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BIOLOGIA A una osservazione superficiale tutte le attività tipiche delle piante, nessuna esclusa, sembrano potersi riassumere nelle tre cardinali funzioni della nutrizione, crescita e riproduzione. Questa idea ha le sue radici nella definizione secondo la quale le piante vivono (crescono, si nutrono e si riproducono) ma sono prive di movimento. L’assenza di movimento è percepita come la principale differenza fra piante e animali e viceversa. Ne consegue che, a causa della sua immobilità, la pianta, non ha nessuna necessità di sviluppare complicati sistemi di risposta all’ambiente data la relativa mancanza di novità o sorprese con le quali si troverà a contatto nel corso della sua esistenza. Ma, è giustificabile questa definizione delle piante come esseri viventi privi del movimento? Tutt’altro, il movimento è una caratteristica fondamentale nella vita delle piante: dalle piante carnivore o sensitive che mostrano movimenti rapidi, nella stessa scala temporale dei movimenti animali, ai movimenti più lenti e continui di tutte le altre piante, possiamo affermare che l’unica differenza in questo senso fra animali e piante sia quantitativa piuttosto che qualitativa. Le due principali caratteristiche associate alle piante, immobilità e insensibilità, che si ritiene siano proprietà naturali delle piante, sono in realtà il frutto di una costruzione culturale che risale ad Aristotele. Uno dei concetti fondanti nella concezione aristotelica dei viventi è quello di “anima” il cui significato per Aristotele è essenzialmente “principio motore”. Risulta, così, che i viventi sono distinti dai non-viventi grazie alla loro capacità di muoversi. Nel De Partibus Animalium, Aristotele fornisce un affascinante esempio del tipo di argomentazione usata per spiegare le funzioni delle piante e degli animali. A proposito del calore naturale richiesto per i bisogni nutritivi degli organismi, piante e animali in ugual misura, Aristotele evidenzia il ruolo della bocca e dello stomaco come parte di un sistema continuo che produce l’energia naturale e i nutrienti necessari agli animali. Applicando lo stesso ragionamento alle piante scrive: “Giacché le piante si procurano il loro nutrimento dal terreno attraverso le loro radici; e questo nutrimento è già elaborato quando viene assorbito, la ragione per la quale le piante non producono escrementi risiede nel fatto che la terra ed il suo calore svolgono per loro la funzione di uno stomaco. Mentre gli animali con scarse eccezioni e specialmente tutti gli animali capaci di locomozione sono provvisti di uno stomaco che si comporta come un sostituto interno della terra”. Così per Aristotele la terra e lo stomaco diventano organi analoghi di digestione, uno utilizzato dalla pianta fissa, l’altro dall’animale mobile. Aristotele contrappone ulteriormente il movimento degli animali alla fissità delle piante nella descrizione della spugna. Egli asserisce che una spugna “assomiglia in tutto ad una pianta” poiché “per tutta la sua vita resta attaccata ad una roccia e quando viene separata da essa muore”. La fissità della spugna diventa una caratteristica essenziale del suo stato di pianta. Aristotele, tuttavia, ammette alcune eccezioni al principio di immobilità delle piante. In una parziale ammissione delle difficoltà che si incontrano nel voler distinguere in modo categorico gli animali dalle piante, afferma infatti che “talvolta è dubbio se un dato organismo debba essere classificato tra le piante o tra gli animali”. L’influenza aristotelica in botanica durerà molto più a lungo che in altre scienze. Nel 1583 Andrea Cisalpino pubblica a Firenze un libro fondamentale per la storia della botanica, il De plantis libri XVI, che influenzerà molte generazioni a venire di studi botanici. “Poiché la natura delle piante”, così si apre il libro di Cisalpino, “possiede soltanto quel tipo di anima attraverso il quale esse si nutrono, crescono e si riproducono, e non mostrano, quindi, sensibilità o movimento, che sono tipiche della natura degli animali, conseguentemente le piante hanno bisogno di un insieme di organi molto inferiore rispetto agli animali”. Questa idea riapparirà frequentemente nella storia della botanica. Per secoli biologi e botanici hanno volontariamente eluso la necessità di concettualizzare il movimento delle piante, tentando con ogni mezzo di salvaguardare la validità delle onorate categorie di “animali” e “piante”, definendo “anomalie” o “variazioni aberranti” le piante che mostravano movimenti rapidi. Talvolta chiamando queste piante zoospore, proprio per sottolinearne la loro vicinanza al mondo animale. La sorpresa e il divertimento che colpisce chiunque si trovi per la prima volta di fronte ai movimenti rapidi di una pianta come la Mimosa pudica, testimoniano della profonda convinzione che l’immobilità sia la caratteristica fondamentale che contraddistingue la pianta dall’animale. Animale viene dal termine animato, ovvero “capace di muoversi”, ma anche da un più 20 La sorprendente vita delle piante di Stefano Mancuso Stefano Mancuso, LINV (Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale), Firenze Gli sviluppi recenti della biologia vegetale permetteranno di studiare le piante come organismi intelligenti dotati della capacità di acquisire, immagazzinare, condividere, elaborare e utilizzare informazioni raccolte dall’ambiente circostante

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Auna osservazione superficiale tutte leattività tipiche delle piante, nessuna esclusa,sembrano potersi riassumere nelle trecardinali funzioni della nutrizione, crescita eriproduzione. Questa idea ha le sue radicinella definizione secondo la quale le piantevivono (crescono, si nutrono e si riproducono)ma sono prive di movimento. L’assenza dimovimento è percepita come la principaledifferenza fra piante e animali e viceversa. Ne consegue che, a causa della suaimmobilità, la pianta, non ha nessunanecessità di sviluppare complicati sistemi dirisposta all’ambiente data la relativamancanza di novità o sorprese con le quali si troverà a contatto nel corso della suaesistenza. Ma, è giustificabile questa definizione dellepiante come esseri viventi privi delmovimento? Tutt’altro, il movimento è unacaratteristica fondamentale nella vita dellepiante: dalle piante carnivore o sensitive chemostrano movimenti rapidi, nella stessa scalatemporale dei movimenti animali, aimovimenti più lenti e continui di tutte le altrepiante, possiamo affermare che l’unicadifferenza in questo senso fra animali e piantesia quantitativa piuttosto che qualitativa. Le due principali caratteristiche associate allepiante, immobilità e insensibilità, che siritiene siano proprietà naturali delle piante,sono in realtà il frutto di una costruzioneculturale che risale ad Aristotele. Uno deiconcetti fondanti nella concezione aristotelicadei viventi è quello di “anima” il cuisignificato per Aristotele è essenzialmente“principio motore”. Risulta, così, che i viventisono distinti dai non-viventi grazie alla lorocapacità di muoversi. Nel De Partibus

Animalium, Aristotele fornisce un affascinanteesempio del tipo di argomentazione usata perspiegare le funzioni delle piante e deglianimali. A proposito del calore naturalerichiesto per i bisogni nutritivi degliorganismi, piante e animali in ugual misura,Aristotele evidenzia il ruolo della bocca e dellostomaco come parte di un sistema continuoche produce l’energia naturale e i nutrientinecessari agli animali. Applicando lo stessoragionamento alle piante scrive: “Giacché lepiante si procurano il loro nutrimento dalterreno attraverso le loro radici; e questonutrimento è già elaborato quando vieneassorbito, la ragione per la quale le piante nonproducono escrementi risiede nel fatto che laterra ed il suo calore svolgono per loro lafunzione di uno stomaco. Mentre gli animalicon scarse eccezioni e specialmente tutti glianimali capaci di locomozione sono provvistidi uno stomaco che si comporta come unsostituto interno della terra”. Così perAristotele la terra e lo stomaco diventanoorgani analoghi di digestione, uno utilizzatodalla pianta fissa, l’altro dall’animale mobile.Aristotele contrappone ulteriormente ilmovimento degli animali alla fissità dellepiante nella descrizione della spugna. Egliasserisce che una spugna “assomiglia in tuttoad una pianta” poiché “per tutta la sua vitaresta attaccata ad una roccia e quando vieneseparata da essa muore”. La fissità dellaspugna diventa una caratteristica essenzialedel suo stato di pianta. Aristotele, tuttavia,ammette alcune eccezioni al principio diimmobilità delle piante. In una parzialeammissione delle difficoltà che si incontranonel voler distinguere in modo categorico glianimali dalle piante, afferma infatti che

“talvolta è dubbio se un dato organismodebba essere classificato tra le piante o tra glianimali”. L’influenza aristotelica in botanica dureràmolto più a lungo che in altre scienze. Nel1583 Andrea Cisalpino pubblica a Firenze unlibro fondamentale per la storia dellabotanica, il De plantis libri XVI, cheinfluenzerà molte generazioni a venire di studibotanici. “Poiché la natura delle piante”, cosìsi apre il libro di Cisalpino, “possiede soltantoquel tipo di anima attraverso il quale esse sinutrono, crescono e si riproducono, e nonmostrano, quindi, sensibilità o movimento,che sono tipiche della natura degli animali,conseguentemente le piante hanno bisogno diun insieme di organi molto inferiore rispettoagli animali”. Questa idea riapparirà frequentemente nellastoria della botanica. Per secoli biologi ebotanici hanno volontariamente eluso lanecessità di concettualizzare il movimentodelle piante, tentando con ogni mezzo disalvaguardare la validità delle onoratecategorie di “animali” e “piante”, definendo“anomalie” o “variazioni aberranti” le pianteche mostravano movimenti rapidi. Talvoltachiamando queste piante zoospore, proprioper sottolinearne la loro vicinanza al mondoanimale.La sorpresa e il divertimento che colpiscechiunque si trovi per la prima volta di fronteai movimenti rapidi di una pianta come laMimosa pudica, testimoniano della profondaconvinzione che l’immobilità sia lacaratteristica fondamentale checontraddistingue la pianta dall’animale.Animale viene dal termine animato, ovvero“capace di muoversi”, ma anche da un più

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La sorprendente vita delle piantedi Stefano Mancuso

Stefano Mancuso, LINV (Laboratorio Internazionale diNeurobiologia Vegetale), Firenze

Gli sviluppi recenti della biologia vegetale permetteranno di studiare le piantecome organismi intelligenti dotati della capacità di acquisire, immagazzinare,condividere, elaborare e utilizzare informazioni raccolte dall’ambiente circostante

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antico significato “che ha un anima”; neconsegue che le piante, al contrario, non nesono dotate. Tale disarmonia nella percezionedegli esseri viventi è non solo occidentale, maanche di altre culture. La tradizionemussulmana, per esempio, ammette larappresentazione figurata delle piante, manon quella degli animali o degli uomini,affermando,implicitamente, chele piante non sonocreature di Dio. Alla fine del XIXsecolo l’idea chepiante e animaliabbiano così pocoin comune,comincia avacillare. Nel 1874Fabre dà allestampe un celebretesto didivulgazione sullavita delle piante,che inizia conqueste parole: “Lapianta è sorelladell’animale: comequesto, essa vive, sinutre, si riproduce.Per comprendere laprima, spesso èmolto utileconsultare ilsecondo: come pureper comprendere ilsecondo, èconvenientechiederechiarimenti allaprima”. Negli stessianni sir JagadisChandra Bose(1858-1937), unodei primi scienziatiindiani moderni efigura leggendariaper la storiacontemporanea dell’India, sostiene lasostanziale identità fra piante e animali.Fisico illustre, Bose spaziò con il suo lavorodalla fisica alla biologia, alla botanica. Il

poeta e premio Nobel Rabindranath Tagore lodescriveva come “un poeta nel mondo deifatti”. Bose andando contro ogni convinzionedel suo tempo, e basandosi su solidissimeprove sperimentali, dimostrò come le pianteutilizzassero segnali elettrici per lacomunicazione fra i vari organi e avanzòl’idea che le piante fossero da considerarsi

esseri intelligenti, capaci di apprenderedall’esperienza e di modificare il lorocomportamento in maniera adeguata. I suoiesperimenti provarono “l’unità deimeccanismi fisiologici della vita. Poiché noiabbiamo trovato nelle piante e negli animalisimili movimenti contrattili in risposta aglistimoli, uno stesso meccanismo di

propagazione fracellula e cellula, unasimile circolazionedei fluidi”.Liricamente, nel1907 scriveva:“Questi alberihanno una vitasimile alla nostra,mangiano ecrescono, affrontanola povertà, siaddolorano esoffrono. Possonorubare, ma ancheaiutarsi gli uni congli altri, sviluppareamicizie, sacrificarela loro vita per ipropri piccoli”.Numerose scopertesuccessiveconfermaronoquesta vicinanza frapiante e animali. Glistudi riguardantialcuni processi dibase, comerespirazione ecrescita cellulare, sisono potutisviluppare grazieall’uso delle piantecome materialesperimentale. Oggi èben noto che le piùimportanti viemetaboliche inpiante e animalisono simili e che le

piante hanno in comune con gli animalinumerose attività complesse: dallariproduzione sessuale, basata sulla fusionedelle cellule spermatiche e degli ovociti,

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Madonna con il Bambino, San Francesco e SantaChiara, tempera su tavola, Pavia, Pinacoteca

Malaspina.

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all’uso delle medesime molecole e viemetaboliche per la regolazione dei ritmicircadiani. Gli stessi processi appare in ambedue i regni,soltanto alcuni predominano in quelloanimale, altri in quello vegetale. Gli animaliusano la materia e l’energia prodotta dallepiante. Queste, a loro volta, utilizzanol’energia del sole per soddisfare le proprienecessità. Gli animali dipendono dalle piante,e le piante dipendono dal sole. Si arriva, così,a una più generale concezione della vita dellepiante e alla comprensione del loro ruolo nellabiosfera. Esse rivestono il ruolo di mediatorifra il sole e il mondo animale. Le piante, o piuttosto, i loro organuli cellularipiù tipici, i cloroplasti, rappresentano illegame che unisce le attività di tutto il mondoorganico, tutto quello chiamiamo vita, con ilcentro energetico del nostro sistema. In questosenso possiamo parlare di una funzioneuniversale della pianta.Negli ultimi anni la grande massa di dati edevidenze accumulate dalle scienze vegetali haaccresciuto considerevolmente la nostraconoscenza della vita delle piante,permettendo la nascita di nuovi e affascinantisettori di ricerca, fra i quali, il più recente èsicuramente quello della neurobiologiavegetale.

La neurobiologia delle piante

Le piante devono continuamente deciderecome rispondere all’ambiente naturaleall’interno del quale vivono. Alcune di questescelte includono come e dove trovare inutrienti; dove trasportare nell’organismoquesti nutrienti, e le molecole organiche chene derivano; quali nuovi organi devono essereprodotti e quali, invece, rimossi; comepredisporre le difese appropriate contro gliattacchi patogeni e quali segnali chimiciinviare agli organismi circostanti. Tutte questescelte, che devono essere prese nel contesto diun ambiente continuamente mutevole,richiedono una attività cellulare coordinata ela possibilità di acquisire e conservareinformazioni.Il primo a intuire che le piante possedesseroqualcosa di simile a un cervello, sebbene didimensioni estremamente ridotte, fu Charles

Darwin, il quale nel 1880, assistito da suofiglio Francis, pubblicava The power ofmovement in plants. Nelle ultime pagine delcapitolo finale Darwin riflette sullesorprendenti caratteristiche dell’apiceradicale: “Non è una esagerazione dire che lapunta delle radici, avendo il potere di dirigerei movimenti delle parti adiacenti, agisce comeil cervello di un animale inferiore; il cervelloessendo situato nella parte anteriore del corporiceve impressioni dagli organi di senso edirige i diversi movimenti della radice”.Charles Darwin era sempre stato affascinatodalle caratteristiche dell’apice radicale. Nellasua autobiografia (1888) scrive di “sentireuno speciale piacere nel mostrare quanti ecome mirabilmente ben adattati siano imovimenti posseduti dall’apice della radice”.Quello che impressionava maggiormenteDarwin era l’abilità delle radici nel percepirecontemporaneamente molteplici stimoliambientali, nell’essere in grado di prendereuna decisione e nel muoversi in funzione diquesta. Darwin espose le radici a numerosi stimoliquali fra gli altri la gravità, la luce, l’umiditàe il tocco, e si accorse che due o più stimoliapplicati contemporaneamente potevanoessere distinti dagli apici radicali, e che larisposta a questi stimoli era tale dapresupporre che la radice fosse in grado didistinguere fra i diversi stimoli e giudicarequale fosse più importante ai fini dellasopravvivenza dell’intera pianta. A più di cento anni dalla originaria idea diDarwin, la presenza di una speciale zonasensoria e di calcolo posta nell’apice radicale èormai un dato certo. Per il lettore che volesseapprofondire l’argomento si suggerisce lalettura del libro recentemente edito dallaSpringer, Plant Communication - Neuralaspect of plant life, che trattadettagliatamente dell’argomento.Esistono molte buone ragioni perché nel corsodell’evoluzione le piante abbiano sviluppato iloro tessuti simil-neurali negli apici radicali,sepolti nella profondità della terra. Innanzitutto il suolo rappresenta un ambiente piùstabile in confronto a quello atmosferico sia intermini di temperatura che d’umidità; èprotetto dalla predazione animale, dall’ozonoatmosferico cosi come dalla radiazione UV

solare. Considerando le radici come la sede di attivitàsimil-neurale, si ha una visione della piantaassai differente da quella comunementeconsiderata. Le radici diventano l’organo piùimportante della pianta, i loro apici formanoun fronte in continuo avanzamento coninnumerevoli centri di comando. L’interoapparato radicale guida la pianta con unasorta di cervello collettivo o, meglio, diintelligenza distribuita su una larga superficieche mentre cresce e si sviluppa, acquisisceinformazioni importanti per la nutrizione eper la sopravvivenza della pianta. Alla luce di queste nuove scoperte, le radici da“metà nascosta”, diventano il vero centrovitale della pianta. Più di quattrocento annidopo la pubblicazione del De plantis libri XVI,l’idea di Cisalpino secondo la quale la radicecorrisponderebbe alla bocca e debba quindiessere considerata idealmente come la partesuperiore sebbene collocata nella posizioneinferiore della pianta, riacquista uninaspettato valore. La pianta è come unanimale posto sulla propria testa (con la testapiantata nel terreno) e con le parti superiori einferiori così determinate: “Questa parte, laradice, è la più nobile (“superiore”) perché èla prima ad essere originata ed affonda nelterreno; poiché molte piante vivono grazie allesole radici dopo che lo stelo con i semi maturiè stato rimosso; il fusto riveste minorimportanza (“inferiore”) sebbene esso emergadal suolo; per quanto concerne le escrezioni,qualora ve ne siano, devono essere estruseattraverso questa parte”. Così Cisalpinoanticipa di secoli l’odierna descrizione delcorpo della pianta basata su un polo anterioresotterraneo (le radici), specializzatonell’assorbimento di nutrienti e nella capacitàdi calcolo, e un polo posteriore epigeo (ilfusto), specializzato nella riproduzione e nellaescrezione. Grazie all’attività “intelligente” delle radici, lepiante sono in grado di rispondere a stimoliesterni, in numerosi casi aumentandol’efficienza della loro risposta in seguito aripetute esposizioni. È fondamentale, quindi,che le piante siano in grado di archiviare delleinformazioni e abbiano la possibilità dirichiamarle quando se ne presenti l’occasione,anche a distanza di tempo. La questione

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apparentemente paradossale dell’esistenza diattività mnemoniche nella pianta hainteressato, in realtà, un discreto numero diricercatori negli ultimi trent’anni, graziesoprattutto all’interesse suscitato alla finedegli anni Settanta dai numerosi studieffettuati sulle abilità mnemoniche di insetti edi altri animali inferiori. Il tipo di rispostascelto per determinare le abilità mnemoniche

di questi animali era sempre strettamentelegato alla capacità di apprendimento e alpossesso di cellule nervose specializzate. Inquesto senso il concetto di memoria nonsarebbe applicabile alle piante, che,ovviamente, non sono dotate di cellulenervose. Tuttavia, la memoria può ancheessere definita come “l’abilità diimmagazzinare informazioni riguardantieventi passati e richiamarle dopo un periododi tempo”, divenendo perfettamenteapplicabile sia a esseri viventi come le pianteche a oggetti quali, ad esempio, i computer. Numerosi esempi di immagazzinamento(memorizzazione) di segnali ambientali, sonostati esplicitamente o implicitamente provati

nelle piante, in alcuni casi anche a livellomolecolare. Le piante sono soggette a unamoltitudine di stimoli simultanei. Poichéquesti stimoli avvengono in tempi diversi, unarisposta integrata della pianta richiede, didiscriminare, memorizzare, richiamare eprocessare i segnali indotti dai differentistimoli. Esempi esaurientemente descritti diregistrazione di stimoli riportano periodi dimemorizzazione da 2 giorni a 2 mesi nel casodell’inibizione della crescita dell’ipocotile inpiantine di Bidens pilosa, nella crescita dellegemme cotiledonari, nella germinazione deisemi, nella risposta a shock osmotici, nellaproduzione di segnali calcio indotti da siccitàe in numerosi altri casi. La durata dellamemoria nelle piante può andare dai pochisecondi a mesi e dipende dal segnale e dallarisposta esaminata.Gli sviluppi recenti della biologia vegetale cipermetteranno di studiare le piante comeorganismi intelligenti con una capacità diacquisire, immagazzinare, condividere,elaborare e utilizzare informazioni raccoltedall’ambiente circostante. Come le piante siprocurino le informazioni dall’ambiente che lecirconda ed elaborino questi dati in modo dasviluppare un comportamento coerente,rappresenta il principale interesse dellaneurobiologia vegetale. La comprensione diquesta intelligenza richiederà uno sforzocongiunto tra scienziati di diverse discipline. Irisultati ci permetteranno di comprendere imeccanismi di base della vita delle piante emagari serviranno a far crescere nelle personela consapevolezza che le piante sono esseriviventi estremamente complessi da cuidipende la vita sulla terra. Si stima che noiconosciamo soltanto il 5-10 % delle specievegetali presenti sulla terra e da questetraiamo il 95% di tutti i principi medicinaliutilizzati dall’uomo. Ogni anno migliaia dispecie di cui non sappiamo assolutamentenulla si estinguono, portando con sè chissàquali regali per l’umanità. Il mondo dellepiante è un enorme dono fatto all’uomo, chenoi gettiamo via senza neanche degnare diuno sguardo. Forse il fatto di sapere che lepiante ragionano, sentono e comunicano potràservire nel futuro a farcele sentire più vicine,consentendoci di studiarle e proteggerle conmaggiore efficacia. ●

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Stimmate di San Francesco, tempera su tavola,Traversetolo (Parma), Corte di Mamiano,Fondazione Magnani.

Madonna dell’Umiltà, tempera su tavola, Pisa, MuseoNazionale di San Matteo.