano, semmai differiranno contemplando le infi nite personalità dell’essere umano, contraddittorio, coerente fi no all’estremo sacrifi cio, aperto ad ogni tipo di violenza e sopruso. Si può gioire alla vista di un bel fi ore o rimanerne totalmente indifferenti e gioire per un cospicuo conto in banca, cambierà il soggetto, ma l’effetto rimarrà sempre eguale.Si potrebbe sostenere che lo sgargiante vestito di Arlecchino altro non è che uno “specchietto per le allodole”, il suo richiamo è irresistibile, ma la maschera nera che occulta gran parte del suo volto, potrebbe celare un mistero profondo, la soluzione ad ogni ambascia, oppure il dolore più cocente, forse è proprio questa estrema incertezza che gioca da richiamo, una sfi da alla quale l’incessante curiosità umana non può non accettare, il rischio, il pericolo è il “condimento” ideale per dare gusto anche all’impresa più rischiosa."L'illusione variopinta” non ha la pretesa di rappresentare la realtà e con essa la verità, non ha corpo, consistenza, è il mezzo ideale per trovare sicuro rifugio alle intemperie della nostra vita, nessun ulteriore impegno che, immedesimarsi nella logica di una fi losofi a che Arlecchino impersona in maniera perfetta, la verità ed il contrario di essa, una contraddizione nella logica, l’incertezza del reale che non è pessimismo ma rifugio ideale per approfondire l’illogicità di molte manifestazioni inspiegabili, nostre e dei nostri simili.Forse la mia è un’illusione, un tentativo maldestro di esorcizzare il dolore mascherandolo d’allegria, o molto più probabilmente, attratto dal caleidoscopico dipingere di Lucio Diodati, ho perduto di vista l’espressione intima dell’artista, quella visione che, “trasmessa” ai supporti diviene il “nocciolo” del dipingere di questo “illusionista” della pittura; probabilmente sono andato al di la delle stesse intenzioni di Diodati.Ed è proprio in questo mio “debordare” che colgo nel senso più compiuto le opere di Lucio, costringere, attraverso l’insostituibile osservazione visiva, alla rifl essione, a considerazioni non legate necessariamente al “capzioso” mondo materiale, costringere per un attimo ad abbandonare inostri eleganti, ma costrittivi indumenti ed indossare quelli meno convenzionali di Arlecchino e come lui, presenza incorporea, spiccare il volo verso orizzonti sperati, ma mai visti schermati da un paravento ostile che non vuole fare scorgere nulla al di la della realtà, in quel mondo della fantasia che, sembra, rappresenti ormai l’ultima speranza per l’umanità intera, per un riscatto del banale e del volgare che ci circonda e ci costringe lungo un percorso alla fi ne del quale non si udirà alcun suono, non si scorgerà alcuna luce ed ogni colore si sarà aggrumato in un nero luttuoso chiuso alla fantasia e quindi alla bellezza.

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Dipinti

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Basta per dimenticare olio su tela - 2010

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Nessuno escluso olio su tela - 2010

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da “CUBA” di Francesca Renzi

L’arte è la misteriosa capacità che ha l’uomo nel descrivere le sue espressioni più intime e segrete . L’arte non può rinchiudersi in spazi o tempi defi niti, ma vaga, viaggia e a volte…espatria.

Diodati è riuscito a volare con le sue donne oltreoceano, raggiungendo il luogo dove il blu dell’oceano si perde nel bianco e colorato colore del mondo cubano: L’Avana.

Incarnati a volte ambrati a volte di un rosa acceso nascondono e contemporaneamente svelano le storie affascinanti di un universo femminile ancora intatto, che esprime senza vergogna la propria nudità e fi erezza,

il proprio imbarazzo o la propria squisita timidezza.

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Parla con me olio su tela - 2010

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La voce di un’amica olio su tela 100x80 - 2010

L’ultimo ballo olio su tela 100x80 - 2010

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Note di colore olio su tela 100x80 - 2010

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Piccolo amore olio su tela 80x100 - 2010

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Qualche cosa di te olio su tela 70x80 - 2009

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Casa bianca olio su tela 60x80 - 2008

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Male non fa’ olio su tela 60x80 - 2009

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Magico treno olio su tela 60x80 - 2009

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Improvvisi stupori olio su tela 60x40 - 2009

Mai mai olio su tela 60x40 - 2009

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Credere ancora all’amore olio su tela 40x40 - 2009Convinzioni nuove olio su tela 40x40 - 2009

Il tuo respiro olio su tela 40x40 - 2009 Nuove rifl essioni olio su tela 40x40 - 2009

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Profumo buono olio su tela 40x40 - 2009

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Si lo so olio su tela 40x40 - 2009

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Improvvisi stupori olio su tela 60x40 - 2010

Improvvisi stupori olio su tela 60x40 - 2010

So cosa tu vuoi olio su tela 24x30 - 2009Pensieri stretti olio su tela 24x30 - 2009

Sulla luna olio su tela 24x30 - 2009 Un nuovo mondo olio su tela 24x30 - 2009

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Sei tu il mio destino olio su tela 24x30 - 2009

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Bella da vivere olio su tela 24x30 - 2009Amore immenso olio su tela 24x30 - 2009

Come me olio su tela 24x30 - 2009 Il cuore spento olio su tela 24x30 - 2009

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Bianco e nero olio su tela 60x50 - 2009

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Lucio Diodati

1955Lucio Diodati nasce a Popoli il 24 ottobre1970segue studi scientifi ci prima e i corsi di scenografi a all’Accademia di Belle Arti de L’Aquila poi1980espone durante il festival dei Due Mondi a Spoleto1985è di quest’anno il lavoro “amiche”1999conosce Gennaro Fiume, espone nella sua galleria di via Brunetti a Roma2000personale a L’Aquila2001espone a Reggio Emilia e Parma2002partecipa a L’Havana a un’incontro culturale Italia - Cubaespone a Salerno e Potenza2003personale a Parma, Casarano, Rimini, Bologna e Greenville (Nort Caroline) USAInternational Artexpo New York e Art-Philadelphiasulle strade di L’Avana (Cuba) racconta in “ impressioni dal vero” isorrisi e i colori delle donne cubane, dipinge una tela lunga venti metri.collettiva a Barcellona2004personale a Modena, Stavern (Norvegia) e Sandefi ord (Norvegia)International Artexpo New YorkMostra mercato a Vicenza, Viterbo, Montichiari, Padova, Bolzano e Bari2005personale a Roma Mostra mercato di Genova, Viterbo, Forlì, Parma e Baricollettiva a Dubai2006personale a Potenza Affordable art fair Londra Art & Fashion ‘06 - BurJuman - Dubai 2007personale a Piacenza e Parma art fair - Londra e Glasgow (Scozia)collettiva a Spittal/Drau (Austria) La Plata (Argentina)Mostra mercato di Longarone, Agrigento e Forlì 2008personale a Colorno, Marano, Positano, Manfredonia, Parma, Bari, Pescara, Catania Stavern (Norvegia), Karlovy Vary (Repubblica Ceca)Mostra mercato di Bari, Reggio Emilia e Erba art fair - Gant (Belgio)2009personale a Pratola Peligna, Stavern (Norvegia), Montreal (Canada) Mostra mercato di Bolzano, e Forte dei Marmi art fair - Glasgow (Scozia)2010personale a Napoli e Corigliano Calabro, Lisbona (Portogallo)the art in mind - Londra2011personale a Roma, Praga (Repubblica Ceca)Heidelberg (Germania)