ARIANNA VISENTINI...etici, filantropici e di Responsabilità socia-le di impresa, che sollevassero...

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intervista a ARIANNA VISENTINI CEO e Co-founder di Variazioni

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intervista a

ARIANNA VISENTINICEO e Co-founder di Variazioni

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La Signora dello Smart working in Italia è un’imprenditrice dai modi garbati, che celano, però, la grinta necessaria per cam-biare il mondo del lavoro. Non per nulla “Let’s change the world of work together” è il claim di Variazioni, l’azienda fondata a Mantova da Arianna Visentini nel 2009 e che di recente ha celebrato i suoi pri-mi 10 anni di vita con una festa presso la Fabbrica del Vapore di Milano, cui hanno partecipato personalità come il sindaca-lista Marco Bentivogli, il giornalista Oscar Giannino e l’ex Presidente dell’Anpal e docente della Bocconi Maurizio Del Con-te (alla serata era presente anche una delegazione della casa editrice ESTE). È significativo che un’impresa che fa dello Smart working e del welfare aziendale le sue missioni abbia scelto di festeggiare in quella che, un tempo, era un’area industria-le per la produzione di materiale rotabile per le ferrovie e per le prime vetture tran-viarie dell’Atm (proprio lì vicino c’è ancora uno dei depositi dei mezzi pubblici dell’a-zienda). In questa decisione si può perce-pire l’innovatività di un approccio che, nella volontà di cambiare il modo di lavorare, non intende perdere di vista la tradizione delle aziende italiane, caratterizzate da grande creatività, ma da dimensioni contenute. Diplomata nel primo corso sperimentale a indirizzo informatico dell’Istituto Superiore Tecnico Commerciale di Mantova (siamo alla fine degli Anni 80 e si programmava in Cobol e Basic sugli M24 della Olivet-ti), prima di fondare Variazioni, Visentini

inaugura la sua carriera professionale in una società di consulenza, che sviluppava pacchetti software gestionali per gli istituti bancari. Fu però durante questa esperien-za che maturò la necessità di ampliare lo sguardo con cui guardare al mondo. “Non potendo permettermi di smettere di lavo-rare, decisi di iscrivermi a Lettere e Filoso-fia a Bologna, laureandomi con una tesi di ricerca in Sociologia della letteratura nella quale provavo a dimostrare che solo leg-gendo e praticando direttamente questa arte, avremmo stimolato la curiosità dei ra-gazzi per la lettura: ‘testimoniare’ è impre-scindibile se si vuole accompagnare il cam-biamento di abitudini e comportamenti culturali”, dice Visentini. La fondazione di una cooperativa culturale per la promozio-ne di progetti di cooperazione con gli enti locali per la valorizzazione delle politiche culturali e giovanili venne poco dopo. Fu un’esperienza “che mi consentì di mante-nermi mentre studiavo e che gettò le basi per la futura nascita di Variazioni”. Il nostro colloquio con Visentini, inizia quindi da qui.

Qual è stato il percorso che l’ha condotta a diventare imprenditrice?Fu sul finire dell’esperienza con la coopera-tiva culturale che conobbi le professioniste Stefania Cazzarolli (attualmente socia di Variazioni), Simona Maiocchi e Cristina Taf-felli. Dalla comune sensibilità per il miglio-ramento del contesto che ci circondava, iniziò una riflessione su come incidere sulle organizzazioni per migliorare il benessere

delle persone che ci lavorano. A caratteriz-zarci, pur avendo background diversi, era il nostro radicamento sul territorio in ambi-to sociale. Condividemmo che la sfida era quella di rivolgerci prima di tutto alle im-prese profit, apparentemente meno sen-sibili al tema del benessere organizzativo. All’epoca la figura della Direzione del Per-sonale era molto attenta alle questioni am-ministrative e tendeva a sottovalutare l’im-patto della motivazione e delle condizioni personali della popolazione aziendale.

Qual era il vostro obiettivo?Abbiamo sempre nutrito la convinzione che la nostra visione si sarebbe con il tem-po affermata, ma sapevamo anche che fos-se necessario guidare e accelerare il cam-biamento: abbiamo quindi provato a dargli una fisionomia, un alfabeto, delle termino-logie e qualche strumento. Abbiamo preso le distanze dalla retorica del ‘bene’ fine a se stesso e da un approccio al ‘well being’ che si traducesse prevalentemente in discorsi etici, filantropici e di Responsabilità socia-le di impresa, che sollevassero dal dover intervenire strutturalmente sulle modalità di lavoro. Qualsiasi scelta aziendale, sebbe-ne improntata a spirito etico, è pur sempre una decisione di business e che guarda in ultima istanza alla sostenibilità economica e finanziaria. In questo ambito è di certo importante che l’innovazione sia stimolata dalle normative, ma le tutele non possono prescindere dalla progressiva maturazione e definizione di nuovi paradigmi. Abbiamo

CAMBIARE LE REGOLEDEL LAVOROCON LO SMART WORKINGdi Dario Colombo

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Arianna Visentini, Ph.D. in Relazioni di Lavoro, è Presidente e Socia Fondatrice di Variazioni, società di consulenza specializzata in Smart working (lavoro agile), flessibilità aziendale, welfare aziendale, work-life balance, strumenti per la gestione del personale e la formazione manageriale.Visentini ha un’esperienza pluriennale come consulente e formatrice sia nel campo delle strategie aziendali per Change management sia nella creazione e animazione di reti territoriali.Ha pubblicato e collaborato con numerose riviste di settore, tra cui Economia&Lavoro, Sociologia e Politiche Sociali (FrancoAngeli) e per i siti Lavoce.info, Secondo Welfare, InGenere.A ottobre 2019 ha pubblicato, insieme con Stefania Cazzarolli, Co-fondatrice di Variazioni, il libro Smart working: mai più senza, edito da FrancoAngeli.

ARIANNAVISENTINI

CEO e Co-founder di Variazioni

forse frainteso il termine “sostenibilità” as-sociandolo troppo spesso a uno scenario di decrescita. Cambiare cultura, sensibili-tà e di conseguenza regole, non significa necessariamente rinunciare, ma semmai avere la capacità di vedere un mondo nuo-vo che offra nuove opportunità di mercato.

Eravamo rimasti alla partnership tra professioniste: come la collaborazione si è trasformata in azienda?Dopo cinque anni di collaborazione a sin-goli progetti, nel 2009 è nata ufficialmente Variazioni: volevamo creare un’organizza-zione che avesse un’identità autonoma rispetto a quella delle singole fondatrici. L’obiettivo iniziale è rimasto lo stesso: mi-gliorare i luoghi di lavoro attraverso la va-lorizzazione del contributo attivo delle per-sone. Oggi la nostra mission è contenuta nel claim “Let’s change the world of work

together”, che traduce la ricerca costante di soluzioni innovative volte a generare be-nessere diffuso in grado di conciliarsi con l’efficienza organizzativa.

A proposito di conciliazione, come un’imprenditrice riesce a far convivere vita privata e lavorativa?Ho scelto di fondare Variazioni quando ero già mamma di tre bambini: la più grande aveva 10 anni, il più piccolo appena quattro. In questi 10 anni da imprenditrice credo quindi di aver affrontato concretamente il timore di cedere spazi di autonomia per potermene riservare altri. Chi fa impresa compie inevitabilmente scelte che hanno un impatto sulla famiglia: può accadere che ci sia la percezione di assenza di presi-dio o di mancato supporto alla crescita dei figli; di contro, però, la nuova gestione della

quotidianità consente ai figli di acquisire maggiore autonomia e anche nuove com-petenze. Dare autonomia non è semplice né scontato. Non sempre è possibile pre-parare il terreno, rinforzare le competenze e poi arretrare quando tutto è pronto. La crescita passa anche attraverso la rinun-cia alla zona di comfort. Sono certa di aver messo i miei figli nelle condizioni di trovare soluzioni anche in situazioni di difficoltà e disagio, seppur protette. A posteriori credo di aver fatto scelte che ci hanno fatto cre-scere.

Le esperienze personali hanno influito sul suo stile di leadership?Di certo ha influito l’esperienza di genitore. Prediligere la costruzione di un senso co-mune all’impartire istruzioni dettagliate fa parte anche del mio stile imprenditoriale: non ho la presunzione di sapere come ogni singola mansione debba essere svolta e quindi delego a chi, su quella specifica ma-teria, ha le necessarie competenze.

Torniamo all’azienda: qual è l’assetto organizzativo di cui vi siete dotati?Siamo un’azienda che ha ancora piccole dimensioni – contiamo circa 15 collabora-tori – e i ruoli manageriali si sovrappongo-no spesso a quelli operativi. Abbiamo im-postato un’organizzazione basata in primo luogo sulle competenze utili a garantire la qualità del nostro servizio. Noi stesse non abbiamo mai smesso di consolidare le nostre skill: nel mio caso affrontando un percorso di dottorato in Relazioni di Lavo-ro; nel caso di Stefania una seconda laurea (dopo la prima in Psicologia) in Economia e Commercio. Noi due socie, oltre al ruolo di guida dell’azienda nel Cda, condividiamo la responsabilità della funzione Sales a di quella Operations, ma il nostro team si è ar-ricchito nel tempo di Data Scientist ovvero di ricercatori ed esperti per l’elaborazione delle survey e la lettura dei dati; di Trainer responsabili per la formazione interattiva e spesso co-progettata insieme con il clien-te (la formazione deve contribuire al cam-biamento) e infine di consulenti e Project Manager, che coordinano i team di lavoro e hanno la visione complessiva del contesto del cliente.

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IL RITRATTO DI ARIANNA VISENTINI

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maginare. La digitalizzazione permette di crescere e migliorare le proprie competen-ze. Oggi, inoltre, la prestazione lavorativa può essere svolta ovunque e da qualunque device: ciò ha comportato una rivoluzione che coinvolge sempre più ruoli lavorativi nelle organizzazioni. Ci consente di sce-gliere in autonomia da dove e in che orari lavorare. Le tecnologie da un lato rendono possibile conciliare i tempi lavorativi con quelli personali, ma richiedono anche, per poter godere di quella libertà, di essere in grado di utilizzare i dispositivi, i software, gli applicativi. Le skill tecnologiche acquisite saranno fondamentali per accelerare ulte-riormente l’innovazione digitale dell’azien-da. Ancora una volta un processo win-win.

A proposito di tecnologia, Variazioni propone soluzioni di Smart working, ma a sua volta sposa il modello organizzativo nel quale il lavoro agile trova ampio spazio…L’organizzazione è diffusa sul territorio: a Mantova siamo in quattro persone, mentre gli altri sono distribuiti tra Milano, Brescia, Reggio Emilia e Orvieto. Quattro volte l’an-no ci riuniamo in giornate di team build-ing per condividere obiettivi e strumenti di lavoro, oltre che per essere aggiornati rispetto agli assetti organizzativi. Tuttavia i singoli team sono costantemente connes-si su una piattaforma, per la cui gestione ci

Ha accennato al tema del benessere organizzativo: qual è la sua definizione?Il benessere organizzativo può essere declinato in modo differente. Ha innan-zitutto un impatto individuale e, come confermano anche le ricerche più recenti, le perform ance di chi sta bene al lavoro si riflettono nel raggiungimento degli obiet-tivi aziendali. Poi c’è il tema delle relazioni che impone di parlare di benessere diffu-so, per cui l’individuo sta meglio se si trova bene con i colleghi. Per questo abbiamo messo a punto il metodo C.O.R.E. (acroni-mo di Cultura, Organizzazione, Regolazio-ne, Economia), che ci aiuta a osservare i contesti attraverso quattro dimensioni che non possono essere trascurate. La trasfor-mazione culturale è importante e deve tra-dursi in soluzioni organizzative e in regole aziendali che conducano all’evidenza di una convenienza economica per le perso-ne, i manager, l’azienda e i territori. Ciò si traduce in inclusione, diversità, autonomia, fiducia, efficienza, performance, raggiun-gimento degli obiettivi e monitoraggio dei risultati.

Il benessere organizzativo può essere agevolato dalla tecnologia?L’evoluzione tecnologica è sicuramente sta ta un abilitatore di connessioni e relazio-ni, che fino a 15 anni fa si faticavano a im-

La sua azienda ha appena compiuto 10 anni: in ambito HR quali sono i cambiamenti più rilevanti che avete osservato?È cambiato il modo in cui consideriamo le persone all’interno delle aziende e quindi anche il concetto di gestione del perso-nale. Fino a 15 anni fa, il tema era molto legato all’amministrazione del personale e quindi agli aspetti burocratici, per que-sto le persone erano, in un’ottica ford-tayloris ta, paragonabili a ‘strumenti’ al servizio dei responsabili delle Operations. Oggi la popolazione aziendale è la leva che consente alle aziende di raggiungere gli obiettivi, perché lo scenario è cambia-to e non c’è più la necessità di assolvere a un task in modo ripetitivo; la variabilità e l’imprevedibilità delle sfide impongo-no la capacità di leggere il contesto per intervenire e reagire. Questo vuol dire costruire un dialogo con le persone. Se una volta costruire una relazione con le persone era un’attività molto difficile e legata a una declinazione paternalistica del ‘padrone’ che considerava i propri di-pendenti alla stregua di figli e se fino a ieri tale relazione era demandata spesso a survey aziendali, oggi finalmente fare domande, dialogare con i collaboratori e motivarli è un’attività riconosciuta e che richiede di essere svolta con i massimi standard di qualità.

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uno scenario di mutazione continua; lo è di sicuro meno in quelle aziende con una lunga tradizione che iniziano a utilizzare strumenti che impongono nuove modalità di lavoro.

Un cambiamento evidente generato dallo Smart working è quello legato al ruolo del manager. Quali sono le nuove mansioni dei responsabili?Il nostro lavoro consiste essenzialmente nel generare empowerment e sostenere la Direzione del Personale attraverso un’at-tività di coaching affinché l’HR assuma il ruolo di guida e non si limiti a fornire so-luzioni preconfezionate. Chi comprende questo passaggio può davvero compiere il cambiamento di cui parlavo. Un esempio

è Sea Aeroporti, nostro cliente da tempo. Di recente abbiamo avuto l’occasione di confrontarci con Barbara Spangaro, Re-sponsabile Gestione HR Staff, Sviluppo e Welfare di Sea Aeroporti che ha raccontato la sua esperienza con Variazioni: “Il lavoro agile è stato una leva per cambiare com-pletamente il nostro modo di concepire la

tazione di dare alle aziende un manuale d’uso sullo Smart working. Meglio, inve-ce, stabilire regole light, lasciando ai team stessi dell’azienda il compito di trovare la soluzione per le proprie problematiche e arrivare quindi a costruire un modello uni-co. Quindi è fondamentale il trasferimen-to di fiducia, da affiancare a formazione, training, co-progettazione, valutazione ex ante ed ex post.

In che modo un’organizzazione può essere certa che i suoi dipendenti svolgano il lavoro secondo le regole e le modalità aziendali?Negli anni abbiamo cercato un nostro modo di proporre il lavoro agile, per co-struire il senso di appartenenza e quindi

anche l’adesione a un metodo. Anche in questo caso non si tratta di imporre regola-menti o istruzioni per l’uso: si tratta, piutto-sto, di proporre una narrazione per spiega-re il senso del lavoro da svolgere secondo modalità precise. È certo più ‘semplice’ vei-colare il messaggio del cambiamento nelle nuove organizzazioni, che nascono già in

siamo dati regole ferree in modo da colla-borare alla realizzazione e archiviazione dei documenti con policy precise. Da aprile 2019 siamo certificati ISO 9001 e questo ci permette di offrire maggiore chiarezza rispetto al piano formativo, agli obiettivi e all’aggiornamento delle competenze. La nostra modalità di lavoro ci ha ‘liberato’ anche dalla necessità di avere un ufficio di rappresentanza, perché siamo rappresen-tati dalla modalità con cui lavoriamo e dalla qualità del nostro lavoro.

Lo Smart working richiama il tema della fiducia. Come si gestisce questo aspetto?Una delle domande che usiamo nell’analisi del clima organizzativo riguarda proprio la fiducia. Chiediamo: “Ti fidi di tutti incondi-zionatamente o solo di chi se lo merita?”. I risultati mediamente svelano che ancora oggi la grande maggioranza dei compilan-ti sceglie la seconda opzione. Dichiarare, nel contesto organizzativo, di dare fiducia “solo a chi se lo merita” è un segnale di sfiducia nei confronti dell’organizzazione stessa che ha scelto e selezionato le perso-ne a cui affidarsi, significa creare un clima nel quale i collaboratori temono di sbaglia-re e nel quale non prendono l’iniziativa. Fi-darsi da un lato e misurare i risultati delle persone dall’altro sono due competenze distinte e non sovrapponibili. Nella nostra organizzazione lavoriamo fidandoci total-mente delle persone con cui collaboriamo. Possiamo permettercelo perché abbiamo una forte e diffusa tensione al raggiungi-mento degli obiettivi.

Come si applica il modello della fiducia?È un tema di trasferimento di autonomia e libertà dall’alto verso il basso, che si associa al fornire alle persone la giusta strumenta-zione organizzativa o nel fare in modo che possano costruirsela essi stessi. Corrispon-de a quanto è stato già fatto, su larga scala, dalla legge sul lavoro agile. Come ha sotto-lineato Maurizio Del Conte, la legge rappre-senta un nuovo framework attraverso cui responsabilizzare i manager e stimolarli a sviluppare gli strumenti organizzativi più adeguati. Insomma, si è resistito alla ten-

Le socie Arianna Visentini e Stefania Cazzarolli

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IL RITRATTO DI ARIANNA VISENTINI

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le attività, di lavorare in team. Il fatto che la libertà e l’autonomia – a cui non siamo abituati – possano spaventare è peraltro evidente nelle sperimentazioni del lavoro agile che vedono in prima battuta alcune persone rinunciare alla modalità di lavo-ro vedendolo come uno sconvolgimento delle proprie routine professionali.

Lo Smart working, dice la legge, è uno strumento che si applica ai lavoratori dipendenti, eppure la norma è stata inserita all’interno del cosiddetto Jobs Act del lavoro autonomo: come spiega la scelta?È un tema giuridico-normativo molto complesso, riconducibile a una corrente di giuslavoristi che ha fatto della capaci-tà di autodeterminazione delle persone una bandiera e che da anni è attenta alle esigenze, desideri e ambizioni anche in-dividuali delle persone e non solo colletti-vi. Penso in particolare a Marco Biagi e al suo Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia e alle riforme che ne sono seguite. Che il mercato del lavoro abbia sempre più bisogno di persone autonome è un dato di fatto, ma a mio avviso, a prescindere dall’inquadramento contrattuale, non vie-ne meno l’importanza dell’organizzazione come entità. Certo, non sarà più la sede fi-sica a definire confini e identità aziendali: le nuove ‘fondamenta’ delle imprese sono e saranno sempre più rappresentate da obiettivi, vision e mission, che necessitano di essere quanto mai raccontati in modo chiaro per poter essere condivisi con le persone e auspicare che queste vi contri-buiscano attivamente. Fino a ieri avevamo le mura a darci questa garanzia. Oggi, che stanno cadendo, dovremo sostituirle con le idee.

di welfare, senza curarci dei risultati delle performance e dei vantaggi del progetto, rischieremo che ne venga limitata l’ado-zione, scontentando prima di tutto chi ha esigenze di conciliazione. Lo Smart wor-king consente di per sé un utilizzo perso-nalizzato. Non è necessario determinarne a priori le modalità di utilizzo. Come detto da Monica Parrella (Direttore HR del MEF), se ben impostato, è un equalizzatore di op-portunità.

Non c’è il pericolo di vivere costantemente connessi con il lavoro perdendo di vista il resto della vita?È un pericolo che a mio avviso bisogna senz’altro correre. D’altra parte l’invasi-vità delle tecnologie oggi è un dato che prescinde dal lavoro agile. Anzi, senza di esso saremmo probabilmente costretti a rimanere in ufficio ben oltre l’orario di la-voro, continuando comunque a lavorare anche da casa, attraverso i nostri dispo-sitivi mobili personali. Penso invece che il lavoro agile possa rappresentare un’oc-casione per rinnovare le nostre compe-tenze nella gestione del tempo e dello spazio e di un rapporto con le tecnologie più consapevole e governato. Lo Smart working, infatti, impone un cambiamento radicale, cui non siamo abituati, visto che la stessa scuola è organizzata su modelli ford-tayloristi con un vertice che coman-da e un team che esegue. Ecco perché non sono solo i manager a dover fare un salto culturale, ma tutti noi. L’intervento di Variazioni punta proprio a rinforzare le soft skill della proattività, multitasking, problem solving, capacità di cooperare, ma anche di gestire il tempo, di guardare agli obiettivi scegliendo le priorità, di pro-grammare e pianificare correttamente

governance aziendale. Tutti ci chiedevano istruzioni, orari, mansioni, mappature, ecc., ma noi abbiamo scelto di resistere alla ten-tazione di dare risposte operative ai nostri manager, affidando loro la responsabilità di trovarle. Questa scelta è stata una rivo-luzione copernicana, perché abbiamo tra-sferito alle persone che lavorano fiducia e autonomia, benessere e libertà chiedendo accountability”.

Non crede, però, che questa scelta organizzativa di ‘spostare’ la responsabilità della gestione delle persone dall’HR al singolo manager possa generare disorientamento?La governance top-down ha depotenziato il ruolo del manager, che per tanti anni è semplicemente stato un controllore, inca-pace di lasciare il giusto spazio per lo svi-luppo di autonomia operativa. Se vogliamo introdurre concretamente il lavoro agile, la responsabilità deve essere diffusa e condi-visa da tutti; vuol dire lasciare ampia delega al manager il cui ruolo è fondamentale nel-la progettazione della propria funzione e attività. E a sua volta il manager condivide la responsabilità con i propri collaboratori che, nell’ipotetica filiera, possono diventare Smart worker più consapevoli, anche gra-zie alla fine dell’alibi del cartellino.

In che modo lo Smart working è uno strumento di welfare?Per Variazioni l’introduzione dello Smart working e la sua messa a punto sono le-gate all’efficienza aziendale e all’approccio win-win-win (vantaggi per azienda, man-ager e collaboratori). Abbiamo per questo individuato alcuni Kpi, che evidenziano come si possa generare soddisfazione sia per l’azienda sia per i lavoratori. Le prime survey risalgono al 2014 e a oggi contiamo sulle risposte di oltre 10mila compilazioni dalle quali emerge per esempio che, pur usando lo strumento nella stessa misura, le donne traggono maggiore soddisfa-zione degli uomini. Se riusciamo a tenere il nostro Smart working fermo sulla barra dell’innovazione organizzativa, otterremo welfare perché manager e azienda saran-no convinti di volerlo adottare. Se lo intro-durremo prioritariamente come misura

Decennale di Variazioni ELITE ALLO SPECCHIO

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